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OTTAVA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo volume, settimo della serie ottava, racchiude la documentazione relativa al secondo semestre del 1937. Ancora una volta, l'argomento di maggior rilievo è dato dalla guerra civile spagnola che nell'estate di quell'anno ha, sul piano internazionale, dei contraccolpi tanto gravi da far temere a più riprese che da essa possa derivare un conflitto generale. A determinare questa situazione esplosiva è soprattutto l'iniziativa presa da Mussolini di far attaccare dai sottomarini italiani le navi che portano rifornimenti ai Governativi spagnoli. E' stato Franco a chiedere l'intervento della flotta italiana per impedire l'arrivo di un enorme quantitativo di rifornimenti che, secondo notizie ritenute attendibili, l'Unione Sovietica si appresta ad inviare al governo di Valencia, un aiuto di proporzioni tali da decidere le sorti della guerra se arriva a destinazione. In realtà, dalla documentazione qui pubblicata risulta che la decisione di Mussolini non ha origine soltanto dalla richiesta di Franco e che non è così improvvisa come può apparire: l'intervento della flotta italiana infatti era stato già sollecitato più volte dai tedeschi, i quali sostenevano che l'invio di altri aiuti ai Nazionali spagnoli sarebbe stato di scarsa utilità perché a riequilibrare la situazione sarebbero giunti aiuti equivalenti al governo di Valencia: solo bloccando il flusso dei rifornimenti che giungevano nei porti della Spagna «rossa» si poteva arrivare ad una rapida conclusione del conflitto.

La «pirateria nel Mediterraneo», come viene chiamata l'azione dei sottomarini italiani -e che siano italiani nessuno ne dubita anche se gli attacchi avvengono in immersione -suscita reazioni fortissime, soprattutto nell'opinione pubblica britannica, tanto da far scrivere all'ambasciatore Grandi che nemmeno durante le fasi più calde della crisi etiopica vi era stata in Gran Bretagna un'ostilità così forte nei confronti dell'Italia, ora considerata il nemico numero uno ed un pericolo per la pace internazionale maggiore di quello rappresentato dalla Germania nazista. E ad accrescere la tensione contribuisce anche, negli ultimi giorni di agosto, l'irritazione provocata dalla scambio di telegrammi tra Mussolini e Franco in occasione della conquista di Santander in cui, con ostentato disprezzo per l'impegno di non intervento, viene esaltato il contributo dato dai volontari italiani all'operazione.

La posizione dell'Italia subisce per questi avvenimenti dei contraccolpi pesanti. Il disegno di giungere ad una normalizzazione dei rapporti italo-britannici con lo scambio di lettere tra Mussolini e Chamberlain del luglio deve essere accantonato e tutta la linea patrocinata dal Primo Ministro britannico nei riguardi dell'Italia e della guerra civile spagnola viene messa in discussione sotto le critiche martellanti di un'opposizione che, anche per il fatto di avere temi meno efficaci nel campo della politica interna, concentra i suoi attacchi sulla politica estera del governo, trovando consensi nell'opinione pubblica e anche in larghi settori del partito conservatore.

La fase acuta della crisi viene superata con la Conferenza di Nyon che crea un sistema di sicurezza per la navigazione nel Mediterraneo al quale, in un secondo tempo, aderisce anche l'Italia. A Roma si manifesta soddisfazione per essere usciti -in modo considerato più che soddisfacente -da una situazione divenuta sempre meno controllabile. Ma questa visione ottimistica ha scarso fondamento. La diplomazia italiana deve costatare la tendenza di Londra e di Parigi a coordinare il loro atteggiamento verso l'Italia secondo una linea di fermezza che in precedenza era stata sollecitata molte volte, ma invano, da parte francese e che ora sembra aver dimostrato la sua validità con il successo della Conferenza di Nyon. In realtà, la «pirateria nel Mediterraneo» è cessata perché Mussolini, di fronte al crescente pericolo di un conflitto, ha ordinato ai sottomarini di interrompere gli attacchi, ciò che è accaduto prima della convocazione della Conferenza. E qui si inserisce un episodio destinato ad avere delle conseguenze di qualche rilievo. I servizi segreti britannici decifrano l'ordine di Mussolini ma a Nyon Eden tiene segreta la notizia e così la cessazione della «pirateria» viene attribuita al fermo atteggiamento assunto dalla Francia e dalla Gran Bretagna e alla maggiore solidarietà dimostrata nei confronti dell'Italia, secondo la linea patrocinata dal ministro degli Esteri britannico in opposizione a Chamberlain.

In Spagna, l'avvenimento di maggior rilevanza sul piano militare è dato dal successo dei Nazionali sul fronte nord che viene cancellato con la conquista prima di Bilbao e poi di Santander. Gli italiani dànno un contributo importante alle operazioni nel settore di Santander e sono i protagonisti delle trattative per la resa dei baschi, avviate e proseguite nonostante la posizione negativa di Franco, fermo al principio della resa incondizionata. Le polemiche suscitate da alcuni aspetti di quelle trattative e dal trattamento poi riservato ai baschi -arresisi agli italiani e da questi consegnati agli spagnoli dopo che lo stesso Franco ha dato ampie assicurazioni che non saranno perseguitati -hanno indotto a pubblicare con particolare ampiezza il materiale esistente in archivio a tale proposito. La vicenda può essere ricostruita attraverso i circostanziati rapporti del console a San Sebastian, Francesco Cavalletti, che avvia i primi contatti e conduce per lungo tempo il negoziato con gli esponenti baschi, mentre per la fase finale, in cui le trattative sono avocate dai militari del C.T.V. e condotte sotto la supervisione del generale Roatta, sono stati qui pubblicati solo i documenti essenziali e si rinvia per maggiori particolari al materiale contenuto nei volumi sulla guerra civile spagnola pubblicati dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito italiano.

Per quanto concerne i rapporti itala-tedeschi, l'avvenimento di maggiore spicco è dato senza dubbio dalla visita che Mussolini fa in Germania dal 25 al 29 settembre. In quell'occasione non sono sottoscritti accordi o tracciati programmi comuni d'azione, né vengono chiariti gli obiettivi che ciascuno intende raggiungere -ciò che spiega la mancanza di documentazione su un avvenimento di tanta rilevanza-ma la visione della potenza tedesca lascia in Mussolini un'impressione incancellabile che influenzerà poi le sue scelte di fondo ed avrà un peso in qualche caso determinante sulle sue decisioni.

E' in questo quadro che vanno visti anche i rapporti itala-austriaci. La crisi tra Roma e Vienna già manifestatasi nei mesi precedenti diventa ancora più evidente ed è ormai chiaro che a Roma la difesa dell'indipendenza austriaca non è più considerata come uno dei caposaldi della politica italiana. Al contrario, vi è la consapevolezza che l'Anschluss è inevitabile e nemmeno troppo lontano nel tempo; soprattutto -questo è forse il tratto più importante -matura la decisione che in nessun caso la questione austriaca possa costituire un intralcio alla piena solidarietà tra le Potenze dell'Asse. Questo è infatti il fulcro delle famose dichiarazioni che il 6 novembre Mussolini fa a von Ribbentrop venuto a Roma per l'adesione dell'Italia al Patto Anticomintern. Ma è anche chiaro che, accettato l'Anschluss come inevitabile, a Roma si conta sul fatto che la solidarietà dell'Asse consenta di «pilotare» l'avvenimento, così che esso avvenga nei tempi e nei modi più accettabili per la posizione internazionale dell'Italia e per la sua opinione pubblica.

Prima della fine dell'anno, due avvenimenti vengono a confermare l'orientamento più marcatamente ideologico e quindi più ostile alle grandi democrazie assunto dalla politica estera italiana.

Il 6 novembre ha luogo l'adesione dell'Italia al Patto Anticomintern sottoscritto un anno prima da Germania e Giappone. Il negoziato è avviato alla fine di luglio su iniziativa del governo giapponese ma con obiettivi molto diversi perché ciò che in quel momento interessa Tokio non è tanto un'intesa anticomunista con l'Italia quanto un accordo segreto italo-nipponico di «collaborazione tecnica nel campo militare», dal quale -come dichiara a Ciano l'ambasciatore Hotta dovrebbe discender~ «automaticamente» un'intesa di «molto favorevole neutralità». Nella trattativa così impostata non vi è dunque spazio per una partecipazione tedesca e anche il previsto accordo anticomunista dovrebbe realizzarsi con un trattato bilaterale italo-nipponico, parallelo a quello concluso da Berlino e da Tokio l'anno prima, e non con la forma di un'adesione dell'Italia al Patto Anticomintern.

Nonostante la positiva accoglienza di Mussolini e di Ciano, che in un primo momento sono propensi a dare rapido corso alla trattativa, il negoziato per tutta l'estate non ha seguito. A provocare la stasi è la considerazione che un avvicinamento al Giappone è, in quel momento, inopportuno perché, come avverte subito Grandi interpellato in proposito, le sue ripercussioni sui rapporti italo-britannici sarebbero così negative da pregiudicare i risultati delle trattative che ci si appresta ad iniziare per un accordo generale con Londra.

È solo agli inizi di ottobre che Ciano decide di riprendere le fila del negoziato. I riflessi negativi che ne possono venire sui rapporti italo-britannici hanno perso d'importanza ai suoi occhi ora che la tensione provocata da la «pirateria nel Mediterraneo» ha reso inattuale la prospettiva di una larga intesa con Londra. Torna invece ad essere preminente il desiderio di rafforzare la posizione internazionale dell'Italia ed il prestigio del governo fascista nella contrapposizione con la Gran Bretagna, eventualmente anche -se se ne presentasse l'opportunità per condurre un negoziato con Londra da posizioni di forza. Quanto al contenuto dell'accordo, Ciano è fermo all'impostazione data inizialmente dai giapponesi, pensa ad un accordo anticomunista pubblico e ad un accordo segreto «di favorevole neutralità» con una clausola di consultazione «per una solidarietà in casi specifici». Senonché, nel frattempo la situazione è cambiata anche a Tokio. Gli elementi filobritannici -come avverte l'ambasciatore Auriti -ora hanno ripreso forza e nelle sfere governative, di fronte alla tensione esistente tra Roma e Londra, si esita a stringere i legami con l'Italia, nel timore di essere trascinati su posizioni troppo marcatamente ostili alla Gran Bretagna.

E' in questa situazione che si inserisce l'iniziativa di von Ribbentrop per l'adesione dell'Italia al Patto Anticomintern. Non si può parlare di una svolta nelle trattative ma di un negoziato nuovo, non solo perché ad esso partecipa la Germania, ma perché diversa è l'intesa che si vuole realizzare e diverso il suo significato politico.

La rapidità con cui Mussolini accetta la proposta è straordinariamente significativa. Nonostante che da Berlino l'ambasciatore Attolico si affanni a far presente che l'iniziativa di von Ribbentrop ha carattere personale, che la Wilhelmstrasse vi è contraria per timore dei contraccolpi che ne possono derivare sui rapporti con la Gran Bretagna e che lo stesso Hitler sembra avere dei dubbi, almeno sul momento scelto, l'accettazione di Mussolini è immediata e apparentemente senza incertezze. Eppure essa comporta la rinuncia al tentativo di realizzare un'intesa a due con il Giappone che avrebbe dato alla politica italiana in Estremo Oriente maggiore autonomia e forse più ampi spazi d'azione, specie in campo economico, mentre con l'adesione al Patto Anticomintern viene compiuto un altro passo in direzione di quella politica dei blocchi che tante volte Mussolini aveva considerato in modo negativo.

A conferma di questo orientamento viene~ l'Il dicembre~ l'annuncio che l'Italia abbandona la Società delle Nazioni. E' dal maggio 1936 che una delegazione italiana non partecipa ai lavori della Lega ma ciò non fa apparire meno importante un avvenimento che ~come è nei desideri di Roma ~viene considerato da tutti una presa di posizione intesa a ribadire la scelta di campo effettuata dall'Italia. In effetti, la decisione di Mussolini costituisce una risposta definitivamente negativa alla richiesta, tante volte avanzata da Londra e da Parigi, che l'Italia torni a collaborare attivamente nella Società delle Nazioni come segno della sua volontà di superare le lacerazioni provocate dalla crisi etiopica e della disponibilità a dare il suo contributo per la difesa della pace in Europa. Nello stesso tempo l'Italia viene così ad allinearsi alla Germania e al Giappone anche nella loro posizione di fronte alla Lega, un aspetto ampiamente sottolineato da Berlino dove subito si dichiara che, in seguito alla decisione presa dall'Italia, la Germania non farà mai più ritorno a Ginevra.

La posizione dell'Italia nello scacchiere internazionale risulta ora molto mutata. Il contrasto con le grandi democrazie si è aggravato e non solo per l'accentuarsi della contrapposizione di fronte ad alcuni fra i più importanti problemi del momento ma ~come avvertono le rappresentanze a Londra, a Parigi e a Washington ~per la crescente ostilità che si manifesta nei riguardi dell'Italia fascista, così forte e diffusa da costituire di per se stessa un elemento condizionante per la politica estera italiana.

Da Londra, Grandi, tornando sul confronto tra la situazione al tempo della crisi etiopica e quella attuale, fa osservare che, se allora non pochi esponenti del mondo politico britannico avevano agito ~ e con efficacia ~ per attenuare il contrasto con l'Italia, ora tutti, senza distinzione di partito e all'unisono con lo spirito popolare, sono concordi nel ritenere l'Italia il maggior nemico dell'Impero Britannico e nel considerare un conflitto con l'Italia come un 'eventualità non desiderata ma possibile se non addirittura probabile. Gli accenni ad una ripresa delle conversazioni che vengono fatti sul finire dell'anno non sembra possano mutare questa situazione dato anche il rifiuto di Eden di inserire in un eventuale accordo il riconoscimento dell'Impero italiano. E negli ultimi giorni di dicembre il successo dell'offensiva lanciata dai Governativi nel settore di Teruel fa tramontare la speranza in una rapida fine della guerra che avrebbe eliminato uno dei problemi di più difficile soluzione sulla via di un'intesa fra Roma e Londra.

Del tutto simile è il quadro che l'ambasciatore Cerruti traccia da Parigi. Anche Cerruti parte dal confronto con la situazione esistente al tempo della crisi etiopica quando l'opinione pubblica francese era divisa nel suo atteggiamento verso l'Italia: ora si è unanimi nel ritenere che la politica italiana sia rivolta in primo luogo contro la Francia e che l'intervento dell'Italia nella guerra civile spagnola miri soprattutto a indebolire le difese della Francia tagliando i suoi collegamenti con i territori nord-africani. A fine ottobre, il richiamo dell'ambasciatore Cerruti -come ritorsione per il mancato accreditamento di un nuovo ambasciatore di Francia con credenziali intestate al Re d'Italia e Imperatore d'Etiopia -sottolinea l'abbandono di qualsiasi prospettiva di dialogo.

Il quadro negativo offerto dai rapporti con le grandi democrazie è completato dal deterioramento che si è prodotto nelle relazioni tra l'Italia e Stati Uniti. Le simpatie di cui l'Italia fascista godeva negli Stati Uniti sono andate perdute in conseguenza dell'impresa etiopica, tuttavia -fa presente l'ambasciatore Suvich -il terreno sarebbe stato ancora recuperabile una volta che l'Italia avesse dimostrato di essere portatrice di civiltà in Etiopia. A rendere difficilmente reversibile questo trend negativo -avverte l'ambasciatore -è invece la politica dell'Asse che induce opinione pubblica e dirigenti americani ad accomunare l'Italia nell'avversione alla Germania nazista, è l'azione dell'Italia nella guerra civile spagnola che la fa considerare una minaccia per la pace ed un nemico della libertà dei popoli, è da ultimo, ma non certo ultima per importanza, la politica filogiapponese e l'accordo con Tokio, al quale si reagisce tanto più vivacemente in quanto si teme che la triplice anticomunista possa rappresentare un polo di attrazione per quei Paesi latino-americani nei quali più forte è l'ostilità al comunismo.

Queste valutazioni, che l'ambasciatore Suvich espone con grande chiarezza in una serie di rapporti, trovano riscontro nelle notizie, che giungono a Palazzo Chigi da altre sedi, circa il delinearsi di una crescente solidarietà degli Stati Uniti con le democrazie europee. Un fatto che, pur tenuto conto dei limiti posti all'azione del governo di Washington dall'isolazionismo del popolo americano, appare di tutto rilievo anche se considerato dal punto di vista degli equilibri dell'Europa e che tuttavia non sembra avere influenza sull'atteggiamento di Mussolini e di Ciano.

Alla fine del 1937, il governo fascista si viene a trovare così in una posizione che l'allineamento a Berlino e a Tokio ed il constrasto con le democrazie rende tanto rigida da limitare la sua libertà d'azione anche sul piano tattico. E' in queste condizioni che dovrà affrontare le grandi crisi del 1938.

2. I documenti qui pubblicati provengono, nella quasi totalità, dall'Archivio Storico del ministero degli Affari Esteri e più precisamente dai seguenti fondi: raccolta telegrammi serie R. e P.R., compresi i telegrammi Gabinetto segreto non diramare; telegrammi Ufficio Spagna (che costituiscono una serie a sé); Archivio del Gabinetto serie 1923-1943; Archivio degli Affari Politici serie 1931-1945; archivi delle ambasciate a Berlino, Mosca, Parigi e presso la Santa Sede e della legazione a Vienna; «Archivio De Felice» (carte Grandi). Alcuni documenti sono stati tratti dal fondo Segreteria particolare di Musso lini conservato presso l' Archivio Centrale dello Stato e dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. Come di consueto in questi casi, la loro provenienza è stata indicata in nota.

Ancora una volta la maggiore lacuna è data dalla mancata redazione da parte di Ciano del verbale di un gran numero dei suoi colloqui: in questi casi, si è rinviato ogni volta che è apparso utile ai corrispondenti documenti pubblicati nelle raccolte ufficiali degli altri Paesi. Altra lacuna di notevole gravità resta l'estrema scarsezza di «documenti interni» (appunti di funzionari, promemoria degli uffici, eccetera), che certo avrebbero potuto fornire elementi di grande utilità per ricostruire il processo attraverso il quale si arriva alle decisioni e per meglio individuare gli obiettivi che di volta in volta si intende raggiungere.

A partire dal mese di agosto, un importante supporto è dato dalle annotazioni contenute nel Diario di Ciano: ad esse si è fatto riferimento in nota quando hanno stretto rapporto con i documenti qui pubblicati.

Di grande interesse restano le lettere -conservate nell'Archivio di Gabinetto -scambiate tra Ciano e il consigliere a Berlino, Magistrati: durante la seconda metà del 1937, questa corrispondenza si infittisce e, pur con le sue lacune, costituisce una preziosa integrazione alla documentazione ufficiale.

In questo volume, come già nei due precedenti, sono state riprodotte le sottolineature fatte da Mussolini sui documenti, qui indicate da una riga al di sotto delle parole, esattamente come nell'originale.

3. Il dott. Andrea Edoardo Visone, capo dell'Ufficio Studi del Servizio Storico e Documentazione, ha dato la sua preziosa collaborazione per la ricerca archivistica di base. A lui si deve inoltre la redazione dell'indice sommario e della tavola metodica. Il dott. Luca Micheletta ha condotto la ricerca presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e ha collaborato alla revisione dell'apparato di edizione. La dott. Ada Roberti ha effettuato la messa a punto finale del volume per la stampa. La signora Fiorella Giordano ha curato le appendici e ha redatto l'indice dei nomi. A tutti esprimo il mio vivo ringraziamento per la valida e intelligente collaborazione.

GIANLUCA ANDRÉ

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

BD = Documents on British Foreign Policy 1919-1939, serie seconda, London, Her Majesty's Stationery Office, 1946-1984.

CIANO, Diario = G. CIANO, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli, 1980.

DDB = Documents diplomatiques belges, 1920-1940, Bruxelles, Académie Royale de Belgique, 1964-1966.

DDF = Documents diplomatiques français (1932-1939), serie seconda, 1936-1939, Paris, Imprimerie Nationale, 1963-1986.

DDT = Akten zur Deutschen Auswiirtigen Politik 1918-1945, serie C, 1933-1937, Gottingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 1971-1981, serie D, 1937-1941, Baden Baden, Imprimerie Nationale, poi altri, 1950-1970.

DP = Dez anos de politica externa ( 1936-1947). A Naçao portuguésa e a segunda guerra mundial, Lisboa, Imprensa Nacional, 1964-1980.

DU = Diplomaciai iratok magyarorszag kiilpolitikajahoz 1936-1945, vol. I, A Berlin-R6ma tengely kialakulasa és Ausztria annexi6ja, 1936-1938, Budapest, Akadémiai Kiad6, 1962.

L'Europa verso la catastrofe = L'Europa verso la catastrofe, 184 colloqui ... verbalizzati da Galeazzo Ciano, Verona, Mondadori, 1948.

FRUS = Foreign Relations of United States. Diplomatic Papers, Washington, Government Printing Office, 1861 e seguenti.

MARTENS = Nouveau recueil général de traités et autres actes relatifs aux rapports de droit international, serie terza, Leipzig, Dieterich, poi altri, 1909-1969.

MUSSOLINI, Opera omnia = B. MUSSOLINI, Opera omnia, Firenze, La Fenice, 1951-1963, voli. 36.

Relazioni Internazionali= Relazioni Internazionali. Settimanale politico, 1937, Milano, I.S.P.I., 1937.

ROVIGHI e STEFANI = La partecipazione italiana alla guerra civile spagnola (1936-1939), a cura di A. ROVIGHI e F. STEFANI, vol. I, Documenti e allegati, Roma, SME-Ufficio storico, 1992.

Trattati e convenzioni = Trattati e convenzioni fra l'Italia e gli altri Stati, Roma, Ministero degli Affari Esteri, 1872 e segg.


DOCUMENTI
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1

IL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4497/76 R. Gedda, ] 0 luglio 1937, ore 12 (per. ore 18,30).

Telegramma di V.E. n. 72 1•

Imminente viaggio questo ministro Inghilterra 2 a Riad ha suscitato maggiore interesse sani ambienti locali. Si fanno qui svariate congetture. Tutti concordano su importanza viaggio stesso. Nessuna notizia sicura ancora trapelata. Fonte araba in contatto con governo locale informami in via strettamente confidenziale trattarsi questione cui trattative furono iniziate ed avviate a Londra dal governo inglese con il principe Saud e Yussuf Yassin. Stessa fonte ritiene trattative concernerebbero chiarificazione posizione Saudia rispetto all'Inghilterra nonché richiesta inglese ottenere qualche privilegio su costa araba Golfo Persico.

Sembra che Yussuf anticiperà suo ritorno arrivando qui domenica ventura mentre principe tornerebbe più tardi.

Non mancherò farmi ricevere.

Questo ministro d'Inghilterra venuto ieri per farmi visita di congedo. Gli accennai senza specificarle a svariate voci correnti a Gedda circa scopo suo viaggio. Mi rispose che arabi attribuiscono suo viaggio a regolamento questioni pellegrinaggio «senza pensare che avvenimenti europei potranno avere influenza anche sui Paesi extraeuropei». Aggiunse che attendeva istruzioni ulteriori dal suo governo e quindi partirà subito.

Attendo altre noiizie confidenziali da fonte sopra indicata recatasi ieri Taif per pochi giorni e spiego al riguardo ogni possibile attività nonostante insormontabili difficoltà dovùte ad assenza così completa e prolungata di elementi governativi responsabili in questa città 3 .

2

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 1152/267 R. Roma, JD luglio 1937, ore 17,45.

Confermo mie istruzioni di ieri 1 nel senso di evitare discussione quistione volontari opponendo pregiudiziale previa risoluzione quistione controllo. Non si può

ragionevolmente discutere ritiro volontari finché resti aperta possibilità loro afflusso in Spagna; e non v'è che un solo modo di giungere a questo risultato: definire previamente la quistione del controllo. Continui a tenermi informato.

Per l'eventualità, poi, che contro ogni elementare regola di buon senso e di praticità e con evidenti e inammissibili scopi quistione venisse posta in discussione, le indico fin da ora le ragioni che sarebbero da far valere in tale ipotesi. Problema volontari fu posto in primo luogo dall'Italia e dalla Germania; allo stato degli atti esso non è più di attualità; embargo e usura stessa della guerra hanno infatti risolto e vanno risolvendo essi stessi il problema. Il quale va pertanto tolto dall'ordine del giorno. Viceversa il Comitato di non intervento può fare qualche cosa di utile e di pratico nel campo umanitario raccomandando e favorendo lo scambio dei volontari feriti e prigionieri.

l l Vedi serie ottava, vol. VI, p. 1041, nota 2.

l 2 Sir Reader-William Bullard.

l 3 Si veda, per il seguito della questione, il D. 14.

2 l Nella corrispondenza telegrafica non vi è traccia di queste istruzioni, che probabilmente furono date per telefono.

3

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 1154/269 R. Roma, 1° luglio 1937, ore 19,30.

Attolico telefona da Berlino quanto segue: «l) Qui si ritiene che l'attuale sistema di controllo non esista più e che sia quindi necessario di creare un sistema nuovo. 2) Questo sistema potrebbe essere costituito dall'assorbimento dell'attuale sistema di controllo nella dichiarazione di uno stato di neutralità legale, che naturalmente avesse a base il riconoscimento della belligeranza a Franco da parte di tutti. Il Comitato di non intervento in questo caso continuerebbe ad agire come una specie di comitato di sorveglianza pel mantenimento della neutralità dichiarata. 3) L'inconveniente della belligeranza riconosciuta alle due parti sarebbe che si darebbe anche ai Rossi il diritto di visita eccetera. L'inconveniente viene riconosciuto, ma non sembra decisivo, tanto più che potrebbe essere mitigato: a) in linea giuridica da una maggiore specificazione delle materie di contrabbando fatta dal Comitato di Londra; h) in linea di fatto ricorrendo al sistema del convogliamento dei vapori». Quanto precede concorda, in massima, con le istruzioni che ti ho comunicato telefonicamente. D'accordo con Ribbentrop, potrai quindi varare domani la proposta per il riconoscimento di belligeranza alle due parti. Vi sono ancora numerose osservazioni da parte dei giuristi per quanto riguarda poi la pratica attuazione della proposta. Ma mi riservo di mandartele per posta, dato che nella seduta di domani si tratta soltanto di aprire la discussione su questo argomento e non certamente di concertarne i particolari esecutivi. Quello che conta è di far slittare la questione sul terreno della belligeranza 1•

3 1 Dopo il ritiro dell'Italia e della Germania dal sistema di controllo, alla seduta del Sottocomitato di non intervento del 29 giugno i rappresentanti della Francia e della Gran Bretagna avevano avanzato la proposta che le navi francesi e britanniche effettuassero il controllo di tutte le coste spagnole.

4

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

PROMEMORIA CONFIDENZIALE RISERVATISSIMO. Parigi, l" luglio 1937 1•

Lord Lloyd è giunto a Parigi nei giorni scorsi. Egli fece al Teatro degli Ambasciatori una conferenza sull'amicizia franco-britannica.

Prima ancora di lasciare Londra, lord Lloyd mi fece sapere che ricordava di avermi conosciuto tre o quattro anni fa a Venezia e che avrebbe desiderato intrattenersi meco a Parigi. Accedetti di buon grado ed ebbi così l'occasione di incontrare lord Lloyd a pranzo in casa di comuni conoscenti. Riferisco fedelmente quanto egli mi disse.

Rammentando la costante e fedele sua amicizia per l'Italia, espresse il convincimento che fosse necessario di trovare di nuovo le basi per un'intesa itala-britannica indispensabile al benessere di entrambi i Paesi. Vedeva peraltro nuove nubi accumularsi a quelle vecchie che avevano potuto essere ritenute ad un dato momento dissipate, mentre perduravano molto fosche. Il gentlemen's agreement non aveva infatti prodotto la distensione auspicata e la piega presa recentemente dagli affari di Spagna gli causava le maggiori apprensioni.

Conosceva tutti gli errori commessi dal governo britannico, li aveva stigmatizzati, era uno degli uomini politici che deplorava in sommo grado che Eden non fosse stato allontanato dal Foreign Office. Quando un ministro britannico fa una politica come quella di Eden nel 1935-36 e riporta una sconfitta come quella costituita dal trionfo del Duce in Etiopia, non dovrebbe esservi più posto per lui in un Gabinetto. Egli aveva confidato che sir Neville Chamberlain riuscisse a liberarsene. Doveva riconoscere che non è cosa facile perché la politica italiana dalla fine della guerra etiopica in poi esacerbò gli animi inglesi in modo tale che Eden è oggi più popolare che mai e può quindi contare sopra un'opinione pubblica molto favorevole alla sua persona ed alla sua politica.

A giudizio di lord Lloyd, la più grave causa di rancore contro l'Italia in Inghilterra è costituita dall'attività della stazione-radio di Bari che continua a diffondere in arabo notizie ostili alla Gran Bretagna2 . Di fronte alla dichiarazione della mia ignoranza completa al riguardo, lord Lloyd aggiunse di essersi voluto accertare personalmente della cosa e di aver constatato che le radiotrasmissioni sono trigiornaliere e di una tendenziosità indubbia.

Avendo conservato molte amicizie e relazioni negli ambienti arabi, doveva pure dirmi che la nostra propaganda anti-britannica sortiva degli effetti molto modesti, per non dire nulli. Il mondo arabo era stato indubbiamente impressionato della strabiliante vittoria riportata dal Duce in Etiopia; aveva però constatato durante l'incoronazione di Re Giorgio VI quali solide fondamenta avesse tuttora l'Impero britannico. Credeva pertanto più a quanto aveva veduto che a quanto gli si vorrebbe far credere.

Ibn Saud aveva del resto causato parecchie delusioni all'Italia. Gli risultava che eravamo in procinto di riprendere nello Yemen un'azione di persuasione attiva su quei Sovrani arabi. Ci saremmo magari riusciti per qualche tempo, ma in quelle regioni le influenze sono come la marea, crescono e decrescono.

A Malta l'amicizia 3 dell'elemento italiano contro l'Inghilterra era continuamente accresciuto dalla propaganda fascista.

Anche in Egitto l'Italia stava eccitando gli arabi contro gli inglesi. Nel Mar Rosso essa fortificava Massaua ed Assab. Esisteva dunque lungo tutta la via delle Indie una serie di azioni pubbliche e militari studiate con cura ed intese a minare la potenza dell'Impero britannico.

Circa la Spagna, gli risultava in modo sicuro che l'Italia aveva concluso con Franco un trattato in base al quale si era assicurato l'uso di basi navali e punti di appoggio nelle Baleari e lungo le coste mediterranee della Penisola Iberica.

Alla mia osservazione che il governo fascista aveva dato ripetutamente assicurazioni al riguardo, lord Lloyd ribatté di ricordarlo ma che esse riguardavano unicamente l'integrità territoriale della Spagna, mentre gli accordi di cui egli parlava si riferivano all'uso di tutte le coste e basi navali spagnole da parte delle navi da guerra italiane, in caso di guerra, in modo da completare la minaccia alla via delle Indie, tagliando anche la via alle comunicazioni tra la Francia, amica dell'Inghilterra, ed i suoi possedimenti africani ed in Estremo Oriente.

La recente Conferenza Imperiale non aveva questa volta avuto da trattare problemi importanti d'ordine costituzionale ed interno. Essa aveva invece discusso a fondo il problema della minaccia alla via delle Indie. Tutti i Dominions si erano espressi in termini categorici per la difesa degli interessi dell'Impero e la preservazione della libertà delle sue comunicazioni, dichiarandosi pronti ai maggiori sacrifici pur di allontanare ogni pericolo. Aveva avuto occasione di udire le opinioni manifestate dai Primi Ministri di Australia e Nuova Zelanda che erano categoriche al riguardo. Non menzionava neppure il Primo Ministro del Sud Africa perché è noto a tutti l'atteggiamento di questo Dominion che è esageratamente anti-italiano.

Si guardava bene dal criticare l'atteggiamento tenuto dal governo italiano nell'occasione dell'incoronazione. Mi aveva detto da principio che nessuno più di lui deplorava gli errori che erano stati commessi dal governo britannico e certamente anche quello dell'invito rivolto, forse solo per un eccesso di zelo protocollare, ad Hailé Selassié non era scusabile. L'Italia aveva riportato in Etiopia una vittoria così clamorosa da superare ogni previsione ottimista (ed a vero dire esse erano state quasi tutte pessimiste); il Negus era fuggito in modo ignominioso ed aveva con tale suo contegno perduto moltissime simpatie. L'Italia avrebbe potuto non rilevare lo sgarbo forse involontario e certamente deplorato da tutti gli inglesi coscienti ed intervenire pertanto all'incoronazione con una delegazione presieduta dal Principe Ereditario. Ciò tanto più che l'incoronazione è una solenne cerimonia tenuta in altissimo conto dagli inglesi che riguarda unicamente la persona del Re, che è irresponsabile. Tutti in Inghilterra avrebbero tributato al figlio del Re Imperatore i più grandi onori e nessuno avrebbe rilevato la presenza del delegato abissino che probabilmente non avrebbe neppure avuto il coraggio di comparire a Londra.

Questo stato di cose faceva sì che il numero degli avversari dell'Italia fosse andato aumentando in modo impressionante in Inghilterra, cosicché egli -di cui sono note le poche simpatie verso la Germania -doveva in coscienza dirmi che sarebbe oggi molto difficile in Inghilterra convincere l'opinione pubblica che ci si potrebbe trovare ancora una volta nella necessità di combattere i tedeschi, mentre il 90 per cento degli inglesi sarebbe pronto a prendere le armi per la difesa dell'Impero contro le minacce dell'Italia fascista.

Poiché aveva accennato alla Germania, voleva dirmi che egli non credeva alla possibilità di un'intesa anglo-tedesca. Non ci credeva perché Hitler aveva avanzato la pretesa di riavere le colonie africane. Ora la Conferenza Imperiale aveva deliberato che non un pollice di territorio africano appartenente alla Gran Bretagna o da essa amministrato dovesse essere ceduto ad altro Stato.

Sarebbe pure stato un errore credere che l'Inghilterra fosse disposta a disinteressarsi dell'Europa Centrale e Danubiana. Era esatto che questi problemi, prettamente europei, non venivano considerati dai Dominions con una preoccupazione paragonabile a quella relativa alle vie dell'Impero britannico, ma il governo e l'opinione pubblica della metropoli si rendono conto di quale sconvolgimento potrebbe segnare l'inizio, sia l'annessione dell'Austria al Reich che uno smembramento della Cecoslovacchia. In Inghilterra non si scordava inoltre che la Germania dai tempi di Federico II in poi aveva costantemente violato gli impegni assunti e conseguentemente se ne diffidava. Questa preoccupazione aveva del resto originato la richiesta rivolta dall'Inghilterra al Reich circa i suoi intendimenti relativamente agli impegni internazionali da esso assunti, richiesta contenuta in una nota dello scorso anno4 rimasta senza risposta.

Dopo avere ascoltato quanto ho fedelmente riportato, interrompendo solo dove un'osservazione o una rettifica fosse indispensabile, ho chiesto a lord Lloyd quali conclusioni egli traesse da un quadro così fosco. Rispose senza esitazione che egli riteneva inevitabile un conflitto tra l'Italia e la Gran Bretagna, conflitto che non avrebbe potuto essere isolato, sempre che i due Paesi non riuscissero a spiegarsi in tempo, ed il cui esito non poteva, per lui, essere dubbio. Egli non voleva peraltro disperare: era troppo sincero amico dell'Italia ed aveva durante tutta la sua vita ritenuto che non ci potessero essere dissensi seri fra i due Paesi per lasciarsi oggi vincere dal pessimismo.

Gli pareva che l'Italia doveva ora -Spagna a parte -pensare essenzialmente alla sistemazione del suo magnifico Impero. Il compito era degno di essa ma non era agevole. Egli aveva creduto, a vero dire, che dato l'atteggiamento dispotico degli Amhara verso le altre popolazioni etiopiche, queste avrebbero salutato con gioia gli italiani e si sarebbero loro facilmente sottomesse. Notizie pervenutegli recentemente gli facevano invece temere che la pacificazione di talune regioni, quelle dell'Ovest particolarmente, non sarebbe andata liscia. Gli constava che qualche nostro posto avanzato era stato attaccato proditoriamente e che avevamo avuto alcuni ufficiali uccisi. Purtroppo tali incidenti erano inevita

bili in Africa. Causavano peraltro un certo nervosismo a cui ci si abituava soltanto col tempo e con una grande esperienza di cose coloniali. Aveva ragione di ritenere che la fine della stagione delle piogge sarebbe stato un momento particolarmente delicato per noi. Me lo diceva ritenendo che potesse essere utile al governo italiano di avere, se non altro, conferma di informazioni che esso avrà certamente già ricevuto direttamente.

Se l'Italia voleva dedicarsi alla valorizzazione dell'Etiopia con la necessaria tranquillità, gli pareva che essa avesse interesse di chiarire con l'Inghilterra i vari punti che avevano intorbidato gravemente relazioni che erano state in passato ispirate sempre alla massima fiducia.

Essenziale era, a suo giudizio, porre termine alla propaganda nazionalista islamica anti-britannica della stazione radio di Bari. Non poteva dirmi abbastanza quanto male essa facesse nei nostri riguardi in Inghilterra.

Si sarebbe poi dovuto esaminare con serenità il problema delle comunicazioni dell'Impero. Non era possibile che da parte dell'Italia si volesse negare la sua importanza capitale e che non si fosse disposti a riconoscere che il governo britannico doveva fare il necessario per disporre di ogni sicurezza sulla via delle Indie, attraverso il Mediterraneo.

Vi erano in Europa problemi la cui soluzione -a prescindere da contingenze temporanee -avrebbe richiesto anche in futuro la solidarietà dell'Italia, della Francia e dell'Inghilterra. Queste tre Potenze avevano oggidì interessi vastissimi e predominanti in Africa. Anche in quel continente vi erano interessi comuni ai tre Stati che avevano in passato combattuto insieme e difeso dei principi che considerarono sacri. Occorreva fare in modo che concordassero.

Mi ripeteva che egli non voleva disperare. Avrebbe fatto tutto il possibile per lavorare ad una chiarificazione della situazione. Si rendeva conto che la partenza di Eden dal Foreign Office avrebbe molto giovato ma per le ragioni addotte essa non gli sembrava, né facile, né prossima. Bisognava fare in modo che la Gran Bretagna e la Francia riconoscessero il fatto compiuto in Etiopia. Poi si sarebbe potuto pensare ad inviare a Roma un ambasciatore che assomigliasse più a sir Ronald Graham che a sir Eric Drummond. Passo a passo, se lo si fosse voluto sinceramente dalle due parti, si sarebbe potuto percorrere la strada che eliminasse le difficoltà e ridesse alle relazioni fra l'Italia e l'Inghilterra la serenità del passato.

4 1 Non risulta, dalle carte di Gabinetto, come questo promemoria sia stato trasmesso al ministero. 4 2 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 820.

4 3 Sic.

4 4 Si riferisce alla richiesta di chiarimenti sul memorandum tedesco del 31 marzo precedente (concernente la zona smilitarizzata della Renania e le proposte per una pace durevole) che il governo britannico aveva presentato il 7 maggio 1936 e reso pubblico il giorno successivo sotto forma di Libro Bianco (testo in BD, serie seconda. vol. XVI, D. 307).

5

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1935/841. Salamanca, l" luglio 1937 (per. il 5).

Per opportuna conoscenza deli'E.V., ho l'onore di qui unito trasmettere copia di un rapporto inviatomi dal R. console in San Sebastiano in merito alle trattative da questi iniziate con fiduciari del governo basco per una possibile resa della zona di Santander.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAV ALLETTI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

RAPPORTO SEGRETO 1505. San Sebastiano, 29 giugno 1937.

Le trattative da me iniziate al principio del maggio scorso con i fiduciari del governo basco in S. Jean de Luz, volgono, come è noto ad un favorevole termine. Attraverso i contatti intrattenuti con detti fiduciari ed in particolare col canonico Onaindìa mi è riuscito ad indurre i capi dell'Esercito basco ancora efficiente a dichiarare la volontà di arrendersi agli italiani, sia per considerarli i veri vincitori della campagna, sia nella fiducia di trovare presso i legionari italiani clemenza ed umanità. Riassumo ad ogni buon fine e per la migliore comprensione della situazione lo svolgimento delle trattative.

Fin dall'8 marzo scorso con il mio rapporto 334 1 indicavo che una delle ragioni principali che impedivano qualsiasi arrendevolezza dei baschi verso il governo di Franco era il terrore che quegli avevano per i Nazionali, di cui non ignoravano l'odio profondo. Da ciò sorse in me l'idea che un intervento italiano a garanzia delle vite dei baschi, mentre avrebbe riaffermato i desideri di pace e di moderazione del governo fascista, avrebbe potuto al tempo stesso indurre i baschi a deporre le armi. Tale mia convinzione venne confermata dai colloqui da me avuti col gesuita Pereda (mio 624 dell'8 aprile) 2 che aveva svolto precedentemente delle trattative con i baschi per conto di Franco. Pereda, non richiesto, mi affermò che una garanzia dell'Italia poteva essere decisiva.

Riuscito a prendere contatto diretto con i fiduciari baschi l'atteggiamento di questi e le risposte del governo di Aguirre sembrarono ribadire l'interesse pratico di un intervento italiano, e rivelano che, quantunque la stampa basca inveisse contro di noi, le disposizioni di animo dei baschi verso il governo fascista erano intonate ad una profonda stima ed anche ad una certa simpatia.

Sospesi, come è noto ali'E.V., i colloqui aventi per oggetto la resa di Bilbao, seguitai tuttavia a intrattenere contatti con i fiduciari baschi approfittando della eventualità di uno scambio di prigionieri (mio 1233 del 4 corrente) 3 .

Ciò permise che alla vigilia della caduta di Bilbao, i baschi al corrente della umanità di condotta dei legionari fascisti, lanciassero un appello all'Italia (miei telegrammi 68-69 del 17 e 18 corrente)4 , affermando il desiderio di deporre le armi nelle mani delle Flechas Negras e di lasciare a queste il controllo e la tutela della città.

La rapidità della caduta di Bilbao impedì l'attuazione di tale desiderio, ma l'appello si è in seguito rinnovato pel conto dei battaglioni baschi ancora militarmente efficienti ritiratisi dalla capitale di Euzkadi verso Santander.

Tale appello, oltre che da timore verso gli spagnoli, è soprattutto causato da quello stato d'animo che, come ho rappresentato, i baschi hanno nei riguardi dell'Italia fascista e cattolica. Simile stato d'animo potrà essere tenuto presente nelle trattative che si stanno svolgendo fra i Comandi militari italiano e nazionalista basco.

D'accordo anche con questo C.T.V., ho ritenuto di dovermi astenere dal partecipare a tali colloqui, sia per lasciare alla resa dei battaglioni baschi il carattere unicamente militare e di spontaneità, che è necessario per coprire l'azione italiana nei riguardi del governo di

Franco, sia perché considererei il periodo delle trattative diplomatiche esaurito per discutersi ora di questioni di indole esclusivamente militare.

5 1 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 261, allegato.

5 2 Vedi ibid.. D. 428.

5 3 Telespresso 1233 del 4 giugno trasmesso dall'ambasciata a Salamanca al ministero con telespresso 1664/734 del 9 giugno. Durante i contatti per lo scambio dei prigionieri, il console Cavalletti aveva fatto presente ai baschi che essi non potevano più fare assegnamento sull'appoggio della Gran Bretagna che ormai cercava di avvicinarsi al governo di Franco.

5 4 Vedi serie ottava, vol. VI, DD. 753 e 757.

6

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1516/553. Roma, r luglio 1937 (per. il 2).

La nota della Santa Sede 1 alla quale faceva riferimento il mio te1espresso del 21 giugno scorso, n. 1442/5192 , è già stata consegnata al governo del Reich e probabilmente sarà pubblicata a Roma. Il cardinale Segretario di Stato non sapeva ancora, stamane, che impressione avesse prodotto a Berlino.

Il mio collega di Germania è ritornato a Roma. Ha avuto una conversazione con monsignor Pizzardo. Ha detto che si va verso il peggio. Quest'impressione è condivisa dal cardinale Pacelli. Il porporato mi ha dichiarato che gli attacchi ai vescovi vengono intensificati. I vescovi di Treviri e di Spira, i quali hanno conquistato benemerenze patriottiche nel periodo che ha preceduto il plebiscito della Saar, sono dei più malmenati, in questo momento. Non è risparmiata neppure la persona del Segretario di Stato il quale è pubblicamente accusato di infrazioni al Concordato.

L'ambasciatore von Bergen, dicendo di parlare in suo nome personale, ha fatto allusione a un regime di separazione fra Chiesa e Stato. Il cardinale Pacelli mi ha detto, a questo proposito, che certamente la Chiesa dà la preferenza ai regimi concordatari. Però la separazione, in atto in alcuni Paesi, ad esempio nel Cile e nel Brasile, funziona egregiamente ed anche in Francia non dà luogo, nella pratica, a gravi inconvenienti. Il porporato ha osservato che nei Paesi nominati la Chiesa gode di un regime di libertà apprezzabilissimo che le consente di svolgere un'adeguata azione in materia d'insegnamento, senza intralci.

Il cardinale Pacelli ha soggiunto che la separazione in regime nazista tenderebbe, verosimilmente, a rinchiudere il sacerdote nelle chiese per recitare il Pater noster e l'Ave Maria con il divieto, forsanco, di recitare il Credo.

7

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1824/499. Bucarest, ] 0 luglio 1937 (per. il 5).

Re Caro! è stato «scoperto» dai polacchi, e precisamente da Beck, nell'aprile scorso in occasione della visita, in restituzione, al ministro Antonescu 1 . Beck era

D. 660. 6 2 Vedi serie ottava. vol. VI, D. 774. 7 1 Visita del 22-25 aprile, sulla quale si veda quanto riferiva il ministro Sola in serie ottava, vol. VI.

D. 514.

lO

stato in Romania anche nel 1934, ai tempi di Titulescu. Ma quella volta sia che il Re fosse troppo in ombra -l'avanscena era tutta occupata dal suo ministro degli Affari Esteri-sia che Beck si fosse disgustato con Re Caro! a causa di un Gran Cordone offertogli e che non era del calibro desiderato, il fatto è che Beck se ne partì riportando pessima impressione del. Sovrano. A vero dire tutta la politica polono-romena attraversava in quel momento un periodo di difficoltà, andato via via crescendo fino a far credere, sul principio del 1936, che essa fosse ferita a morte.

La partenza di Titulescu, l'avvento di Antonescu e la visita che quest'ultimo fece a Varsavia nell'autunno del 1936, rappresentarono i primi sintomi di un raddrizzamento. Beck, come ho sopra ricordato, restituì la visita a Antonescu nell'aprile di quest'anno. Egli intraprese il suo viaggio a Bucarest senza molto entusiasmo e senza contare su risultati vistosi. Nel mio telegramma per corriere del 21 aprile2 , ebbi anzi a segnalare che la visita di Beck era stata annunziata ad Antonescu d'improvviso, e che non era stata preceduta da nessuna preparazione diplomatica. L'incontro però fra Re Caro! e Beck riuscì per quest'ultimo una rivelazione. Egli ebbe l'impressione di trovarsi innanzi ad un uomo volitivo, completamente padrone de1la situazione all'interno ed arbitro della politica estera del suo Paese. Dopo i suoi colloqui con il Re, Beck mi parlò del Sovrano con vero entusiasmo: mi disse che era interesse di tutti non solo di puntare direttamente sul Re ma di non lasciar passare nessuna occasione per valorizzarne la personalità con tutti i mezzi, ivi compresa la stampa, e far soprattutto in modo che tale apprezzamento delle di lui qualità si generalizzasse all'interno come all'estero e rafforzasse di rimbalzo la di lui posizione. Il signor Beck fu in quell'occasione particolarmente colpito dalla maniera abile, ed anche garbata, con cui il Re seppe personalmente risolvere la delicata e spinosa questione dell'ordine delle precedenze nel progettato scambio di visite fra lui e il Presidente della Repubblica polacca. Come è noto Re Caro! ebbe l'iniziativa di mandare il Gran Voivoda in missione speciale a Varsavia per invitare il presidente Mosciski a venire a Bucarest.

Nella citata conversazione che ebbi con Beck gli feci rilevare che ero perfetta-· mente d'accordo con lui sul fatto che Re Caro! fosse uomo di taglia molto superiore a tutti coloro che lo circondano e molto più abile e capace di quanto si supponesse all'estero; dovevo avvertirlo, peraltro, che non si poteva fare incondizionato assegnamento sul Sovrano dato che questi doveva pur tener conto della disgraziata situazione in cui si si trovava la Romania, stretta e allo stesso tempo contesa, da forze così imponenti. Né d'altra parte il Re mi sembrava spiritualmente maturo per imboccare, in politica estera, una sola strada e persistervi. Beck in quell'occasione non mi sembrò scosso da quella che non era, forse, un'assoluta fiducia intima, bensì un atteggiamento abile che egli, avendolo prescelto, cominciava a sperimentare proprio con me. Insomma Beck faceva l'articolo!

Sta di fatto però che Beck era appena tornato in Polonia, che credette necessario tornare qui, in occasione del viaggio del presidente Mosciski3, per tastare ancora una volta il polso della Romania e del suo Re. Questo non voler lasciar presa, è comunque di buon augurio; la linea di Beck corrisponde del resto al nostro interesse.

7 3 Il 7-9 giugno.

Dopo la visita di Mosciski a Bucarest, ecco finalmente la visita di Re Caro! a Varsavia4 .

Da confidenze fatte dai polacchi risultava già che Re Caro! sarebbe stato ricevuto a V arsa via con accoglienze trionfali: e che, soprattutto, si sarebbe cercato di colpire la sua fantasia, anzi d'impressionarlo, con uno spiegamento di forze fuori del comune. Dalle notizie qui giunte si dovrebbe rilevare che l'inscenatura è stata montata alla perfezione. Articoli ditirambici della stampa, masse di folla plaudente nelle strade, ricevimenti sontuosi, un intero palazzo a disposizione del Re e del figlio Michele, Gran Voivoda, austerità di funzioni a Cracovia dinnanzi alla tomba di Pilsudski, e finalmente grandiosa rivista militare, con decine di migliaia di uomini, e manovre guerriere, con imponente spiegamento d'artiglierie, di carri armati, con lusso di motorizzazione in terra, e duecentocinquanta velivoli nei cieli.

Tutto ciò ha fatto sul Re l'impressione che i polacchi contavano? La visita di Re Caro! a Varsavia ha coinciso con i gravi avvenimenti di Mosca5 e con la caduta del governo Blum, che ha trascinato nella sua fossa se non la Francia, il franco, che di quella è buona parte. Il signor Beck deve perciò aver avuto a Varsavia buon gioco.

Ma come ho precisato nel mio rapporto del 24 giugno u.s. n. 477 6 , io ritengo che Re Caro! non si lascerà condurre, né da Beck, né da altri, fino a quando non avrà veduto chiaro, di persona, sullo stato delle cose in Occidente. È il suo viaggio a Bruxelles, a Parigi e a Londra (viaggio non ufficiale, ma che appunto perciò potrà consentirgli di avvicinare molta gente e di guardare i problemi più da vicino) che potrà decidere della sua linea. Confermo inoltre che fino a quando il Re non avrà capito se veramente l'Inghilterra è disposta, o meno, a mettere l'unghia nell'ingranaggio del problema dell'Europa Centrale, il Re non determinerà la sua politica. E se egli riporterà l'impressione che l'Inghilterra quest'unghia è disposta a metterla, bisognerà considerare la Romania come più che mai decisa a fidare nel sistema della pace indivisibile, della sicurezza collettiva, di Ginevra, cioè sulla linea politica più consona alla mentalità del suo popolo. In tal caso i rinnovellati cordiali rapporti con la Polonia rimarranno quelli che possono essere: cioè una contro-assicurazione nei confronti della Russia.

In occasione del viaggio di Re Caro! a Varsavia si è stabilita l'elevazione delle rispettive rappresentanze diplomatiche ad ambasciate. Qui è corsa la voce che si è trattato di un'inattesa offerta della Polonia alla Romania. È certo che qui non si era mai parlato della cosa. Ai tempi di Titulescu era stata ventilata l'idea che la Piccola Intesa elevasse a rango di ambasciate le rispettive reciproche legazioni. Ma il progetto non era stato realizzato. Lo stesso Titulescu aveva fatto qualche sondaggio a Parigi per ottenere che il crisma di Grande Potenza fosse dato, collegialmente, alla Piccola Intesa con l'elevazione ad ambasciate delle rappresentanze della Repubblica a Bucarest, Praga e Belgrado. Ma la Francia non aveva marciato. È ora significativo il fatto che i circoli vicini a questo ministero degli Affari Esteri

mantengano un contegno tra il sorpreso e l'imbarazzato. Essi temono, forse, che la notizia possa dispiacere tanto a Parigi che a Mosca, e soprattutto a Praga. Sta poi il fatto che il rango d'ambasciatore mette qui il ministro di Polonia in una situazione di preminenza, e c'è chi sostiene che ciò anziché marcare un aumento di rango della Romania, marcando un privilegio della Polonia in questo Paese, va piuttosto a scapito del prestigio romeno.

È facile comunque prevedere che l'iniziativa presa a Varsavia sarà fonte di non poché difficoltà. La Romania probabilmente, per non lasciare qui la Polonia in una situazione di privilegio, chiederà lo stesso trattamento alla Francia ma non è prevedibile quale sarà il contegno di quest'ultima che dovrebbe assicurare lo stesso trattamento alla Cecoslovacchia e alla Jugoslavia, mentre verso quest'ultima la Francia non è tenera. Comunque la dimostrazione della nuova intimità dei rapporti tra Polonia e Romania, creerà non pochi malumori, ed è forse anche su di essi che Varsavia ha contato.

Mentre Re Caro! riprende il treno per Bucarest, parte con lo stesso treno per questa capitale il Capo di Stato Maggiore polacco 7 col pretesto di restituire la visita fatta in Polonia dal Capo di Stato Maggiore romeno. Ciò lascia credere che a Varsavia sono state iniziate conversazioni di carattere militare che la Polonia intende continuare con carattere d'urgenza, qui a Bucarest, prima che svaniscano i frutti della trionfale accoglienza fatta a Re Carol.

Nel frattempo il presidente Tatarescu sta perfezionando i contratti di motorizzazione dell'esercito romeno con varie ditte cecoslovacche, alle quali chiede materiali e crediti.

Molta gente è d'avviso che siamo in presenza di due diverse politiche, l'una rappresentata da Tatarescu, sull'asse Praga-Parigi-Mosca, l'altra guidata dal Re il quale, puntando sull'asse di Varsavia, guarderebbe a quello Roma-Berlino. A mio avviso la verità è un'altra. La politica della Romania è una sola: essa è tutta mossa dal Re, e vien da lui mossa su tutte le scacchiere, adocchiando a tutti gli assi, fino a quando non deciderà verso quale marciare. Ma deciderà così presto?8 .

6 1 Nota presentata il 25 giugno dalla Santa Sede al governo tedesco. Testo in DDT, serie D, vol. I,

7 2 T. per corriere 2871/07 R. del 21 aprile, non pubblicato.

7 4 26-30 giugno.

7 5 Riferimento al processo del Maresciallo Tucacevski e di altri sette alti ufficiali dell'Armata Rossa accusati di alto tradimento e fucilati l'l l giugno precedente.

7 6 Vedi serie ottava. vol. VI. D. 787.

8

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4584/019. Bucarest, 2 luglio 1937 (per. il 5 ).

È partito ieri in congedo questo ministro di Francia 1 , carico di dispiaceri. A persona intima della legazione di Francia egli non si è peritato dichiarare di essere profondamente scoraggiato per l'atteggiamento infido e ingrato che la Romania teneva da qualche tempo nei confronti della Francia.

7 8 Il documento ha il visto di M ussolini. 8 l Adrien Thierry.

Alle molteplici e successive proposte di accordi intesi a far progredire i progetti di sicurezza collettiva, la Romania o <tveva opposto rifiuti o si era trincerata dietro il rifiuto altrui, cioè della Jugoslavia.

Alla penultima proposta francese della conclusione di due trattati di mutua assistenza romeno-cecoslovacco e franco-romeno, la Romania aveva dato la strabiliante risposta (di cui ebbi a suo tempo ad informare I'E.V.) che essa avrebbe marciato soltanto nel caso che anche l'Inghilterra avesse concesso la sua partecipazione. Anche all'ultimissima proposta francese di un trattato di alleanza franco-romeno, era stata opposta la stessa pregiudiziale inglese.

Il ministro di Francia teneva a mettere in guardia la Romania, nel senso che se la Francia avesse continuato a constatare una simile incomprensione nei riguardi del problema dell;> mutua assistenza, intesa a salvare la Cecoslovacchia, vero baluardo della pace, essa si sarebbe veduta costretta a suggerire al governo di Praga di mettersi d'accordo con l'Ungheria e tentare quindi di far corpo con questa e con l'Austria.

Questa uscita del ministro di Francia sarebbe giunta fino al Re che ne sarebbe rimasto profondamente indignato.

Quanto precede riferisco a V.E. pur con le dovute riserve: ma da mia parte, sicuro della fonte da cui mi provengono le informazioni, le ritengo più che verosimili. anzi come certe.

7 7 Waclaw Stachiewicz.

9

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 4524/566 R. Londra, 3 luglio 1937, ore 2,25 (per. ore 6.50).

Non appena per telefono avuta tua approvazione di massima, mi sono messo in contatto con Ribbentrop al quale ho sottoposto progetto testo dichiarazione da me preparata in precedenza, illustrandogli opportunità presentare tale testo come una dichiarazione unica italo-tedesca per vieppiù sottolineare la perfetta identità di vedute fra Roma e Berlino.

Ribbentrop ha accolto volentieri proposta documento unico italo-tedesco e si è dichiarato di accordo su nostro testo, introducendo soltanto lievi modificazioni e riservandosi approvazione definitiva non appena suo consigliere Woermann fosse tornato in volo da Berlino con le istruzioni del suo governo.

Woermann è arrivato alle ore 1,30 di notte con istruzioni simili a quelle da te inviatemi. consistenti nell'approvazione di massima delle linee del progetto italiano, lasciando a Ribbentrop facoltà di concordare con me dettagli circa presentazione e azione comune da svolgersi stamane nella seduta.

Avuta stanotte accettazione definitiva di Ribbentrop, l'ho riveduto stamane e gli ho suggerito, di leggere egli stesso in seno al Comitato dichiarazione italo-tedesca 1 , dato che essa scaturisce dalla situazione determinata da incidenti Leip::.ig. Ho

creduto opportuno fare ciò soprattutto per portare Ribbentrop ad assumere fin dall'inizio seduta posizione di piena responsabilità, riservando a me compito illustrare portata nostre controproposte e ribattere obiezioni anglo-franco-russe. Il che risulta come tu vedrai da resoconto che invio a parte 2 .

9 l La dichiarazione italo-tedcsca, letta nella seduta del Comitato di non intervento del 2 luglio, proponeva il riconoscimento della condizione di belligerante alle due parti che si combattevano in Spagna c la ripresa del sistema di controllo alle frontiere terrestri, nei porti e mediante osservatori a bordo

10

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4526/567 R. Londra, 3 luglio 1937, ore 2,25 (per. ore 6,50 ).

Mi risulta da fonte sicura che nelle giornate di ieri e di oggi governo francese ha esercitato continue insistenti pressioni su Foreign Office e sullo stesso Chamberlain per indurre governo britannico atteggiamento di rigida opposizione verso qualsiasi controproposta itala-tedesca per ricostruire piano controllo Spagna. Del-' bos avrebbe enfaticamente cercato persuadere Eden e Gabinetto britannico che è venuta l'ora per la Francia e Inghilterra di opporre alle dittature fasciste un atteggiamento di minacciosa intransigenza. Governo francese, per convincere governo britannico a seguire il Fronte Popolare su questa strada, avrebbe dipinto a fosche tinte situazione Gabinetto radica-socialista francese ove tendenza esistente ... 1 circa il riconoscimento di belligerante Franco, prende sopravvento. Queste informazioni confidenziali circa attività anti-italiana e anti-tedesca a Londra da parte francese, sono da mettere in rapporto con lo sforzo compiuto ieri dal Quai d'Orsay nelle diverse capitali europee per determinare uno stato di allarme ed accaparrare appoggi contro Italia e Germania.

11

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4525/568 R. Londra, 3 luglio 1937. ore 2,25 (per. ore 6.50).

Invio per posta aerea nel suo testo integrale comunicato diramato alla fine seduta 1 il quale riproduce con sufficiente chiarezza posizioni assunte da ciascun rappresentante nel Comitato. Mancano naturalmente battute polemiche che sono state numerose e non di rado violente. Invierò resoconto stenografico non appena esso sarà distribuito ufficialmente.

Oso definire giornata di oggi una buona giornata per le due Potenze fasciste. Ieri governo inglese, sollecitato insistentemente dal governo francese, è venuto nel-

delle navi battenti bandiera dei Paesi aderenti all'Accordo di non intervento. Per il testo, si veda Relazioni Internazionali, p. 545.

Il l Non pubblicato.

la determinazione di «montare» in previsione della seduta di oggi, un'atmosfera di allarme con velate minacce verso Italia e Germania nell'illusione scoraggiare quest'ultime da loro atteggiamento fermezza o quantomeno creare ambiente difficile svolgere loro azione Comitato. Stampa inglese iersera e stamane riflette tale stato artificiosamente allarmistico. Ieri molti rappresentanti diplomatici impressionati da queste voci sono infatti venuti ambasciata domandando notizie situazione generale come fossimo vigilia avvenimenti gravi. Li ho assicurati mostrando calma ottimismo. Dichiarazioni di inusitata durezza con cui Plymouth ha parlato mi hanno confermato linea di condotta che governo inglese aveva intenzione adottare.

Né inglesi, né francesi si aspettavano proposte costruttive che l'Italia e la Germania hanno congiuntamente presentato2 e ne sono rimasti disorientati. Rappresentante francese e russo hanno tentato sabotare controproposte italo-tedesche preannunziando gravi conseguenze che potrebbero derivare per le sorti della politica di non intervento dal rifiuto di accettare proposta anglo-francese della sorveglianza navale a due 3 . Tanto io quanto Ribbentrop abbiamo reagito e contrattaccato punto per punto.

Atteggiamento inglese, francese e russo è stato contrario dal principio alla fine alle nostre proposte. Ma è certo che in fatto atmosfera della discussione si è modificata a nostro vantaggio.

Pur mantenendosi immutate rispettive posizioni dei vari governi, fine della seduta ha lasciato trasparire segni indebolimento della resistenza anglo-francese, come risulta dal fatto che, mentre la stampa di ieri e di oggi dietro ispirazione governo minacciava sostenere la fine della politica non intervento qualora Italia e Germania avessero mantenuto atteggiamento intransigente, Plymouth ha deciso rinviare discussione ad una ulteriore seduta nella prossima settimana.

Stasera al Foreign Office viene assicurato nuovo orientamento stampa in senso più pessimista di quanto discussione odierna possa giustificare. A questo nuovo irrigidimento ha indubbiamente contribuito tono particolare asprezza dichiarazione fatta da Delbos ieri.

9 2 Non pubblicato. Per il testo della dichiarazione di Grandi si veda ibid.

10 l Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili».

12

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4543/50 R. Praga, 3 luglio 1937, ore 12,55 (per. ore 15,15).

Mio telegramma n. 48 1 .

Presidente Consiglio dei ministri Hodza avendo chiesto vedermi, mi ha ripetuto quanto Krofta mi aveva già detto circa decisione presa con Stojadinovic e Tatarescu far passi Roma Berlino per inizio possibilmente scambi d'idee circa piano collaborazione tra gli Stati danubiani, Italia, Germania.

Il 2 Vedi D. 9, nota l.

Il 3 Vedi D. 3, nota l.

Hodza mi ha detto che aveva pregato Stojadinovic affinché, avvalendosi suoi rapporti con Roma, si rendesse conto disposizioni governo italiano al riguardo; pregava ora me di portare a conoscenza di V.E. proposta addivenire preliminari conversazioni per soluzione costruttiva problema economico danubiano chiedendo per mio mezzo a V.E. considerare opportunità inviare Praga persona esperta transazioni commerciali che possa esaminare basi essenziali su cui accordi fra tutti gli Stati interessati potrebbero realizzarsi. Presidente del Consiglio dei ministri mi ha informato che analoga iniziativa prenderebbe verso Berlino 2 .

12 1 T. 4230/48 R. del 21 giugno. Comunicava di aver appreso da Krofta che nell'incontro di Belgrado i Presidenti del Consiglio della Piccola Intesa si erano accordati per «rivolgere un invito formale all'Italia e alla Germania per discutere le possibilità di una collaborazione economica nell'Europa Danubiana».

13

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 4541/258 R. Berlino, 3 luglio 1937, ore 14,14 (per. ore 16).

Von Neurath che ho visto iersera mi ha detto che a suo avviso non rimaneva che «tenere duro e attendere» 1 . Egli si riservava esaminare oggi situazione col Cancelliere del Reich. Qui ha fatto impressione contegno molto duro di Plymouth, nonché fatto che in Francia si delinea un movimento inteso riprendere completa libertà d'azione. Rivedrò von Neurath stasera e telegraferò 2 .

Frattanto a questo ministero degli Affari Esteri si sta considerando opportunità intervenire presso i Paesi partecipanti Comitato non intervento chiarendo loro che progetto germanico-italiano 3 è ispirato da un puro desiderio di vera «neutralità». Allo scopo sono in preparazione istruzioni dettagliate per i rappresentanti tedeschi nei Paesi menzionati, contenenti il riassunto storico dell'incidente.

14

IL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4520/79 R. Gedda, 3 luglio 1937, ore 19 (per. ore 22,45).

Seguito telegramma n. 76 1 .

Questo ministro di Inghilterra partito stamane per Riad in automobile accompagnato soltanto dal suo impiegato di cui al mio telespresso riservato n. 199 in data del 19 giugno2 nonché da scorta arabi.

13 .1 Vedi D. 9, nota l. 14 l Vedi D. l. 14 2 Telespr. 563/199 del 19 giugno. non pubblicato.

Fonte indicata mio precedente telegramma tornata da Taif ha informato che ambienti governativi colà opinano documenti portati a ministro d'Inghilterra dai due aeroplani concernano progetto Commissione Reale su Palestina.

Ciò corrisponderebbe notizia, pubblicata Mokattam Cairo, che copie predette progetto sarebbero state spedite per corriere aereo da Londra al Cairo Gedda Bagdad e Gerusalemme.

Stessa fonte ha confermato sua opinione, avvalorata da notizie sentite a Taif, che ministro d'Inghilterra tratterebbe Riad richieste inglesi ottenere dietro compenso finanziario, privilegi su costa Golfo Persico e precisamente Ras Tannurah.

Ibn Saud sarebbe irremovibilmente contrario qualsiasi concessione del genere 3 .

12 2 Per il seguito si vedano i DD. 62 e 284.

13 l Si riferisce alla situazione determinatasi nel Comitato di non intervento di Londra dopo la presentazione della nota italo-tedesca del 2 luglio. Si vedano i DD. 9, lO e Il.

13 2 Attolico telegrafava successivamente che von Neurath aveva visto Hitler, il quale aveva approvato la linea di fermezza: se la Gran Bretagna avesse messo in minoranza la Germania nel Comitato di non intervento, quasi certamente Hitler avrebbe deciso di abbandonare il Comitato (T. 4549/259 R. del 4 luglio).

15

IL MINISTRO A TEHERAN, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4575/75 R. Teheran, 3 luglio 1937, ore 19 (per. ore 18 del 4).

Il signor Riistii Aras mi ha restituito visita alla residenza estiva di questa legazione1 trattenendosi per oltre un'ora.

Mi ha pregato far pervenire espressione sua devozione a S.E. il Capo del governo e della sua amicizia a V.E. e di dare pure a V.E. formale assicurazione che la firma del Patto a Quattro asiatico 2 si inquadra nell'Intesa italo-turca e che è destinato assicurare e facilitare pace in questo settore contro ogni speculazione (sic) e frizione. Ha pure aggiunto intesa italo-turca ha ormai basi granitiche come dimostreranno due avvenimenti futuri, visita flotta turca a Venezia ed il viaggio di V.E. ad Ankara.

Ha detto che recasi a Mosca per dileguare nubi, sospetti e insinuazioni dovuti a certi attacchi alla sua persona ed alla sua politica da parte della stampa comunista. Ha affermato che fra Russia e Turchia non esiste alcuna alleanza, ma solo amicizia ed intesa di salvaguardarsi reciprocamente le spalle, mentre fra Francia e Russia esiste una vera alleanza militare oltre che politica che egli giustifica e difende. Con la sua visita a Mosca egli vuole poi dimostrare come Turchia sia fedele

all'amicizia verso la Russia e ad essa ha assicurato ... in un momento doloroso quale l'attuale all'indomani della grave crisi interna.

Richiesto se ritenesse che la crisi sia tale da mettere in pericolo regime bolscevico, egli lo ha decisamente negato ed ha inteso non poco lodare Stalin che ha qualificato pacifista e ha violentemente attaccato Trotzky.

Ha ripetuto che egli lavorerà con ogni possibile energia per una perfetta e stabile intesa anglo-italiana affinché sia allontanata ogni nube sinistra dal Mediterraneo mentre si dimostra poco fiducioso sugli effetti che una intesa anglo-tedesca potrebbe avere per la pace in Europa.

Ha attaccato politica del governo polacco che crede di stornare la tempesta dal suo suolo con lo spingere Germania ad attaccare Russia attraverso Cecoslovacchia e Romania. Ha preconizzato una grande alleanza itala-balcanica contro minaccia tedesca nell'Europa Centrale.

Il signor Aras conta di rimanere qui sino all'8 corrente per iniziare poi il suo viaggio a Mosca.

14 3 Per il seguito, si veda il D. 23. 15 1 Il ministro degli Esteri turco si trovava a Teheran per la firma del Patto di Saad Abad. Con lui, il ministro Petrucci aveva già avuto un colloquio il 29 giugno (vedi serie ottava, vol. VI, D. 816). 15 2 Trattato tra Afghanistan, Iran, Iraq e Turchia dell'8 luglio 1937 (Patto di Saad Abad). Testo in MARTENS, vol. XXXVI, pp. 714-717. 15 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

16

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4551/574 R. Londra, 3 luglio 1937, ore 19,40 (per. ore 23,30).

Questo ambasciatore di Francia ha ricevuto istruzioni di ottenere adesione inglese nel senso di provocare nella prossima seduta del Comitato plenario voto esplicito dei 27 Stati europei di accettazione piano controllo militare franco-inglese 1 e rigettare controproposte italo-tedesche2 . Corbin, nell'insistere per convincere Eden ad accettare questa procedura, gli ha, a nome di Delbos. fatto presente che per riprendere in mano la situazione scossa dalle controproposte costruttive itala-tedesche e dall'azione svolta ieri nel Comitato dall'Italia e dalla Germania, occorre provocare una dimostrazione politica contro l'Italia e la Germania, isolando queste ultime con un voto di schiacciante maggioranza. Questo voto dovrebbe apparire come una condanna della politica itala-tedesca nella Spagna da parte di quasi tutta l'Europa e nello stesso tempo dovrebbe costituire un nuovo tentativo di mettere a diftìcile prova la solidarietà fra Roma e Berlino nella prossima riunione.

Eden non ha, né accettato, né respinto il suggerimento di Delbos, riservandosi di riflettere e si è riservato una risposta dopo la riunione di Gabinetto indetta per esaminare la nuova situazione determinatasi dopo la seduta di ieri.

Ho creduto opportuno, intanto, di fare sapere ad Eden che ove il governo britannico si prestasse a queste manovre intimidatorie dell'antifascismo francese, si assumerebbe la più grave responsabilità e provocherebbe la più dura reazione da parte nostra, compromettendo irrimediabilmentc qualsiasi possibilità di accordo.

17

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1164/481 R. Roma, 3 luglio 1937, ore 23,15.

Suo 517 1 . Confermo le istruzioni di cui al mio 458 2 di mettere al corrente Franco delle trattative coi baschi e attenersi a quanto riterrà di decidere. Concordo su opportunità che non debba esserne influenzato sviluppo nostre operazioni.

16 2 Vedi D. 9, nota l. 17 1 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 818. 17 2 Vedi ibid., D. 760.

16 1 Vedi D. 3, nota l.

18

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. 1167/75 R. Roma, 3 luglio 1937, ore 22,30.

Faccia sapere a codesto governo che sua piena e coraggiosa solidarietà 1 è da noi vivamente e particolarmente apprezzata.

Aggiunga che ho dato istruzioni a tutti i rappresentanti italiani in Europa e nelle due Americhe2 di svolgere ogni possibile azione per chiarire ed illustrare il nostro comune atteggiamento negli ambienti ufficiali, nell'opinione pubblica, nella stampa dei Paesi presso cui sono rispettivamente accreditati.

Gioverebbe analoga azione portoghese sopratutto presso i governi dell'America Latina. Sarebbe opportuno che i rappresentanti portoghesi prendano in proposito immediato contatto con i rispettivi rappresentanti italiani 3 .

19

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 575/173. Tokio, 3 luglio 1937 (per. il 23 agosto).

La questione dei nostri rapporti con il Giappone merita qualche trattazione, specie per quanto riguarda le possibilità dei loro sviluppi.

Com'è noto a V.E. la lotta si svolge qui, tanto in politica interna quanto in politica estera, fra due gruppi, quello dei militari e quello dei parlamentari, gli uni fautori di ordinamenti d'autorità e di più stretta amicizia con l'Italia e la Germania, l'altro di ordinamenti liberali e di intime relazioni con l'Inghilterra; circa la Cina e i sovieti le divergenze sono piuttosto nella forma che nella sostanza, e sarebbero anche minori se la politica di Londra verso quei due Stati non obbligasse i parlamentari, come conseguenza della loro anglofilia, a manifestare propositi più concilianti, così verso Nanchino, come verso Mosca. Al gruppo dei militari appartengono innanzi tutto quelli di terra; vi appartengono altresì quelli di mare, per quanto facciano da qualche tempo politica meno attiva dei primi e per quanto, istruiti al tempo della restaurazione da ufficiali inglesi e modellati su di essi, serbino forse ancora nel loro animo, consapevoli o inconsapevoli, qualche residuo dell'antico timore reverenziale, che però non ha impedito loro di non cedere, né sulla

parità, né sui calibri; vi appartengono infine i nazionalisti, di cui però il numero non è molto grande. Il secondo gruppo comprende, oltre ai deputati, la maggior parte dei consiglieri della Corona, dei diplomatici almeno negli alti gradi, degli scienziati, degli industriali, dei giornalisti; merita anche menzione il capitale inglese e americano (quest'ultimo in non scarsa misura ebraico) impiegato nelle industrie giapponesi. Non ho parlato di socialisti. Fino a poche legislature fa non ve n'erano in parlamento; e per quanto essi siano andati sempre più crescendo nelle ultime elezioni, e prevedibilmente cresceranno ancora nelle future se il governo non si occuperà più efficacemente dei lavoratori, specie di quelli delle industrie, non essendo i membri del cosiddetto partito delle masse nemmeno la decima parte della Camera, il loro numero serba valore di simbolo e monito, ma non ha per ora gran peso nelle lotte della vita politica.

Sino alla grande guerra e anche dopo la sua fine, l'Italia non era qui esistita per i parlamentari, se non forse per qualche ricordo di Napoli in chi la aveva vista e per qualche memoria di Garibaldi in chi ne aveva udito parlare. Non v'era l'odio o quantomeno l'antipatia per lo Stato che è rivale, bensì l'indifferenza sia pure benevola per il Paese che non conta. L'Italia ha cominciato a attrarre la loro attenzione dopo l'avvento del fascismo, ma più che per l'opera di esso per la persona del Duce, e sempre in misura maggiore a mano a mano che la sua figura andava grandeggiando in Europa. Non era tanto dalla sua opera specifica, la quale qui interessava poco quand'anche capìta, ch'erano suscitati stupore e ammirazione, quanto dal fatto generico che un uomo fosse dal nulla così asceso in potenza; ma erano pur sempre sentimenti per così dire spassionati. Senonché, quando dopo la conquista della Manciuria e il sopravvento dei militari ha avuto inizio il loro movimento antiparlamentare, si è visto in questo dai liberali un'ispirazione o quanto meno un incoraggiamento tratto dal fascismo. Onde il risentimento che tale movimento ha suscitato e si è poi mutato in un odio cui la paura delle sanguinose rappresaglie degli avversari ha impedito e impedisce tuttora di dare libera espansione, è ricaduto anche sul fascismo. È ricaduto anche su di esso non tanto per le sue dottrine e la sua opera, che finché ristrette all'Europa e prima dei nostri contrasti con l'Inghilterra suscitavano soltanto le teoriche opposizioni di questi parlamentari, quanto per il malo ·esempio che dava ai militari giapponesi e per le idee e i propositi che in essi destava o almeno rafforzava. Hitler non era ancora venuto al potere e per di più v'era sempre l'ammirazione per la scienza germanica, origine quasi unica di quella giapponese, che è rimasta anche dopo l'avvento di lui; mentre quella italiana è anche oggi scarsamente conosciuta e quindi inadeguatamente apprezzata. (A ragione l'accademico Severi si era proposto, partendo di qui, l'istituzione in Italia di qualche borsa di studio specificatamente riservata a studenti giapponesi di scienze, ma non ne ho udito più nulla e temo che i suoi buoni propositi siano poi apparsi inattuabili). In tal modo è cominciato, pur restando l'ammirazione espressa o celata per la persona del Duce, l'odio, anche se almeno per il momento indiretto, verso il fascismo, e fascismo è stato chiamato e continua a chiamarsi il movimento antiparlamentare dei militari malgrado la scarsa somiglianza; ma la parola era comprensiva e comprensibile, e non attaccando apertamente e nominalmente questi militari serviva a salvare la forma e fors'anca la pelle. Può darsi che la guerra etiopica abbia accentuato questi sentimenti perché basata sulla lotta contro l'Inghilterra; ma poco ne è apparso, giacché i nazionalisti sostenevano l'Etiopia come razza di colore e i liberali non volevano mostrarsi al loro seguito, mentre per di più, se anche in cuor loro piuttosto favorevoli a Ginevra, non potevano !asciarlo apparire a così poca distanza dall'uscita del Giappone dalla Società delle Nazioni. In ogni caso molto maggiore mi sembra sia divenuta l'avversione per noi di questi parlamentari quando, dopo il Patto nippo-tedesco e l'avvicinamento del Giappone all'Italia, è stata da questa ripresa la lotta con l'Inghilterra. Il doppio aspetto di tali contrasti, in materia cioè non solo di politica estera ma anche interna, si ripete anche qui fra liberali e militari; anglofilia o anglofobia, parlamentarismo o antiparlamentarismo? Il carattere più spiccatamente anti-inglese della politica recente dell'Italia e anche della Germania ha aggravato i sospetti e i timori già suscitati nei parlamentari dall'avvicinamento del Giappone all'una e dal suo patto con l'altra, e accentuato la reazione con lavorii e intrighi per una ripresa di più amichevoli rapporti con l'Inghilterra. In questo stato d'animo e di cose non può maravigliare l'affermazione che mai come ora la politica dell'Italia è stata seguita con avversione e diffidenza da questi parlamentari. In altri Paesi, in qualcuno per esempio di quelli d'Occidente, tali sentimenti apparirebbero meglio rispecchiati dai giornali. Ma il riserbo e la cortesia confuciane, la massima, quantunque seguita solo in teoria, di non palesare molto interesse per le cose d'Occidente, il proposito di mostrar sempre considerarlo, in certo qual modo, come l'anti-Oriente, fanno sì che l'avversione si manifesti nella stampa piuttosto in modo negativo che positivo, piuttosto astenendosi dallo scrivere a nostro favore che non scrivendo contro di noi. E per di più, democrazia o antidemocrazia, la politica dell'Inghilterra verso i sovieti rende qui difficile ai parlamentari di tenersi troppo apertamente dalla sua parte. Ma tosto che da un qualche gesto del nostro governo, da un qualche discorso nostro in parlamento o articolo di un nostro giornale se ne possa trarre pretesto attribuendoci l'inesistente o travisando l'esistente, ecco i giornali liberali affrettarsi a denunciarci e smentirei pur con ogni cortesia di forma, ripetendo a sazietà l'affermazione che il Giappone non ha alcun suo interesse a soddisfare il nostro e a stringersi di più a noi. Non v'è che il campo dei rapporti di cultura che non susciti le opposizioni, almeno palesi, dei democratici. Eredi dei principi della restaurazione che fu liberale e aprì le porte del Giappone all'Occidente, convinti che questo non lo conosca bene e debba conoscerlo meglio, mossi dalla speranza che ne consegua reciprocamente un maggiore influsso dell'Occidente e quindi un indebolimento del nazionalismo restrittivo dei militari, i parlamentari, pur desiderosi che tali migliori rapporti si rafforzino con gli Stati democratici, non mostrano opporsi a quelli con noi, sempre che, beninteso, la politica ne sia esclusa. La lettura di questo rapporto sarebbe forse resa meno pesante ma certo anche più lunga se stessi a dare qualche esempio delle prudenti preoccupazioni suscitate qui dall'idea di una nostra possibile propaganda fascista fra i giapponesi. ·

Discorso assai diverso deve farsi per i militari. Mentre l'ammirazione dell'esercito giapponese per la Germania e il suo esercito, assai grande prima-della Grande Guerra, non è di molto diminuita nel corso di essa e si è in ogni caso ravvivata nel periodo tra la sua fine e oggi, quella per l'Italia e l'esercito italiano era pressoché nulla prima della guerra e non si era di molto accresciuta per gli eventi di essa. La nostra guerra era stata qui così poco e male conosciuta dalle stesse Forze Armate, che l'attuale R. addetto militare ha creduto opportuno far tradurre e pubblicare la prefazione del Duce al noto libro del generale Alberti 1 , e ne ha avuto da questi alti ufficiali dichiarazioni di ammirazione e sorpresa insieme. Senonché anche in questo esercito e in questa marina è cominciato a sorgere l'interesse per l'Italia con l'avvento del fascismo e, ancor più che fra i civili, s'è andato accrescendo e s'è accompagnato con stupori e ammirazioni sempre maggiori con il sollevarsi della figura del Duce sulla scena politica europea. E questi sentimenti sono aumentati con il nascere e il crescere del movimento antiparlamentare in Giappone. È probabile che l'inizio di tale movimento non tragga origine dal fascismo e si spieghi con cause specifiche della storia lontana e vicina dell'Impero; ma è certo a ogni modo che il fascismo ha molto contribuito, se non anche alla sua nascita, almeno al suo sviluppo con l'esempio della sua azione e la prova dei suoi risultati. È venuta poi la guerra etiopica che anche qui, specie al principio, molti dell'Esercito e della Marina prendendo l'imbeccata, consci o inconsci, da tantissimi strateghi d'Occidente prevedevano lunghissima e forse invincibile, e che per il modo così rapido e completo con cui è terminata bellicamente e diplomaticamente ha qui fatto crescere di cento doppi non dirò solo l'ammirazione sentimentale ma anche la considerazione pratica per la potenza reale dell'Italia d'oggi. Il che se vale genericamente così per l'Esercito come per la Marina, vale più specificatamente per quest'ultima: l'aspetto anti-inglese della nostra guerra le ha fra l'altro mostrato come i suoi maestri e modelli d'un tempo avevano dovuto ora prendere lezioni dall'Italia: qui, come dovunque altrove, nulla persuade più della forza vittoriosa. Infine, tale favorevole stato d'animo verso di noi è stato tutt'altro che affievolito dalla nostra attiva e efficace partecipazione agli eventi di Spagna, dall'accentuarsi del carattere anticomunista della nostra politica, dall'inasprirsi della nostra lotta contro i sovieti e anche contro l'Inghilterra; tutto ciò ha confermato all'Esercito e alla Marina giapponesi una comunanza di interessi politici tra Italia e Giappone, per i quali potrà esservi divergenza di opinioni sul tempo e sulla misura della loro tutela, ma non sul loro contenuto e sul loro fine. Nessuno meglio di me può testimoniare con la propria esperienza come i rapporti di questa ambasciata con l'esercito e la marina siano andati, anche se non rapidissimamente, ininterrottamente migliorando, così da suscitarvi dichiarazioni e manifestazioni di amicizia presente e futura che sarebbe stato vano attendere anche solo un paio d'anni fa, quando i militari non volevano vedere in noi che il maggiore sostenitore della Cina a danno del Giappone. Testimonianze non diverse e maggiori possono dare questi nostri addetti militari e navali che hanno con gli ufficiali di terra e di mare e con i loro ministeri rapporti assai più lunghi e frequenti.

Se a disposizioni d'animo così favorevoli nell'Esercito e nella Marina non hanno finora corrisposto maggiori sviluppi pratici, nel terreno economico con l'attuazione, ad esempio, del progetto di collaborazione industriale e militare, e in quello politico con un contegno più aperto e deciso a nostro favore, ciò dipende innanzi tutto dagli ostacoli che pone l'altro campo. I militari, come ho parecchie volte spiegato, sono i più forti per tradizioni, ordinamenti, risolutezza, possesso di armi e

anche non vano uso di esse. Ma, mentre non riescono a ottenere i voluti mutamenti nei pubblici istituti, mentre si dibattono essi stessi nelle difficoltà che derivano loro dalla mancanza di un duce e d'un piano, mentre devono tuttora subire più o meno un parlamento asservito alle idee democratiche e agli interessi plutocratici, mentre insomma non possono imporre compiutamente la loro volontà nella politica interna (mette conto rammentare che le dimissioni del Gabinetto del generale Hayashi sono state imposte, secondo dissi e mi si conferma, dallo stesso Imperatore), non possono neanche imporla tutta e sola in politica estera, e sono costretti a tenere conto d'una opposizione non ardita ma subdola e tenace, la quale raccoglie la maggior parte dei dirigenti civili di questa vita pubblica. Ciò tanto più in quanto il rafforzarsi della Cina e anche della Russia ha un po' velato l'aureola che la conquista della Manciuria e l'avanzata nella Cina settentrionale avevano posto intorno al capo dei militari. Questo rafforzarsi della posizione dei due Stati rivali e di quella dell'Inghilterra in Estremo Oriente ha dato maggior vigore alla reazione dei parlamentari di fronte al Patto nippo-tedesco e all'avvicinamento all'Italia, e ha fatto più insistentemente chieder loro un miglioramento delle relazioni con la maggiore di quelle tre Potenze. Un accordo ampio, solido, durevole con la Gran Bretagna non è voluto ed è temuto dai militari. Ma di fronte alla pressione dei parlamentari i militari non possono opporre un divieto assoluto, e devono lasciar compiere i tentativi, sperando che le difficoltà insite nello stato di cose bastino a impedire di concludere alcunché d'importante e mostrino la vanità dei desideri, ma tenendosi pronti a intervenire ove si voglia andare oltre i limiti imposti dai fondamentali interessi della Nazione: il che è quello che oltretutto conta.

Senonché, a questa che è la prima causa degli aspetti della politica estera del Giappone verso di noi, un'altra deve aggiungersene e derivante dal carattere del giapponese. Il giapponese aborre dal risolversi subito, e tanto più quanto più importante la risoluzione. Dinanzi a una qualsiasi proposta, specie se inattesa, è raro la accolga o respinga di colpo. Anche se convinto fin dal principio di doverla accettare o rifiutare, non si manifesterà subito per prudenza (e nel caso della negativa anche per cortesia) ma si riserverà la deliberazione e la farà attendere, e sino alla fine renderà difficile il prevederla, che anzi il no viene spesso proprio all'ultimo quando tutto sembrava far supporre un sì. Né vale insistere, e spesso a insistere si fa peggio, perché si suscitano sospetti e diffidenze, che ritardano anche più la decisione, se pure non la mutino quando sarebbe stata favorevole. Questo è. uno dei campi in cui il Giappone è rimasto asiatico pur essendo in tanti altri superiore a tanti altri popoli d'Asia. Per quanto abbia preso per molto l'americano a modello, il tempo vale poco per lui e deve valer poco anche per chi tratti con lui. Chi gli mostra impazienza, scortesia, lo agita e lo sconvolge, e per perdere meno tempo ne perde di più. Il giapponese ha bisogno di ponderare in quiete di spirito, simile a certi apparecchi astronomici di precisione di cui un breve e lieve soffio d'aria turba le misurazioni. Il giapponese deve girare la questione da tutte le parti, esaminarla da ognuna, esser sicuro che da nessuna possa venirgli danno. Ciò non toglie che qualche volta il danno gli derivi appunto dal tempo perso a premunirsi da danni, e che la somma prudenza divenga somma imprudenza.

Sul metro di queste premesse deve misurarsi quello che qui può farsi e il tempo in cui può farsi. Non so se V.E. avrà notato come alcuni miei progetti, sui quali già riferii, non abbiano ancora avuto attuazione. Non deve credersi con ciò che la possibilità ne sia svanita. I progetti sono tuttora argomento di studio per gli interessati e l'ultima parola non è stata ancora detta. Si può ogni tanto cercare di stimolare, suggerire, chiarire, purché con tatto e misura; ma poi bisogna pure tornare a attendere. Cito a esempio il progetto di collaborazione industriale e militare, di cui ho fatto cenno qui sopra. Se ne era occupato per mesi il R. addetto militare e aeronautico non risparmiando tempo e pazienza, schiarimenti e consigli. Era stato alla fine deciso che gli interessati sarebbero venuti da me a rivolgermi la richiesta formale e a dichiararmi che le competenti autorità giapponesi erano pronte a darmi comunicazione del loro consenso e del loro appoggio. Tale visita mi fu preannunciata come imminente non so più se in febbraio o in marzo; avvenne in maggio, e benché siamo già in luglio le autorità giapponesi non si sono ancora fatte vive. Ma l'altro giorno un messo è venuto a annunciarmi che gli interessati vogliono riprendere le conversazioni con il R. addetto militare e che il progetto non deve punto considerarsi come andato a monte. Ho risposto che restavo in attesa quanto si fosse voluto, ma ho fatto presente che l'interesse del Giappone era assai maggiore di quello dell'Italia, e che il danno del ritardo ricadeva tutto su quello e non toccava affatto questa. Così v'è la questione dell'istituzione della cattedra d'italiano nell'università commerciale di Tokio, e relativa nostra borsa di studio. La cosa fu tutta trattata dall'accademico Tucci, e quando partì in febbraio pareva definitivamente regolata. Ma dopo andato via Tucci si è dovuto ricominciare a discutere, siamo in luglio e non si è ancora potuto concludere quantuque sembri che la conclusione sia prossima. Io ho detto: aspetto quanto vi piaccia, ma vi rammento che finché la cattedra non è istituita a dovere la borsa serba i cordoni stretti.

Quello intanto che, senza trascurare le singole questioni, può e deve esser fatto è dare qui una migliore conoscenza dell'Italia in ogni campo, dal politico al militare, dall'economico al sociale e a quello della cultura. Giova rammentare che notizie dell'Italia non ne arrivano molte in Giappone, e provengono quasi tutte dalle impure sorgenti anglo-sassoni e francesi: l'agenzia ufficiale giapponese la Domei, che è liberale anch'essa, non ha suoi corrispondenti e malgrado le mie insistenze non pare ne avrà per ora, ma riproduce con il proprio nome telegrammi di agenzie estere, specie inglesi, americane e francesi. Opuscoli di propaganda in Giappone furono fatti stampare dall'ambasciata durante la guerra d'Etiopia, e sono stati fatti stampare dal R. addetto militare così sulle operazioni di questa come su quelle della guerra del '14. La mostra del fascismo ha avuto a Tokio un successo grandissimo, e non sarà minore quello che avrà a Osaka, la Milano del Giappone, ove si aprirà a giorni, nonché in altre città se il Nichi-Nichi si deciderà a portarvela: è stata la prima prova diretta, visibile, positiva, sia pure per sommi capi e non poteva essere altrimenti, dell'Italia d'oggi, mostra che istruisce immediatamente per la via degli occhi anche i più ignoranti di cose nostre. Così pure alcune pellicole italiane, e non solo quelle apparse nei diari dei cinematografi pubblici, ma anche quelle che la R. ambasciata ha ottenute dai nostri ministeri della Guerra e della Marina e ha mostrato privatamente ai più alti generali e ammiragli, hanno suscitato interesse e ammirazione, tanto da far loro chiedere la concessione di prenderne copia; è stata domandata all'ambasciata da altre persone l'autorizzazione a mostrarle ai maggiori circoli industriali di Tokio e Osaka, e case cinematografiche private, avutane notizia, hanno chiesto poterle proiettare in pubblico. Qualche nostra nuova pellicola, sul tipo di quella intitolata Squadrone bianco che è stata qui venduta, credo troverebbe facili acquirenti, e anche a prezzo per noi più vantaggioso: non so se sia venuto o stia per venire a Roma un signor Kawakita, persona attiva, seria e facoltosa, che rappresenta qui case tedesche e aveva progetti di collaborazione cinematografica con noi, così che gli detti una lettera di presentazione per S.E. Alfieri. Sono stati infine presi accordi per lo scambio di pellicole educative con questo ministero per l'Interno, il quale ha già mostrato a centinaia di migliaia di scolari giapponesi pellicole italiane in possesso dell'ambasciata. Attendo il materiale promessomi dal ministero della Cultura Popolare per il libro di propaganda sull'Italia, il quale dovrebbe essere edito dalla stessa casa che pubblicò quello sulla Germania, e avrebbe certo diffusione tra le persone colte. Sono anche in attesa delle decisioni delle nostre competenti autorità per il progetto di prolungamento in Giappone dei nostri servizi marittimi e per l'apertura in Tokio di un nostro piccolo ufficio turistico. Il R. addetto commerciale in Cina, cui ho chiesto di venire a studiare questo mercato che credo quasi sconosciuto ai nostri e che quasi mai nessuno dei nostri è venuto a guardare con i suoi occhi, giungerà nel corso della prossima settimana e confido che la sua visita non riuscirà inutile. Per quanto la somiglianza di condizioni e produzione ci faccia concorrenti, per quanto siano quindi limitate le possibilità di scambi, non credo che non ve ne siano affatto. L'industria italiana è tuttora qui in gran parte sconosciuta. Il ragioniere Micheli, venuto a Kobe con una borsa di studio e con la rappresentanza di alcune nostre case, mi diceva che avendo mostrato cataloghi di industrie italiane a giapponesi, questi avevano dichiarato non aver mai immaginato che noi fossimo capaci di simili prodotti. Un rappresentante di velluti italiani stato qui di recente ha avuto ordinazioni così numerose che la sua società non ha potuto accettarle tutte. Occorre però che siano inviati rappresentanti seri di case solide, i quali abbiano buona conoscenza dell'inglese, maniere fini e tempo disponibile. Il rappresentante della Fiat è tornato in questi giorni, richiestone insistentemente dagli interessati giapponesi, e mi dice avere buone speranze. Se il mio progetto di renderei favorevole qualcuno di questi maggiori giornali avrà seguito, si dovrà pensare a un migliore servizio telegrafico: finora notizie italiane, come dicevo sopra, se ne vedono qui assai poche. Insomma è la propaganda in queste e in tutte le altre possibili forme che dobbiamo sviluppare: più ci si conoscerà e più ci si apprezzerà; più ci si apprezzerà, e più si darà peso alla nostra amicizia.

18 l Vedi serie ottava, vol. VI, D. 798.

18 2 Vedi D. 20 e serie ottava, vol. VI, D. 806.

18 3 Il ministro Mameli telegrafava il 5 luglio di avere effettuato il passo prescrittogli e di avere avuto assicurazioni dal Segretario Generale del ministero degli Esteri, Sampayo, che ai rappresentanti portoghesi sarebbero state inviate istruzioni nel senso indicato da Ciano (T. 4618/164 R. del 5 luglio).

19 l ADRIANO ALBERTI, Testimonianze straniere sulla guerra italiana 1915-1918, Roma, Ed. Le Forze Armate, 1933.

20

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE E LEGAZIONI IN EUROPA

T. 1168/c. R. Roma, 4 lug~io 1937, ore 5.

(Per tutti) Ho telegrafato a Varsavia, Ankara, Belgrado, Vienna, Budapest, Sofia, Tirana, Atene, Bucarest, Dublino, quanto segue:

«L'E.V. (S. V.) vorrà richiamarmi d'urgenza l'attenzione di codesto governo sulle proposte presentate ieri al Sottocomitato di non intervento dai rappresentanti italiano e tedesco 2 , proposte che tutta la stampa internazionale riporta e commenta.

Tali proposte sono state rinviate al Comitato plenario, che dovrà, nella settimana prossima, ulteriormente discuterle. Le proposte italiane e tedesche:

l) lasciano immutati i quattro quinti del vecchio sistema di controllo (controllo terrestre sui Pirenei e sulle frontiere del Portogallo; presentazione di tutte le navi mercantili dirette in Spagna nei porti designati dal Comitato; imbarco degli osservatori su tali navi;

2) si limitano ad abolire la sorveglianza navale delle coste spagnole che si è rivelata in pratica fonte di incidenti e di complicazioni gravissime (Barletta, Deutschland, Leipzig) e che ha, del resto, dopo oltre due mesi di applicazione rivelato in pieno la sua perfetta inutilità e dimostrata inefficienza (non avendo le flotte alcun potere esecutivo, ma di pura e semplice segnalazione);

3) suggeriscono il riconoscimento della qualità di belligerante tanto in favore del generale Franco quanto dei Rossi di Valencia.

Le proposte italiane e tedesche sono proposte costruttive; che garantiscono la leale, continuata collaborazione dei due Paesi alla politica di non intervento; rispettano la necessaria imparzialità fra i contendenti, assicurano una valutazione obiettiva e realistica della situazione spagnola.

È superfluo insistere sulle ragioni che si oppongono all'accettazione delle proposte inglesi e francesi intese ad affidare l'esclusivo controllo di tutte le coste spagnole unicamente alle unità navali francesi e britanniche. Ciò si risolverebbe in sostanza, in un blocco della Spagna da parte di due Potenze, le quali hanno dato per tutto il corso del conflitto constatate e documentate prove di parzialità in favore di uno dei contendenti. Il rappresentante della Francia ha ancora nella seduta del Sottocomitato di ieri qualificato il governo del generale Franco (che detiene il 65 per cento del territorio nazionale ed esercita la sua sovranità su 14 milioni di spagnoli su 22) come arbitraria amministrazione di un generale insorto contro un governo perfettamente legittimo in quanto trae la sua ragion d'essere da «regolari elezioni».

Il governo fascista -animato da spirito di cooperazione internazionale e con la piena coscienza dell'opera che esso svolge in difesa della civiltà e contro il bolscevismo -si attende dai governi dei Paesi amici, che hanno assunto all'interno e all'estero una posizione ideologica analoga, un'eguale valutazione della situazione ed un atteggiamento conseguente in seno al Comitato plenario di non intervento.

Metta in guardia codesto governo contro il tentativo di far slittare la questione spagnola sul terreno mediterraneo, tentativo che adesso viene più intensamente compiuto dalla stampa francese. La minaccia alle linee franco-britanniche in Mediterraneo è una fantasia e una menzogna. Lo statu quo del Mediterraneo sta a cuore a noi quanto ai franco-inglesi, e ci siamo impegnati e non intendiamo di modificarlo. La lotta in Spagna è soltanto una lotta antibolscevica. Non ha altri scopi, né altri caratteri. Perciò Germania e Italia vi sono interessate in modo identico. E tutte quelle Potenze cui sta a cuore la civiltà europea dovrebbero fare del pari o almeno debbono fiancheggiare la nostra azione. Ne è prova l'atteggiamento del Portogallo che, legato alla Gran Bretagna da tradizionali vincoli di ogni natura, non ha esitato a schierarsi invece a fianco dell'Italia e della Germania, avendo riconosciuto nella lotta spagnola il conflitto tra la nostra civiltà e la minaccia moscovita.

Faccia sapere a codesto governo, nella forma più amichevole, che ci sarebbe particolarmente gradito l'invio ai rispettivi rappresentanti a Londra di urgenti istruzioni di appoggiare e fiancheggiare l'azione dei rappresentanti italiano, tedesco e portoghese in seno al Comitato di non intervento.

Riferisca telegraficamente sull'azione svolta. (Per Bruxelles, l'Aja, Osio, Copenaghen, Praga, Lussemburgo, Stoccolma, Helsinki, Riga, Tallinn, Kaunas) V.E. (V.S.) vorrà svolgere in codesti ambienti di governo, di stampa, diplomatici ogni possibile azione di chiarimento e di persuasione nei confronti dell'atteggiamento italo-tedesco, opportunamente servendosi degli elementi di cui al presente telegramma e delle dichiarazioni fatte ieri da Grandi e da Ribbentrop, valendosi largamente della stampa, e mobilitando tutti i circoli amici 3 .

Ciano così riassumeva. in due telegrammi alle ambasciate a Londra e a Parigi (TT. 1198 R. del 7 luglio e 1206 R. dell'S luglio), la posizione dei governi che erano stati interpellati: Albania-Sono state date istruzioni al delegato albanese di uniformarsi strettamente all'atteggiamento italiano. Tentativi di pressioni sono stati esercitati a Tirana da parte franco-inglese.

Ungheria -Sono state date istruzioni al delegato ungherese di votare, occorrendo, a favore delle proposte italo-tedesche nella speranza di mantenere la pace e di svolgere in questo senso la sua opera personale.

Austria -Non raggiungendosi accordo. delegato austriaco voterà per proposte italo-tedesche. Pressioni in senso opposto sono state esercitate da parte francese.

Jugoslavia-Stojadinovié concorda col carattere antibolscevico del conflitto spagnolo. Si adopera per concordarsi con la Polonia soprattutto in vista di un'azione sulla Romania e per l'adozione di una linea di condotta comune. Rappresentante jugoslavo avrà istruzioni di nulla fare che possa essere da noi considerato sgradito e di pronunciarsi ed operare per un accordo fra le quattro Potenze.

Romania -Antonescu ha lasciato intendere che non si sentiva di appoggiare le nostre richieste, a meno che il colloquio con il Sovrano, con cui si è riservato di conferire, non l'indirizzasse verso un atteggiamento a noi più favorevole.

Bulgaria -Presidente del Consiglio si è riservato risposta definitiva. Ha intanto telegrafato all'incaricato d'affari a Londra di astenersi, sino a quando non avrà ricevuto istruzioni. dal prendere parte a riunione e votazione del Comitato non intervento.

Polonia -Beck ha evitato una risposta precisa. Ha dichiarato che avrebbe telegrafato al suo ambasciatore a Londra di tenersi in contatto con Grandi come con gli altri ambasciatori delle Potenze maggiormente interessate, allo scopo facilitare intese. Qualora non fosse assolutamente possibile giungere ad un accordo, Polonia riesaminerebbe sua situazione in seno al Comitato. R. ambasciatore a Varsavia è d'avviso che nostra azione varrà almeno a neutralizzare pressioni esercitate su Polonia da Francia e Inghilterra. Trasmetterò ulteriori notizie a mano a mano che perverranno.

NOI'l'egia -Koht ha dichiarato che Norvegia si ritiene direttamente interessata ad un compromesso e ad evitare ogni decisione che metta in contrasto i due gruppi di Potenze. In questo senso sono state inviate istruzioni preliminari al delegato norvegese a Londra. Nel caso non si addivenga ad accordo, Norvegia desidera conservare sua libertà apprezzamento ed azione.

Grecia -Mctaxas ha premesso non essere possibile ad un piccolo Paese assumere parte principale in un conflitto che pone a contrasto le quattro Grandi Potenze. Ha dato istruzioni al suo ministro a Londra di facilitare per quanto possibile la tesi italiana. Si riserva a stabilire con gli alleati balcanici una linea di azione comune.

Turchia -Numan ha assicurato che Turchia si sarebbe inspirata ai sentimenti di amicizia che la legano all'Italia; che ambasciatore a Londra avrebbe avuto istruzioni di attirare discussione Comitato su progetto italo-tedesco perché fosse tenuto conto di tutti suoi aspetti vantaggiosi. Galli aggiunge essere prudente dare un valore relativo a tali assicurazioni. Londra resta la direttrice principale della Turchia, la quale compie inoltre oggi a Mosca il suo maggiore sforzo dimostrativo per chiarire suoi rapporti con alleati sovietici.

20 1 Tranne Berlino, Salamanca, Mosca, Lisbona, Berna, Parigi e Londra. Questo telegramma fu inviato anche a tutte le rappresentanze diplomatiche del Nord, Centro e Sud America con T. 1171/c. R. del 4 luglio.

20 2 Vedi D. 9, nota l.

20 3 Il testo di questo telegramma fu comunicato all'ambasciata a Berlino con T. 1170/240 R. del 4 luglio con la seguente aggiunta: <<Comunichi d'urgenza a codesto governo. Un'azione parallela da parte tedesca sarebbe quanto mai opportuna». Il 7 luglio, Attolico rispose di avere appreso da von Neurath che i passi effettuati in proposito dal governo tedesco avevano avuto risultati positivi <<soltanto in Ungheria e, per quanto meno netti, in Polonia».

21

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. 1174/484 R. Roma, 4 luglio 1937, ore 17,30.

Ho dato ieri urgentl Istruzioni a tutti 1 rappresentanti italiani in Europa e nelle Americhe 1 di voler svolgere possibile azione per illustrare e chiarire atteggiamento itala-tedesco.

Ai governi dei Paesi europei amici, che hanno assunto all'interno e all'estero una posizione ideologica analoga alla nostra, ho fatto sapere che attendiamo da essi una uguale valutazione della situazione e un atteggiamento conseguente a fianco dei nostri rappresentanti in seno al Comitato di non intervento.

Codesto governo sa che la lotta per la causa comune è entrata oggi in una fase decisiva. Assicuri il generale Franco che l'Italia fascista, !ungi dal lasciarsi impressionare dai clamori dei governi e delle stampe avverse, è, ieri come oggi, disposta ad andare sino in fondo. Aggiunga essere oggi assolutamente necessario che tutti -e prima di ogni altro la Spagna Nazionale -assumano le posizioni più precise e più nette. È cioè necessario ed urgente che generale Franco faccia senza equivoco sapere alla Francia e alla Gran Bretagna che il governo nazionale spagnolo considera l'atteggiamento che esse assumeranno in questa occasione come decisivo a tutti gli effetti avvenire, sia politici che economici, nei confronti delle relazioni reciproche.

Il generale Franco -sia nei confronti del governo britannico che francese potrà efficacemente avvalersi, apponendole ad eventuali argomentazioni contrarie, delle ripetute, formali, esplicite assicurazioni date da parte nostra -come da parte tedesca -di rispetto dello statu quo mediterraneo e dell'integrità territoriale della Spagna. La nostra lotta in !spagna è soltanto una lotta antibolscevica. Non ha altri scopi, né altri caratteri.

Riferisca telegraficamente sull'azione svolta 2 .

22

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4595/235 R. Tokio, 5 luglio 1937, ore 1,50 (per. ore 13,10).

Ho chiesto giorni or sono a Hirota se fosse vero quanto aveva pubblicato uno dei maggiori giornali locali, cioè che egli avrebbe voluto mettere d'accordo lnghil

terra e Germania e mi ha risposto affermativamente. Gli ho osservato parermi difficile vi riuscisse oltre che per l'intempestività del momento, soprattutto perché contrasto concerneva interessi specialmente territoriali in altra parte del mondo ed il Giappone non avrebbe potuto soddisfare per esempio richieste coloniali della Germania offrendole sempre in via di esempio la Manciuria.

Mi si assicura ora che questa ambasciata di Germania è stata sondata dai giapponesi, forse in via privata, e che ha risposto di non aver nulla da obbiettare in massima, quantunque veda le difficoltà pratiche. Tali piani mi sembrano aver come premessa speranza che l'Inghilterra sia disposta staccarsi dalla Russia, il che darebbe tanto al Giappone quanto alla Germania mano libera verso i sovieti. Ma, a meno che in Russia non avvenga un collasso, simili speranze, per quanto posso giudicarne io qui, non sembrano aver fondamento in solide possibilità.

21 l Vedi D. 20.

21 2 li 6 luglio. Bossi telegrafava di avere parlato con Franco, il quale si era «mostrato sensibilissimo all'assicurazione relativa al deciso proposito dell'Italia fascista di condurre la lotta fino in fondo» ed aveva tenuto a sottolineare che l'atteggiamento moderato da lui assunto di recente nei confronti della Francia e della Gran Bretagna aveva il solo scopo di evitare delle complicazioni internazionali. Franco aveva poi assicurato che avrebbe inviato al più presto ai governi francese e britannico una nota nel senso indicato da Ciano (T. 46511532 R. del 6 luglio).

23

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. 1163/270 (Londra) 74 (Gedda) R. Roma, 5 luglio 1937, ore 2,30.

(Solo per Gedda) Nel comunicare R. ambasciata Londra suo telegramma 76 1 e precedenti2 ho aggiunto quanto segue: (Solo per Londra) Telespressi di questo ministero nn. 221988 del 30 giugno3 e 222410 del corrente4 .

R. ministro Gedda in data )0 corrente telegrafa quanto segue: (riprodurre telegramma Gedda 76) (Per tutti) Dall'atteggiamento del ministro britannico a Gedda appare che si

voglia tenerci segreto l'obiettivo del suo viaggio a Riad. Tale reticenza, messa in rapporto con recenti informazioni pervenute da più fonti secondo le quali starebbe per essere stipulato un trattato segreto anglo-yemenita a seguito di negoziati condotti, sia localmente, sia a Londra dal figlio deli'Iman recatosi costì per l'incoronazione, e da ultimo l'azione che l'Inghilterra va svolgendo neii'Hadramaut circa la quale ci riserviamo comunicazioni ulteriori, rendono necessario che V.E. intrattenga il Foreign Office per ottenere informazioni e chiarimenti in conformità alla lettera e allo spirito degli Accordi italo-britannici del 19275 . Prego telegrafarmi appena possibile sull'importante argomento.

arabe e del Mar Rosso» che si erano svolte a Roma dall'Il al 15 gennaio precedente. Il testo dell'accordo è pubblicato in BD, serie I A, vol. II, D. 469, allegato.

(Solo per Gedda). Suppongo che V.S. non avrà mancato di tenere a codesto ministro d'Inghilterra un linguaggio ispirato al principio della cooperazione italo-britannica in Arabia stabilito dagli Accordi del 1927. Ove non lo abbia già fatto si affretti a farlo, mentre in tal senso parlerà il R. ambasciatore a Londra, come da telegramma sopratrascritto6 .

23 l Vedi D. l.

23 2 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 800.

23 3 Ritrasmetteva il documento di cui alla nota precedente e incaricava l'ambasciata di indagare sugli scopi della missione a Riad del ministro di Gran Bretagna. '

23 4 Non rintracciato.

23 5 Accordo del 7 febbraio 1927 sottoscritto «a conclusione delle conversazioni relative alle questioni

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO URGENTISSIMO 4604/311 R. Parigi, 5 luglio 1937, ore 22,10 (per. ore l del 6).

Situazione della Francia di fronte ai problemi spagnoli è, a mio avviso, anche oggi analoga a quella che esposi a V.E. di persona, quando venni a Roma nel gennaio scorso. La maggioranza dei francesi, soprattutto se considerata dal loro punto di vista spirituale, depreca la vittoria del comunismo nella Spagna perché si rende conto del pericolo che essa costituirebbe, anche per il loro Paese. La stessa maggioranza, a cui si uniscono i radicali e i socialisti ufficiali (che nel fondo del loro cuore, sotto gli ordini di Blum, odiano i comunisti) auspica però nella Spagna l'avvento di un governo liberale perché teme che Franco abbia assunto, verso la Germania e l'Italia, impegni tali, in caso di guerra europea, da esporre la Francia al pericolo di essere attaccata anche dal lato insulare 1 e di avere difficoltà maggiori per il libero trasporto delle proprie truppe di colore dall'Africa.

Su precedenti comunicazioni2 V.E. mi dava istruzioni di esprimermi con Blum in termini che indicavano quale fosse la nostra politica nei riguardi della Spagna e che contenevano, anche, una profferta di amichevole nostro interessamento presso Franco, affinché egli desse alla Francia assicurazioni che non intende di adottare una politica ad essa contraria.

Rilevo, dalle comunicazioni fattemi con il telespresso 5441 di ieri 3 , che nostra linea di condotta è immutata. Qui, peraltro, è cambiato il Capo del governo. Chautemps è più nazionalista di Blum, e quindi è ancora più sensibile a quanto possa costituire un pericolo per la sicurezza francese nel Mediterraneo. Egli ha però sempre manifestato il desiderio di intendersi con l'Italia e con la Germania, e non è affatto filocomunista, tanto che non ha sollecitato l'appoggio parlamentare di questo partito. Mi domando quindi se non sarebbe il caso di renderlo, direttamente o indirettamente, edotto di quelle che sono le intenzioni dell'Italia, ripetendogli la mia comunicazione a Blum del 25 gennaio scorso 4 , e completan

24 I Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo di dubbia interpretazione».

dola con le esplicite assicurazioni date, da parte nostra e tedesca, di rispetto dello statu quo nel Mediterraneo e dell'integrità territoriale della Spagna. Sarebbe un chiarimento che potrei dargli ogni momento, facendogli una visita che apparirebbe naturale, visto che egli è diventato il Presidente del Consiglio, che sono personalmente con lui nei migliori termini e che non avrebbe carattere di nuove comunicazioni ma solo di rievocazione di una comunicazione fatta, a suo tempo, al suo predecessore5 .

23 6 Con T. 4653/82 R. del 6 luglio, il ministro Sillitti assicurava di avere già fatto esplicito riferimento, nei suoi colloqui con il collega britannico, agli Accordi del 1927. Per il seguito della questione, si veda il D. 31.

24 2 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 78.

24 3 Non rintracciato.

24 4 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 88.

25

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4610/530 R. Salamanca, 5 luglio 1937, ore 23 (per. ore 5,30 del 6).

Seguito mio telegramma n. 5261•

Ho informato Generalissimo partenza per Roma di Onaindìa e Ramirez2 . Franco ha confessato sua convinzione che problema basco è ormai liquidato e mi ha chiesto di pregare V.E. di non ricevere rappresentanti Aguirre3 .

26

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLLE AMBASCIATE A BUENOS AIRES, RIO DE JANEIRO E SANTIAGO E ALLA LEGAZIONE A MONTEVIDEO

T. 1184/c. R. Roma, 6 luglio 1937, ore 12.

Di seguito mio telegramma n. 1171 1 informo V.E. (V.S.) risultare che sono in corso trattative fra il Brasile, l'Argentina, il Cile e l'Uruguay per procedere al riconoscimento di Franco.

Faccia sapere a codesto governo che la forma più efficace con cui codesto Paese potrebbe appoggiare la causa della civiltà contro il bolscevismo che l'Italia sta combattendo, secondo indicatoLe col mio telegramma su riferito, sarebbe quel

la di far tempestivamente -e quindi senza indugio -un gesto che se non possa giungere subito fino al riconoscimento di diritto, riconosca almeno e senz'altro al governo di Franco il diritto di belligerante. Sarebbe questo un modo con cui l'America Latina, secondo le sue migliori tradizioni, potrebbe far sentire tutto il peso della sua influenza su di una questione che, nonostante la sua assenza dal Comitato di non intervento, la tocca pur sempre molto da vicino oltre che per i profondi e molteplici interessi che legano l'America Latina alla Spagna, anche per i numerosi vincoli spirituali e materiali che esistono tra l'America Latina e l'Europa.

24 5 Ciano rispondeva (T. 1187/325 R. del 6 luglio): «Non (dico non) ritengo opportuna comunicazione di cui ,al suo telegramma n. 311. Nella presente situazione, darebbe certo luogo ad interpretazioni inesatte. E bene che a Parigi sappiano soltanto che la nostra intransigenza è assoluta».

25 1 Nota dell'Ufficio Cifra: «non giunto».

25 2 Il console Cavalletti aveva telegrafato (T. 4599/86 R. del 5 luglio) che il canonico Onaindia era «partito per Roma munito di ampi poteri di Aguirre c del partito nazionalista basco onde trattare la questione politica».

25 3 Si veda per il seguito il D. 27.

26 1 Vedi D. 20, nota l.

27

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI

T. UFF. SPAGNA URGENTISSIMO 1600-1601-1602. Roma, 6 luglio 1937, ore 16,10.

Si rechi immediatamente da Franco e gli legga questo mio messaggio:

«Muy querido Generalisimo.

Ministro degli Esteri, che ha ricevuto i due delegati di Aguirre 1 muniti di credenziali in regola, mi riferisce sull'avvenuto colloquio e sui desiderata baschi per arrivare alla resa completa. Indipendentemente da quelle che sono le condizioni tecniche della resa e che sono state localmente esposte agli esperti militari, essi hanno fatto conoscere quali praticamente sono i loro desiderata e cioè: che l'Italia invochi presso di V.E. un trattamento umano nei confronti della popolazione civile, sia quella rimasta a Bilbao, sia quella evacuata in Santander e che i prigionieri vengano considerati prigionieri delle truppe italiane secondo gli usi di guerra. Hanno richiesto inoltre che i prigionieri non vengano in blocco inviati a combattere contro Madrid, tranne quelli che Io richiedano espressamente e sotto il comando italiano e potranno essere numerosi.

Contro queste garanzie loro offrono la resa, al comando delle Frecce Nere di tutte le forze basche e praticamente, cioè, di quelle forze che sole possono ancora opporre una resistenza organizzata all'avanzata nazionale, trincerandosi nei villaggi ed aggrappandosi sulle aspre montagne della Biscaglia. Essi calcolano che le truppe basche lottando con la forza della disperazione possano resistere ancora per oltre un mese. Per quanto invece riguarda Santander e le Asturie, essi non prevedono nessuna organica resistenza se i baschi si saranno arresi.

Permettete, caro Generalissimo, che io Vi dica che l'offerta di resa da parte dei baschi ha una grande importanza non soltanto militare, ma sopratutto politica e morale. Essa liquida definitivamente il fronte nord e toglie ai cattolici di tutto il mondo un motivo di preoccupazione. Specie nella settimana in cui il Comitato di Londra è convocato, l'annuncio della resa dei baschi avrebbe una ripercussione favorevolissima in tutti gli ambienti internazionali e decisiva -io penso -per gli

27 I Vedi D. 25.

ulteriori sviluppi della campagna dei Nazionali contro le residue forze di Valencia e Barcellona. I baschi sperano dopo la resa di essere trattati con generosità dal vincitore.

Conoscendo l'animo Vostro io sono sicuro che lo farete. Si tratta di ferventi cattolici che hanno sbagliato, ma che sono -nella quasi totalità -recuperabili per la Vostra Spagna.

Questo Vi dico anche nella mia qualità di cattolico. Naturalmente le trattative in corso non possono, né devono fermare, i preparativi militari in direzione di Santander. Mio caro Generalissimo, in nome della solidarietà che Vi ho dato e continuerò a darVi, accogliete quanto Vi espongo nel presente messaggio e più presto tanto meglio -Mussolini».

Appena letto il messaggio che potrà e dovrà essere fortemente appoggiato da V.S., telegrafi 2 .

28

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL VICECAPO DI GABINETTO, ANFUS0 1

T. UFF. SPAGNA URGENTE 1603 2 . Roma, 6 luglio 1937, ore 18,15.

Quando Bossi avrà letto a Franco il messaggio del Duce relativo alla resa basca3, insisti anche tu perché il Generalissimo accetti il nostro punto di vista. Qui si attribuisce al risultato positivo dei negoziati in questione la più alta importanza dal punto di vista politico, militare e fascista. Telegrafami4 .

29

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3280/1088. Berlino, 6 luglio 1937 (per. 1'8).

Il R. ambasciatore in Parigi ha riferito (telecorriere V.E. n. 9788 del 24 giugno)1 che il governo del Reich, ad un certo momento, sarebbe stato persino pro

28 1 Allora in missione a Salamanca per delle trattative economiche. 28 2 Minuta autografa. 28 l Vedi D. 27. 28 4 Si veda. per il seguito, il D. 33. 29 1 Non rintracciato. Ritrasmetteva sicuramente il T. per corriere 4319/0184 R. del 23 giugno da

Parigi. L'ambasciatore Cerruti riferiva di avere appreso, nel corso di un colloquio con Léger, che al Quai d'Orsay era stata rilevata una differenza importante tra la posizione di von Ribbentrop, che al

penso a che la dimostrazione navale chiesta in riparazione dell'incidente del Leipzig fosse estesa ad entrambi i belligeranti.

La notizia è esatta. Senonché è da aggiungere che l'idea fu senz'altro dismessa in seguito ad intervento diretto del Fiihrer. Ciò che peraltro è sintomatico è che a considerare, anche soltanto per un momento, l'idea di una dimostrazione navale bilaterale sia stato non soltanto Neurath ma, come mi ha ripetutamente confermato François-Poncet, lo stesso Goring 2 .

27 2 Vedi D. 35.

30

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4649/584 R. Londra, 7 luglio 1937, ore 2,05 (per. ore 4,30 ).

Eden mi ha pregato stamane passare da lui per dirmi che desidera parlare di questione che lo preoccupa in modo particolare. Eden mi ha detto:

«Domani Gabinetto britannico pubblica rapporto su situazione Palestina con le proposte che ormai sono di pubblica ragione. Queste proposte susciteranno, non vi nascondo, contrasti e ripercussioni forse tempestose, sia qui in Inghilterra, sia in Palestina. Voi sapete quale importanza, che io trovo esagerata, pubblico britannico abbia dato sino ad ora e dia tuttora alle radio-trasmissioni stazione Bari. Interrogato Comuni altro ieri, ho dichiarato che tali radio-trasmissioni erano da qualche tempo assai migliorate nei riguardi Gran Bretagna. Molti sono qui convinti che governo italiano trarrà motivo pubblicazione rapporto Palestina per commenti ostili, attraverso Radio Bari, alla politica inglese; voi sapete, d'altra parte, come questa radio-trasmissione Bari sia ascoltata e registrata accuratamente Gran Bretagna. Io vorrei vostro tramite rivolgere conte Ciano una viva preghiera far in maniera che Radio Bari nelle prossime settimane mantenga atteggiamento neutrale e possibilmente amichevole per Gran Bretagna. Se ciò fosse possibile, sono certo che atmosfera dei rapporti itala-inglesi ne sarebbe migliorata».

Ho risposto a Eden che avrei comunicato V.E. quanto egli mi diceva, non senza osservare che tutta questa montatura attorno Radio Bari è assolutamente sproporzionata.

Eden risposto che probabilmente avevo ragione, ma che, ad ogni modo, Radio Bari ormai è considerata in Gran Bretagna come indice intenzione politica italiana nei riguardi popolazione araba dei territori britannici.

Comitato di non intervento insisteva perché un avvertimento formale o un'eventuale dimostrazione navale avvenissero soltanto nei confronti del governo di Valencia, e la posizione di von Neurath, il quale aveva dichiarato in via ufficiale all'ambasciatore François-Poncet di accettare che quei provvedimenti fossero presi nei riguardi di entrambe le parti spagnole. L'annuncio che Italia e Germania si ritiravano dal sistema di controllo faceva considerare la questione come superata ma il governo francese intendeva proseguire la sua azione per appurare quale fosse la posizione reale della Germania.

29 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

31

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, E AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. 1180/273 (Londra) 75 (Gedda) R. Roma, 7 luglio 1937, ore 4.

(Solo per Londra) Seguito telegramma n. 270 1•

R. ministro a Gedda telegrafa quanto segue: «Riprodurre telegramma in arrivo n. 4560/79 R.»2 . Ho risposto quanto segue: (Solo per Gedda) Suo telegramma 79. (Per tutti) Faccia discretamente sapere ad Ibn Saud che R. governo, contrario

modificazioni statu qua Mar Rosso e Golfo Persico e quindi nella Penisola Arabica, non può non seguire con favore atteggiamento di opposizione che verrebbe preso da codesto governo di fronte richiesta inglese privilegi quella costa del Golfo Persico.

Continui seguire questione e cerchi pure appurare atteggiamento di Ibn Saud nei riguardi delle conclusioni della Commissione di inchiesta britannica per la Palestina3 .

32

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4696/239 R. Tokio, 7 luglio 1937, ore 19,30 (per. ore 14,30).

Ho dato notizia del contenuto del telegramma di V.E. n. 1201 a questo vice ministro2 che mi ha ascoltato con molto interesse e chiesto breve sunto scritto di carattere non ufficiale della mia comunicazione. Eseguo e faccio eseguire per quanto è possibile le altre istruzioni di V.E. pur confermando circa la stampa mio rapporto n. 130 del 25 maggio scorso3 .

In via di massima osservo che Tokio non può essere tacciata di alcuna simpatia per il bolscevismo e che se questo avesse avuto sopravvento in Spagna, Giappone ne avrebbe anche esso sentito dannosi effetti così nella sua politica interna come nella estera. Perciò azione dell'Italia e della Germania è seguita qui con favore e compiacimento e giorni fa Hirota mi mostrava soddisfazione per la piega degli

avvenimenti in Spagna. Tuttavia, mentre Giappone spera di poter migliorare rapporti con l'Inghilterra, non vuole fare nulla che abbia anche soltanto l'apparenza di essere rivolta contro di essa e segue più fedelmente che mai il principio di condotta di non mostrare alcun particolare interesse per le cose di Europa ed alcuna particolare preferenza per l'uno o l'altro campo.

31 l Vedi D. 23.

31 2 Vedi D. 14.

31 3 Si veda, per il seguito della questione, il D. 70.

32 1 Con T. 11761120 R. del 4 luglio, Ciano avea trasmesso a Tokio il D. 20 e aveva incaricato anche l'ambasciatore Auriti di illustrare la posizione del governo italiano valendosi di tutti i mezzi a sua disposizione. Dell'argomento, aggiungeva Ciano, egli stesso aveva parlato con l'ambasciatore Sugimura.

32 2 Kensuke Horinouchi.

32 3 Con rapporto 423/130 del 25 maggio, l'ambasciatore Auriti aveva comunicato di essersi accordato con il collega tedesco per coordinare l'azione delle due ambasciate. In primo luogo sarebbe stato affrontato il problema della stampa giapponese che, in prevalenza, era sfavorevole alle Potenze dell'Asse.

33

IL VICECAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PERSONALE 4682/537 R. Salamanca, 7 luglio 1937, ore 20,30 (per. ore 23)0).

Bossi riferisce a V.E. 2 circa esito passo compiuto presso Franco circa resa battaglioni baschi. Conferma che mai come in tale occasione ha avuto la prova della illimitata deferenza che il Generalissimo nutre per il Duce e della profonda e sincera stima che ha per l'E.V.

Franco ieri a tarda ora rientrò da Avila, dove aveva trasferito il comando per fronteggiare ampio attacco dei Rossi sul fronte di Madrid, che a suo dire è stato molto duro e che ha importato una lieve rettifica del suo fronte presto corretta per il sopraggiungere di truppe fresche che hanno solidificato la linea e gli hanno assicurato un successo.

Le sue parole sono state di piena comprensione del nostro punto di vista per quanto nei giorni scorsi egli avesse avuto modo di fare vedere che non gradiva visita dei plenipotenziari baschi a Roma3 . Non sono apparse necessarie ulteriori argomentazioni poiché il messaggio del Duce ha pienamente raggiunto il suo effetto.

L'ho intrattenuto, insistendo, sulla opportunità di costituire governo in occasione dell'anniversario della riscossa nazionale spagnola.

Franco ha gradito il suggerimento di V.E. e mi ha detto che spera di poter costituire un governo responsabile per il 18. Considera giuste e condivide le ragioni esposte da V.E. Mi dice che alla creazione di un governo si oppongono soltanto considerazioni di ordine materiale perché a Salamanca non sa se sarà possibile di trovare le sedi adatte per i ministeri. La città, piccola, è strapiena di comandi: egli stesso abita nella palazzina del cardinale.

Si è pensato di trasportare la capitale a Siviglia ma anche laggiù lo spazio è poco e non si sa quanto convenga tenere in Andalusia la capitale. Ciò nondimeno, egli farà il possibile perché il governo possa essere costituito per il 18 ed assicura che l'annunzio della costituzione non potrà tardare, perché sa anche troppo tutto l'interesse che ha la causa nazionale di essere rappresentata da un governo e che egli appaia il capo di uno Stato modernamente e costituzionalmente responsabile ... 4 .

33 2 Vedi D. 35. 33 3 Vedi D. 25. 33 4 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili».

33 l Vedi D. 28, nota l.

34

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. SEGRETO NON DIRAMARE PERSONALE Roma, 7 luglio 1937, ore 20,45. URGENTISSIMO 1190/276 R. 1 .

Facendo il punto oggi, alla vigilia della nuova riunione del Comitato 2 , mi pare che la situazione non si presenti affatto sfavorevole e che il nostro lavoro di questi giorni abbia dato buoni frutti.

Credo bene dirti, perché tu possa condurre la tua battaglia con piena conoscenza di ogni elemento, che qui si intende mantenere un atteggiamento fermo. Alcune e famose esperienze recenti avrebbero dovuto insegnare ad antagonisti e ad amici che quando il nostro atteggiamento è fermo, è veramente e decisamente fermo. Quindi nessuna manovra intimidatoria riuscirà a far presa.

Ti aggiungo poi, per tua segreta ed esclusiva informazione, che nuovi e favorevoli sviluppi della situazione in Spagna stanno per manifestarsi. E cioè: siamo alla vigilia di una nostra offensiva in grande scala, che condurrà alla presa di Santander e forse alla liquidazione totale del fronte nord. Delegati baschi stanno segretamente trattando la capitolazione e la resa delle forze. Quindi, sarà buona tattica tirare per le lunghe. Venerdì non si concluderà molto. Ma, se una conclusione dovesse anche soltanto profilarsi, una abile manovra sabotatrice dovrà determinarne il rinvio. Una bella vittoria militare è anche di fronte al Comitato del non intervento una utile freccia per il nostro arco.

Tanto ho voluto dirti perché ho pensato che possa essere di notevole utilità.

35

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, BOSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 4739/538 Salamanca, 7 luglio 1937, ore 21,50 e 4686/539 R. (per. ore 9,55 dell'B) 1 . Telegramma di V.E. n. 16002 .

Generalissimo mi ha ricevuto stamane insieme ad Anfuso 3 . Messaggio del Duce, di cui gli ho dato lettura in lingua spagnola, lo ha commosso. Pur osservando che la resa dei battaglioni baschi gli sembra ormai difficile

34 2 Il Comitato di non intervento di Londra era stato convocato in seduta plenaria per il 9 luglio. 35 1 Di questo telegramma, giunto indecifrabile, fu chiesta la ripetizione integrale. L'ora qui indicata

è quella della ripetizione. 35 2 Vedi D. 27. 35 3 Vedi D. 28, nota l.

ad attuarsi poiché essi sono sempre più strettamente controllati dai Rossi, ha dichiarato che il rispetto e la fiducia senza limiti che egli nutre per la persona del Duce lo inducono ad accettare in massima la richiesta. Al messaggio del Duce egli risponderà con una lettera che ha promesso di preparare e di cui trasmetterò immediatamente il testo ufficiale.

Trascrivo quì appresso risposta del Generalissimo al messaggio del Duce: «Caro Duce: ricevo la V ostra lettera telegrafica e accolgo il Vostro consiglio con la fede entusiasta che tutti i Vostri atti mi ispirano; di conseguenza potete considerare accolto tutto ciò che mi avete trasmesso. La nostra condotta verso i baschi si è orientata e si eguaglia precisamente nel senso da loro richiesto, ma ritengo difficile che le forze basche obbediscano agli ordini di Aguirre e che i Rossi gli permettano di darne. La resa dei baschi -se si realizzasse -faciliterebbe notevolmente il successo finale, però nelle Asturie è possibile -e certamente si tenterà -una resistenza estrema.

Con la mia gratitudine per il Vostro interesse e per la vostra generosa cooperazione, Vi invio il più entusiastico e fervido dei saluti. Franco»4 .

34 1 Minuta autografa.

36

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4702/0206 R. Londra, 7 luglio 1937 (per. 1'8).

Mio telegramma per corriere n. 0207 1•

Mi risulta che Corbin, tornato ieri sera da Parigi, ha comunicato a Eden che il governo francese persisteva nel mantenersi assolutamente contrario a qualsiasi idea di concessione di belligeranza, e in una posizione di rigida intransigenza di fronte alle proposte italo-tedesche. Corbin ha aggiunto che Blum e le estreme sinistre avevano dichiarato a Chautemps che essi avrebbero mantenuto il loro appoggio all'attuale Gabinetto in materia di politica interna e finanziaria soltanto a condizione che Chautemps esercitasse una politica di più effettiva solidarietà coi Rossi di Valencia opponendosi non soltanto alle proposte itala-tedesche ma anche a quelle soluzioni di compromesso che apparivano guadagnare terreno in Inghilterra nel senso di un possibile riconoscimento belligeranza in cambio di un più stretto controllo navale e terrestre nonché dell'inizio ritiro volontari stranieri dalla Spagna.

Corbin avrebbe anche informato Eden delle conversazioni svoltesi a Parigi in questi giorni tra rappresentanti Valencia e ministro francese 2 . Rappresentanti Va

lencia avrebbero fatto presente a Parigi cnhca situazione in cui trovansi armate rosse e assoluta necessità procurarsi nelle prossime settimane rifornimenti armi munizioni in vasta scala, senza dei quali sarà difficile ai Rossi resistere all'imminente offensiva di Franco sul fronte Madrid-Valencia. Governo francese fa quindi appello a quello di Londra, in nome della comune politica e di comuni interessi nel Mediterraneo. Governo francese, per tramite Corbin, avrebbe inoltre aggiunto che dopo partenza della flotta tedesca dalle acque del Mediterraneo solidarietà italo-tedesca era più dimostrativa che reale, e che occorreva agire su governo Berlino il quale avendo ritirato proprie navi aveva dimostrato ormai una volontà concreta di disimpegnarsi da rischi effettivi nel Mediterraneo e pertanto doveva considerarsi come punto di minore resistenza dell'asse Roma-Berlino.

35 4 Il giorno successivo, Mussolini telegrafava all'ambasciata a Salamanca: «Per Bossi. Comunichi quanto segue al Generalissimo: Muy querido Franco, Vi ringrazio per avere accolto le mie proposte per quanto concerne eventuale resa dei baschi e colgo l'occasione per ripeterVi che V.E. e la Spagna Nazionale può contare su di me fino in fondo. Mussolini» (T. 1199/500 R. dell'S luglio). Il documento è autografo di Mussolini.

36 l Vedi D. 37. 36 2 Il presidente del Consiglio, Negrin, e il ministro degli Esteri, Girai, erano giunti a Parigi il 2 luglio e si erano incontrati con Delbos. L'ambasciatore Cerruti riferiva in proposito di avere appreso

37

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4703/0207 R. Londra, 7 luglio 1937 (per. il 9).

Seguito mio telegramma n. 584 1•

Dopo avermi parlato della Palestina Eden mi ha domandato se avevo nulla da dirgli circa situazione spagnola, particolarmente a seguito presentazione proposte franco-inglesi2 e italo-tedesche 3 .

Ho risposto a Eden che non avevo nulla da dirgli, e che facevo io a lui la stessa domanda.

Eden ha replicato che egli era preoccupato del corso degli avvenimenti, e che il governo britannico, pur riflettendo sulla possibilità di un compromesso accettabile per tutti, non aveva ancora trovato una formula soddisfacente.

Su questo argomento la discussione tra me e Eden si è allargata e si è protratta per circa un'ora.

Eden ha difeso contenuto proposte anglo-francesi e cercato dimostrare inaccettabilità proposte italo-tedesche che, secondo Eden, si risolverebbero praticamente in un vantaggio per il governo di Salamanca, la cui superiorità sul mare è innegabile.

Io ho contestato ad una ad una sue argomentazioni non senza aggiungere che ragione da lui addotta per giustificare rigetto proposte itala-tedesche dimostrava implicitamente che governo britannico ben !ungi dall'essere neutrale, interveniva di fatto, se pure indirettamente, per aiutare i Rossi di Valencia.

che i due esponenti spagnoli avevano fatto presente la situazione critica delle forze repubblicane ed avevano chiesto che il governo francese si facesse promotore di una mediazione, ottenendo assicurazioni circa l'invio di rifornimenti e soprattutto circa la mediazione che da parte francese ci si dichiarava «sicuri di poter imporre entro breve termine>> (telespresso 4787/1639 dell'8 luglio. Sul documento vi è il timbro: «Visto dal Duce»).

37 I Vedi D. 30.

Invierò dettagliato resoconto discussione4 , tra me e Eden, non priva di interesse per alcuni aspetti sempre più rivelatori dell'attitudine britannica e soprattutto francese.

Ho osservato a Eden che nel momento attuale, e cioè dopo ritiro pattuglie navali itala-tedesche, incaricate controllo coste spagnole in mano dei Rossi, situazione di fatto è in favore Rossi spagnoli. La campagna sempre più astiosa condotta dal governo francese tende invece a far credere precisamente il contrario. Ciò dimostra che vero obbiettivo della politica francese è di mandare per aria accordo non intervento così come hanno insistentemente richiesto ministri di Valencia che si sono recati a Parigi 5 .

Eden mi ha detto che era d'accordo con me nel riconoscere che, nel momento presente, se uno squilibrio esiste questo è a tutto vantaggio dei Rossi e che egli non aveva esitato a dire ciò pubblicamente alla Camera dei Comuni. «Tuttavia~ Eden ha aggiunto ~il punto cruciale di tutta la questione per il governo britannico è un altro e cioè il ritiro dei volontari stranieri dalla Spagna».

Su questo punto un'altra lunga discussione si è svolta tra me e Eden, durante la quale io gli ho ripetuto, ad uno ad uno, tutti gli argomenti dell'articolo del Duce sul Popolo d'Jtalia 6 insistendo sul fatto che la politica italiana nei confronti del conflitto spagnolo non ha altro obiettivo se non quello di difendere l'Europa e quindi anche la Francia e l'Inghilterra dal sempre più minacciante pericolo comunista. l soli non intervenzionisti in Spagna sono pertanto le Potenze che appoggiano i Nazionalisti spagnoli in quanto che una Spagna Nazionalista, ossia ordinata e forte, è la sola che possa resistere domani a qualsiasi tentativo di ingerenza straniera. Ci si deve domandare viceversa se obbiettivo delle Potenze le quali appoggiano Rossi spagnoli non sia invece quello di perpetuare in Spagna una situazione di anarchia e di debolezza al solo scopo di praticare effettiva politica di intervento in Spagna.

Eden ha risposto dicendo che egli era personalmente convinto che il Duce e

V.E. non abbiano alcuna intenzione di attentare alla integrità della Spagna. Ma il governo britannico e molti in Inghilterra sono tuttora convinti del contrario. «Sino a che vi saranno in Spagna 50 mila volontari italiani (ho interrotto su questo punto Eden dicendogli che le sue cifre erano di molto esagerate e le sue fonti di informazioni tutt'altro che accurate), è molto difficile ~ ha continuato Eden ~ che l'Inghilterra possa rimanere tranquilla su quelli che sono gli effettivi intendimenti dell'Italia in Spagna. Riconosco che il Duce ha ragione quando dichiara che i volontari sono agli ordini delle due parti, e soltanto quindi le due parti hanno facoltà decidere sulle loro sorti. Riconosco che è difficile da parte del governo italiano prendere pubblicamente un'attitudine su questo argomento tanto delicato. Ma è necessario comunque trovare un modo per risolvere questo problema che è diventato il problema centrale dell'attuale crisi spagnola e dei rapporti anglo-italiani. Quando parlo di volontari, intendo parlare non solo dei volontari italiani ma anche dei volontari stranieri che combattono per Valencia. Ad ogni modo non

ritengo possibile alcuna formula di compromesso per uscire dall'attuale situazione che non contempli le possibilità di soluzione della questione dei volontari».

È superfluo che io ripeta a questo punto a V.E. tutte le argomentazioni con cui ho ribattuto energicamente a queste dichiarazioni di Eden, anticipandogli in gran parte quello che mi propongo di dire nella seduta di venerdì prossimo, se vi sarò costretto, in Comitato plenario.

Subito dopo Eden ha ricevuto Corbin di ritorno da Parigi.

37 2 Vedi D. 3, nota l.

37 3 Vedi D. 9, nota l.

37 4 Non rintracciato.

37 5 Vedi D. 36, nota 2.

37 6 Si riferisce all'articolo l volontari e Londra pubblicato su l/ Popolo d'Italia del ! 0 luglio, in cui Mussolini aveva sostenuto che il ritiro dei volontari non avrebbe fatto cessare, né avrebbe abbreviato la guerra civile spagnola e che comunque i governi stranieri non erano in grado di obbligare i volontari a lasciare la Spagna.

38

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4705/0211 R. Parigi, 7 luglio 1937 (per. !'8).

Ho incontrato oggi Léger ad una colazione a cui era stato invitato dal presidente della Camera dei deputati, Herriot. Vi era pure il ministro degli Esteri, Yvon Delbos, al quale non ho parlato di politica. Ho invece chiesto a Léger che cosa pensasse della situazione. Mi ha risposto che era purtroppo molto pessimista perché le notizie in suo possesso non gli permettevano di condividere l'ottimismo di cui si fa eco la stampa francese diffondendo informazioni assolutamente destituite di fondamento. A giudizio di Léger, posdomani, a Londra, Italia e Germania rimarranno nella posizione assunta di opposizione recisa alla proposta franco-inglese tendente a far assumere alle flotte della Francia e della Gran Bretagna il controllo a cui rinunciarono i governi di Roma e Berlino. Francia e Inghilterra, dal loro lato, saranno irremovibili nel sostenere che se deve cessare il controllo marittimo e quello terrestre lungo il confine ispano-portoghese (in quest'ultimo è anzi cessato) non può essere conservato il controllo terrestre al confine franco-spagnolo, su territorio francese. A vero dire, la Francia sarebbe già stata in diritto di far cessare il controllo medesimo, data la decisione unilaterale adottata dal Portogallo al riguardo 1• Essa aveva peraltro preferito agire «da Grande Potenza» e mostrare qualche giorno di pazienza per non aggravare le cose. Sarebbe peraltro inevitabile l'abolizione del controllo dal Iato francese del confine nei Pirenei qualora si realizzasse l'ipotesi sopra menzionata. La conseguenza di ciò sarebbe la libertà di azione che ciascuno Stato riprenderebbe e questa nuova politica potrebbe essere di una gravità estrema, potendo allora ognuno accordare ogni specie di assistenza ai due belligeranti spagnoli. Quale potrebbe essere il modo di evitare il verificarsi di una simile situazione? Unicamente quello di far sì che al controllo marittimo e terrestre attualmente applicato, e che dovrebbe cessare di esistere, si sostituisca un'altra forma di controllo.

38 l Con nota del 28 giugno, il governo portoghese aveva comunicato al governo britannico che erano annullate le facilitazioni concesse sul suo territorio agli osservatori britannici del sistema di controllo (testo della nota in DP, vol. IV, D. 1124). In proposito si veda serie ottava, vol. VI, DD. 798 e

813

Avevo rilevato la pessima impressione causata in Italia dalla notizia del viaggio a Parigi dei ministri di Valencia, Negrin e GiraF, i cui colloqui con gli uomini di Stato francesi erano stati avvolti di tale mistero da originare ogni sorta di supposizioni.

Léger rispose che il governo francese riconosce un solo governo in Spagna, quello legale. Non gli sembrava pertanto anormale che il Presidente del Consiglio ed il ministro degli Affari Esteri spagnoli avessero desiderato intrattenersi con gli uomini di governo francesi. Il loro viaggio non aveva del resto avuto carattere ufficiale, né ufficioso: era stato di natura privata ed informativa, cosa perfettamente logica soprattutto alla vigilia di un possibile radicale mutamento dell'attitudine delle Potenze che finora avevano seguito la politica concorde del non intervento. Léger si astenne dal fornirmi qualsiasi informazione circa le conversazioni fra gli uomini politici spagnoli e francesi.

Dopo la conversazione avuta meco, dalla quale Léger dovette trarre l'impressione che la nostra intransigenza è assoluta, egli si ritirò in un angolo del giardino del Palais Bourbon insieme al ministro Delbos ed all'ambasciatore d'Inghilterra coi quali ebbe una lunga conversazione.

Sir Eric Phipps, che avevo avuto occasione di vedere iersera, si era pure espresso meco in senso tutt'altro che ottimista, dicendomi dal suo lato che egli non comprendeva come la stampa tanto francese che inglese potesse parlare, di «migliore comprensione reciproca» mentre la verità gli sembrava essere proprio il contrario.

39

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4346/1134. Washington, 7 luglio 1937 (per. il 24).

Ho riferito con il telegramma di ieri n. 292 1 sulla conversazione -durata un'ora e mezza -che ho avuto col Segretario di Stato, signor Hull.

Data l'assenza dell'America dal Comitato del non intervento ed in genere l'atteggiamento di détachement dalle questioni politiche europee, non era il caso di chiedergli alcuna azione diretta; mi sono quindi limitato a chiarire il punto di vista italiano e i termini delle recenti proposte italo-germaniche2 mettendo in particolare rilievo quanto si è fatto per conchiudere e mantenere l'accordo fra le Quattro Potenze e ricordando che le prime proposte per una vera ed effettiva neutralità erano partite dall'Italia e non erano allora state accolte dalle altre Potenze.

Il Segretario di Stato mi ha risposto che l'America vuol mantenersi assolutamente estranea a questo conflitto e non intende prendere in alcun modo posizione; ciò non toglie che il suo Paese sia grandemente interessato a che si venga ad un

39 I T. 4681/292 R. del 6 luglio che riferiva sul colloquio in modo sintetico. 39 2 Vedi D. 9, nota l.

accordo fra le Potenze europee in modo che il pericolo di estensione del conflitto sia limitato; che il suo governo confida molto nell'opera dei dirigenti la politica europea ed in quella del Duce le cui recenti dichiarazioni fatte nella nota intervista3 erano state qui giustamente valutate ed altamente apprezzate.

Dopo messa in rilievo la buona volontà dimostrata dal governo italiano a tale riguardo e la base realistica delle proposte italo-germaniche, ho toccato la questione delle manifestazioni, intensificatesi in questi ultimi giorni, al Senato, alla Camera, nella stampa o da parte di associazioni pacifiste e radicali, per una estensione dell'embargo all'Italia ed alla Germania.

Il Segretario di Stato, riconoscendo ch'egli subiva delle pressioni molto forti in questo senso, mi ha affermato però di confidare che nulla sarebbe intervenuto a mutare l'atteggiamento preso dal Dipartimento di Stato al riguardo.

Ho chiarito per parte mia che le simpatie italiane per Franco trovavano una perfetta rispondenza in quelle di altri Paesi per il governo di Valencia (conseguenza delle rispettive impostazioni ideologiche) e che la situazione italiana nei riguardi della questione spagnola non era per nulla diversa da quella degli altri Paesi; anzi ritenevo che italiani e tedeschi erano intervenuti ~-sempre in forma individualea favore di Franco soltanto dopo che da parte russa si era dato un carattere di lotta antifascista all'azione del governo di Valencia.

11 Segretario di Stato mi ha detto di riconoscere tale identità di situazioni fra i vari Paesi e di aver anzi usato egli stesso tale argomento contro le pressioni accennate più sopra.

Ho anche esposto al signor Hull come la questione spagnola non abbia nulla a che fare con la questione mediterranea e come nel Mediterraneo noi, non meno degli altri, siamo impegnati ed interessati a mantenere l'attuale equilibrio.

Il Segretario di Stato, pur avendo seguito con interesse la mia esposizione della questione spagnola, mi è parso soprattutto preoccupato di mettere in rilievo i pericoli ch'egli vedeva nell'attuale situazione economica mondiale e nella corsa agli armamenti. Il signor Hull mi ha esposto ancora una volta le sue note idee sulla necessità di una collaborazione economica fra le varie nazioni come base di una stabilizzazione politica mondiale. Egli vede al centro la questione economica fiancheggiata da una parte della questione degli armamenti e dall'altra dalla questione dei regolamenti monetari; ritiene che per una effettiva opera di stabilizzazione mondiale bisogna cercare la soluzione di tutti questi problemi, poiché la soluzione parziale di uno degli stessi non potrebbe altrimenti avere carattere duraturo. Fra i tanti esempi citati (egli ama parlare per esemplificazione e per parabole) c'è stato quello della regolazione dei debiti di guerra. Cerco di essere preciso su questo punto perché la cosa ha un certo interesse. Egli mi ha detto:

«Se io andassi nelle varie capitali di Europa, Londra, Parigi e Roma, a trattare per una regolazione dei debiti e regolassi la questione, ad esempio sulla base di un taglio del 50, del 20 o del 10 per cento, ritornando al mio Paese io sarei considerato un traditore degli interessi dei taxpayers americani. Viceversa, se alla stessa

soluzione si arrivasse per un accordo di carattere generale in cui ogni Paese portasse il proprio contributo, la cosa non solleverebbe obiezioni».

Il Segretario di Stato ha conchiuso:

«Voi non potete avere idea fino a qual punto questo Paese sia ben disposto a collaborare con tutti gli altri per uno stabilimento di condizioni generali nel mondo che assicuri la pace ed aumenti il benessere dei popoli».

Ho chiesto al Segretario di Stato come egli vedesse praticamente il raggiungimento di tale programma che mi pareva dover essere accettato come principio da tutte le Nazioni. Non c'è dubbio che l'Italia vede con altrettanta simpatia dell'America il raggiungimento di questo fine, tuttavia la politica italiana è in molti punti diversa dalla politica americana per ragioni di ambiente, per difficoltà e pressioni determinate da problemi che esistono in Europa e non esistono in America. Il problema è appunto quello di trovare la via pratica per arrivare all'intesa, intesa che per essere duratura deve tenere conto delle necessità e delle legittime aspirazioni di tutti i Paesi.

Non ho potuto ottenere dal Segretario di Stato, che d'altra parte come è noto ama parlare in forma dottrinaria ed apocalittica4 , una precisa risposta su tale punto. Egli mi ha risposto che la realizzazione di tale programma dipendeva dal senso di responsabilità dei dirigenti nei singoli Paesi; ha aggiunto che pur comprendendo i nazionalismi (è anche lui un nazionalista per il suo Paese) riteneva che questi non dovessero essere diretti alla lotta, ma alla collaborazione.

Ho insistito chiedendo se egli riteneva che in un determinato momento dovesse subentrare un'azione collettiva per esercitare una più forte pressione al fine di raggiungere tale cooperazione internazionale ed ho aggiunto che, a mio parere personale, questa azione collettiva non avrebbe potuto essere iniziata con successo che nel momento psicologico opportuno. Ho anche accennato a q'uesto riguardo all'intervista del Duce con Simms, facendo presente che l'idea del Capo del governo era appunto quella di far sapere che quando l'America avesse creduto giunto il momento psicologico per tale iniziativa, egli sarebbe stato pronto ad appoggiarla. Ciò non vuoi dire che l'attuale momento sia quello opportuno: per esempio io, parlando sempre a titolo personale, dubitavo che una iniziativa per la limitazione degli armamenti potrebbe ora ottenere successo in quanto è chiaro che la Gran Bretagna per ora non vuole intralci all'esecuzione del suo programma di armamenti.

Il Segretario di Stato mi ha osservato che sarebbe pericolosissimo rimandare ogni iniziativa ad un tempo a venire con l'idea che il momento non è opportuno. Mi ha ricordato che egli è andato a Montevideo qualche anno fa, quando molti Paesi del Sud America gli avevano fatto sapere che il momento non era opportuno per un accordo negli Stati americani; ha avuto allora (me lo diceva in tutta confidenza) una discussione di ventiquattr'ore col signor Saavedra Lamas e in conclusione si è fatto il primo passo dell'accordo interamericano che ha avuto un successo indescrivibile. Quindi i governi bisogna che si mettano all'opera fin da ora per svolgere questo programma che potrà avere delle fasi successive di realizzazione.

Alla mia richiesta come egli vedesse questo lavoro di preparazione, mi ha risposto che gli pareva, ad esempio, mo!to utile avere più frequenti contatti fra personalità dirigenti dci vari Paesi. Per rimanere nel campo economico, egli avrebbe visto con favore che personalità di primo piano della politica italiana fossero venute agli Stati Uniti per discutere con le competenti autorità americane di tali problemi.

A conclusione di questa conversazione, il Segretario di Stato mi ha detto di confidare nella buona volontà italiana, dimostrata anche nelle recenti dichiarazioni di uomini di governo, c mi ha invitato ad andare da lui, sia all'ut1ìcio che a casa sua, ogni qual volta ritenessi di poter discutere con lui utilmente qualche idea che potesse essere di giovamento per instaurare la collaborazione a cui egli s'ispira.

Come mia impressione aggiungo: il Segretario di Stato, evitando accuratamente tìn ogni accenno al riguardo, ha voluto darmi l'impressione che l'America non pensa per il momento a farsi iniziatrice di alcuna conferenza, sia nel campo economico che in quello del disarmo. Ha voluto d'altronde darmi l'impressione che, qualunque possa essere l'atteggiamento ideologico delle correnti dominanti nel Paese e particolarmente nella stampa, il governo americano apprezza e ricerca la collaborazione italiana non meno di quella delle altre Grandi Potenze occidentali, come l'Inghilterra e la Francia. Nella questione spagnola mi ha manifestato nel modo più preciso --d'altronde non potevo aspettarmi reazione diversa ---l'assoluta volontà americana di non essere in nessun modo immischiati in tale questione.

Riferisco separatamente sulla visita di Van Zeeland in base agli elementi raccolti non solo dal Segretario di Stato, ma anche da altre fonti 5•

38 2 Vedi D. 36, nota 2.

39 3 Riferimento all'intervista rilasciata il 24 maggio precedente da Mussolini al giornalista americano Simms. Si veda MussoLJNI, Opera Omnia, vol. XXVIII, pp. 184-185, dove è riportato il riassunto pubblicato dai giornali italiani. In proposito si veda serie ottava, vol. VI, DD. 632, 65L 656, 668 e 669.

39 4 Sic.

40

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 2825. Londra, 7 luglio 1937 (per. 1'8).

Ti accludo questo numero del Bystander che, come sai, è uno dei giornali settimanali di carattere mondano che si pubblicano a Londra, e che si vende quasi esclusivamente in mezzo al cosiddetto gran mondo londinesc.

È la prima volta che il Bystander osa dedicare una pagina alla presentazione di un personaggio comunista già conosciuto come esiliato nichilista nelle galere della capitale inglese: Litvinov. Questa vecchia c grottescamente schifiltosa società londinese, la quale sinora ha considerato tutto quanto potesse riferirsi al comunismo russo come l'incarnazione demoniaca dell'anti-Cristo di cui era proibito di parlare a pena di passare per maleducati, accoglie oggi con rispetto l'effigie di Litvinov.

Non Ti segnalerei questo fatto, per se stesso di ben scarsa importanza, se esso non si inquadrasse in una situazione politico-psicologica e non fosse un indice di una mentalità assolutamente nuova che ha guadagnato terreno in questi ultimi mesi in Inghilterra per effetto del conflitto spagnolo. La mentalità dell'inglese in questo momento è stranamente analoga a quella precedente il 1914, quando la Francia era definita «Potenza alleata» e la Russia «Potenza associata».

Anche i vecchi conservatori di destra hanno ormai abbandonato definitivamente la loro pregiudiziale anti-sovietica. Non c'è da farsi nessuna illusione su questo punto. Per l'Inghilterra ormai, di destra e di sinistra, la Russia non rappresenta un pericolo sociale, ma semplicemnte una nuova «democrazia» che si allinea a fianco delle vecchie democrazie dell'Occidente. Sono queste parole del più acceso mangia-comunista sino a ieri, di Winston Churchill. Pur di neutralizzare quella che essi chiamano «la minaccia italiana contro i vitali interessi britannici in Spagna e nel Mediterraneo», i conservatori inglesi oggi sono disposti a mettersi d'accordo anche col diavolo.

Tu conosci senza dubbio un'altra frase detta e ripetuta dallo stesso Churchill fino alla sazi età: «Se fossi italiano sarei per Franco, essendo inglese sono per i Rossi di Valencia».

Nei due o tre cinematografi di Mayfair, ossia in quelli frequentati quasi esclusivamente dal pubblico elegante del quartiere tradizionalmente conservatore, io stesso ho assistito più volte in questi ultimi tempi a dimostrazioni di smaccata simpatia da parte del pubblico ogni qual volta compaiono sullo screen le milizie rosse che combattono agli ordini dei comunisti spagnoli 1 .

39 5 Il documento ha il visto di M ussolini.

41

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 1192/277 R. l. Roma, 8 luglio 1937, ore 2.

Tuo 594 2 .

Ti prego voler comunicare a Eden che il Duce ha dato disposizioni alla radio di Bari di astenersi da ogni attività diretta a creare perturbamenti in Palestina. Personalmente ne controllerà le trasmissioni. Nel fare questa comunicazione, vorrai mettere molto in rilievo la prova di spirito di collaborazione data dal Duce in un settore molto delicato e nel quale la nostra azione può avere una singolare importanza.

Naturalmente il Duce si attende una ripercussione molto favorevole sull'atteggiamento britannico nei nostri riguardi a cominciare dalla questione del non intervento.

41 l Minuta autografa. 41 2 Riferimento errato. Si tratta del T. 4649/584 R., qui pubblicato come D. 30.

40 l Il documento ha il visto di Mussolini.

42

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4776/126 R. Rio de Janeiro, 8 luglio 1937, ore 20,15 (per. ore 14 del 9).

Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 1184 1• Esiste effettivamente iniziativa brasiliana presso tutti i governi sud-americani per promuovere riconoscimento di belligerante al governo di Franco.

Questo ministro Affari Esteri 2 , che mi aveva precedentemente informato di questa iniziativa (mio rapporto n. 463 del due luglio) 3 mi ha ora comunicato di aver già ricevuto alcune risposte, che sono favorevoli da parte del Cile, Perù, Bolivia, ma nettamente contraria da parte Argentina.

Alla mia domanda se il Brasile avendo interpellato altri governi sud-americani non rimaneva vincolato da opposizione altrui, ha risposto non essere affatto vincolato e che intende procedere al riconoscimento di belligerante a Franco anche contro atteggiamento Argentina.

Nei riguardi America del Nord, ministro mi ha detto avere notizie contraddittorie sopra atteggiamento Washington, che però presume non favorevole in questo momento. Ciò non impedirà a governo brasiliano di procedere nel suo intendimento malgrado finanza americana e negoziati che il ministro delle Finanze brasiliano sta conducendo a Washington.

Ho detto a ministro degli Affari Esteri che il Brasile, portando il peso del proprio giudizio morale e di quello di altre Repubbliche sud-americane sopra la questione che sta spingendo Europa alle soglie della guerra, può determinare fatti decisivi e far tracollare [sic] l'opinione pubblica mondiale con sollievo per l'umanità e con grande accrescimento del prestigio brasiliano, ma che occorre far presto.

Ministro mi ha detto essere convinto che valore di questo gesto risiede nella sua tempestività, ma avere bisogno di completare sua documentazione sopra atteggiamento delle altre Repubbliche sud-americane ed inoltre sgombrare terreno dalle complicate questioni relative ai rifugiati che vivono entro le sedi diplomatiche sud-americane a Madrid. Sembra che questa questione preoccupi soprattutto il Cile.

Sta a me ora di insistere in tutti i modi per accelerare realizzazione piano brasiliano, ma permettomi suggerire che RR. rappresentanze nel Sud-America premano ugualmente affinché gli altri governi favorevoli facciano presto. E poiché atteggiamento Brasile è approvato già da ambasciatore del Brasile a Parigi 4 con notevole telegramma che questo ministro degli Aftàri Esteri mi ha letto, sarebbe opportuno che R. ambasciatore in quella capitale inducesse suo collega brasiliano

42 2 Mario Pimentel Brandào. 42 3 Non pubblicato. 42 4 Luiz Mattins de Souza-Dantas.

ad insistere ancora presso questo governo con urgente segnalazione sulla impellente necessità di affrettare il gesto5 .

42 l Vedi D. 26.

43

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO

T. UFF. SPAGNA 1630, 1631 e 1632 R. 2 . Roma, 8 luglio 1937, ore 21.

Mi riferisco al telegramma di Bossi n. 5383 . A seguito della piena accettazione da parte di Franco dei desiderata dei delegati di Aguirre per la resa completa delle forze basche come da mio telegramma n. 16004 prego V.E. conformemente alle richieste dei baschi di concretare con i delegati militari baschi condizioni e modalità tecniche della resa in modo che essa abbia luogo nel più breve tempo possibile e con le garanzie che appariranno a V.E. più opportune. Tenga al corrente Franco delle trattative. Resta inteso che trattative stesse non debbono in alcun modo arrestare od ostacolare nota operazione su Santander. Mi telegrafi. Dia copia presente a Bossi.

Ad ogni buon fine le aggiungo che qui attribuiamo la massima importanza alla resa basca nelle nostre mani. Cerchi quindi di condurre le trattative con la massima celerità.

Ai due delegati baschi 5 ho detto di consigliare ad Aguirre di arrendersi subito al Comando Italiano, senza perdere tempo nei cavilli dei negoziati dato che ogni ritardo può pregiudicare la loro posizione. Se e quando le forze basche si arrenderanno V.E. farà loro trattamento secondo usi di guerra ed impedirà che su popolazioni civili vengano esercitate rappresaglie.

44

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A SALAMANCA, VIOLA

T. 1202/281 (Londra) 503 (Salamanca) R. Roma, 8 luglio 1937, ore 23.

(Per Londra) Bossi telegrafa in data odierna 1 quanto segue:

44 I Con T. Uff. Spagna 2044/543 dell'8 luglio.

49 «Generalissimo mi prega in via eccezionale data urgenza del caso trasmettere

V.E. con preghiera di urgente riscontro il seguente telegramma:

Il lo luglio governo portoghese ci ha chiesto nostro punto di vista circa ritiro volontari. Abbiamo risposto nel seguente modo:

l) Spagna Nazionale non tratta se prima non è stata riconosciuta come belligerante.

2) Il fatto che i Rossi vedendo Madrid perduta fecero affluire gli Internazionali che li salvarono dal crollo sta a dimostrare che il ritiro dei volontari se eseguito di buona fede ci converrebbe. Però la Spagna Nazionale non può avere fiducia nell'adempimento di esso, dato che il controllo si è dimostrato insufficiente ad impedire l'entrata dalla frontiera francese di materiali e volontari.

3) I Rossi spingono le Nazioni a prendere una iniziativa che li favorisse perché vedono ridursi il numero dei volontari. Quanto ai pochi che ancora continuano a giungere (via Francia) essi vengono naturalizzati spagnoli il che è un'altra prova della malafede del governo di Valencia.

4) Manca ogni garanzia che i volontari evacuati non facciano ritorno in Spagna via Marsiglia-costa catalana o frontiera franco-spagnola.

Il Portogallo garantisce che Inghilterra è favorevolmente disposta e chiede se può servirsi della nostra risposta per il caso che lo ritenga necessario del nostro interesse e per evitare il fallimento del Comitato di non intervento.

Prego V.E. comunicarmi se suo governo ha da muovere obiezioni tenendo presente che la nostra risposta richiede come presupposto a ogni trattativa il riconoscimento di belligeranza, che essa non ci compromette su alcun punto e che può servire a chiarire la situazione internazionale in modo favorevole per i Paesi a noi amici.

In caso che V.E. non abbia obiezioni, pregola dare disposizioni al suo ambasciatore in Londra di mettersi in contatto con il ministro2 portoghese. Prego rispondere con la massima urgenza. Analoga comunicazione è stata fatta al governo tedesco». Fine del telegramma del governo spagnolo. Bossi».

Ho risposto a Bossi quanto segue:

«(Per tutti) Suo telegramma odierno.

Informi Franco che modo di considerare questione ritiro volontari da parte sua quale risulta dai vari paragrafi della risposta da lui data al governo portoghese e dalle considerazioni che egli fa seguire nella comunicazione fattami a suo mezzo, è perfettamente condiviso da governo fascista. Gli dica in conseguenza che non abbiamo nessuna obiezione da fare alla risposta da lui data al governo portoghese e che diamo senz'altro disposizioni al R. ambasciatore a Londra di mettersi subito in contatto col ministro del Portogallo come richiesto.

Aggiunga che informiamo anche il governo tedesco a cui Franco ha fatto uguale comunicazione giacché appare essenziale che la comunicazione al governo inglese della risposta spagnola del nostro assenso, nonché il giudizio sulla sua opportunità e sul modo e sul tempo di farla siano concordati fra i tre rappresentanti italiano, tedesco e portoghese al fine di mantenere completa unità di azione fra i tre governi».

(Solo per Londra) V.E. vorrà regolarsi in conseguenza. Ho telegrafato alle RR. rappresentanze a Berlino 3 ed a Lisbona 4 perché Ribbentrop e Monteiro ricevano analoghe istruzioni.

42 5 Con T. 1223/c. R. del 12 luglio, Ciano incaricava l'ambasciatore Cerruti di agire presso il suo collega brasiliano nel senso indicato da Lojacono. Uguali istruzioni erano inviate -con lo stesso telegramma-a Grandi e ad Attolico nell'intento di far giungere al governo di Rio de Janeiro segnalazioni e consigli analoghi da parte dei suoi ambasciatori in tutte le maggiori capitali europee.

43 l Ed. in RoVIGHI e STEFANI, p. 591.

43 2 Minuta autografa.

43 3 Vedi D. 35.

43 4 Vedi D. 27.

43 5 Vedi D. 25 e D. 48, nota 2.

44 2 Sic. Il rappresentante del Portogallo a Londra aveva il rango di ambasciatore.

45

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 4731/50 R. Roma, 8 luglio 1937 (per. il 9 ).

Ieri sera stessa, dopo la visita all'E. V. 1 , ho riaccompagnato in Vaticano monsignor Pizzardo, e ho assistito alla redazione del telegramma al cardinale Gomà.

Le istruzioni ali 'incaricato officioso della Santa Sede presso il generale Franco, sono state presentate al cardinale Pacelli e spedite immediatamente a destinazione. Il telegramma è stato compilato sulla traccia delle note prese da monsignor Pizzardo, durante il colloquio con V.E. Il cardinale Gomà ha ricevuto l'incarico di presentare al generale Franco un messaggio del Papa. Il Pontefice, riferendosi alle trattative in corso con il governo basco, prega il generalissimo Franco di accogliere l'offerta di resa dei baschi, mettendo fine a uno spargimento di sangue, ormai, inutile. Il Papa fa appello ai sentimenti cattolici professati dal Capo del governo nazionale e gli domanda di risparmiare il popolo basco che se ha errato, è pure sempre un popolo cristiano. Il cardinale Gomà ha l'ordine di fare vive insistenze al fine d'indurre Franco a seguire i consigli del Papa che sono ispirati anche a senso di saggezza politica.

Nella prima redazione del telegramma era fatto riferimento a un possibile riconoscimento del governo nazionale, in caso di completa adesione alla domanda del Papa. Il cardinale Pacelli, però, mentre si è assunta la responsabilità di spedire il telegramma-messaggio senza la previa approvazione papale, non ha voluto che si parlasse di riconoscimento.

Il cardinale Segretario di Stato ha accettato pienamente il suggerimento del Duce d'inviare al più presto a Bilbao un emissario officioso della Santa Sede. Monsignor Pizzardo si metterà subito alla ricerca della persona adatta. Da parte mia insisterò perché si faccia presto.

Com'è noto all'E.V., il cardinale Segretario di Stato parte questa mattina per Lisieux come Legato papale. Lo accompagna monsignor Tardini. La Segreteria di Stato resterà affidata esclusivamente a monsignor Pizzardo.

44 3 Con T. 1203/249 R. dell'8 luglio. Attolico rispose, il giorno successivo, di avere effettuato il passo prescrittogli, aggiungendo che probabilmente il governo tedesco si sarebbe interessato anche del ritiro dei volontari civili (T. 4747/269 R. del 9 luglio).

44 4 Con T. 1204/78 R. dell'8 luglio. Il ministro Mameli rispose con T. 4971/167 R. che Sa1azar gli aveva fatto pervenire le assicurazioni richieste. 45 l Non si è trovata documentazione di questo colloquio.

46

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 4734/51 R. Roma, 8 luglio 1937 (per. il 9 ).

Da informazioni confidenziali pervenute alla Segreteria di Stato risulta che fra le alte gerarchie naziste, solo il generale Goring sarebbe favorevole a mettere un termine alla vertenza con la Santa Sede. Le disposizioni del ministro prussiano alla pacificazione non dipenderebbero, tuttavia, da motivi ideali in quanto che egli non avrebbe speciali tenerezze per la Chiesa Cattolica e per la Santa Sede. Ma il generale Goring ha bisogno di molti milioni di marchi per la preparazione militare, anche perché la Germania dovrebbe ormai sostituire -così dice l'informatore una parte del suo materiale bellico invecchiato per fronteggiare il modernissimo materiale che l'Inghilterra e la Francia stanno mettendo in linea. Ma se la ricerca del denaro è difficilissima, per il Reich, il generale Goring sa ch'egli non troverebbe in nessun caso quello che gli occorre se il Vaticano si mettesse attraverso. Per questo e solo per questo, il ministro di Prussia vorrebbe che si mettesse fine al più presto alla contesa con la Santa Sede. Secondo monsignor Pizzardo, dal quale ho avuto le surriferite informazioni, è, dunque, sul generale Goring che dovrebbe puntare un'eventuale azione mediatrice.

47

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 3333/1 111. Berlino, 9 luglio 1937 (per. il 12).

Le informazioni fornite dalla R. ambasciata presso la Santa Sede con sua comunicazione del l o corrente (telespresso V.E. in data 6 luglio n. 222799/c.)l, mi sembrano rivestire, per l'avvenire dei rapporti fra Germania e S. Sede, la massima importanza. Particolarmente degno di nota mi pare, soprattutto, l'accenno fatto da von Bergen alla possibilità di sostituire il regime concordatario attualmente vigente fra Vaticano e il Reich con un regime separazionista.

O io mi sbaglio o questo può essere l'antifona di un salmo destinato ad essere solennemente cantato al prossimo Congresso del partito nazionalsocialista a Norimberga (6-13 settembre). Se una idea simile si è fatta strada nella testa dei dirigenti del 3° Reich (e la cosa è plausibile dato che coincide con la linea dei più recenti discorsi del Fuhrer e di Goebbels) non è da escludere che Hitler, con la stessa «iniziativa» usata in altre occasioni e per altre questioni (parità di diritti,

52 armamenti, etc., etc.) e prescindendo da ogni e qualunque preparazione diplomatica, metta prossimamente il Vaticano di fronte ad un «fatto compiuto». È inutile dire che la cosa -la quale si presterebbe perfino a spunti demagogici a sfondo pseudo-liberale -incontrerebbe l'entusiastico favore del partito.

Che, ridotte le cose a questo punto, una soluzione in questo senso possa persino convenire può anche darsi: d'altro canto, è pure da riflettere che un regime separazionista in Germania, al quale si venisse in seguito ad aperta rottura di quello concordatario, non potrebbe essere affatto giudicato alla luce dei precedenti, non dico del Brasile, ma della stessa Francia. E, del resto, il cardinale Segretario di Stato lo ha capito quando ha detto (rapporto Pignatti del l o corrente) che «la separazione in regime nazista tenderebbe, verosimilmente, a rinchiudere il sacerdote nelle Chiese per recitare il Pater noster e l'Ave Maria con il divieto, forsanco, di recitare il Credo». Né è da escludere che le conseguenze di questo nuovo stato di cose -che lo spirito nazionalsocialista s'incaricherebbe di elevare a «nuova riforma» -potrebbero pesare sulla Germania per lunghi decenni.

Eppure, ancora il 20 marzo u.s. -qualche settimana prima della nota Enciclica2-il Fuhrer dichiarava al professar Manacorda 3 di «essere disposto a eque concessioni, a imporre un forte freno alla propaganda neopagana, e, persino, ad un modus vivendi sul problema della sterilizzazione ... ».

Indubbiamente, la situazione è ora-e quanto!-mutata. Sta al Vaticano di considerarne le conseguenze e gli sviluppi, che, pertanto, credo possibile intravedere come appresso:

o la S. Sede desidera essa stessa arrivare alla separazione, giudicandola, ripeto, nelle circostanze come il minore dei mali, ed allora basta che essa non faccia niente. Penserebbe assai probabilmente il Fuhrer, in settembre, a proclamare che la Germania ridà a se stessa anche l'ultima «libertà» che ancora le manca e cioè la libertà religiosa;

oppure il Vaticano non desidera arrivare alla separazione o quanto meno non desidera arrivarci senza combattere o resistere ed allora è esso, ormai, a dover agire.

In quale modo?

Non ve ne sarebbe che uno: proporre una revisione dell'attuale concordato e c1o magari sotto forma di «fusione» di tutti gli atti fra Reich e S. Sede di cui l'attuale regime concordatario è composto e cioè: Concordato per la Baviera; Concordato per il Baden; Concordato per la Prussia; Concordato per il Reich. Una fusione di questi quattro atti entrerebbe nella logica delle cose, e fornirebbe forse l'occasione per salvare quel pochissimo che è ancora salvabile dei preesistenti privilegi del regime concordatario.

Non è detto che delle trattative in questo senso dovrebbero necessariamente aver successo. Anche, però, se non ne avessero, sarebbe sempre possibile, attraverso di esse, arrivare, fra Stato e Chiesa Cattolica in Germania, ad una «separazione consensuale» anziché ad un vero e proprio «divorzio».

Desidero chiarire che, nel dir questo, io non mi permetto di dar consigli, sia in un senso, sia in un altro. Non faccio che, da modesto osservatore, cercare di prospettare gli elementi di una situazione, che, per parecchi aspetti, è molto interessante anche per noi4 .

47 1 Ritrasmetteva il D. 6.

47 2 Si riferisce all'Epistola Enciclica Mi! brennender Sorge del 14 marzo 1937, resa pubblica il 21 marzo (testo in Acta Apostolicae Sedis, vol. 29, pp. 145-167). 47 3 Del colloquio avuto dal professor Manacorda con Hitler intorno alla metà di marzo non è stata trovata documentazione. Si vedano in proposito gli accenni contenuti in serie ottava, vol. VI, D. 440).

48

IL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UFF. SPAGNA 2068/7559. Salamanca, 10 luglio 1937, ore 11,50 (per. ore 18.30).

Riferimento 1630 del 9 corrente 1• N o n potendomi assentare per ovvie ragioni dalla sede del Comando ho disposto che note trattative siano svolte personalmente da generale Roatta coadiuvato da ufficiali dell'Ufficio Informazioni. Generale Roatta travasi S. Sebastiano ed è meco in continua relazione.

Conforme direttive V.E. contenute in radio 16352 ho fatto noto al generale Roatta di giuocare su tempo arresto nota operazione che giudico sarà anche superiore ai 5 giorni. Superfluo aggiungere che occorrendo mi recherò io stesso S. Sebastiano. Non mancherò tenere informato V.E. sviluppo trattative stesse. All'uopo gradirei conoscere quando noti plenipotenziari hanno lasciato o lasceranno Roma 3 .

49

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE Roma, 10 lugho 19 3 7 (per. l'11). 4812/52 R.

Telegramma per corriere del 9 corrente n. 1209 1 .

47 Il documento ha il visto di Mussolini.

Ho informato confidenzialmente monsignor Pizzardo dell'adesione di Franco alla proposta dei delegati del signor Aguirre relativa alla resa totale delle forze basche.

In Segreteria di Stato non è pervenuta finora la risposta del cardinale di Toledo. Frattanto, il Segretario per gli Affari Straordinari ha messo, stamane, al corrente il Pontefice dell'azione svolta in suo nome dalla Santa Sede. Il Pontefice ha approvato tutto e, a proposito della persona da inviare sul posto, ha osservato che monsignor Costantini sarebbe, di tutti, il più adatto. Il Papa, però, si è riservata la decisione. Siccome monsignor Costantini parte stasera per Salsomaggiore, per una cura di otto giorni, ho indotto monsignor Pizzardo a parlargli subito della cosa nella supposizione che la scelta cada su di lui. Monsignor Pizzardo mi ha pregato di tenere la cosa segreta perché il Papa potrebbe cambiare avviso. Ho insistito pure perché monsignore ritorni domani dal Pontefiice per metterlo al corrente degli ultimi avvenimenti e fargli presente l'urgenza di confermare la scelta di monsignor Costantini.

A proposito delle trattative in corso per la resa, monsignor Segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari mi ha detto che se il signor Aguirre e il canonico Onaindìa sono sinceri, tutto il Paese basco seguirà i loro ordini. In modo speciale il canonico avrebbe in suo potere tutto il clero basco e lo dirige a suo piacimento.

Monsignor Pizzardo mi ha assicurato che mi terrà informato delle notizie che riceverà e mi ha pregato vivamente di tenerlo al corrente dell'andamento delle trattative per la resa anche per il caso fossero necessari tempestivi interventi della Santa Sede.

48 1 Vedi D. 43, che è dell'8 luglio.

48 2 T. Uff. Spagna 1635 del 9 luglio. Comunicava al generale Bastico che i due inviati baschi presenti a Roma avevano chiesto un rinvio dell'offensiva su Santander per consentire l'evacuazione dei civili. Ciano esprimeva l'opinione che la richiesta potesse essere accolta, visto che per motivi tecnici l'operazione era stata già ritardata e che si poteva «approfittare di questa sosta militare dipesa da altre cause per accelerare le trattative e la eventuale operazione di resa».

48 3 Ciano comunicava con T. Uff. Spagna 1665 del IO luglio che gli inviati baschi erano partiti in mattinata per Saint Jean de Luz

49 1 Con T. per corriere 1209 R. del 9 luglio, Ciano aveva comunicato che Franco aveva accettato i desiderata di Aguirre, pur essendo convinto che difficilmente i baschi avrebbero obbedito, e che era stato dato ordine al Comando Truppe Volontarie di concordare con i militari baschi le modalità di esecuzione della resa. «Converrà --aggiungeva Ciano -che emissari ufficiosi della Santa Sede svolgano opportuna azione perché baschi osservino fedelmente tutte le proposte fatte e facilitino conclusione trattativa resa e sua applicazione».

50

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 4815/53 R. Roma, 10 luglio 1937

(per. 1'11 ).

Mio telegramma per corriere odierno n. 52 1 . Ho rivisto in serata monsignor Pizzardo. Egli aveva parlato a monsignor Costantini che non aveva fatto grosse difficoltà ma si era riservato una risposta definitiva per domattina.

Monsignor Pizzardo si incontrerà nuovamente domattina con monsignor Costantini prima di essere ricevuto dal Papa. Se il Segretario di Propaganda Fide non avanzerà obiezioni, monsignor Pizzardo insisterà per avere dal Pontefice la nomina di monsignor Costantini a Visitatore Apostolico dei Paesi Baschi. La missione del suddetto prelato sarà presentata al generale Franco sotto questa forma. Ho avuto la netta impressione che la Santa Sede non desideri attribuire al Visitatore un qualsiasi compito politico. Credo che la Santa Sede ci tenga a salvare le forme ma che di fatto il Visitatore, avendo la missione d'imbrigliare il clero e compiti umanitari,

SOl Vedi D. 49.

realizzerà appunto quello che si desidera. Se poi la scelta cadrà, come è sperabile, su monsignor Costantini, mi pare che si possa essere sicuri che egli svolgerà un'azione adatta alle circostanze.

51

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE 2708/1328. Vienna, 10 luglio 1937 (per. il 12).

Mio telegramma odierno n. 1321•

Con una riunione plenaria del pomeriggio d'oggi nella quale è stato concordato il breve ed anodino comunicato pubblicato stasera, la Commissione austro-germanica per l'accordo dell'Il luglio ha chiuso i suoi lavori, iniziatisi il 6 corrente. Per affermare il carattere permanente e periodico della Commissione, prevista all'art. X dell'accordo, ne è già fin d'ora annunziata la riconvocazione a Berlino, probabilmente nell'autunno avanzato.

Il risultato più importante di questa prima sessione è che si è offerta per la prima volta l'occasione ad uno scambio di idee, aperto e coraggioso, non solo tra rappresentanti dei due ministeri degli Esteri, ma anche tra rappresentanti del partito nazionalsocialista germanico e del Fronte Patriottico austriaco.

La presenza di Keppler, noto uomo di fiducia di Hitler e di Hess, è sembrata della massima importanza. Mentre gli altri membri della delegazione germanica ripartono stasera per Berlino, Keppler si reca, probabilmente accompagnato da von Papen, a Monaco per riferire lunedì al Fiihrer a Obersalzberg.

È anche qui unanime nei circoli della Cancelleria Federale l'impressione che l'atmosfera fra le due parti si sia rasserenata. A questo che è il più importante effetto delle riunioni, hanno contribuito anche i ripetuti colloqui tra Weizsacker e Keppler dall'una parte e il Segretario di Stato Schmidt e Zernatto dall'altra, e soprattutto la conversazione svoltasi ieri nel pomeriggio tra il Cancelliere Federale e i predetti due più rappresentativi membri della delegazione germanica.

Schuschnigg ha insistito con molta energia sulla non-ingerenza, non formale ma effettiva, negli affari interni dell'altro Stato come condizione assoluta, che, stipulata in modo indubbio nell'accordo dell'Il luglio, non sarebbe stata sinora attuata da parte germanica. Keppler ha promesso al Cancelliere di fare presente al Fiihrer questa condizione e la necessità di dare alla stessa una più precisa attuazione da parte di tutti gli organi dello Stato e del partito.

Con questa premessa Schuschnigg ha fatto ai tedeschi alcune concessioni, sulle quali le due delegazioni non si erano potute accordare. Tenendo presenti le indicazioni contenute nel mio telespresso urgente n. 2612/1270 dell'8 corrente 2 , si possono riassumere come segue gli accordi realizzati:

l) Stampa -Si sono scambiate assicurazioni per una tregua che dovrebbe rendere possibile nel settembre prossimo il viaggio differito di Adam a Berlino e l'allargamento, in quell'incontro, delle liste dei giornali dei due Paesi ammessi alla circolazione nell'altro Stato.

2) Salisburgo -Mentre due artisti hanno già dichiarato che contro il divieto di Goebbels parteciperanno alle rappresentazioni di Salisburgo, per gli altri quattro la delegazione ha presentato a Berlino proposta favorevole. Non essendo pervenuta risposta fino a questa sera, Keppler ne parlerà lunedì al Fi.ihrer. Qualora il divieto fosse mantenuto, è preso in vista da parte austriaca il divieto della partecipazione delle società corali austriache al prossimo Deutsches Sangerfest di Breslavia.

3) Per gli emigrati austriaci in Germania è stata ammessa dall'Austria la concessione della grazia o meglio, dell'abolizione del processo pendente, su domanda dei singoli, anche prima del rimpatrio e della presentazione al Tribunale, in tutti i casi compresi dalle amnistie sinora accordate. Per ora fu concordato, in via di esperimento, un contingente di mille di tali domande. L'eccezione alle norme fondamentali del codice penale e della procedura penale vigenti in Austria, è considerata in questi circoli giudiziari molto importante, ma era l'unico espediente per uscire da una situazione molto complicata.

4) Furono concordate le modalità per la immediata convocazione della commissione mista per il libro tedesco. Fu ammessa alla circolazione in Austria, con alcune limitazioni nelle modalità della vendita e della pubblicità, l'opera di Hitler Mein Kampf È forse questa la concessione che dal punto di vista della sua concezione politico-morale è costata a Schuschnigg il maggiore sacrifizio.

5) Distintivi di partito -Fu tolto il divieto del distintivo nazionalsocialista per i cittadini germanici di passaggio in Austria, come ospiti, turisti, forestieri. Mantenuto il divieto per i germanici stabilmente residenti in Austria. L'obiezione sollevata dai tedeschi che ai cittadini italiani qui residenti è permesso di portare il distintivo fascista, fu respinta dagli austriaci con la motivazione che il distintivo fascista non presenta in Austria alcun carattere dimostrativo e nessun pericolo di reazioni e agitazioni contro il regime austriaco.

Molti altri aspetti dei rapporti tra i due Stati, toccati dall'accordo 11 luglio, sono stati delibati in questa settimana di sedute, ma se ne dovette di comune accordo differire la risoluzione alla prossima convocazione a Berlino.

51 1 T. 4797/132 R. del IO luglio. Riferiva che la Commissione austro-tedesca per l'applicazione degli Accordi dell'Il luglio aveva chiuso i suoi lavori ed osservava che i risultati concreti erano «forse modesti ma molto apprezzabili e promettenti i miglioramenti dell'atmosfera».

51 2 Non pubblicato. Riferiva su l'inizio dei lavori della Commissione austro-tedesca, il 6 luglio precedente.

52

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4865/200 R. Shanghai, 12 luglio 1937, ore 0,05 (per. ore 8 del 13).

Come V.E. avrà rilevato dai telegrammi del R. consolato in Tientsin e da quelli della agenzie telegrafiche, incidente di Feng-Tai 1 , pur essendo di una certa

52 I Si riferisce al cosiddetto «incidente del ponte Marco Polo» del 7 luglio.

gravità, non ha ancora determinato chiarimento situazione Nord, né da una parte, né dall'altra. Tale chiarimento sembra però necessario ed i sintomi a tale riguardo già si manifestano non troppo rassicuranti come risulta da mie precedenti comunicazioni ed in particolare dal telegramma stampa 101 con il quale segnalavo importante articolo giornalista americano ... 2 sulla situazione, come pure dalle dichiarazioni fatte ai giornalisti ed a me da questo ambasciatore del Giappone. A differenza anno scorso, per incidenti occorsi stessa località, si nota già da parte Cina maggiore energia e determinazione a resistere eventuali nuovi attacchi giapponesi. Ciò corrisponde indirizzo attualmente prevalente anche circoli governativi di una maggiore fiducia proprie forze di fronte al Giappone: Cina si ritiene anzi in grado, inorgoglita da alcuni successi interni ed esteri, di poter tenere testa al Giappone ed in ciò sembra risiedere vero pericolo della situazione (sia per il caso contingente come per il futuro sviluppo politico cinese) poiché è dubbio che Giappone sia disposto a seguire una politica remissiva mentre ancora vige tale sproporzione di forze militari e di capacità politica a suo favore. Seguo attentamente situazione mantenendomi continuo contatto con Zappi Tientsin, Alessandrini Pechino e Giusti del Giardino .. ..3.

Ambasciatore Inghilterra è qui; giapponese a Tientsin, mentre ambasciatore di Francia, ambasciatore di Germania e ambasciatore S.U.A. 4 sono rimasti bloccati Pechino. Aggiungo che in caso ulteriori complicazioni farò immediatamente ritorno al Sud.

53

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATA A SANTIAGO E ALLE LEGAZIONI A BOGOTÀ, LA PAZ, LIMA E MONTEVIDEO

T. 1222/c. R. Roma, 12 luglio 1937, ore 2,30.

Continui a svolgere ogni possibile azione persuasiva per indurre codesto governo a procedere senza indugio al riconoscimento diritti di belligeranza in favore generale Franco.

Circa preoccupazioni manifestate da parecchie Repubbliche sudamericane per sorti rifugiati nelle sedi diplomatiche madrilene, pei quali autorità Valencia esercitano vero e proprio ricatto, avverta che tali preoccupazioni non avrebbero più ragion d'essere qualora riconoscimento belligeranza fosse concesso insieme da tre o quattro Stati sudamericani, contro i quali Valencia non oserebbe procedere a serie rappresaglie. Aggiunga che Brasile intende procedere riconoscimento e che se altre Repubbliche sudamericane, uscendo dalla loro inerzia, decidessero di porre oggi il proprio peso politico e morale in favore di una causa che deve essere soprattutto

cara all'America Latina, ciò potrebbe indubbiamente avere ripercussioni decisive sull'opinione pubblica mondiale ed accrescere di molto il prestigio sudamericano.

Insista soprattutto sulla necessità di far presto. Faccia presente che è questo il momento per i Paesi del Sudamerica di prendere posizione per quella delle due parti combattenti in Spagna che sola rappresenta lo spirito e gli interessi della Madrepatria.

52 2 Nota dell'Uftìcio Cifra: «gruppo indecifrabile».

52 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili».

52 4 Rispettivamente: sir Hughes Knatchbull-Hugessen, Shigeru Kawagoe, Paul-Emile Naggiar, Oskar P. Trautmann e Nelson T. Johnson.

54

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 4821/54 R. Roma, 12 luglio 1937 (per. stesso giorno).

Confermo la notizia data per telefono ieri mattina al ministro De Peppo e cioè che la Santa Sede ha abbandonata l'idea di mandare monsignor Costantini nei Paesi Baschi. Credo che, riflessione fatta, il prelato non si sia dimostrato troppo entusiasta della nuova incombenza che lo avrebbe obbligato di staccarsi, per un lungo periodo di tempo, dal suo lavoro ordinario a Propaganda Fide, lavoro che molto lo interessa.

Monsignor Pizzardo è venuto a vedermi all'ambasciata ieri nel pomeriggio, dopo il colloquio avuto nella mattinata con il Papa. Il Pontefice ha avanzato dubbi sulla posizione che sarebbe riservata al Visitatore Apostolico nei Paesi Baschi. Si teme che l'inviato della Santa Sede possa non essere bene accolto dal generale Franco e specialmente dal cardinale Gomà, il quale ultimo ha già avanzato a Roma la proposta ---che però la Segreteria di Stato non considera seria -di sostituire tutto il clero basco con altri sacerdoti. Si teme, d'altra parte, una fredda accoglienza al Visitatore, che non fosse dei loro, anche da parte degli stessi baschi. In queste condizioni, monsignor Pizzardo non si è sentita l'autorità, in assenza del cardinale Pacelli, di spingere le cose a fondo e mi ha pregato di attendere il ritorno del porporato per riprendere con lui la trattazione della questione. Il Papa ha una fiducia assoluta nel suo Segretario di Stato e lo lascia fare. Non così con gli altri. Ho l'impressione che il Pontefice abbia dichiarato a monsignor Pizzardo che non prenderà una decisione prima del ritorno del Segretario di Stato. Il cardinale Pacelli arriverà a Roma mercoledì sera 14 corrente.

Nel corso della conversazione monsignor Pizzardo parlandomi dei sacerdoti baschi con molta durezza, mi ha detto di avere condotto trattative l'autunno scorso con il canonico Onaindìa e di averne riportato una pessima impressione. Ha soggiunto che non ha osato, nel colloquio avuto con V.E. 1 , di metterla in guardia da quel losco personaggio che considera un pazzo, mancatore di parola. Mi ha incaricato espressamente e ripetutamente di riferire le sue dichiarazioni all'E.V. e di pregarla di non lasciare in nessun caso ritornare Onaindìa al suo Paese. S'egli rimettesse piede in Patria tutto sarebbe perduto e non sarebbe possibile alla Santa

Sede tenere in freno il clero basco. La pacificazione del Paese non potrà mai avvenire finché Aguirre, Onaindìa e i loro compari resteranno nei Paesi Baschi.

54 l Vedi D. 45.

55

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 4822/55 R. Roma, 12 luglio 1937 (per. stesso giorno).

Monsignor Pizzardo mi comunica la risposta del cardinale Gomà che è del tenore seguente:

Il generale Franco ha ricevuto con venerazione il messaggio del Santo Padre 1 e, riconoscente all'appello fattogli nel nome santo del Redentore, e della sua fede di cattolico, in ossequio a questa fede e al Sommo Pontefice, è disposto ad agire con assoluta benignità e accetta da parte sua puramente e semplicemente la proposta presentata.

56

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4913/1702. Parigi, 12 luglio 1937 (per. i/15).

Seguito mio rapporto 10 luglio u.s. n. 4843/16701 .

Il cardinale Pacelli, dopo la breve sosta parigina, ha proseguito, sabato pomeriggio, per Lisieux ove è stato accolto con gli onori militari dal prefetto della regione in rappresentanza del Governo e da una importante folla di fedeli che ha tributato tutta la sua devozione al Legato pontificio.

Domenica poi si sono svolte le solenni cerimonie religiose che hanno fatto convergere nella piccola cittadina francese 5 cardinali, 50 vescovi e arcivescovi e una massa imponente di fedeli, valutata a circa 200 mila persone, che hanno dato alle manifestazioni il carattere di una vera e propria riunione compatta del cattolicesimo francese intorno al rappresentante del Vaticano. L'organizzazione delle manifestazioni religiose è stata attuata con particolare cura e tutta la stampa ha tenuto a mettere in rilievo l'imponenza di esse, come indice della forza del cattolicesimo francese di cui non sfuggiva l'importanza al Santo Padre che aveva voluto mandare in Francia come suo rappresentante il più alto e apprezzato dei suoi collaboratori.

Il cardinale Pacelli, nel corso della cerimonia di benedizione della nuova basilica, ha pronunziato un lungo discorso in cui alla rievocazione dell'importanza delle chiese di Francia ha fatto succedere delle significative dichiarazioni politiche che hanno toccato particolarmente la situazione del cattolicesimo in Germania e la persecuzione contro la Chiesa, messe in atto dal governo comunista di Spagna.

Dall'alto di uno di questi pulpiti, egli ha detto, in tutte le chiese di una nazione nobile e potente ma che dei cattivi pastori vorrebbero trascinare nell'idolatria della razza, la protesta indignata d'un Pontefice ottuagenario cade di colpo come la voce del Sinai per ricordare i diritti imprescrittibili di Dio.

Egli accenna poi alle persecuzioni di cui è stata vittima la Chiesa Cattolica personificata nella figura del Papa e conclude: Ma, né la violenza rivoluzionaria sacrilega delle masse accecate da falsi profeti, né i sofismi dei dottori d'empietà, di coloro che vorrebbero scristianizzare la vita pubblica, hanno potuto vincere la resistenza, né hanno potuto incatenare la parola e il biasimo del Santo Padre.

Nel mentre poi tutta la stampa ha messo in rilievo l'imponenza delle manifestazioni religiose, essa ha sorvolato su queste dichiarazioni; molti giornali non le hanno addirittura rilevate e qualche altro le ha riportate senza commenti.

Unico organo di stampa che evidentemente non ha ubbidito alla parola ufficiosa, è stato il giornale comunista L'Humanité che non esita a dichiarare che confortante è la visita del cardinale Pacelli, decisa quando si trovava al potere Léon Blum, visita che sarebbe stata sostituita da quella dello stesso Pontefice (come il cardinale avrebbe dichiarato ai suoi intimi) se le sue condizioni di salute glielo avessero permesso.

La portata internazionale dell'avvenimento è grande, scrive L'Humanité; non per nulla il legato pontificio viene in Francia nel momento in cui la Germania perseguita i cattolici. Esso è un avvenimento per i francesi, affinché essi risparmino al Paese l'onta del fascismo. Venerdì scorso a Londra il rappresentante francese si opponeva alle pretese del fascismo internazionale; tre giorni dopo il rappresentante del Pontefice viene in Francia per condannare l'hitlerismo. È questo un buon segno che deve corroborare i governi pacifici nelle loro risoluzioni d'energia.

Di ritorno da Lisieux, il legato pontificio si è ancora fermato a Parigi ed ha celebrato martedì mattina una solenne messa pontificale nella cattedrale di Notre-Dame. Anche in questa occasione egli ha tenuto a pronunziare, di fronte ad un uditorio sceltissimo, un altro infiammato sermone con cui ha esaltato la grandezza eterna della Francia e l'importanza della sua missione storica nell'umanità, concludendo con gli ormai troppo ripetuti motivi di pace riposante sull'amore e sulla fiducia dei popoli.

Il cardinale Pacelli ha poi partecipato ad una colazione offerta in suo onore dal Presidente della Repubblica e nel pomeriggio si è recato a rendere omaggio al Milite Ignoto concludendo la sua laboriosa giornata con una visita all'Hòtel de Ville e al Quai d'Orsay ove ha assistito ad un thé offerto in suo onore dal ministro degli Esteri.

Non vi è dubbio quindi che il rappresentante del Santo Padre è venuto in Francia animato da molto senso dinamico il di cui motivo dominante è stato l'omaggio al cattolicesimo francese. La premura dimostrata a tale riguardo e le sue dichiarazioni specifiche di Lisieux hanno rinforzato la sensazione che il viaggio del cardinale Segretario di Stato, già preparato e curato dal Gabinetto Blum, abbia voluto esprimere la volontà di un'affermazione politica mirante a rispondere all'atteggiamento tedesco nei riguardi della Chiesa Cattolica 2 .

55 l Vedi D. 45.

56 1 Riferiva su l'arrivo a Parigi dei cardinale Pacelli, venuto in Francia per presenziare come Legato Pontificio alle solenni cerimonie religiose di Lisieux. Il cardinale, secondo quanto riferiva l'ambasciatore. era stato salutato alla stazione da una folla di fedeli, mentre l'accoglienza ufficiale era stata puramente protocollare, certo per disposizioni del governo Chautemps «massonico per eccellenza».

57

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Londra, 12 luglio 1937 1•

Sarà a Roma da mercoledì a sabato p. v. (14-1 7 luglio) l'Avv. Adriano Dingli, consulente legale di questa ambasciata.

Dingli è un patriota maltese che si è battuto sempre per la causa dell'italianità di Malta, al nostro fianco e con molta lealtà. Egli gode di solido prestigio fra i barristers londinesi e forse ricorderai il suo nome in connessione con la recente causa tra Banca d'Egitto e la pseudo Banca d'Etiopia, causa da lui condotta e che si è risolta in una brillante, completa vittoria per noi.

Da molti anni Dingli è socio del Carlton Club che -come Tu sai -è per così dire il Club ufficiale del Partito Conservatore, e che novera tra i suoi membri tutti gli alti e bassi papaveri dell'attuale Governo. Ed al Carlton Club Dingli si è costituito un'utile cerchia di amici politici, tra i quali gode simpatia e rispetto ed un particolare prestigio derivante dalle sue note relazioni con l'Ambasciata d'Italia.

Ho fatto questa premessa per illustrare quanto sto ora per dirti.

Qualche giorno fa Dingli, il quale già durante il periodo del conflitto italoabissinio ha avuto occasione di renderei utili servigi di sondaggio ed informazione, è stato avvicinato da Sir Joseph Bali, Capo dell'Organizzazione di Propaganda del Governo Nazionale, Capo Amministrativo e Consulente politico (Chief Adviser on Policy) del Partito Conservatore, e intimo amico di Chamberlain.

Ball ha tenuto a Dingli un lungo discorso sul sincero desiderio di Chamberlain di venire ad una completa e definitiva chiarificazione dei rapporti anglo-italiani ed ha in sostanza chiesto a Dingli se egli sarebbe stato disposto ad assumere il compito di una missione a Roma per «accertare in via non ufficiale quale potrebbe essere il terreno migliore sul quale lavorare verso il ristabilimento di relazioni cordiali tra i due Paesi, prima di iniziare passi ufficiali». Chamberlain-ha precisato Bali -è assolutamente deciso a cercare la strada per una riconciliazione con l'Italia, «su basi permanenti», ma vuole prima sondare il terreno al di fuori del tramite ufficiale del Foreign Office. Bali ha aggiunto che l'Ambasciatore d'Italia a Londra doveva essere naturalmente messo al corrente preventivamente della cosa e richiesto confidenzialmente della sua assistenza.

In un successivo colloquio Ball avrebbe confermato a Dingli in termini abbastanza precisi che Chamberlain era al corrente dell'iniziativa. Pur insistendo sul ca

rattere assolutamente non-ufficiale della missione, Ball ha tuttavia precisato che Dingli avrebbe dovuto cercare di «vedere il Ministro degli Affari Esteri Conte Ciailo». A questo riguardo Ball ha dato a Dingli una lista degli argomenti sui quali doveva eventualmente tener parola al Conte Ciano, e che riassumo brevemente nei seguenti punti: possibilità di una estensione a tutto il campo delle relazioni i tal o-inglesi della détente nella campagna radio da una parte e dall'altra (Ball ha tenuto a insistere con Dingli sulla ottima impressione che nei circoli conservatori ha provocato l'assicurazione data dal Duce nei riguardi delle radiodiffusioni della Stazione di Bari) 2 ; analoga détente per quanto concerne la stampa; possibilità di negoziare un patto regionale di non aggressione (Chamberlain -ha dichiarato Ball -è particolarmente favorevole alla stipulazione di patti regionali) nel Mediterraneo tra Inghilterra, Italia e Francia; preparare il terreno per il riconoscimento ufficiale della conquista italiana in Abissinia; situazione in Spagna. Ball ha concluso insistendo sul fatto che è Chamberlain che oggi guida la politica estera britannica e pregando Dingli di dare alla sua eventuale missione carattere di una certa urgenza.

Tu sai che io sono contrario in genere alle cosiddette missioni private, le quali sono quasi sempre frutto della fantasia, della vanità o della presunzione di qualche individuo. Anche per questa cosiddetta missione di Dingli io non sono proprio sicuro che essa rappresenti qualcosa di effettivamente serio. Anzi, dai primi controlli che ho fatto attraverso altre persone vicine a Chamberlain, non ritengo che l'iniziativa del Ball abbia, nello stadio attuale, quella effettiva importanza che l'ottimo Dingli ad essa attribuisce. Ciò a prescindere dal fatto che i «punti» indicati dal Ball, soprattutto quello relativo al Patto Regionale Mediterraneo è cosa vecchia, stantia che il Duce -come Chamberlain sa benissimo -ha rigettato da tempo e sulla quale, né Chamberlain, né altri possono farsi illusioni, oggi assai meno che ieri.

Se io Ti prego di ricevere il Dingli, il quale è indubbiamente una persona seria, seppure modesta e un sincero amico nostro, è soltanto perché ritengo utile -nel momento attuale -che egli possa tornare a Londra per riferire al Ball, e per esso al Comitato Direttivo del Partito Conservatore, che Tu l'hai ricevuto e che nella Tua responsabilità di Ministro degli Esteri, lo hai incoraggiato a continuare nella sua opera di propaganda per il chiarimento dei rapporti italo-britannici, confermando ancora una volta, sia pure in modo generico, la volontà del Duce e Tua di una conciliazione definitiva e permanente coll'Inghilterra.

Questo a me serve, non presso Chamberlain personalmente, il quale sa benissimo quello che noi vogliamo e col quale ho stabilito contatti diretti e indiretti attraverso persone di calibro e di influenza ben maggiore di Ball e di Dingli, ma presso il Comitato Direttivo del Partito Conservatore. Per facilitare a Chamberlain il compito, bisogna anzitutto convincere e «catechizzare» coloro che gli stanno vicino. È già molto, nell'attuale situazione, che Chamberlain lasci fare. Qualche giorno fa Lord Stonehaven, che è stato sino a qualche mese fa per tutto il periodo Baldwin vice-capo del Partito Conservatore, è venuto a trovarmi per ringraziare a nome di Chamberlain di guanto il Duce ha fatto per la stazione radio di Bari (la quale cosa, ha detto Stonehaven, ha «aiutato moltissimo il Primo Ministro») e confermarmi direttamente da parte di Chamberlain la sua volontà ferma di chiarire in modo definitivo i rapporti coll'Italia, e per domandarmi di aiutarlo direttamente e indiretta

mente a preparare una situazione fra Roma e Londra, di fronte alla quale «i vecchi e i nuovi» che stanno al Foreign Office non «possano far nulla» (sono le sue parole) e ad essi non rimanga che prendere atto del fatto compiuto.

Dingli e Bali non sono quindi che elementi di un complesso e vasto servizio di pattuglie stabilito attorno a Chamberlain, ma che possono -essi pure come gli altri-essere assai utili. A tutti questi diversi amici di Chamberlain io dò naturalmente l'impressione che essi «sono i soli i quali possono ecc. ecc. e i soli di cui io abbia fiducia ecc. ecc.».

Aggiungi che nel campo dei conservatori di destra non c'è più da raccogliere che poco o nulla. Li abbiamo strizzati per tutto quanto potevamo dare durante l'anti-sanzionalismo. Adesso sono diventati tutti dei bisbetici impossibili e si ritengono burlati e beffati, dopo l'Asse Roma-Berlino e le faccende di Spagna. Ti ho riferito a lungo di essi in numerose occasioni. È tra i Conservatori del centro e di sinistra fra cui sto lavorando e bisogna lavorare adesso. Essi rappresentavano ieri il blocco che sosteneva il binario Baldwin-Eden. Oggi essi costituiscono il blocco sul quale poggia ora la forza di Chamberlain, il quale non intende affatto di dividere a mezzadria con Eden il potere, come faceva Baldwin. Bisogna quindi incunearsi nella «frattura» incipiente fra Eden e Chamberlain e allargarla più che si può.

E quello che sto cercando di fare.

Non vi è dubbio che dal giorno che Chamberlain è diventato Primo Ministro molte cose nuove stanno muovendosi attorno e dentro al Foreign Office. C'è come un'atmosfera di malessere attorno alla persona di Eden e di Vansittart, malessere determinato dalla sempre più chiara intenzione di Chamberlain di prendere gradatamente in mano la politica estera britannica. Però Chamberlain è estremamente prudente in quanto non vuole offrire a Eden il facile pretesto di qualche uscita di carattere clamoroso sulla base di interferenze nella sua responsabilità di Segretario di Stato. L'indirizzo decisamente favorevole ad un riavvicinamento colla Germania è opera personale di Chamber!ain. Questo indirizzo ha, come puoi immaginare, reso estremamente delicata, per non dire precaria, la posizione di Vansittart, la cui barca sta facendo piuttosto acqua. Eden, che è un politicante di una volubilità addirittura camaleontica, ha subito messo acqua nel suo vino anti-tedesco e cerca di seguire come può il nuovo indirizzo dato da Chamberlain. Però la sua astiosità anti-tedesca e anti-italiana e la sua collusione al cento per cento coi francesi mostrano visibilmente con quanta goffa fatica egli si lasci rimorchiare da Chamberlain, che non è Baldwin. Aggiungi che, mentre molti membri del Gabinetto considerano il riavvicinamento colla Germania in funzione anti-italiana, Chamberlain ha un piano più vasto e comprensivo. Chamberlain desidera il riavvicinamento colla Germania e contemporaneamente il riavvicinamento coll'Italia. Solo nel caso che quest'ultimo fallisca, il riavvicinamento colla Germania dovrebbe assumere una specie di contro garanzia e di contro assicurazione nei riguardi dell'Italia. Insomma, la personalità di Chamberlain si sta sviluppando a poco a poco e credo valga la pena di accompagnare questi sviluppi con estrema diligenza, incoraggiandoli ogni qual volta è necessario.

Ritengo che il momento si avvicini in cui noi potremo giocare nei confronti diretti del Primo Ministro qualche carta grossa, superando sostanzialmente la persona di Eden e anche la mentalità di Vansittart, il quale, pur essendo orientato in un senso favorevole ad un'intesa coll'Italia, è cristallizzato nella vecchia mentalità anti-tedesca, e insiste ancora a considerare un'intesa anglo-italiana in funzione del suo piano di accerchiamento militare o politico della Germania.

Tutti questi punti saranno ripresi e sviluppati in un prossimo rapporto che io Ti invierò prossimamente3 , la situazione è, Ti ripeto, allo stato di crisalide, e non manca di elementi interessanti.

Per ora Ti sarei grato di rimandarmi indietro Dingli a Londra caricato a dovere. Poi vedremo 4 .

56 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

57 1 La lettera giunse a Roma il 14 luglio come risulta dal T. 8486/619 R. del 13 luglio di Grandi che ne preannunciava l'arrivo.

57 2 Vedi D. 41.

58

IL CAPO DELLE DELEGAZIONE ITALIANA PRESSO IL QUARTIERE GENERALE DEL GENERALE FRANCO, GELICH, ALL'UFFICIO DEL CAPO DI S.M. DEL C.T.V. 1

N. 838. Burgos, 12 luglio 1937.

Per incarico del generale Berti ho parlato al Q.G. della questione relativa alla resa dei battaglioni baschi. Il Generalissimo (che era di ottimo umore) mi ha detto che detta questione ha, per lui, poca importanza. Anzitutto, da recentissime notizie giuntegli, i battaglioni baschi sarebbero soltanto 16 e non 40 (alcuni battaglioni erano ridotti ad una sola compagnia). Inoltre, il governo basco non esiste più. Il presidente Aguirre è presso a poco prigioniero dei santanderini, i quali, desiderosi ancora di resistere, non permetterebbero mai ad Aguirre di intavolare trattative di resa dei battaglioni baschi. Se lo venissero a sapere metterebbero al muro lo stesso Aguirre. Perciò questi famosi plenipotenziari baschi nulla rappresentano, se non propri interessi personali e locali.

Tanto meglio -aggiunge Franco -se si riuscirà a far arrendere questi residui di battaglioni baschi e perciò nulla-osta che continuino le trattative, che a lui poco interessano; ed anzi su nostra richiesta manderà un suo rappresentante (ufficiale dell'esercito) presso il generale Mancini. Ha fatto riserva di indicare il nome. L'ambasciatore è stato informato ed ha dato il suo benestare. Probabilmente disporrà che presso il generale Mancini vada anche il console Gaetani come suo rappresentante per la parte politico-diplomatica2 .

57 Il documento ha il visto di Mussolini.

57 3 Vedi D. 78.

58 l Ed. in ROVIGHI e STEFANI, p. 594.

58 2 Su la base di questa comunicazione, Bastico così telegrafava a Ciano, che con T. Uff. Spagna 1669 del 12 luglio aveva chiesto notizie circa lo stato delle trattative con i baschi: «Riferimento 1669.. Trattative pel momento sono più che altro in campo di studio. All'atto pratico presentano difficoltà più numerose e più serie di quelle che appaiono. Ciò anche perché baschi desiderano salvare capre e cavoli! Non giunti ancora da Roma noti rappresentanti. Interessato Franco per nomina suo delegato però non ancora designato. Franco non nascosto suo scetticismo e suo scarso interesse alla resa. Egli afferma che Aguirre virtualmente in potere santanderini a suo avviso in unione asturiani continueranno resistenza ad oltranza. A questo riguardo segnalasi improvvisa forte reazione aerea su intero fronte nord. Terrò informato» (T. Uff. Spagna 2099/1687 del 13 luglio).

59

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4868/246 R. Tokio, 13 luglio 1937, ore 9 (per. ore 17).

Mi risulta essere proposito dei giapponesi, non solo che il loro attuale conflitto in Cina sia risolto, ma altresì che si stabilisca colà in seguito uno stato di cose tale da evitare nuove complicazioni. Per conseguenza di ciò, essi sono fermamente decisi ricorrere anche alla forza se necessario. Ove tuttavia i loro scopi potessero essere ottenuti con mezzi pacifici, ma senza danno per il loro prestigio e i loro interessi, ne sarebbero assai lieti. Mi risulta altresì che qualora Italia e Germania credessero tentare qualche amichevole intervento in Cina, il quale potrebbe avere come primo scopo di evitare un ulteriore peggioramento della situazione e di guadagnare tempo, ciò non sarebbe qui affatto malvisto.

Credo che questa ambasciata di Germania abbia già fatto presente a Berlino opportunità che il suo governo si adoperi in tal senso in Cina e lo abbia assicurato che essa va intanto consigliando qui prudenza e moderazione.

V.E. vorrà considerare se non converrebbe anche a noi agire nello stesso modo1•

60

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4859/6!5 R. Londra, 13 luglio 1937, ore 11,30 (per. ore 14,30).

Iersera questo ambasciatore di Francia ha fatto pervenire presidente Comitato non intervento lettera nella quale, riferendosi a quanto aveva già detto nella seduta di venerdì scorso, conferma che a partire da mezzogiortto di martedì 13 luglio e fino a nuovo ordine «governo francese sarà nella impossibilità di riconoscere alla amministrazione in Francia dell'osservazione internazionale sulla frontiera spagnola diritto continuare sua attività». Nota continua dicendo che nulla si oppone acché agenti controllori restino ancora personalmente in territorio francese ma che conviene tuttavia «che essi siano ritirati ad una certa distanza dalla frontiera».

Ambasciatore di Francia chiedendo al presidente Comitato impartire opportune istruzioni agli organi competenti, ripete che presente decisione non indica da parte governo francese intenzione di scostarsi, nelle condizioni attuali, dagli impegni contratti in materia non intervento dei quali al contrario «desidera molto vivamente adempimento da parte di tutti ed anzi rafforzamento» 1•

60 1 Il testo della nota è in DDF, vol. VI, D. 212.

59 l Si veda, per il seguito, il D. 94.

61

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, TOKIO E IN CINA

T. 1227/c. R. Roma, 13 luglio 1937 1 .

Da fonte sicura risulta che durante suo soggiorno a Londra ministro cinese delle Finanze, dott. Kung avrebbe discusso con Eden della collaborazione fra Cina e Inghilterra, da estendersi anche nel campo politico e militare. Specialmente in quest'ultimo campo, Kung, senza specificare richieste, avrebbe espresso la speranza di ottenere aiuto inglese; suggerì a questo scopo l'invio in Cina di qualche esperto militare britannico dichiarando che avrebbe desiderato sostituire preferibilmente con inglesi gli istruttori militari tedeschi in Cina ed anche gli ufficiali dell'Aviazione italiana. Eden avrebbe risposto di non voler suscitare impressione che inglesi desiderassero sostituirsi ai tedeschi ed italiani ma che se governo cinese lo desiderava governo inglese era pronto aiutarlo nei limiti del possibile. Eden avrebbe poi parlato delle conversazioni anglo-giapponesi in corso assicurando Kung che quali che potessero esserne gli sviluppi l'Inghilterra non avrebbe mai aderito ad un accordo che risultasse nocivo per la Cina. Le conversazioni anglo-giapponesi comunque si limitarono alle questioni, prevalentemente di carattere commerciale, interessanti esclusivamente i due Paesi. Eden avrebbe infine detto di ritenere che il Giappone abbia sinceramente l'intenzione di seguire una nuova linea di condotta verso la Cina e che in tal caso sarebbe importante che la Cina incoraggiasse quanto più possibile il governo giapponese in tale direzione. Kung si sarebbe dichiarato d'accordo nel ritenere che la Cina debba venire incontro a qualunque approccio le venisse fatto fa parte giapponese.

62

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. PER CORRIERE ]0599 P.R. Roma, 13 luglio 1937.

A suo telegramma del 2 corrente 1 . Nessuna risposta è stata ancora data a Hodza che effettivamente si è rivolto

R. legazione Praga per proporre inizio preliminari conversazioni per soluzione problema economico danubiano (telegramma 3 corr. n. 50 della R. legazione a Praga2 che si rimette in copia con dispaccio a parte). Autorizzala ad ogni modo

assicurare codesto governo che Italia si atterrà in ogni eventualità a quanto stabilito nei Protocolli di Roma3 .

61 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

62 l Con T. per corriere 4500/0157 R. del l o luglio, il ministro Salata aveva riferito che a Vienna si notava di non aver avuto notiza dell'avvio di trattative tra la Piccola Intesa e le Potenze dell'Asse per degli accordi economici relativi all'area danubiana. Da parte austriaca si esprimeva fiducia che in ogni caso l'Italia avrebbe preso contatto con Vienna e con Budapest in conformità ai Protocolli di Roma e agli Accordi di Venezia.

62 2 Vedi D. 12.

63

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 3376/1123. Berlino, 13 luglio 1937 (per. il 16).

Riferisco qui appresso altre impressioni di questi ambienti militari in merito alla situazione generale europea, quali risultano da una conversazione recentemente avuta dal R. addetto militare con il capo ufficio Esteri del ministero della Guerra del Reich, tenente colonnello Scheller:

«Le recenti fucilazioni 1 hanno privato l'esercito sovietico di capi qui noti e ritenuti ottimi e non facilmente sostituibili e di riflesso hanno indebolito l'alleanza franco-sovietica. L'addetto militare tedesco a Parigi2 ha avuto appunto l'impressione -da conversazioni con ufficiali di Stato Maggiore francesi -che sia diminuita la fiducia dell'Alto Comando francese nella solidità militare sovietica.

La situazione cecoslovacca risente gravemente dell'indebolimento russo, ma lo Stato Maggiore tedesco ritiene che in caso di aggressione della Cecoslovacchia, la Francia non mancherebbe di intervenire.

Il rinsaldamento delle relazioni polacco-romene è veduto con simpatia perché diretto contro il bolscevismo. La situazione dell'Austria è sempre considerata incerta ma viene escluso un accordo con la Cecoslovacchia.

La Turchia si è alquanto allontanata dalla sfera itala-tedesca, assumendo un più netto atteggiamento filo-inglese e filo-sovietico. Mi si è aggiunto che la Turchia diffida sempre fortemente dell'Italia».

64

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3377/1124. Berlino, 13 luglio 1937 (per. i/15).

In questa stampa, già prima che s'iniziasse il viaggio del cardinale Segretario di Stato in Francia 1 , il viaggio stesso aveva avuto commenti tutt'altro che lusin

63. 2 Heinrich Kuhlenthal. 64 l Dall'S al 13 luglio. Vedi D. 56.

ghieri, e soprattutto il Volkischer Beobachter e lo Angriff, nelle loro corrispondenze da Parigi, avevano manifestato il sospetto che l'apparenza religiosa della missione servisse in realtà a mascherare un'anello della catena anti-germanica che, secondo gli stessi giornali, costituisce la politica della Santa Sede, dopo che l'avvento del nazionalsocialismo ha tolto ogni potere al Centro, ossia, come si dice ora, al cattolicismo politico in Germania.

Si è creduto di trovare una giustificazione a questo atteggiamento, e purtroppo non del tutto a torto, nelle parole chiaramente riguardanti la Germania che il cardinale Pacelli ha pronunziato domenica scorsa a Lisieux, ed in cui, oltre avere attaccato il culto della razza, ha parlato di un «grande popolo traviato da falsi pastori», ed ha ricordato l'Enciclica contro il nazionalsocialismo pubblicata dal Pontefice ottuagenario2•

Questi attacchi, che del resto non sono stati altrimenti rilevati da questa stampa, hanno provocato una pronta reazione, naturalmente eccessiva, coll'articolo dello Angriff del 12 corr., che qui unisco ed a proposito del quale non si può non osservare che le sconvenienze irreligiose che contiene avrebbero potuto essere facilmente evitate se il cardinale non avesse loro fornito un pretesto con quegli attacchi contro la politica tedesca e se, soprattutto, non avesse pronunziato quelle parole in terra di Francia, e di una Francia governata dal Fronte Popolare.

Un articolo sulla Humanité di Parigi che esprime il suo compiacimento per il viaggio del cardinale Pacelli, dà occasione a vari giornali di questa sera, come il Berliner Tageblatt, la Deutsche Allgemeine Zeitung e la Borsen Zeitung, di ricordare gli orrori commessi in Spagna contro vescovi, sacerdoti e religiosi, e di domandare prima di tutto se il giornale comunista si prenda gioco del mondo, a cominciare dal Vaticano, inoltre di mettere in guardia questo dall'avventurarsi in compromessi di qualsiasi genere coi nemici più accaniti del Cristianesimo e di ogni religione.

La Deutsche Allgemeine Zeitung in modo particolare, getta uno sguardo sulle relazioni fra Vaticano e Stato francese nel dopoguerra, ed afferma che il fatto che il Papa abbia sentito il bisogno di mandare il Segretario di Stato come Legato a Lisieux, invece di farsi rappresentare da un cardinale francese, dimostra che in realtà il viaggio ha uno sfondo altamente politico 3 .

62 3 Questo telegramma fu ritrasmesso-unitamente al D. 12 --con T. per corriere 10596 P.R. del 13 luglio alla legazione a Budapest con l'incarico di informare in proposito il governo ungherese e all'ambasciatore Attolico con la seguente aggiunta: «Quanto precede per notizia e perché Ella possa parlarne con Neurath chiedendo se ha avuto analoga comunicazione e assicurarlo che è nostro intendimento (e siamo certi che lo stesso è da parte sua) procedere in questa materia d'intesa con la Germania».

63 l Vedi D. 7, nota 5.

65

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1613/584. Roma, 13 luglio 1937 (per. il 15).

L'Osservatore Romano di stamane pubblica un'estesa corrispondenza da Lisieux, sulle feste ivi celebrate in onore di Santa Teresa, alla presenza del Cardinale

64 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

Legato 1 . Dalla relazione del giornale risulta che il porporato ha parlato all'arrivo a Lisieux, rispondendo al saluto rivoltogli dal prefetto del dipartimento del Calvados, rappresentante del governo della Repubblica, e, l'indomani mattina, subito dopo la consacrazione della nuova basilica, tenendosi alla porta del tempio davanti a una folla di molte migliaia di persone. Da rilevare che il Cardinale Legato ha affermato, nel discorso pronunciato al suo arrivo a Lisieux, che il Pontefice attribuiva tanta importanza alle cerimonie di Lisieux, al punto ch'egli stesso le avrebbe presiedute personalmente se la situazione generale non l'avesse costretto a restare al suo posto al centro della cattolicità. II cardinale ha ripetuto Io stesso concetto nel suo secondo discorso, riconfermando che il Pontefice il quale ha ragioni di viva riconoscenza per la Santa miracolosa, ha inviato un suo Legato per celebrarne le glorie, «non potendo recarsi personalmente a Lisieux come l'avrebbe vivamente desiderato». Tutto questo si spiega con il fatto che il Papa attribuisce all'intercessione della Santa il superamento della grave malattia dello scorso inverno.

Un altro punto del secondo discorso del cardinale Pacelli va, a mio avviso, rilevato, in quanto che sorte dal tono generale del sermone che è tutto ispirato a un elevato sentimento di religiosità. Per un momento il Cardinale Legato si è sentito Segretario di Stato e ha avuto parole ben chiare all'indirizzo di quei Paesi che infliggono persecuzioni ai cattolici e perciò stesso sono causa di grande afflizione per il Papa. Riproduco qui di seguito il brano di cui si tratta anche perché, malgrado la premessa del cardinale intesa a riferire le sue parole «a diversi Paesi» e non a uno solo, a me pare che in effetti l'attacco sia stato volutamente diretto specialmente alle autorità del Reich. Ed ecco senz'altro il punto in questione:

« ... car, si "toux ceux qui veulent viv re pieusement dans le Christ Jésus doivent souffrir persécution ", elles so n t particulièrement lourdes au coeur du Pontife actuel !es persécutions infligées à ses fils dans divers Pays et qui lui ont arraché plusieurs fois déjà, soit des plaintes déchirantes, soit des protestations solennelles. Mais ni la violence révolutionnaire et sacrilège des masses, aveuglées par de faux prophètes, ni les sophismes des docteurs d'impiété, de ceux qui voudraient déchristianiser la vie publique, n'ont pu vaincre la résistance, n'ont pu enchaìner la parole et la piume de ce vieillard intrépide».

Le cose in Germania sono una spina nel cuore del cardinale Segretario di Stato, ancora più -oso dirlo -che in quello del Papa. Infatti, il Pontefice si sente sempre più mancare le forze -l'ha detto nel suo messaggio a Lisieux -e dà mano libera al Segretario di Stato nel quale ha piena fiducia al punto da lasciare chiaramente intendere e da dire ai più intimi, ch'egli lo vorrebbe suo successore. Personalmente credo che questa spiccata predilezione del Papa per il suo collaboratore non giovi per nulla a quest'ultimo e potrebbe anzi riuscirgli fatale.

Per ritornare alle relazioni fra la Santa Sede e il Reich, ho l'impressione che le cose si aggravino sempre più. Una personalità di primo piano degli ambienti politici vaticani che, in passato, faceva delle riserve sulla politica intransigente seguita dal cardinale Segretario di Stato verso la Germania, ha mutato avviso negli ultimi tempi. Giorni sono, parlandomi delle cose di Germania, il detto monsignore ha riconosciuto che il solo punto consistente del dissidio in atto fra la Santa Sede e il Reich, è quello delle scuole confessionali ossia dell'educazione della gioventù. Ma anche su

quel punto -è il monsignore che prosegue -la Santa Sede sarebbe disposta a transigere purché fosse garantita in modo inequivocabile la salvezza delle anime mediante un insegnamento serio della dottrina cristiana. Senonché -qui sta il punto grave e forse insuperabile -la Santa Sede non ha nessuna fiducia nel Fiihrer e nelle sue promesse. Hitler non mantiene quello che promette. In queste condizioni la Santa Sede non vede la possibilità di un compromesso con il Reich.

Ci avviamo, dunque, al peggio. Se lotta ci sarà, è facile predire che sarà aspra. È difficile supporre che la Chiesa consenta di perdere le sue posizioni in Germania senza impiegare le armi di cui dispone, in tutti i campi. Temo che la Chiesa finisca per proclamare: «Chi non è con me è contro di me», mettendo in serio impaccio i terzi.

Il Reich si sente sicuro di trionfare, almeno così leggo nei rapporti da Berlino che l'E.V. mi fa pervenire. Non ho finora udito qualcosa di simile negli ambienti ecclesiastici romani. Ma si può stare sicuri che se lotta ci sarà, i cattolici di tutto il mondo saranno mobilitati e il loro peso sarà lanciato come un solo masso contro la Germania nazista. C'è da riflettere.

64 2 Vedi D. 47, nota 2.

65 l Vedi D. 56.

66

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1236/257 R. Roma, 14 luglio 1937, ore 2.

A proposito della larga diffusione e del forte rilievo dato dalla stampa inglese a un «messaggio» del Duce a Eden, informo V.E. che le cose stanno nei seguenti termini: il governo inglese ha sempre dato una grandissima importanza alle radiodiffusioni della stazione di Bari e si è sempre doluto della propaganda antibritannica che la radio di Bari avrebbe fatto e farebbe contro l'Inghilterra nel Vicino Oriente, specie nell'elemento arabo. Mercoledì scorso Eden ha attirato nuovamente l'attenzione del R. ambasciatore a Londra sulla radio di Bari 1 . Riferendosi ai contrasti e alle discussioni -egli ha detto -che nella stessa Inghilterra sarebbero certo determinate dal proposto assetto della Palestina, ha chiesto che il governo italiano non rendesse ancora più difficile il compito inglese. La richiesta è stata fatta alla vigilia della riunione del Comitato di non intervento.

Grandi è stato autorizzato 2 a dire ad Eden che il Duce aveva dato disposizioni a Radio Bari di «astenersi da ogni attività diretta a creare perturbamenti in Palestina». Il governo italiano ha d'altronde respinta sempre l'accusa di fare della propa

ganda antibritannica nel Vicino Oriente.

Le assicurazioni date naturalmente non pregiudicano in niente l'atteggiamento italiano in merito al rapporto Peel che è attualmente allo studio ma che, a quanto risulta dalle informazioni finora pervenute, sembra incontrare maggiori opposizioni spontaneamente non solo negli elementi ebraici, ma anche fra gli stessi arabi di Palestina e fuori.

66 I Vedi D. 30. 66 2 Vedi D. 41.

Le assicurazioni date ad Eden hanno in ogni modo giovato ai fini della politica italo-tedesca in materia di non intervento nella seduta di venerdì del relativo Comitato.

67

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4885/620 R. Londra, 14 luglio 1937, ore 13,51 (per. ore 17,25).

Preoccupazione questi circoli politici per crisi Estremo Oriente, già viva negli ultimi tre giorni, è oggi molto marcata.

Eden ha avuto ieri lunga conversazione con quest'ambasciatore di Cina 1 al quale ha manifestato ansia governo britannico per la situazione esprimendo speranza che sia tuttora possibile regolamento pacifico del presente conflitto e che Cina non vorrà farne «una questione di prestigio».

In senso analogo Eden si era precedentemente espresso con questo ambasciatore del Giappone2 col quale ha sottolineato sua fiducia che il governo di Tokio vorrà dare prova di moderazione per evitare che rapporti internazionali, già tesi a causa della guerra spagnola, subiscano un nuovo pericoloso contraccolpo in seguito conflitto armato fra Cina e Giappone. Eden ha fatto rilevare dannose ripercussioni che prolungarsi crisi Estremo Oriente avrebbe su attività che missione economica giapponese sta svolgendo a Londra.

Secondo informazioni da buona fonte, governo britannico avrebbe suggerito a Washington un passo comune o almeno parallelo tanto a Nanchino quanto a Tokio per promuovere soluzione di compromesso.

Per quanto notizie da Pechino siano gravi e indicazioni confuse e contraddittorie che si hanno a Londra su atteggiamento Cina non permettano di valutare in maniera adeguata situazione presente, tuttavia ambienti governativi ritengono che Giappone non voglia guerra ma stia tentando una manovra di forza per costringere Nanchino accettare condizioni dettate da Tokio.

68

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. 1241/508 R. Roma, 14 luglio 1937, ore 23,30.

Governo inglese ha rimesso stamani al R. ambasciatore a Londra il testo delle sue proposte pel non intervento 1 . Tali proposte saranno rese pubbliche domani ed ella potrà quindi leggerne il testo integrale sui giornali.

67 2 Shigeru Y oshida. 68 l Vedi D. 69, nota 2.

Proposte lasciano immutato il controllo terrestre; aboliscono le pattuglie di sorveglianza sostituendole con degli osservatori nei porti spagnoli; prospettano il riconoscimento della belligeranza delle due parti con formazioni di liste di contrabbando da concordare colle liste delle merci proibite dal Comitato di non intervento; sollevano in pieno la questione del ritiro dei volontari; lasciano al governo britannico il compito di mettersi in rapporto coi due governi nazionale e di Valencia, ecc., ecc.

La lettera d) delle proposte britanniche dice testualmente: «Il riconoscimento dei diritti di belligeranza diventerà effettivo quando il Comitato di non intervento registrerà l'opinione che le misure per il ritiro dei sudditi stranieri funzionano soddisfacentemente e che questo ritiro ha di fatto compiuto progressi sostanziali». Di tal guisa (e tralascio ogni osservazione di dettaglio) il governo inglese non soltanto lega la questione della belligeranza a quella dell'evacuazione dei volontari ma subordina la concessione della belligeranza alloro ritiro e anzi ad una fase avanzata di esso, assumendo pertanto una posizione inversa a quella del generale Franco che ha richiesto in via preventiva la belligeranza con tutte le garanzie ed i controlli connessi.

Sarà bene che V.E. intrattenga Franco in argomento facendogli presente che noi continuiamo naturalmente ad attenerci alla proposta Franco secondo è stato già comunicato a codesta R. ambasciata con telegramma n. 503 2 . Governo tedesco assume la stessa posizione; ed in questo senso sono state date istruzioni a Grandi.

67 l Quo Tai-Chi.

69

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4901/624. 4903/624 bis, 4905/625 Londra, 14 luglio 1937, ore 23,30 e 4906/626 R. (per. ore 7 del 15). Seguito a mio fonogramma 622 1•

Appena ricevuto testo nuove proposte britanniche 2 , ho convocato qui Ribbentrop e Monteiro per procedere scambio di idee preliminare. Riassumo nostre prime impressioni che di comune accordo abbiamo convenuto sottoporre al giudizio rispettivi governi in attesa istruzioni:

l) Documento britannico si può dividere in due parti: terreno neutro prima parte -(paragrafi dall'l al 7) contiene enunciazione del piano. Seconda parte (paragrafi 8 e 9) riguarda la esecuzione del medesimo, particolarmente in relazione questione volontari e belligeranti. 2) Prima parte: potrebbe considerarsi nel complesso accettabile, salvo suggerire modificazione dettagli particolarmente nel paragrafo 7.

In essa, infatti, non si chiede, una volta per sempre, di sistemare pattuglie navali e proposte anglo-francesi sostituiscono sistema osservatori porti spagnoli, sistema cui Italia e Germania avevano già aderito nel corso elaborazione primo piano controllo, respinto dalle due Spagne in conflitto. Inghilterra inoltre accetta principio riconoscimento belligeranza nella forma da noi suggerita.

Per quanto concerne ritiro volontari, nel paragrafo 7 viene proposta una risoluzione che conferma l'accettazione di principio che noi abbiamo già dato ripetutamente a partire dalle note italiane e tedesche nel gennaio u.s. 3

3) Dove il documento britannico ci è apparso assolutamente inaccettabile è nella parte seconda, e precisamente nel punto in cui il riconoscimento di belligeranza viene subordinato all'unanimità constatata da parte del Comitato che le misure pel ritiro dei volontari abbiano già dato risultato soddisfacente. In altri termini il riconoscimento di belligeranza verrebbe ad essere soggetto ad un (per lo meno parziale) ritiro dei volontari.

4) Stabilito che questo punto è assolutamente inaccettabile, Ribbentrop, Monteiro ed io abbiamo discusso sulla linea tattica da adottare nella seduta plenaria di venerdì, quando ci verrà richiesto di comunicare i punti di vista dei nostri governi.

È chiaro che se il documento non fosse stato reso di pubblica ragione prima della seduta, noi avremmo potuto !imitarci ad accettare la proposta britannica come «base di discussione», riservandoci di sollevare le nostre fondamentali obiezioni nelle successive sedute del Sottocomitato che sarà incaricato, dal Comitato plenario, di preparare il piano definitivo. Questa sarebbe stata, indubbiamente, la migliore linea tattica in quanto ci avrebbe permesso di dimostrare innegabilmente politica di atteggiamento apparentemente conciliativo (imbarazzando seriamente Francia e Russia), salvo a sgretolare il piano britannico nelle successive discussioni del Sottocomitato.

Dato che il piano britannico sarà da domani. dopo la sua pubblicazione, oggetto di commenti e polemiche in tutti i Paesi, sorge il problema di non (dico non) determinare sino dal primo momento alcune erronee interpretazioni su quello che è, e sarà effettivamente, il nostro atteggiamento nella questione dei volontari.

Ribbentrop, Monteiro ed io, dopo aver discusso, ci siamo riservati di riparlarne domani, quando siano apparsi i primi commenti e le prime congetture e dopo aver sottoposto ai rispettivi governi questo problema, la cui valutazione ha evidente riflesso politico e non può essere giudicato soltanto in base a considerazioni tattiche.

La prima impressione di Ribbentrop è che l'accettazione del piano come «base di discussione» copre, di per se stessa, ogni più ampia riserva. Monteiro ed io, pur riconoscendo che ciò è esatto, ci domandiamo tuttavia se non occorre fare seguire all'accettazione del piano «come base discussione» una qualche maggior precisazione e riserva che, discutendole, valorizzi da venerdì prossimo, le nostre obiezioni sul punto «volontari-belligeranza».

Un punto di importanza tutt'altro che trascurabile nel piano inglese è quello (paragrafo 9) che deferisce al governo britannico mandato entrare rapporti con due parti conflitto per esecuzione piano medesimo. Questa questione da me sollevata è stata oggetto di ampia discussione con Ribbentrop e Monteiro. Ribbentrop e Monteiro hanno riconosciuto con me essere inaccettabile attribuire Inghilterra questa specie mandato in bianco.

Siamo rimasti d'accordo che tale questione sarà una delle prime che solleveremo in sede Sottocomitato durante la discussione del progetto sostenendo che Sottocomitato stesso dovrà di volta in volta autorizzare e controllare azione mandatario. Ho fatto inoltre presente che mandato dovrebbe essere deferito non (dico non) al governo inglese bensì a Plymouth nella sua qualità di presidente del Comitato.

Ribbentrop mi ha detto che non (dico non) vede perché mandato non debba darsi al governo inglese in quanto Plymouth finirebbe comunque per esercitare mandato attraverso governo inglese.

Io ho sottolineato opportunità mantenere distinzione precisa tra figura presidente del Comitato e governo inglese in quanto non può essere escluso, dati precedenti, che fra qualche giorno sia invitato governo inglese ad assumere veste mediatore due parti in conflitto.

Prime impressioni raccolte stasera nei circoli francesi di Londra sulle proposte britanniche sono di delusione e di palese dispetto.

Francesi dichiarano apertamente che essi sono stati giuocati dagli inglesi sulla questione della belligeranza, e messi dal governo inglese di fronte al dilemma di scegliere fra il danno dell'accettazione del principio di belligeranza e l'altro danno, più grave, di politica generale che ne deriverebbe (qualora il governo francese rifiutasse le proposte inglesi) da un palese contrasto fra la politica francese e quella inglese nella questione spagnola.

L'ambasciata di Russia e di Valencia sono parimenti indispettite contro il piano britannico che presentasi come una concessione, da parte britannica, ai governi italiano e tedesco.

68 2 Vedi D. 44. 69 I T. 4881/622 del 14 luglio. Trasmetteva il testo della nota britannica (per la quale si veda la nota seguente).

69 2 Il 9 luglio, il Comitato di non intervento aveva incaricato il rappresentante britannico di preparare un progetto per la ricostituzione del sistema di controllo. Il progetto fu consegnato ai rappresentanti dei Paesi facenti parte del Comitato il 14 luglio. Se ne veda il testo in BD, vol. XIX, D. 38.

69 3 Note del governo italiano del 7 e 25 gennaio (testo in serie ottava, vol. VI, DD. 22 e 87); note del governo tedesco, stesse date (testo, rispettivamente, in DDT, vol. III, D. 190 e in BD, vol. XVIII, D. 112).

70

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2915/1224. Londra, 14 luglio 1937 (per. il 16).,.

Telespresso di V.E. n. 221988/c. 1 e successivi telegrammi n. 270 2 , 273 3 e 285 4 . Mio telegramma n. 611 5•.

70 I Vedi D. 23, nota 3.

Ho richiamato personalmente l'attenzione di Eden sui problemi di cui al telespresso n. 221988/c. e successivi telegrammi n. 270, 273 e 285, non senza aggiungere che V.E. annetteva ad essi la più seria importanza. Eden mi ha risposto che egli non era al corrente, che si sarebbe informato ed ha suggerito che il capo ufficio Rende!, al quale egli ha devoluto la trattazione del problema proceda con persona da me incaricata ad un esame della questione.

Ho pertanto dato istruzioni a Crolla di intrattenersi con Rende!, e di sottoporre a Rende!, uno dopo l'altro, i vari punti che V.E. vedrà riprodotti nel resoconto della conversazione, avendo soprattutto cura di «esplorare» il terreno obbligando Rende! a rivelare quali sono le effettive intenzioni britanniche.

Crolla mi riferisce quanto segue:

«Ho avuto una lunga conversazione con Rende!. Secondo le istruzioni di V.E. ho cominciato col ricordargli le sue ripetute assicurazioni che il governo britannico intendeva dimostrarsi fedele agli Accordi di Roma del 19276 , e le assicurazioni analoghe da me riconfermategli a nome del governo fascista. In tali occasioni, egli mi aveva ripetutamente manifestato la sua preoccupazione per le possibili intenzioni dell'Italia di fare un «colpo di mano» sullo Yemen; voci assurde, che io gli avevo sempre nettamente smentito. Mi pareva tuttavia che fosse venuto il momento di constatare che codesta insistenza di Rende! sulle «voci» di pretese intenzioni aggressive dell'Italia, mascherava ben altrimenti serie modificazioni dello statu qua politico, se non territoriale, dell'Arabia, silenziosamente operate dalla politica britannica. Intàtti, dopo la nostra ultima conversazione, era apparso sul Daily Herald del IO giugno un articolo, che certo non era sfuggito all'attenzione di Rende!, nel quale si segnalava la conquista dell'Hadramaut «hy 01·der in Council», da parte dell'Inghilterra, avvenuta proprio negli ultimi mesi per non dire nelle ultime settimane. Se era vera la notizia riportata dal Dai~v Hera!d, eravamo in presenza di un atto col quale il governo britannico veniva ad alterare profondamente a suo vantaggio l'equilibrio della Penisola Arabica, e le rispettive posizioni dell'Inghilterra e dell'Italia sanzionate dall'Accordo del 1927. Mi sembrava inoltre significativo il fatto che il governo britannico si fosse ben guardato dal comunicare preventivamente al governo italiano questi suoi nuovi proponimenti, come l'Accordo del 1927 lo avrebbe obbligato a fare. Ma, ho aggiunto subito, non era questo l'oggetto della mia visita. A pochi giorni di distanza dalle assicurazioni che il Duce ha voluto dare al signor Eden circa la radio di Bari 7 , non poteva tuttavia non venirmi fatto di constatare quanto poco la politica britannica nei Paesi arabi si conformasse allo spirito di collaborazione con l'Italia che era stato sanzionato dagli Accordi di Roma del 1927.

Fatta questa constatazione preliminare, ho chiesto a Rende! se egli poteva darmi qualche informazione sul viaggio a Riad del ministro britannico a Gedda. Questo viaggio, ho aggiunto, e il contemporaneo arrivo di due aeroplani militari a Gedda, provenienti dal Cairo, avevano dato esca ai commenti e alle supposizioni più svariate. Il ministro britannico a Gedda aveva ottimi rapporti personali col suo collega italiano, ma si era rifiutato di comunicargli lo scopo del suo viaggio a Riad, limitandosi a dirgli che andava a trattare una «questione di poca importanza». Questa risposta sibillina pareva poco conforme a quello spirito di chiarezza, di sin

70 7 Vedi D. 41.

cerità e di stretta cooperazione fra i nostri due Paesi, tante volte invocato e auspicato da Rende! nei nostri precedenti colloqui.

Rende!, rimasto silenzioso un momento, ha cominciato tentando di giustificare a priori la condotta del suo governo. Parlando con tono accorato e pessimista, ha cominciato a dirmi che si sentiva sempre più scoraggiato nei suoi sforzi per migliorare i rapporti tra i nostri due Paesi. Egli era responsabile di un settore della politica britannica, che risentiva l'immediato contraccolpo della politica generale. Ogni giorno gli capitava di leggere rapporti di Drummond che segnalavano articoli di giornali e riviste, discorsi di uomini politici, impressioni raccolte nei vari ambienti italiani, dai quali risultava chiaro il progressivo deteriorarsi delle relazioni italo-britanniche, e il diffondersi fra le masse italiane della convinzione che l'Inghilterra è destinata fatalmente ad essere «la nemica», e che gli inglesi sono invasi da uno spirito maligno e ostile all'Italia.

Ho interrotto Rende! per dirgli che questo spirito di ostilità, a quanto io potevo constatare, si andava effettivamente acuendo in Inghilterra, ma che da parte italiana vi erano stati viceversa molti recenti segni di voler migliorare le reciproche relazioni. Comunque, io non potevo discutere con lui su affermazioni generiche, ma solo sulla base di fatti concreti e documentati. Poteva egli citarmente qualcuno?

Rende! ha evitato di entrare in questo ordine di idee o di menzionare i «fatti» contenuti negli invocati rapporti di Drummond, e si è limitato a ricordare la vecchia storia del «boicottaggio giornalistico dell'Incoronazione» che «aveva colpito nel vivo gli amici inglesi dell'Italia» e assottigliato la loro già ridotta schiera. Se l'Italia fascista stava preparandosi, e preparando la propria opinione pubblica, alla guerra contro l'Inghilterra, a che valeva darsi tanta pena per rappezzare, in uno sforzo concorde, ma vano e limitato, la collaborazione anglo-italiana nel settore dell'Arabia, e gli Accordi di Roma del 1927?

Ho risposto a Rende! che se egli, con queste parole, intendeva denunciare gli Accordi di Roma come non più consoni al tono attuale dei rapporti fra i nostri due Paesi, io non potevo che prendere atto che l'iniziativa e la responsabilità di questa denuncia spettava all'Inghilterra e non all'Italia. Io ero venuto invece a parlare con lui proprio di questi Accordi del 1927, che il mio governo ritiene sempre validi e ai quali si è pienamente conformato in tutta la sua politica in Arabia.

Rende! ha subito reagito, dichiarandomi che il governo britannico intendeva anzi riconfermare gli Accordi di Roma, che esso «aveva sempre osservato nella lettera e nello spirito». Egli non poteva accettare l'allusione -che gli era parso di poter ricavare dalle mie parole -ad una flagrante violazione di questi Accordi da parte dell'Inghilterra. Per convincermi, mi avrebbe parlato con tutta franchezza, mi avrebbe dato «tutte le informazioni che io desideravo», in modo che io potessi dissipare nel governo fascista ogni sospetto circa la presente politica araba dell'Inghilterra.

Pur facendo le debite riserve sulla possibilità di «dissipare» legittimi sospetti, ho risposto a Rende! che condividevo l'idea che fosse meglio parlarsi con franchezza e che comunque avrei ascoltato e riferito il tenore delle sue dichiarazioni.

Rende! ha cominciato a parlarmi dell'Hadramaut. «Si tratta», egli ha detto, «di una regione sulla quale abbiamo titoli di protettorato che risalgono in alcune zone fino a quasi un secolo fa, e comunque sono anteriori alla guerra. Questi titoli sono stati indirettamente riconosciuti in blocco all'Inghilterra dalla Turchia in due trattati: uno, firmato il 29 luglio 1913, ma non ratificato; l'altro, firmato il 9 marzo 1914 e ratificato il 3 giugno dello stesso anno. Noi riteniamo valido e impegnativo per gli Stati successori dell'Impero Ottomano (e cioè nel caso specifico per l'Arabia Saudiana e per Io Yemen) solo il Trattato del 1914, il quale contiene e riprende alcune clausole del Trattato, non ratificato, del 1913. Ora, qual'è la situazione che risulta dal Trattato anglo-turco del 1914?

L'Impero Ottomano si disinteressa dell'Arabia meridionale e sud-orientale che cade perciò implicitamente sotto l'influenza britannica, fatta eccezione per il Sultanato di Oman e Mascate (sic'). Il Protettorato di Aden con tutte le sue appendici costituisce così in qualche modo una fascia che arriva fino al Golfo Persico. Due linee rette, che si incrociano nel deserto di Rub al Khali, segnano i confini con l'antico Impero Ottomano. La prima in direzione nord-sud, parte da un punto della costa sul Golfo di Ojeir (e precisamente di fronte all'isolotto di Zakhnunyah). Questa linea segue ad est, a distanza di poche miglia, il 50° meridiano fino alla congiunzione col 20° parallelo. Da questo punto parte la seconda linea che, diagonalmente, si ricongiunge con il confine tracciato fra lo Yemen e Aden. A destra di queste due linee si trovano i territori sui quali l'Inghilterra vanta antichi diritti. Rimane tuttavia il trapezio formato dal Sultanato di Oman e Mascate. Rimane inoltre qualche zona di sovranità incerta sulle coste estreme di Ras el Gebel, di fronte allo stretto di Ormuz. Ma il resto delle coste del Golfo Persico ad oriente della linea concordata col governo turco, è zona di influenza britannica. Noi inglesi abbiamo costituito i nostri titoli su quella regione da circa un secolo, per garantire la nostra via delle Indie».

Poiché Rende! mi ha messo sott'occhio i testi dei due Trattati anglo-turchi del 19 I 3 e del 1914, con annesse carte geografiche e confini tracciati a linee blu e viola, gli ho detto che doveva perdonare la mia ignoranza ma che non potevo francamente fare a meno di confessargli che le sue dichiarazioni sconvolgevano tutte le mie conoscenze in materia di geografia. Io avevo imparato a scuola che il Protettorato di Aden era formato da una esigua zona di retroterra a difesa della città costiera e che il resto dell'Arabia meridionale, centrale ed orientale era indipendente. Mi domandavo intanto se il Trattato con la Turchia che egli, Rende) invocava come fonte principale di questi stupefacenti titoli britannici, era stato a suo tempo pubblicato e comunicato al governo italiano.

Rende! mi ha risposto evasivamente, osservando che nell'epoca pre-bellica, epoca di diplomazia segreta, non si usava pubblicare i trattati né comunicarli ai terzi. Nel 1933 tuttavia, il Trattato anglo-turco del 1914 era stato pubblicato nella nota collezione di Aitchison, diretta dal governo dell'India.

Ho detto a Rende! che non intendevo entrare in merito ad una questione che non avevo istruzioni di sollevare e sulla quale dopo tutto non avevo competenza per discutere. Dovevo tuttavia dichiarargli subito che il governo fascista, nello stipulare le clausole dell'Accordo del 1927, non poteva che riferirsi alla situazione di fatto dell'Arabia, quale allora risultava, e non a trattati che esso ignorava o a titoli che esso non riconosceva. Qualunque mutamento nella situazione allora esistente e riconosciuta dall'Italia non poteva in base all'Accordo stesso che formare oggetto di consultazione fra i due Paesi. Non volevo argomentare con Rende! sui «titoli giuridici» che egli mi aveva citato, e sui quali avrei avuto da fare molte osservazioni; ma dovevo esprimere le più ampie riserve su tutto il contenuto della sua dichiarazione.

Rende! è tornato a svolgere sottili disquisizioni per dimostrare che l'Accordo del 1927 si riferiva alle coste del Mar Rosso e non già a quelle dell'Oceano Indiano e del Golfo Persico, tanto è vero che egli, quando avevamo parlato dell'argomento nei mesi passati, mi aveva dichiarato che il governo britannico era pronto a prendere in considerazione qualsiasi proposta italiana per una interpretazione estensiva dell'Accordo stesso.

Ho risposto a Rende! che, se egli aveva bene inteso le mie parole, esse significavano che il governo italiano aveva sempre interpretato e continuava a interpretare l'Accordo del 1927 come coinvolgente l'intera Penisola Arabica; e che il governo italiano desiderava soltanto accertarsi che il governo britannico fosse nello stesso ordine di idee. Comunque, mi pareva evidente che gli atti a cui il governo britannico stava procedendo nell'Hadramaut non potevano non avere una profonda ripercussione sulle coste del Mar Rosso. Bastava guardare una carta geografica per comprendere che l'Inghilterra stava accerchiando lo Y emen e compromettendo perciò l'equilibrio politico sul quale l'Accordo del 1927 era stato basato.

Rende!, quanto più imbarazzato, tanto più spinto ad alzare la voce e a prendere toni solenni e melodrammatici, mi ha dichiarato nel modo più «enfatico» che il governo britannico non ha mai pensato ad accerchiare lo Y emen o a diminuire la sua indipendenza. Se io volevo sapere perché il governo britannico avesse scelto questo particolare momento per tradurre in protettorato effettivo i titoli legali che esso aveva acquistato nel passato sulla regione dell'Hadramaut, egli, Rende!, non aveva difficoltà a spiegarmelo. L'Arabia era arrivata a una svolta importante della sua storia. La civiltà europea cominciava a penetrare nel centro, finora quasi inaccessibile, di quella penisola. I territori sotto il controllo di Ibn Saud cominciavano ad organizzarsi, le varie tribù nomadi a prendere una configurazione più precisa. Le tribù che, secondo gli antichi trattati avrebbero dovuto essere sottoposte al protettorato o alla sfera d'influenza dell'Inghilterra, venivano a poco a poco attratte e rischiavano di essere assorbite da questo processo di organizzazione e di sviluppo dell'Arabia Saudiana. Occorreva perciò iniziare subito, da parte dell'Inghilterra, un analogo processo di organizzazione e di penetrazione civile nei territori e presso le tribù che legalmente le appartenevano.

Poiché io ho fatto mostra di essere pochissimo convinto della sincerità di queste spiegazioni, Rende! è passato a parlarmi del viaggio a Riad del ministro britannico a Gedda. Questo viaggio, ha detto Rendel, ha avuto per oggetto la comunicazione a Ibn Saud del rapporto della Commissione Reale per la Palestina. Dopo aver accuratamente studiato gli orari delle linee di navigazione, Rende! è giunto alla conclusione che soltanto col mezzo aereo, o meglio con lo speciale invio di aeroplani dal Cairo, si sarebbe riusciti in tempo a far pervenire a Gedda un certo numero di copie del rapporto della Commissione Reale, in modo che lo stesso ministro britannico potesse consegnarli a Ibn Saud -a Riad -24 ore prima della loro pubblicazione. Il ministro britannico aveva avuto inoltre l'incarico di illustrare e chiarire verbalmente ad Ibn Saud le conclusioni del rapporto, e cercare di persuaderlo, per lo meno, a non prendere un atteggiamento di formale e pubblica opposizione.

Alla mia domanda, se la reazione di lbn Saud fosse già nota al Foreign Office, Rendel ha risposto che non aveva notizie precise, ma che ad ogni modo si trattava -nell'animo e nelle speranze del governo britannico -non tanto di ottenere concrete e favorevoli promesse, quanto di attenuare un male che era forse inevitabile: o in altri termini di addolcire la ormai sicura reazione sfavorevole del mondo arabo.

Ho chiesto a questo punto a Rende! se egli poteva assicurarmi che la missione a Riad del ministro britannico si sarebbe esaurita nella comunicazione e illustrazione del rapporto della Commissione Reale. Rende!, visibilmente imbarazzato, mi ha detto che non poteva darmi questa assicurazione, poiché nulla impediva al ministro britannico di approfittare del suo soggiorno a Riad e dei suoi contatti personali con lbn Saud per toccare altri argomenti connessi con i rapporti fra l'Inghilterra e l'Arabia Saudiana. In particolare, il problema dell'ulteriore definizione delle frontiere meridionali e sud-orientali del territorio sottoposto alla sovranità di lbn Saud. Vi erano per esempio delle tribù nomadi che trasmigravano continuamente, per ragioni di pascolo, da una parte all'altra della linea tracciata dal Trattato anglo-turco del 1914, specialmente nel tratto compreso tra il Golfo di Ojeir e Rub al Khali. Ma, ha aggiunto Rende!, queste trattative con Ibn Saud non sono intese in nessun modo a portare nuovi acquisti o vantaggi territoriali all'Inghilterra, ma piuttosto a risolvere una situazione giuridica alla luce dei dati di fatto, e della maggiore comodità reciproca per le due parti. «In definitiva», ha concluso Rende!, «L'Inghilterra ci rimetterà, abbandonando a lbn Saud tribù e territori che il Trattato anglo-turco del 1914 riconosceva di sua pertinenza. L'Inghilterra non acconsentirà tuttavia a modificare a suo svantaggio la zona costiera dell'Oceano Indiano e del Golfo Persico». Ho chiesto se queste pretese perdite dell'Inghilterra avrebbero trovato un compenso altrove, o sotto altra forma.

Rende! ha risposto: «No, non credo». Risposta esitante, e che lascia aperte speranze e possibilità.

Ho terminato a questo punto il mio colloquio con Rende!».

È superfluo richiamare l'attenzione di V.E. sull'importanza di questa conversazione fra Rende! e Crolla. Dalle risposte di Rende!, risposte che Crolla assai opportunamente ha provocato, si delinea assai chiara la politica britannica. Mentre da una parte l'Inghilterra si sforza di accerchiare l'Imam e costringerlo, con le minacce e le blandizie, alla resa a discrezione, dall'altra parte tenta di vendere a lbn Saud, contro concreti vantaggi, se non territoriali per lo meno politici, e fingendo di fare un atto di generosità, i diritti teorici e ipotetici che l'Inghilterra dice di essersi acquistati nell'Arabia centro-orientale.

Trasmetto a parte, ad ogni buon fine, un esemplare del volume XI della collezione Aitchison Treaties, Engagements and Sanads, che a pagg. 42 e 43 riporta il testo del Trattato anglo-turco del 9 marzo 19148 .

70 2 Vedi D. 23.

70 3 Vedi D. 31.

70 4 T. 10408/285 P.R. del 9 luglio. Ritrasmetteva il telegramma del ministro Sillitti di cui al D. 23, nota 6.

70 5 T. 4838/611 R. del 12 luglio. Riferiva in modo molto sintetico sul colloquio Crolla-Rende! oggetto del presente documento.

70 6 Vedi D. 23, nota 5.

71

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIA TE A BERLINO, LONDRA E SALAMANCA E ALLA LEGAZIONE A LISBONA

T. 1244/c. R. Roma, 15 luglio 1937, ore 24.

(Per Berlino, Salamanca e Lisbona) Ho telegrafato alla R. ambasciata a Londra quanto segue:

(Per tutti) Attolico mi informa che l'opinione del governo tedesco è che la seduta di domani del Comitato di non intervento dovrebbe restringersi alla semplice delibazione delle proposte britanniche 1 senza entrare nel merito di alcuna di esse e specialmente alla richiesta di tutti i chiarimenti necessari per rendersi conto della portata delle proposte medesime.

Ove la seduta di domani debba effettivamente avere carattere delibatorio e procedurale, nulla osta da parte mia e sono quindi d'accordo con Berlino che vengano richiesti tutti i possibile chiarimenti atti a permettere una completa valutazione delle proposte britanniche.

Ove tuttavia nella seduta di domani o in quelle successive la discussione dovesse entrare nel merito, resta inteso che una nostra accettazione di massima non potrà non essere accompagnata da una riserva o dichiarazione che faccia salvo il punto di vista italiano (che coincide praticamente con quello di Franco) 2 relativamente al problema volontari-belligeranza, per modo che la nostra libertà di azione al riguardo anche in seno al Comitato non resti pregiudicata. L'E.V. potrà giudicare in base agli elementi a sua disposizione della formulazione della riserva o dichiarazione da farsi all'uopo.

Altro punto che importerà chiarire è quello indicato nel suo telegramma

n. 625 3 . I negoziati con Franco e col governo di Valencia non dovranno per ovvie ragioni essere condotti dal governo inglese, ma dal Comitato e per esso dal suo presidente in istretto e continuo accordo coi rappresentanti delle Potenze maggiormente interessate.

70 8 Per il seguito della questione si veda il D. 128.

72

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. PERSONALE 1245/111 R. Roma, 15 luglio 1937, ore 24.

Nelle sue prime conversazioni con l'Imam, V.S. vorrà accennare al recente decreto emesso dal governo britannico col quale da un lato si estendono le frontiere del protettorato di Aden fino al sultanato di Oman-Mascate, comprese le regioni interne dell'Arabia meridionale (Hadramaut), e dall'altro si dànno al governatore del protettorato di Aden 1 poteri di governo e di amministrazione in tutti i territori anzidetti, trasformandoli così praticamente in territori coloniali britannici.

Non sfuggirà all'Imam la gravità di tale decreto che mira a rafforzare l'influenza britannica nella Penisola Arabica, anche con turbamento dello statu qua politico-territoriale finora esistente, e che completa l'accerchiamento dei due Stati arabi indipendenti della Saudia e dello Y emen. Si potrà far risultare il contrasto

71 2 Vedi D. 44. 71 3 Vedi D. 69. 72 I Sir Bernard Reilly.

fra tale politica britannica e quella dell'Italia che ha per caposaldo il pieno rispetto dello statu qua territoriale e il mantenimento dell'indipendenza e della integrità degli Stati arabi.

Mi sarà gradito conoscere possibilmente gli apprezzamenti dell'Imam su tale argomento2•

71 l Vedi D. 69. nota 2.

73

IL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7654. 15 luglio 19372.

Ieri a Salamanca preso contatto con nostro ambasciatore e parlato con generale Franco. Colloquio con generale Franco cordialissimo.

In tutto ambiente spagnolo nostra offerta intero corpo [ sic] senza restrizioni ha fatto ottima impressione. Per nostro impiego generale Franco si riserva decisioni a non lunga scadenza. Per questione baschi riassumo impressione Roatta che è la mia precisa. Perfetta buona fede da parte noti delegati provenienti Roma. Non altrettanto signor Aguirre che temporeggia non rispondendo precise questioni rivoltegli. E ciò molto facilmente per tre motivi. Per ottimistiche considerazioni su offensiva rossa zona Madrid non ancora a lui nota nella realtà. Per sospensione nostra offensiva su Santander. Per pratiche difficoltà innanzi a realizzazione piano resa in relazione aumentata diffidenza elementi parallelisti [sic] Asturie e Santander. In ogni modo procederò con energia e oculatezza perfettamente compreso intendimenti R. governo.

Per quanto riguarda future operazioni su Madrid o Santander invio relazione tramite corriere.

74

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

TELESPR. RISERVATO 224125. Roma, 15 luglio 1937.

Telegrammi per corriere di codesta R. ambasciata n. 024 del 4 febbraio u.s. 1 e

n. 0170 del 4 giugno u.s. 2 .

73 1 Pubblicato in ROVIGHI e STEFANI, p. 595. 73 2 Manca l'indicazione della data e dell'ora di arrivo. 74 l Vedi serie ottava, vol. VI, D. 123. 74 2 Vedi ibid., D. 692.

Approvo il linguaggio tenuto col signor Rendel dal consigliere di codesta R. ambasciata in merito ai rapporti itala-britannici circa l'Arabia. Nel riprendere tali colloqui, si potrà da parte nostra confermare che l'Italia come la Gran Bretagna, considera suo· fondamentale interesse il mantenimento della pace in Arabia basata sull'indipendenza e l'integrità dei due Stati arabi della costa occidentale del Mar Rosso, sullo statu quo di tutta la Penisola, e sull'equilibrio politico che in essa si era venuto creando.

V.E. potrà altresì confermare che, per quanto riguarda le mutue relazioni itala-britanniche circa l'Arabia intendiamo da parte nostra attenerci agli Accordi itala-britannici di Roma del 19273 , rispettandone la lettera e lo spirito. Tali Accordi prescrivono fra l'altro che è desiderabile che i due governi si mantengano in contatto in tutte le questioni riguardanti il Mar Rosso e l'Arabia meridionale: ed è perciò che fin dal febbraio scorso -a seguito dei primi accenni ad una innovata attività britannica in Arabia-abbiamo preso l'iniziativa di intrattenerne il governo britannico. Il signor Rendel ebbe allora a dare assicurazioni al commendator Crolla sul carattere statico, e non dinamico, della politica britannica in Arabia, sul desiderio di codesto governo di non turbare lo statu quo, sulla riluttanza britannica a non assumere le responsabilità di nuovi territori di dominio. «La Gran Bretagna -ebbe a dichiarare il signor Rende} -è sazia di territori è sovraccarica di responsabilità, non vuole accollarsene altre».

A tali dichiarazioni del signor Rendel sono seguiti vari fatti e sono stati emanati alcuni provvedimenti che mal si conciliano con le sue assicurazioni. Si citano qui di seguito i principali di tali fatti e provvedimenti:

l) con decreto 18 marzo 1937 il governo di Londra, definendo i poteri del governatore e comandante in capo del Protettorato di Aden, precisa che come tale deve intendersi «il complesso dei territori dell'Arabia limitati a sud dalla colonia di Aden e dal Golfo di Aden, ad ovest e a nord dal Regno dello Y emen e dal Regno dell'Arabia Saudiana e ad est dal Sultana t o di Oman-Mascate; e comprende anche le isole di Socotra e di Abd-al-Kuri e tutte le altre isole adiacenti ai suddetti territori». Con questo decreto si determinano per la prima volta frontiere precise al Protettorato di Aden, inglobando in esso tutte le tribù della costa, e quelle dell'interno fino alle non determinate frontiere con lo Yemen e la Saudia.

2) Lo stesso decreto riserva al governatore del Protettorato di Aden di esercitare nella zona definita come sopra ogni potere e giurisdizione appartenentigli ed a questo scopo lo autorizza a prendere tutte le misure e compiere tutti gli atti nell'interesse del servizio di S.M. britannica. ·

In questo modo si assimila tutto il Protettorato di Aden come definito più sopra alla Colonia di Aden.

3) Con decreto del 5 aprile 1937 (pubblicato nel Giornale Ufficiale di Aden in data 27 aprile) il signor Ingrams, qualificato « First Politica} Officen> e agente britannico a Mukalla, è stato autorizzato a rilasciare, firmare e rinnovare passaporti a Mukalla. Per la prima volta viene così nominato un agente britannico con residenza stabile a Mukalla.

•·

4) Con decreto in data 17 aprile 1937 (pubblicato nel suddetto Giornale Ufficiale di Aden) è stato aperto a Mukalla un ufficio postale britannico, da servire anche per i Sultanati dei Qaiti e dei Katiri, stabilendo che con tale apertura è riservato al governo britannico il privilegio esclusivo delle comunicazioni postali.

5) Le autorità inglesi hanno di recente incominciato a reclutare nell'Hadramaut armati locali per la formazione di un corpo di polizia indigeno.

6) Dai RR. consoli a Gibuti e ad Aden è stato segnalato, con riserva di controllo, che il governo inglese sta costituendo dei depositi di munizioni a Mukalla, dove verrebbero sbarcati munizioni e camions provenienti dall'Inghilterra.

7) Dal R. console in Aden è stato segnalato che l'Air Force di Aden ha istituito dei campi di atterraggio a Mukalla e nell'Hadramaut.

8) Dal R. console in Aden è stato riferito che le autorità di Aden hanno chiesto al Sultano degli Yafai di costituire nel suo territorio un corpo di polizia al comando di un ufficiale inglese; di autorizzare le costruzioni nel territorio del Sultanato di tre campi di aviazione e l'installazione di una stazione radio ad El-Kara, residenza del Sultano; di concedere infine concessioni agricole a capitali anglo-indiani. Il Sultano, minacciato di rappresaglie, ha infine ceduto nella costituzione di un corpo di polizia locale, purché non comandato da un ufficiale britannico.

Tale attività britannica non è -come appare evidente -di carattere statico, ma coinvolge una precisa intenzione britannica a porre l'Hadramaut -sotto la diretta ed esclusiva podestà inglese: si tratta di una soppressione di Sultana ti finora autonomi e dell'acquisizione da parte della Gran Bretagna di nuovi territori di dominio, dei quali è ovvia l'importanza politica e strategica. I fatti non hanno quindi corrisposto alle dichiarazioni del signor Rendel e converrà che ciò sia fatto da V.E. notare opportunamente al Foreign Office. Per di più, dovrà farsi osservare costì che tale attività britannica nell'Arabia meridionale non può !asciarci indifferenti: ogni modificazione nell'equilibrio politico-territoriale in Arabia ha ripercussioni sui due Stati arabi indipendenti della costa occidentale del Mar Rosso, ed incide sugli interessi generali italiani in Arabia, tutelati dagli Accordi italo-britannici di Roma del 1927. L'azione britannica nell'Arabia meridionale costituisce una modificazione nell'equilibrio politico-territoriale determinato da detti Accordi, e contrasta quindi con la loro lettera ed il loro spirito.

Infine è da notare che gli Accordi anzidetti consideravano esplicitamente «le questioni riguardanti gli interessi italiani e britannici nell'Arabia meridionale e nel Mar Rosso», e stabilivano che «le rispettive politiche dei due governi nell'Arabia meridionale e nel Mar Rosso devono attuarsi secondo uno spirito di amichevole cooperazione e devono svilupparsi secondo linee parallele benché indipendenti», e che (paragrafo 7) «è desiderabile che i due governi si mantengano in contatto in tutte le questioni riguardanti il Mar Rosso e l'Arabia meridionale, allo scopo di evitare malintesi tra di loro o inesatte impressioni da parte dei capi arabi nei riguardi della politica che i due governi intendono perseguire nelle regioni suindicate».

Non si tratta quindi da parte nostra di formulare proposte concrete per una possibile interpretazione estensiva di detti Accordi, giusta quanto ha accennato il signor Rende! nell'ultimo colloquio (telegramma per corriere di V.E. n. 0170 del 4 giugno u.s.); ma di richiamare la Gran Bretagna allo stato di diritto risultante dalla lettera e dallo spirito degli Accordi italo-britannici di Roma del 1927.

Allo stato delle cose il governo italiano, che ha sempre rispettato e desidera continuare a rispettare lo spirito e la lettera di tali intese, riservando ogni suo diritto e facoltà deve chiedere al governo di Londra come esso intenda ristabilire l'equilibrio turbato per fatto britannico.

Con l'occasione l'E.V. vorrà richiamare la più seria attenzione del Foreign Office sul fatto che la Gazzetta Ufficiale di Aden ha recentemente pubblicato la nomina di un Reggente la stazione quarantenaria di Camaran e che questo viene definito «direttore della stazione quarantenaria ed Amministratore civile».

Da parte nostra non possiamo ammettere l'esistenza di un amministratore civile a Camaran, isola che, secondo le suddette intese italo-britanniche di Roma è di sovranità riservata e in cui «nessuna Potenza europea ha da stabilirsi» (4 del resoconto delle conversazioni di Roma del 1927).

Domandiamo quindi la rettifica del decreto di nomina, che è in aperto contrasto con gli impegni della Gran Bretagna. Resto in attesa di conoscere l'esito dei suoi colloqui al Foreign Office 4 .

72 2 Non si è trovata la risposta di Sanaa.

74 3 Vedi D. 23, nota 5.

75

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AL CAIRO, GHIGI

TELESPR. SEGRETO 224126. Roma, 15 luglio 1937.

Con altro telespresso in data odierna diretto a Londra 2 le ho dato conoscenza delle istruzioni impartite a quella R. ambasciata in merito alla situazione che la recente attività inglese ha prodotta nell'Arabia meridionale.

Conviene che, ad appoggio della nostra azione diplomatica, la questione dell'Hadramaut venga trattata nella stampa araba del Cairo con articoli, informazioni, e notizie che mettano in rilievo il fatto che la Gran Bretagna con recenti provvedimenti (citati nel telespresso suindicato) ha praticamente annullato l'indipendenza dei capi e delle tribù musulmane dell'Arabia meridionale, trasformando in dominio coloniale britannico larghe zone della Penisola Araba che finora hanno goduto delle piena autonomia politica ed amministrativa. Occorrerebbe far risultare inoltre che tale azione britannica ha come non dubbio obiettivo l'accerchiamento dei due Stati arabi indipendenti (Saudia e Yemen), per renderli mancipii della politica inglese.

Per quanto possibile, l'azione di stampa suindicata non dovrà apparire promossa da noi. Dovrà inoltre curarsi che tale campagna di stampa venga diffusa in tutti i Paesi arabi, e particolarmente nella Saudia, nello Yemen ed in Iraq, ed inoltre in Persia, in India ed in Afganistan; e ciò possibilmente a mezzo di agenzie di stampa arabe.

Le unisco la copia dell'articolo Conquest by Order in Council apparso sul giornale Daily H era/d del l O giugno u.s., che le potrà opportunamente servire come base di divulgazione.

Le RR. rappresentanze cui il presente telespresso è diretto dovranno uniformare la loro azione locale di stampa alle istruzioni di cui sopra.

74 4 Per il seguito si veda il D. 222.

75 l Questo telespresso fu inviato per conoscenza all'ambasciata a Londra, alle legazioni a Bagdad, Gedda, Kabul e Teheran, ai consolati generali a Beirut, Bombay, Calcutta e Gerusalemme, ai consolati a Aden, Aleppo e Damasco e al dott. Dubbiosi a Sanaa.

75 2 Vedi D. 74.

76

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4497/1190. Washington, 15 luglio 1937 (per. il 26).

Ho avuto la visita del nuovo ambasciatore di Cina a Washington, dott. Chengting T. Wang, che è stato precedentemente ministro degli Esteri in Cina e che mi disse aver conosciuto V.E. a Shanghai e di averle fatto lo scorso agosto a Roma una visita di cui serba grato ricordo.

Secondo il dottor Wang, la mossa attuale del Giappone risponde ad un piano preparato e che è stato determinato in questo momento dal fatto che l'esercito sovietico appare in crisi per le note ragioni e che le Grandi Potenze sono impegnate e preoccupate dalla situazione spagnola. L'ambasciatore mi dice che la Cina non ha via di scampo e deve resistere alle pretese di Tokio. Mi aggiunge anzi che forse questo avvicina il momento in cui la Cina potrà smascherare il bluff giapponese. Gli ho chiesto che cosa intendesse per bluff giapponese e mi ha risposto che con ciò egli intende il metodo giapponese di approfittare del generale desiderio di pace di tutte le grandi Potenze per ottenere quello che vuole a base di minacce.

Il dottor Wang vede due lati deboli nell'attuale situazione del Giappone: l) La situazione finanziaria: Il Giappone è su una china che finirà col travolgerlo se non prenderà a tempo delle misure. L'unico uomo in Giappone che ha avuto la visione precisa e il coraggio di denunziare questo pericolo è stato il ministro delle Finanze Takahashi che però ha pagato con la vita tale sua audacia durante l'eccidio nazionalista del febbraio 1936. La politica bellicosa del Giappone, ormai condotta da anni, costituisce per il Paese un peso insopportabile: non è più possibile aumentare le tasse perché i contribuenti sono spremuti fino all'inverosimile; non si parla di prestiti all'estero, né si possono più collocare prestiti all'interno; secondo sue informazioni, delle ultime obbligazioni emesse dal governo, circa un miliardo di yen non hanno potuto trovare collocamento e hanno dovuto essere ricomprate dal governo stesso. D'altra parte il governo giapponese ha ormai esaurito tutte le fonti interne che aveva a sua disposizione come quella delle casse di risparmio postali i cui depositi sono serviti a finanziare la sua politica militarista. Il secondo punto oscuro della politica giapponese è la contrarietà che tale politica suscita in tutto il resto del mondo. Egli considera che, all'infuori della Germania -ed ha qualche dubbio sulla efficienza di quella intesa -domani il Giappone, in caso di necessità non possa contare su alcun altro aiuto. Egli non si nasconde però che l'aiuto da parte della Germania può essere di grandissima importanza nel caso in cui il conflitto si estendesse anche alla Russia.

L'ambasciatore Wang, pur rendendosi conto che il conflitto col Giappone si protrarrà ancora per molto tempo e costerà molti sacrifici alla Cina, confida che la vittoria finale possa essere di quest'ultima. La Cina è un Paese lento nelle sue evoluzioni, che però va sempre più organizzandosi. La tattica cinese è quella di cedere sotto la pressione della necessità per guadagnare il tempo necessario al consolidamento della nazione e dell'esercito. Il tempo è a favore della Cina.

L'ambasciatore ha l'impressione che il Giappone vada esaurendosi perché fa una politica di espansione superiore alle possibilità di resistenza del Paese, politica di espansione che, fino ad ora ha fatto in pura perdita. Anche la conquista del Manciukuò non ha potuto essere sfruttata dai giapponesi per due ragioni:

I -per il fatto che i giapponesi non sono in grado di fare una colonizzazione demografica di quel territorio; il giapponese vive male fuori di casa propria; la concorrenza fra la Cina ed il Giappone per l'immigrazione nel Manciukuò è cominciata dopo la guerra russo-giapponese e mentre la Cina è riuscita senza alcuno sforzo speciale ad inviare in quella regione 22 milioni di cinesi (circa un milione all'anno), il Giappone con grandissimo sforzo e con ingente spesa non è riuscito a mandare colà che 200.000 persone.

Il -mancanza di capitale per investimenti industriali. Mentre il Giappone vuoi fare una politica esclusivista nel Manciukuò non è d'altronde in grado di mettere a frutto il Paese. Oggi la popolazione del Manciukuò è composta si può dire esclusivamente di cinesi; in tutto il Paese ci sarà al più un milione di persone di altra razza. Questi cinesi soffrono male il giogo giapponese, ma non hanno la forza di ribellarsi; né il governo cinese è ancora in grado di venire in loro soccorso. Ma gli eventi potranno maturare il giorno in cui la partita fra i due Paesi s'impegnerà veramente a fondo ed in quel giorno egli non dubita che la Cina potrà contare sull'aiuto anche dei cinesi del Manciukuò.

Dalla conversazione, che ha avuto un carattere puramente occasionale, ho tratto l'impressione che il signor Wang non avesse alcuno scopo speciale nel rappresentarmi una visione così ottimista del futuro ma esprimesse le proprie convinzionP.

77

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 2758/1351. Vienna, 15 luglio 1937 (per. il 16).

Lo stesso favore con cui in Austria e in Germania sono stati accolti i risultati della prima sessione della Commissione austro-germanica 1 per l'Accordo dell'Il luglio, ha di per sé un'importanza sintomatica degna di rilievo. Contro ricorrenti

77 l Sui quali si veda il D. 51.

voci allarmistiche, esso dimostra nelle due parti una ferma tendenza a non voler abbandonare la base dell'Accordo raggiunto un anno fa.

Questa impressione favorevole, ottimistica ha dominato la ricorrenza del primo anniversario della sottoscrizione dell'Accordo. Sono state costrette al silenzio e all'inazione assoluta le correnti contrarie, certo non scomparse, né al di qua, né al di là del confine, nei gruppi illegali del nazismo austriaco e in quei circoli germanici che subiscono l'influenza degli emigrati austriaci, purtroppo molto numerosi.

Una volta ancora è superato il punto morto. Senza eccessive illusioni, si può guardare con tranquillità e con qualche fiducia all'esperimento che sarà ora ripreso sulla base dei risultati delle recenti conversazioni.

Ho detto già che questi possono apparire modesti. Ma, tra le conclusioni a cui la Commissione mista è pervenuta, quella specie di catechismo alla stampa, che, così come risulta dal comunicato pubblicatone, ha potuto dare l'impressione d'ingenuità, può invece avere un'importanza decisiva nella formazione di una nuova atmosfera nei rapporti tra i due Paesi.

Sono in grado di trasmettere in via riservata il testo completo di queste «puntazioni» sulla stampa (allegato) 2 . Vi sono individuate tutte le più gravi forme di incidenti, eccessi e trascorsi, che hanno così spesso avvelenato questo primo anno e frustrato tante possibilità di sviluppo dell'Accordo.

Importanza pratica ha l'aver affidato ad un alto funzionario in ciascuno dei due uffici stampa, a Berlino e a Vienna, quasi pieni poteri per regolare il funzionamento dei nuovi accordi, con personale responsabilità e con facoltà di diretti immediati contatti intesi ad eliminare inconvenienti, a reprimere e riparare contravvenzioni.

Non è ancora noto qui quale sarà il funzionario a ciò chiamato a Berlino e se esso apparterrà all'ufficio stampa del ministero degli Esteri o, più efficacemente, a quel Reichspressedienst diretto dal dottor Dietrich, che, facendo capo alla Cancelleria del Fiihrer, ha esso solo la forza di dominare veramente la stampa del partito in Germania, al centro e alla periferia.

Per Vienna la funzione predetta sarà assunta personalmente e direttamente dallo stesso commissario federale Adam, capo dell'ufficio stampa della Cancelleria.

Al capitolo II dell'unito allegato, la delegazione germanica aveva espresso il desiderio che, in attesa che i principii affermati nel capitolo I dessero soddisfacenti risultati, fosse fin da ora concordato che alla prossima scadenza del 16 settembre non sarebbe stato rinnovato il divieto generale per l'importazione in Austria dei giornali germanici e che, in luogo del divieto generale, fosse previsto soltanto il divieto parziale per quei giornali che non si fossero adattati alla nuova disciplina.

Da parte austriaca si è desiderato di differire ogni decisione in proposito a dopo l'esperienza dei prossimi due mesi. Si riesaminerà allora, in ogni caso prima del 16 settembre, la proposta germanica, nella speranza di poterlo fare con la maggiore larghezza. A ciò darà occasione il viaggio, più volte differito, di Adam a Berlino, previsto ora, come ho già comunicato, per i primi di settembre.

Per questo periodo intermedio il numero dei giornali dell'uno Stato ammessi alla circolazione nell'altro Stato, è rimasto immutato, cioè ridotto a cinque giornali per ogni Stato e a pochi periodici.

Non è il caso di aggiungere particolari, non essenziali, alle altre parti delle conclusioni della Commissione mista, come sono esposte nel mio telespresso urgente n. 2708/1328 3 . Piuttosto, va dato il massimo rilievo all'atteggiamento assunto dal Fiihrer nell'udienza di lunedì scorso, nella quale, come ho preannunziato, von Papen e Keppler gli hanno riferito sui lavori della Commissione mista. Come al ritorno von Papen comunicò a Schmidt e ripetè a me (mio telegramma a V.E.

n. 135 del 13 corrente)4 , Hitler non solo approvò le proposte sottopostegli, ma se ne compiacque con insolita vivacità. Si mostrò molto lieto della riammissione del suo Mein Kampf in Austria, senza risentirsi delle cautele onde è circondata per impedirne abusi a scopi di propaganda. Lesse con evidente compiacimento le puntazioni sulla stampa e dispose subito perché fossero trasmesse per telefono da Obersalzberg a Berlino e diramate la stessa sera alla stampa. Ma quel che più conta, il Fiihrer anullò lì per lì, senza interrogare Berlino, il divieto a sei cantanti di partecipare ai prossimi Festspiele di Salisburgo. Non si preoccupò che tale annullamento colpiva direttamente Gobbels che l'aveva emanato e fatto pubblicare.

Avrebbe anche maggiore significato per l'avvenire se dovesse confermarsi la notizia, data da von Papen in forma non molto precisa né definitiva, che Hitler si proporrebbe di «liquidare», nei rapporti di cui abusavano col Reich (partito e governo), i vari Leopold, capi del nazismo illegale in Austria.

Avrebbe prodotto un'influenza benefica in questo senso ciò che il fiduciario e amico personale di Hitler, il Keppler, gli avrebbe narrato sulle constatazioni fatte e gli elementi raccolti a Vienna circa l'attività, il seguito, le prospettive dei gruppi illegali in Austria, e soprattutto il netto atteggiamento assunto, nelle conversazioni viennesi, da personalità «nazionali» di sicura fede e grande serietà, come il Glaise e specialmente il nuovo consigliere di Stato Seyss-Inquart. Il quale ultimo, che era stato pochi giorni prima a Berlino, si era presentato al convegno con la delegazione germanica, con il distintivo del Fronte Patriottico ed aveva tolto con le sue precise, leali, coraggiose dichiarazioni ogni speranza a quelli che credessero di potersi valere di lui -sono parole del Seyss -come di «cavallo di Troia» nel campo dell'indipendenza e integrità statale dell'Austria e del Fronte Patriottico.

Von Papen mi ha detto che Keppler era rimasto presso Hitler anche dopo la sua partenza. Egli avrebbe riveduto il Fiihrer domenica prossima a Monaco in occasione dell'inaugurazione del nuovo Palazzo delle Arti. Sperava di poter avere definitive impressioni sugli ulteriori colloqui con Keppler, che, se fosse stato veramente guadagnato alla causa della opportunità per la Germania di tener fede, in ogni sua parte, all'Accordo dell' 11 luglio potrebbe costituire un argine efficace contro gli equivoci e ritorni al doppio binario, governo e partito, che a Vienna si temono ancora sempre.

Schuschnigg, conversando con me ieri, riconobbe che era stato ben consigliato quando nei ripetuti nostri colloqui si era andata in lui maturando la determinazione di ricorrere, in un momento che si presentava veramente critico, a questo strumento della Commissione mista che lo stesso Accordo dell'Il luglio aveva previsto e i contraenti avevano poi dimenticato. E, contro la sua tendenza ad una certa

77 4 T. 4874/135 R. del 13 luglio. Riferiva le decisioni di Hitler qui riportate.

sfiducia nel leale mantenimento dei patti da parte, se non del governo, del partito in Germania, mi si mostrò ora meno pessimista, se pur sempre fermo e fiducioso nei suoi principi, nella situazione interna, nella sua stessa autorità personale.

Rivoltagli lì per lì la domanda se credesse di poter prevedere ormai un incontro con Hitler, Schuschnigg mi rispose che non gli sembrava ancora matura l'ora, e che preferiva di veder prima l'incontro del Duce col Fiihrer, che gli sarebbe stato fatto credere prossimo e atteso con molta fiducia anche dai cattolici della Germania.

Il Cancelliere Federale riconobbe l'attività e I'instancabilità con le quali il dottor Guido Schmidt aveva sostanzialmente diretto, secondo le sue istruzioni di massima, i lavori della Commissione mista. Posso attestarlo pur io, per i contatti quotidiani che ho tenuto con lui in quella settimana per seguire da vicino le singole fasi delle trattative.

Con vivo compiacimento il Cancelliere rilevò la correttezza con la quale, pur contro qualche «scarto» di von Papen, la delegazione germanica, guidata da un abile diplomatico, il Weizsacker, aveva evitato ogni problema di politica estera ed ogni incursione nella politica interna, astenendosi da ogni anche lontano accenno a voler affrettare le fasi della cosiddetta pacificazione nazionale.

Solo se all'estero, in Germania e altrove, si praticherà il silenzio assoluto su questo tema e non si riveleranno impazienze, l'opera delicata, iniziatasi con la chiamata di Seyss-Inquart nel Consiglio di Stato, e con la creazione del «referato» nel Fronte Patriottico, potrà segnare anche non lontani sviluppi, da me fin dall'inizio preveduti nei rapporti a V.E. In questo senso i prossimi mesi, attraverso la pratica sperimentazione degli accordi recenti, avranno importanza anche maggiore dei periodi precedenti di quest'ultimo anno. Perché, una ricaduta negli errori, colpe od omissioni, delle due parti e un insuccesso del nuovo esperimento creerebbero un pessimismo pericoloso sulla possibilità dell'accordo fra i due Stati tedeschi e una situazione molto più difficile di quella superata ora.

76 l Il documento ha il visto di Mussolini.

77 2 Non pubblicato.

77 3 Vedi D. 51.

78

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 2986. Londra, 15 luglio 1937 1•

Ti ringrazio per il promemoria contenente una conversazione fra Lord Lloyd e Cerruti a Parigi2 in occasione della Conferenza fatta da Lloyd al Teatro degli Ambasciatori sull'amicizia franco-britannica. Quanto Lloyd ha detto a Cerruti è la riproduzione esatta di quello che Lloyd mi ha detto in ripetute occasioni durante questi ultimi mesi, e a cui mi sono riferito spesso nei miei rapporti. II particolareggiato resoconto sulle dichiarazioni fatte a Cerruti da Lord Lloyd può essere considerato come il punto di vista «standard» comune a tutti, o quasi tutti, gli esponen

78 I Manca l'indicazione della data d'arrivo. 78 2 Vedi D. 4.

ti del gruppo di conservatori di destra i quali hanno oggi assunto di fronte all'Italia un'attitudine di bisbetici imbronciati e delusi. Le ragioni per cui i conservatori di destra sono passati da un appoggio leale all'Italia dimostrato durante il periodo del conflitto italo-abissino (l'antisanzionismo è, come Tu ricordi, nato e nutrito da questi nostri ex-amici, alcuni dei quali si sono battuti al nostro fianco con un coraggio che non va dimenticato) all'attuale posizione di diffidenza aperta della politica italiana, sono state da me illustrate in numerose occasioni. Non mi dilungo quindi. Certo bisogna riguadagnare questi nostri ex-amici con tenacia e con tatto. È quello che io sto cercando di fare, sebbene la persuasione individuale non sia, in questo momento, per essi il mezzo più efficace. Ci vuole qualche cos'altro a cui io sto seriamente pensando e che io mi propongo di sottoporre al Tuo esame in occasione di una mia, spero, non lontana visita a Roma. Bisogna fare assolutamente qualche cosa perché uomini come Lloyd, come Churchill, Grigg, Phillimore, Mottistone, Cavan, Mansfield, Garvin, Gwynne, ritornino a guardare con fiducia e con confidenza verso l'Italia. Anche perché non ci giova che proprio dei nostri ex-amici fedeli, dell'autorità morale e politica di Lloyd e di Churchill, parlino sulla «ineluttabilità» di una guerra fra Inghilterra e Italia preparando indirettamente con ciò lo spirito pubblico britannico a questa eventualità. In questi ultimi tempi la conversione di molti già acerrimi odiatori della Germania ad un riavvicinamento anglo-tedesco è basata quasi esclusivamente su questo stato d'animo maturato nei riguardi dell'Italia proprio tra i conservatori di destra.

Questi conservatori di destra, come del resto tutti gli uomini politici inglesi, non hanno che una preoccupazione, che formulano, del resto, nelle loro conversazioni senza mistero: «Poiché un giorno o l'altro una guerra dovrà scoppiare in Europa e noi Inglesi non potremo ad essa sottrarci, occorre assolutamente evitare che l'Inghilterra sia contemporaneamente impegnata nel Mare del Nord e nel Mediterraneo. Bisogna che l'Inghilterra sia sicura su uno dei due punti, quale non importa, e possa concentrare o al Nord o al Sud i suoi sforzi.

Molti Inglesi sono andati gradatamente acquistando l'erronea convinzione che è più facile intendersi colla Germania che non coll'Italia. L'aspetto paradossale della situazione, sotto tale riguardo, è che questa convinzione ha guadagnato terreno proprio fra quelli che erano ieri gli odiatori della Germania, mentre, al contrario, il Governo, Chamberlain e lo stesso Eden, non sono affatto stati ancora guadagnati a questa tesi. Sono i conservatori di sinistra e del centro, ossia i tipici conservatori sanzionisti del 1935-36 quelli che oggi propendono apertamente per l'intesa coll'Italia, e mantengono intatte le loro riserve verso la Germania. Bisogna anche dire che al determinarsi dello stato d'animo nuovo fra i conservatori di destra hanno contribuito, più che la cosiddetta «delusione» nei nostri riguardi, quelle che io chiamo le «zone d'ombra» nella condotta tedesca di questi ultimi mesi, la quale ha dato agli Inglesi la sensazione, vera o no, che nel settore delicato della politica spagnola -ossia della politica mediterranea -l'Asse Roma-Berlino non presenterebbe quella solida saldatura che appare a prima vista. La Germania secondo gli Inglesi -si preparerebbe dunque ad essere oggi, nei confronti dell'Inghilterra in una situazione curiosamente analoga, seppure in senso inverso, a quella in cui si trovava l'Italia, nei confronti dell'Inghilterra, prima dello scoppio della grande guerra: alleata della Germania, neutrale nel Mediterraneo di fronte all'Inghilterra. A torto o a ragione molti Inglesi hanno la convinzione che la Germania, in un caso di conflitto italo-britannico non si muoverà.

Questo soltanto per spiegarTi il processo psicologico che ha portato alcuni dei più fedeli nostri amici di ieri alle attuali posizioni. Bisogna riguadagnarE, perché la loro autorità, sempre importante in condizioni normali, diventa assai maggiore nei momenti decisivi (fu l'azione dei conservatori di destra che contribuì, in buona parte, nell'ottobre 1935 ad arrestare Io slittamento verso le sanzioni militari richieste dalle sinistre) quando cioè l'Inghilterra si trova davanti alla necessità di difendere quelli che essa, a torto o a ragione, ritiene i propri vitali interessi, e si rivolge allora istintivamente a coloro che di fronte all'opinione pubblica britannica sono considerati i campioni intransigenti della difesa di questi interessi nazionali e imperiali.

Su tutto ciò mi riprometto di parlarTi a voce e a lungo anche perché non si può schizzare un piano di azione tattica prima di conoscere esattamente quali sono effettivamente gli obiettivi strategici della nostra azione politica. Il momento, come Ti ho già scritto\ ricomincia ad essere interessante e molte possibilità si intravedono per una ripresa di quella politica del Duce e da Te fissata nell'Accordo italo-britannico del 2 gennaio, che il Duce ha definito una «cornice» e «punto di partenza», suscettibile di ulteriori e più vasti sviluppi.

Ciò dipende in gran parte dalle vittorie di Franco in Ispagna. Più queste vittorie saranno rapide e totalitarie, meno difficile sarà la ricerca di un terreno d'intesa cogli Inglesi. Gli Inglesi, non bisogna dimenticarlo mai, sono sensibili ad una sola cosa: la vittoria delle armi. Il Gentlemen's Agreement del 2 gennaio è stato sottoscritto dagli Inglesi all'indomani della nostra occupazione delle Baleari. L'insuccesso militare di Guadalajara ha al contrario riaperto la crisi dei rapporti italo-britannici. La presa di Bilbao da parte delle «Freccie Nere» ha posto agli Inglesi di nuovo sul tappeto il problema del miglioramento dei rapporti coll'Italia.

Tutto questo può apparire paradossale, ma è la verità. Per raggiungere un armistizio tollerabile fra noi e gli Inglesi occorre togliere fra noi e loro !'«ombra» della Spagna. L'unico mezzo per togliere quest'ombra è che Franco vinca, o meglio è quello di far vincere Franco. La vittoria dei Nazionalisti in !spagna farà morire automaticamente tutte le illusioni, persistenti in molti Inglesi, i quali sperano ancora in un possibile successo dei Rossi di Valencia, o almeno tale da controbilanciare il successo di Franco, e determinare alla fine l'intervento inglese nella solita «finzione» britannica dell'honest broker, ossia dell'arbitro pacificatore.

A questo mirano del resto tutti gli sforzi britannici in seno al Comitato di Londra.

79

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A GEDDA, SILLLITTI

T. RISERVATO 1245/81 R. Roma, 16 luglio 1937, ore 8,30.

Pel tramite che V.S. riterrà più conveniente, pregola attirare in modo opportuno attenzione S. M. Ibn Saud su recente decreto emesso da governo britannico 1 col

79 l Si veda in proposito il D. 74.

quale, da un lato si estendono le frontiere del Protettorato di Aden fino al Sultanato di Oman Mascate, comprese le regioni interne dell'Arabia meridionale (Hadramaut), e dall'altro si dànno al governatore del Protettorato di Aden poteri di governo e di amministrazione in tutti i territori anzidetti, trasformandoli così praticamente in territori coloniali britannici.

Non sfuggirà a Sua Maestà Ibn Saud la gravità di tale decreto, che mira a rafforzare l'influenza britannica nella Penisola Arabica, anche con turbamento dello status quo politico-territoriale finora esistente, e che completa l'accerchiamento dei due Stati arabi indipendenti della Saudia e dello Yemen. Si potrà far risultare il contrasto fra tale politica britannica e quella dell'Italia che ha per caposaldo il pieno rispetto dello status quo territoriale e il mantenimento della indipendenza e dell'integrità degli Stati arabi.

Mi sarà gradito conoscere possibilmente gli apprezzamenti di Sua Maestà Ibn Saud su tale argomento 2 .

78 3 Vedi D. 57.

80

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2700/1204. Mosca, 16 luglio 1937 (per. il 26).

Mio telespresso n. 267911201 in data di ieri 1•

La conversazione che ho avuto ieri sera con Riistii Aras non mi ha fornito elementi di particolare interesse per la valutazione politica della sua visita a Mosca. Egli ha insistito a più riprese nell'affermare che il viaggio non aveva alcun obiettivo specifico all'infuori di quello di riaffermare le cordiali relazioni fra

U.R.S.S. e Turchia, proclamate ancora recentemente dallo stesso presidente del Consiglio Ismet davanti alla Grande Assemblea Nazionale. Chiestogli cosa vi fosse di vero nella voce corsa, che egli fosse venuto a Mosca con un progetto di patto fra gli Stati del Mar Nero, Riistii Aras me l'ha smentita.

Avendo poi fatto allusione a certe dissonanze che mi pareva di aver rilevato fra il suo discorso e quello di Litvinov, il ministro si è mostrato restio ad entrare nell'argomento e si è limitato a dirmi che si trattava di «differenza di temperamenti personali», quello di Litvinov essendo incline alla polemica, ed il proprio invece alla conciliazione (sic).

80 I Telespr. 267911201 del 15 luglio. Riferiva sul discorso pronunciato da Litvinov al pranzo offerto in onore del ministro degli Esteri turco, Riistii Aras, in visita ufficiale a Mosca dal 12 al 16 luglio. L'ambasciatore Rosso sottolineava che, mentre Litvinov aveva espresso in modo velato ma chiaro un monito alla Turchia perché non cercasse l'amicizia di Stati ostili all'U.R.S.S., Aras aveva ribadito la piena indipendenza della Turchia nella sua attività internazionale. Il documento ha il visto di Musso lini.

Il resto della conversazione non merita la pena di essere riferito perché, mentre io cercavo di fargli precisare gli aspetti odierni delle relazioni fra Ankara e Mosca, egli rispondeva con le stesse frasi generiche del discorso ufficiale oppure parlava volubilmente della sua ammirazione pel Duce, della grande simpatia per

S.E. Ciano, delle cordiali accoglienze di Milano e di quelle non meno cordiali che attendevano il nostro ministro degli Affari Esteri ad Ankara, ecc. ecc.

Da informazioni raccolte a varie fonti dovrei concludere però che la povertà di interesse della nostra conversazione corrispondeva ad una effettiva scarsezza di contenuto politico della visita. Si è avuta l'impressione in questi ambienti diplomatici che nessuna questione di speciale importanza e nessun progetto concreto sia stato discusso fra Litvinov e Riistii Aras. Il «chiarimento» dei rapporti fra i due Paesi era evidentemente stato fatto già in precedenza, specialmente nelle conversazioni che Ismet Inéinii ha avuto con Litvinov a Londra durante le feste per l'incoronazione. La visita di Aras non ne sarebbe quindi stata che un complemento formale.

Comunque, è interessante esaminare quale sia lo stato odierno dei rapporti turco-sovietici.

Non v'ha dubbio, a mio avviso, che le dichiarazioni di Ismet davanti alla Grande Assemblea Nazionale ed il viaggio ufficiale dei due ministri turchi nell'U.R.S.S. hanno contribuito a rischiarare l'atmosfera ed a ridare alle relazioni fra Mosca ed Ankara l'apparenza di cordialità che avevano nel passato. Molto verosibilmente Ismet a Londra, e Riistii Aras a Mosca si sono adoperati a giustificare a Litvinov la politica degli ultimi dodici mesi e quest'ultimo, convinto o meno, ha accettato come buone le spiegazioni ottenute. È però verosimile che egli abbia chiesto anche delle assicurazioni per l'avvenire. In che cosa può aver consistito la richiesta di Litvinov? Molto verosimilmente egli ha chiesto la promessa che d'ora in poi la Turchia si astenga dal flirtare con i governi ostili all'U.R.S.S. e non mi pare fuori luogo supporre che abbia parlato in modo specifico dell'Italia. A questa domanda debbo credere che i ministri turchi abbiano risposto promettendo di non dare alcun aiuto attivo agli eventuali aggressori.

Tutto ciò -ne convengo -entra nel campo delle pure induzioni, ma io non saprei interpretare diversamente gli spunti polemici del discorso di Litvinov contro gli «aggressori» e la sua insistenza sul concetto del «potenziale della pace», nonché la frase delle risposta di Riistii Aras, nella quale egli ha dichiarato che «nessun aggressore può attendersi da noi alcun aiuto od appoggio».

Non escluderei che Litvinov abbia tentato di impegnare i turchi più a fondo, chiedendo loro un concorso attivo a favore della politica sovietica, ma mi sembra lecito presumere che in sostanza gli uomini di governo di Ankara si siano limitati a promettere di non far nulla che danneggi tale politica.

Quale sia destinata ad essere, nelle sue manifestazioni concrete, la portata effettiva di tale promessa potrà risultare soltanto dalle future manifestazioni della politica turca e suppongo che V.E. avrà l'opportunità di rendersene conto in occasione della sua visita ad Ankara, che R iistu Aras mi ha detto prevedere per il prossimo novembre 2 .

79 2 Con T. 5054/87 R. del 19 luglio, il ministro Sillitti rispondeva di avere sollecitato un colloquio con il ministro degli Esteri, Fuad Hamza che però si trovava allora a Londra per l'incoronazione di Giorgio VI.

80 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

81

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4986/558 R. Salamanca, 17 luglio 1937, ore 14 (per. ore 17,40).

Il giorno 15 corrente è stato firmato in Burgos accordo commerciale fra questo governo e Germania del quale trasmetterò testo appena mi sarà comunicato come da promessa avuta.

Segnalo intanto inserzione clausola nel senso che l'Italia non riceverà mai meno di quanto riceve la Germania. Accettazione di tale clausola da parte dei tedeschi è stata imposta da governo di Franco non senza difficoltà 1 .

82

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4990/639 R. Londra, 17 luglio 1937, ore 19,37 (per. ore l del 18).

Ho inviato corriere aereo resoconto seduta ieri Comitato 1 . Fatti più interessanti che caratterizzano sviluppo situazione sono seguenti:

l) Pubblicazione stampa progetto britannico contenente riconoscimento, sia pure condizionato, belligeranza Franco.

2) Reazione furiosa sinistra antifascista contro tale progetto e tentativo iersera ai Comuni (d'accordo con emissari Fronte Popolare francese e Del Vayo presente tuttora Londra) mettere Chamberlain e Eden in stato di accusa.

3) Vivace polemico discorso Eden contro i laburisti ed indirettamente contro attività sabotatrice degli alleati francesi 2 .

4) Accettazione italiana e tedesca del progetto inglese come base della discusswne.

5) Disorientamento evidente prodotto dall'attitudine italo-tedesca. 6) Rientro precipitoso e cambiamento all'ultimo momento delle dichiarazioni francesi e russe colle quali Parigi e Mosca intendevano in un primo tempo silurare nella stessa seduta di ieri progetto britannico. 7) Palese malumore nei conservatori per questa manovra dei socialcomunisti francesi e spagnoli ... 3 contro governo conservatore.

Governo inglese non si fa illusioni su quello che sarà atteggiamento italiano, tedesco e portoghese circa punto relativo belligeranza volontari. Io del resto ho creduto opportuno (a commento delle dichiarazioni, già di per se stesse molto chiare, da me fatte nel Comitato di ieri, ripetere nuovamente iersera a Eden che il governo fascista non (dico non) può accettare correlazione belligeranza volontari così come laburisti tentano stabilirla e vi si opporrà nell'ulteriore corso discussioni.

Eden mi ha confermato che era consapevole di ciò. Ma tuttavia accettazione italiana e tedesca come base della discussione ha servito rischiarare atmosfera e salvare politica non intervento che, soltanto qualche giorno fa, sembrava destinata a morire. Sotto tale aspetto --Eden ha continuato -contributo italiano e tedesco è stato di una efficacia decisiva.

Ho risposto a Eden che prendevo atto con piacere di queste sue dichiarazioni ed ho aggiunto che, qualunque sia il destino che sarà riservato al progetto inglese, una cosa resta acquisita nella seduta di ieri, e cioè che tutte le ventisette Nazioni accettando, di cattivo o buon grado principì contenuti progetto britannico, hanno implicitamente accettato (Francia e Russia comprese) diritto di Franco ad essere riconosciuto come belligerante. Valore politico e morale di tale riconoscimento rimane e rimarrà acquisito qualunque sia l'immediato seguito che verrà progetto inglese.

Eden ha detto che la situazione era veramente così.

81 l Per gli accordi in materia economica sottoscritti da Germania e Spagna Nazionale tra il 12 e il 16 luglio, si veda DDT, serie D., vol. III, DD. 392, 394 e 397. La clausola concernente l'Italia alla quale si fa qui riferimento è contenuta nel Protocollo del 12 luglio, ivi pubblicato come D. 392.

82 l Il 16 luglio, il Comitato di non intervento in seduta plenaria aveva accettato come base di discussione il piano britannico di controllo (per il quale si veda il D. 69).

82 2 Nella seduta del 15 luglio ai Comuni, Eden aveva sostenuto, contro le critiche dei laburisti, la necessità di proseguire nella politica di non intervento come unico mezzo per evitare un serio pericolo di guerra e difeso il riconoscimento dello status di belligerante alle due parti che si combattevano in Spagna, previsto nel progetto franco-britannico, sottolineando che il riconoscimento era subordinato a delle limitazioni che non avevano precedenti in casi del genere e che nella pratica lasciavano liberi i due belligeranti di agire soltanto contro quelle navi che non si conformavano alla procedura del non intervento.

83

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 5113/559 R. Safamanca, 17 luglio 1937 (per. il 22).

Seguito pressioni di Mancini, delegati baschi hanno ripetutamente telegrafato ad Aguirre per concretare resa ed inviare delegato militare con pieni poteri. Non essendosi Aguirre fatto vivo ed avendo Mancini fatto sapere che se entro le ore 24 del 15 corrente non fosse pervenuta risposta si riservava avvertire superiori autorità, due delegati sono partiti in aereo per Santander ma fino a ieri sera non si avevano notizie. Impressione di Mancini è che delegati baschi siano in buona fede ma che Aguirre temporeggi essendosi reso conto che progettata nostra azione of

fensiva su Santander è per ora sospesa e valutando forse troppo ottimisticamente possibilità successo offensiva rossa in corso sul fronte Madrid.

Franco che, pure accogliendo suggerimento del Duce, si è sempre mostrato scettico, sia sulla importanza numerica della resa, sia sulla sua pratica attuazione, non crede che Aguirre, praticamente prigioniero dei Rossi a Santander, abbia autorità trattare e possibilità determinare la resa dei noti battaglioni.

Il Comando Truppe Volontarie ha desiderato aggregare a Mancini un rappresentante di Franco per la deteminazione modalità militari resa: Generalissimo ha aderito alla richiesta, circa la quale avevo espresso parere favorevole per ragioni riguardo verso Comando spagnolo ed altresì per opportunità renderlo partecipe responsabilità. Ma poiché trattative non progrediscono, delegato spagnolo, già designato, non vi ha per ora partecipato.

Cavalletti mi informa aver appreso da Onaindia che ambasciata Inghilterra Hendaye ha comunicato al governo Santander che Franco è disposto creare zona sicurezza per popolazione basca e garantire transito frontiera fuggitivi baschi che desiderano ritornare zona nazionale.

Tale notizia della quale non ho potuto avere finora qui diretta conferma, ma che in base ad altri elementi in mio possesso può ritenersi attendibile, proverebbe proposito Generalissimo usare verso baschi clemenza consigliata dal Duce, ma in pari tempo suo disprezzo per Aguirre e sua avversione trattare con questi.

82 3 Nota dell'Ufficio Cifra: <<gruppo indecifrabile».

84

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5145/0219 bis R. Londra, 17 luglio 1937 (per. il 23).

A seguito miei telegrammi cifra n. 638 1 e n. 639 2 .

Eden mi ha ad un certo punto espresso la soddisfazione del governo britannico per l'accettazione da parte del governo italiano del piano britannico, aggiungendo che le dichiarazioni fatte ieri dall'Italia in seno al Comitato avevano avuto effetto decisivo per assicurare l'accettazione generale del piano. Eden ha continuato di sperare [sic] che la buona volontà dimostrata dall'Italia nella accettazione del piano britannico sarebbe continuata durante le prossime discussioni dei vari punti del documento britannico. Eden ha aggiunto che egli intendeva particolarmente riferirsi al punto delicato e difficile del ritiro dei volontari.

Ho risposto a Eden che il governo fascista aveva accettato il piano britannico intendendo con ciò di dare ancora una volta la prova della sua buona volontà di

84 I T. 4993/638 R. del 17 luglio. Riferiva sul colloquio con Eden, del giorno precedente, durante il quale era stata esaminata anche l'opportunità di una distensione fra la stampa italiana e quella britannica di tendenza conservatrice --l'unica su la quale il governo poteva avere qualche influenza -così da creare un'atmosfera psicologica più favorevole a delle conversazioni tra Roma e Londra.

collaborazioni internazionale ma, ho aggiunto, non doveva esserci nessun equivoco su quella che è e sarà esattamente la posizione italiana rispetto alla «connessione» tra belligeranza e volontari di cui trattano i paragrafi 8 e 9 del progetto britannico. II governo fascista ha accettato ed accetta il programma quale è fissato nei punti I, 2, 3, 4, 5, 6 e 7 e l'ordine logico di discussione in questi punti stabilito, cioè, controllo, belligeranza, volontari. Non può accettare, e non accetterà mai, per ovvie ragioni note al governo britannico ma sulle quali tuttavia vale sempre la pena di insistere, di condizionare il riconoscimento del diritto di belligeranza al ritiro dei volontari.

Poiché egli -ho continuato -mi aveva parlato con tanta calorosa insistenza della necessità di migliorare i rapporti italo-inglesi facevo appello al suo buon senso politico e pratico mettendolo in guardia contro i tentativi che Mosca e Parigi faranno durante la discussione del piano britannico allo scopo di costringere Italia e Germania a prendere una posizione di intransigenza (quale Italia e Germania non potrebbero mancare di prendere) e cercare così di porre di nuovo l'Italia e l'Inghilterra una contro l'altra nella questione del ritiro dei volontari. II successo del piano britannico, ho concluso, dipende dall'abilità e dalla cautela con cui saranno condotte le prossime discussioni da parte del presidente del Comitato, in modo che i punti fondamentali del piano britannico siano esaminati senza uno spirito polemico ed aprioristici pregiudizi.

Eden mi ha risposto che era d'accordo con me sulla necessità di trattare, nelle prossime sedute, i vari punti del piano britannico con tutta la cautela e la prudenza necessarie onde evitare che i vari governi fossero posti nella necessità di assumere delle posizioni di rigida intransigenza. Egli non mi ripeteva quanto in altre occasioni mi avèva fatto presente, e cioè l'estrema importanza che il governo britannico annette alla questione del ritiro dei volontari e alla necessità di abbordare questo problema. Tuttavia egli era perfettamente consapevole delle difficoltà del governo italiano e pertanto avrebbe dato istruzioni a Plymouth di condurre le discussioni in modo onde evitare che le opposte tendenze si manifestassero in un modo così reciso da compromettere sin dall'inizio il buon esito delle nostre discussioni.

84 2 Vedi D. 82.

85

COLLOQUI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AVVOCATO DINGLI

16-17 luglio 1937.

POINTS

I. D. had two interviews with the Foreign Minister, the first Iasting about I Y2 hours on Friday 16th July, the second lasting about 3/4hours on Saturday I 7th

98 July. The first commenced by an exposition by D. of Points prepared with B. in London and continued by a very detailed review by the F.M. o[ almost the whole field. At its dose the F.M. stated that he would piace the position before his Chief and asked me to return the next day. At this first interview the F.M. had expressed views on certain matters, but had only been definite on some. The second interview consisted in an exposition in detail by the F.M. of the reactions and views of his Government in relation to the Points I had submitted. D. had for the sake of precision and avoidance of misunderstanding prepared a concise manuscript series o[ notes which covered the Points. This D. handed to the F.M. at the dose of the first interview 2 . Both interviews were of marked frankness and cordiality.

2. -It was agreed that D.'s sole object, in conjunction with J.B., was that means should be found informaliy to prepare the ground for speedy and fruitful steps through official channels with the object of reestablishing norma! friendly relations, subsequently, as was to be hoped, developing to cordiality, and that, after this had been achieved, the settlement of ali disputed questions and the clearing of ali misunderstandings would foliow. It was accepted that D. was not and, in fact, could not speak in any sense officialiy. 3. -The F.M. stated that it was the most ardent wish of his Government and of the whole Italian people that the old friendly relations-a Rome-London axis -should return. They would shrink at no effort to achieve this. England should, however, bear in mind that public opinion in Italy was no less a vital factor for a Fascist régime as it was in England for a democratic régime. He was not criticising England's motives, but the people of Italy saw in the chain of circumstances from the British attitude during the Abyssinian war, the erroneous representations of Italian motives in the Spanish affair, the particularised insults current in England regarding the Guadalajara set-back of the Italian volunteer contingent (great stress was laid on the latter) and generaliy what was regarded as the apparently hostile spirit shown towards Italy, signs which led them to believe that England was bent upon defeating and humbling Italy by military means. Rectification of this widespread popular view was difficult without outward signs of E n gian d 's better disposition towards Italy. 4. -D. could give the most ampie assurances that nothing was more repugnant to the Italian Government than war of any kind, but stili more particularly with England of ali nations. Italy needed peace and was determined to have it at ali costs other than the sacrifice of honour and dignity. Italy wanted to remove the causes of war and of disturbances leading to war, and she considered that principal among the disturbances leading with certainty to war was the spread of Bolshevism. It was surely the interest of England as well as of Italy that the latter danger should be averted within the field in which it would become equally a danger to both countries.

5. Press and Radio.

Steps had been taken and since D. first spoke further effective steps have been taken to exdude acid criticism of England or English interests anywhere. But this

must be reciproca!: England should take such steps as could properly be taken to bring about the same result in regard to ltaly and Italian interests in the English Press and Radio. While the Italian Government realised that the methods for securing this in ltaly differed from those available to the British Government the Italian Government felt that the expression of the British Government's desires in this respect, say, on a suitable occasion in Parliament would have a strong effect and would, moreover, serve to show to the ltalian public that the rea! wishes of the British Government were not to be found in the comparatively small number of newspapers w ho would be uninfluenced by the Government's wishes. As regards the Italian side there was no need of publication of the Government's wishes, because the facts would be sufficient to demonstrate them.

6. Mediterranean.

The Italian Government is anxious that full agreement should be come to between the two countries on their respective interests. No difficulty whatsoever in foreseen. It is in no direction Italian policy to oppose or thwart British policy in the Mediterranean. A mutuai recognition of necessities and objectives offers no difficulty. The basis should be the principle of the Gentlemen's Agreement. There must, however, be no question or aspect ignored or shelved in other words, the enlarged new Agreement would cover the whole field of mutuai Mediterranean-Red Sea interests. The value of the existing Gentlemen's Agreement has been largely reduced owing to omissions of certain aspects of the problems mutually confronting the two States.

Italy does not favour, however, the extension of a new Anglo-Italian comprehensive Agreement as a basis of a Regional Pact. Italy sees no need for such a Pact, at any rate as matters now stand. She has an excellent Accord, almost an alliance, with Jugoslavia, a good Accord with Greece, a useful if not too cordial Accord with Turkey, no Accord but certainly eminently cordial relations with Spain (Nationalist). The Regional Pact conception would entail the participation of ali those countries and the overhauling if not «scrapping» of the existing Accords.

The omission of mention of France was notable. D. refrained from stressing this point, because he informed the impression that the reason in the F.M. 's mind was that an ltalian Accord or the attempt at an Accord with France would rouse German suspicions, which ltaly had no intention of risking at present.

In conclusion, therefore, Italy's view was that a completely particularised enlargement of the Gentlemen's Agreement was the best practical method of settling ali Mediterranean-Red Sea mutuai interests.

7. Ethiopia.

Apart from simple relaxation of strain and the creation of a friendly atmosphere, Italy placed in the forefront, as an indispensable preliminary to cordial and fruitful negotiations of ali mutuai relations, British recognition «of the ltalian Empire.» This was for the ltalians a matter of principle. Practically, of course, the existing de facto recognition of the ltalian Government as the Government of Ethiopia had reduced and, in fact, eliminated purely mechanical difficulties. But the whole Italian Nation was unanimous in wanting de jure recognition, and the Italian Government shared and fully realised this wish and could not, therefore, undertake any generai negotiations founded upon a cordial desire to define and systematize generai reciproca! interests unless this vita! preliminary step on the part of England takes piace. The ltalian Government was, of courses, aware of the possible internai politica! repercussions in England in regard to this step; but it was idle to suppose that the Italian Nation as a whole was either able or willing to investigate and give credit in respect of such internai British difficulties, if indeed these were serious. Italy regarded herself as a Trustee in the highest sense for the proper development of Ethiopia in a manner which would not menace England or any other Nation's interests and for the establishment of sound government in the interests of the Ethiopian population as well as of the ltalian Empire. They had a long task before them, but they meant to carry it through. Whaterver view England may have taken about the Ethiopian conquest, England could not but be convinced that that territory and its population had now a prospect of ordered civilised development and uplift which was wholly denied before. They looked to this as the factor that should predispose England towards the realistic and, stating it without offence, the common sense view that de jure recognition should not continue to be withheld. In conclusion, the whole Italian Nation had its heart set on England's recognition of the ltalian Empire i.e. on the de jure recognition of what in fact exists. So emphatic is the ltalian wish that no fruitful generai negotiations for a comprehensive settlement and mutuai definition of interests (whether purely English or of the British Dominions and Colonies) could take piace before this wish was fulfilled. Such recognition should be complete and not weakened by reservations or conditions. On this point the Italians relied on the farseeing politica! sense of the British.

8. Spain.

This was not a point referred to by D. The first mention was by the F.M.

The sole purpose of the ltalians in their sympathy for the Franco side is to avert the danger of a Bolshevik régime ultimately establishing itself in Spain on the limes and by the methods followed in the Russian Revolution. A small determined homogeneous extremist minority would overthrow a Socialist régime of the Kerensky type and set up, as in Russia, a Communist autocracy. ltaly's materia! and mora! interest to prevent such a development in a Mediterranean country was no different from England's interest. Beyond this purpose, in which Italy considers herself acting in the defence of the vita! interests of civilisation, Ttaly has no other purpose whatsoever. Once it is clear that Gen. Franco will be successful every single Italian volunteer will be withdrawn wholly and definitely «without a pause on the way». Further, in no circumstances will ltaly solicit or expect from Gen. Franco's Spain the smallest territorial recompense or the slightest politica! preferential treatment or exclusive economie advantage. The F.M. laid the greatest emphasis upon the above. Italy wants to prevent a Communist-Bolshevik autocracy in Spain and wants nothing more whatsoever but success for the anti-Bolshevik forces. In regard to England as indeed to all other Powers, Italy desires no reward of any kind whatsoever from Spain.

Impressions gathered hy D. j'rom indire et references hy the F. M. and in conversations with certain high ofjicials.

a) Germany.

The ltalo-German axis in no way threatens England or is intended at any time to do so. It was formed only because England and France's attitude left Italy no alternative but to seek support and avoid isolation. There is no obstacle, with this axis in existence, to agreement in the fullest sense with England. Italy shared with Germany a repugnance for Bolshevik-Soviet policy and régime.

b) Russia.

Dislike and repugnance for the Soviet Government and Soviet methods are extremely strong among ali classes of Italians without exception. They regard the present unsettled state of Europe as due in ali directions to Soviet policy.

c) England.

There is no sort of rea! dislike for England, but there is sorrow, suprise and mystification concerning the rift between the two countries; and a widespread fear that England is meditating against ltaly what has been mentioned above.

ALLEGATO

l. -Sir Joseph Bali ha le seguenti cariche: l. -Chief adviser on Policy (Capo Consulente sulle direttive) del Partito Conservatore, e ora del Governo Nazionale. 2. -Capo (permanente) della Organizzazione di Propaganda del Governo Nazionale. 3. -Amministratore Capo del Partito Conservatore. Egli è in rapporti quotidiani con il Primo Ministro, ed è anche amico intimo. 2. -Ad invito di Bali, Dingli ha avuto con lui tre interviste, di cui la prima -invito a pranzo -consisteva in passi preparatori. 3. -Bali spiegò che non agiva affatto ufficialmente, che quello che avrebbe detto erano idee sue proprie senza responsabilità su altri. Si pretiggeva lo scopo di scoprire il campo migliore in cui potrebbero svolgersi i passi necessari per ristabilire relazioni amichevoli e la concordia tra l'Inghilterra e l'Italia per agevolare con questo le mosse ufficiali.

Per quanto il Bali asserisse di agire per conto proprio esclusivo, è certo, anche da quello che lasciava cadere [sic], che il Primo Ministro era consapevole.

Osserva::ioni e proposte del Bali.

a) Il Primo Ministro ha ora in mani sue la direttiva della politica estera. Pur non ingerendosi nel lavoro normale del Foreign Office, ogni decisione d'importan::.a, viene fatta da lui stesso. È questo un cambiamento radicale da quello che succedeva all'epoca di Baldwin.

b) Il Primo Ministro è fermamente deciso, se sarà possibile, in qualsiasi modo, di ristabilire al più presto relazioni amichevoli normali, e a questo fine non intende tralasciare qualsiasi mezzo idoneo e compatibile con la sua responsabilità verso il Paese e i

. .

sum seguaci. c) Benché il pubblico sia irritato per il dissidio nel Comitato per il non intervento, è certo che il governo è contento dell'ordine per cui alla Radio-Bari è stato interdetto di commentare avversamente il rapporto sulla Palestina. Questo è stato altamente apprezzato e, data l'occasione, se ne farà menzione alla Camera dei Comuni.

d) Proposta.

Se Mussolini volesse dare un ordine a Bari di importo 3 generale (e non limitato alla sola Palestina) di non attaccare l'Inghilterra, e lasciasse sapere pubblicamente che questa era la sua volontà, allora immediatamente si prenderebbe nota di questo nella Camera dei Comuni e si darebbe la massima pubblicità favorevole in tutto l'Impero, e inoltre si accompagnerebbe questo con una espressione ministeriale deprecando fortemente commenti avversi all'Italia nella stampa e nella British Broadcasting (la Radio) (il governo ha mezzi di «persuasione» più importanti nel caso della radio che nel caso della stampa, specie quella avversa al governo. Il deplorare un dato articolo alla Camera è, però, uno strumento efficace).

e) Stampa italiana.

Il Bali disse di essere convinto che se Mussolini potesse fare quello che giudicherebbe opportuno per porre fine alla «campagna anti-inglese» nella stampa, il momento attuale ed immediato è questo per intraprendere negoziati amichevoli.

f) Accordo sul Mediterraneo. Bali pensa che al più presto siano intrapresi scambi e negoziati segreti, tra l'Inghilterra e l'Italia soltanto in riguardo agli interessi reciproci nel Mediterraneo.

Quando i due governi si saranno messi d'accordo, si proporrebbe pubblicamente il negoziato e la conclusione di un patto regionale per il Mediterraneo e si inviterebbe la Francia ad intervenire. Il Bali insiste che il Primo Ministro favorisse molto l'idea del patto regionale in generale. Per arrivare a questo è indispensabile preparare il terreno ristabilendo la concordia per quanto possibile o almeno i segni dell'amicizia. Il governo deve «educare» il popolo al nuovo allineamento.

g) Nella preparazione del terreno per rinnovati rapporti amichevoli, Bali insiste che per quanto possibile si abbia ad evitare il tasto della Spagna, in rapporto della quale il governo è in una posizione difficile, specie dal punto di vista elettorale.

h) Abissinia.

Punto sollevato non da Bali, ma da Dingli. Che cosa osterebbe al riconoscimento de jure del Governo italiano? Rispose il Bali che questa questione dovrebbe risolversi come pendente di altri accordi, e non come questione in prima linea. Per il governo il riconoscimento de jure farebbe perdere i voti della sezione liberale nazionalista e lavoro-nazionalista e forse una parte (non importante questa) dei voti conservatori. Per ragioni elettorali si deve procedere molto cautamente e forse gradatamente. Qui il Bali aggiunse che Dingli poteva assicurare formalmente gli italiani che non vi è stata mai e non vi è la più lontana idea da parte dell'Inghilterra di minacciare il territorio etiopico e il suo Governo attuale.

i) In generale: Il Bali è convinto che il Soviet è cagione della massima parte dei disordini contemporanei. Il Bali osservò che i tedeschi fanno ogni sforzo per migliorare le loro relazioni con l'Inghilterra.

Osservò che il pubblico è ora irritato seriamente a causa dell'attitudine della stampa e la radio in Italia, e con molta enfasi mi ripeteva che preliminari per il ristabilimento di buone relazioni e di utili accordi con l'eventuale rinnovamente del vecchio asse anglo-italiano era di rimediare questo e lasciare così calmare l'irritazione.

Finì dicendo: «Se Voi (Dingli) riuscirete potrò così provare al Primo Ministro che il mio passo è stato davvero utile». Assicurò inoltre che qualunque cosa che Dingli avesse creduto opportuno riferire al Primo Ministro egli (Bali) la avrebbe riferita senza ritardo 4 .

85 4 Il promemoria ha il visto di Mussolini.

85 1 Sul documento qui pubblicato -tratto dall'archivio dell'ambasciata a Londra -vi è l'annotazione: «Rapporto riservato di Dingli a Dole per Chamberlain». Come risulta dal diario dell'avvocato Dingli, una copia di questo documento fu consegnata a Grandi subito dopo il ritorno di Dingli a Londra. Non si è trovata traccia di una sua trasmissione a Roma.

85 2 Vedi allegato.

85 3 Sic.

86

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5013/1730. Parigi, 17 luglio 1937 1•

Riferimento: mio telegramma per corriere n. 0228 del 14 luglio u.s. 2

Le risoluzioni adottate dal congresso del partito socialista a Marsiglia (approvazione dell'operato del governo Blum, collaborazione condizionata al governo Chautemps, elaborazione di un nuovo programma del Fronte Popolare) sono !ungi dal costituire una chiarificazione della situazione politica francese. Esse costituiscono in realtà un adattamento imposto al partito dalle condizioni finanziarie dello Stato e dalla stanchezza diffusasi tra le masse dopo dodici mesi di esaltazione rivoluzionaria. Ma le violente discussioni che hanno preceduto la votazione e i risultati della votazione stessa confermano che il partito socialista è profondamente diviso nella valutazione della sua condotta politica passata e nella definizione di quella futura.

A Bordeaux, una settimana prima del congresso di Marsiglia, l'onorevole Blum aveva cercato di coprire la sua ritirata sotto i veli del patriottismo e del pericolo esteriore. Per quanto questi argomenti potessero sembrare insoliti per il capo di un partito socialista, essi corrispondevano al desiderio di Blum di apparire come il salvatore dell'ordine interno e della pace internazionale. L'ex-presidente del Consiglio sperava in tal modo di poter riscuotere il consenso dell'opinione pubblica, che è pacifista ad oltranza qualunque ne sia il colore politico e di far dimenticare i risultati disastrosi del suo passaggio al potere facendoli avallare dal vecchio e tenace patriottismo francese. Ma i violenti attacchi svolti contro la sua politica da Pivert e Zyromski, l'atmosfera di critica e di battaglia che ha dominato dall'inizio alla fine i lavori del congresso hanno dimostrato che l'insuccesso dell'esperienza socialista ha avuto profonde ripercussioni tra i militanti disilludendo alcuni, esasperandone altri, compromettendo comunque seriamente quella mistica del Fronte Popolare che appena un anno fa sembrava destinata a trasformare radicalmente il Paese.

Nel breve spazio di dodici mesi il socialismo ha invece dovuto constatare di essere intrinsecamente inadatto ad esprimere un organico ed autonomo sistema di governo. L'esperienza già avvenuta in tanti Paesi di Europa, ma nuova per la Francia, si è ripercossa duramente in seno al Partito. «Su questo congresso--ha detto Blum-grava un'atmosfera ben diversa dall'entusiasmo del giugno 1936». E come poteva essere altrimenti nel momento in cui un partito che si era concesse tutte le speranze era chiamato dal suo capo a registrare e convalidare il pauroso deficit della propria amministrazione?

Nell'ottobre del 1936 i radicali-socialisti, sicuri del ritorno più o meno prossimo al potere, ponevano al congresso di Biarritz i limiti e le condizioni della loro

86 t Manca l'indicazione della data d'arrivo.

collaborazione col governo radicale per non abbandonare, in una liquidazione disastrosa, tutte le posizioni raggiunte dopo un anno di esercizio del potere.

Le recenti vicende politiche ed economiche hanno inferto dunque un grave colpo all'estremismo di sinistra, compromettendone il prestigio nelle masse che vedono oggi svanire rapidamente tra svalutazione, inflazione e fiscalità, i benefizi acquistati in un anno di governo socialista. Ma ciò che il socialismo perde oggi in autorità ed estensione riacquista in forza critica ed oppositrice, ed è qui che si pone il problema di una collaborazione che Blum dichiarò leale ma che buona parte del congresso ha mostrato di concepire solo come un espediente ed un'arma. La collaborazione dei ministri socialisti non dovrebbe avere altro senso, secondo il congresso di Marsiglia, che quello della vigilanza e del controllo perché non sia tradito lo spirito e il programma del Fronte Popolare. Un nuovo programma è anzi allo studio per realizzare quelle riforme la cui mancanza ha impedito la riuscita del primo governo socialista ed è alla realizzazione di questo programma che è condizionato appunto l'appoggio dei socialisti al ministero Chautemps. 1\:'la come sarà possibile, e fino a quando, conciliare le ferree necessità della ricostruzione con le esigenze social-comuniste? Una intima contraddizione continua a persistere tra l'interesse nazionale perseguito dal governo radicale e le finalità partigiane e classiste del marxismo rivoluzionario. Ecco perché, mentre Chautemps riscuote la fiducia della grande maggioranza del popolo francese, le basi politiche della sua formazione ministeriale sono incerte e l'opera di ricostruzione non si svolge nelle condizioni migliori per la sua riuscita.

L'agitazione sociale favorita segretamente dalla Confederazione Generale del Lavoro, ricomincia a serpeggiare per il Paese sortendo effetti deleteri meno per l'ordine pubblico che per la creazione di quell'atmosfera di tranquillità e di fiducia che è indispensabile per la restaurazione del credito e il ritorno dei capitali emigrati. Così la crisi francese rischia di prolungarsi e di eternizzarsi, non abbastanza acuta e violenta per condurre a soluzioni radicali, troppo cronica e persistente per permettere alle infinite risorse di questo Paese di dare la misura interna della loro forza e delle loro possibilità.

La prova di disciplina data da quella maggioranza del popolo francese che è estraneo alle lotte politiche con l'accettazione delle gravi misure finanziarie decretate dal governo costituisce comunque un indice degno di rilievo. Così come è degna di rilievo la vigile attenzione con la quale il Paese segue il rafforzamento delle sue Forze Armate, nelle quali confida di avere il presidio non solo della pace interna ma anche della sua interna tranquillità.

Questo stato d'animo è determinato anche dalla mediocre prova che i partiti di destra continuano a dare di se stessi. Ad eccezione di Doriot che prosegue con fervore nella sua lotta giornalistica e politica cercando, con risultati non trascurabili, di galvanizzare intorno al «Fronte della Libertà» i dispersi residui dei partiti nazionali, non si scorge nel panorama politico francese l'uomo capace di assommare in sé e per sé il consenso di tutto un popolo. La Rocque che aveva cercato recentemente una evidente prova di duplicità rifiutando di aderire al «Fronte della Libertà» malgrado i costanti appelli da lui rivolti all'unione delle forze patriottiche, si è reso in questi giorni proprietario del quotidiano Le Petit Journal, già organo bolscevizzante dell'onorevole Patenòtre. Ma contemporaneamente, con dichiarazioni alla stampa che hanno destato la più profonda impressione, il suo ex-collaboratore Pozzo di Borgo lo ha accusato di aver attinto regolarmente ai fondi segreti del ministero dell'Interno ed ha ottenuto dall'ex-Presidente del Consiglio Tardieu esplicite affermazioni al riguardo.

Il prestigio del capo del Partito Sociale Francese era già abbastanza compromesso prima di tali rivelazioni: il suo silenzio di fronte a sì grave attacco non contribuirà certo ad accrescergli le simpatie dell'opinione e la fiducia dei suoi seguaci.

I vecchi uomini ed i vecchi partiti restano dunque per ora alla ribalta della vita politica francese. Esercitati da una tradizione cinquantennale ai compromessi, all'equilibrismo e alle schermaglie parlamentari essi non sono però in grado di imprimere al Paese quel movimento di rinnovamento nazionale la cui mancanza giustifica, socialmente, lo sviluppo delle rivendicazioni socialiste e dei conflitti di classe.

Perciò la partita è sempre aperta tra forze vecchie e nuove e finché le une non soverchieranno nettamente le altre, la lotta politica continuerà a comporsi, di volta in volta, e secondo le circostanze, in soluzioni medie e parziali, tipicamente francesi.

86 2 T. 4924/0228 R. del 14 luglio. Riferiva che il congresso del partito socialista tenutosi a Marsiglia dal IO al 15 luglio aveva confermato l'ascendente di Blum sul partito ma aveva anche messo in luce un diffuso malcontento per l'appoggio che il partito dava ad un governo a direzione radicale. L'unica risolu7ione approvata all\manimità era stata quella che reclamava la piena libertà di inviare rifornimenti al governo di Valencia e che si opponeva al riconoscimento dello status di belligerante al governo nazionale spagnolo.

87

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 2988. Londra, 17 luglio 1937 (per. il 23).

Ti allego il testo stenografico delle mie dichiarazioni di venerdì 1 , estratto dagli atti e documenti del Comitato, e distribuito qualche giorno fa. Dal resoconto Stefani, traduzione letterale di tali dichiarazioni, sono state tolte tuttavia, per brevità giornalistica, alcune parti che si riferiscono all'esame dei diritti di belligeranza. Te le segnalo a pag. l O, in quanto esse possono presentare un qualche interesse oggi, specialmente dopo che il progetto britannico 2 e le dichiarazioni di Eden alla Camera dei Comuni l'altra sera 3 hanno ripreso quasi integralmente questi punti delle nostre dichiarazioni.

Circa la sorte definitiva di questo progetto britannico io sono più pessimista di quello che Tu mi abbia dato impressione di esserlo, dalla nostra conversazione telefonica. Credo che non avevamo altra alternativa se non quella di accettare il piano britannico come base di discussione e di fare le dichiarazioni guardinghe che, a seconda delle Tue istruzioni, ho fatto nella seduta di ieri. La nostra accettazione come base di discussione ha avuto indubbiamente il vantaggio di accentuare, come Tu giustamente dici, la sfasatura innegabile esistente tra Parigi e Londra. Noi abbiamo costretto francesi e russi e venirci dietro e a riconoscere, sia pure soltanto in linea di principio, quei diritti di belligeranza che costituivano il nucleo centrale delle nostre proposte. Qualunque cosa accada al progetto britannico, il fatto rimane acquisito: ieri i 27 Stati, accettando il progetto all'unanimità, hanno accettato implicitamente il principio della belligeranza ai Nazionalisti spagnoli. La

Internazionali, pp. 568-572.

connessione artificiosa ed empirica stabilita dagli inglesi fra belligeranza e volontari e sulla quale il progetto assai probabilmente naufragherà ~ per ora ~ non è certamente sufficiente ad alterare una situazione favorevole già acquisita nel campo morale e politico, a vantaggio di Franco, col voto di ieri.

Tu avrai notato una certa differenza nel «tono» fra la mia dicharazione e quella di Ribbentrop. Ribbentrop era ansioso di gettare quanto più possibile fiori all'indirizzo degli inglesi, e dire agli inglesi il meno possibile di sgradito limitando le sue riserva a qualche cosa di assai generico e vago. lo ho creduto necessario, senza discostarmi dal tono che a Ribbentrop tanto premeva di dare alle sue dichiarazioni, di mettere tuttavia delle riserve precise, preannunciando la nostra opposizione al progetto inglese, sopratutto nel punto in cui esso pretende condizionare la belligeranza al ritiro, sia pure parziale, dei volontari.

Prevedo per la prossima settimana discussioni dure e confido nel Tuo aiuto costante e affettuoso, quale Tu mi ha sempre dato quotidianamente. È superfluo dirTi che non è certo da questa logorrea londinese che verranno delle soluzioni qualsiasi. La soluzione rimane esclusivamente al cannone, ossia alle «Frecce Nere». Tutto qui diventa facile quando arrivano notizie, o anche soltanto presentimenti, di vittorie.

Ecco perché i Tuoi telegrammi ultimi, che preannunziano importanti vittorie militari4 , sono l'unica «vera» cosa effettivamente importante, al di sopra di tutto questo estenuante bizantinismo semiginevrino di Londra.

87 1 Alla seduta plenaria del Comitato di non intervento del 9 luglio. Se ne veda il testo in Re/a::.ioni

87 2 Vedi D. 69.

87 3 Vedi D. 82, nota 2.

88

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, E A LONDRA, GRANDI

T. 1260/265 (Berlino) 295 (Londra) R. Roma, 18 luglio 1937, ore 4.

(Solo per Londra). Ho telegrafato a Berlino quanto segue:

(Per tutti). Drummond mi ha ieri informato 1 che, quantunque suo governo stimi impossibile formarsi opinione precisa circa responsabilità recenti incidenti cino-giapponesi, rinforzi che ambo le parti inviano sui luoghi aumentano tuttavia possibilità che i conflitto si allarghi pericolosamente, ciò che sarebbe contrario a interessi comuni. Drummond aggiunge che rappresentanti britannici a Tokio e Nanchino hanno avuto istruzioni di raccomandare la calma. Tokio è stato inoltre informato che se si ritenesse che governo britannico possa in qualche modo contribuire a una soluzione pacifica, Foreign Office è pronto ad esaminare qualsiasi suggerimento che il Giappone intendesse fargli pervenire a tale scopo. Gli Stati Uniti ~ secondo le informazioni britanniche ~hanno dato alle due parti eguali consigli di moderazione e il governo francese è disposto ad agire nello stesso senso.

Drummond ha spiegato che la presente comunicazione è fatta a titolo di cortesia e allo scopo di tenere il governo italiano al corrente di quanto è stato fatto

88 I Di questo colloquio -che ebbe luogo il 16 luglio come risulta dal D. 112 -· non si è trovata altra documentazione.

nell'occasione dal suo governo, il quale sarebbe lieto di ricevere tutte le informazioni che desiderassimo a nostra volta fargli pervenire.

Governo fascista è disposto ad agire presso Tokio e Nanchino in senso analogo a quello britannico. Prima di provvedere in conseguenza, prego tuttavia E.V. voler accertare se codesto governo condivide tale punto di vista, telegrafando 2 .

87 4 Vedi D. 34.

89

IL PROFESSOR ENDERLE AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 18 luglio 1937.

Ho incontrato il 16 ed il 17 corrente a Vienna il signor Mousa Alami, fiduciario del Gran Mufti di Gerusalemme, Hag Amin el Huseini.

Il signor Alami mi ha pregato innanzi tutto di porgere a V.E. le espressioni della più profonda gratitudine del Mufti per gli aiuti di cui il R. Governo è stato, nel corso di questo ultimo anno, tanto largo alla causa araba da lui sostenuta in Palestina. Il Mufti desidererebbe che di tale gratitudine e della sua devozione ed ammirazione l'E.V. volesse rendersi interprete presso il Duce.

Dopo aver constatato, con soddisfazione, come si siano con regolarità, precisione e discrezione svolti i nostri contatti dal luglio scorso ad oggi, abbiamo con il signor Alami parlato dei seguenti argomenti:

a) situazione politica dei Paesi arabi del Prossimo Oriente, con particolare riguardo alla Palestina; b) situazione dell'l t alia in detti Paesi;

c) programma per una azione da svolgersi in avvenire, specialmente in relazione ai nuovi torbidi elementi che la pubblicazione del rapporto della Commissione Reale per la Palestina ha aggiunto alla già complessa situazione palestinese.

Tenendo presenti le istruzioni impartitemi dall'E.V. al riguardo, ho pregato il signor Alami di far sapere al più presto ad Hag Amin el Huseini che l'atteggiamento più moderato recentemente assunto dalla radio italiana nelle trasmissioni in lingua araba, non implicava affatto un mutamento nella nostra politica verso gli arabi di Palestina e non era che una concessione formale fatta agli inglesi per il momento, allo scopo di raggiungere un determinato obiettivo.

Il signor Alami mi ha ringraziato di tale comunicazione e mi ha assicurato che ne avrebbe subito informato il Mufti.

a) Situazione politica nei Paesi arabi del Prossimo Oriente.

Situazione interna tesa sotto ogni punto di vista specialmente in Siria ed in Palestina, con tendenza nettamente ostile all'Inghilterra, alla Francia ed alla Turchia.

Il Mufti ritiene che, nel Mediterraneo Orientale, tali Potenze, non abbiano fatto altro che tramare contro l'Italia, nel corso di quest'ultimo anno.

La Turchia si è praticamente avvantaggiata delle mene franco-inglesi contro l'Italia, non solo con le concessioni ottenute per la zona di Alessandretta, ma anche iniziando, col beneplacito della Francia e dell'Inghilterra, tutta una nuova politica nel mondo arabo-orientale, tendente a conseguire benefici territoriali ed a riportare nella propria sfera di influenza quelle province che la guerra mondiale sottrasse al suo dominio.

In tale gioco l'unica a segnare delle perdite è stata la Francia, sia come posizioni reali abbandonate, sia come prestigio.

Per i Paesi arabi, alla costante minaccia inglese si è aggiunto il pericolo turco e contro tal pericolo specialmente la Siria e la Palestina sono più che mai decise a reagire, valendosi di ogni mezzo e trovando nei curdi, che sono in piena rivolta, i migliori alleati.

La questione palestinese occupa sempre un posto di primo piano e trova in tutti i Paesi arabi vicini sempre più larga eco di solidarietà morale e materiale. Di tale solidarietà danno prove continue e tangibili la Siria, lo Yemen e l'Arabia Sa udita in primo luogo; con tono leggermente minore, l'Iraq, l'Egitto, l'India e gli stessi possedimenti francesi del Nord Africa.

Dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione Reale, tutti si rendono conto che si è giunti ad un punto cruciale della lotta contro gli Ebrei e contro l'Inghilterra e sono più che mai decisi a qualunque sacrificio.

b) Situazione dell'Italia nei Paesi Arabi.

In relazione a quanto precede, il signor Alami mi ha fatto presente che l'Italia gode ormai nei Paesi arabi il massimo favore possibile. Specialmente nel Prossimo Oriente nessuna Grande Potenza potrà mai sperare di attenerne uno simile. Anche i nostri più vecchi ed accaniti nemici si sono convertiti e non resta che qualche agente prezzolato a cercare di nuocerei con mezzi che la pratica giornaliera dimostra inutili ed inadeguati. Egli mi ha citato esempi e dati di fatto, che sono quelli stessi su cui hanno riferito i RR. Uffici nel Prossimo Oriente e specialmente il R. Consolato generale in Gerusalemme, che ignaro di quanto si è fatto per altre vie, ha spesso segnalato avvenimenti che ad esso riuscivano quasi inspiegabili.

A tali risultati il Mufti sarebbe giunto senza far nulla trapelare ad alcuno dei nostri rapporti, senza mai prendere una posizione aperta verso di noi, agevolato dalla nostra propaganda, dalle ripercussioni avute dalla nostra politica islamica in quest'ultimo anno e dal viaggio del Duce in Tripolitania.

A titolo di conclusione su questo argomento il signor Alami mi ha detto che la nostra situazione nei Paesi arabi era ormai giudicata tale che, nel venire in Europa per esporre a V.E. un programma per il futuro, egli doveva fra l'altro far conoscere a V.E. che: «gli uomini politici responsabili della Siria, della Palestina, dell'Iraq, ed il Re lbn Saud per il Regno Arabo-Saudiano, potrebbero, oggi, qualora l'E.V. lo credesse opportuno e lo desiderasse, abbandonare in via definitiva la linea di riserbo finora mantenuta per ragioni diverse di opportunità, fra le quali il desiderio di non esporsi a critiche ed a reazioni che avrebbero potuto suscitare nei rispettivi Paesi la propaganda a noi avversa (leggasi: desiderio di non compromettersi in via definitiva con gli inglesi), per iniziare una nuova politica di amicizia con l'Italia, da svolgersi in maniera chiara, aperta e non suscettibile del minimo equivoco».

Ho assicurato al signor Alami che non avrei mancato di richiamare la speciale attenzione di V.E. su questo punto che, specialmente per quanto riguarda Ibn Saud, ha una importanza di primissimo ordine.

c) Programma per una ulteriore a:::ione da svolgersi con il Mujii.

Per quanto riguarda la Palestina ed i nostri rapporti, il fiduciario del Mufti mi ha ripetutamente detto che è irrevocabile decisione degli Arabi della Palestina di rigettare le proposte formulate della Commissione Reale, le quali, se venissero realizzate segnerebbero la loro fine.

li Mufti, che ha, come ho già avuto l'onore di esporre, la piena solidarietà dei Paesi arabi vicini (salvo l'Emiro Abdallah di Transgiordania, il quale è venduto agli inglesi e dalla progettata partizione avrebbe tutto da guadagnare) ritiene che una soluzione del problema palestinese quale è stata ultimamente progettata non possa da noi essere considerata se non come diretta contro i nostri interessi nel Mediterraneo e nel Mar Rosso.

Egli confida, pertanto, che non solo per i legami di amicizia che ci legano e ci legheranno in futuro. ma anche per tali interessi. che sono del resto l'origine e la base dei nostri rapporti, l'Italia appoggi diplomaticamente le rivendicazioni della Palestina, tanto a Ginevra, qualora ciò fosse possibile, quanto con una azione diplomatica qualsiasi. Egli sarebbe particolarmente lieto se potesse subito ottenere in proposito una qualche assicurazione, pronto, da parte sua a fare tutto quello che noi crederemo opportuno fargli fare in Palestina, per facilitare e secondare la nostra azione.

A tale scopo egli potrebbe:

l) provocare sul posto appelli e dichiarazioni con noi concordate:

2) iniziare in breve periodo di tempo (anche qualche settimana) un violento movimento di ribellione soltanto in Palestina;

3) iniziare un movimento anche più violento, e che egli riterrebbe come l'unico veramente efficace, tanto in Palestina quanto in Transgiordania, fra qualche mese, non appena sarà giunta pel tramite di lbn Saud, la nota partita di armi e munizioni, se noi potremo concedergli ulteriori notevoli aiuti .fìnan:::iari.

Tale movimento, qualora gli aiuti finanziari fossero del genere da lui indicato, potrebbe essere spalleggiato dall'azione insurrezionale dei curdi contro la Turchia, e da quella materiale e morale dei siriani contro la Francia e dell'Iraq e del Regno Arabo-Saudiano contro l'Inghilterra.

Sul punto n. 3 il signor Alami mi ha aggiunto i seguenti dettagli:

a) per quanto riguarda !"invio della nota partita di armi muni:::ioni: Ibn Saud è sempre fermamente deciso a passare tale materiale in Transgiordania, qualora esso venisse trasportato a Gedda da un nostro piroscafo.

L'E.V. ricorderà che fu ultimamente convenuto che le armi e le munizioni già approntate dovrebbero venir caricate su di un nostro piroscafo insieme con altra partita di armi direttamente acquistata dal Re Saud in Italia o altrove (probabilmente Cecoslovacchia o Germania) per essere trasportate in Hegiaz. Perché detto trasporto potesse essere effettuato un agente fidato di lbn Saud avrebbe dovuto richiederci un piroscafo. La ragione per cui tale richiesta non ci è pervenuta ancora è dovuta al fatto che Ibn Saud vorrebbe servirsi come agente di persona di sua assoluta fiducia, che è ora gravemente ammalata. Tale persona sarebbe il signor Khalid el-Gargani, noto fuoruscito libico, che gode la massima fiducia del Re dell'Hegiaz, che è stato sempre acerrimo nemico dell'Italia e che, secondo quanto il signor Alami assicura, è ormai completamente convertito anche lui. Per non metterlo al corrente dei dettagli dell'operazione, si sarebbe convenuto tra il Mufti ed Ibn Saud che il piroscafo dovrebbe preferibilmente caricare in un porto jugoslavo le armi acquistate da Ibn Saud per suo conto e poi in Italia quelle destinate al Mufti, in modo che tutto il carico risulterebbe all'agente Gargani ed a chiunque altro come proveniente dalla Jugoslavia.

Il signor Alami mi ha aggiunto che qualora Khalid el-Gargani non fosse presto in condizioni fisiche da poter assolvere il delicato compito confidatogli, Ibn Saud sceglierebbe altro agente.

b) Per quanto riguarda la concessione di ulteriori aiuti finanziari, l'Alami mi ha precisato le richieste del Mufti come segue: -50.000 sterline per alimentare e per sviluppare in pieno la rivolta curda. Tale somma potrebbe essere passata ai curdi dal Mufti stesso, oppure da noi direttamente.

-50.000 sterline, possibilmente in oro, da versarsi al più presto in una volta sola e 20.000 sterline al mese, per la durata di qualche mese, allo scopo di sviluppare in pieno la rivolta in Transgiordania 1•

L'Eccellenza Vostra avrà senza dubbio rilevato, come tutto quanto espostomi dal signor Alami circa la situazione nel Prossimo Oriente ed in Arabia corrisponda con la massima esattezza a tutte le notizie che in quest'ultimo anno ci sono pervenute da fonte ufficiale (rapporti dei RR. Uffici) e da fonte riservata (intercettazioni di telegrammi e di rapporti). Da tale complesso di notizie le seguenti considerazioni possono essere tratte con le maggiori probabilità di non incorrere in errori:

-lo stato d'animo delle popolazioni arabe nei Paesi del Vicino Oriente ha raggiunto il massimo della tensione; -Inghilterra, Francia e Turchia effettivamente hanno lavorato e stanno lavorando ai nostri danni;

-le posizioni da noi raggiunte in qualche settore sono tali che difficilmente potremmo sperare di averne delle migliori. Tutti i fattori in moto hanno raggiunto lo stadio più acuto ed a noi più favorevole. La situazione nel complesso è matura tanto che converrebbe segnare un punto, sia per sfruttarla al massimo per i nostri interessi, sia per evitare che essa possa mutare a nostro svantaggio.

L'Eccellenza Vostra potrà segnarlo riportando tale situazione nel gioco più complesso della politica internazionale, nella quale questa potrà esercitare forse, nell'attuale momento, un peso che non potrebbe avere in altra occasione. Le preoccupazioni mostrate dal signor Eden, al momento della pubblicazione del Rapporto della Commissione Reale, e la fretta con cui sono state rese pubbliche le assicurazioni dategli circa l'atteggiamento che la Radio Bari avrebbe tenuto in tale occasione, ne sono la prova migliore.

Si tratta di vedere se tale peso ci conviene gettarlo ora senz'altro sulla bilancia, oppure mantenerlo in sospeso, cercando di dargli ulteriore incremento, con nuovi sacrifici finanziari che potrebbero diventare sempre più duri e non potrebbero essere interrotti se non col rischio di perdere il frutto di quanto si è fatto in passato.

Qualora l'Eccellenza Vostra volesse consentirmi di esprimere un subordinato parere, mi parmetterei di far presente che la situazione andrebbe sfruttata subito in pieno, prima ancora che si presenti la possibilità di giungere con gli inglesi a discussioni positive sui diversi argomenti che ci separano. Ciò tanto nel nostro interesse per evitare la possibilità di pericolosi abbinamenti (ad esempio: riconoscimento de jure dell'Impero, in corrispettivo del riconoscimento di un nuovo stato di fatto nel Prossimo Oriente), quanto nell'interesse stesso degli arabi e dei nostri rapporti con gli arabi, che se devono inevitabilmente essere schiacciati è bene che lo siano mentre noi li aiutiamo e senza che un nostro consenso più o meno esplicito ci possa essere subito rinfacciato.

Ciò consiglierebbe di affrettare i tempi.

Gli arabi se ne avvantaggerebbero anche perché l'Inghilterra, nell'attuale situazione internazionale (cattivi rapporti con l'Italia, questione spagnola, minaccia di un conflitto in Estremo Oriente), potrebbe di fronte ad un nuovo movimento vedersi indotta a maggiori concessioni, anziché tentare un colpo di forza, come ad esempio l'occupazione del Paese, che richiederebbe molta serenità dal punto di vista della politica generale.

Il signor Alami mi ha detto che nonostante le minacce fatte, gli inglesi non hanno oggi più di 8.000 uomini in Palestina. Alla forza di tali uomini va aggiunta quella di alcune opere fortificate create in certi punti più delicati del Paese, nei quali, a torto, credono che l'azione insurrezionale dovrebbe svolgersi nel caso in cui venisse ripresa.

Qualora Vostra Eccellenza ritenesse conveniente far agire subito gli arabi in Palestina si potrebbe:

l) stabilire una linea di condotta politica nei riguardi dell'Inghilterra per quanto riguarda la questione palestinese e darne notizia al Mufti stesso affinché egli possa opportunamente secondaria, ad esempio, con appelli diretti dal Comitato Supremo Arabo e dalla stampa palestinese a Ginevra, a tutti gli Stati arabi, all'Italia come Potenza Mediterranea che tanto ha fatto per l'Islam ed alla stessa

Germania, come Grande Potenza Europea, che persegue una politica anti-ebraica.

2) far sapere al Mufti che inizi subito il suo movimento in Palestina, ove è già predisposto, salvo a cercare di estenderlo appena possibile in Transgiordania e nel Kurdistan.

Delle sovvenzioni promesse lo scorso anno ancora 5.000 sterline devono esser versate. Tale somma, per cui siamo già impegnati, potrebbe essere corrisposta al più presto. Fra un mese o due, tenuti presenti i risultati che si saranno allora raggiunti, senza arrivare a versamenti notevoli, corrispondenti alle somme dal Mufti richieste (oltre 120 mila sterline), si potrebbe corrispondere ancora un'ultima sovvenzione globale di sensibile ammontare. Oltre a ciò verrebbero fornite le armi già pronte.

Il signor Alami, riferendosi ad una promessa fattagli personalmente da Vostra Eccellenza, mi ha chiesto se qualche sottufficiale o ufficiale libico esperto in atti di sabotaggio avrebbe potuto essere inviato al più presto nel deserto siriano, o nelle vicinanze di Damasco per potere istruire una dozzina di persone fidate del Mufti, che sarebbero destinate ad agire in Palestina e nel Kurdistan. Qualora ciò non fosse possibile il Mufti vorrebbe inviare in Libia elementi suoi di fiducia perché siano colà istruiti da nostri ufficiali. Tale richiesta potrebbe esser messa allo studio e, se possibile, accolta, specialmente nella seconda ipotesi formulata.

Col signor Alami siamo rimasti intesi che ci saremmo visti il 27 corrente a Ginevra e che io gli avrei fatto conoscere allora le decisioni prese da Vostra Eccellenza.

A titolo di conclusione delle nostre conversazioni l'Alami mi ha pregato di attirare l'attenzione dell'Eccellenza Vostra sul fatto che il rapporto della Commissione Reale dichiara (pag. 106) che le spese militari subite dall'Inghilterra per i moti in Palestina, nell'anno 1936-37, ammontarono a 1.330.000 sterline. I danni accertati raggiunsero la cifra di 3.500.000 di sterline. Detta cifra diverrebbe iperbolica se si volesse calcolare anche le perdite subite dagli arabi e dagli ebrei.

Tali sarebbero stati gli effetti del movimento insurrezionale dello scorso anno e dello stato di tensione fin' ora mantenuto in Palestina. In corrispettivo, tutte le somme da noi effettivamente impiegate in Palestina dal 1934 ad oggi ammontano a circa l 00.000 sterline 2 .

88 2 L'ambasciatore Attolico, allora a Monaco di Baviera, dove si trovava anche il ministro von Neurath, rispondeva (T. 5008/15 del 18 luglio): «Neurath è d'accordo». Per la risposta di Grandi si veda il D. 117.

89 1 Su questa pagina del documento Ciano ha scritto: «Armi-non soldi-oltre le 5.000 sterline». La cifra di 5.000 si riferiva a quanto il governo italiano doveva ancora dare della sovvenzione promessa l'anno precedente.

90

IL CONSOLE GENERALE A MUKDEN, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5058/28 bis R. I Mukden, 19 luglio 1937, ore 5 (per. ore 6 del20).

Gravità presente conflitto cino-giapponese appare determinata, oltre che dalla solita spinta degli elementi estremisti, anche dalle specifiche circostanze dell'attuale momento politico in Estremo Oriente.

Da parte cinese hanno agito quali circostanze aggravanti tanto il propagarsi e continuo intensificarsi dell'odio anti-giapponese nell'opinione pubblica, la quale sembra vada acquistando maggiore fermezza e peso nella vita politica cinese, quanto il diffondersi di un senso di fiducia dovuto alla preparazione militare compiuta negli ultimi anni, nonché alla sicurezza dell'appoggio finanziario e politico della Gran Bretagna.

Da parte del Giappone la preoccupazione causata dall'aumento dell'influenza di Nanchino nelle provincie settentrionali, la quale rende difficile la situazione politica e militare giapponese in quel settore tanto da incoraggiare a profittare dell'attuale eclissi della potenza sovietica, sia per spezzare la solidarietà sino alla linea russa e sia per tentare di portare a· compimento il programma giapponese nelle provincie del Nord coi mezzi che le circostanze potranno richiedere; se sufficiente, con un colpo di frusta che faccia superare il punto morto delle trattative pendenti

R. del 17 luglio).

tra il Giappone e una Cina oggi militarmente isolata, costringendo quest'ultima all'acquiescenza al volere di Tokio, ovvero, se il colpo di frusta non bastasse, ricorrendo magari alla guerra per risolvere definitivamente, prima che sfugga l'obiettivo, tutto il problema del nord della Cina.

Contro questi elementi che spingono verso la rottura, esistono tuttavia forze che agiscono nel senso della moderazione. Esse sono la pressione britannica sul Giappone, e più ancora sulla Cina; una certa riluttanza di una parte della opinione pubblica giapponese a lasciarsi trascinare in un'avventura in un periodo di travaglio interno, che essa preferirebbe dedicare al raccoglimento ed alla preparazione, ed infine la preoccupazione esistente, sia pure in ben varie misure, presso entrambi i governi per deficienza nella preparazione militare.

Limitando l'esame al solo Manciukuò, sembra che la preparazione militare giapponese oggi non sia ancora tale da poter tenere testa alle possibili minacce concentrate da parte Comitato anti-giapponese, Cina, Russia, ed eventuale sollevazione interna in caso di guerra.

Concludendo, in questi circoli si ritiene che la decisione del conflitto sia più nelle mani del governo di Tokio, e per esso dei militari giapponesi, che in quelle del governo di Nanchino.

Quanto poi ai militari giapponesi, si è convinti che il loro atteggiamento sarà prevalentemente determinato dagli elementi di giudizio da loro posseduti circa la gravità dell'attuale crisi politica e militare sovietica. A questo riguardo molto significativa è ritenuta la remissiva attitudine dimostrata da Mosca in occasione del recente incidente dell'affondamento delle cannoniere russe sul fiume Amur2 .

89 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

90 l Questo telegramma fu inviato dal console Cortese in seguito alla richiesta della direzione generale Affari Transoceanici di riferire su quanto risultava a Mukden sul conflitto cino-giapponese (T. 1252/15

91

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, SUGIMURA

APPUNTO. Roma, 19 luglio 1937.

Ho ricevuto l'Ambasciatore Sugimura in visita di congedo.

Con riferimento alla situazione creatasi nella Cina del Nord mi ha detto che l'atteggiamento cinese è tale da far ritenere quasi inevitabile lo scoppio del conflitto. I giapponesi stanno concentrando numerose divisioni e poiché il trasporto richiede qualche tempo non è da prevedere un immediato inizio di operazioni. Ma, salvo un cambiamento di politica cinese, esso inevitabilmente avrà luogo tra non molto. È convincimento dei giapponesi che dietro ai cinesi, Mosca stia manovrando la sua azione antinipponica. Non è quindi da escludere che il conflitto cino-giapponese possa, ad un certo momento, estendersi anche ai Soviet. Su questo argomento, però, Sugimura fa molte riserve poiché ritiene che i russi saran

no cauti prima di attaccare i giapponesi e poiché, a suo avviso, gli stessi militari giapponesi preferirebbero migliorare gli armamenti nazionali prima di misurarsi con i russi. Però se la provocazione russa dovesse continuare, il conflitto sarebbe inevitabile. Intanto (e questo me lo ha detto in via strettamente confidenziale), la prima azione giapponese tenderà a spezzare la linea di comunicazione che esiste tra Irkusk e Pechino, per impedire il congiungimento delle forze russo-cinesi.

In questo stato di cose, l'Ambasciatore Sugimura ha richiamato la mia attenzione sul fatto che l'aviazione cinese è istruita da ufficiali italiani ed in gran parte composta da materiale italiano. Egli mi ha detto di rendersi ben conto che se non fossero stati gli italiani a prendere piede nel campo aviatorio in Cina, lo stesso lavoro lo avrebbero compiuto gli inglesi, gli americani o forse gli stessi russi. Riteneva però di richiamare la mia attenzione sulla eventuale posizione dei nostri ufficiali in caso di conflitto aperto tra la Cina e il Giappone.

Gli ho risposto che noi avevamo svolta in Cina una attività puramente didattica e commerciale e che comunque i nostri ufficiali non erano affatto obbligati a partecipare ad azioni di guerra con le forze cinesi. Gli ho assicurato, che, mentre per il momento il problema non si poneva, quando la situazione fosse maturata noi non avremmo mancato di esaminare e risolvere la questione tenendo presenti anche i solidi legami di amicizia che ci uniscono al Giappone e la sua attività antibolscevica nell'Estremo Oriente 2 .

90 2 Il 29 giugno, i giapponesi avevano affondato una cannoniera sovietica sul fiume Amur al termine di una serie di incidenti che da circa un mese si andavano ripetendo per il controllo di alcune isole. Il 2 luglio, russi e giapponesi si erano accordati per ritirare le loro forze dalle isole contestate ma il 6 luglio l'incidente era stato riaperto con lo sbarco di truppe nippo-mancesi in una delle isole maggiori.

91 1 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 198-199.

92

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

TELESPR... 1 . [Roma,} ... luglio 1937.

Qui unita trasmetto a V. E. una copia della nota relativa ai negoziati per la conclusione del Patto Occidentale di Sicurezza che, in data 16 corrente, è stata consegnata all'ambasciatore Grandi 2 .

Come V.E. potrà rilevare, tale nota non entra nel merito di alcuno dei problemi che hanno formato finora oggetto di discussione tra i cinque governi interessati e non porta alcun elemento nuovo a tale discussione ma contiene la proposta di definire tra i cinque governi i principi' generali del nuovo Patto e di convocare una riunione di esperti i quali dovrebbero:

l) determinare fino a che punto esista già tra le Potenze un accordo sui metodi di applicazione di tali principi';

2) studiare la natura delle divergenze che dividono ancora le cinque Potenze;

3) suggerire i metodi che possano portare alla soluzione di tali divergenze.

92 I La copia del documento qui pubblicata non riporta, né il numero di protocollo, né la data d'invio, che peraltro si situa intorno al 19 luglio.

Alla nota è annesso un memorandum, il quale contiene quelli che, secondo il governo britannico, sono i principi generali che risultano dalla corrispondenza diplomatica che ha avuto luogo in questi mesi fra i cinque governi, e rappresentano le loro idee comuni. Se sulla definizione di questi principi i cinque governi sono d'accordo, la riunione degli esperti avrebbe incarico di procedere allo studio dei metodi di applicazione di questi principi e dei metodi di soluzione per le divergenze che attualmente esistono fra i cinque governi.

Lo scopo evidente di questa nuova proposta britannica è quello di trasportare sopra un terreno puramente tecnico la discussione del problema della sicurezza occidentale e i negoziati che dovrebbero portare alla conclusione del nuovo Patto.

Quando si esamini infatti il memorandum annesso alla nota si può subito rilevare che esso non contiene altro che un elenco di questioni che dovrebbero costituire l'agenda della riunione di esperti che il governo britannico propone. Tale elenco di per sé non significa nulla. Esso è un quadro vuoto e il giorno che una riunione di esperti fosse convocata per esaminare quelli che il governo britannico chiama «i metodi di applicazione» dei principi generali del nuovo Patto, tale riunione non sarebbe né più né meno che una conferenza investita dall'esame di merito dei vari problemi che sono indicati nel memorandum britannico, esame tuttavia che non verrebbe compiuto nel quadro di un negoziato politico tra i governi, ma nel quadro di una discussione tecnica, nella quale il vantaggio sarebbe prevalentemente di coloro che, come la Francia e l'Inghilterra, vogliono portare tutti i problemi in esame sul terreno astratto della conformità giudirica tra gli impegni del nuovo Patto e le stipulazioni del Patto della S.d.N. La Francia e l'Inghilterra raggiungerebbero così il loro intento di mettere fuori discussione i problemi politici, che -come noi abbiamo dimostrato al paragrafo 3 della nostra nota del 12 marzo 3 costituiscono le premesse per una ricostituzione del Trattato di Locarno, ed eliminerebbe così la questione della compatibilità politica del Patto Occidentale di sicurezza con il Patto franco-russo.

La Francia, come è noto, si è sempre rifiutata a una discussione di questo genere, trincerandosi dietro il carattere generale delle eccezioni di Locarno. L'Inghilterra ha sempre cercato di evitare tale discussione, preoccupandosi di poter fin da principio coprire le responsabilità della Francia e prestabilire che, ove i negoziati falliscano, tale fallimento non sia da imputarsi al rifiuto francese di mettere in discussione il Patto franco-russo ma al rifiuto tedesco di riconoscere gli obblighi che la Francia e l'Inghilterra hanno verso la S.d.N.

Se noi quindi accettiamo la procedura suggerita dall'Inghilterra, accetteremmo di portare i problemi del nuovo Patto per la Sicurezza Occidentale proprio su quel terreno, nel quale Francia e Inghilterra hanno cercato costantemente di attirarci.

D'altra parte, il fatto che la riunione di esperti, proposta dall'Inghilterra, dovrebbe essere preceduta da un'intesa sui principi generali del nuovo Patto, dà modo a noi e alla Germania di evitare una risposta o immediatamente o apertamente negativa ai suggerimenti britannici.

In conformità con quanto abbiamo fatto finora, noi intendiamo procedere, anche in questa questione, di pieno accordo con il governo del Reich, e gradiremmo di conoscere quali sono le sue impressioni e le sue osservazioni; e poiché in

116 questa questione la Germania è la maggiore interessata, noi intendiamo di lasciare alla Germania ampia libertà di giudicare dei suoi interessi.

91 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

92 2 Il testo della nota del governo britannico e del memorandum a cui si fa riferimento qui di seguito è in BD, vol. XIX, D. 48, allegati.

92 3 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 268.

93

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5061/260 R. Tokio, 20 luglio 1937, ore 16,50 (per. ore 12,25).

Telegramma della R. ambasciata in Cina in data del 18 luglio 1•

Ho accertato che questa ambasciata di Germania telegrafò a Berlino secondo riferii con mio telegramma n. 2462• Evidentemente Berlino ha preferito non dare seguito.

Sta di fatto però che sia da notizie di questa ambasciata tedesca sia da quelle avute direttamente da fonte competente risultava che, quando telegrafai, un tentativo italo-tedesco in Cina per una soluzione amichevole non sarebbe stato qui mal visto.

94

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI IN CINA, CORA, E A TOKIO, AURITI

T. 1280/c. R. Roma, 20 luglio 1937, ore 20,30.

(Per tutti meno Shanghai e Tokio).

Ho telefonato quanto segue alle RR. ambasciate in Tokio e Shanghai:

(Per tutti). Invio rinforzi da ambo le parti sui luoghi del conflitto accresce possibilità che conflitto stesso si aggravi pericolosamente. V.E. (V.S.) vorrà pertanto raccomandare opportunamente a codesto governo di considerare situazione con calma e ponderazione e far presente che se codesto governo ritenesse che governo fascista possa in qualche modo contribuire ad una soluzione pacifica siamo disposti a prendere in esame qualsiasi suggerimento diretto a tale scopo.

Prima di fare tale passo V.E. (V.S.) si assicuri che suo collega tedesco abbia ricevuto analoghe istruzioni.

93 1 Si riferisce al T. 5007/210 bis R. con il quale l'ambasciatore Cora comunicava che il suo collega tedesco gli aveva detto «di non aver ricevuto istruzione alcuna dal suo governo circa l'atteggiamento da assumere in queste circostanze e di avere perciò deciso rimanere al Nord dove si hanno maggiori notizie sullo svolgimento avvenimenti, anche in considerazione desiderio manifestato dal Giappone evitare intervento straniero».

93 2 Vedi D. 59.

94 1 Questo telegramma fu inviato anche alle ambasciate a Berlino, Bruxelles, Londra, Mosca, Parigi e Washington e alle legazioni a L'Aja e a Lisbona.

95

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 5076/57. Roma. 20 luglio 1937 (per. stesso giorno).

Il cardinale Segretario di Stato mi ha parlato stamane con molta calma delle cose di Germania. Le relazioni della Santa Sede con il Reich non sono certamente migliorate. Ne è prova l'elogio pubblico fatto dal Santo Padre al cardinale Mundelein, parlando a dei cattolici di Chicago 1• Le parole del Pontefice sono state pubblicate da L'Osservatore Romano solo dopo che Pio XI ha preteso che fossero stampate. Il cardinale Pacelli le ha fatte attenuare.

Il Papa ha detto che «si compiaceva di elogiare il coraggio del magnifico arcivescovo di Chicago, ecc.». L'organo vaticano ha stampato che il Pontefice «si compiaceva ricordare la grande::::::a del magnifico cardinale arcivescovo, ecc.». Come è noto. è stato il cardinale Mundelein che, in occasione di un suo discorso sulla situazione religiosa in Germania, ha attaccato personalmente il Fi.ihrer. Il governo tedesco pretendeva la sconfessione del cardinale di Chicago e ha ottenuto soltanto una nota della Segreteria di Stato la quale, a quanto si sa, non ha contentato Berlino.

Ho fatto osservare al Segretario di Stato che, tirando troppo la corda, si correva il rischio che si spezzasse. Se la Santa Sede credeva di potere fare sicuro affidamento sulla fedeltà dei cattolici tedeschi, non mi pare che potesse sentirsi tranquilla nei riguardi della gioventù cattolica la quale in caso di rottura, sarebbe diventata facile preda del nazismo, preparando il completo naufragio della dottrina cattolica in Germania. Ho soggiunto che a mio avviso la Santa Sede doveva evitare di dare l'occasione al Fuhrer di proclamare la separazione della Chiesa Cattolica dallo Stato.

Il cardinale mi ha risposto che il Papa si rendeva conto della gravità e della delicatezza della situazione. Il nunzio a Berlino 2 aveva prevenuto che qualche avvenimento grave si stava preparando, ma non era stato in grado di dare precisioni. Anche l'ambasciatore del Reich presso la Santa Sede aveva fatto delle vaghe allusioni, ma sempre insistendo che parlava a titolo personale. Recentemente von Bergen aveva pure mosso qualche lagnanza per il viaggio del Legato papale a Parigi 3 . Il cardinale Pacelli gli aveva risposto che era andato in Francia per una cerimonia religiosa e che era dispostissimo ad andare a Berlino per scopi analoghi.

Ho preso la palla al balzo e ho domandato al cardinale se andrebbe a Berlino per motivi schiettamente politici. Mi ha risposto in senso affermativo. Ha soggiunto che dovrebbe informarne il Papa, ma vi andrebbe. Il Segretario di Stato è stato reciso nella sua risposta. Mi ha detto inoltre che von Bergen gli ha accennato all'eventualità, in determinare circostanze, di un viaggio di von Neurath a Roma. Il Segretario di Stato ha detto al mio collega di essere pronto e disposto a conversare. Ha richiamato al riguardo le dichiarazioni fattemi a varie riprese e me le ha confermate con foga.

95 I Su l'episodio si veda serie ottava, vol. VI, DD. 677, 686 e 774. 95 2 Cesare Orsenigo. 95 3 Vedi D. 56.

A me pare che una cosa, in tutta questa faccenda, sia chiara e lampante, ed è la disposizione della Santa Sede a conversare. Ormai lo sanno anche le Autorità del Reich, dal momento che il cardinale Pacelli si è espresso in tal senso con l'ambasciatore von Bergen. Se si vuole, dunque, fare qualcosa che abbia una portata pratica, occorre spingere i tedeschi a prestarsi alla conversazione qui o a Berlino.

96

L' AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5141/0220 R. Londra, 20 luglio 1937 (per. il 23).

Come è noto a V.E., la firma degli Accordi navali anglo-tedesco ed anglo-sovietico1 ha avuto luogo al Foreign Office avant'ieri (mio telegramma n. 636) 2• Ho già avuto occasione di rilevare (miei rapporti del 9 e 10 giugno u.s.) 3 che entrambi gli Accordi hanno carattere prevalentemente tecnico. Infatti, il nuovo Accordo anglo-germanico non modifica in alcun modo il testo dell'Accordo anglo-tedesco del 19354 , e non fa che chiarirne l'interpretazione e regolare in dettaglio l'applicazione di alcune clausole, armonizzandole col Trattato navale di Londra del 19365 .

Malgrado il carattere tecnico degli Accordi la notizia dell'avvenuta firma è stata riportata sotto grandi titoli in tutti i giornali domenicali e ripresa oggi dai principali quotidiani che vi dedicano lunghi commenti.

Il Times ad esempio, il quale alla nota del suo corrispondente navale fa seguire una corrispondenza da Berlino che riporta i favorevoli commenti della stampa tedesca alla firma dell'accordo, dichiara che la soddisfazione manifestata in Germania è pienamente condivisa in Inghilterra e definisce gli accordi «pratici e promettenti».

Questa gonfiatura (di diretta ispirazione del Foreign Office) della notizia relativa alla firma dei due accordi e soprattutto di quello anglo-tedesco è stata, in questi ambienti politici, messa in relazione col passaggio del discorso pronunciato da Chamberlain alla Albert Hall 1'8 luglio u.s., nel quale il Primo Ministro dopo aver constatato con rincrescimento che i recenti avvenimenti avevano reso necessario il rinvio della progettata visita di Neurath a Londra, dichiarò che «egli poneva grande fiducia nei contatti personali fra uomini di Stato influenti» ed espresse la speranza

«che si presenterà qualche altra occasione per delle discussioni che conducano ad una migliore comprensione dei reciproci punti di vista» (mio telegramma n. 603)6 .

Le parole pronunciate dal Primo Ministro e la montatura inscenata attorno alla firma degli Accordi navali vengono unanimemente qui interpretate come un tentativo da parte del governo britannico di creare un'atmosfera favorevole che renda nuovamente possibile in un prossimo avvenire il viaggio a Londra del ministro degli Esteri germanico.

Con telespresso n. 3025/1970 in data odierna7 trasmetto i ritagli relativi.

96 1 Trattato tra Gran Bretagna e Germania del 17luglio 1937 (in MARTENS, vol. XXXIV, pp. 710-745) e Trattato tra Gran Bretagna e U.R.S.S., stessa data, (ihid., pp. 745-760) per l'adesione della Germania e dell'U.R.S.S. al Trattato di Londra per la limitazione degli armamenti navali del 25 marzo 1936.

96 2 T. 4972/636 R. del 16 luglio. Comunicava di essere stato informato dal Foreign Office che gli accordi navali con la Germania e con l'U.R.S.S. sarebbero stati sottoscritti il giorno successivo.

96 3 Telespr. 2333/954 del 9 giugno e Telespr. 2357/960 del IO giugno. Grandi aveva riferito che il sottosegretario aggiunto al Foreign Office, sir Robert Craigie, facendo seguito alla promessa di tenere al corrente il governo italiano dell'andamento delle trattative per gli accordi navali con la Germania e con l'Unione Sovietica, gli aveva comunicato il testo del progetto in discussione e successivamente alcune modifiche che vi erano state apportate.

96 4 Trattato tra Germania e Gran Bretagna per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935 (MARTENS, vol. XXXI, pp. 3-8). 96 5 Trattato per la limitazione degli armamenti navali tra Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda e India del 25 marzo 1936 (MARTENS, vol. XXXIV, pp. 679-710).

97

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. 10995/134 P.R. Roma, 21 luglio 1937, ore 0,30.

Telegramma di V.E. n. 213 1 .

Approvo pienamente risposta data da Giusti del Giardino.

98

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1283/c. R. Roma, 21 luglio 1937, ore 4,30.

Seguito mio telegramma n. 1282 1•

Dato attutale stato rapporti italo-tedeschi e carattere anticomunista azione giapponese in Cina, importerebbe che Italia e Germania procedessero di comune accordo nei riguardi avvenimenti cinesi, soprattutto qualora dovessero scoppiare ostilità come appare probabile. Con mio telegramma n. 2682 , Le comunico risposta che do a Cora circa missioni navale e aeronautica italiane in Cina. Sarebbe desiderabile che codesto governo desse fin d'ora analoghe istruzioni agli istruttori militari tedeschi in Cina. Nella eventualità poi, che appare probabile, che attuale

stero degli Esteri cinese si era lamentato con il segretario dell'ambasciata, Giusti del Giardino, per il tono della stampa italiana verso la Cina che non appariva così amichevole come quello della stampa di altre Potenze. Giusti del Giardino aveva risposto che l'impressione era errata ma che comunque il governo cinese avrebbe dovuto ricordare l'atteggiamento della sua stampa durante il conflitto itala-etiopico.

conflitto conduca a effettivo scoppio guerra, converrebbe considerare di comune accordo ulteriori ordini da impartire ai militari italiani e tedeschi in Cina. Ne parli con Neurath e mi telegrafi 3 .

96 6 T. 4770/603 R. del 9 luglio, in cui veniva riportato con maggiore ampiezza il contenuto del discorso di Chamberlain. ·

96 7 Non pubblicato.

97 1 Con T. 5047/213 R. del 19 luglio, l'ambasciatore Cora aveva riferito che un funzionario del mini

98 l T. 1282/c. R. del 21 luglio: trasmetteva il contenuto del D. 91

98 2 T. 1281/268 R. del 21 luglio: trasmetteva a Berlino il D. 99.

99

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. 1285/136 R. Roma, 21 luglio 1937, ore 8,30.

Telegramma di V.E. n. 212 1 .

Compito delle nostre missioni militari in Cina è strettamente limitato alla istruzione delle forze aeree e navali cinesi. Nostri ufficiali non, ripeto non, debbono pertanto partecipare ad azioni di guerra e nemmeno alla preparazione di piani di operazione. Ho intanto preso contatto con Berlino per istruzioni conformi a missioni tedesche 2•

100

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5100/266 R. Tokio, 21 luglio 1937, ore 8,45 (per. ore 16,20).

Può darsi che, come qualcuno supponeva, imprevista entrata truppe cinesi nell'Hopei abbia deciso Giappone. Ad ogni modo, poiché Nanchino non ha voluto

o potuto accettare condizioni imposte, giapponesi hanno stimato non restasse che agire per non perdere maggiormente terreno nella Cina settentrionale.

Sembra che Hirota con altri membri del Gabinetto e stesso Imperatore fossero propensi conciliazione ma che non abbiano potuto impedire sopravvento militare sostenuto da Konoye. Verosimilmente loro scopi sono consolidare ed accrescere privilegi nel Nord Cina (già si dice di avvenuta intesa con Sung), rafforzare proprio prestigio all'estero ed all'interno, debellare almeno in parte 29a Armata cinese, nota per ostilità Giappone e accusata comunismo, dar soddisfazione all'Armata del Kuantung da lungo tempo irrequieta e malcontenta, imporsi al pacifismo e costituzionalismo di questi parlamentari e forse anche preparare avvento di un ministro che attui all'interno voluta riforma politica.

Già corre voce che Konoye, malato, si dimetterebbe, appena possibile, e con lui Hirota, il quale disse e aveva ripetuto non sarebbe avvenuta guerra finché egli fosse stato al potere, e che attuale ministro della Guerra 1 sarebbe nuovo presidente del Consiglio.

Giapponesi si dicono sicuri vittoria quantunque sembrino alquanto preoccupati di possibili aiuti sovietici a Nanchino con cui credono Mosca abbia intensa. È probabile vogliano non impegnarsi se possibile al di là Fiume Giallo.

Qualora tutto vada secondo loro desiderì, resterà a vedere se conseguenze non saranno un rafforzamento di quella corrente estremista in Cina che essi combattono. Se alla precedenti accuse di disonestà verso dirigenti conservatori civili e militari si aggiungesse con una disfatta anche quella di incapacità potrebbe darsi che sfiducia e risentimento facessero cercare nel comunismo un nuovo rimedio a vecchi mali della Cina. Ma su ciò potrà con più competenza riferire quella R. ambasciata.

Queste ambasciate inglese e francese si mostrano visibilmente preoccupati per sviluppi che avvenimenti in Cina potrebbero avere anche su situazione europea. Comunicato Roma e Shanghai.

98 3 Per la risposta si veda il D. l O l.

99 l T. 5046/212 R. del 19 luglio. Comunicava che Chiang Kai-shek aveva chiamato a Kuling il capo della missione aeronautica italiana, generale Scaroni, per sottoporgli un piano di operazioni. L'ambasciatore Cora chiedeva istruzioni circa la posizione della missione italiana nel caso in cui fossero scoppiante le ostilità tra Cina e Giappone.

99 2 Vedi D. 98. Il 23 luglio Ciano comunicava a Cora con T. 12961139 R. il contenuto del D. 101.

101

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5104/284 R. Berlino, 21 luglio 1937, ore 20,47 (per. ore 0,30 del 22).

Telegramma di V.E. n. 268 1 e connessi. Anche Germania darà istruzioni proprie m1sswni militari m Cina di «non prendere parte a operazioni di guerra».

102

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 5101/59 R. Roma, 21 luglio 1937 (per. stesso giorno).

Mio telegramma per corriere del 20 corrente n. 58 1• Monsignor Antoniutti è venuto a vedermi. Gli ho detto che avrei chiesto udienza per lui all'E.V.

101 l Vedi D. 98, nota 2. 102 I Con T. per corriere 5075/58 R. del 20 luglio, l'ambasciatore Pignatti aveva comunicato che il Papa aveva deciso di mandare come suo inviato ufficioso nei Paesi Baschi monsignor Antoniutti, dele gato apostolico in Albania.

La Segreteria di Stato ha telegrafato stamane al cardinale Gomà, informandolo che il Papa ha deciso di inviare un prelato nei Paesi Baschi per rendersi conto della situazione, e che la sua scelta è caduta su monsignor Antoniutti. Il cardinale è incaricato d'intrattenere della cosa il generale Franco.

Si è evitato di dare una forma precisa alla missione del monsignore per non incontrare difficoltà da parte del cardinale primate e del governo nazionale.

La Segreteria di Stato riterrebbe opportuno che il nostro ambasciatore fosse informato, per essere pronto ad intervenire presso Franco nel caso che egli facesse delle difficoltà. L'eventuale intervento del conte Viola dovrebbe in ogni caso seguire quello del cardinale Gomà.

Nella mia conversazione con monsignor Antoniutti mi sono tenuto sulle generali, per il fatto che l'E.V. lo vedrà personalmente. Ho constatato che la Segreteria di Stato ha messo al corrente il monsignore dei precedenti della questione ed anche della conversazione che l'E.V. ha avuto con monsignor Pizzardo 2 .

Monsignor Antoniutti conterebbe partire per la Spagna alla fine della corrente settimana, se possibile.

100 l Hisachi Terauchi.

103

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5146/0223 R. Londra, 21 luglio 1937 (per. il 23).

Ho trasmesso resoconto della discussione di ieri sul progetto britannico 1•

In previsione della seduta ho avuto sabato con Eden 2 e lunedì con Plymouth3 conversazioni nelle quali ho messo bene in chiaro atteggiamento governo fascista su questioni belligeranza e volontari.

Eden, al quale ho detto molto chiaramente che belligeranza non può essere subordinata ritiro volontari e che ovvie ragioni consigliano trattare con estrema cautela tale argomento, mi ha assicurato che governo britannico intendeva procedere con tatto e prudenza su questo delicatissimo terreno.

Plymouth su questo punto, come V.E. rileverà dal mio telegramma per corriere n. 02234 , ha assunto atteggiamento evasivo, e ha cercato di darmi impressione

103 I Non pubblicato. Si veda il verbale delle due sedute del 20 luglio del Sottocomitato di non inter vento in BD, vol. XIX, DD. 50 e 51. Le sedute si erano chiuse senza risultato, data l'inconciliabilità delle tesi contrapposte per quanto concerneva l'ordine di attuazione dei due punti più importanti: riconoscimento dei diritti di belligerante (paragrafo III del piano britannico) e ritiro dei volontari stra nieri (paragrafo VII del piano) che il presidente Plymouth aveva presentato in ordine inverso.

l03 3 Su tale colloquio, che aveva avuto per oggetto la procedura da seguire nell'esame del progetto britannico da parte del Sottocomitato di non intervento, Grandi aveva riferito con T. per corriere 5148/0222 R. del 19 luglio. Il colloquio aveva messo in luce delle forti divergenze, soprattutto per quan to concerneva i modi per attuare il ritiro dei volontari stranieri dalla Spagna.

123 che egli intendeva trascinarci subito nel Comitato a qualche dichiarazione sui vo

lontari che in certo modo impegnasse l'Italia e la Germania.

Ho ripetuto anche a lui quando avevo detto a Eden.

Discussione di ieri nel Sottocomitato può dividersi in due fasi. Nella prima fase (e cioè seduta antimeridiana) russi e francesi hanno scoperto loro batterie. Entrambi hanno subito definito ritiro volontari problema centrale del Comitato, riservandosi ogni più ampia libertà di azione sul momento e sulla maniera nella quale i loro governi accetteranno prendere in considerazione questione belligeranza.

Plymouth da principio si è mantenuto prudente. Io, attraverso una serie di interventi e l'appoggio tedesco e portoghese, ho fissato in questa prima fase i seguenti punti:

l) negoziati con le due parti in Spagna debbono essere condotti dal presidente del Comitato in consultazione con Potenze più direttamente interessate, e non (dico non) dal governo britannico. Plymouth e altri membri Sottocomitato si sono dichiarati d'accordo.

2) unanime accettazione piano britannico come base discussione significa che ventisette Nazioni hanno constatato pieno diritto di Franco essere riconosciuto come belligerante.

3) governo fascista non è disposto ad ammettere che riconoscimento belligeranza venga subordinato al ritiro dei volontari.

4) primo problema che Comitato deve affrontare è quello della ricostruzione del controllo in tutti i suoi aspetti e cioè: ritiro definitivo pattuglie navali anglo-francesi; ristabilimento controllo frontiere terrestri; osservatori nei porti spagnoli.

Discussione seduta antimeridiana si è conclusa con nomina commissione tecnica per problema osservatori nei porti spagnoli e con dichiarazione Plymouth nel senso che egli si riservava di porre al suo governo mio quesito circa immediata soppressione pattuglie navali anglo-francesi.

Nella seconda fase, e cioè nella seduta pomeridiana, si è avuto un improvviso cambiamento di scena. Plymouth, sotto pretesto che questione controllo era già stata sufficientemente discussa, ha proposto che Comitato abbordasse senz'altro problema ritiro volontari, e cioè secondo punto dell'ultimo paragrafo delle proposte britanniche (paragrafo 9).

Mi sono subito opposto perché questo significava dar partita vinta ai russi e ai francesi, che sin dal mattino avevano chiesto immediata discussione del problema, e perché tanto noi quanto tedeschi saremmo stati costretti ripetere in maniera ancora più ampia ed esplicita nostre fondamentali riserve, ciò che avrebbe permesso agli avversari di riversare su di noi responsabilità punto morto in cui Comitato si sarebbe immancabilmente trovato, senza assumere alcun impegno circa controllo e belligeranza.

Piano britannico nella sua prima parte, che è quella fondamentale, elenca le varie questioni nel seguente ordine: controllo, belligeranza, adesione Paesi extra-europei all'accordo di non intervento, controllo aereo, ritiro volontari.

Io ho pertanto subito chiesto che questo ordine fosse rispettato nelle nostre discussioni, assumendo atteggiamento di difensore piano britannico che -ho osservato -doveva essere preso in esame nell'ordine logico nel quale era stato concepito e redatto.

Ne è seguito fra me e Plymouth un vivace dibattito, nel corso del quale ho dovuto ricordare più volte a Plymouth che egli stesso cercava ora di sovvertire le basi del piano inglese proponendo di anteporre la questione del ritiro dei volontari non solo a quella della belligeranza, ma finanche quella della ricostruzione del controllo. Ho aggiunto che era semplicemente assurdo pensare che governo fascista potesse accettare simile procedura.

Ho ritenuto necessario mantenere atteggiamento di irriducibile fermezza su questo punto, giacché solo così era possibile sventare nella seduta di ieri la manovra anglo-francese diretta a far ricadere su di noi e i tedeschi responsabilità siluramento piano britannico. Basta leggere quanto pubblica oggi la stampa francese, che parla di ostruzionismo italo-tedesco sulla questione dei volontari e non menziona in alcun modo nostra tesi circa rigoroso rispetto dell'ordine fissato nel piano britannico, per trovare conferma che tutto era stato predisposto allo scopo di denunziare Italia e Germania come sabotatrici.

Risultato immediato della mia azione, appoggiata da tedeschi e portoghesi, è stato quello di costringere Plymouth a rinviare la discussione senza poter abbordare questione dei volontari.

Si è giunti ad un punto morto, ma esso è apparentemente «procedurale», e nostra posizione è assai forte in quanto, contrastando nostra tesi, inglesi debbono ripudiare ordine nel quale lo stesso governo britannico ha presentato i vari punti del suo progetto.

102 2 Non si è trovata documentazione di tale colloquio.

103 2 Vedi D. 84.

103 4 Riferimento errato: si tratta del T. per corriere 5148/0222 R. di cui alla nota precendente.

104

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE PERSONALE 5149/0224 R. Londra, 21 luglio 1937 (per. il 23).

Come Ti ho informato stamane per telefono e come Tu mi hai cortesemente autorizzato, mi sono recato oggi da Eden per attirare la sua più urgente e seria attenzione sopra l'attitudine assunta ieri da lord Plymouth al Comitato di non intervento 1 , attitudine che contrasta sensibilmente con quanto egli, Eden ebbe a dirmi sabato scorso2 circa l'indirizzo da darsi alle discussioni sui vari punti del piano britannico.

Ho spiegato a Eden le varie fasi della discussione di ieri e gli ho francamente espresso la mia sorpresa nell'avere constatato come il rappresentante britannico avesse sostanzialmente accettato la tesi russa e francese, cercando di abbordare la discussione sul problema del ritiro dei volontari prima di esaurire quella sulla ricostruzione del sistema di controllo e l'altro punto non meno essenziale ed importante del riconoscimento della belligeranza. La mia meraviglia è stata ancora più profonda -ho continuato --nel constatare come il rappresentante britannico,

104 I Vedi D. 103. 104 2 Vedi D. 84.

facendo questa proposta, accettasse di alterare egli stesso la lettera e lo spirito del progetto britannico 3 , quale esso è stato approvato dalle ventisette Potenze come base di discussione. «Io mi sono trovato ieri -ho continuato -nella posizione assai strana di dover difendere il progetto britannico contro lo stesso delegato del governo britannico». Ho quindi domandato a Eden di esaminare insieme con me, sullo stesso documento britannico, i vari punti che sono, (così lo stesso Eden ha dichiarato alla Camera dei Comuni) 4 interdipendenti tra di loro e costituiscono un tutto unico. Il progetto britannico -ho continuato dicendo a Eden -indica come punto primo (Al) del programma da esaminare la «ricostruzione del sistema di controllo» (osservatori nei porti e cessazione definitiva del sistema delle pattuglie navali), nonché il ripristino immediato del sistema di controllo terrestre. Il progetto britannico indica come secondo punto (BI) il «riconoscimento alle due parti in Spagna dei diritti di belligeranza» e definisce tale riconoscimento come una misura per «riempire i vuoti dell'attuale sistema di controllo, nonché per rendere più efficace l'applicazione della politica di non-intervento». Afferma inoltre l'opportunità di richiedere la cooperazione degli Stati non facenti parte dell'Accordo di non-intervento e di invitarli a riconoscere i diritti di belligeranza alle due parti in Spagna. Il progetto britannico indica infine al terzo punto (C) il ritiro dei volontari stranieri.

Tutto ciò costituisce la prima parte del documento britannico definito nel progetto stesso colle parole outline ofproposals, cioè programma. Il documento contiene una seconda parte -ho sempre continuato spiegando a Eden -la quale ha par titolo Execution of above programme and immediate action to be taken, etc. in cui l'ordine logico stabilito nella prima parte viene modificato, e cioè: l) osservatori nei porti e ritiro delle pattuglie navali; 2) commissione di controllo per il ritiro dei volontari stranieri in Spagna; 3) riconoscimento dei diritti di belligeranza.

Ieri il delegato britannico -ho continuato dicendo a Eden-ha inaspettatamente cercato di modificare la prima parte del piano britannico alterandone sostanzialmene la portata e il significato. Non si tratta di una questione procedurale, ma di una questione essenziale. Il governo fascista non può entrare a discutere la questione del ritiro dei volontari (questione che non si rifiuta tuttavia di discutere quando si giungerà al punto e al momento stabilito dal piano britannico) se prima non sarà discussa e risolta, secondo l'ordine logico stabilito nella prima parte del piano britannico, la questione del controllo e la questione della belligeranza. Mi attendevo-ho detto ad Eden-una evidente e naturale opposizione da parte dei rappresentanti russo e francese, ma non mi sarei mai aspettato che il rappresentante britannico avesse cercato di sopprimere l'intera prima parte del documento britannico, cercando di portare senz'altro la discussione al punto 9° e cioè all'ultimo punto del piano stesso. Quest'ultimo punto, come il governo fascista si riserva a suo tempo di dimostrare, è in aperta contraddizione colla prima parte del piano stesso. «lo vi domando pertanto, ho concluso, nell'interesse di salvare il piano britannico da quel naufragio cui vorrebbero condurlo i russi e i francesi, di dare istruzioni a Plymouth perché egli si mantenga sulle linee del piano britannico che noi abbiamo accettato e che ieri abbiamo difeso, ma che non possiamo consentire venga modificato nella sua sostanza.

104 4 Nella seduta del 15 luglio (vedi D. 82, nota 2).

Inoltre c'è un altro punto -ho aggiunto-sul quale Plymouth ieri ha cercato dapprima di evadere una risposta, riservandosi alla fine di domandare istruzioni al proprio governo. Intendo parlare delle pattuglie navali franco-britanniche che ancora incrociano al largo delle coste del territorio della Spagna Nazionalista. L'Italia ha dimostrato che queste pattuglie sono inefficaci e, da un punto di vista materiale e pratico, la loro presenza nelle acque spagnole ci è indifferente. Ma poiché i governi francese e britannico hanno dichiarato ripetutamente che essi consideravano tali pattuglie necessarie e sotto ogni punto di vista efficaci, e soprattutto perché la loro permanenza rompe evidentemente quell'equilibrio di carattere politico su cui è basato l'Accordo di non-intervento e tutti i sistemi di controllo esaminati finora, è necessario che i governi britannici e francese ristabiliscano tale equilibrio senza indugio dichiarando, come lo stesso progetto britannico chiaramente dice, e ripete nella prima parte, che tale mandato è venuto a cessare. Così pure dicasi per il controllo alla frontiera terrestre di Gibilterra. Nonostante la sospensione del controllo alle frontiere portoghesi e alle frontiere dei Pirenei, rimane in vigore il controllo alle frontiere terrestri di Gibilterra nei confronti del generale Franco. Questo controllo, ho ripetuto, ha un'importanza minima dal punto di vista pratico, ma non manca di averne da un punto di vista politico. Occorre anche sgombrare il terreno da queste difficoltà prima di affrontare le altre questioni. Anche ciò è detto esplicitamente e chiaramente nel documento britannico al paragrafo l) relativo al controllo».

Eden mi ha ascoltato e non ha nascosto il suo imbarazzo. Egli ha cercato, con argomentazioni assolutamente non persuasive e soprattutto in palese contraddizione col documento britannico da lui stesso redatto, di giustificare la condotta di Plymouth. Eden ha continuato a ripetermi che egli era dolente, ma non vedeva in quale maniera uscire dalle difficoltà sorte nella seduta di ieri in quanto che, ove egli desse istruzioni a Plymouth di accettare il nostro punto di vista, ciò determinerebbe immediatamente una reazione da parte dei francesi e dei russi, i quali a loro volta si pronuncerebbero contro la discussione del piano secondo l'ordine del documento britannico, e praticamente si giungerebbe immediatamente dopo ad un altro punto morto. Eden quindi mi pregava vivamente di desistere dalla mia opposizione e di accettare senz'altro di procedere alla discussione della questione così importante del ritiro dei volontari, lasciando ad un secondo tempo l'esame della ricostruzione del controllo e del riconoscimento dei diritti di belligeranza. Tutto quanto egli poteva fare era di dare istruzioni a Plymouth di dichiarare all'inizio della seduta di dopodomani prima di abbordare la discussione dei volontari, che l'esame e le decisioni che su questo punto come su tutti gli altri, avrebbero potuto raggiungersi non impegnavano i membri del Comitato finché non si fosse raggiunto l'accordo sui punti rimanenti.

Ho replicato a Eden che questa proposta, da lui definita come transattiva, non alterava per nulla la situazione di fatto. «Il governo britannico modificando il piano da esso presentato -ho detto -accetta la tesi russa e francese che consiste nel far precedere alla discussione del controllo e della belligeranza la discussione del ritiro dei volontari. Io non voglio anticipare quella che sarà la definitiva attitudine del mio governo, ma non posso, nella situazione attuale, non confermare la mia più meravigliata sorpresa. I russi e i francesi vogliono anticipare la discussione sul ritiro dei volontari in quanto che essi sanno che su questa questione esistono difficoltà quasi insormontabili e quindi si preparano a fare naufragare il piano su questo punto, prima di essere portati a discutere e ad accettare, sia pure in linea sospensiva, il riconoscimento dei diritti di belligeranza e il ristabilimento del piano di controllo. È evidente che il governo britannico accettando questa tesi condanna, dopo averlo procreato, il suo stesso progetto. Questa mi pare la sola cosa che rimane a dire nella prossima seduta. Mi auguro tuttavia, ho concluso, che nel frattempo il governo britannico rifletterà sulla sua responsabilità. Il governo fascista ha lealmente accettato il piano britannico come base di discussione e cerca di salvarlo. Se il governo britannico insiste esso stesso ad ucciderlo, deve essere ben chiaro in un modo preciso che non è l'Italia o la Germania, bensì l'Inghilterra, insieme alla Francia e alla Russia, che distruggono definitivamente quello che è stato definito l'ultimo tentativo per dare alla politica di non intervento un qualche contenuto concreto e una qualche possibile efficacia nel futuro».

Eden, pure in termini cordiali, mi ha dichiarato che egli non poteva, nè intendeva, modificare la condotta già presa da Plymouth, e che quindi egli confidava che da parte nostra si sarebbe modificata la nostra attitudine accettando di discutere e di esaminare la questione del ritiro dei volontari, rimandando ad altro momento, e cioè dopo che la questione dei volontari fosse esaminata e discussa dettagliatamente, di entrare ad esaminare la questione del controllo e dei diritti di belligeranza.

Ho ripetuto a Eden quanto già gli avevo detto in precenza. Riprendendo la proposta fatta ieri da Ribbentrop ho suggerito, come soluzione transattiva di trasmettere il progetto britannico, così com'è nella sua prima parte e nella sua seconda parte, alle due parti contendenti in Spagna, perché esse, che sono le principali interessate, esprimano intanto il loro parere. Ciò significherebbe guadagnare del tempo in quanto è perfettamente inutile che il Comitato proceda a discussioni difficili, probabilmente senza alcuna speranza di accordo, su questioni la cui soluzione dipende esclusivamente dalle decisioni della parti contendenti in Spagna. Nel frattempo, il Comitato potrebbe dedicarsi a discutere quelle parti del piano britannico che non riguardano direttamente i governi di Salamanca e di Valencia, quali ad esempio, la cessazione immediata del sistema di controllo delle pattuglie franco-inglesi, il ripristino del controllo delle frontiere terrestri, l'estensione dell'Accordo di non-intevento a Paesi extra-europei, la questione dell'oro spagnolo, ecc., ecc.

Eden è rimasto un momento perplesso e poi mi ha risposto che egli non poteva accettare di entrare in questo ordine di idee a meno che non fosse chiaramente inteso che alle due parti spagnole in conflitto si sarebbe inviata soltanto la seconda parte del documento britannico (nn. 8 e 9).

Ho replicato a Eden che questo era in stridente contrasto colle sue ripetute dichiarazioni alla Camera dei Comuni, che progetto britannico deve considerarsi come un tutto inscindibile: e che la sua proposta di stralcio della prima parte non poteva non confermare da parte mia il sospetto, già troppo legittimo dopo l'attitudine presa da Plymouth ieri, che il governo britannico abbia effettivamente intenzione di alterare attraverso questioni procedurali la sostanza del progetto stesso, e ciò per rispondere alle pressioni fatte dal governo francese.

Eden ed io ci siamo lasciati nei migliori termini personali ma senza che nessuno dei due abbia ceduto un pollice. «<n queste condizioni~ ho detto congedandomi ~mi sembra che assai probabilmente nei prossimi giorni avremo i funerali del piano britannico».

Eden ha replicato: «Mi sembra che questa sia la cosa più probabile».

104 l Vedi D. 69, nota 2.

105

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5159/061 R. Belgrado, 21 luglio 1937 (per. il 23).

Stojadinovié sta combattendo, in questi giorni, la sua più pericolosa battaglia che egli ha affrontato con innegabile coraggio e dirittura di linea politica e col suo consueto ottimismo fatalistico. Se la ratifica del Concordato colla Santa Sede è il pretesto popolare della levata di scudi delle opposizioni coalizzate, in rèaltà si tratta di un supremo sforzo che queste fanno per rovesciare Stojadinovié e far posto a molte ambizioni in sofferenza da troppo tempo, dati i costumi politici di questo Paese. E che questa sia la vera ragione di un'agitazione che tiene in subbuglio Belgrado, basterebbe a provarlo il fatto che si vuoi trovare, ad ogni costo, una connessione fra l'approvazione del Concordato ed i recenti orientamenti italiani della politica di Stojadinovié, che è il punto che più duole agli spalleggiatori franco-cecoslovacchi dell'azione condotta, in testa, dal generale Zivcovié e dai suoi nazionalisti. Basterebbe a provarlo che Jeftié e gli stessi promotori e negoziatori del Concordato sono diventati i più violenti anticoncordatari e difensori della Chiesa Ortodossa. Infine, che fra i deputati che hanno abbandonato, in questa circostanza, Stojadinovié, dimettendosi dal partito radicale, la maggior parte ~come, ad esempio, Sokié, i cui legami colla Prafda sono noti --rappresentano una decisa tendenza verso le vecchie amicizie jugoslave. È evidente, infatti, che nessuno può qui seriamente pensare che un Paese, che vuoi perfezionare la sua unità politica, e che conta 5 milioni e mezzo di cattolici, contro 6 e mezzo di ortodossi, possa prescindere da un regolamento dei suoi rapporti col governo della Chiesa dei primi.

Mi riservo di riferire a parte, circa la cronaca degli avvenimenti di questi giorni, che mi hanno obbligato a lasciare Belgrado~ come hanno già fatto da tempo i miei colleghi ~ per non dare esca alle chiacchiere di mie pretese pressioni per incoraggiare Stojadinovié a resistere ad oltranza sulla questione del Concordato. Sta in fatto che in presenza del nervosismo del Paese, una ordinanza della prefettura di Belgrado del 19 corrente ha proibito, fino al lo agosto, cortei e riunioni pubbliche. Gli edifici universitari, ove si annidano cellule comuniste ansiose di approfittare della situazione per promuovere disordini, sono piantonati dalla forza. Un corteo di protesta, con alla testa vescovi ortodossi e l'ex-pope, deputato Janié (mio telegramma per corriere n. 045 del 15 giugno u.s.) 1 recentemente espulso dal partito radicale coll'altro deputato ex-pope Lazarevié ~è stato sciolto dalla forza pubblica, martedì 20, e vi sono stati alcuni feriti, fra i quali il vescovo ortodosso di Sabac. Ieri, 21, le campane della cattedrale di Belgrado hanno suonato a morto e sulla facciata è stata issata una bandiera nera. Si dice, perfino, che il clero ortodosso stia cercando di farsi prestare man forte dalla famigerata Narodna Obrana. Come riferivo a V.E. nel mio telespresso n. 3353/1079 del 29 giugno scorso 2 , si

129 finirà col creare qui una «questione serba» proprio nel momento in cui si stavano facendo faticosi tentativi per una sistemazione jugoslava di quella croata. Né la presenza al governo di Korosec, i cui sloveni finivano col costituire una forza dalla quale Stojadinovié, stretto dalle circostanze del momento, non può prescindere, è tale da facilitare una normalizzazione, di una situazione, che appare di qualche serietà. È difficile fare previsioni per quello che succederà alla Skupcina, ove la non notevole maggioranza potrebbe, nella questione del Concordato, ridursi ulteriormente all'ultimo momento. Poi il Concordato dovrà passare innanzi al Senato, che è ancora più mal disposto e nell'argomento e verso Stojadinovié. Certo è che la battaglia appare decisiva per la posizione del presidente del Consiglio, che ha sorpreso in piena azione per la formazione di quel partito personale di aderenti disciplinati e fedeli che, come ho già avuto occasione di riferire aiI'E.V. finora gli è mancato, con grave danno della piena libertà della sua azione di uomo di governo.

105 1 T. per corriere 4166/045 R. del 15 giugno in cui-rispondendo ad una richiesta di informazioni di Roma -veniva delineata la figura del deputato Voislav Janié.

106

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 3043. Londra, 21 luglio 1937 (per. il 22).

Ti invio col corriere aereo che arriverà domani nel pomeriggio a Roma, quattro telegrammi per corriere che si riferiscono rispettivamente a un mio colloquio con Plymouth sabato scorso 1 , alla seduta di ieri del Sottocomitato2 e a due mie conversazioni con Eden, di cui la seconda ha avuto luogo stasera 3 . Mi permetto di richiamare la Tua attenzione su di essi in quanto, nel loro insieme, forniscono il quadro della situazione così come si delinea.

Com'era prevedibile, appena dalle generiche approvazioni di massima siamo passati all'esame approfondito delle proposte britanniche, il Comitato è ripiombato in piena confusione. Il mio colloquio con Plymouth, l'andamento della seduta di ieri, l'atteggiamento assunto oggi da Eden, dimostrano che questa crisi era inevitabile. Gli inglesi non credono nel loro stesso piano, i francesi e i russi sono decisi a farlo fallire. Tutti e tre i governi, partendo da direzioni diverse, convergono verso gli stessi obiettivi: attribuire, davanti agli occhi dell'opinione pubblica internazionale, la responsabilità del fallimento del piano britannico all'Italia e alla Germania. Questo spiega l'inverosimile proposta avanzata ieri da Plymouth in base alla quale, dopo di aver appena sfiorato la questione degli osservatori nei porti e senza aver in alcun modo affrontare i più urgenti problemi del controllo, quali quello

106 1 Indicazione errata: come risulta anche dal D. 103, il colloquio aveva avuto luogo lunedì 19 luglio. Su di esso si veda D. 103, nota 3. 106 2 Vedi D. 103. 106 J Si veda per il primo colloquio, avvenuto il 16 luglio, il D. 84 e per il secondo il D. 104.

130 dell'abbandono delle pattuglie navali anglo-francesi e quello del ristabilimento del controllo sui Pirenei, il Sottocomitato avrebbe dovuto abbordare ieri stesso, e in pieno, il problema del ritiro dei volontari. Nell'avanzare questa proposta Plymouth ha cercato un appiglio nel paragrafo 9 e cioè nell'ultimo paragrafo delle proposte britanniche. Questo paragrafo, riferendosi ai negoziati con le due parti in Spagna, divide tali negoziati in 3 punti:

I -Collocamento degli osservatori nei porti spagnoli.

Il -Ritirito dei volontari.

III -Diritti di belligeranza.

Ma tale paragrafo che, come il paragrafo 8° è stato evidentemente rimaneggiato all'ultima ora in seguito a pressioni francesi, riguarda le modalità d'esecuzione del piano britannico e non il contenuto del piano stesso il quale è esposto nella Parte Prima cioè nei paragrafi che vanno da l a 7. Questi sono tutti, infatti, compresi sotto il titolo «Outline ofproposals».

Non Ti sarà certo sfuggito che neli'«Outline of proposals» l'ordine delle questioni è il seguente:

lo Ricostruzione del sistema di controllo (osservatori nei porti, abbandono delle pattuglie navali, ripristino del controllo terrestre -paragrafi l e 2); 2° Belligeranza, che è presentata nel progetto inglese come un elemento integrativo del controllo (paragrafo 3); 3° Estensione dell'accordo ai Paesi extra-europei (pargrafo 5); 4° Controllo aereo (paragrafo 6); 5° Ritiro dei volontari (paragrafo 7).

Nell'esporre le sue proposte il Governo britannico non ha quindi in alcun modo collegato belligeranza e volontari e tanto meno ha anteposto il ritiro di questi ultimi alla soluzione dei problemi connessi con la ricostruzione del controllo. Dove la connessione è stata introdotta e l'ordine sovvertito è, come ho già detto, nei paragrafi 7 e 8 che si riferiscono all'esecuzione del programma.

È in seguito a questa analisi del piano britannico che io ho pensato di controbbattere la manovra tentata ieri da Plymouth, con l'appoggio russo e francese, assumendo io la veste di difensore del pano inglese e domandando che esso fosse discusso come si discutono tutti i documenti del genere e cioè precisamente nell'ordine nel quale sono scritti.

L'accanita opposizione di Plymouth a questa mia domanda e l'atteggiamento assunto da Eden oggi nella nostra conversazione, dimostrano chiaramente che il mio contro attacco li ha sorpresi e disorientati. La nostra posizione è fortissima, in quanto è veramente inammissibile che gli Inglesi, allo scopo di snidarci dalle nostre posizioni e costringere noi e i tedeschi ad accollarci la responsabilità del fallimento del loro piano, ripudino le proposte che essi stessi hanno presentato e cerchino d'imporre che il Comitato le discuta in un ordine del tutto ingiustificato e illogico. La questione è apparentemente, ma solo apparentemente, procedurale. In realtà, si tratta di una questione di fondo e cioè del contrasto fra le due azioni: quella itala-tedesca, con l'appoggio del Portogallo, e quella anglo-francese con l'appoggio della Russia.

Per meglio chiarire la situazione stimo opportuno aggiungere che ieri, all'inizio della seduta, Ribbentrop ha proposto l'invio del progetto britannico, così come è, alle due parti in conflitto per conoscerne l'opinione. Inglesi, fancesi e russi si sono immediatamente opposti, dichiarando che era impossibile consultare le due parti prima che fosse stato raggiunto nel Comitato un accordo di massima almeno sulle tre questioni (osservatori nei porti, volontari e belligeranza) sulle quali Salamanca e Valencia saranno chiamate a pronunziarsi. Basta collegare questa opposizione alla manovra diretta a far discutere ieri stesso la questione dei volontari, per comprendere subito il gioco anglo-francese.

È mia convinzione che a questo gioco noi dobbiamo opporci nella maniera più ferma e più risoluta. Gli avversari volevano portarci a ripudiare il piano sul terreno del ritiro dei volontari, terreno sul quale avremmo dovuto impegnare la battaglia in condizione di svantaggio. Io ho scelto, e sto cercando d'imporre, un terreno diverso: quello del «rigoroso rispetto» delle proposte britanniche, così come il governo inglese le ha redatte. Su tale terreno gli avversari, e soprattutto gli inglesi, non possono che manovrar male, giacché sarà assai difficile spiegare come il governo britannico, dopo aver presentato un documento complesso e fondato su un delicato equilibrio fra le varie questioni, voglia ora imporre il temporaneo abbandono dei quattro quinti di tale documento e pretendere che il Comitato discuta soltanto alcune delle questioni, e per di più nell'ordine che più fa comodo all'Inghilterra, alla Francia e alla Russia.

Queste sono le mie impressioni che sottopongo al Tuo giudizio. Poiché la prossima seduta avrà luogo quasi certamente venerdì mattina, 23 luglio, io Ti sarei infinitamente grato se Tu volessi telegrafarmi le Tue istruzioni 4 .

Mi permetto anche di sottoporti l'opportunità di segnalare direttamente a Berlino la delicatezza della situazione in modo che possano pervenire in tempo a Ribbentrop le necessarie istruzioni al riguardo 5 .

105 2 Non pubblicato.

107

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5118/269 R. Tokio, 22 luglio 1937 (per. ore 14,30).

Viceministro, cui ho dato comunicazione confidenziale del telegramma di V.E.

n. 131 1 , mi ha manifestato viva gratitudine governo giapponese.

Eguale comunicazione confidenzialmente è stata fatta dal R. addetto militare ed aeronautico a questo ministero della Guerra.

107 1 T. 12811131 R. del 21 luglio. Comunicava a Tokio il contenuto del D. 99 con l'incarico di portar lo a conoscenza del governo giapponese in via strettamente confidenziale.

106 4 Nella corrispondenza telegrafica non vi è traccia di queste istruzioni che come risulta dal D. 114 furono date per telefono.

106 5 Si veda in proposito il D. l 14.

108

IL CONSOLE A MUKDEN, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5151/34 R. Mukden (via Tientsin), 22 luglio 1937, ore 16,30 (per. ore 8,15 del 23).

Ambienti della Kuantung Army sembrano considerare attuale conflitto come mezzo per superare nel miglior modo possibile un arresto avvenuto nella esecuzione del vasto programma espansionistico del Giappone che, dal suo inizio fino ad oggi, è andato sviluppandosi con tempismo regolare: Corea, Kuantung, Manciuria, Yehol, serie di posti militari oltre il confine cino-mancese. Dall'attuazione di questo programma della creazione di una base giapponese sul continente asiatico che sia più vasta, più ricca, più popolata e soprattutto strategicamente più sicura di quella di oggi, non vi è nulla che possa far recedere i capi della Kuantung Army. Mi risulta che questa enorme base rappresenta per loro non solo il trampolino per una ulteriore espansione giapponese in Asia ma anche un pegno di tale importanza nelle isole, che, per quanto si può capire, obbligherà il loro stesso padrone [sic] a seguirli in ogni nuova avventura. Con questo pegno essi restano e, presentandosi l'opportunità, ancora più diventeranno, i dominatori della vita politica giapponese. Senza questo pegno, invece, l'importanza dei problemi industriali e commerciali, accresciuta negli ultimi anni, avrebbe progressivamente ridotto il loro peso nella politica interna dèl Giappone.

Di questo loro vasto programma la prossima tappa dovrebbe essere possesso del controllo, sotto una forma qualsiasi, delle provincie settentrionali cinesi non solo per evidenti ragioni economiche ma soprattutto per ragioni militari. Da questo punto di vista tale possesso doveva servire a raggiungere due obiettivi strategici ritenuti condizione necessaria per affrontare in buone condizioni la futura guerra con la Russia, che i militari giapponesi ritengono sicura e inevitabile: dovevano liberare la linea marittima Giappone-Dairen dalla minaccia sul fianco costituita dallo Shantung, senza di che il Giappone avrebbe potuto essere un giorno costretto a servirsi delle sole comunicazioni ferroviarie, assolutamente inadeguate a un tale traffico, e doveva permettere di tagliare rapidamente, quasi automaticamente, ogni possibile contatto fra la Russia e la Cina attraverso il Sui-Yuan.

Col solito metodo della progressione a tappe, seguita da tempi di arresto, per dare modo al risentimento cinese di calmarsi dopo ogni tappa, si faceva il primo passo verso il controllo delle provincie settentrionali. Compiuta la costituzione del governo autonomo clell'Ho-Pei orientale, vi era stato un tempo che aveva rivelato nei giapponesi molta perplessità giacchè questa ingegnosa trovata del governo autonomo dell'Ho-Pei orientale non aveva risposto alle speranze. Il governo autonomo era andato progressivamente sfuggendo eli mano ai giapponesi, gravitando più verso Nanchino che verso Tokio.

È stato proprio allora, mentre i giapponesi non sapevano come superare questa fase dell'avventura, che è sopravvenuta la crisi interna sovietica e che la soluzione dell'incidente dell'affondamento della cannoniera russa sull' Amur 1 ha dato loro la misura dell'impotenza russa.

Allora hanno afferrato l'occasione e hanno deciso di superare gli ostacoli con la maniera forte, profittando dell'isolamento della Cina.

Poiché, però, per gli ambienti militari il grosso nemico di domani è la Russia, e non la Cina, vi è ragione di ritenere che nell'impresa attuale, pur serbandosi decisi a raggiungere i loro obiettivi, anche con l'azione militare, essi si propongono di usare la forza entro lo stretto limite della necessità. Giacché essi tengono a non impegolarsi oltre il bisogno e ad evitare, nel caso di una futura guerra con la Russia di veder levarsi loro sul fianco una Cina esasperata.

Molti elementi di giudizio fanno ritenere che i Giapponesi in un primo tempo cercheranno di speculare nel solito modo sulla tradizionale forza di adattamento e sulla tendenza al compromesso che hanno i cinesi per cercare di raggiungere lo scopo, e per il momento anche solo una parte di esso, con i minimi mezzi adeguati. Non è escluso che tenteranno un periodo di d-occe alternate calde e fredde.

Qui si ritiene che due sole eventualità esistano che possano render inevitabile una guerra: o una così violenta esplosione di odio popolare anti-giapponese in Cina da costringere Chiang Kai-shek a battersi per salvare la situazione attuale e conservare la sua posizione, oppure uno di quegli imprevisti incidenti che non si riesce a trattenere dal degenerare in conflitto armato. Ma poiché i giapponesi hanno un'assoluta convinzione della loro superiorità militare, essi ritengono che, quando anche una simile eventualità li portasse a ricorrere alla forza, qualche colpo bene assestato potrebbe bastare a far sbollire gli ardori cinesi. L'Armata sembra convinta a proseguire dopo di che si potrebbe anche rapidamente tornare alla maniera dolce, attraverso negoziati e blandizie, speculando sulla provata forza di adattamento dei cinesi al fatto compiuto. Anche questa volta, insomma, compiere l'azione prefissa e poi cercare di farla dimenticare.

108 l Vedi D. 90, nota 2.

109

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5156/0236 R. Parigi, 22 luglio 1937 (per. il 23).

Mio telegramma per corriere n. 212 del 7 corrente' e telegramma per corriere di V.E. n. 1221 R. dell'Il corrente2 .

Il m1mstro degli Affari Esteri mi ha detto stamane di dovermi intrattenere dell'atteggiamento assunto dalle Autorità italiane nell' A.O.l. verso le società e ditte francesi che operavano in Etiopia. Egli aveva avuto nelle settimane scorse ed ancora ieri scambi di vedute in proposito col ministro delle Colonie, Moutet, il quale gli aveva detto che il trattamento da noi fatto ai francesi dimostrava l'intenzione di eliminare dall'Etiopia tutto il commercio francese. Ciò era in assoluto contrasto con gli Accordi di Roma che garantivano alle ditte francesi stabilite in Etiopia la tutela dei loro interessi ed anche con il trattamento assai amichevole a cui erano assoggettate le varie ditte italiane stabilite a Gibuti.

Risevandosi di parlarmi eventualmente più diffusamente in altra occasione, dato che doveva stamane assentarsi dal Quai d'Orsay, il signor Delbos menzionò peraltro i casi che avevano attirato la speciale attenzione del governo francese. Essi sono quelli concernenti:

-la Casa Besse «brutalmente messa alla porta»;

-la Société Minière de l'Afrique Orientale, dichiarata decaduta da ogni di

ritto o concessione; -la Centrale Electrique de Dire Daoua, espropriata; -l' Usine Electrique d'Harrar, dichiarata decaduta da ogni diritto o

concessiOne;

-il monopolio dei tabacchi concesso ad una società francese, che era minacciato nei suoi diritti;

-l'espulsione di tutti i cappuccini francesi, ad eccezione di monsignor Jarosseau, con attribuzione del territorio degli Arussi in cui avevano svolta sinora la loro opera evangelica ad un vicariato apostolico italiano.

Ho risposto al signor Delbos che circa la Casa Besse mi riservavo di fornirgli ampi chiarimenti in uno dei prossimi giorni, quando disponesse di maggior tempo. Potevo assicurarlo che questa ditta francese non si era comportata bene nei nostri riguardi, cosicché il provvedimento di espulsione adottato era indipendente dalla nazionalità del suo proprietario. La ditta stessa aveva del resto potuto godere delle stesse agevolazioni che erano state apportate alla ditta anglo-indiana Mohamed Alì.

Non avevo elementi per rispondere ai quattro casi seguenti che mi riservavo quindi di segnalare al R. governo. Quanto all'espulsione dei cappuccini gli dovevo dire subito che non credevo si trattasse di «espulsione» ma solamente della sostituzione di un ordine religioso i cui appartenenti erano francesi con altro ordine religioso italiano. Non era del resto un provvedimento che emanasse dal governo italiano, sibbene dalla Santa Sede la quale è sola giudice dell'opportunità di affidare l'azione missionaria a questo o a quell'ordine religioso. Mi pareva più logico che nell'Impero italiano la Santa Sede preferisse vedere dei missionari italiani.

Il signor Delbos riconobbe che circa questo ultimo punto il provvedimento era stato preso dal Vaticano. Osservò peraltro che ciò era avvenuto «a richiesta e dietro pressioni del governo italiano». In linea di diritto non era peraltro all'Italia che si potevano fare osservazioni in proposito.

Ricordai a questo proposito al ministro Delbos il trattamento veramente magnanimo che il Duce aveva personalmente deciso di fare a monsignor Jarousseau, affinché questo vescovo potesse, secondo i suoi desiderì, terminare i suoi giorni ad Harrar ed aggiunsi che difficilmente i francesi avrebbero agito in egual modo verso un vescovo italiano il quale si fosse permesso di assumere un atteggiamento decisamente ostile nei loro riguardi. Mi risultava che presentemente monsignor Jarousseau si mostrava molto deferente verso le autorità italiane ma esagerava anche in questo e lo faceva in ogni modo esprimendosi in termini che ingeneravano i più seri dubbi sulla profondità del suo spirito evangelico.

Il ministro degli Affari Esteri mi ripetè il desiderio di ritornare meco sugli argomenti di cui si tratta, tanto più che se non si trovasse il modo, mediante trattative amichevoli, di modificare la linea di condotta seguita dalle autorità italiane, il governo francese sarebbe stato, suo malgrado, costretto a rivedere la sua politica molto liberale verso le società, ditte ed i singoli italiani che trovavano così vasto campo di attività nei possedimenti francesi d'oltremare.

Il governo francese aveva un solo desiderio: quello di intendersi con l'Italia al riguardo, ma per ciò fare occorreva parlare e vedere di giungere ad accordi soddisfacenti per entrambe le parti.

109 1 T. 4706/212 R. del 7 luglio. Riferiva che Léger aveva attirato la sua attenzione sul caso della ditta Besse operante in Etiopia alla quale le Autorità italiane avevano intimato di lasciare il Paese. Léger aveva avvertito che da parte del ministero delle Colonie era stato preparato un piano di ritorsioni nei confronti delle ditte italiane che operavano nei territori francesi d'oltremare. Su tale questione l'ambasciatore Cerruti era stato intrattenuto qualche giorno più tardi anche dall'ambasciatore de Saint Quentin che gli aveva fatto presente come il «caso Besse» fosse ormai «uscito dal quadro ristretto della tutela degli interessi di un singolo commerciante francese per rientrare in quello, assai più vasto, della difesa degli interessi economici francesi che sembravano seriamente minacciati in A.O.I» (T. per corriere 4923/0223 R. del 13 luglio). 109 2 Non pubblicato. Incaricava l'ambasciatore Cerruti di far presente, in via informale, a Léger e allo stesso Delbos che il provvedimento di espulsione nei confronti del signor Besse era stato adottato indipendentemente dalla nazionalità del Besse e giustificato dalla sua condotta nei riguardi dell'Italia prima e dopo il conflitto con l'Etiopia. Sui precedenti del «caso Besse» si veda serie ottava, vol. VI, DD. 373.415 e 476.

110

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE PERSONALE 5277/0230 R. 1 Londra, 22 luglio 193 7 (per. il 29).

Ieri mi sono recato da Eden per discutere con lui la situazione determinatasi nel Comitato di non intervento a seguito della seduta di ieri, soprattutto in seguito all'attitudine adottata da lord Plymouth. Ho riferito per questa parte del mio colloquio con telegramma per corriere n. 0224 di ieri sera2 .

Eden ed io siamo quindi passati ad esaminare ancora una volta il problema generale dei rapporti italo-britannici. Eden mi ha domandato se avevo notizie delle impressioni del Duce e tue sul discorso di ieri ai Comuni 3 . Non aveva ancora ricevuto da Drummond alcun telegramma, ed egli era sinceramente ansioso di conoscere se le sue dichiarazioni erano state accolte e interpretate secondo quelle che erano state le sue intenzioni nel pronunciarle.

Ho risposto a Eden che ero in grado, avendo poco prima avuto occasione di parlarti per telefono, di dirgli che le sue dichiarazioni erano state cordialmente ricevute a Roma e interpretate come dettate dall'intenzione di giovare effettivamente ad un miglioramento dell'attuale situazione fra l'Inghilterra e Roma. «Na-

IlO 1 Questo telegramma fu inviato a Roma allegato alla lettera di Grandi a Ciano del 28 luglio. qui pubblicata come D. 136.

turalmente -ho continuato -perché l'impressione favorevole possa tramutarsi in qualche cosa di effettivo, occorre che le parole siano seguite da fatti concreti. Voi vi rendete conto che dopo tante esperienze, le parole amichevoli, seppure indubbiamente accolte sempre volentieri, non bastano tuttavia a risolvere delle situazioni politiche di tale complessità e delicatezza, come quelle esistenti in questo momento tra Italia e Gran Bretagna».

Eden mi ha risposto che egli considerava la favorevole accoglienza che il passaggio del suo discorso relativo all'Italia e al Mediterraneo aveva incontrato in tutti i settori della Camera compresi, salvo le naturali eccezioni, i banchi stessi dell'opposizione, come un sintomo molto incoraggiante.

Ho replicato a Eden che il momento mi sembrava giunto ormai per affrontare, con senso di decisione e di pratica concretezza, il problema dei rapporti italo-britannici. La storia di questi nostri rapporti potrebbe chiamarsi, per quanto riguarda l'Inghilterra la storia delle occasioni mancate. Ho continuato dicendo a Eden che io avevo ricevuto istruzioni da te di intrattenere lui, Eden, e possibilmente il Primo Ministro Chamberlain, a tale riguardo. Sapevo, e mi rendevo perfettamente conto delle difficoltà formali che si opponevano ad uno scambio di idee diretto fra un ambasciatore e il Primo Ministro britannico. Io certamente non intendevo fare nulla che potesse essere interpretato come un segno da parte del Duce e tuo di una minor confidenza nell'azione che lui, Eden, andava svolgendo per migliorare i rapporti italo-britannici. Avendo avuto occasione di incontrare spesse volte Chamberlain, mi ero sempre astenuto, salvo qualche riferimento generico, dall'entrare col Primo Ministro in un esame approfondito del problema dei rapporti italo-britannici. Chamberlain mi aveva incaricato qualche settimana fa di comunicare al Duce un suo personale messaggio (mio telegramma

n. 575 che, ad ogni buon fine, accludo in copia) 4 . Il Duce, per il tramite del conte Ciano, mi aveva incaricato di ringraziare Chamberlain. Pregavo lui, Eden, di trasmettere al Primo Ministro questa comunicazione.

Eden mi ha assicurato che l'avrebbe fatto. Nel congedarmi mi ha detto che sperava tra non molto che gli fosse possibile di venire in Italia a riposarsi a Ravello. Ho replicato a Eden che nulla si opponeva a ciò.

110 2 Vedi D. 104. Il O 3 Si riferisce al discorso pronunciato da Eden ai Comuni il 19 luglio. Eden aveva dichiarato. con riferimento al Mediterraneo, che la Gran Bretagna era decisa a difendere i suoi interessi ma intendeva rispettare quelli degli altri ed aveva poi smentito con particolare enfasi che il governo britannico intendesse attuare una politica di aggressione o di rivincita verso altri Paesi. _«Ciò che ho detto per il Mediterraneo aveva agiunto Eden --si applica ugualmente al Mar Rosso. E sempre stato ed è tuttora un interesse predominante britannico che nessuna Grande Potenza si stabilisca su la costa orientale del Mar Rosso. Non ho bisogno di aggiungere che questo principio si applica a noi stessi non meno che agli altri».

111

IL CAPO DELLA MISSIONE AERONAUTICA IN CINA, SCARONI, AL MINISTERO DELL'AERONAUTICA

T. 90. Shanghai, 22 luglio 1937 (per. il 29) 1 .

Eccellenza decifri da sé. Signora Chiang Kai-shek rientrata Nanchino ieri l'altro con Generalissimo per crisi in corso è venuta stamani alla Commissione aeronautica e mi ha subito fatto entrare nel suo ufficio. Signora mi ha pregato trasmet-

IlO 4 Riferimento errato. Si tratta presumibilmente del T. 4138/479 R. del 17 giugno, per il quale si veda serie ottava, vol. VI, D. 751. III l Il telegramma, giunto indecifrabile, fu ripetuto il 28 luglio.

137 tere a Capo governo e a S.E. l'ambasciatore seguente telegramma scritto di suo pugno: «nella eventualità che scoppi ostilità fra Cina e Giappone, il governo italiano ritirebbe la sua missione aeronautica o consentirebbe ad essa continuare ad assistere attivamene la Cina in difesa del suo territorio?» Fine del telegramma. La signora ha insistito più volte sul fatto che tale domanda viene fatta al governo italiano non da lei ma dal Generalissimo e anzi prima di congedarmi mi disse: dite che avete parlato col Generalissimo perché è lui che mi ha mandato qui per questo. Chiesi alla signora se analoga domanda venisse contemporaneamente fatta per i consiglieri tedeschi, inglesi e americani. Mi rispose esplicitamente di no perché ella disse voi siete la sola missione ufficiale mentre gli altri consiglieri sono qui da noi ciascuno con contratto separato perciò la vostra forma di cooperazione è nettamente diversa da quella dei tedeschi americani e inglesi. Per essi questa questione non si pone. Chiesi alla signora se dovevo intanto continuare il mio lavoro. Rispose affermativamente. Essa aggiunse che Generalissimo fa questa precisa domanda poiché desidera sapere con esattezza fin dove può contare su di noi in un mòmento così critico.

Per comprendere esattamente domanda Generalissimo è bene tenere presente che nel colloquio concessomi a Kuling di cui mio telegramma 8414 luglio 192 egli mi mise al corrente suoi concetti operativi campagna contro Giappone in modo che io potessi allestire piani preparazione e operazione per aviazione. Ciò che ho già fatto e consegnato.

Generalissimo desidera sollecita risposta perché, secondo dichiarazioni fattemi stamane dalla signora, situazione è molto grave. Inutile dire che in attesa risposta

V.E. mia situazione personale è molto delicata. Pregherei un cenno di ricevuta presente telegramma cui copia ho trasmesso S.E. l'ambasciatore a Pei Tai Ho.

112

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

LETTERA 225034/91. Roma, 22 luglio 1937.

Con riferimento alla nostra conversazione del 16 corrente 1 , e nel ringraziarLa per le cortesi informazioni fornitemi circa l'azione svolta recentemente dal Suo Governo preso i Governi di Tokio e di Nanchino, desidero informarLa che anche da parte nostra sono state date, d'accordo con Berlino, istruzioni ai rappresentanti diplomatici a Tokio e a Shanghai di raccomandare alle due parti la moderazione e la calma 2•

Ai predetti rappresentanti è stato aggiunto di voler far presente che se i Governi giapponese e cinese ritenessero che il Governo Fascista possa in qualche modo con

112 l Vedi D. 88. 112 2 Vedi D. 94.

tribuire a facilitare una soluzione, esso è pronto ad esaminare tutti quei suggerimenti che i due Governi volessero eventualmente fargli pervenire a tale scopo 3 .

111 2 Non rintracciato. Si veda, in proposito, il D. 99.

113

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3532/1168. Berlino, 22 luglio 1937 (per. il 26).

Soltanto a titolo di informazione riferisco che questo governo, mentre non ha mancato di esercitare, tanto a Shanghai quanto a Tokio un'azione moderatrice, raccomandando la pace, non è favorevole ad offrire dei veri e propri «buoni uffici». Qui si avrebbe invece l'impressione che, da parte nostra, si siano date istruzioni ai nostri ambasciatori di esercitare un'azione concreta in questo senso.

Ho chiarito che una offerta di «buoni uffici» in fondo non c'è neanche stata da parte nostra e che forse qualche nostro ambasciatore ha dato un valore estensivo alla dichiarazione da noi fatta che il R. Governo sarebbe sempre disposto ad «esaminare qualsiasi suggerimento diretto al mantenimento della pace».

114

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA E SALAMANCA E ALLA LEGAZIONE A LISBONA

T. 1298 R. Roma, 23 luglio 1937, ore 4.

(Per tutti meno Berlino). Ho telegrafato a Berlino quanto segue: (Per tutti). Nell'ultima seduta del Sottocomitato 1 il rappresentante italiano, appoggiato da quello tedesco e da quello portoghese, ha controbattuto manovra tentata da Plymouth coll'appoggio francese e russo, intesa a snaturare proposta originaria inglese mediante cavilli procedurali. Grandi, Ribbentrop e Monteiro, richamandosi ai criteri su cui si fondano le proposte inglesi, hanno quindi chiesto che il Comitato vi si attenesse lealmente e che pertanto proposte medesime fossero

discusse nello stesso ordine in cui sono state presentate, e precisamente:

l) ricostruzione del sistema di controllo (osservatori nei porti, ecc.);

2) belligeranza;

Estremo Oriente e sui suoi possibili sviluppi. Di tale colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani ma si veda il resoconto che ne dava l'ambasciatore britannico in BD, vol. XXI, D. 146: le annotazioni apposte al documento dai funzionari del Foreign Ofice mostrano l'impressione provoca ta dalle dichiarazioni di Ciano di voler procedere anche in Estremo Oriente in stretto accordo con la Germania. 114 l Del 20 luglio. Su di essa si veda il D. 103.

3) estensione dell'accordo ai Paesi extraeuropei;

4) controllo aereo;

5) volontari.

Sono perfettamente d'accordo con la posizione assunta, in conformità d'altronde con le direttive impartite, da Grandi e dai due rappresentanti tedesco e portoghese.

Importa in modo preciso che Italia, Germania e Portogallo -cui inglesi, francesi e russi tentano di attribuire la responsabilità di un eventuale fallimento del nuovo piano -restino senza equivoci sul terreno in cui si sono posti sin da principio (terreno che dà loro un'evidente posizione di vantaggio) e che quindi insistano pel rigoroso rispetto delle proposte britanniche così come gli inglesi le hanno redatte originariamente.

Ho dato in questo senso istruzioni a Grandi2 . Ne informi d'urgenza codesto governo e chieda che analoghe istruzioni vengano impartite a Ribbentrop onde sia mantenuta e proseguita l'unità di azione dei nostri due governi 3 .

(Per Londra). Quanto precede a conferma delle istruzioni telefoniche già date alla E.V.

(Per Salamanca). Informi Franco. Ella potrà rilevare come mentre l'azione italiana si uniforma pienamente alle esigenze poste innanzi da Franco servendo così la causa nazionale, il governo inglese continua invece nei suoi tentativi di sabotaggio 4 .

(Per Lisbona). Ne parli con codesto governo e chieda che istruzioni analoghe vengano impartite a Monteiro 5 .

112 3 Il 26 luglio, Ciano abbe un altro colloquio con l'ambasciatore Drummond sulla situazione in

115

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5152/275 R. Tokio, 23 luglio 1937, ore 6,25 (per. ore 12,50).

Mio telegramma n. 269 1 . Ministro della Guerra e Stato Maggiore hanno manifestato vivissima soddisfazione e gratitudine per la comunicazione fatta loro dal R. addetto militare

115 t Vedi D. 107.

circa nostre missioni militari in Cina. Hanno detto essersi anche compiaciuti di un colloquio avuto dal R. ambasciatore a Berlino con quel loro ambasciatore.

Hanno dichiarato infine che politica italiana è chiara e retta e che essi la apprezzano in questa occasione più che quella di tutti gli altri Stati, compresa Germania.

114 2 Vedi D. 106, nota 4. 114 3 L'ambasciatore Attolico rispondeva con T. 5166/285 R. del 23 luglio di avere concordato con il direttore degli Affari Politici, von Weizsiicker, il contenuto delle istruzioni che sarebbero state inviate a von Ribbentrop. Esse prevedevano di sostenere fermamente la priorità cronologica del diritto di belligeranza rispetto al ritiro dei volontari e di proporre la creazione -in aggiunta al Sottocomitato per il controllo. già esistente -di due sottocomitati, uno per la questione del diritto di belligeranza, l'altro per quella dei volontari. 114 4 L'ambasciatore Viola comunicava con T. 5178/566 R. del 24 luglio di avere informato Franco per iscritto, sottolineando in modo tutto particolare il contrasto tra l'azione dell'Italia e quella della Gran Bretagna.

114 5 Il ministro Mameli telegrafava il 24 luglio (T. 5180/186 R.) che il segretario generale Sampayo si era impegnato ad inviare istruzioni nel senso desiderato all'ambasciatore Monteiro, manifestando però la preoccupazione che un atteggiamento troppo rigido potesse provocare il fallimento del piano britannico di cui Italia, Germania e Portogallo sarebbero stati considerati responsabili.

116

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5161/276 R. Tokio, 23 luglio 1937, ore 8,40 (per. ore 15).

Mentre tace cannone e continuano trattative mi sembra molto importante segnalare impressione che si è ... 1 da quanto dicono ora i militari, e cioè che essi non credono ancora giunto il momento di dare alla Cina lezione che si propongono e che essi perciò preferirebbero un accomodamento provvisorio il quale, mentre permettesse rafforzare loro posizione nel Nord Cina e ottenere alcuni degli altri vantaggi da me già indicati, desse il modo di rimandare a tempo più propizio (e cioè quando loro armamento sia finito) la soluzione definitiva della loro lotta con la Repubblica. Perciò sperano che Nanchino non li obbligherà a fare quello che, per ora, non vogliono, ma che pur farebbero se necessario, e credono che così effettivamente sarà, se le correnti anti-giapponesi ed i comunisti non riusciranno imporsi al governo centrale.

Prego comunicare al ministero della Guerra. Comunicato Roma e Shanghai.

117

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5189/0226 R. Londra, 23 luglio l 937 (per. il 26).

Telegrammi di V.E. n. 295 1 , n. 107382 e n. 12803 circolari.

Negli scorsi giorni ho avuto, sull'argomento del conflitto sino-giapponese, colloqui con Cadogan e ~nella sua assenza, essendo egli partito in congedo ~con Orde. Poiché anche lo stesso Orde prenderà fra giorni il suo regolare congedo, questo semplice fatto basta a dare la sensazione della «serenità», sia pure rassegnata, con la quale il Foreign Office considera gli attuali sviluppi della situazione in Estremo Oriente.

117 l Vedi D. 88. 117 2 Non rintracciato. 117 3 Vedi D. 94.

Riassumo i punti essenziali dei miei colloqui. Da parte mia, mi sono limitato a mettere in rilievo che l'ltalia, firmataria del Trattato delle Nove Potenze, proprietaria del Sertlement di Tientsin, legata tanto alla Cina quanto al Giappone da amichevoli rapporti politici, commerciali, culturali. segue da vicino gli sviluppi della situazione e intende far sentire la sua presenza e tutelare i suoi interessi. Tanto Cadogan quanto Orde mi hanno dichiarato che essi si rendevano pieno conto della necessità di tenersi in contatto col governo fascista in questo campo della politica estremo-orientale. Orde mi ha anzi mostrato il testo di un telegramma inviato oggi sresso a Drummond per dargli !"incarico di comunicare a V.E. il risultato delle consultazioni avvenute negli ultimi giorni fra Londra e Washington. Lo stesso telegramma con analoghe istruzioni è stato inviato pure agli ambasciatori britannici a Parigi e a Berlino.

[J «risultato>> di queste consultazioni anglo-americane, come V.E. avrù giù saputo da Drummond4 , si limita a scartare l'ipotesi di passi collettivi a Tokio e a Shanghai e a consigliare invece passi individuali e paralleli dei principali governi. allo scopo di far presente ai due contendenti che le quattro maggiori Potenze dell'Europa Occidentale, insieme agli Stati Uniti, si preoccupano della possibilità di complicazioni nel Pacifico e raccomandano tanto al Giappone quanto alla Cina uno spirito di conciliazione e di moderazione. Non viene peraltro suggerito alcun passo analogo da parte sovietica, poiché tanto il governo britannico quanto il governo degli Stati Uniti hanno riconosciuto che ogni intervento di Mosca nel cont1itto, anche con l'apparenza di uno scopo conciliativo, susciterebbe da una parte e dall'altra interpretazioni e reazioni pregiudizievoli ai fini della conciliazione stessa.

Cadogan e Orde non mi sono apparsi preoccupati della eventualitù che la Russia sovietica possa venire trascinata nel conflitto. Essi ritengono che il governo dell'U.R.S.S. ha in questo momento troppe preoccupazioni a casa propria. privo anche come è dei migliori generali dell'esercito rosso, fucilati, od esiliati. e non ancora soddisfacentemente sostituiti, per lanciarsi a cuor leggero in un'avventura militare. La condotta dell'U.R.S.S. nell'incidente dell'Amur5 ha dato ai giapponesi la sensazione che essi possono in questo momento osare senza troppo rischiare. D'altra parte. gli stessi giapponesi, alle prese con la Cina, non hanno interesse ad allargare il conflitto provocando anche la Russia.

Quanto agli scopi che il Giappone ha in mente, essi sfuggono per ora -così mi è stato detto da Cadogan --alla conoscenza, e quindi all'apprezzamento, del governo britannico. A che punto i giapponesi si fermeranno? La diplomazia estremo-orientale è molto più tortuosa, cavillosa, piena di riserve e di imprevedibili ripiegamenti. che non la diplomazia europea. È anche molto più segreta. Orde ha attirato la mia attenzione sul fatto che l'accordo, che secondo i giornali sarebbe stato raggiunto ieri fra Cina e Giappone, non viene per ora pubblicato allo scopo di non «eccitare la pubblica opinione». Quale serietà potrà avere quest'accordo? Quanto tempo potrà durare? L'esperienza del passato consiglia una certa riserva. Accordi vengono spesso conclusi in Cina da persone che altre persone o altri gruppi o partiti considerano non

autorizzate a negoziarli e concordarli. Nell'istante stesso in cui un accordo si conclude, un incidente fra due eserciti vicini e ostili riaccende la controversia.

Cadogan mi ha detto che egli non escludeva che lo stesso governo giapponese, uscito da una recente crisi nella quale aveva prevalso l'elemento militare, fosse stato trascinato, senza vera e propria premeditazione, dall'iniziativa di qualche alto ufficiale sul posto.

Una delle conseguenze dell'attuale situazione in Estremo Oriente è stata come ha comunicato Eden ai Comuni -la sospensione delle trattative commerciali anglo-giapponesi. Ho chiesto a Orde se il motivo principale di questa sospensione non era stato il desiderio del governo britannico di evitare che, in un momento di tensione fra Tokio e Shanghai, lo svolgimento di trattative con una delle due parti potesse essere male interpretato dall'altra, e compromettere le amichevoli relazioni anglo-cinesi.

Orde ha risposto confermando che questo era stato effettivamente il motivo principale della sospensione dei negoziati. Anzi, egli ha aggiunto, il ministro cinese delle Finanze, Kung, aveva tempo fa espresso a Eden la sua preoccupazione per le trattative commerciali anglo-nipponiche, e Eden aveva dovuto tranquillizzarlo assicurandogli che l'Inghilterra non avrebbe mai aderito a un accordo che per la Cina potesse risultare nocivo.

Ho chiesto a Orde se Eden avesse rivisto più volte Kung. Orde ha risposto che l'aveva visto per l'ultima volta avant'ieri ma che in quella occasione Eden si era limitato a parlargli dell'attuale crisi sino-giapponese e a pregarlo di raccomandare al suo governo la massima moderazione.

In conclusione, dai miei colloqui con Cadogan e con Orde, ho ricavato l'impressione che il governo britannico intenda -per ora almeno -mantenersi quanto più possibile disimpegnato e neutrale nel conflitto dell'Estremo Oriente, limitandosi a dare quei «consigli di moderazione» che, per quanto riguarda la Cina, significano semplicemente consigli di cedere alle richieste del Giappone, fino a che queste richieste non ledano troppo apertamente interessi locali o generali dell'Inghilterra.

116 1 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo mancante)).

117 4 Non è stata trovata documentazione su un colloquio in proposito. 117 5 Vedi D. 90. nota 2.

118

IL PROFESSOR ENDERLE AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 23 luglio 1937.

In relazione a quanto ebbi l'onore di esporre a V.E. dopo aver incontrato a Vienna il fiduciario del Mufti signor Alami 1 , poiché sarebbe opportuno dargli una risposta esauriente alle diverse richieste da lui fatte, nel rivederlo a Ginevra il 27 corrente, mi proporrei esprimermi con lui tenendo presenti i seguenti principi:

l) L'Italia trova nettamente contrarie alla causa araba in Palestina ed ai proprì interessi nel Mediterraneo e nel Mar Rosso le conclusioni del rapporto della Commissione Reale; pertanto essa farà di tutto per evitare che tali conclusioni siano comunque applicate, pur non potendo fin da ora fissare quali mezzi sceglierà per poter conseguire l'intento, dato che non partecipa ad alcuna attività della

S.d.N. e il problema ha, per ora, sviluppi soltanto societarì. 2) L'Italia farà di tutto per aiutare con mezzi indiretti e riservati gli arabi di

Palestina, pur non potendo, per ragioni puramente finanziarie corri.spodenti agli enormi sforzi che deve fare per valorizzare l'Impero, accordare altre sovvenzioni.

Pertanto essa: l) verserà entro la prima quindicina di agosto la quota di lire sterline cinquemila che ancora deve sulla sovvenzione concessa lo scorso anno;

2) fornirà le armi e le munizioni promesse appena sarà possibile;

3) studierà la possibilità di far preparare da propri tecnici degli esperti palestinesi, in materia di attentati, pur non nascondendo fin d'ora, le difficoltà ed i rischi che rendono assai poco probabile il realizzare tale preparazione.

Per attutire la sfavorevole impressione che produrrà il diniego di qualsiasi ulteriore sovvenzione, tale richiesta potrebbe infatti, se opportuno, essere respinta in un secondo tempo.

Aggiungerò inoltre che: A) nella nostra azione palese ed occulta in favore degli arabi, siamo costretti, e forse lo saremo ancora in prosieguo, a salvare rigidamente le apparenze; ciò non deve scoraggiare gli arabi, dando loro la sensazione di un nostro abbandono; B) non trovandosi gli arabi nella stessa necessità nulla vieta che: a) Ibn Saud ed il governo irakiano facciano, da parte loro, un'aperta politica filo-italiana, alla quale noi risponderemo nel miglior modo possibile; b) la Palestina e la Siria facciano la stessa cosa, indirizzando, e facendo indirizzare dall'Iraq e dal Regno Arabo-Saudiano. pubblici appelli all'Italia, e se del caso, anche alla Germania in favore della causa palestinese. A quest'ultimo riguardo, aggiugerò naturalmente che, dovendosi rispettare la forma poiché la Siria e la Palestina non sono Stati indipendenti, noi, e se del caso anche la Germania, pur tenendo tali appelli nel debito conto per appoggiarvi, secondo le circostanze, la nostra politica, ad essi non potremo rispondere direttamente. Infine potrei pure dire al signor Mousa Alami che, qualora il Mufti lo desiderasse, noi potremo anche: -incaricarci di diffondere nel mondo arabo ed in Asia, America ed Europa un buon opuscolo di propaganda in favore della causa palestinese; -fornire, a suo tempo, con le armi e le munizioni, anche una radio da campo ad onde corte, di marca straniera, facilmente trasportabile, che gli arabi stessi potrebbero installare nel deserto irakiano o siriano, per compensare in qualche modo, la mancata azione della Radio di Bari. Il signor Mousa Alami mi aveva anche chiesto se potevamo fornire a Rodi, ove velieri del Mufti sarebbero andati a cercarli, alcuni ordigni esplosivi da impiegare per attentati sopratutto alla pipe-fine.

A tale richiesta si potrebbe rispondere negativamente per quanto riguarda l'invio da Rodi, aggiungendo che si sta studiando la possibilità di inviare gli ordigni con la nota partita di armi e munizioni.

Resto in attesa di conoscere le decisioni che l'Eccellenza Vostra si compiacerà di prendere in merito a quanto esposto, come pure se posso e devo dire all'Alami:

-che noi desideriamo che il movimento in Palestina sia iniziato quanto prima;

-che Vostra Eccellenza si compiacerà riceverlo, nel prossimo settembre, quando, dovendo egli rientrare in Patria, passerà per Roma2 .

118 l Vedi D. 89.

119

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5182/172 R. Ankara, 24 luglio 1937, ore 20,50 (per. ore 6 del 25).

Numan mi ha pregato recarmi da lui e mi ha detto che partecipando la flotta turca alle grandi manovre in Tracia, il che necessiterà la successiva andata in bacino delle navi, queste di conseguenza saranno nella impossibilità di effettuare le visite progettate per il settembre, quindi anche quella a Venezia (mio telegramma

n. 146 e telegramma per corriere 025 del 22 giugno) 1 .

Numan ha espresso tutto il rincrescimento del governo turco per questa mancata manifestazione di amicizia cui esso teneva enormemente ed ha espresso la più viva speranza che V.E. voglia rendersi conto della effettiva, materiale impossibilità in cui si trova la flotta, che, contando ancora poche unità, non è in grado di sopperire a tutte le necessità che il governo vorrebbe. Ha aggiunto che il governo spera che tali visite possano farsi nell'anno venturo. Codesto ambasciatore di Turchia fra 3 o 4 giorni sarà incaricato di fare ufficialmente tale comunicazione a V.E.

Numan ha poi nuovamente protestato la sincera piena decisione del governo turco di sviluppare in ogni possibile modo i rapporti amichevoli con noi. Ha poi aggiunto a titolo personale e confidenziale e con preghiera di ogni riservatezza che al ritorno da Mosca Aras aveva fatto presente che non era più il caso di effettuare la progettata visita della flotta a ... 2 . Di conseguenza anche le altre che dovevano aver luogo nel medesimo momento, ma prima di tutte quella a noi, dovevano essere soppresse per non rendere troppo stridente il contrasto con la soppressione di quella.

Questa comunicazione confidenziale di Numan conferma il mancato risultato del convegno di Mosca (mio telegramma n. 169)3 .

119 I Vedi serie ottava, vol. VI, p. 1026, nota 2 e ibid, D. 785. 119 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile, presumesi "Odessa"».

118 2 Sulla prima pagina del documento Ciano ha scritto «Sta bene». Si veda per il seguito il D. 132.

119 3 T. 5142/169 R. del 23 luglio. Riferiva su un colloquio con Riistii Aras, il quale aveva ribadito la ferma intenzione della Turchia di sviluppare le sue amicizie senza farsi condizionare dai sovietici e. in questo quadro, di dare ogni possibile sviluppo all'amicizia con l'Italia. Dal colloquio l'ambasciatore Galli aveva tratto l'impressione che nelle relazioni turco-sovietiche le ombre non fossero state ancora dissipate.

120

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5190/062 R. Belgrado, 24 luglio 1937 (per. il 26).

Mio telegramma per corriere n. 061 del 21 corrente1•

I 38 voti di maggioranza coi quali la ratifica del Concordato è stata approvata dalla Skupcina possono esser considerati come un notevole successo personale di Stojadinovié, visto che i calcoli più ottimistici circa il risultato della votazione anche prima dei torbidi inscenati durante la discussione e prima delle scomuniche lanciate dal S. Sinodo facevano prevedere, dato lo speciale carattere dell'argomento, delle defezioni numerose dell'ultimo momento e una maggioranza anche più ridotta.

Il voto ha coinciso colla morte del Patriarca Barnaba. Stojadinovié ha abilmente approfittato della circostanza per chiudere, momentaneamente, l'agitazione e per rimandare all'autunno inoltrato la discussione al Senato, che si presentava assai pericolosa. Il Presidente avrà, ora, prevedibilmente, un periodo di sosta estiva, per riflettere, a vittoria riportata, sugli elementi della situazione prospettatasi in questi giorni e per trarne le conseguenti decisioni per un futuro che, ove restassero ferme le cose come sono, non si profilerebbe senza preoccupanti ombre. Il punto nero rimane sempre più la presenza e la mentalità di Koroseé al governo. Un altro è la difficoltà di dirigere un Paese, ancora in così grave crisi di fusione e di organizzazione, senza instaurare un regime più autoritario dell'attuale. D'altra parte, l'attuarlo gli toglierebbe un'arma assai potente contro le intenzioni offensive di Zivkovié, che è appunto minorato [sic] dal ricordo della sua dittatura. Quanto alla questione croata, non sembra facile poterla risolvere, almeno con effettiva efficienza, nel breve tempo occorrente, quando Macek ha ottimo giuoco per farsi prezioso. Comunque, Stojadinovié ha innegabili qualità di grande manovratore e la mentalità del Paese è suscettibile di avere le più subitanee reazioni, ma anche le più impensate rassegnazioni. Del risultato ottenuto da Stojadinovié, abbiamo ragioni di felicitarci, anche e soprattutto perché -come accennavo nel mio precedente telegramma -l'opposizione non ha esitato a mettere pubblicamente in causa, alla Skupcina, a proposito del Concordato, la politica di Stojadinovié verso l'Italia, svelando le profonde ragioni e le fonti ispiratrici della deplorevole agitazione che ha tenuto in ansia il Paese per parecchi giorni. D'altra parte, il rovescio della medaglia è costituito dal fatto che l'abbinamento fatto in questa occasione nella mentalità rudimentale di questa gente fra la rinnovata amicizia coll'Italia e l'imposizione di un regolamento religioso, che artatamente, è stato rappresentato fra la massa popolare come offensivo per il sentimento e le benemerenze della Chiesa nazionale serba, ci ha, innegabilmente, fatto perdere, fra la massa stessa, molti punti del favore così faticosamente guadagnato.

120 l Vedi D. 105.

121

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5202/173 R. Istanbul, 26 luglio 1937. ore 19 (per. ore 0,15 del 27).

Quest'ambasciatore di Germania 1 è venuto a comunicarmi di aver avuto istruzioni di iniziare negoziati col governo turco per una convenzione relativa all'adesione della Germania alla Convenzione Montreux. Turchia dovrebbe riconoscere alla Germania stessi diritti contemplati nel programma [sic] della convenzione e, possibilmente, promettere suo appoggio a Germania perché questa prenda parte alle future eventuali discussioni per la revisione della Convenzione di Montreux. Nella convenzione progettata si dovrà includere da parte tedesca medesima riserva ... 2 . Egli aveva istruzioni tenersi in costante contatto con me e sapeva che governo germanico si sarebbe messo in rapporto al medesimo scopo con V.E.

Avendomi chiesto quale era nostra situazione attuale, gli ho detto che V.E. aveva dichiarato non avere alcuna obiezione alla convenzione e si era riservato aderirvi, a suo tempo, però con le due riserve a suo tempo comunicatemi3 . Dopo di allora non eravi stato alcun ulteriore contatto con Ankara. Ritenevo a titolo personale che verosimilmente si sarebbe atteso il riconoscimento formale dell'Impero da parte della Turchia prima di aderire a Montreux.

Ambasciatore di Germania mi ha risposto che non aveva ancora iniziato trattative e si riservava adesso chiedere nuove istruzioni a Berlino.

Considerato testo Convenzione Montreux (art. 27) e tutte le altre circostanze generali permanenti e contingenti, reputo che se la convenzione speciale è indispensabile, mi sembra però poco probabile che Turchia, la quale farebbe già, aderendo alla proposta, un trattamento speciale non previsto dalla convenzione, sia anche disposta a concedere un vantaggio quale l'impegno futuro che Germania vorrebbe ottenere.

122

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 5200/147 R. Vienna, 26 luglio 1937, ore 20,32 (per. ore 0,15 del 27).

Schmidt ha avuto da Schuller, che trovasi in Alto Adige, notizia di comunicazioni confidenziali fattegli da Giannini e da Masi, secondo le quali R. Governo,

121 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile». 121 3 Le due condizioni poste per l'adesione dell'Italia erano state indicate da Ciano anche a Riistii Aras nell'incontro di Milano del 4 febbraio: « l" di venire ad assumere una figura identica a quella degli Stati firmatari originariamente; 2" di formulare le stesse riserve del Giappone per quanto concerne i legami tra il Covenant e la Convenzione di MontreuX)). (Vedi serie ottava, vol. VI, D. 124).

con riguardo a nuovi accordi con Jugoslavia, si troverebbe indotto non solo ad abbandonare pro futuro il regime delle preferenze per importazioni austriache in Italia, ma anche procedere a denunziare anticipatamente gli Accordi di Roma del lo giugno u.s. 1• Per tale modo detti Accordi si vorrebbero, da parte nostra, far cessare col 31 dicembre prossimo anziché, come concordato, con il 30 giugno 1938.

Schmidt, anche a nome del Cancelliere, mi prega di rivolgermi a V.E. per quelle comunicazioni di cui credesse di incaricarmi sull'argomento.

Schuschnigg sarebbe molto preoccupato per conseguenze economiche e per riflessi politici, da esso non previsti, circa anticipata denunzia dei recenti accordi. Da Budapest sono giunte qui notizie di gravi difficoltà pel prolungamento

degli accordi provvisori fra l'Ungheria e noi 2 .

121 l August Keller.

123

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2181/911. Salamanca, 26 luglio 1937 (per. il 2 agosto).

Per opportuna conoscenza, ho l'onore di trasmettere a V.E. l'acclusa copia di un rapporto inviatomi dal R. console a San Sebastiano, concernente l'attuale situazione a Bilbao.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

TELESPR. 1745. San Sebastiano, 20 luglio 1937.

La situazione di Bilbao viene attualmente caratterizzata da tre elementi: la vita cittadina che stenta a riprendere; l'operazione di limpieza e di repressione del nazionalismo basco; la resistenza del baschismo alla propaganda nazionale.

La città offre ancora un aspetto desolato. La mancanza dell'acqua, la difficoltà della circolazione per la distruzione dei ponti, la scarsezza della mano d'opera per l'ingente numero di emigrati, l'impossibilità di trovare alcuni generi e soprattutto il timore che costringe innumerevoli bilbaini a non mostrarsi per le vie, dà ancora a Bilbao un'atmosfera pesante e sconsolata.

Contribuisce a ciò l'opera costante ed energica di repressione e di punizione, nonostante che tale opera non abbia assunto, si deve riconoscere, quegli aspetti di disorganizzazione e di crudeltà che essa ha avuto in alcune parti della Spagna dopo la riconquista dei Nazio

! 0

dell'Accordo del 7 novembre 1936 concernente il regime preferenziale a favore dell'importazione au striaca (testo in Trattati e convenzioni, vol. LI, pp. 258-259). 122 2 Vedi D. 146.

nali. La Giustizia è severa ed è amministrata con criteri di obbiettività e di imparzialità e con tutte le garanzie giudiziarie. Se gli arresti sono numerosissimi, se i tribunali debbono funzionare senza respiro ciò è dovuto al fatto che Bilbao era ed è essenzialmente nazionalista, che Bilbao è tutta, salvo rare eccezioni compromessa e condannabile.

Tutti gli impiegati dell'Ayuntamiento in numero di varie centinaia sono stati licenziati. Essi verranno riammessi caso per caso, solo dopo una minuziosa inchiesta personale; a tal fine i giornali invitano tutta la popolazione sotto stretto dovere morale a denunciare i funzionari che si siano resi colpevoli di nazionalismo.

Ciò favorisce in tutti modi l'attività delatoria che non sempre è inspirata a criteri politici ma spesso anche a rancori personali e che fa gravare sulla città una atmosfera di continua mutua diffidenza.

Nell'insieme, Bilbao, com'è stato proclamato dallo stesso Alcalde, viene considerata dai Nazionali alla stregua di una città straniera conquistata con le armi. Si tratta da vincitori e da vinti. L'azione di repressione è affiancata all'azione di convinzione. I giornali che hanno iniziato le loro pubblicazioni e cioè: El Pueblo-Vasco, Hierro, El Correo Espaiiol, La Gaceta del Norte, cercano speditamente catechizzare i bilbaini, sia ripetendo l'obbligo di salutare la bandiera, gli inni nazionali, ecc., sia con vari articoli sul nazionalismo basco che mettono in evidenza i danni che esso ha arrecato alla Biscaglia, la sua tendenza anticattolica, ecc., ecc.

Tutti questi sforzi, però raggiungono un risultato piuttosto modesto. Alcuni episodi come le bandiere nazionali strappate, l'esposizione del tricolore basco, i fischi agli inni nazionali ed ai film patriottici, ecc. ecc., dimostrano quale sia il vero stato d'animo della popolazione. L'odio dei baschi per gli spagnoli, che essi considerano assolutamente come stranieri non accenna a diminuire.

Il governatore di San Sebastiano, marchese di Rozalejo mi diceva in occasione del 18 luglio che aveva ricevuto ordine da Salamanca di fare il possibile per far vibrare San Sebastian. San Sebastian, diceva Rozalejo ha vibrato, ma vorrei sapere come riuscirà a cavarsela il mio collega di Bilbao nella situazione attuale. Il problema bilbaino, aggiungeva, darà ancora molto filo da torcere al generale Franco.

122 1 Accordo tra Italia e Austria del giugno 1937 per prorogare al 30 giugno 1938 la validità

124

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5225/228 R. Nanchino, 27 luglio 1937, ore 15,30 (per. ore 5 del 28).

Mio telegramma n. 227 1 .

Ho fatto anche al Generalissimo note comunicazioni. Colloquio si è svolto in presenza varie persone ed ha avuto carattere generico. Il Generalissimo ha ripetuto soliti argomenti, addossando tutta la responsabilità al Giappone che vorrebbe portare Cina ad una guerra che il governo nazionale, pure desiderando ancora una conciliazione, sosterrà fino all'ultimo per l'onore nazionale.

Generalissimo mi è sembrato desideroso conoscere per mezzo nostro se Giappone abbia qualche disposizione ad una conciliazione e ho avuto impressione che un nostro intervento per provocare interessamento varie Potenze onde evitare un conflitto che può nuocere agli interessi di tutti, sarebbe quanto mai desiderato 2 in avvenire a questo governo.

Chiang Kai-shek non mi ha fatto alcun accenno alle missioni militari. Comunicato Roma e Tokio.

124 l T. 5224/227 R. del 27 luglio. L'ambasciatore Cora-che si era recato appositamente a Nanchino -aveva telegrafato di aver fatto al ministro degli Esteri la comunicazione di cui era stato incaricato (per la quale si veda il D. 94). Wang Chung-hui gli aveva espresso la speranza che tutte le Potenze interessate al mantenimento della pace in Estremo Oriente si consultassero per far cessare il conflitto. Ma Cora era dell'opinione che in ogni modo il Giappone sarebbe andato fino in fondo.

125

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PER CORRIERE 11382 P.R. Roma, 27 luglio 1937.

Il R. ambasciatore presso la Santa Sede mi fa pervenire in data del 26 corrente il rapporto 1 e articolo che accludo in copia. Prego V.E. di voler considerare l'opportunità, nei modi e forme che crederà opportuni. di far presente a codesto governo il desiderio espresso a Pignatti dal cardinale Pacelli circa gli attacchi personali recentemente rivoltigli dall'Angri[[ Aggiungo che qualora V.E. avesse, a un momento dato, la sensazione che quelle disposizioni a trattare più volte accennate in questi ultimi tempi dalla Santa Sede, fossero in qualche modo condivise anche dalla Germania, ella potrà, nei termini che crederà migliori, svolgere azione personale per favorirle.

126

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5259/0227 R. Londra, 27 luglio 1937 (per. il 30).

Ecco le caratteristiche della seduta del Sottocomitato di ieri pomeriggio 1 nella quale ho svolto d'accordo con Ribbentrop e Monteiro, azione secondo direttive di

V.E.2 .

125 1 Telespresso 1723/613 del 26 luglio, non pubblicato. 126 1 Il 24 luglio, il governo britannico aveva presentato al Comitato di non intervento un questiona rio che riassumeva in sette punti il progetto britannico del 14 luglio (per il quale si veda il D. 69. nota 2), modificando però l'ordine di trattazione così che il ritiro dei volontari stranieri veniva ad essere posto prima del riconoscimento dei diritti di belligerante alle due parti spagnole. Nella seduta del 26 luglio, Grandi aveva presentato un memorandum che ricalcava esattamente il progetto britannico del 14 luglio dopo di che il Sottocomitato aveva approvato il ritorno puro e semplice a quel progetto, invitan do i governi ad esprimere il proprio punto di vista su di esso nel merito entro il 29 luglio successivo. 126 2 Di queste istruzioni a Grandi non si è trovata documentazione ma si veJa in proposito il D. 114.

Presentazione inattesa del nostro memorandum fatta immediatamente dopo dichiarazione di Plymouth in appoggio del questionario inglese, ha creato serio imbarazzo tradottosi in un silenzio di ben 20 minuti, durante i quali nessun avversario si è sentito in grado di prendere la parola. Inglesi hanno subito compreso impossibilità trincerarsi decentemente nel loro questionario e facendo buon viso a cattivo gioco hanno cominciato a muovere verso una posizione di «indifferenza» fra questionario britannico e questionario italiano. Da questa posizione intermedia Plymouth è passato a discrete e sempre più insistenti pressioni sui francesi e sui russi fino a proporre esplicitamente adozione questionario italiano.

Francesi hanno opposto più vivace resistenza. Essi hanno anzitutto tentato di rendere gli inglesi prigionieri del loro stesso questionario sostenendo che spettava all'Inghilterra e non all'Italia fornire interpretazione autentica del piano britannico. Progressiva evoluzione di Plymouth verso nostra tesi ha irritato e disorientato Corbin che con laboriosi negoziati al Foreign Office era riuscito a imporre agli inglesi un questionario conforme alla tesi francese. Imbarazzo di Corbin è stato aggravato dal fatto che suo recente viaggio a Parigi era stato presentato dalla stampa francese come preludio ad un clamoroso successo franco-britannico sull'Italia e la Germania. Tuttavia quando ha visto che gli inglesi lo abbandonavano Corbin ha finito penosamente col cedere.

Anche Maisky ha polemizzato vincemente con gli inglesi, accusandoli di cedere all'Italia. Resosi conto che Plymouth aveva ormai abbandonato alla sua sorte questionario britannico, Maisky ha dovuto a sua volta accettare nostra tesi per non rimanere isolato e si è trovato parimenti costretto a ripiegare su una posizione autonoma di intransigenza, dichiarando nel modo più reciso che governo sovietico non potrà mai riconoscere belligeranza a Franco.

Ribbentrop e Monteiro mi hanno costantemente fiancheggiato.

Rappresentanti piccole Potenze si sono limitati seguire sviluppo generale discussione, manifestandosi verso fine seduta progressivamente impressionati dalla inattesa confusione e ritirata anglo-francese di fronte alla nostra offensiva.

Mie dichiarazioni 3 sul punto del piano britannico relativo ritiro volontari fatte in conformità direttive di V.E., mentre hanno valso a indurre vieppiù gli inglesi ad abbandonare linea di azione concordata con i francesi, hanno posto questi ultimi nella alternativa o di respingere punto del piano britannico relativo belligeranza ovvero di assumere apertamente responsabilità di siluratori delle proposte britanniche. Tali nostre dichiarazioni hanno inoltre costretto i russi a uscire finalmente dall'equivoco tortuoso e a lasciar chiaramente comprendere che ove ogni altra resistenza al piano britannico venisse a cessare essi sono senz'altro disposti ad assumere la responsabilità del suo fallimento. Così è fallita la manovra che tentava di fare del problema del ritiro dei volontari l'ostacolo principale al raggiungimento di un accordo sul piano britannico. L'attenzione è stata viceversa riportata sul problema della belligeranza che io mi adopererò a mantenere in primo piano nelle future discussioni per fare in modo che su di essa vengano a stabilirsi e decidersi le rispettive responsabilità.

.....

Infine, uno degli aspetti più interessanti della seduta di ieri, è quello che si riferisce ai rapporti franco-britannici. Questi rapporti si erano resi più stretti dopo l'uscita della Germania e dell'Italia dallo schema di controllo, fino a presentare un fronte unico nelle sedute del Sottocomitato della fine di giugno e del 2 luglio scorso. In seguito alle discussioni del 2 e del 9 luglio una prima sfasatura si è determinata fra Londra e Parigi, culminata nel piano britannico di compromesso. Poiché tuttavia il governo francese era riuscito a riagganciare il governo britannico, come si è visto nella formulazione del questionario, l'azione italiana nella seduta di ieri è apparsa tanto più opportuna in quanto ha avuto come primo effetto quello di riprodurre una sfasatura piuttosto sensibile fra Londra e Parigi, ed evitare un nuovo turbamento dei rapporti itala-britannici che la Francia sperava evidentemente di provocare.

Allego testo integrale mie dichiarazioni di ieri e memorandum italiano4 .

124 2 Nota dell'Ufficio Cifra: <<tre gruppi indecifrabili».

126 3 Si veda in proposito Re/a::ioni Interna::iona/i, pp. 601-602.

127

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE PERSONALE 5280/0228 R. 1 Londra, 27 luglio 1937 (per. il 30).

Ieri sera, la segreteria particolare del Primo Ministro mi ha fatto domandare telefonicamente se potevo recarmi alle Il ,30 di stamane a Downing Street, desiderando il Primo Ministro parlarmi.

Chamberlain mi ha ricevuto nel suo ufficio a Downing Street, il colloquio è durato esattamente un'ora e mezzo.

L'accoglienza di Chamberlain è stata assai cordiale, vorrei dire, sinceramente amichevole. Egli ha cominciato col dirmi che nei nostri frequenti incontri nel mondo londinese egli non aveva mai potuto, come era suo vivo desiderio, avere con me uno scambio di idee approfondito sulla situazione dei rapporti itala-inglesi. Per questo egli aveva desiderato, venendo meno alle consuetudini protocollari per cui gli ambasciatori comunicano col Primo Ministro attraverso il Segretario di Stato per gli Affari Esteri, di avere un'intervista ufficiale con me a Downing Street. Eden stesso, del resto, ha continuato Chamberlain, ha proposto ciò, dopo avermi riferito il colloquio avuto con voi il 21 corrente2 . Informandomi su questo colloquio, Eden mi ha detto che voi eravate autorizzato dal Duce e dal conte Ciano ad uno scambio d'idee concreto, se pure di carattere preliminare. Ritengo che questo scambio di idee sia utile, per non dire necessario. Io sono pronto, nella mia responsabilità di Primo Ministro, a mostrare la maggior buona volontà.

Così si è iniziato il colloquio.

Ho ringraziato Chamberlain per l'opportunità che egli mi dava di avere con lui uno scambio d'idee ufficiale, diretto e con la più ampia libertà. «Sono certo ~ ho continuato ~che tanto il Duce quanto il conte Ciano apprezzeranno ciò in maniera particolare». Ho detto a Chamberlain che io avevo comunicato tempo fa al Duce quanto egli, Chamberlain, mi aveva espressamente incaricato la sera del 13 giugno u.s., di far pervenire al Duce, come suo messaggio personale, nell'occasione della sua assunzione alla carica di Primo Ministro 3 . Il Duce mi aveva incaricato di dire a Chamberlain di avere apprezzato tale messaggio e che ricambiava da parte sua uguali sentimenti. Avevo inoltre ricevuto istruzioni di intrattenere Chamberlain sulla situazione dei rapporti italo-britannici e di illustrare a lui personalmente il pensiero e le conclusioni a cui il Duce era arrivato. Sulla linea delle direttive successivamente da te inviatemi in questi ultimi mesi e particolarmente nella lettera 5096 del 20 giugno4 , ho fatto una esposizione analitica dei precedenti di fatto e delle cause che hanno portato all'attuale turbamento dei rapporti italo-britannici.

Mi sono rifatto da lontano. Ho cercato di non omettere nulla facendo un quadro il più possibile esatto ed efficace di tutto quanto è accaduto nel corso di questi ultimi tre anni dall'incidente di Ual Ual nel dicembre 1934 fino ad oggi.

Chamberlain ha ascoltato con visibile attenzione la mia lunga esposizione documentata di date e di fatti precisi e che ritengo superfluo ripetere qui.

Ho concluso con le stesse parole della tua lettera del 20 giugno, dicendo a Chamberlain che nel pensiero del Duce «un riavvicinamento con l'Inghilterra non soltanto appare possibile, ma desiderabile. Bisogna però che si tratti di un riavvicinamento completo e di una chiarificazione integrale che non lasci zone di nehhia o d'ombra. Quando abbiamo concluso il Gentlemen's agreement da una parte e dall'altra si è ritenuto che su certi punti si poteva scivolare nella speranza che il tempo sarebbe valso ad arrotondare quegli angoli che allora non potevamo smussare noi. Invece alla prova dei fatti è stato proprio nel settore dell'ombra che le complicazioni si sono manifestate. Ciò insegna per il futuro. Se ad una chiarificazione si vuole e si può arrivare, bisogna che essa sia totalitaria ... ».

Come premessa della mia esposizione avevo creduto necessario dire a Chamberlain nel modo più preciso, che l'asse Roma-Berlino costituiva e costituisce crmai un cardine della politica estera fascista. Esaminare oggi quali sono state le cause ed i fatti che hanno determinato l'attuale franca intesa fra Italia e Germania sarebbe in questo momento di nessuna pratica utilità. Fra Roma e Berlino non vi è un'alleanza militare, né alcuna intesa che possa essere considerata da altri Paesi con diffidenza e con sospetto. I due Paesi si difendono e difendono il loro regime interno. Il Duce ha dichiarato in numerose occasioni che la fedele collaborazione esistente fra Roma e Berlino non può in nessuna guisa ostacolare un sostanziale e definitivo riavvicinamento tra Inghilterra e Italia. L'Italia sarebbe in pari tempo lieta che un sostanziale riavvicinamento si determinasse fra l'Inghilterra e la Germania. La politica dell'Italia non è di dividere, bensì di bloccare insieme le Grandi Potenze dell'Europa per salvaguardare la nostra civiltà occidentale e la pace.

Circa il problema spagnolo, che come ti ho illustrato nelle mie numerose lettere-rapporti di questi ultimi mesi è venuto gradatamente a costituire il problema acuto nelle relazioni tra l'Italia e l'Inghilterra, ho confermato a Chamberlain, una dopo l'altra, illustrandole con ovvie argomentazioni, tutte le assicurazioni che successivamente e pubblicamente sono state date dal Duce e da te sul significato e la portata della nostra politica e della nostra azione in Spagna, non senza mettere in rilievo, secondo le tue stesse parole, che « ... ormai gli inglesi devono essersi convinti che noi non nutriamo ambi::ioni di sorta nei confronti della Penisola Iberica e che la lotta che abbiamo condotta e vittoriosamente condotta e conduciamo in Spagna serve oltre alla nostra causa, anche a quella stessa dell'Inghilterra, che una installazione di regime bolscevico non può desiderare né in Spagna né altrove».

Ho creduto di aggiungere che il giorno stesso in cui il generale Franco raggiungerà la sua completa vittoria militare in Spagna, tutti i volontari italiani che combattono alle dipendenze del governo Nazionale spagnolo faranno ritorno in Italia. Ho aggiunto inoltre che è nell'evidente interesse di tutti, e particolarmente dell'Inghilterra di non ostacolare, ma al contrario di favorire il più possibile una rapida e completa vittoria del governo di Salamanca, perché questa vittoria è la sola solu::jone possibile della crisi spagnola, e il solo me;;;;o perché la crisi spagnola non diventi. come altrimenti fatalmente dil'errebbe, una crisi europea. Ho concluso dicendo che il Duce era ed è «pronto, in determinate eque condi::ioni, a stringere la mano all'Inghilterra qualora l'Inghilterra sia effettivamente desiderosa di farlo».

Chamberlain: mi ha risposto che desiderava anzitutto ringraziare il Duce della franca ed amichevole accoglienza al messaggio che Chamberlain, per mio tramite. aveva fatto al Duce pervenire, subito dopo avere assunto la direzione del governo britannico. Chamberlain ha continuato dicendo che aveva ascoltato con interesse, apprezzandola nel suo giusto valore, la mia esposizione, l'esattezza dei fatti citati e il modo come avevo fatto il «punto» della situazione. Egli desiderava innanzi tutto assicurare il Duce che dal giorno della sua nomina a Primo Ministro britannico una delle sue maggiori e più urgenti preoccupazioni era stata ed è quella di chiarire in modo definitivo la situazione dei rapporti con l'Italia. «Desidero innanzi tutto che il Duce sappia che io sono perfettamente d'accordo con lui nel giudicare che la chiarificazione dei rapporti fra i nostri due Paesi, se una chiarificazione vuole essere, deve essere "totalitaria", senza zone d'ombra le quali manterrebbero vivi imotivi di diffidenza e i punti di attrito. Desidero che egli sappia che io sono pronto effettivamente a tendere ed a stringere la mano, e questo lo dico con semplicità e sincerità, come è mio costume. Il Duce già deve essersi accorto che io sto facendo degli sforzi in direzione di questo obbiettivo che è mia ferma intenzione di raggiungere non solo nell'interesse evidente dei nostri due Paesi, ma anche nell'interesse della pace d'Europa, che è poi un diretto ed ovvio interesse britannico. Sull'obbiettivo siamo dunque d'accordo. Ora si tratta di chiarire e fissare i punti essenziali per il suo raggiungimento».

«Cominciamo-ha continuato Chamberlain-dalla Spagna. Secondo voi la Spagna non è un problema fra Italia e Inghilterra, bensì soltanto "l'ombra" artificiosa di un problema. Sta di fatto che il popolo inglese è stato e continua ad essere tuttora effettivamente allarmato dell'estensione e dai possibili sviluppi dell'azione italiana in Spagna. Io, dopo le assicurazioni chiare e recise che il Duce ha sempre dato e che egli vi ha dato incarico ancora una volta di confermarmi, non sono allarmato. Vorrei ad ogni modo essere certo che interpreto esattamente nel modo seguente il pensiero del Duce: "L'Italia non ha mire territoriali in Spagna. Né intende di sfruttare l'eventuale vittoria di Franco installandosi direttamente o indirettamente in Spagna. L'Italia non può accettare che il bolscevismo prenda piede in un punto del Mediterraneo. Liberare la Spagna dal bolscevismo è un diretto interesse italiano. La vittoria dei nazionalisti spagnoli contribuisce di per se stessa alla protezione di questo interesse. Se tuttavia Franco non vincesse, ed in vista dell'interesse italiano di impedire lo stabilimento del bolscevismo in un punto del Mediterraneo, la situazione dovrebbe dall'Italia di nuovo essere riconsiderata''. Interpreto in tal modo esattamente il pensiero del Duce?».

Grandi: «Esattamente».

Chamberlain: «Fissiamo ora un altro punto: voi mi avete detto che nel pensiero del Duce il Gentlemen's Agreement italo-britannico del 2 gennaio costituisce una cornice vuota. Occorre adesso mettere il quadro: occorre non lasciare punti d'ombra. Sta bene. Qual'è, secondo il Duce, il «punto d'ombra» che bisogna anzitutto chiarire?».

Grandi: «Il riconoscimento dell'Impero. Riconoscimento giuridico senza ombra di equivoci, che dia la certezza a noi ed alle popolazioni indigene del nostro Impero che l'Inghilterra non intende mai più tornare sul passato. Fino a che l'Inghilterra non farà questo, il popolo italiano avrà il diritto di sospettare su quelle che sono le vere intenzioni inglesi nei confronti dell'Italia. 11 solo modo perchè il popolo italiano veramente possa persuadersi [di ciò è] che l'Inghilterra non indugi più in questo atto formale, ma pregiudiziale ad un qualsiasi leale chiarimento fra i nostri due Paesi».

Chamberlain: «Io vi confermo nel modo più solenne quello che Eden ha detto ai Comuni qualche giorno fa 5 , in dichiarazioni precedentemente approvate da me e dall'intero Gabinetto. L'Inghilterra non intende mai più tornare sul passato. Per passato intendo la conquista italiana dell'Etiopia. Per l'Inghilterra l'affare etiopico è stato una cosa dura, ma quello che è stato è stato. Il governo britannico ha già riconosciuto di fatto la sovranità dell'Italia in Abissinia. Per il governo britannico riconoscimento di fatto o riconoscimento di diritto è la stessa cosa».

Grandi: «Anche per l'Italia sarebbe la stessa cosa se malauguratamente l'esperienza degli ultimi due anni, l'iniziativa inglese delle sanzioni, gli Accordi mediterranei contro l'Italia6 , l'attività di Ginevra, i febbrili armamenti inglesi nel Mediterraneo, l'invito a Tafari d'inviare un rappresentante all'incoronazione, la persistente ostilità in alcuni settori non trascurabili della politica inglese non obbligassero il popolo italiano ad essere estremamente guardingo e legittimamente diffidente. Il popolo italiano è un popolo semplice, logico e lineare. Esso pensa: l'Inghilterra ha

127 6 Si riferisce agli accordi conclusi nel dicembre 1935-gennaio 1936 da Gran Bretagna, Francia, Jugoslavia, Grecia e Turchia per garantirsi assistenza nel caso di un conflitto derivante dall'applicazio ne dell'art. 16 del Covenant nei confronti dell'Italia.

fatto di tutto per impedire all'Italia la conquista dell'Etiopia e la fondazione dell'Impero. L'Inghilterra ha sempre dichiarato che la sua opposizione era esclusivamente determinata dai suoi doveri di membro della S.d.N. Non appena l'Italia ha conquistato e fondato il suo Impero, tutti gli uomini di Stato responsabili della politica britannica, escluso voi, hanno dichiarato che ciò costituiva "la più grande umiliazione sofferta dalla Gran Bretagna nella sua storia".

Dopo di che l'Inghilterra ha intrapreso una ingiustificata e sproporzionata politica di armamenti nel Mediterraneo, mostrando parimenti una decisa riluttanza al riconoscimento giuridico dell'Impero italiano. Ciò ha portato logicamente e necessariamente al determinarsi in Italia di un'opinione diffusa e che cioè l'Inghilterra si prepari alla guerra contro di noi».

Chamberlain: Mi interrompe per domandarmi: «Ma crede il Duce questo?».

Grandi: «Il Duce non lo crede ma il Duce non può non tener conto di quello che per colpa dell'Inghilterra, crede la maggior parte del popolo italiano».

Chamberlain: «Quello che voi mi dite corrisponde purtroppo a mie informazioni indirette, ma attendibili, che abbiamo sullo stato dello spirito pubblico in Italia. Ma voi che vivete in Inghilterra da tanto tempo, voi vi rendete conto e spero avrete cercato di convincere che questo stato d'animo dello spirito pubblico italiano non è giustificato dalla realtà. Noi vogliamo la pace con l'Italia. Non è il passato ma è l'avvenire che ci interessa».

Grandi: «Sta bene, ma poiché l'Inghilterra ha la responsabilità di aver creato questo stato d'animo nel pubblico italiano, l'Inghilterra deve fare di tutto per dimostrare che questo stato d'animo è, come voi dite, ingiustificato. Nulla potrebbe meglio raggiungere tale scopo che un atto coraggioso e tempestivo di riconoscimento giuridico dell'Impero italiano da parte del governo britannico. Sono certo di non errare nell'affermare che tale atto determinerebbe una distensione automatica della situazione».

Chamberlain: «Accetto quanto voi mi dite. Ma voi conoscete la difficoltà di ordine internazionale e di ordine interno che si frappongono a questo riconoscimento formale al quale, ripeto, il governo britannico, come lo stesso Eden vi ha più volte dichiarato, non è affatto contrario e che non ha mai considerato di importanza così determinante come il governo fascista lo considera. Come può il governo britannico procedere al riconoscimento giuridico dell'Impero prima che non sia risolta a Ginevra la questione dell'appartenenza formale dell'Etiopia alla S.d.N.?».

Grandi: «L'assemblea di Ginevra si riunirà esattamente fra un mese. L'Inghilterra, che nel settembre 1935 è riuscita a trascinare dietro di sé cinquantadue nazioni nell'applicazione delle sanzioni contro l'Italia, può, se vuole e con non troppa fatica, provocare una decisione che le consenta di riacquistare la propria libertà d'azione, nel senso di procedere come vuole, e con atto unilaterale, al riconoscimento giuridico dell'Impero italiano. Ma anche ammesso che vi fossero delle difficoltà da parte di alcune altre Potenze, quali ad esempio Francia e Russia, forse che la Gran Bretagna avrebbe meno coraggio di fare quello che ha già fatto la Polonia, la quale non ha certo la posizione di prestigio, e quindi di indipendenza internazionale dell'Impero britannico? Ma poi, ho aggiunto, non ha già l'Inghilterra senza consultare la S.d.N., unilateralmente riconosciuto di fatto l'Impero, abolendo la rappresentanza diplomatica di Addis Abeba e cioè procedendo ad un riconoscimento di fatto che, a rigore, va contro tutta la politica ginevrina nei confronti della questione abissina?».

Chamberlain: «Non nego che vi è del vero nelle vostre argomentazioni ma, pure ammesso per un momento che fosse possibile trovare una via d'uscita alle difficoltà internazionali, rimangono le difficoltà di ordine interno che non vanno sottovalutate. Dovete ammettere che non è una cosa facile per me e per il Gabinetto presentarsi ai Comuni e dichiarare che noi abbiamo deciso di riconoscere in diritto la conquista italiana dell'Etiopia. Voi vi rendete conto della tempesta che ciò susciterebbe alla Camera dei Comuni».

Grandi: «Lo ammetto. Per Baldwin sarebbe stato indubbiamente una grave difficoltà, ma per voi che nel giugno dell'anno scorso avete preso coraggiosamente posizione da solo col discorso in cui avete chiamato "affetti da pazzia canicolare" coloro che insistevano per il mantenimento delle sanzioni 7 , non esitando ad andare contro quelle che erano le prevalenti tendenze del Gabinetto, non può costituire una insormontabile difficoltà. Abolire le sanzioni all'indomani del 9 maggio, ossia della fondazione dell'Impero, richiedeva più coraggio per un governo britannico di quello che non occorra oggi per un atto di conclusiva liquidazione formale mediante la quale il governo britannico verrebbe a suggellare, formalmente, quello che è stato già di fatto e nella sostanza, riconosciuto fin dal dicembre dell'anno scorso».

Chamberlain: «Non contesto quanto voi mi dite, ma io devo dare qualche cosa in cambio all'opinione pubblica britannica e, particolarmente, ai Comuni. Perché il governo britannico possa giustificare la decisione di riconoscere formalmente l'Impero italiano, il governo britannico deve poter presentare questa decisione come un elemento di un più generale programma di riconciliazione definitiva e permanente fra Italia e Inghilterra».

Grandi: «Questo non contrasta affatto con quelle che sono le idee del Duce. Anzi, sono queste le idee del Duce, cioè un chiarimento totalitario. Adesso sono io che domando a voi, Chamberlain, quali sono, da parte del governo britannico, gli ostacoli che si frappongono a questo programma di riconciliazione generale?».

Chamberlain: «Radio di Bari. Polemica fra la stampa italiana e quella britannica. Invio di due nuove divisioni in Libia».

Grandi: «La questione della Radio Bari è ormai esaurita. Il Duce è intervenuto personalmente aggiungendo che egli stesso provvederà a controllare le radio diffusioni8 . I laburisti ai Comuni hanno tentato di mettere in dubbio le parole del Duce. Lo stesso Eden li ha pubblicamente smentiti, dichiarando che il governo

quale l'allora Cancelliere dello Scacchiere aveva preso netta posizione contro il mantenimento delle sanzioni nei riguardi dell'Italia. 127 8 Vedi D. 41.

britannico, dopo la comunicazione fatta dal Duce, ha potuto constatare che la propaganda anti-britannica è interamente cessata. Per quanto riguarda la polemica fra le due stampe occorre constatare con soddisfazione che da una parte e dall'altra si sono fatti degli sforzi considerevoli per un miglioramento. Senza esagerare, occorre riconoscere che da un mese a questa parte, dovrei dire dal giorno in cui voi, Chamberlain, avete preso la direzione del governo britannico, si è gradatamente verificata una sempre maggior distensione nei rapporti fra l'opinione pubblica italiana e l'opinione pubblica britannica. La stampa italiana del resto non ha mai preso l'iniziativa di attacchi ma ha sempre reagito, colla necessaria durezza, agli attacchi britannici. La stampa britannica per due mesi consecutivi ha insultato il popolo italiano in quello che qualsiasi popolo, e particolarmente quello italiano, ha di più sacro: le sue virtù militari e l'onore degli italiani come soldati. Il Duce e il conte Ciano sanno che il miglioramento nell'attitudine della stampa britannica verso l'Italia è stato dovuto all'intervento personale e deciso del Primo Ministro britannico. La stampa italiana ha risposto subito diminuendo il tono polemico che in questi ultimi giorni, dopo le dichiarazioni di Eden e Duff-Cooper9 ai Comuni, si può dire cessato del tutto. D'altra parte bisogna sempre ricordarsi che anche la stampa italiana non è controllata».

Cham/;Jerlain: «Vi posso assicurare che molti degli articoli deplorevoli sull'Italia scritti da giornali secondari non erano stati neppure letti da alcuno dei membri del Gabinetto britannico».

Grandi: «Anche io potrei dire la stessa cosa quando vedo riprodotti a titoli di scatola nei grandi giornali d'informazione britannici gli articoli del Tevere o di Regime Fascista».

Chamberlain: «Dovrete ammettere che i grandi giornali d'informazione hanno dato grande rilievo anche agli articoli del Popolo d'Italia che sono attribuiti al Duce personalmente. Io riconosco per primo, a parte i giudizi non sempre gradevoli per il mio Paese, che il valore realistico e pedagogico di tali articoli è veramente grande».

Grandi: «Uno di questi quattro articoli, il secondo10 , è quasi interamente dedicato, con riferimenti assai cordiali e simpatici, a voi personalmente e al vostro primo discorso ai Comuni. Voi lo avete letto, ma io mi permetterò d'inviarvi stasera stessa una copia del giornale con la traduzione letterale. Talvolta le traduzioni dei giornali non sono complete.

Occorre mantenere e curare per quanto possibile, da ambo le parti, l'attuale atmosfera di rinnovata, se pure prudente, fiducia tra i nostri due Paesi, evitando ricadute improvvise che comprometterebbero i risultati dei nostri sforzi, e che gli avversari in Inghilterra e fuori d'Inghilterra, di un riavvicinamento italo-britannico, non mancheranno certamente di fare il loro possibile per provocare.

Veniamo adesso al terzo punto: La nuova sistemazione difensiva della Libia. Questo è un punto effettivamente importante. Prima dell'agosto 1935, ossia prima che il governo britannico effettuasse la concentrazione dell'intera flotta britannica nel Mediterraneo con gli obiettivi evidenti di impedire all'Italia di condurre a fondo la sua impresa di Africa, l'Italia aveva in Libia una organizzazione difensiva adeguata alle circostanze. È l'attitudine non certamente amica dell'Inghilterra che ha costretto il governo fascista a provvedere urgentemente a questa nuova necessità. Durante la guerra africana, il settore libico ha costituito una delle parti fondamentali della nostra difesa mediterranea. Abolite le sanzioni e denunziati gli Accordi mediterranei, il Duce ha ritirato dalla Libia una parte delle truppe che aveva inviato nell'agosto 1935, in seguito alla concentrazione della flotta britannica nel Mediterraneo. Poi è venuto il famoso viaggio, in circostanze non assolutamente normali, del Primo Lord dell'Ammiragliato nel Mediterraneo 11 , le sue successive pubbliche dichiarazioni sui nuovi armamenti mediterranei dell'Inghilterra e gli stanziamenti colossali a questo scopo. La Gran Bretagna spende attualmente milioni di sterline per i suoi armamenti nel Mediterraneo. Contro chi sono questi armamenti? Non contro la Francia, perché alleata con l'Inghilterra. Contro la Russia? No, per ovvie ragioni geografiche, e tanto meno contro la Spagna, la Jugoslavia, la Grecia, la Turchia, ecc. È lapalissiano che gli armamenti dell'Inghilterra nel Mediterraneo non possono essere diretti che contro l'Italia. Era in queste condizioni possibile che il Duce non prendesse immediatamente i provvedimenti necessari per mettere la quarta sponda italiana nel Mediterraneo in stato di elementare difesa?».

Chamberlain: «Voi mi dichiarate allora ufficialmente a nome del Duce che il recente invio di nuove truppe in Libia non ha carattere aggressivo ma che esso fa parte esclusivamente del sistema difensivo mediterraneo dell'Italia e che esso è stato determinato da quello che il governo italiano definisce i nuovi e ingiustificabili armamenti dell'Inghilterra nel suo settore mediterraneo?».

Grandi: «Esattamente. Lo confermo». Chamberlain: «Vi ringrazio e vi parlerò franco. È giunta effettivamente l'ora di rompere questo circolo vizioso che accumula pericolosi equivoci ed è senza via di uscita. L'Italia ha inviato nell'agosto del 1935 due divisioni in Libia allo scopo di difendersi contro un possibile attacco da parte inglese. Noi abbiamo immediatamente a nostra volta iniziato le opere di fortificazioni necessarie e per adeguare la nostra attrezzatura difensiva nel Mediterraneo per difenderci da quelle che a un certo momento abbiamo sospettato fossero le intenzioni aggressive dell'Italia contro di noi. I nuovi armamenti mediterranei dell'Inghilterra hanno creato a loro volta sospetti in Italia ed hanno determinato il governo fascista a rinforzare a sua volta il suo sistema difensivo in Libia. Questo rinforzo del sistema difensivo in Libia porta noi, a nostra volta, a considerare la necessità di rinforzare il nostro sistema difensivo nel Mediterraneo. Questo è un circolo vizioso dal quale bisogna evidentemente uscire perché questo stato d'animo di reciproco sospetto è all'origine di tutti i mali presenti e futuri. Per più di mezzo secolo e cioè dalla fondazione del Regno d'Italia sino alla guerra abissina e per effetto del turbamento sempre

crescente in questi due anni nei rapporti itala-britannici, l'Inghilterra si è trovata nella necessità di dover riflettere, per la prima·volta, se l'Italia non doveva essa pure essere considerata come un "nemico possibile". Intendo dire come un Paese che in determinate circostanze e condizioni internazionali, poteva essere portato a trovarsi in guerra con l'Inghilterra. Ora questo malefico incanto che, per tante ragioni sulle quali è inutile ritornare, ha preso i nostri due Paesi, deve essere rotto».

Grandi: «È quello che il Duce esattamente pensa. Ma soltanto un uomo che possieda il coraggio e il prestigio che voi, Chamberlain, avete dimostrato di possedere, può fare questo. Vi è, se voi mi consentite questo richiamo alla storia della vostra famiglia, un retaggio glorioso di vostro padre, Joseph Chamberlain, e di vostro fratello, Austen Chamberlain, da riprendere per quanto riguarda la politica e la missione comune dell'Inghilterra e dell'Italia. Voi certamente ricordate che più di 30 anni fa, nel 1900 se non erro, i rapporti tra Italia e Inghilterra furono improvvisamente turbati. Le decisioni del Gabinetto britannico del tempo, prese su proposta di vostro padre, Joseph Chamberlain, ministro delle Colonie, dirette a una rapida snazionalizzazione dell'italianità di Malta sotto il pretesto della sicurezza navale mediterranea dell'Inghilterra, provocarono una reazione profonda in tutto il popolo italiano. Il ministro Chamberlain decise di recarsi personalmente a Malta, deciso di portare a rapido compimento le sue proposte già approvate dal governo e dal Parlamento britannico. Di ritorno da Malta, egli volle passare tuttavia per l'Italia onde rendersi conto sul posto di quelli che erano i veri motivi della reazione italiana. In Italia egli si rese subito conto, da intelletto pratico e onesto quale egli era, che l'Italia aveva ragione e che (sono presso a poco le sue stesse parole): "i vantaggi di una snazionalizzazione violenta dell'italianità maltese non valevano per l'Inghilterra i vantaggi di gran lunga superiori di una leale amicizia con l'Italia". Di ritorno da Roma, egli stesso, autore delle proposte, ritirò queste ultime e ne spiegò le ragioni. L'effetto in Italia fu naturalmente quello che doveva essere: rinsaldamento dei legami di amicizia fra Italia e Inghilterra, che durarono ininterrottamente fino allo scoppio della guerra europea. Dopo la guerra europea un altro Chamberlain, vostro fratello Austen, ministro degli Esteri, ha di nuovo portato la politica inglese sull'asse Roma-Londra iniziando col Duce quella politica di leale personale collaborazione durata ininterrotta per un decennio, 1925-1935 e che è stata come tutti gli uomini di Stato britannici hanno concordemente riconosciuto, la chiave di volta della pace europea. Tocca a voi adesso di continuare l'opera di vostro padre e di vostro fratello. Posso assicurarvi che il Duce, come dimostra l'articolo da lui scritto personalmente sul Popolo d"Jtalia, ha fiducia in voi e sono certo d'interpretare i suoi sentimenti dicendovi che egli sarebbe lieto di riprendere con voi quei contatti di personale amicizia che egli aveva per il vostro defunto fratello e che erano basati su una reciproca leale fiducia. Sono certo che un'intesa personale diretta fra il Duce e voi, ossia il capo del governo italiano e il Primo ministro britannico, costituirebbe una delle garanzie più solide non solo per lo stabilimento di rapporti di solida amicizia fra i nostri due Paesi, ma anche una garanzia per la pace dell'Europa e del mondo».

Ho potuto rendermi immediatamente conto dell'effetto che sull'animo di Chamberlain, che sapevo sensibilissimo alla memoria di suo padre e di suo fratello, e non meno sensibile alla possibilità di stabilire personalmente col Duce rapporti di diretta collaborazione, hanno avuto queste parole. Chamberlain è rimasto qualche minuto silenzioso e poi ha detto:

«Vi ringrazio per quello che avete detto di mio padre e di mio fratello. Effettivamente io spero, se la Provvidenza mi aiuta, di poter fare qualche cosa di utile per il mio Paese sulle orme profonde che essi hanno lasciato nella storia e nella vita britannica. So quanto mio fratello Austen amasse e stimasse il Duce e in quale conto egli tenesse la sua personale amicizia. vi prego di dirgli che io intendo continuare l'opera iniziata da mio fratello».

Grandi: «Dirò questo al Duce, riproducendo il nostro colloquio nella maniera più fedele possibile. Io spero di vedere il Duce fra pochi giorni».

Chamberlain: «Voi pensate che un mio messaggio autografo gli sarebbe gradito?».

Grandi: «Certamente».

Chamberlain ha preso la penna e ha scritto subito in mia presenza la lettera che accludo 12 .

Grandi: «Mi auguro sinceramente che questo sia effettivamente il punto di partenza per un rapido e definitivo chiarimento dei rapporti fra i nostri due Paesi».

Chamberlain: «Come voi vedete, la mia lettera finisce proponendo l'inizio di conversazioni concrete per raggiungere al più presto quello che tanto il Duce quanto io sinceramente desideriamo».

Ecco la fotografia del mio colloquio, il quale, come è naturale, non ha mancato di essere subito conosciuto e ha suscitato, tanto ai Comuni quanto negli ambienti diplomatici e politici di Londra, molti commenti.

Chamberlain ed io ci siamo lasciati molto cordialmente. Per un momento mi sono domandato se non era il caso di raccogliere senz'altro la proposta di Chamberlain per un concreto inizio di conversazioni tra Roma e Londra. Poi, ho creduto opportuno non aggiungere nulla, in attesa delle decisioni e degli ordini del Duce. Mi sia permesso di prospettare l'opportunità che il Duce risponda a Chamberlain con una sua lettera autografa e sullo stesso tono amichevole. Ricordando l'effetto che le lettere personali autografe del Duce avevano su Austen Chamberlain, sono certo che nulla meglio e più di ciò varrà a consolidare l'attuale stato d'animo di Chamberlain, e quelli che appaiono essere i suoi sentimenti e le sue intenzioni.

126 4 Non pubblicati.

127 1 Questo telegramma fu inviato a Roma allegato alla lettera del 28 luglio di Grandi a Ciano. qui pubblicata come D. 136.

127 2 Vedi D. 110.

127 3 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 751. 127 4 Vedi ihid., D. 770.

127 5 Vedi D. 110, nota 3.

127 7 Riferimento al discorso pronunciato da Chamberlain al Club dei 900 il IO giugno 1936 con il

127 9 Il 24 luglio, Duff Cooper aveva dichiarato in un pubblico discorso che era <<giunto il tempo di considerare il passato come passato e di cercare il ripristino con l'Italia di quelle buone relazioni che per tanto tempo erano esistite tra i due Paesi». 127 10 Si riferisce all'articolo Il grido e la valanga pubblicato su Il Popolo d'Italia del 26 giugno (in MussoLINI, Opera omnia. vol. XVIII, pp. 212-214).

127 l l L'allora Primo Lord dell'Ammiragliato Sir Samuel Hoare aveva effettuato dal 26 agosto al 22 settembre 1936 un viaggio di ispezione nelle basi britanniche del Mediterraneo. Per le reazioni di Mussolini si veda serie ottava, vol. V, D. 17.

128

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

TELESPR. RISERVATO 225649/302. Roma, 27 luglio 1937.

Telespresso di codesta R. ambasciata n. 2915/1224 del 14 corrente1 .

Ho esaminato il resoconto della conversazione di carattere generale e preliminare che su istruzioni di V.E., il commendatore Crolla ha avuto col signor Rende! e le dichiarazioni fatte da quest'ultimo nel corso di detta conversazione. Tali dichiarazioni confermano l'opportunità delle istruzioni contenute nel telespresso di questo R. ministero n. 224125 in data 15 luglio u.s. 2 , relativo all'oggetto indicato.

Dalle osservazioni fatte dal signor Rende! pare che si delinei il principale argomento di cui il Foreign Office potrebbe valersi per sostenere la legittimità della recente attività britannica in Hadramaut, e cioè l'Accordo anglo-turco del 19143 .

Codesta R. ambasciata vorrà tenere presente al riguardo, come ha già rilevato il commendatore Crolla al suo interlocutore, che detto accordo non sembra invocabile nella presente circostanza: esso non ci fu infatti comunicato non solo al momento della sua firma, ma neanche al momento delle conversazioni di Roma del 19274 , le quali avevano pure per oggetto, oltre al Mar Rosso, anche !'«Arabia meridionale» per la quale fu convenuto nelle predette conversazioni il mantenimento dello statu quo allora esistente.

Quand'anche si volesse poi entrare nel merito del predetto Trattato anglo-turco del 1914, è da considerarsi che il trattato stesso, mentre da un Iato determina dettagliatamente i confini dei così detti «nuovi cantoni di Aden», quali risultano dai precedenti Accordi anglo-turchi del 1903, 1904, 1905, dall'altro si limita a dichiarare che da Lekemt-ul-Choub al Golfo di Oudjeir, attraverso il deserto, i confini dell'Impero ottomano sono quelli determinati da due linee geograficamente tracciate sulla carta.

Nulla è detto invece nel trattato da cui debba dedursi che i territori situati a sud-est di tale confine, compresi fra il mare, le frontiere del Sultanato di Mascate, e le frontiere di «nove cantoni» siano da considerarsi inclusi nel possedimento di Aden o comunque dipendenti dalla Gran Bretagna. In detti territori sui quali la Turchia non ha mai esercitato diritti sovrani, sono sempre esistiti sultanati e popolazioni indipendenti che col decreto del 18 marzo, allargando arbitrariamente i confini dei nove cantoni di Aden, la Gran Bretagna verrebbe a comprendere nel proprio dominio coloniale.

È vero che Rende! ha accennato a titoli di protettorato e che effettivamente esistono degli accordi fra taluni Sultani dell'Hadramaut e l'Inghilterra. Però noi non ne abbiamo mai avuto comunicazione. Tanto meno Ii abbiamo riconosciuti. Né essi sono stati menzionati nelle conversazioni del 1927.

Solo alcuni trattati relativi a Sultanati arabi del Golfo Persico ci furono comunicati (v. telespresso di questo R. ministero n. 219780 del 25 giugno 1932) ma come noto nel segnare ricevuta di tale comunicazione all'ambasciata britannica di Roma, fu da parte nostra esplicitamente dichiarato che essendo stati i predetti accordi stipulati al di fuori del R. governo, essi venivano dal R. governo considerati quale «res inter alios acta» 5•

128 l Vedi D. 70. 128 4 Vedi D. 23, nota 5. 128 5 Per il seguito della questione si veda D. 527.

127 12 Vedi D. 136, allegato. 128 l Vedi D. 70.

128 2 Vedi D. 74.

129

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5228/284 R. Tokio, 28 luglio 1937, ore 3,10 (per. ore 10).

Telegramma del R. ambasciatore in Cina del 27 corrente 1 . Quando inviai telegramma n. 246 2 , e cioè 13 corrente, autorità militari giapponesi avevano fatto capire non sarebbe stato da loro male visto se Italia e Germania avessero tentato qualche amichevole intervento in Cina per un pacifico componimento. Senonché tale intervento non avrebbe dovuto comprendere anche altre Potenze, come invece vorrebbe Chiang Kai-shek. Per di più sono ormai passate due settimane ed eventi accaduti fanno escludere che, almeno per ora, disposizioni giapponesi siano rimaste immutate, mentre si ha impressione che anche quest'ambasciata di Germania sia adesso meno proclive ad intervenire.

Come ho più volte riferito, scopo dei giapponesi è stato fino dal principio serbare e rafforzare propri privilegi nella Cina settentrionale. Ma mentre all'inizio speravano ottenere ciò senza ricorrere alle armi, sviluppo degli avvenimenti ha persuaso non esservi per ora altro mezzo. Ciò è confermato dalla intensa ripresa di trasporti di truppe iniziati ieri.

Prego comunicare quanto precede al ministero della Guerra.

Comunicato Roma e Shanghai.

130

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 5261/232 R. Nanchino, 28 luglio 1937, ore 16 (per. ore 7,45 del29).

Telegramma di V.E. n. 1361•

Missione militare germanica non (ripeto non) parteciperà operazioni fronte in caso conflitto armato, ma suoi componenti saranno autorizzati rimanere loro uffici dove svolgono in prevalenza funzioni di ufficiali di Stato Maggiore.

Questo ambasciatore di Germania ha dato assicurazioni in tal senso al Generalissimo pregandolo evitare che ufficiali germanici fossero inviati al fronte.

Secondo mio collega tedesco, governo giapponese non avrebbe fatto alcun passo Berlino in relazione missione militare in generale composta come è noto interamente ufficiali di riserva.

129 l Vedi D. 124. 129 1 Vedi D. 59. 130 1 Vedi D. 99.

131

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5265/0243 R. Parigi, 28 luglio 1937 (per. il 29).

La politica che, secondo notizie pervenute alla R. ambasciata in Salamanca 1 , il Grande Oriente di Rue Cadet a Parigi auspicherebbe venisse fatta dal governo francese nei riguardi della Catalogna, politica che consisterebbe nel salvare «la Repubblica catalana», sembrerebbe essere in contrasto con la linea di condotta tradizionale del Quai d'Orsay nei riguardi della Catalogna. Come ebbi a riferire più volte aii'E.V., i vari ministri degli Affari Esteri succedutisi al Quai d'Orsay ed il signor Léger mi hanno costantemente dichiarato che il governo francese è sempre stato ed è tuttora contrario all'indipendenza della Catalogna. Questa avrebbe infatti la conseguenza fatale di creare un irredentismo nella regione francese adiacente abitata da popolazioni di razza e lingua catalane e deve pertanto essere avversata con energia dalla Francia. Non intendo dire con ciò che metto in dubbio la notizia di cui si tratta ma solamente che il voto del Grande Oriente non ha probabilità, a mio giudizio, di modificare l'atteggiamento sin qui seguito dal Quai d'Orsay 2•

132

IL PROFESSOR ENDERLE AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 28 luglio 1937.

Ho comunicato al signor Mousa Alami, nei modi e termini disposti da V.E., che l'Italia non può corrispondere al Mufti di Gerusalemme gli ulteriori aiuti finanziari richiesti.

Il signor Alami è rimasto profondamente scoraggiato.

Dopo altre vive insistenze, che io ho lasciato senz'altro cadere, egli mi ha detto che è vivo desiderio del Mufti, che è profondamente grato all'Italia degli aiuti finora concessi alla causa araba in Palestina, continuare a mantenere con noi rapporti di grande amicizia. A tal fine egli vorrebbe stabilire prima di ritornare in Palestina un piano che regoli i nostri rapporti in avvenire, specialmente sotto il punto di vista della propaganda, senza prevedere spese notevoli.

Mi è parso opportuno rispondere al signor Alami che di tale piano si potrà parlare allorché egli verrà a Roma nel prossimo settembre 1 .

131 1 L'ambasciata a Salamanca aveva comunicato con telespresso 2003/852 del 6 luglio che, secondo notizie giunte al Comando Truppe Volontarie, il Grande Oriente aveva deciso di fare ogni sforzo perché fosse riconosciuta una repubblica catalana indipendente e neutrale e perché dalla frontiera franco-catalana fossero allontanati gli osservatori del Comitato di non intervento.

131 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

133

IL PROFESSOR ENDERLE AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 28 luglio 1937.

Ho fatto presente al signor Mousa Alami che, tenuto conto della situazione politica generale, l'E.V. riteneva che il momento più propizio per riprendere la rivolta in Palestina sarebbe stato forse quello attuale.

Ho subito aggiunto che si trattava naturalmente di una segnalazione che veniva fatta al Mufti a titolo amichevole, dato che un movimento iniziato adesso (mentre l'Inghilterra ha gravi preoccupazioni per la situazione in Spagna e per quella in Estremo Oriente) nella sola Palestina, dove, come egli mi aveva detto a Vienna, tutto era già predisposto, sarebbe stato quasi certamente più efficace di un movimento più vasto, esteso anche in Transgiordania, da attuarsi in prosieguo di tempo e per il quale noi non potevamo fornire ulteriori aiuti finanziari.

Il signor Alami mi ha detto allora che anche la ripresa immediata dell'insurrezione in Palestina, senza la concessione di altri fondi, sia pure limitati, sarebbe piuttosto problematica.

Poiché mi è parso che la risposta dell'Alami celava una manovra, dovuta al fatto che egli ha probabilmente creduto che a noi interessasse ora provocare la ribellione in Palestina, tanto che ciò avrebbe potuto indurci a qualche sacrificio (manovra, che non può meravigliare ove si tenga conto della mentalità propria degli orientali) gli ho detto che il nostro non era che un consiglio e che, dato quanto mi faceva presente, sarebbe stato senza dubbio opportuno attendere gli sviluppi che la questione palestinese avrebbe successivamente presi, specialmente a Ginevra, prima di rischiare un colpo di testa.

134

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 3645/1209. Berlino, 28 luglio 1937 {per. il 30).

Le recenti comunicazioni dell'E.V. in materia, nonché gli accenni in esse contenuti alla possibilità di una utile presa di contatto fra le due parti, mi inducono a

prospettare qui. appresso all'E. V. la situazione dei rapporti fra la Santa Sede ed il governo del Reich quale può essere -attualmente -veduta da Berlino.

Come V.E. ricorderà, ad un certo momento esisteva indubbiamente in questi circoli e specialmente nel Fiihrer una disposizione alla intesa e al compromesso. Mi riferisco alle comunicazioni Manacorda del marzo di quest'anno 1 . Dopo non molto tempo, peraltro, sopraggiungeva l'Enciclica di Sua santità2 . V.E. conosce le violente reazioni che quell'Enciclica suscitò in questi ambienti.

Quando, tuttavia, si incominciava a sperare nella possibilità di un nuovo ritorno alla calma, sopraggiungevano le dichiarazioni del cardinale Mundelein 3 in America, il quale non si peritò di attaccare la stessa persona del Fiihrer. Richiesto di una soddisfazione in proposito, il Vaticano non si trovò nella possibilità di poterla dare. Che anzi, ancora recentemente, il Pontefice, in una allocuzione ai pellegrini di Chicago, lodava il «coraggio del magnifico Arcivescovo»4 .

A ciò si aggiungeva ancora l'allocuzione del cardinale Pacelli a Lisieux5 . In essa, l'eminentissimo Segretario di Stato credeva di poter muovere critiche al nazismo ed ai suoi sistemi, senza forse rendersi conto che simili critiche, a parte il loro valore di merito, acquistavano uno speciale significato dal fatto che venivano emesse non dalla Sede vaticana, ma bensì da un «terzo» Paese, non solo estraneo -questo -alla contesa, ma anche notoriamente in non buoni rapporti politici con il Reich.

Tutto questo, qualunque ne siano le giustificazioni --mi guardo bene dal contestare che ve ne siano -non mi sembra tuttavia -in linea di mero fatto -dimostrare un desiderio di détente. E tutto ciò ancora senza tener conto di atteggiamenti quali quelli risultanti per esempio dal colloquio Pacelli-Magaz di cui al telegramma di V.E. del 10 giugno6 , secondo il quale la Santa Sede dichiarava non poter riconoscere la Spagna Nazionalista unicamente «per non partecipare ad un blocco nel quale trovasi la Germania».

Se questa -ripeto -è la situazione di fatto, io non saprei veramente concluderne che il momento possa esser favorevole per una qualunque presa di contatto. L'allocuzione del cardinale Pacelli a Lisieux costituiva un chiaro accenno alle possibilità della Santa Sede di mobilitare contro la Germania (distinguere -come ancora vuoi fare il Vaticano -fra nazismo e Germania è assurdo) le forze del cattolicesimo internazionale. Orbene, chi conosce questo Paese -e il cardinale Pacelli lo conosce benissimo -e ricorda quello di cui è stato capace quando durante la grande guerra esso si è trovato contro quasi tutto il mondo, si renderà conto che, !ungi dal servire di ammonimento, atteggiamenti simili servono soltanto ad aumentare, ed insieme esasperare, il potenziale di resistenza della Germania nazista. Si aggiunga ancora che se-come risulta dal telespresso di V.E. 224837/c. del 21 corrente7 -nelle alte gerarchie Vaticane non si avesse effettivamente fidu

134 2 Vedi D. 47, nota 2. 134 3 Vedi D. 95, nota l. 134 4 Vedi D. 95. 134 s Vedi D. 65. 134 6 T. per corriere 8680 P.R. del l O giugno. Ritrasmetteva il D. 708 del vol. VI di questa serie. 134 7 Non rintracciato. Ritrasmetteva, forse, il D. 64.

eia alcuna nella parola di Hitler, sarebbe a mio parere assolutamente vano anche soltanto pensare alla possibilità di un qualunque utile riavvicinamento.

Secondo la comunicazione del R. ambasciatore presso la Santa Sede in data 20 corrente (telegramma di V.E. del 23) 8 risulterebbe bensì che il cardinale Segretario di Stato avrebbe dichiarato più volte al signor von Bergen di essere disposto a «conversare». Debbo peraltro dire che, da quanto mi risulta-ed io ne ho parlato anche recentemente col direttore degli Affari Politici signor von Weizsiicker -sia che il cardinale Pacelli non si sia espresso col signor von Bergen chiaramente, sia che il von Bergen non abbia riferito con esattezza, qui non si ha notizia alcuna di una simile disposizione da parte vaticana. In proposito devo avvertire, a titolo confidenzialissimo, che il von Bergen non gode all'Auswiirtiges Amt di grandi simpatie e che quindi egli non costituirebbe il tramite migliore per far apprezzare nella dovuta misura al governo tedesco una eventuale disposizione positiva della Santa Sede. La stessa consuetudine diplomatica consiglierebbe, del resto, che una comunicazione del genere fosse· fatta al governo del Reich non tanto a mezzo di von Bergen, quanto a mezzo del nunzio apostolico a Berlino.

Prima, quindi, di azzardare dei tentativi di approccio io mi permetterei rispettosamente ma fondatamente -di suggerire che le dichiarazioni che il cardinale Segretario di Stato sembra aver fatto al signor von Bergen, siano ripetute magari in maniera soltanto incidentale e non solenne -a mezzo di monsignore Orsenigo. Dall'accoglienza di una simile comunicazione si potrebbe giudicare dell'opportunità, o meno, di andare più oltre.

132 l Il documento ha il visto di Mussolini.

134 l Vedi D. 47, nota 3.

135

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1957/690. Istanbul, 28 luglio 1937 (per. il 3 agosto).

Miei telegrammi n. 168 1 e n. 169 2 del 23 luglio u.s. Aras è tornato da Mosca con Sukrii Kaya e i due parlamentari che lo accompagnavano, il 19 corrente. Ho potuto essere ricevuto il 22.

Già Numan, sottosegretario agli Affari Esteri e ministro ad interim durante la assenza di Aras mi aveva fatto notare la sostanziale differenza di tono e di sostanza fra i discorsi di Litvinov e di Aras il quale del resto non aveva fatto che parafrasare quanto detto da lsmet lnonii alla Assemblea Nazionale il 14 giugno come riferii a V.E. con telespresso n. 552 del 15 giugno3 . Non è forse inutile ripetere qui le parole del Presidente del Consiglio turco: «L'indipendenza della nostra politica,

135 1 Con T. 5150/168 R. del 23 luglio l'ambasciatore Galli aveva riferito le dichiarazioni fattegli da Riistii Aras, il quale, circa il riconoscimento della belligeranza al governo nazionale spagnolo, aveva manifestato l'intenzione di appoggiare la tesi britannica anziché quella dei sovietici. 135 2 Vedi D. 119, nota 3. 135 3 Non pubblicato.

la particolarità della nostra posizione diplomatica e geografica ci impongono e ci imporranno sempre alcune attività che ci sono proprie». E così concludevo quella mia comunicazione all'E. V. «... in ogni e qualunque caso vi è un fatto nuovo nei rapporti turco-sovietici. Se la decisione di non tollerare nessuna propaganda sovietica è ben nota, vi è da oggi un limite nella amicizia dei due Stati: gli interessi balcanici e mediterranei nei guaii la Turchia pretende agire all'infuori della tutela sovietica».

E sostanzialmente questo il risultato concreto della visita di Aras a Mosca, cioè essa se ha voluto provare al governo sovietico che la Turchia rimaneva totalmente fedele alla vecchia alleanza, ha voluto anche far sentire che in altri campi della sua attività non ammetteva una assoluta subordinazione della sua politica a quella sovietica in quei settori nei quali la Turchia stima avere propri e prevalenti interessi che la costringono ad armonizzare le sue direttive con le Potenze mediterranee. Perciò il risultato non poteva essere che scarsamente positivo, come le dichiarazioni di Aras mi hanno fatto chiaramente sentire (e lo ho subito telegrafato ali'E.V.) e la successiva comunicazione di Numan a proposito della sospensione della visita della flotta turca a Venezia hanno provato4 .

Le principali dichiarazioni di Aras sono le seguenti: a) la mia visita è stata soltanto una visita di carattere dimostrativo verso amici che si trovano in difficoltà; b) essa ha voluto provare anzitutto che la mia non è una politica personale, ma che io sono l'interprete e l'esecutore della volontà del governo turco ed in primo luogo delle direttive che sono fissate dal Presidente della Repubblica e dal Presidente del Consiglio. In questa dichiarazione di Aras sta la principale spiegazione dell'invio a Mosca di Siikrii Kaya (della quale informai I'E.V. già il 24 giugno) 5 con i due parlamentari. Si è voluto cioè provare a Mosca che la politica turco-sovietica diretta da Aras era di governo, non del ministro degli Esteri contro la cui persona si erano appuntati recentemente gli strali della stampa sovietica. Ogni altra interpretazione e specie quella data dal diplomatico balcanico al nostro ambasciatore a Mosca (telegramma per corriere di V.E. n. 1268/c. P.R. del 18 corrente) 6 sembra poco aderente al vero. Così pure sembrano piuttosto giornalistiche le informazioni di stipendi sovietici, etc. ad Aras, benché sia noto che Aras sia stato specialmente nel 1919-1920 in stretto contatto coi dirigenti della rivoluzione sovietica, considerato anzi per vario tempo uno dei capi di un sedi

cente partito sovietico turco. Aras stesso nel narrarmi questo inverno ad Ankara curiosi episodi di quel primo periodo della sua attività politica (anche un inizio di propaganda rivoluzionaria in !spagna) concludeva affermando che era per semplice comodità tattica allo scopo di garantirsi l'appoggio di Mosca che egli con tutti i suoi amici ora al governo con lui (Siikrii Kaya, Saracoglu, etc., i quali poi a loro volta mi hanno in momenti di espansiva confidenza detto analoghe cose) facevano credere alla possibilità della esistenza di un partito sovietico in Turchia.

c) La visita di Aras voleva (testuale) «provare a quelli che si visitavano che la Turchia restava fedele alle sue amicizie, ma voleva provare anche a quelli che stavano a vedere che anche le altre amicizie della Turchia erano solide». Ho dato spiegazioni su tutti i punti, ha concluso Aras ma (testuale) «non so se tutte le spiegazioni hanno persuaso».

d) non intendiamo, mi ha poi detto Aras, che gli interessi nostri nel settore mediterraneo siano influenzati da quelli che abbiamo nel Mar Nero. Per conseguenza la nostra amicizia con l'Italia non può subire arresti e diminuzioni, ma deve anzi procedere quanto più calorosa possibile, ed il conte Ciano dovrà trovarne la certa prova quando verrà ad Ankara.

Il complesso delle affermazioni di Aras non lascia luogo ad equivoci sul risultato della visita a Mosca, la quale ha lasciato i rapporti turco-sovietici chiariti si, ma non come voluto dal governo sovietico. Se vi sono stati prima della visita articoli della stampa turca (l'asse Mosca-Ankara, etc.), e dell' lzvestia intonati ad una completa e calorosa ripresa della amicizia fra i due Stati, non ne conosco alcuno dopo il ritorno di Aras.

Il comunicato ufficiale conclusivo della visita esigeva ne chiedessi chiarimento ad Aras il quale, come telegrafato all'E.V., mi ha affermato che esso non è che il risultato di un compromesso, che esso doveva essere esaminato ed interpretato soltanto alla stregua dei due discorsi pronunziati a Mosca da lui e da Litvinov il cui significato essenziale è stato prontamente segnalato all'E.Y. dal nostro ambasciatore a Mosca il 15 corrente7 .

Ma niun commento è più chiaro di quello che deriva dalla comunicazione fattami da Numan il 24 corrente circa la necessità di sospendere la visita della squadra turca a Venezia, per non rendere troppo significativo il fatto della sospensione di quella ad Odessa che non aveva per il momento clima ed ambiente adatto. Feci osservare a Numan che la amicizia sovietica era veramente soffocante se costringeva la Turchia a sospendere manifestazioni di simpatia verso l'Italia e lo ho pregato di fare il confronto con la nostra tanto più agile e comprensiva come ne avevamo dato palese prova durante il conflitto itala-abissino.

La sintesi della visita è quindi una riaffermata indipendenza della politica turca dalla esclusività sovietica. Essa trae origine in primo luogo dalla indipendenza effettiva acquistata dalla Turchia col riarmo degli Stretti. V.E. avrà notato che è proprio da quel momento che si delinea sempre più chiaramente questo nuovo aspetto della politica di Ankara.

169 Ho interrogato Aras sulla situazione interna. Mi ha risposto:

a) francamente «non è un regime di mio gusto»;

b) non solo Karakhan è in arresto ma anche molti altri miei amici. Ciò mi ha molto rattristato. È significativo che la ballerina Semenova moglie di Karakhan abbia divorziato. Non ho mancato di fare gli elogi di Karakhan e del modo col quale egli ha condotto la sua missione presso di noi;

c) è prematuro dare un qualsiasi giudizio diagnostico sulla situazione. Siamo in fase di transizione, non so bene se verso destra o verso sinistra. Comunque si tratta di sfumature, poiché è più che altro di persone che si tratta. Il significato preciso non lo si vedrà che fra vari mesi quando la evoluzione sarà compiuta. Ma da ora a quel momento si deve affermare che assistiamo ad un rafforzamento del binomio Stalin-Voroscilov;

d) non dobbiamo attenderci a reazioni. Queste in Russia vengono sempre tardi;

e) se la mia gita a Mosca ha valso a precisare le mie idee sulla situazione interna, dominata da Stalin-Voroscilov con la polizia e scelti nuclei di truppe, per un nostro giudizio sulla efficienza militare non abbiamo bisogno di muoverei da Ankara. Ogni esercito è composto per un terzo dal comando, per un terzo dall'armamento, per un terzo dalle truppe. Due terzi non sono modificati. Ma un terzo è totalmente cambiato. Il giudizio che può farsi sul valore del nuovo comando deve essere rinviato fino a quando esso avrà dato tangibili prove della sua capacità 8 .

134 8 T. per corriere 11167 P.R. del 23 luglio. Ritrasmetteva il D. 95.

135 4 Vedi D. 119.

135 5 Con telespresso 1144/576 del 24 giugno, l'ambasciatore Galli aveva comunicato che sarebbero arrivati contemporaneamente a Mosca Riistii Aras ed il ministro degli Interni turco, Siikrii Kaya, accompagnato da due deputati. Il fatto, osservava l'ambasciatore, che fossero presenti nello stesso tempo <<una delegazione del governo turco ed una del Parlamento» non poteva non accrescere l'importanza della visita di Riistii Aras ed il significato di un chiarimento nei rapporti tra U.R.S.S. e Turchia. Il documento ha il visto di Mussolini.

135 6 Ritrasmetteva un telespresso del 5 luglio da Mosca in cui l'ambasciatore Rosso riferiva che, secondo un diplomatico balcanico lì accreditato, l'irritazione dei sovietici nei riguardi di Riistti Aras derivava dal fatto che quando Riistii Aras era stato agente ufficioso del governo turco a Mosca, era stato stipendiato dai sovietici, i quali consideravano ora alcune manifestazioni della politica turca come prove di poca lealtà da parte di chi credevano ligio alla politica di Mosca.

135 7 Vedi D. 80, nota l.

136

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 3149. Londra, 28 luglio 1937 1•

Ti accludo il resoconto del mio colloquio con Chamberlain 2 , nonché quello di una precedente conversazione con Eden che lo ha preparato3 . Accludo la lettera autografa di Chamberlain per il Duce.

Spero di avere eseguito fedelmente le istruzioni della Tua lettera del 20 giugno4, la quale mi permetteva di scegliere-senza far nulla di precipitato o frettoloso -il momento e il modo più opportuno per eseguire tali direttive.

136 1 Questa lettera giunse a Roma il 29 luglio come risulta dal telegramma di Grandi 5243/653 R. del 28 luglio che ne preannunciava l'arrivo.

ALLEGATO

IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, CHAMBERLAIN, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

LETTERA PERSONALE. Londra, 27 luglio 1937.

I have been having a long talk this morning with Count Grandi who brought me the message you were good enough to send me. No doubt he will report to you what I have said to him but I should like to send you a personal note, and Count Grandi has encouraged me to write.

Although I have spent some of my happiest holidays in ltaly it si now some years since I visited your country and so to my great regret I have never had the opportunity of meeting Your Excellence. But I ha ve often heard my brother, Sir Austen, talk of you, and always with the highest regard. He used to say that you were "a good manto do business with".

Since I became Prime Minister I have been distressed to find that the relations between Italy and Great Britain are stili far from that old feeling of mutuai confidence and affection which lasted for so many years. In spite of the bitterness which arose out of the Abyssinian affair I believe it possible for those old feelings to be restored if we can only clear away some of the misunderstandings and unfounded suspicions which cloud our trust in one another.

I therefore welcome very heartily the message you have sent me and I wish to assure you that this Government is actuated only by the most friendly feelings towards Italy and will be ready at any time to enter upon conversations with a view to clarifying the whole situation and removing ali causes of suspicion or misunderstanding.

135 8 Il documento ha il visto di Mussolini.

136 2 Vedi D. 127.

136 3 Vedi D. 110.

136 4 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 770.

137

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 5268/285 R. Tokio, 29 luglio 1937, ore 7,30 (per. ore 15).

Questo addetto militare comunica quanto segue con preghiera informarne anche ministero della Guerra:

«N. 228. Ultimata fase caratterizzata da tentativo giapponese risoluzione pacifica incidenti Nord Cina, si è iniziata ieri fase decisiva con attacco contro 29a armata che giapponesi intendono distruggere. Compiuto ciò, salvo avvenimenti imprevedibili, i giapponesi si volgeranno contro forze del governo centrale.

Secondo informazioni confidenziali, giapponesi hanno finora evitato inviare Nord Cina altre divisioni organiche complete per non compromettere eventuale attuazione del piano di guerra preparato contro Russia; ma, per operare contro le forze del governo centrale, vi saranno forse costretti. Intanto, da tre giorni sono iniziati grandi trasporti truppe che, pare, sbarchino in parte a Tsintao.

Giapponesi non ritengono che Russia possa intervenire in pieno nel conflitto, ma sono convinti che essa aiuterà Cina con materiali di guerra, con personale e con propaganda.

Ministero della Guerra è informato dal suo addetto militare in Cina che sono sbarcati a Shanghai dieci piloti aviazione civile italiana per partecipare operazioni coi cinesi. Ho smentito che ciò, se vero, abbia potuto verificarsi con consenso governativo.

Ufficiale di collegamento del ministero della Guerra mi ha detto confidenzialmente che ormai Giappone è deciso andare fino in fondo e che si prevede interferenza Inghilterra. Se così sarà, essendo situazione simile, anzi identica, di quella verificatasi durante conflitto etiopico, si presenterà buona occasione per l'Italia di approfittarne per guadagnare il controllo del Mediterraneo, mentre Inghilterra è impegnata nell'Estremo Oriente. Mi è sembrato, anzi, che i giapponesi sperino in tale eventualità per vedere distratta da qui l'attenzione inglese e, fors'anche, le forze inglesi. Mi ha aggiunto che qui si ritiene che Inghilterra cercherà sistemare in fretta problema europeo per poter agire liberamente nell'Estremo Oriente.

Firmato Scalise».

V.E. vorrà considerare opportunità di eventuali comunicazioni a queste autorità militari relativamente all'asserito arrivo di piloti italiani in Cina1•

138

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 5251/292 R. Berlino, 29 luglio 1937, ore 13,45 (per. ore 15).

Da qualche domanda già rivoltami in proposito mi sembra comprendere che qui sarebbe molto apprezzata una qualche comunicazione nostra circa ultima conversazione Grandi-Chamberlain1 .

Questo ministro Affari Esteri è peraltro molto lieto di queste nuove prospettive di distensione anglo-italiana e chiare indicazioni in questo senso saranno contenute odierna Corrisponden:::a Politica Diplomatica 2 .

139

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 5267/656 R. Londra, 29 luglio 1937 ore 14,25 (per. ore 18,20).

Allo scopo evitare qualsiasi ombra sospetto o malinteso da parte nostra con amici tedeschi, particolarmente con Ribbentrop, col quale ho potuto stabilire una franca e finora utile collaborazione (ogni giorno Ribbentrop ed io ci vediamo per

Shanghai per partecipare operazioni militari». 138 1 Per la quale si veda il D. 127. 138 2 Per il seguito, si veda il D. 169.

scambiarci informazioni ed impressioni), ho creduto opportuno ieri mettere al corrente in maniera generica e sommaria Ribbentrop sul mio colloquio con Chamberlain 1 ond'egli fosse subito in grado inviare a Berlino informazioni dirette e sicure. Mi sono naturalmente tenuto molto sulle generali, senza entrare in nessuno dei punti particolari trattati con Chamberlain, eccetto quella parte mie dichiarazioni pregiudiziali fatte a lui sull'assoluta fedeltà dell'Italia all'asse Roma-Berlino.

Ho detto a Ribbentrop che impressioni da me tratte da quanto Chamberlain mi aveva detto è che a differenza di altri uomini politici inglesi, i quali considerano il riavvicinamento anglo-italiano in funzione anti-tedesca ovvero il riavvicinamento anglo-tedesco in funzione antitaliana, impressione da me avuta, era ed è che Chamberlain intenda fare una politica di riavvicinamento contemporaneo con l'Italia e con la Germania; ossia coll'asse Roma-Berlino. Ho soggiunto a Ribbentrop che dalla saldezza dell'asse Roma-Berlino dipenderà che Italia e Germania riescano a stabilire una intesa amichevole coll'Inghilterra: più Roma e Berlino mostreranno unità perfetta d'azione, più sarà facile per ambedue i nostri Paesi raggiungere obbiettivi che i nostri governi si propongono.

Ribbentrop mi ha ringraziato per la lealtà della mia comunicazione, dicendo che senza dubbio sarebbe stata assai apprezzata a Berlino 2 .

137 1 Ciano rispose con T. 1350/136 R. del 30 luglio: <<È escluso che piloti civili italiani siano sbarcati a

140

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5283/235 R. Shanghai, 29 luglio 1937, ore 16,15 (per. ore 5,30 de/30) 1•

Giunto ieri a Nanchino. Ho avuto stamane lungo colloquio con signora Chiang Kai-shek. L'ho trovata animata da sentimenti della più fiera resistenza e decisa lanciare Paese in una lotta a fondo se non sarà possibile trovare un accordo che salvi «onore» Cina.

Ho fatto appello calma e moderazione ed ho comunicato quanto prescrittomi dall'E.V.2 . Essa ha apprezzato comunicazione e ringrazia l'E.V.

Parte più importante e delicata colloquio è stata quella relativa nostre missioni. Il Generalissimo è impaziente ricevere risposta suo telegramma trasmesso al Duce a mezzo Scaroni 3 per poter decidere su quali forze può contare.

D'altra parte, Scaroni e ... 4 sono preoccupati che il solo timore o la possibilità di una risposta negativa possa compromettere sorte missione e risultati raggiunti, anche se non fosse dichiarata la guerra fra Cina e Giappone.

139 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 140 1 Questo telegramma, spedito da Nanchino, con n. di protocollo 226 dell'ambasciata, era giunto il 28 luglio del tutto indecifrabile ed era stato ripetuto su richiesta del ministero. 140 2 Vedi D. 94. 140 3 Vedi D. 111. 140 4 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili».

Ho cercato perciò calmare apprensioni signora spiegandole delicatezza loro richiesta nei riguardi internazionali e invitandola accontentarsi per il momento presenza missione, che avrebbe continuato suoi normali servizi in attesa avvenimenti. Altra soluzione implicherebbe serie difficoltà e presumerebbe rapporti politici quali oggi non esistono fra Italia e Cina.

Ho creduto opportuno approfittare occasione per esporre francamente, come fosse opinione mia, rammarico per attitudine poco favorevole dimostrata in varie occasioni dal governo cinese, in particolare nei rapporti fabbrica Nanchang; per la propaganda antifascista cinematografica a Shanghai, nonché per la nota verbale diretta da questo ministero Affari Esteri in occasione presentazione mie credenziali 5 .

Signora è rimasta vivamente colpita da questo ultimo fatto che disse ignorare come pure il Generalissimo: in termini aspri si è scagliata contro il ministero Affari Esteri «di cui anche essa in questi giorni ha avuto assai a dolersi».

Tutto ciò ha fatto riflettere signora che assicurò ne avrebbe riferito al Generalissimo, il quale mi informa ora che mi riceverà domani mattina. È chiaro che Generalissimo tiene moltissimo ad aver appoggio nostra missione aeronautica od almeno partecipazione alcuni suoi membri o nostri aviatori in forma privata. Inoltre esso ritiene erroneamente di poter contare su appoggio totale o parziale missione militare germanica.

Notte scorsa riprese ostilità e linea ferroviaria Tientsin-Pechino nuovamente interrotta6 .

139 l Vedi D. 127.

141

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO. ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. 1344/c. R. Roma, 29 luglio /937, ore 23.

Mio telegramma 1298 1•

Dica a Franco che il governo italiano ha risposto" accettando in linea di principio i singoli paragrafi del progetto britannico del 14 luglio. Al paragrafo 8 (iii) il governo italiano risponde come segue: « Jl governo fascista è d'accordo col governo britannico che la guerra in Spagna è da molti mesi di tali proporzioni e di tale natura da giustificare il riconoscimento dei diritti di belligeranza delle due parti in conflitto. Il governo fascista ritiene tuttavia che tale riconoscimento debba essere concesso subito. Poiché le proposte britanniche prevedono negoziati fra il Comita

!40 5 Quando ---il 28 aprile precedente-l'ambasciatore Cora aveva presentato le sue credenziali in nome di S.M. il Re Imperatore, gli era stata rimessa una nota in cui si dichiarava che l'accettazione di tali lettere credenziali non comportava alcun cambiamento nell'atteggiamento del governo cinese nei riguardi dell'Etiopia. !40 6 Il documento ha il visto di Mussolini. Per il seguito, si veda il D. !57.

!41 I Vedi D. !14.

!41 2 Vedi D. !50, nota l.

to e le due parti m Spagna, dalla cui cooperazione dipende in modo definitivo l'esecuzione del piano inglese, è chiaro che spetta comunque alle due parti in conflitto indicare su quali basi esse sono disposte a trattare il riconoscimento della belligeranza».

Mediante tale formula si conferma da parte nostra ancora una volta che i diritti di belligeranza debbono essere concessi subito e si dà a Franco la necessaria libertà di azione qualora non gli vengano fornite tutte quelle garanzie che egli riterrà indispensabili. Resta poi inteso che la nostra accettazione di qualsiasi punto del piano è subordinata alla condizione che venga raggiunto un accordo di massima su ciascun altro punto del piano stesso e tende così a trasferire sui russi (vedi da ultimo dichiarazioni Maiski al Comitato) la responsabilità di un eventuale fallimento del piano britannico. Aggiunga che la posizione adottata dal governo fascista è conforme a quella tedesca e portoghese e tiene pienamente conto delle esigenze poste innanzi dal governo nazionale spagnolo 3 .

142

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5288/063 R. Bled, 29 luglio 1937 (per. il 30).

Mio telegramma per corriere n. 062 1• Oggi hanno luogo i funerali del Patriarca Varna va per i quali il clero ha rifiutato il concorso dello Stato.

La situazione è tale che, né il Reggente, né i ministri -questi ultimi sotto il colpo della riprovazione e dell'«interdetto» del Santo Sinodo-vi parteciperanno di persona. Si faranno rappresentare come si faranno rappresentare le missioni diplomatiche. Durante i tre giorni durante i quali la salma è stata esposta nella cattedrale di Belgrado, vegliata dai vecchi «cetnici», la folla, specie delle campagne, ha sfilato ininterrottamente, ma ordinatamente, sotto l'occhio vigile della polizia, malgrado gli eccitamenti del clero, che ha cercato di fare del Patriarca Varnava una figura di martire dell'ortodossia serba, tanto che lo ha voluto sepolto al posto ove già furono custodite le ossa di Santa Sava.

In previsione dei funerali le misure d'ordine sono rigorosissime, con imponente spiegamento di forze, per poter far fronte all'eventualità di disordini che l'aria che spira potrebbe rendere possibili. L'occasione ha infatti risuscitato l'antico volto della vecchia Serbia dei «cetnici », dei contadini dalla mentalità

primitiva e violenta, del fanatismo nazionale ortodosso. È uno strano spettacolo che offre in questo momento Belgrado e un notevole regresso sul cammino dell'unità jugoslava, cui Croazia e Slovenia assistono con atteggiamento pacato ed ironico.

Ma anche chiusa, coi funerali del Patriarca, questa fase degli avvenimenti non è da ritenere facile che l'atmosfera si possa rasserenare rapidamente. Oltre alla grave questione delle elezioni del nuovo Patriarca, per la quale il Santo Sinodo intenderebbe contestare canonicamente la partecipazione dei ministri, troppi germi di odio sono stati seminati dal clero nelle campagne serbe, che pur costituivano Io sperato punto di appoggio del governo di Stojadinovié. Si fanno circolare fra i contadini le maggiori assurdità, adeguate alla mentalità di questi villaggi. Ne cito uno fra mille: che Varnava sia stato avvelenato col «veleno dei Borgia» recato da V.E. a Belgrado il 25 marzo scorso.

Con tutto ciò la posizione di Stojadinovié rimane difficile. Egli ha perduto, almeno per il momento, notevole parte della sua popolarità fra i serbi. Né, per riacquistarla, può. mettere alla porta Koroscez nel momento in cui tenta l'accordo coi croati senza perdere i punti di appoggio che può avere fra questi ed in Slovenia. Per ora, sembra avere la solidarietà completa del Principe Reggente, che non può non vedere senza apprensione i pericoli per la Jugoslavia di questa agitazione ultra serba. II Presidente ostenta, nelle circostanze una grande serenità di animo. Evidentemente egli conta sul tempo e sulla possibilità di approfittare dell'estate per riprendere in mano il clero ortodosso, con quei sistemi pratici od energici, coi quali è riuscito a mantenere relativamente unita la sua maggioranza alla votazione del Concordato alla Skupçina.

141 3 L'ambasciatore Viola rispondeva con T. 5320/572 R. del 31 luglio di avere fatto personalmente la comunicazione a Franco, che aveva dichiarato di essere «perfettamente d'accordo». Franco aveva aggiunto di considerare «di capitale importanza il poter staccare l'Inghilterra dalla Francia nella questione spagnola» ed aveva tenuto a chiarire che tutti i contatti che aveva con Londra miravano a quello scopo.

142 l Vedi D. 120.

143

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5342/021 R. Bucarest, 29 luglio 1937 (per. il 2 agosto).

Notizie attinte a varie fonti attendibili, notizie però che non ho potuto ancora controllare a fonte diretta, lasciano presumere che Re Caro! non sia stato molto soddisfatto del suo viaggio a Parigi 1• Mi si dice che le sue conversazioni con gli uomini di Stato francesi sarebbero state molto vivaci. Da una parte la Francia rimprovera a Re Caro! il riavvicinamento della Romania all'Italia e alla Germania, e soprattutto alla Polonia, dall'altra Re Caro! avrebbe protestato per la mancata consegna dei materiali di guerra che la Romania ha da tempo ordinato. I francesi pretestano gli scioperi e certi ritardi nelle consegne di materie prime ma Re Caro!

176 avrebbe fatto osservare che molta parte del materiale promesso alla Romania sarebbe stato invece avviato in Spagna.

Le insistenze poste da Re Carol per conseguire che la Francia elevi la sua rappresentanza a Bucarest al rango di ambasciata, avrebbero incontrato, mi si dice, forte resistenza: la Francia subordinerebbe la creazione dell'ambasciata alla previa conclusione degli accordi di mutua assistenza tra Parigi e Bucarest e tra Bucarest e Praga. Pare inoltre che nelle sue peregrinazioni «incognito» nella capitale, Re Carol abbia avuto egli stesso a soffrire per il disservizio in locali pubblici, tanto da riportare penosa impressione sullo stato attuale dell'ordine e della disciplina in Francia.

Anche a Londra Re Carol avrebbe trovato una fin de non recevoir per la richiesta della elevazione al rango di ambasciata della legazione britannica a Bucarest.

Quando Re Carol partì da Bucarest era in programma una visita a Sigmaringen ove dimora il capo della famiglia di cui Re Carol è discendente. Sembra però che il Quai d'Orsay abbia fatto capire a Re Carol che il suo passaggio attraverso la Germania non sarebbe stato visto con favore a Parigi: sta di fatto che la visita a Sigmaringen è stata cancellata. Viene invece annunziata una fermata di parecchi giorni a Zurigo. La città svizzera è molto vicina a Sigmaringen e può darsi quindi che la fermata a Zurigo possa consentire l'incontro di Re Carol con i membri della sua famiglia di ceppo tedesco. V'è chi però osserva, non senza malignità, che a Zurigo vi è un grande specialista delle malattie degli organi genitali: la permanenza in quella città potrebbe avere lo stesso scopo della visita fatta due anni or sono dal Re al signor Voronoff a Ventimiglia (il signor Voronoff è amico del Re avendo sposato una romena, cugina della signora Lupescu).

Nulla ancora mi risulta circa i risultati dell'incontro di Re Carol col Re Leopoldo del Belgio. Come ebbi a far rilevare a V.E. con il mio rapporto del 24 giugno u.s. n. 477 2 , io attribuisco qualche rilievo a questo viaggio di Re Carol e più specialmente alle sue conversazioni inglesi e a quelle con il Re del Belgio: queste ultime per la analogia della situazione territoriale della Romania con la situazione territoriale belga 3 .

Le poche informazioni da me fornite con il presente rapporto non vanno considerate sicure: tanto meno esse esauriscono l'argomento. Mi riservo, al ritorno di Re Carol in Paese, ritorno che sembra avverrà fra una decina di giorni, di riferire con la possibile precisione.

Oggi tutti i giornali romeni, in base ad un ordine perentorio ricevuto dal governo, si mostrano scandalizzati per la notizia diffusa dalla nota agenzia cecoslovacca Radio Centra! che Re Carol doveva incontrarsi a Sigmaringen con Hitler. Nel viaggio di ritorno il Re si fermerà a Bled per incontrarsi con il principe Paolo.

143 1 Re Caro! era giunto a Parigi l'Il luglio. Nonostante il carattere «strettamente privato» della sua visita, aveva avuto accoglienze e contatti più consoni ad una visita ufficiale, forse dovuti, come osservava l'incaricato d'affari a Bucarest, Dalla Rosa, al desiderio di controbilanciare le accoglienze che il Sovrano aveva avuto a Varsavia (telespresso 1992/556 del 15 luglio).

143 2 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 787. 143 3 In proposito, l'ambasciatore Preziosi riferiva da Bruxelles che la visita del Sovrano romeno a Re Leopoldo aveva come scopo principale di essere informato «circa la nuova politica belga, specie per quanto concerne quella posizione di equidistanza dalle Grandi Potenze, o di neutralità volontaria, che detto indirizzo politico presuppone» (telespresso 3319/803 del 29 luglio).

144

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. 1352/147 R. Roma, 30 luglio 1937, ore 22.

Telegramma di V.E. n. 232. Segreto 1•

Disponga affinché atteggiamento componenti nostre missioni navale ed aeronautica sia analogo a quello della missione militare tedesca.

145

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5338/0248 R. Parigi, 30 luglio 1937 (per. il 2 agosto).

Telegramma per corriere di V.E. n. 1336 R. del 27 corrente 1 .

Ho avuto oggi con il ministro Delbos una conversazione che durò circa un'ora e mezza, perché abbracciò l'insieme dei nostri rapporti politici. Trarrei V.E. in errore se dicessi che essa fu sempre amichevole; ad onor del vero però Delbos fu di una correttezza assoluta, anche quando manifestava in modo vivace il proprio dispiacere e talvolta il proprio risentimento di fronte all'aggravarsi del dissidio politico fra l'Italia e la Francia.

Ho cominciato coll'esprimermi nel senso delle istruzioni da V.E. impartitemi col telegramma per corriere sopra menzionato, fornendo a Delbos gli elementi atti a provare che non esisteva in Italia una campagna contro l'Esposizione di Parigi. Egli ne prese nota, osservò però che non vi era riscontro alle sue lagnanze per la mancata diffusione in Italia del materiale di propaganda concernente l'Esposizione per la ragione che questo, contrariamente agli accordi vigenti fra gli enti turistici, non veniva affisso o distribuito.

Quanto all'osservazione di V.E. circa l'articolo Il Paese dei turisti del Regime Fascista 2 notò che gli articoli di critica talvolta assai acerba della stampa di sinistra francese riguardavano la politica estera italiana, e non potevano quindi essere paragonati al primo. Quando mai un giornale francese aveva minacciato di rappresaglie i turisti di questo Paese che si recavano numerosi in Italia e quando mai aveva esagerato ad arte lievi disordini per far credere all'esistenza di uno stato di quasi-rivoluzione nel nostro Paese?

145 1 Ciano negava che da parte del governo italiano si ostacolasse l'afflusso di visitatori all'Esposizio ne mondiale di Parigi, così come era stato affermato da Delbos in un colloquio del 22 luglio con Cerruti sul quale l'ambasciatore aveva riferito con T. per corriere 5153/0235 R. dello stesso giorno. 145 2 Del 17 luglio.

Avendogli io poi detto (senza peraltro menzionare la parola «minaccia» perché ad onor del vero non ne avevo riscontrata traccia nella nostra conversazione del 22 corrente) che l'accenno da lui fatto ad eventuali provvedimenti atti a restringere ed eventualmente a vietare l'afflusso dei turisti francesi in Italia aveva prodotto una cattiva impressione sull'E.V., Delbos rispose che egli non lo comprendeva perché le sue parole avevano avuto unicamente lo scopo di escludere l'applicazione di una misura che ripugnava all'animo della grande massa dei francesi che sentivano profondo l'affetto per l'Italia e nutrivano il desiderio di soggiornarvi il più frequentemente possibile.

Da quando si era intrattenuto meco, pochi giorni fa, era occorso un fatto che aveva richiamato la sua attenzione e di cui non poteva fare a meno di parlarmi. Il 28 luglio tutti i giornali italiani, rispondendo evidentemente ad una direttiva loro impartita, avevano pubblicato articoli sostenendo che: l 0 ) volontari francesi erano entrati nella Spagna Rossa per i valichi dei Pirenei; 2°) che il governo francese «commanditava» gli stabilimenti che fornivano armi e munizioni al governo di Valencia. Egli mi dichiarava ufficialmente e solennemente che entrambe le notizie erano false e doveva chiedermi di rivolgere all'E.V. la domanda esplicita del governo francese tendente a conoscere se le notizie stesse gli fossero pervenute da fonte francese o italiana. Nel primo caso chiedeva che fossero nominati gli informatori affinché potessero essere tradotti dinanzi ai tribunali per divulgazione di notizie false atte a nuocere allo Stato. Nel secondo caso doveva insistere perché l'accusa fosse portata dinanzi al Comitato di Londra per render possibile alla Francia di chieder che ne fossero fornite le prove.

Ho risposto al ministro degli Affari Esteri che egli sapeva quanto me che alle sue domande non avrebbe potuto essere data risposta. Lo pregavo dunque di non insistere al riguardo.

Delbos dichiarò di dovere insistere sulle domande stesse e ricordò che, mentre la stampa italiana perseverava nell'accusare la Francia di aiutare in tutti i modi il governo di Valencia, non una sola accusa positiva aveva potuto essere portata dinanzi al Comitato di Londra, sede competente per ordinare delle inchieste e per giudicare. Il governo francese ed egli personalmente venivano ogni giorno accusati dalla stampa italiana di essere ligi agli ordini di Mosca e di agevolare quindi continuamente la resistenza dei Rossi spagnoli. D'altra parte, ogni giorno l' Humanité lo attaccava energicamente rinfacciandogli la sua fedeltà alla politica di non intervento ed insistendo perché il governo francese aprisse il confine franco-spagnolo al libero commercio del materiale bellico. Quale era, in questa ridda di accuse e di critiche la verità: una sola molto semplice. Egli, Delbos, era il padr.e spirituale del non intervento in Spagna. Aveva patrocinato questa politica per due ragioni: l 0 ) per impedire che la guerra civile spagnola degenerasse in guerra internazionale; 2°) per far sì che non prevalesse in Spagna un governo autoritario, che sarebbe stato inviso agli Stati democratici e pertanto alla Francia, maggiore interessata data la sua situazione geografica. L'Italia, pur avendo parteggiato sin dall'inizio per il partito nazionalista e pur avendolo poi riconosciuto come unico governo legale in Spagna, aveva aderito, come tutti gli altri Stati alla politica di non intervento, ancorché gli scopi che essa perseguiva e persegue tuttora fossero agli antipodi di quelli francesi, visto che essa auspica in Spagna il trionfo di una forma di governo prossimd al fascismo. Egli, Delbos, aveva agito nel modo suddetto col pieno consenso di Blum e di Chautemps, paladini non meno convinti di lui stesso del non intervento. In tale stato di cose era assurdo pensare che egli stesso, Chautemps o Blum potessero anche un solo momento pensare di presentarsi dinanzi al Parlamento o al Paese per recitare il confitcor e proclamarsi pentiti e convinti della necessità di parteggiare apertamente per questo o quel partito spagnolo. Ognuno di essi teneva al proprio prestigio politico e non era disposto a sacrificarlo. Più che mai pertanto essi avrebbero perseverato nella linea di condotta assunta e non mai abbandonata, più che mai avrebbero agito per ottenere che i partiti politici che così aspramente si combattevano in Spagna si convincessero dell'opportunità di intendersi in base ad un compromesso che garantisse al loro disgraziato Paese un periodo di benessere in un regime di benintesa libertà. Sapeva di poter apparire utopico emettendo simili speranze, ma i suoi sentimenti democratici gli imponevano di nutrire certe speranze anche al di là dei limiti del verosimile.

Ho osservato che anziché ribattere quanto mi aveva detto, preferivo ricordargli quanto era stato scritto nel recente articolo del Popolo d'Italia circa le finzioni e le rea!tà3 .

Delbos rispose che quell'articolo lo aveva assai interessato ma gli aveva anche provato l'abisso che separa l'ideale democratico da quello fascista. «Voi vi offuscate quando noi francesi chiamiamo fascisti tutti i regimi autoritari ed anche i partiti politici avversi alla Repubblica in Francia. Ebbene noi ci offuschiamo quando voi ridicolizzate gli «immortali principì della Rivoluzione francese» perché questi principì sono la Francia di oggi, com'erano quella di Napoleone, la Francia che noi difenderemo, con le sue qualità ed i suoi difetti, con tutto il nostro sangue se la si volesse abbattere».

Delbos parlò poi della discussione di oggi a Londra 4 . Si compiacque che sembrasse essersi trovato un anello di congiunzione tra i punti di vista italiano ed inglese. Disse che nella misura del possibile e con le dovute cautele, egli aveva agito a Mosca perché l'U.R.S.S. recedesse dalla propria intransigenza nell'escludere in modo assoluto il riconoscimento della belligeranza a Franco. Credeva di avere potuto ottenere qualcosa, nel senso che la belligeranza sarebbe stata ammessa qualora si raggiungessero risultati apprezzabili eseguiti nel campo del ritiro dei volontari.

Lo scambio di idee fra Delbos e me circa quest'ultimo punto, in cui mi sforzai di indagare quali fossero i propositi del ministro degli Esteri francese al riguardo, mi permisero di constatare che l'azione esercitata dall'Inghilterra durante gli ultimi giorni deve avere prodotto qualche effetto, perché Delbos finì col dirmi che se tutti fossero stati consenzienti la Francia non si sarebbe opposta al riconoscimento della belligeranza a Franco, sempre che il ritiro dei volontari fosse già in atto e nella fiducia che si creasse in seno ai due partiti avversi un'atmosfera favorevole ad una pacificazione. Aggiunse che i sovietici pretenderebbero il ritiro anche dei marocchini di Franco, mentre la Francia per ragioni evidenti non intende che si parli di una cosa simile.

Poiché si parlava dei dibattiti a Londra, Delbos mi disse che egli aveva notato anche colà molta ostilità da parte dell'Italia. Il conte Grandi aveva infatti creduto di muovere veri e propri rimproveri al governo francese, rinfacciandogli di essere venuto meno ai doveri impostigli dal non intervento. L'atteggiamento poco amichevole del R. ambasciatore a Londra aveva causato cattiva impressione sul governo francese, tanto più che il signor Corbin si era costantemente astenuto dal mettere in causa il governo italiano e tanto meno dal muovergli critiche o rimproveri. L'azione dell'ambasciatore di Francia era stata assai obbiettiva, a difesa esclusiva dei principi del non intervento e quindi del mantenimento della pace.

Il duello a Londra si era svolto soprattutto fra Italia e Francia perché la Germania si era mostrata alquanto passiva. Del resto i rapporti tra la Francia ed il Reich erano non solo correttissimi, ma sino ad un certo punto amichevoli. La Wilhelmstrasse, lo Stato Maggiore tedesco ed il Fiihrer, era doveroso riconoscerlo, era sempre stato coerente alle dichiarazioni fatte dopo il regolamento del problema della Sarre 5 . Il solo uomo politico decisamente ostile alla Francia era in Germania Goebbels. Lo si sapeva e si sapeva anche tener conto di questo stato di cose. In Italia invece egli non sapeva dove scovare un Goebbels cioè un avversario accanito, ma doveva purtroppo constatare che vi era una gallofobia assai diffusa. Essa impediva che si riuscissero a regolare quanto meno in termini amichevoli le questioni d'importanza minore che erano insolute tra Italia e Francia.

Se in questo momento il grosso problema spagnolo divideva disgraziatamente l'Italia dalla Francia, dato che esse lo consideravano da due punti di vista che discordavano, perché non fare tutto il possibile per trovare un terreno d'intesa per le questioni di altra natura? Perché non regolare la tutela dei reciproci interessi in Africa Orientale? Perché non intendersi per far cessare le continue punture di spillo italiane che si facevano sentire in tutti i possedimenti francesi nel Mediterraneo?

Ritornando su quanto mi aveva detto il 22 corrente (mio telegramma per corriere n. 0237) 6 Delbos si mostrò molto risentito per il contegno tenuto dal console Navarrini. «Voi siete molto sensibili e con ragione a tutto ciò che tocca il vostro Impero, ma la Francia non lo è meno e risente profondamente tutto ciò che costituisce una minaccia per il proprio Impero». Espresse quindi la speranza che cessassero atteggiamenti i quali davano, voleva sperare a torto, l'impressione che l'Italia incitasse i movimenti ostili alla Francia nei suoi possedimenti di oltre mare.

Tutto era buono per suscitare commenti ostili alla Francia da parte della stampa italiana. Si concludeva il Gentlemen's agreement tra Roma e Londra. Egli, Delbos, mandava subito un telegramma di calde felicitazioni a Eden che esprimeva sinceramente la soddisfazione della Francia nel vedere migliorate le relazioni fra i due Paesi amici e finitimi. La stampa italiana peraltro parlò della irritazione della Francia per non essere stata invitata a partecipare all'accordo, cosa a cui questa non aveva mai pensato. Si conchiude un'intesa italo-jugoslava auspicata durante vari anni dalla Francia ed anch'essa viene commentata dalla stampa italiana come

uno schiaffo alla Francia, dalla quale si è ormai riusciti a staccare l'antica alleata di Belgrado. Ogni cosa è buona per dare addosso alla Francia ed al suo governo.

Ho ribattuto che in quanto egli mi aveva detto vi era qualcosa di vero ma molta esagerazione. Ad ogni modo Delbos non teneva conto del lato psicologico delle relazioni italo-francesi. Esse erano soprattutto compromesse dalla mancanza dell'ambasciatore di Francia a Roma.

Delbos consentì pienamente, ripetè che si trattava di una questione che non poteva essere regolata dalla Francia sola, ma dalla S.d.N. Vi erano situazioni giuridiche che costituivano un grave impaccio allo svolgimento favorevole dei rapporti internazionali. Quando peraltro un Paese ~ ed era il caso della Francia -poneva a fondamento della sua politica estera la fedeltà alla S.d. N. esso vi doveva rimanere fedele a qualunque costo. anche a quello di vedere seriamente compromessi i suoi rapporti con un altro Stato. Sapevo del resto quanto egli avesse fatto per preparare la risoluzione del problema etiopico nell'assemblea di maggio. Erano purtroppo sorti intoppi ai quali la Francia era assolutamente estranea. La Francia desiderava che si risolvesse la questione in settembre, a Ginevra, e nutriva buone speranze in proposito soprattutto da qualche giorno in qua, visto che le relazioni fra l'Italia e l'Inghilterra sembravano essersi fortunatamente migliorate. Desiderava assicurarmi che nessuno sforzo sarebbe da lui stato omesso per giungere ad una conclusione che consentisse alla Francia di riconoscere la sovranità dell'Italia sull'Etiopia. Tutta la sua azione anteriore era una garanzia.

Dissi a Delbos che ero tanto più lieto di quanto egli mi diceva, a conferma del resto di quanto già mi constava, perchè a Londra si era cercato di minimizzare l'azione svolta dalla Francia e dal ministro degli Affari Esteri personalmente nella ricerca di una formula che permettesse di scrivere sin dalla primavera la parola «fine» alla questione etiopica. Delbos si strinse nelle spalle e mi disse che avevamo degli informatori a Ginevra. Essi dovevano avere obbiettivamente e serenamente informato il governo italiano di tutti gli sforzi compiuti da lui personalmente in favore dell'Italia. Permettessi del resto che egli concludesse la lunga conversazione meco con una constatazione che era al tempo stesso l'espressione del suo profondo rincrescimento. Dal giorno in cui alla testa del governo francese era succeduto Chautemps a Blum, che, lo riconosceva, poteva non essere stato benvisto a Roma, il linguaggio della stampa italiana ed in generale l'atteggiamento italiano verso la Francia era andato peggiorando. Egli se ne domandava ogni giorno la ragione perchè poteva dichiararmi in coscienza che nessun uomo politico di sinistra francese era animato verso l'Italia da sentimenti più amichevoli che Chautemps. Questi nutriva un ideale supremo: di riuscire a concludere degli accordi con l'Italia ed anche con la Germania, certo come era che la pace del mondo sarebbe garantita per vari decenni se si potesse procedere d'accordo fra le quattro Grandi Potenze occidentali di Europa. Gli lasciassi quindi la speranza che i malumori tra Italia e Francia cessassero un giorno e gli permettessi di contare al riguardo sopra una maggiore buona volontà del governo italiano 7 .

144 l Non rintracciato.

145 3 Con il titolo La realtà e le fin::ioni, Mussolini aveva pubblicato su Il Giornale d'Italia del 24 luglio un articolo in cui sosteneva che l'Europa continuava a muoversi in un insieme di finzioni tra le quali, di «bruciante attualità» il mancato riconoscimento dell'Impero italiano ed il rifiuto di riconoscere la belligeranza alla Spagna di Franco.

145 4 Al Comitato di non intervento. Vedi D. 150. nota l.

145 5 Si riferisce alla dichiarazione di Hitler che la Germania non avrebbe avanzato altre rivendicazioni territoriali verso la Francia, fatta dopo che il 27 gennaio 1935 il Consiglio della Società delle Nazioni aveva proclamato il ritorno della Saar alla Germania. 145 6 T. 5154/0237 R. del 22 luglio. Riferiva che Delbos si era lamentato per il contegno di alcune autorità consolari italiane ed in particolare per il fatto che il console ad Aleppo, Navarrini, aveva ritenuto di fare un sopralluogo in una zona della Siria dove si erano verificati dei disordini.

145 7 Il lo agosto, Cerruti telegrafava che la stampa francese parlava diffusamente del suo colloquio con Delbos. L'ambasciatore rilevava come fosse anormale rendere pubblica una comunicazione fatta dal ministro degli Esteri ad un rappresentante diplomatico straniero con un procedimento «non corretto e soprattutto contrario alle tradizioni del Quai d"Orsay» (T. 5325/331 R. del 1° agosto).

146

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5346/0154 R. Budapest, 30 luglio 1937 (per. il 2 agosto).

Mio telegramma per corriere 0153 del 23 luglio 1• Essendomi recato a salutare ministro degli Affari Esteri prima della mia partenza, Kanya mi ha a lungo intrattenuto sulle trattative economiche di Ortisei.

Mi ha detto in sostanza che le nostre nuove proposte, che comporterebbero secondo lui l'abolizione del sistema Brocchi, del sistema preferenziale e dei pagamenti in divise pregiate, sarebbero state per lui una assoluta sorpresa, senza essere, né preparato, né preavvertito, mentre anzi pochi giorni prima, a proposito dell'invito diretto dalla Cescoslovacchia al R. governo (telegramma di V.E. n. 10596 P.R. per corriere del 13 luglio ) 2 avevo avuto occasione di assicurarlo della validità dei Protocolli di Roma, che ora venivano a essere modificati, se non nella parte politica, nel loro contenuto economico. Egli temeva soprattutto gravi inevitabili ripercussioni nella stampa e nel Parlamento, quando ne fossero venuti a conoscenza e specialmente temeva che Benès e gli Stati della Piccola Intesa ne profittassero per fare una campagna ai loro fini.

Ho risposto che, pur non conoscendo dettaglì delle nostre proposte, evidentemente non si trattava che di questioni di carattere esclusivamente tecnico economico, in relazione anche alle migliorate condizioni dell'economia ungherese e che ciò non poteva intaccare, come diceva Kanya, il sistema dei Protocolli di Roma; che d'altra parte governo italiano contava sul governo ungherese perché errate ripercussioni non si producessero nell'opinione pubblica.

Kanya mi ha detto che già aveva constatato questa impressione nei ministri tecnici che erano al corrente delle trattative; che il governo d'altra parte non aveva che poteri limitati sulla stampa; che infine abolendo il sistema come è attualmente, e specialmente abolendo le preferenze, l'Ungheria avrebbe così lo stesso trattamento di altri Paesi come per esempio la Jugoslavia e la Romania, e tutto si ridurrebbe più o meno a un trattato di commercio come tutti gli altri.

Nel successivo corso della conversazione, che aveva preso un tono confidenziale e più generale, Kanya, pur dichiarandomi che naturalmente riconosceva che la cosa non aveva carattere politico (e mi ha a questo proposito riferito quanto l'E.V. aveva detto al barone Villani) 3 , non ha mancato di fare allusioni agli allettamenti cecoslovacchi, ed insinuazioni sulle voci di nostro attuale minor interesse alla politica danubiana, ciò che anche ministri inglesi gli avrebbero detto a Londra, come a quelle secondo cui l'Italia avrebbe promesso alla Jugoslavia di abolire

il sistema preferenziale per l'Ungheria. Egli mi riferiva queste come voci a cui non voleva prestar fede e mi ha ripetuto le assicurazioni avute dall'E.V. ma io non ho mancato ugualmente di ribattere argomento per argomento, dicendogli ben chiaramente che egli sapeva benissimo che chi faceva deduzioni simili non era che in mala fede, perché tutto stava a dimostrare il contrario.

Ritornando sull'argomento preciso delle trattative in corso, Kanya ha concluso dicendomi sperare che se non sarà possibile accogliere le domande ungheresi, sia trovata una formula che possa aiutare il governo ungherese di fronte al Parlamento e alla opinione pubblica e che eviti le speculazioni interessate dei vicini.

Benché sempre in forma estremamente cordiale e prudente, Kanya si è mostrato alquanto risentito e preoccupato, mentre tutto il tono della conversazione lasciava intravvedere in lui il sospetto e il timore di vedere anche in queste ultime nostre proposte un sintomo di un preteso cambiamento nella nostra politica in Austria e in Ungheria (mio telegramma per corriere n. 0101 del IO maggio u.s.) 4 .

Le frasi di Kanya devono indubbiamente esser giudicate in funzione del suo desiderio di non cambiare il favorevole sistema attuale e principalmente della sua preoccupazione di dover far accettare al Parlamento una eventuale diminuzione dei notevoli vantaggi economici che l'Ungheria trae finora da parte nostra e tenendo conto che egli col solito metodo ungherese avrebbe voluto cercare di spostare i termini di una questione di carattere economico. L'E.V. vorrà comunque dare, nel corso delle trattative, il loro peso alle ripercussioni che una modificazione delle attuali convenzioni economiche con l'Ungheria potrà avere qui e in certi Paesi vicini.

Sarei grato all'E.V. se vorrà fornirmi qualche dettaglio tecnico ed elementi per mia eventuale ulteriore norma di linguaggio 5 .

146 l T. per corriere 5191/0153 R. del 23 luglio con cui il ministro Vinci riferiva di avere appreso che il presidente del Consiglio ungherese, Daranyi, aveva inviato una lettera a Mussolini per chiedergli di rinviare al lo ottobre l'esame delle proposte italiane in materia economica ed in particolare la proposta di portare in pareggio le esportazioni e le importazioni tra i due Paesi. 146 2 Vedi D. 62, nota 3. 146 3 Circa l'assicurazione data da Ciano al ministro Villani che le richieste del governo italiano erano dovute esclusivamente a ragioni economiche, si veda DV, vol. I, D. 284.

147

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5431/054 R. Berlino, 30 luglio 1937 (per. il 2 agosto).

Mentre confermo le mie precedenti comunicazioni circa l'azione spiegata dalla Germania nei riguardi così del Giappone come della Cina a proposito del conflitto ora in atto fra quei due Paesi, tengo a sottolineare che l'Auswartiges Amt non

sembra molto proclive a far credito al Giappone per quanto riguarda il carattere anticomunista dell'azione che esso svolge in Cina. Si osserva che non si tratta qui di un conflitto fra il Giappone e la Russia, nel quale effettivamente la Germania sarebbe moralmente impegnata a favore del Giappone, bensì di un'azione svolta dal Giappone in Cina per ragioni di espansione politico-economica ed in cui l'elemento comunismo rappresenta -se pure -una parte affatto secondaria.

So che conversazioni sopra questo punto hanno avuto luogo fra l'ambasciatore del Giappone 1 e l'Auswartiges Amt, il quale peraltro si è finora tenuto ligio al proprio punto di vista.

146 4 Vedi serie ottava. vol. VI. D. 571.

146 5 Non sono state trovate istruzioni in proposito per il ministro Vinci. Il 31 luglio. Mussolini rispondeva alla lettera inviatagli da Daranyi. Dopo aver assicurato che da parte italiana restava solido lo spirito di comprensione nei riguardi dell'Ungheria, Mussolini osservava però che negli ultimi tempi lo stato dell'economia ungherese era migliorato notevolmente, mentre erano sorte delle difficoltà nell'economia italiana e che inoltre il valore delle merci ungheresi era molto aumentato per cui veniva meno la necessità delle agevolazioni doganali di cui godeva l'Ungheria. Mussolini respingeva infine la proposta di spostare ad ottobre l'esame della questione perché ciò non avrebbe aiutato a risolvere il problema sul tappeto.

148

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2270/939. Salamanca, 30 luglio 1937 (per. il 3 agosto).

Oggi è venuto a farmi VISita monsignor Antoniutti che nella mattinata era stato ricevuto da Franco. Mi ha esposto lo scopo della sua missione che, più apparentemente, è quello di occuparsi del rimpatrio dei fanciulli evacuati dalla regione basca e inviati in Francia, Belgio, Inghilterra, Stati Scandinavi e Messico, Paesi tutti dove, sotto l'influsso delle ideologie di sinistra o dell'umanitarismo anglicano

o protestante non potrebbero che subire un processo di snazionalizzazione e soprattutto di fuorviamento religioso e morale. Monsignor Antoniutti preso contatto col comitato preposto al rimpatrio dei fanciulli baschi residenti in Burgos offrirà i servigi della Santa Sede per facilitare in via diplomatica il rimpatrio stesso e si adopererà per la sua pratica attuazione.

Ma l'obbiettivo più importante seppure meno apparente della missione del delegato Pontificio è quello di occuparsi del problema del clero basco: monsignor Antoniutti dovrebbe da un lato persuadere quel clero (a cui, secondo una chiara ammissione dello stesso prelato, vanno fatte risalire la responsabilità e la condotta del movimento separatista) a rientrare nella legalità e a sottomettersi al governo di Franco: d'altro lato egli dovrebbe ottenere dal Generalissimo garanzie di clemenza per il clero stesso, la sua riammissione alla cura d'anime, il perdono per i sacerdoti più compromessi, e possibilmente la grazia per alcuni di costoro che, già catturati dalle truppe nazionali, sono designati alla fucilazione. Il governo nazionale gli avrebbe proposto una specie di scambio per cui i sacerdoti baschi dovrebbero essere destinati alla cura d'anime in località della Spagna Nazionale e venire sostituiti nelle regioni basche da sacerdoti inviati dai territori controllati da Franco; ma tale soluzione non è ritenuta possibile dal Vaticano che non vede come, tanto i sacerdoti baschi quanto quelli che li sostituirebbero, possano esercitare liberamente ed efficacemente il loro ministero fra popolazioni che fino ad ora li ha considerati nemici;

inoltre vi si opporrebbe una difficoltà pratica, per la mancanza di conoscenza della lingua basca da parte dei sacerdoti appartenenti ad altre regioni spagnole.

È questa la parte più spinosa e più complessa della missione di monsignor Antoniutti. Egli ha trovato infatti nel Generalissimo le migliori disposizioni per quanto riguarda la questione del rimpatrio dei fanciulli baschi; ma per ciò che concerne il problema del clero, il prelato mi ha dichiarato di aver incontrato molta diffidenza e riserbo e una marcata suscettibilità nei riguardi dell'intervento del Vaticano. Né gli sarebbe valso fare appello al sentimento cattolico del Generalissimo, né ad argomenti di convenienza politica. Franco è apparso meglio disposto a considerare come leali avversari i Rossi. che non il clero separatista basco il quale, effettivamente, con le sue predicazioni, gli ha montato contro intere provincie complicandogli il problema nazionale spagnolo e compromettendo o quanto meno prolungando l'esito delle operazioni militari.

D'altronde. la Santa Sede deve fare uso di molta prudenza nella sua opera di persuasione sul clero predetto che in gran parte continua a mostrarsi irriducibile e il cui irrigidimento, dato il cieco orgoglio nazionale basco, si mantiene in ragione diretta della inflessibilità del Generalissimo; la Santa Sede, per sua esperienza di analoghi precedenti nella storia della Chiesa, teme persino che l'ostinazione del clero basco possa dar luogo a uno scisma religioso e alla formazione di una Chiesa autocefala.

II delegato della Santa Sede prevede che, se non sarà ostacolato apertamente per rispetto verso il Pontefice, gli sarà però resa la vita difficile; egli spera molto nell'esito delle trattative sempre in corso per la resa militare dei baschi, e mi ha intanto pregato di non fargli mancare l'assistenza della R. ambasciata qualora si trovasse in difficoltà, aggiungendo che la sua missione aveva l'appoggio del Duce e dell'E.V.

Edotto come sono circa il punto di vista del Duce e di V.E. nei riguardi del problema basco, e in base alle direttive ricevute, ho creduto poter dare al delegato pontificio un generico affidamento circa l'eventuale discreta assistenza della R. ambasciata. Sarò peraltro grato a V.E. se vorrà confermarmi Sue precise istruzioni in proposito.

Aggiungo che monsignor Antoniutti mi ha riferito di difficoltà che gli sono state fatte per il suo ingresso in territorio spagnolo e come egli abbia dovuto sostare ad Hendaye per attendere l'autorizzazione; mi ha anche detto di aver incontrato un atteggiamento di freddo riserbo presso il cardinale primate di Spagna vescovo di Toledo il quale, non avendo ricevuto alcuna comunicazione del governo nazionale circa la missione del delegato apostolico, aveva preferito non prendere posizione.

Questa atmosfera di diffidenza che ha accolto l'arrivo di monsignor Antoniutti è naturale conseguenza del risentimento della Spagna Nazionale verso il Vaticano dal quale essa si attendeva logicamente un più deciso appoggio morale; né a vincere tale risentimento bastano, per ora, l'accoglimento ufficiale da parte della Santa Sede del rappresentante diplomatico di Franco e nemmeno l'odierno invio di un delegato ufficioso incaricato di prendere contatto col governo nazionale; invio che, di per se stesso dovrebbe essere interpretato come implicito riconoscimento, e come indice della convinzione ormai maturata nei circoli vaticani circa il definitivo successo delle armi di Franco.

147 1 Kintomo Mushaikoji.

149

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 484 3/1301. Washington, 30 luglio 1937 (per. il 15 settembre).

Udienza del Presidente Roosevelt.

ll colloquio è durato circa mezz'ora. Dapprima il Presidente mi ha intrattenuto sui suoi ricordi personali dell'Italia e mi ha detto di essere grato al Duce ed al governo italiano per le cortesie usate a sua madre ed a suo figlio durante la loro recente permanenza in Italia. Mi ha detto che egli era un ammiratore del Duce che considerava il vero restauratore dell'unità del Paese e della nuova grandezza dell'Italia.

Dopo avermi fatto leggere la lettera che egli indirizza al Capo del governo 1 , mi ha detto che Mussolini deve passare alla storia non soltanto come il restauratore delle fortune della sua patria ma anche come il costruttore di una migliore forma di convivenza tra i popoli. Egli accarezza sempre l'idea di un suo incontro col Duce ed è sicuro che se potesse avere con lui un'ampia e profonda discussione sui maggiori problemi e su quelli che si prospettano per l'avvenire, molto bene si potrebbe fare per la sorte dei nostri Paesi ed anche del resto del mondo. Egli si rende conto che ci sono due difficoltà molto gravi: una è quella della situazione politica attuale che non pare molto favorevole per delle intese di carattere generale; la seconda è una ragione che egli chiama fisica, cioè la distanza materiale che esiste fra i nostri due Paesi. Non gli è, egli pensa, possibile per il momento di poter andare in Europa, né ritiene che Mussolini intenda venire in America; rimangono tuttavia altre possibilità di incontro alle quali mi ha già in passato accennato. Egli ha avuto occasione di parlare di questa sua idea a Van Zeeland durante la recente visita di quest'ultimo in America, e Van Zeeland ha riconosciuto che una presa di contatto fra i due uomini potrebbe essere della massima importanza per chiarire la situazione mondiale, tanto più che Van Zeeland riconosce che l'Italia rappresenta oggi la posizione chiave per la soluzione dei problemi europei. A proposito di tale incontro però Van Zeeland ha il dubbio che il colloquio non potrebbe essere limitato fra Mussolini e Roosevelt senza suscitare qualche diffidenza in altri Paesi. A conclusione di questo punto dirò di aver avuto l'impressione che il Presidente Roosevelt consideri questa possibilità di un incontro con grande favore e ci dia moltissimo peso ma che non la ritenga realizzabile nell'attuale momento.

Parlandomi poi di politica generale, egli mi ha espresso l'opinione che nel momento presente non si possa pensare a convocare una conferenza mondiale di carattere economico; le opinioni sono troppo divise ed i malintesi sono troppo profondi perché si possa pensare che questi siano risolti per il semplice fatto di mettere dei delegati a sedere attorno ad un tavolo, e questa sua opinione egli l'ha fatta sapere anche a Van Zeeland.

Il Presidente è di opinione che tutti i nostri sforzi devono tendere a migliorare la situazione ma l'attività per ora non può svolgersi che in un campo preparatorio. Mi ha detto che, sebbene l'America oggi abbia fatto uno dei capisaldi della sua politica il miglioramento dei rapporti economici fra i popoli, egli è persuaso che nessun risultato stabile e proficuo si possa ottenere in tale campo se non si proceda prima a una limitazione degli armamenti. Svolgendo tale suo concetto egli ha messo in rilievo che qualunque accordo economico sarebbe sconvolto il giorno in cui o per accordo o per esaurimento si dovesse passare, attraverso delle gravissime crisi, dall'economia industriale di guerra a quella di pace. Meglio perciò pensarci fino a che si è in tempo per non lasciare che le cose arrivino a un punto tale che tale crisi sia inevitabile nelle forme più acute.

L'America, anche se non prende delle iniziative, è sempre pronta a collaborare in ogni movimento che tenda al fine suddetto.

A vendo il Presidente nella sua esposizione fatto un accenno alla tendenza alle autarchie economiche, io ho avuto modo di chiarirgli come l'Italia sia in tale riguardo in una situazione di necessità, come è stato dimostrato dall'esperienza nel periodo delle sanzioni. D'altra parte, la tendenza autarchica italiana non significava per nulla una tendenza all'isolazionismo dell'Italia dagli altri Paesi nel campo economico; essa tende soltanto a creare un minimo di garanzia e di indipendenza per le esigenze della sicurezza nazionale. Il Presidente mi ha detto di comprendere questo punto di vista italiano e di aver l'impressione che l'economia italiana sia posta su basi sane. Egli teme invece che in altri Paesi, come in Germania, i rapporti economici siano posti su una base puramente artificiale che non possa costituire un punto di partenza per una :;istemazione permanente. Mi ha citato di nuovo Van Zeeland per dirmi che, secondo l'opinione di quest'ultimo, la situazione economica della Germania peggiora ogni anno che passa. Ha conchiuso col dirmi che quando veramente si potesse uscire dall'attuale stato caotico ed avviarci verso una sistemazione generale, bisognerà prendere in riguardo tutti i problemi fra cui quello di assicurare il rifornimento delle materie prime agli Stati che ne sono sprovvisti, problema a cui egli dà la massima importanza.

Avendogli io nel corso della conversazione accennato che in Italia la popolazione si dimostra tranquilla e soddisfatta del modo come vanno le cose, egli mi ha osservato che altrettanto avveniva in America e che non dovevo pensare il contrario per le recriminazioni e l'apparente malcontento di qualche gruppo politico e di parte della stampa. Se si fosse dovuto giudicare secondo l'impressione della stampa prima delle elezioni, si sarebbe dovuto ritenere che non egli ma Landon dovesse essere il vincitore della campagna. Egli è persuaso di avere sempre dietro a sé la gran massa del Paese la quale approva ed appoggia la sua politica. Gli ho risposto che effettivamente anche per mia esperienza mi ero persuaso che non bisognava dare troppo peso alle vociferazioni della stampa.

Nel congedarmi, il Presidente ha detto che egli fermamente sperava che i nostri due Paesi potessero trovarsi fianco a fianco a collaborare in un compito di ricostruzione mondiale.

Il Presidente ha improntato il colloquio a una nota di grande cordialità e nei ripetuti richiami che egli ha fatto al Duce ed alla sua politica si è espresso sempre nel tono della massima simpatia.

Dal complesso della conversazione ho avuto l'impressione che il Presidente sia m un periodo di attesa e di incertezza, combattuto fra il desiderio di voler fare qualche cosa per il miglioramento della situazione generale e l'esitazione a prendere qualsiasi iniziativa che potrebbe tradursi in un insuccesso. Tale suo stato d'animo può essere determinato anche dalla situazione in Estremo Oriente che preoccupa gravemente il Presidente ed il governo americano ponendo per ora in secondo piano tutte le altre questioni.

Il Presidente mi ha anche detto che egli era lieto che avessi occasione di andare in Italia per poter parlare direttamente col Capo del governo e mi ha invitato a dargli notizia non appena fossi ritornato in America2•

149 l Il testo della lettera, datata 29 luglio. è pubblicato in F.D.R. His Personal Letters, 1928-1945, (a cura di Elliott Roosevelt), New York, Duell, Sloan & Pearce, 1950, vol. I. pp. 699-701.

150

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 5308/293 R. Berlino, 31 luglio 1937, ore 14,10 (per. ore 16).

Qui si è naturalmente molto soddisfatti della situazione determinatasi a Londra 1• Opposizione sovietica alla belligeranza era appunto carta su cui si contava. Si tratta ora sfruttare situazione per il meglio, manovrando in maniera da persuadere Inghilterra opportunità mettere da parte Russia. Si ritiene tuttavia che la manovra richieda molto tatto, evitando voler «forzare la mano». Che, anzi, non si esita in proposito a riconoscere che Ribbentrop è andato con sue dichiarazioni già troppo in là. In attesa di orientamenti più definiti è stata raccomandata alla stampa una certa circospezione.

151

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 5322/660 R. Londra, 31 luglio 1937, ore 20,45 (per. ore 5,30 dello agosto).

In relazione nostra conversazione telefonica di ieri sera, nel caso che -come presumo-Duce accolga proposta di Chamberalin per inizio conversazioni concrete fra i nostri due governi in vista di un chiarimento completo dei rapporti itala-inglesi, ritengo che tali conversazioni dovrebbero aver luogo a Roma fra te e Drummond. Ciò per molte ovvie ragioni fra cui una di carattere materiale e pratico e cioè la

150 I Si riferisce alla seduta del 30 luglio del Sottocomitato per il non intervento, riunitosi per esamina re le risposte dei governi circa il progetto presentato dalla Gran Bretagna il 14 luglio (si veda in propo sito il D. 126, nota 1). Venticinque governi avevano risposto positivamente ma, circa la concessione della belligeranza a entrambe le parti spagnole, il governo francese aveva dato una risposta evasiva e quello sovietico si era dichiarato nettamente contrario. Dopo di che, i lavori erano stati aggiornati.

difficoltà per l'intero mese di agosto di avvicinare membri del governo britannico, in primo luogo Chamberlain e Eden. Iersera si è chiusa Camera dei Comuni. Eden è partito già per Norfolk, Chamberlain parte oggi per la Scozia e ambedue rimarranno assenti da Londra, salvo imprevisti, fino al 1° settembre. Anche altri ministri saranno assenti. Domani e posdomani è ferragosto britannico e con esso si inizia esodo della capitale britannica. Unico che sarà saltuariamente presente al Foreign Office (abitando in campagna a trenta miglia da Londra) è Vansittart, circa il quale tuttavia debbo ricordare quanto ti ho detto nella mia lettera 1 . Date queste condizioni di fatto e a parte altre assai più importanti ovvie considerazioni, ritengo che conversazioni dovrebbero svolgersi Roma sempre beninteso che Duce sia favorevole.

Per quanto io posso giudicare qui, sembrerebbe utile che inizio tali conversazioni abbia luogo al più presto allo scopo di cristallizzare in una trattativa diplomatica, prima della assemblea di Ginevra attuali buone disposizioni del Primo Ministro britannico.

Mia intervista con Chamberlain 2 ha qui avuto effettivamente grossa ripercussione. Chamberlain ha personalmente e direttamente voluto richiamarsi su tale intervista (nelle dichiarazioni che ha fatto coincidere colla chiusura sessione parlamentare). Interessava fermare attenzione pubblica opinione britannica, e ciò, allo scopo di vincere con pubblica manifestazione di volontà e autorità ostacoli che fuori e dentro del Gabinetto molti tentano ancora di frapporre a una politica conciliazione con l'Italia.

Questa è stata la tattica già adottata con successo da Chamberlain quando all'insaputa di Baldwin e Eden pronunciò il famoso discorso sulla pazzia canicolare3, discorso che effettivamente determinò nuova situazione opinione pubblica britannica favorendo abolizione sanzioni e obbligando Gabinetto, esitante e prevalentemente contrario, a prendere le decisioni nel senso voluto da Chamberlain.

Ecco perché iniziativa Chamberlain, se da un lato non deve suscitare aspettative miracolistiche, dall'altro sarebbe utile venisse accompagnata, durante il mese che ci separa da Ginevra, con una attitudine di fiduciosa attesa da parte nostra e della nostra stampa.

Se (come ho dichiarato a Chamberlain e sto ripetendo a tutti) governo britannico intende questa volta far veramente sul serio, lo si vedrà ai fatti e per questo ritengo anche utile, durante questo mese, evitare nei nostri rapporti con Inghilterra qualsiasi pretesto che possa eventualmente dare agli inglesi, e particolarmente a Eden un «alibi» per un cambiamento di rotta prima o durante trattative.

Mi risulta da amici comuni assai vicini a Chamberlain, che quest'ultimo attende con ansia di conoscere se Duce risponderà sua lettera4 , e quale sarà risposta del Duce. Credo sinceramente che risposta del Duce avrà un effetto decisivo su Chamberlain. Chamberlain (il quale non è un politicante, bensì uomo di idee semplici e di forte carattere) è particolarmente sensibile ad un atto di personale fiducia e amicizia che gli venga dal Duce, col quale Chamberlain desidera effettivamente poter stabilire contatti diretti che gli consentano, all'infuori dei cosiddetti canali ministeriali ... 5 di risolvere i grandi problemi direttamente col Duce.

151 2 Vedi D. 127. 151 3 Vedi D. 127, nota 7. 151 4 Per il quale si veda il D. 136, allegato. 151 5 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili».

149 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

151 1 Non rintracciata.

152

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 5319/663 R. Londra, 31 luglio 1937, ore 20,45 (per. ore 5,30 del l o agosto).

Eden, riprendendo ieri mattina con me gli argomenti trattati nell'intervista con Chamberlain 1 , mi ha fatto presente che sarebbe assai gradito, e farebbe qui ottima impressione, se tu, cogliendo l'occasione, in un discorso od in una dichiarazione o intervista, trovassi modo di rispondere alle parole pronunciate da Eden alla Camera dei Comuni il 19 luglio scorso 2,circa i rapporti con l'Italia nel Mediterraneo, il Gentlemen's Agreement del 2 gennaio, e recisa smentita alle supposte intenzioni dell'Inghilterra di tornare sul passato, ecc. ecc.

Eden ha ricordato a tale proposito l'influenza decisiva che nel novembre u.s. ebbe il discorso del Duce a Milano 3 nell'accelerare la decisione britannica di abolire la legazione in Addis Abeba e conclusione del Gentlemen's Agreement. «Al discorso del Duce del l o novembre fecero seguito le immediate mie dichiarazioni Eden mi ha detto -alla Camera dei Comuni del 5 novembre4 . Poscia, pochi giorni dopo, venne l'intervista del Duce al Daily Mail 5 , cui fece seguito il discorso del Primo Ministro Baldwin al Guild Hall 6 .

Questo scambio di dichiarazioni amichevoli determinò in Inghilterra l'atmosfera adatta, e rese possibile al Gabinetto di vincere le ultime situazioni e difficoltà. Ritengo-ha continuato Eden-che adesso dovremmo riprendere un tale scambio. Io non domando al Duce che egli risponda alle mie dichiarazioni alla Camera dei Comuni; ma se Ciano credesse di farlo, credo che gioverebbe molto.

Se il Duce poi trovasse modo, in un prossimo discorso od articolo od intervista, di fare qualche riferimento amichevole, che tenga conto della nostra par

ticolare situazione britannica, così come egli ha già fatto spesso nel passato-ed ottenendone risultati immediati-, (Eden ha ricordato a questo punto l'intervista del Duce nel maggio al Daily Telegraph 7 che preparò abolizione delle sanzioni da parte dell'Inghilterra), sono certo che la situazione sarebbe grandemente facilitata».

152 1 Vedi D. 127.

152 2 Vedi D. 110, nota 3. 152 3 Vedi MussoLINI, Opera Omnia, vol. XVIII, pp. 67-72. Mussolini, dopo aver dichiarato che il Mediterraneo era per la Gran Bretagna una scorciatoia per raggiungere i suoi territori periferici mentre per gli italiani era la vita, aveva aggiunto che non era pensabile un urto tra i due Paesi che sarebbe diventato immediatamente europeo ed aveva auspicato, come unica soluzione, «un'intesa schietta, rapida completa sulla base del riconoscimento dei reciproci interessi». 152 4 In quella occasione, Eden aveva ribadito che il Mediterraneo era per la Gran Bretagna un'arteria vitale di comunicazione ma aveva aggiunto che, come l'Italia non intendeva minacciare quella via di comunicazione, così la Gran Bretagna non intendeva minacciare gli interessi italiani. «In queste condizioni-aveva concluso Eden -riteniamo che ognuno dei due Paesi possa continuare a salvaguardare i propri vitali interessi nel Mediterraneo non solo senza dover entrare in conflitto con l'altro ma anzi con reciproco vantaggio». 152 5 Si riferisce all'intervista rilasciata da Mussolini a Ward Price pubblicata sul Daily Mai! del 9 novembre 1936. Mussolini aveva affermato che gli interessi italiani e britannici nel Mediterraneo non erano antagonistici ma complementari ed aveva auspicato un accordo bilaterale che per il suo carattere rassicurasse completamente anche gli altri Stati mediterranei. Per il testo dell'intervista, si veda MussoLINI, Opera Omnia, vol. XVIII, pp. 77-78. 152 6 Discorso pronunciato al banchetto del Lord Mayor il 9 novembre 1936. Baldwin aveva avuto espressioni di simpatia per l'Italia ed aveva ripreso il concetto della complementarietà degli interessi britannici ed italiani nel Mediterraneo.

153

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5345/064 R. Bled, 31 luglio 1937 (per. il 2 agosto).

Mio telegramma per corriere n. 063 1•

Dopo i funerali del Patriarca Varnava -che, salvo qualche tentativo di dimostrazione rumorosa, si sono svolti in un relativo ordine -la situazione appare più calma. Per consolidare tale calma Stojadinovié ha lasciato Belgrado per recarsi al Castello di Brdo, dal principe Paolo, dando il segnale della sosta estiva. Egli conta evidentemente sulla tregua per preordinare in tranquillità le manovre e le misure che consiglia la necessità di premunirsi da una ripetizione di un attacco come quello del quale è stato fatto segno dalla coalizione dei suoi oppositori, ispirati -come Zikcovié, che, durante l'agitazione, si trovava a Praga -dall'estero. Prima di lasciare Belgrado ha convocato i rappresentanti delle principali agenzie: Stefani, D.N.B., Reuter e Havas, allo scopo di illustrare loro, per norma della loro comprensione degli avvenimenti di questi giorni, la storia della sua azione di governo, specialmente per quanto concerne il Concordato, gli intrighi degli oppositori, le assurdità messe in giro per sobillare il popolo, come quella di un avvelenamento del Patriarca, la vera storia delle misure di repressione alle quali il governo è stato costretto, affermando la sua precisa decisione di mantenere, anche in futuro, l'ordine e qualunque costo. Stojadinovié ha trattenuto i giornalisti circa due ore, mostrandosi di ottimo umore e commentando le circonstanze con particolare causticità. Ha apertamente criticato i corrispondenti dell'Havas e della Reuter ed il contegno della stampa inglese, nonché il fatto che il ministro di Germania, von Heeren, si sia precipitato da Bled a rendere clamorosamente omaggio -per ordine, si dice, di Hitler-alla salma del Patriarca. Avvenimento sensazionale, ha commentato Stojadinovié, perché incomprensibile. Ha severamente inibito ai giornalisti di pubblicare qualsiasi indiscrezione su quanto ha loro detto. Mi riservo, col prossimo corriere, di trasmettere a V.E. gli appunti presi da Sofia durante il lungo colloquio.

Con Sofia, della Stefani, ha mostrato particolare cordialità. So che egli ha, infatti, apprezzato molto il modo col quale il nostro corrispondente ha obiettiva

153 I Vedi D. 142.

mente riferito, anche se la nostra stampa, in questa circostanza, ha spesso tenuto conto, più che delle corrispondenze di Sofia, delle deprecabili notizie sensazionali ed inesatte trasmesse a Vienna.

152 7 Intervista rilasciata il 27 maggio 1936. Mussolini aveva sottolineato ampiamente la volontà di pace dell'Italia e il suo desiderio di giungere ad un'intesa con la Gran Bretagna non appena vi fossero state le condizioni necessarie per avviare un negoziato, ciò che presupponeva l'abolizione delle sanzioni. Vedi MussouNI, Opera Omnia, vol. XVIII, pp. 5-8.

154

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, HOTTA

APPUNTO. Roma, 31 luglio 1937.

Ho ricevuto in visita ufficiale l'Ambasciatore del Giappone, signor Hotta, che, per incarico del suo Ministro degli Affari Esteri, mi ha rimesso la qui unita lettera. A complemento di quanto nella lettera è scritto, il signor Hotta mi ha detto che il Governo giapponese, in considerazione e per sviluppare le conversazioni a suo tempo avute con Sugimura 2 , sarebbe ben lieto di poter dare una veste più concreta alle ottime relazioni esistenti tra l'Impero italiano e l'Impero nipponico.

Richiesto da me circa le eventuali proposte che egli intendesse avanzare, il signor Hotta mi ha detto che nella opinione del Governo giapponese sarebbe possibile e conveniente realizzare tra l'Italia e il Giappone una intesa a carattere anticomunista, del tipo di quella a suo tempo raggiunta fra Tokio e Berlino. Questa intesa potrebbe poi venir completata da un accordo segreto che il signor Hotta ha definito di «collaborazione tecnica nel campo militare». Riprendendo in parte quanto già l'Ambasciatore Auriti ebbe a telegrafarci alcuni mesi or sono3 , l'Ambasciatore Hotta ha insistito sull'opportunità che tra l'Italia e il Giappone possa stabilirsi una molto intensa collaborazione tecnica nel settore militare, che permetta a ciascun Paese di valersi dell'ausilio dell'altro, ma soprattutto al Giappone, date le altissime condizioni della tecnica italiana, di usufruire della nostra collaborazione particolarmente in campo navale ed aeronautico. Il Giappone in realtà compie all'estero moltissime forniture militari: attraverso una simile intesa sarebbe intenzione del Governo nipponico di concentrare in Italia tali acquisti e di servirsi anche della esperienza tecnica dei nostri ufficiali specializzati.

Una simile intesa comporterebbe automaticamente anche un patto di «molto, molto favorevole neutralità».

Nel giudizio giapponese simile accordo sarebbe di grande vantaggio per i due popoli. Anche a Tokio si desidera vivamente raggiungere un accordo con l'Inghilterra e si è adesso lieti della più favorevole piega che hanno preso le relazioni tra

154 2 Dei contatti avvenuti tra Ciano e l'ambasciatore Sugimura non si è trovata documentazione. Alcuni accenni sui contatti dell'ottobre-novembre 1937 si trovano in serie ottava, vol. V, DD. 165, 353, 416, 450, 454 e 498. 154 3 All'inizio dell'anno, l'ambasciatore Auriti aveva prospettato la possibilità di effettuare delle forni ture industriali al Giappone, specie di carattere militare (T. 187/4 R. del 9 gennaio) e aveva poi comuni cato che alcune ditte giapponesi si erano dichiarate interessate all'acquisto di materiale militare (TT.

1683/65 P.R. del 15 febbraio e 3083/97 P.R. dell'Il marzo). Successivamente, vi erano stati anche dei contatti in vista dell'acquisto di brevetti italiani per la produzione in Giappone e nel Manciukuò di aerei, sommergibili e carri armati.

193 Roma e Londra. Si ritiene che la sensazione di una solida amicizia tra l'Italia e il Giappone, che venga a completare le già esistenti intese tra Roma e Berlino e Berlino e Tokio, debba esercitare una salutare influenza moderatrice sul Governo di Londra, che sarà richiamato al danno che gli proviene da una collaborazione col sistema bolscevico o bolscevizzante Mosca-Parigi.

Ho ringraziato l'Ambasciatore Hotta della comunicazione che mi faceva e gli ho detto che non avrei mancato di rispondere quanto prima alla cortese lettera che il Ministro degli Esteri aveva voluto dirigermi.

Per quanto concerne la proposta da lui avanzata di una più stretta e concreta collaborazione tra Roma e Tokio, avrei parlato nuovamente con lui dopo avere prospettato il problema al Duce ed averne preso gli ordini. Fin da ora potevo però dirgli che nel Governo e nel popolo fascista è vivo lo spirito di simpatia e di amicizia per il Giappone, il cui leale contegno durante il periodo sanzionista nonché il pronto riconoscimento dell'Impero non potevano essere qui dimenticati. Di tale simpatia è del resto prova evidente il nostro atteggiamento durante l'attuale crisi sino-giapponese.

Sono rimasto d'intesa con l'Ambasciatore del Giappone che riprenderò contatto con lui nei prossimi giorni 4 .

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI GIAPPONESE, HIROTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

Tokio, 3 luglio 1937.

C'est avec la plus grande admiration que j'ai vu comment V otre Excellence, au poste important de Ministre des Affaires Etrangères, a su, avec le Duce, dans des circonstances particulièrement difficilcs de la situation internationale, choisir sans faillir la voie la meilleure pour Son Pays et le mener à des destinées nouvelles.

J'éprouve une profonde satisfaction à pouvoir constater, en reprenant !es fonctions de Ministre des Affaires Etrangères, combien excellentes sont les relations qui existent entre nos deux Nations. Il me paraìt superflu d'indiquer combien cet état de choses est du aux efforts en ce scns de Votre Excellence; de mon c6té, je tiens comme un devoir agréable de travailler à maintenir et accroìtre ces liens d'amitié.

Les relations amicales de culture de nos deux peuples favorisent heureusement leur rapprochement spirituel; il n'existe pas, dans le domaine commerciai, de question particuliérement difficile qui les sépare; de plus, ainsi que Votre Excellence l'a si bien exprimé dans Son discours à la Chambre, ils ont un intérèt commun à se préserver des ravages du communisme et c'est d'ailleurs mon vif désir que nos deux Nations puissent maintenir un étroit contact en vue de collaborer à cette défense. Ces considérations me donnent la conviction que nos relations mutuelles sont appelées à aller en se resserrant toujours davantage.

le saisis l'occasion offerte par l'entrée en ses nouvelles fonctions de l'Ambassadeur

M. Hotta pour exprimer ici ma pensée à V otre Excellence, et je La prie d'agréer en méme temps, avec les assurances de ma très haute considération, mes voeux les meilleurs pour Sa santé.

154 1 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 199-202.

154 4 Per il seguito si veda il D. 389.

155

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

LETTERA PERSONALE 6134. Roma, 31 luglio 1937.

Ti unisco copia della lettera autografa di risposta del Duce a Chamberlain.

La busta contiene anche una traduzione per facilitarne l'immediata lettura. Come vedi, il tono è molto caldo: credo anch'io che ciò abbia grande importanza, in questa prima ripresa di contatti.

Rimane adesso da esaminare, tra noi, qual modo di procedere conviene adottare.

Il Duce pensa che le conversazioni debbano avere luogo a Roma. Ciò è certamente giusto e conveniente. Epoca: dalla seconda metà di agosto in poi. Adesso, o almeno tra breve avranno luogo le manovre. Roma praticamente, si sposta in Sicilia. Converrà attendere il ritorno. D'altra parte, all'accordo pubblico con gli inglesi non è possibile arrivare se non dopo il riconoscimento dell'Impero: non credo che con tutta la sua buona volontà, Chamberlain possa farlo prima che Ginevra non abbia sciolto i singoli governi dall'obbligazione collettiva. Quindi fine settembre. Allora, meglio che adesso, potremo giudicare con qual gesto sarà bene suggellare solennemente la ripresa della vecchia collaborazione.

Intanto conviene esaminare l'agenda delle conversazioni. Noi molti suggerimenti da fare non ne abbiamo: per quanto riguarda il Mediterraneo, l'accordo del 2 gennaio è esauriente o quasi, a meno che non si voglia scendere in problemi specifici. Sarà necessario invece definire con chiarezza i rapporti tra l'Impero e le limitrofe colonie britanniche. Materia da far trattare particolarmente dagli esperti politici e coloniali. Londra dovrebbe mandarci i suoi.

Credo che gli inglesi avranno altri punti da sottoporre all'esame. Radio, propaganda nei Paesi Arabi, armamenti in Libia, forse Palestina, forse Accordo Navale, ecc. 1 . Questioni tutte che potranno essere studiate ed a mio avviso risolte senza trascendentali difficoltà.

Più che nella materia, l'ostacolo era negli spiriti. Se in buona fede ci si mette intorno ad un tavolo, l'accordo può con una certa facilità venire raggiunto. Il primo colpo di vento ha già spazzato molte nubi o, per lo meno, le ha smosse. Il che è già molto quando si pensa all'atmosfera plumbea che, ancora pochi giorni or sono, gravitava sull'Europa.

Ti ho voluto esporre queste mie idee per tua utile conoscenza e per norma d'azione. Resto in attesa di conoscere ogni eventuale suggerimento, aggiunta o proposta.

Ma se concordi, mi pare che potresti cominciare subito ad indirizzare le cose in tal senso.

!55 l Nota del documento: «Si potrà anche parlare, tra le altre forse numerose cose omesse, dell'Arabia e del Mar Rosso».

ALLEGAT02

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, CHAMBERLAIN

LETTERA PERSONALE. Roma, 31 luglio 1937.

L'Ambasciatore Grandi mi ha inviato il Suo cortese messaggio\ e mi ha messo al corrente del molto interessante colloquio che egli ha avuto con V.E. 4 .

La ringrazio vivamente e mi affretto a comunicarLe che è anche mio vivissimo desiderio conoscerLa personalmente ed intrattenermi con lei. Rammento con viva simpatia Sir Austen, la nobiltà del suo animo, la sua intelligenza aperta ed acuta; e serbo profondo ricordo dell'opera svolta con lui nell'interesse dei nostri due Paesi e della ricostruzione politica europea.

Il conte Grandi ha già comunicato a V.E. il mio punto di vista sullo stato attuale e sul possibile sviluppo delle relazioni itala-britanniche. Voglio confermarLe che condivido il giudizio di V.E. Credo anch'io -e sinceramente lo desidero --che sia possibile ricondurre le relazioni tra i nostri due Paesi sul piano di una cordiale e proficua collaborazione. Gli interessi dell'Italia e della Gran Bretagna non sono contrastanti né in Mediterraneo, né altrove. Anzi essi possono costituire, attraverso la loro pacifica coesistenza, un motivo di più attivo incremento allo sviluppo dei nostri rapporti. Se -come V.E. accenna -l'atmosfera è, in alcune zone, ancora oscurata da nubi di infondati sospetti e malintesi, una completa e franca chiarificazione dei reciproci intendimenti varrà certamente e ristabilire quella mutua fiducia sulla quale deve basarsi ogni vitale intesa internazionale.

A tale scopo sono lieto di accogliere l'idea avanzata da V.E. di iniziare delle conversazioni, durante le quali dovranno venire esaminate, in uno spirito di sincera collaborazione, quelle questioni che attendono di essere risolte ai fini di un ritorno all'auspicata intesa itala-britannica.

156

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 347 4/3 J. Bled, 31 luglio 1937 (per. il 2 agosto).

Mi onoro rispondere alla lettera n. 224570/193 del 19 luglio scorso 1 .

Stojadinovié era realmente intenzionato di attuare l'idea di un incontro, del tutto privato, con Vostra Eccellenza, a Venezia, nel corso di questo mese di luglio.

!55 2 La lettera di Mussolini fu portata a Chamberlain dall'ambasciatore Grandi il 2 agosto, accompagnandola con una sua lettera personale e con una traduzione (il tutto è pubblicato in BD, vol. XIX,

D. 81). In proposito, si veda il D. 161. I55 3 Vedi D. 136, allegato. 155 4 Vedi D. 127. I56 1 Ciano aveva scritto di avere ricevuto da Stojadinovié la proposta per un incontro a carattere privato nel prossimo agosto a Venezia ed aveva incaricato il ministro Indelli di comunicare che era d'accordo: a novembre, poi, Stojadinovié avrebbe potuto effettuare una visita ufficiale a Roma in resti tuzione di quella che Ciano aveva fatto a Belgrado nel marzo precedente. Tardando una risposta di Indelli, Ciano l'aveva sollecitata con T. I I 667/179 P.R. del 3 I luglio.

Egli contava, infatti, di chiudere i lavori parlamentari -Concordato compreso -verso il 20 corrente e, prima di venire ad installarsi, come d'uso, a Bled, di fare una breve crociera di riposo in Adriatico, con itinerario da ignorarsi. Nel corso della crociera, contava fare una sosta a Venezia, od in altra località che potesse risultare ugualmente adatta, per incontrarsi con Vostra Eccellenza, a preparazione della visita ufficiale che farà, poi, a Roma.

Gli avvenimenti di questi giorni, peraltro, hanno superato, nel tempo ed in gravità, ogni previsione di Stojadinovié, e lo costringono a modificare i suoi progetti. Farà ugualmente una breve crociera. E ritengo, nelle circostanze attuali, più per ragioni di opportunità che di riposo. Ma quanto all'incontro con V.E. -che non potrebbe, evidentemente, rimanere segreto -Stojadinovié è d'avviso che non convenga, in questo momento, darvi seguito, quando ancora non è del tutto cessata una campagna scatenata contro di lui e contro la sua politica nei nostri riguardi. In tali condizioni, infatti, l'incontro non mancherebbe di suscitare interpretazioni e commenti tendenziosi e dare nuova esca ad una agitazione, che potrebbe pregiudicare, insieme, le reciproche posizioni ed i loro sviluppi nel prossimo futuro.

Effettivamente il colpo menato contro Stojadinovié -fortunatamente assai male organizzato e che col mettere noi direttamente in causa ha rivelato i veri moventi ed i lontani organizzatori -è stato violento e duro ed ha lasciato degli strascichi di rancori e di difficoltà che è, anche per quanto ci concerne, prudente di lasciare al tempo, ed alle misure che Stojadinovié non mancherà di prendere, di eliminare, affinché la crisi passata possa risultare di qualche beneficio.

Nel frattempo, combinerò col Presidente, tenendo presenti le direttive di Vostra Eccellenza, l'epoca della visita ufficiale a Roma2 .

157

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. 1355/149 R. Roma, 1° agosto 1937. ore 2,30.

Telegramma di V.E. n. 235 1 .

Confermo istruzioni precedentemente inviate circa necessità che nostre missioni aeronautica e navale si astengano da qualsiasi partecipazione anche individuale ad operazioni di guerra. Tale atteggiamento che è conforme alle consuetudini internazionali unive,rsalmente riconosciute non deve evidentemente essere interpretato in senso non ~michevole. Eventualità ritiro nostre missioni non è stata finora presa in considerazione 2•

157 2 Si veda per il seguito il D. 160.

156 2 Ciano rispondeva con T. per corriere 1378 R. del 6 agosto di rendersi conto benissimo che i fatti sopravvenuti di recente in Jugoslavia sconsigliavano un incontro, sia pure privato, con Stojadinovié, ma che restava fissata la visita ufficiale di Stojadinovié a Roma in novembre.

157 l Vedi D. 140.

158

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 5324/668 R. Londra, JD agosto 1937, ore 2.58 (per. ore 7,30).

Ambienti francesi Londra sono, come era da attendersi, stupiti ed irritati per volontà chiaramente e pubblicamente dimostrata da Chamberlain di una riconciliazione con Italia.

Da martedì u.s., non appena cioè è stata conosciuta mia conversazione con primo ministro I, questa ambasciata di Francia, su urgenti istruzioni da Parigi, sta esercitando ogni sorta di pressione per dissuadere e ostacolare governo britannico dal proseguire su strada indicata da Chamberlain.

A tale scopo governo francese, mentre cerca agire direttamente su Eden e Vansittart, svolge azione sobillatrice sull'opposizione e sulle corren-ti antifasciste. Prova evidente è dibattito che ha avuto luogo ieri Camera dei Comuni nel quale Attlee e Lloyd George (candidato preconizzato Fronte Popolare francese come futuro capo del Fronte Popolare britannico), hanno tentato strappare governo impegno che in nessuna circostanza sarà riconosciuto Impero italiano e concesso Franco diritti di belligerante senza preventiva consultazione Parlamento.

Eden ha cercato evadere richiesta dichiarando che governo non (dico non) intende prendere a tale riguardo alcun minimo impegno alla Camera dei Comuni.

Ciò nonostante pressioni da Parigi continuano. Mi risulta da fonte confidenziale che, mentre Blum cerca direttamente di agire sui laburisti, Delbos ha inviato ripetuti messaggi personali a Eden per fargli presente che riconciliazione dell'Inghilterra coll'Italia rischierebbe di compromettere l'intesa cordiale fra Parigi e Londra, e che carta riconoscimento Impero Etiopico deve essere tenuta sospesa indefinitamente per negoziarla in cambio disinteressamento italiano in Spagna.

Questa idea di Delbos trova fautori, come tu sai, nello stesso Foreign Office. Mi risulta inoltre che Delbos, allo scopo di dimostrare pretesa malafede dall'Italia, avrebbe rimesso confidenzialmente Eden copia del documento segreto secondo Il quale il Duce avrebbe posto recentemente a Hitler quesito circa attitudine della Germania nell'eventualità di una guerra fra Italia e Inghilterra.

lo sto svolgendo ogni possibile azione per controbattere offensiva francese, tendente paralizzare indirettamente iniziativa Chamberlain.

Tutto quello che Duce e V.E. crederanno di fare per dimostrare Chamberlain che l'Italia va incontro sua iniziativa, varrà a rinsaldare sua autorità e lo incoraggerà proseguire, anche contro pareri contrari, sulla via prescelta.

158 l Vedi D. 127.

159

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 1357/308 R. Roma, 2 agosto 1937, ore l1,30.

Tuo telegramma n. 663 1 .

Accogliendo suggerimento, farò brevi dichiarazioni alla stampa in risposta al discorso di Eden e sullo stato attuale dei nostri rapporti con l'Inghilterra 2 . Il 19 corrente, a Palermo, il Duce pronuncerà un grande discorso di tono moderato e chiarificatore.

Di ciò puoi già dare riservata comunicazione agli inglesi.

160

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5387/237 R. Shanghai, 2 agosto 1937, ore 18 (per. ore 6 del 4).

Telegrammi di V.E. n. 147 e 149 1•

Ho comunicato personalmente stamane alla signora Chiang Kai-shek disposizioni relative alla posizione della nostra missione militare raccomandando confidenziamente la massima discrezione ed abilità nei contatti reciproci, nelle attuali sempre più delicate circostanze. Signora ha apprezzato assai l'amichevole atteggiamento del governo e mi ha chiesto trasmettere a V.E. vivi ringraziamenti suoi e del Generalissimo.

Sarà mia cura sorvegliare che opera missioni e loro rapporti con autorità cinesi si svolgano in modo da non crearci imbarazzi con il Giappone.

161

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE SEGRETO 5386/0237 R. Londra, 2 agosto 1937 (per. il 3).

Non appena avuto stamane notizia telegrafica che il corriere portante la lettera di risposta del Duce a Chamberlain 1 sarebbe giunto a mezzogiorno a Londra,

mi sono messo in contatto con gli uffici del Primo Ministro a Downing Street, dai quali sono stato informato che Chamberlain sarebbe stato a Londra alle ore 13, proveniente dalla sua villa di Chequers, per proseguire alle ore 18 per la Scozia. Ho domandato allora che il Primo Ministro non appena arrivato, fosse informato della mia comunicazione, pregandolo di farmi conoscere in quale modo egli gradiva gli fosse recapitata la lettera del Duce. Poco dopo l'arrivo di Chamberlain, Downing Street ha comunicato che il Primo Ministro avrebbe gradito che mi recassi io stesso personalmente a consegnargli la lettera del Duce e che mi aspettava alle ore 15,15 a Downing Street.

Chamberlain ha aperto la lettera leggendo attentamente l'autografo del Duce. Poi ha letto lentamente la traduzione inglese, scusandosi che la sua sommaria conoscenza della lingua italiana Io costringesse a integrare la lettura dell'autografo con quella della traduzione. Dopo di avere di nuovo riletto autografo e traduzione mi ha detto: «La risposta del Duce al mio messaggio non poteva essere più amichevole e più cordiale. Desidero voi gli diciate che gli sono molto grato, e che terrò questa sua lettera come un ricordo prezioso della nostra personale amicizia e come il migliore sicuro augurio che dai nostri scambi di idee diretti e personali verrà un grande giovamento, non solo per l'Inghilterra e l'Italia, ma anche all'Europa intera. Quando questa lettera del Duce sarà conosciuta essa non potrà se non fare un grandissimo bene, non solo in Inghilterra ma anche nel mondo». Chamberlain mi ha quindi domandato se io potevo dirgli quali erano le intenzioni del Duce circa l'inizio di conversazioni fra Roma e Londra.

Ho risposto a Chamberlain che io stesso mi ero permesso di suggerire al mio ministro degli Esteri che tali conversazioni abbiano luogo a Roma. A prescindere da ogni altra maggiore e più importante considerazione, ragioni di carattere pratico e la presenza ininterrotta in Roma del conte Ciano nel mese di agosto consigliavano di scegliere la sede di Roma come la più giusta e conveniente.

Chamberlain ha detto che egli, in massima, non vedeva obiezioni e mi ha domandato quale epoca il Duce e il conte Ciano indicavano per l'inizio di tali conversazwm.

Ho detto, nella seconda metà di agosto.

Chamberlain ha risposto che ne avrebbe parlato stasera stesso, prima di partire, con Iord Halifax, il quale sostituisce al Foreign Office, per il mese d'agosto, Eden assente. In massima Chamberlain era d'accordo.

Ho aggiunto che ciò sarebbe stato comunque oggetto di esame tra il ministro Ciano e Drummond. Ho comunicato a questo punto a Chamberlain che, in relazione a quanto Eden mi ha fatto presente venerdì scorso, 30 luglio2 , da parte di Chamberlain, ero in grado di poterlo assicurare che il conte Ciano, accogliendo il desiderio espresso, si riprometteva in uno dei prossimi giorni di fare delle brevi dichiarazioni alla stampa internazionale, le quali rispondessero a quelle fatte dal Segretario di Stato Eden alla Camera dei Comuni il 19 luglio3 . Ero anche in grado di informare Chamberlain che il Duce stesso si riprometteva in un grande discorso, che egli avrebbe tenuto a Palermo alla conclusione delle nostre prossime manovre

in Sicilia, di fare egli stesso dei riferimenti cordiali ed amichevoli diretti a migliorare sempre più un'atmosfera politica fra i nostri due Paesi.

Chamberlain mi ha risposto che egli apprezzava particolarmente questa comunicazione e mi pregava di ringraziare il Duce e il conte Ciano. Non vi è dubbio che la parola del Duce e le dichiarazioni del conte Ciano avrebbero avuto un peso considerevole per accelerare il movimento nella opinione pubblica inglese in favore di un definitivo chiarimento della politica britannica verso l'Italia. Chamberlain mi ha accennato a questo punto se potevo dirgli qualcosa su quelle che erano le intenzioni del Duce circa una ripresa di contatti fra le quattro Potenze occidentali già firmatarie del vecchio Patto di Locarno.

Ho creduto di poter rispondere che il Duce è sempre stato in favore di una collaborazione, su un piano concreto e realistico, fra le quattro Grandi Potenze occidentali e che un'iniziativa diretta a questo obiettivo avrebbe avuto senza dubbio il suo favore e il suo appoggio.

Il discorso a questo punto è caduto su talune pubblicazioni dei giornali di stamane, particolarmente dal Daily Telegraph, Times, e Morning Post, i quali accennano a possibili incontri tra Segretario di Stato britannico e ministro degli Esteri italiano, e ad una visita di Eden a Roma e una del conte Ciano a Londra. lo ho creduto opportuno, in un modo molto vago e generico, di non escludere con Chamberlain queste possibilità per il futuro.

Sempre in materia di pubblicazioni giornalistiche ho richiamato l'attenzione di Chamberlain su un breve passaggio nell'articolo comparso stamane nella Morning Post in cui, dopo avere elogiato Chamberlain per la sua politica di amicizia verso l'Italia e dopo avere detto che senza dubbio Chamberlain desidera risolvere al più presto e una volta per tutte, la questione di riconoscimento della sovranità italiana in Abissinia, il giornale continua dicendo che non debbono essere sottovalutate le difficoltà per raggiungere a Ginevra la soluzione desiderata. Ritornando su quello che era stato il punto centrale della nostra conversazione di martedì scorso 4 , ho dichiarato a Chamberlain che il successo della sua iniziativa e l'avvenire delle relazioni italo-britanniche dipendevano da un .fàtto pregiudiziale ed assoluto: la soluzione senza ulteriori indugi del problema del riconoscimento dell'Impero italiano. Come gli avevo spiegato martedì scorso, l'Italia non poteva credere sul serio che, il governo britannico, il quale aveva preso l'iniziativa di abolire le sanzioni e di riconoscere di fatto l'Impero, avesse bisogno adesso di una decisione ginevrina che lo disincagliasse da quella che i societari inglesi chiamano «responsabilità collettiva». Con Ginevra o senza Ginevra questa questione deve essere risolta in linea pregiudiziale. Credevo necessario di mettere in guardia Chamberlain sin d'ora contro i tentativi che indubbiamente saranno fatti, dentro e fuori l'Inghilterra, durante queste settimane che ci separano da Ginevra, per dare vita alle vecchie manovre che hanno preceduto l'Assemblea straordinaria del mese di giugno. Si disse allora che l'Inghilterra non poteva prendere alcuna iniziativa ma che avrebbe appoggiato qualsiasi iniziativa che fosse presa da una piccola Potenza; che una soluzione sarebbe stata facile se l'ex Imperatore di Etiopia avesse mandato una delegazione, ma assai difficile se egli si fosse astenuto, ecc., ecc. Cominciano -ho continuato

-già a profilarsi all'orizzonte le stesse manovre. L'iniziativa ci fu, a Ginevra, nel giugno scorso, e non da parte di una piccola Potenza, bensì da parte della Polonia 5 ma questa iniziativa non venne ripresa da nessuno, e tanto meno -malgrado le assicurazione date -dal rappresentante britannico. Essa cadde nel vuoto. D'altra parte, nessuno potrà mai convincere il popolo italiano che l'Inghilterra, la quale ha apertamente preso l'iniziativa per l'applicazione delle sanzioni a Ginevra e l'iniziativa fuori di Ginevra della abolizione delle sanzioni medesime e del riconoscimento «di fatto» dell'Impero, ha adesso bisogno, ad un tratto, di «un atto di coraggio» da parte di una piccola Potenza. Se ci si rimette su questa strada, è finita prima di cominciare. Occorre quindi che egli, Chamberlain, sorvegli attentamente la situazione durante queste settimane che precedono l'Assemblea di Ginevra.

Chamberlain mi ha risposto che egli si rendeva conto di quanto io gli dicevo e della necessità di risolver~, senza ulteriori indugi, il problema del riconoscimento della sovranità italiana in Abissinia, provocando a Ginevra una decisione mediante la quale l'Abissinia fosse dichiarata «estinta» e conseguentemente i vari Paesi membri della Lega liberi di procedere, nel modo che essi ritengono più opportuno, direttamente con l'Italia. Chamberlain non intendeva con ciò prendere sin d'ora un impegno formale con me, in quanto che Chamberlain ha aggiunto «pur desiderando continuare a intervenire direttamente nella trattazione dei problemi internazionali ogni qua/volta, come nel caso presente, io ritenga il mio intervento utile e necessario, pure desidero che il Segretario di Stato per gli Affari Esteri mantenga la sua competenza e la sua responsabilità» ma tuttavia Chamberlain desiderava assicurarmi che egli considerava il problema come il problema centrale da risolversi, e che egli avrebbe agito nel modo più efficace per una rapida e pronta soluzione. Con pari franchezza Chamberlain desiderava farmi presente un altro aspetto importante e delicato, al quale era stato soltanto accennato indirettamente nella conversazione di martedì scorso.

Intendo riferirmi alla Francia. Come il Duce non avrà potuto fare a meno di rimarcare, la mia iniziativa per un chiarimento definitivo dei rapporti itala-britannici e l'invio del mio messaggio al Duce, hanno determinato in Francia uno stato d'animo di nervosismo e di preoccupazione che io non esito a definire (l'ho detto coi francesi e ripeto anche a voi) assolutamente ingiustificato. Io voglio assolutamente intendermi con l'Italia. Questo l'ho dichiarato ai francesi, aggiungendo nello stesso tempo che il ristabilimento di rapporti di amicizia e di cooperazione con l'Italia non significa affatto un allentamento dei rapporti di amicizia e collaborazione con la Francia. Il Duce non mi ha mai domandato questo (né ritengo egli abbia in animo di domandarmi) di considerare una ripresa di amichevoli rapporti con la Gran Bretagna come destinati ad indebolire i rapporti esistenti fra Londra e Parigi. Ho assicurato i francesi, ma essi continuano a insistere adducendo come pretesa «prova» di quelli che sarebbero, secondo loro, gli obiettivi italiani, il rincrudirsi della campagna di stampa italiana contro la Francia particolarmente in questa ultima settimana e l'interpretazione che, secondo i francesi, alcuni giornali italiani darebbero all'iniziativa britannica di una conciliazione definitiva con l'Ita

lia, rappresentando quest'ultima come un mezzo in mano dell'Italia per indebolire la solidarietà fra Londra e Parigi. Tutto ciò è assurdo ma il Duce conosce come sono fatti i francesi. Io vorrei domandare al Duce di considerare se egli potesse, almeno in questo periodo delicato che deve precedere la fase decisiva delle nostre conversazioni, dare istruzioni perché la stampa italiana diminuisca, per quanto possibile, la sua attitudine polemica nei riguardi della Francia, attitudine polemica assai presumibilmente provocata dall'attitudine polemica dei giornali francesi contro l'Italia. Ma ciò mi aiuterebbe molto per tenere tranquilli i francesi, almeno per un po' di tempo e per mostrare loro come infondati sono i loro nervosismi e i loro timori.

Ho risposto a Chamberlain che avrei trasmesso testualmente queste sue parole al Duce e al conte Ciano. Ho creduto di poter essere autorizzato a dichiarargli, a mia volta, che il Duce, nell'accettare di buon grado l'idea di un chiarimento definitivo dei rapporti fra Italia e Inghilterra, tutto aveva in mente fuorché quello di indebolire o allentare quelli che sono gli attuali rapporti fra l'Inghilterra e la Francia. La politica fascista non ha mai fatto, e tanto meno fa oggi, dei cakoli ambigui. Il Duce non domanda affatto all'Inghilterra di modificare i suoi rapporti con la Francia allo stesso modo come voi, Chamberlain, -ho continuato -non domandate al Duce, né potreste domandargli, di modificare quelli che sono i nostri attuali rapporti con la Germania. Il nostro modo di considerare i rapporti con gli Stati è ben diverso da come lo considerano i francesi. L'amicizia fra Londra e Parigi non esclude affatto, secondo noi, l'amicizia fra Londra e Roma; così come l'amicizia fra Roma e Berlino non esclude affatto l'amicizia fra Londra e Berlino. La politica del Duce è una politica d'intesa fra le quattro Grandi Potenze dell'Occidente. Questa intesa è l'unico mezzo per garantire, almeno per un certo tempo, la pace sul continente auropeo. Di questa intesa fra le quattro Grandi Potenze la conciliazione definitiva fra l'Italia e l'Inghilterra è un elemento essenziale, vorrei dire, di pregiudiziale necessità.

Vi sono del resto i dieci anni di collaborazione italo-britannica dal 1925 al 1935 che stanno a dimostrare come l'Italia fascista intende questa collaborazione italo-inglese, e cioè come una comune azione regolatrice e moderatrice di tutta la politica europea. La politica estera della Francia in questo momento non è la politica estera di una Nazione e di uno Stato, bensì la politica estera di un partito, del Fronte Popolare Socialista, il quale ha un solo obiettivo specifico: la «crociata» delle democrazie e dei regimi social-comunisti contro il fascismo. Se l'intesa fra Londra e Parigi divenisse, così come palesemente lo vogliono i francesi, una intesa politica operante, direttamente o indirettamente, contro i regimi autoritari, è evidente che in questo caso un'intesa fra Roma e Londra non potrebbe sussistere accanto all'intesa Londra-Parigi. Su questo punto credo occorra essere ben chiari. Ogni tentativo fatto dal governo del Fronte Popolare francese a Londra, diretto a introdurre nella politica comune del governo britannico e del governo francese degli elementi di quella che è la lotta astiosa del Fronte Popolare francese contro il fascismo, non può mancare di suscitare in Italia legittimi sospetti e ritardare di conseguenza la chiarificazione degli stessi rapporti anglo-italiani.

Chamberlain mi ha ascoltato attentamente e mi ha detto: «Credo che voi abbiate esposto la situazione in un modo chiaro ed esatto. Ho parlato chiaro e parlerò ancora più chiaro ai francesi: l'intesa fra Londra e Roma non nasconde e non potrebbe nascondere nulla di cui i francesi abbiano motivo di preoccuparsi.

Per quanto riguarda l'intesa tra Roma e Berlino desidero nel modo più esplicito dichiarare al Duce che io non solo non considero l'asse Roma-Berlino in contrasto con quella che io spero essere ben presto la nuova intesa ji·a Roma e Londra, ma bensì considero l'asse Roma-Berlino come un contributo decisivo in quella che dovrà essere, nel pensiero del Duce e mio, un'intesa europea sul piano di un Accordo fra le grandi Potenze occidentali. Sono anche d'accordo col Duce su quello che egli pensa circa la politica di partito in Francia. Desidero assicurare il Duce che il governo britannico è amico della Nazione francese, ma ciò non vuoi dire affatto che esso condivida e tanto meno appoggi la politica del Fronte Popolare. Su ciò potrei dire molto di più, ma credo che sia superfluo».

A questo punto è finito il mio colloquio con Chamberlain che è durato esattamente quarantatre minuti.

Alla fine del colloquio, prima di congedarci, Chamberlain mi ha ripetuto che egli era particolarmente soddisfatto del come le correnti politiche responsabili e il popolo britannico avevano accolto la sua iniziativa di martedì scorso.

Gli stessi avversari del governo conservatore e del fascismo erano stati costretti (sia pure senza rinunciare a creare difficoltà, come dimostrano gli attacchi di Lloyd George e di Attlee di giovedì scorso ai Comuni ed i tentativi che indubbiamente saranno fatti) a prendere atto dell'accoglienza fatta dal popolo inglese, e dalla nuova atmosfera che si è immediatamente determinata nella scorsa settimana.

Dalla Scozia, ha detto infine Chamberlain, io continuerò a mantenermi in stretto contatto con Downing Street e col Foreign Office, e ad agire direttamente perché tale atmosfera sia mantenuta, e perché le nostre prossime conversazioni possano così svolgersi, come spero, senza grandi difficoltà. Sono certo che il Duce da parte sua farà del suo meglio nella stessa direzione.

Ho detto a Chamberlain che poteva di ciò essere certo. «Dite ancora al Duce che gli sono grato della sua lettera, e che spero un giorno dirgli ciò a voce».

159 l Vedi D. 152. 159 2 Vedi D. 168, nota l. 160 1 Vedi DD. 144 e 157. 161 l Vedi D. 155, allegato.

161 2 Vedi D. 152. 161 l Vedi 110, nota 3.

161 4 Vedi D. 127.

161 5 Riferimento alla dichiarazione del delegato polacco all'Assemblea della Società delle Nazioni nella seduta del 26 maggio (vedi serie ottava, vol. VI, D. 640).

162

IL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE SEGRETO 5671/02 R. Gedda, 2 agosto 1937 (per. il 18).

A complemento mio telegramma in data odierna n. 93 1 , ho l'onore di comunicare che Principe Ereditario Saud e S.E. Yussuf Yassin giunsero qui ieri con piroscafo della Khedil'ial Mai! C di ritorno dalle feste incoronazione Re d'Inghilterra.

Contemporaneamente mi venne rimessa da un segretario di questo ministero Esteri lettera personale S.E. Fuad Hamza in risposta mia lettera personale, cui feci

cenno nel mio telegramma a V.E. n. 87 2 . S.E. Fuad Hamza mi comunicava essere costretto rimanere Riad fin dopo arrivo colà Principe Ereditario Saud e che Re Ibn Saud, non volendo ritardare conversazioni tra suo rappresentante e me, sia per trattazione questione pendente (fornitura armi), sia «per gravi novità sorte nei Paesi arabi», aveva inviato istruzioni a S.E. Yussuf Yassin avere colloquio con me appena sbarcato Gedda. Infatti, pomeriggio ieri stesso ebbi lunghissimo colloquio con S.E. Yussuf Yassin.

Trattai questione fornitura armi e eventuale visita personale S.E. Gasparini a Sua Maestà Ibn Saud, come ho riferito oggi stesso con separati telegrammi.

Illustrai nostra politica verso Saudia e in generale verso Paesi arabi, in conformità direttive contenute telegramma di V.E. n. 623 (mantenimento pace e conservazione statu quo entro quadro fratellanza araba, nonché rispetto indipendenza, sovranità e integrità territoriale Saudia e Yemen).

Esposi recente attività Gran Bretagna nell'Hadramaut e portata recente decreto governo britannico che estende frontiera Protettorato Aden e trasforma praticamente detto Protettorato in territorio coloniale britannico e, in conformità istruzioni telegramma V.E. n. 81 4 , feci risaltare contrasto fra politica inglese e quella italiana scrupolosamente conforme direttive illustrate come sopra. Accennai voce corsa che ministro inglese a Gedda nel suo recente viaggio a Riad avesse chiesto Re lbn Saud privilegio su costa Golfo Persico (Ras Tannura) e aggiunsi, in conformità istruzioni telegramma di V.E. n. 75 5 , che se predetta richiesta fosse stata effettivamente fatta, governo italiano appoggerebbe atteggiamento di opposizione che sarebbe assunto da governo saudiano.

S.E. Yussuf Yassin, che aveva sempre seguito con segni di comprensione e compiacimento quanto io andavo esponendo, si mostrò molto soddisfatto per mia finale dichiarazione e mi ringraziò vivamente.

Cominciò allora a dirmi che al suo sbarco a Gedda aveva trovato istruzioni del suo Sovrano di continuare con me il discorso fattomi poco dopo il mio arrivo in questa sede e che io riferii a V.E. con rapporto segreto n. 3 in data 14 aprile

u.s. 6 . Premetteva, a titolo di semplice informazione, che durante il suo recente viaggio in Europa avrebbe voluto tenersi in contatto con i capi delle missioni diplomatiche italiane a Londra e a Parigi, ma non vi riuscì perché due inviti (a pranzo ed a tè) rivolti al R. ambasciatore a Londra ed un invito a pranzo rivolto al R. ambasciatore a Parigi non poterono essere accettati.

Ricordando che, specialmente in seguito alla conversazioni che nel maggio 1935 S.E. Fuad Hamza ebbe a Roma con S.E. il Capo del Governo 7 , il governo saudiano sentiva di poter contare sulla benevola assistenza del governo italiano,

S.E. Yussuf Yassin, per tassative istruzioni ricevute da Riad, mi pregava di segnalare con la maggiore segretezza e urgenza le seguenti quattro domande che egli stesso dettò, leggendole dalle istruzioni ricevute, al mio interprete cavalier Dafer, che le trascrisse direttamente in arabo.

162 3 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 657. 162 4 Vedi D. 79. 162 s Vedi D. 31. 162 6 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 463. 162 7 Vedi serie ottava, vol. I, D. 262.

Ad ogni buon fine, ripetè le predette quattro questioni già da me comunicate, nella traduzione letterale, con telegramma odierno indicato in principio:

l. quale sia la politica permanente che l'Italia intende seguire rispetto ai Paesi arabi (a mia domanda, specificò trattarsi Palestina, Libano, Siria, Transgiordania, Irak, Saudia e Yemen):

2. -quale sia la politica reale dell'Italia rispetto alla spartizione della Palestina tra arabi ed ebrei. Non vedrebbe l'Italia un pericolo futuro nella creazione di uno Stato ebraico, sulla sponda orientale del Mediterraneo'? 3. -fino a quale punto gli arabi possono contare sull'appoggio dell'Italia, materialmente e moralmente: 4. -quali assistenze e quali appoggi potrebbe l'Italia fornire in caso di bisogno c di necessità.

Gli chiesi subito che cosa il governo saudiano offriva come contropartita, ed egli, dando l'impressione di essere privo di istruzioni in proposito, mi rispose, dopo avere riflettuto un po', che l'influenza dell'Italia ne risulterebbe accresciuta e che naturalmente il nostro governo potrebbe avanzare delle richieste.

S.E. Yussuf Yassin mi diceva in via confidenziale risultargli in modo sicuro che la Gran Bretagna ha favorito la politica della Turchia in Siria e nell'Irak, a danno dei Paesi arabi, per attirarla a sé contro l'Italia. Esprimeva inoltre inquietudine per eventuale ulteriore sviluppo influenza turca che Inghilterra favorisce neli'Irak. Egli aggiungeva che S.M. fbn Saud é il capo riconosciuto di tutti gli arabi, non solo nello Stato saudiano, ma anche negli altri Stati arabi. Per quanto i suoi rapporti con la Gran Bretagna siano tuttora ottimi, pure egli, tenendo principalmente presente l'azione da essa svolta per la spartizione della Palestina, è costretto a prepararsi per trovare una soluzione favorevole agli interessi arabi di cui egli si considera capo, nel mentre si ritiene in grado di far prevalere la sua direttiva in tutti i Paesi arabi.

A mia domanda come gli altri Sovrani arabi vedrebbero una simile azione del Re Jbn Saud, S.E. Yussuf Yassin rispose che per I'Irak poteva bastare l'esplicita dichiarazione fatta dal Presidente del Consiglio, mentre per la Transgiordania rilevò sarcasticamente essere insignificante qualsiasi atteggiamento emiro Abdallah.

162 1 T. 5372/93 R. del 2 agosto. Riferiva in forma più sintetica su l'argomento oggetto del presente documento (il telegramma ha il visto di Mussolini).

162 2 Vedi D. 79, nota 2.

163

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

LETTERA PERSONALE 6154. Roma, 2 agosto 1937.

Come ti ho detto pe1 telefono, ti mando copia di una lettera pervenutami dal Ministro degli Affari Esteri del Giappone nonché copia del colloquio che io ho avuto col nuovo Ambasciatore Hotta 1•

Ne rileverai immediatamente l'alto interesse. Intanto per chi, come me, conosce da vicino i giapponesi, è certamente motivo di orgoglio vedere che essi tengano in così alta valutazione le nostre virtù militari: argomento del quale veramente si intendono. Ma a parte tali considerazioni, il valore politico dell'offerta che ci viene dal Giappone è naturalmente di prim'ordine per quanto concerne il nostro sistema di amicizia e di alleanza nel mondo. È vero che adesso il cielo sembra rischiararsi, ma in ogni modo le precauzioni non sono mai superflue e una salda amicizia in Estremo Oriente conta in ogni eventualità. Compresa quella che tu ben capisci, che intendiamo evitare, ma che non possiamo in ogni caso considerare scongiurata per sempre.

È in base a queste considerazioni che il Capo mi ha ordinato di marciare. Programma: accordo antibolscevico pubblico; Patto segreto di neutralità molto favorevole in tutti i casi e di consultazione in alcuni casi specifici; Patto segreto di collaborazione tecnico-militare.

lo ho l'impressione che coi giapponesi, specialmente nella situazione attuale dell'Estremo Oriente, si possa concludere molto rapidamente. Ma ti domando: dato che le conversazioni con l'Inghilterra stanno per cominciare, credi che convenga condurre le due cose contemporaneamente? Potrebbe, secondo quanto ritiene il Giappone, la prospettiva di una intesa con l'Impero del Sol Levante spingere sempre più gli inglesi verso di noi o non potrebbe invece produrre un fenomeno di irrigidimento quasi sotto una nuova minaccia? Io direi di no. L'accordo col Giappone aumenta a dismisura la nostra forza e, secondo quanto tu hai sempre affermato, e infatti confermato, niente come la forza rende malleabili i tuoi padroni di casa. Comunque prima di marciare, o meglio, per ben stabilire la velocità con cui marceremo -dato che di marciare abbiamo deciso -vorrei conoscere il tuo giudizio in merito 2 .

163 1 Vedi D. 154 e allegato.

164

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 5373/64 R. Roma, 3 agosto 1937 (per. stesso giorno).

Mio telegramma per corriere del 30 luglio scorso n. 621 .

Monsignor Antoniutti incontra difficoltà per espletare la sua missione, sia da parte del generale Franco, che del cardinale Gomà. Quest'ultimo vede nel monsi

164 1 T. 5284/62 R. del 30 luglio; comunicava che monsignor Antoniutti era potuto entrare in Spagna e si trovava a Pamplona presso il cardinale Gomà. In precedenza, l'ambasciatore Pignatti aveva telegra fato (T. 5281/61 R. del 28 luglio) che monsignor Antoniutti era fermo alla frontiera perché il generale Franco gli rifiutava il permesso di ingresso allegando il fatto che la Santa Sede non aveva rotto i rapporti con il governo di Valencia.

gnore italiano l'occhio diretto della Santa Sede nelle cose di Spagna ed è naturale che gli dispiaccia. Ciononostante monsignor Antoniutti è riuscito a partire per Bilbao, ma teme che non lo lasceranno tranquillo.

Il cardinale Pacelli doveva mettere stamane al corrente il Papa della situazione e prenderne gli ordini.

163 2 Per la risposta si veda D. 178.

165

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND

LETTERA PERSONALE 6220. Roma, 3 agosto 1937.

Le mando copia di un'intervista che ho dato al corrispondente in Roma dell'Universal News Service. L'intervista è stata data su suggerimento fattomi pervenire a mezzo di Grandi dal Ministro Eden 1 allo scopo di far risultare pubblicamente l'accoglienza che hanno avuto in Italia le sue recenti dichiarazioni e lo scambio di lettere che è testè avvenuto fra il Duce ed il Primo Ministro Chamberlain 2 .

P.S. -L'intervista apparirà, all'estero, domattina e in Italia nei giornali del pomenggw.

ALLEGATO

In data 4 agosto S.E. il Ministro degli Affari Esteri, Conte Galeazzo Ciano, ha dato al corrispondente dell' Universal News Service in Roma, Frank Gervasi, una intervista, nel corso della quale ha fatto le seguenti dichiarazioni:

-Che cosa può dirmi, Eccellen::a, sulle attuali relazioni anglo-ita!iane 7 -Credo che si sia fatto un grande passo innanzi verso una chiarificazione dell'atmosfera tra i due Paesi, e, ciò che è ancora più importante, verso l'eliminazione delle diffidenze e dei sospetti reciproci. L'opinione pubblica italiana è stata assai favorevolmente impressionata dai recenti franchi discorsi dei Ministri Eden e Duff Cooper. Tali discorsi hanno preparato il terreno all'importantissimo scambio di lettere tra il Duce e Chamberlain, lettere che iniziano una nuova fase nelle relazioni tra i due Stati, sopratutto perché la strada è ora sgombra per consentire l'esame dei mezzi atti a riportare le relazioni tra Inghilterra e Italia sul piano della vecchia amicizia.

-Considera V.E. il ((gentlemen's agreement» ancora in vigore?

-Concordo col Ministro Eden nel considerare il gentlemen's agreement in pieno vigore. L'accordo del gennaio scorso non copriva tuttavia alcuni elementi delle relazioni itala-britanniche che furono lasciati nell'ombra. La chiarificazione, verso la quale noi dobbiamo ora tendere, deve tener conto di tutti i punti di frizione ed essere totalitaria in modo da rendere possibile il raggiungimento di un accordo completo.

165 2 Vedi DD. 136, allegato e 155, allegato.

-Che cosa separa l'Italia e la Gran Bretagna? -Ostacoli fondamentali o zone di contrasto, che sbarrino la strada ad un ravvicinamento anglo-italiano non esistono. Parecchi elementi e fattori che hanno gravemente inciso sulle relazioni tra i due Stati, non avrebbero pesato così gravemente o avrebbero potuto essere con facilità rimossi, se tra le due Nazioni fossero esistite confidenze e fiducia reciproche. A mio avviso, le difficoltà che hanno ostacolato, nei mesi scorsi, una mutua intesa, sono piuttosto d'ordine psicologico anziché materiale. Questa realtà va tenuta presente quando si discuta della relazioni anglo-italiane.

-Alla luce di quanto Ella ha detto, crede V. E. possibile una intesa fra Italia e Inghilterra? -I fatti che sono venuto esponendo mostrano chiaramente che tanto da parte italiana, quanto da parte britannica, esiste oggi la sincera volontà di giungere ad una intesa. Quando tra Stati, come tra privati, esiste la buona volontà, metà della battaglia è vinta. Tanto più che le due parti si sono dichiarate d'accordo nel riconoscere che gli interessi dell'Italia e della Gran Bretagna nel Mediterraneo ed altrove non sono contrastanti tra di loro, ed anzi sono complementari.

-Quali saranno gli effetti di un riavvicinamento anglo-italiano sulla situazione generale europea e particolarmente sulle relazioni itala-tedesche?

-In ragione della sua stessa natura, il ristabilimento di relazioni amichevoli tra lnghiltera ed Italia e la ripresa della loro cordiale cooperazione non è, e non potrebbe essere, rivolta contro alcun altro Stato. Il riavvicinamento anglo-italiano introdurrebbe un nuovo elemento di stabilità per il mantenimento della pace europea. Né l'amicizia itala-tedesca sarebbe in alcun modo toccata da un'intesa tra Roma e Londra. Al contrario: uno dei capisaldi dell'asse Roma-Berlino è appunto la cooperazione tra tutte le Nazioni che desiderano collaborare nel supremo interesse della pace e della civiltà.

165 1 Vedi D. 152.

166

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 3748. Berlino, 3 agosto 1937 1 .

Con la mia ufficiale del 28 luglio u.s. n. 3645/12092 io mi sono permesso di prospettare una serie di circostanze di fatto che mi fanno ritenere come poco opportuno, in questo momento, un nostro tentativo di mediazione in fatto di rapporti fra Germania e Vaticano. Aggiungo qui qualche ulteriore notizia di carattere più riservato.

Premetto che io ho potuto parlare della questione, ripetutamente, ma con il solo Weizsacker -direttore di tutti gli affari politici dell'Auswartiges Amt -il quale però oltre che essere in questo momento il più alto gerarca presente, è anche la persona di fiducia di Neurath e senza dubbio la migliore testa del ministero.

Il Weizsacker, che, tempo fa, fu lui stesso a sollevare con me la questione dei rapporti tedesco-vaticani, riconosce che se un governo c'è il quale possa, quando

166 I Manca l'indicazione della data di arrivo. 166 2 Vedi D. 134.

che sia, intervenire amichevolmente in materia, questo è solo l'italiano. Egli riconosce peraltro che questo intervento dovrebbe: a) verificarsi in un momento il più possibile opportuno; b) essere esercitato per tramiti «straordinari». In altri termini, Weizsacker ritiene che l'azione di cui si tratta potrebbe essere utilmente esercitata solo a «fine settembre».

Ho detto a Weizsacker che convenivo con lui su entrambi i punti. Però, fra adesso e «fine settembre» c'è di mezzo il Congresso di Norimberga. Bisogna evitare che questo congresso crei, proprio nella questione in oggetto, un «fatto compiuto». Weizsacker ha trovato la mia osservazione giustissima e mi ha assicurato che ne riferirà a Neurath, perché questi -nei limiti in cui può -cerchi di prevenire questo pericolo.

Frattanto, prendendo occasione dall'articolo dell'Angriff di cui a tuo telecorriere del 27 luglio3 ho anche insistito per una tregua di stampa. Anche per questo -nella particolare materia in questione -i poteri dell' Auswartiges Amt sono molto limitati. Comunque sta in fatto che, da una settimana a questa parte, gli attacchi di stampa sono molto diminuiti.

Aggiungo che, se, frattanto, il Vaticano trovasse un qualunque modo non dico per sconfessare il Cardinale Mundelein 4 -perché a questo nessuno pensa ma per dissociare la responsabilità della S. Sede da quella del Cardinale soltanto per quanto si attiene alle ingiurie rivolte alla persona del Fiihrer, un grande passo sarebbe già compiuto. La S. Sede deve pure rendersi conto che altro è polemizzare contro l' Angriff o contro Goebbels, altro è attaccare personalmente il capo di uno Stato. Nonostante tutti gli eccessi, la persona del Papa qui è stata sempre, ufficialmente, rispettata.

167

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE Siviglia, 4 agosto 1937, ore 12,40 PERSONALE URGENTISSIMO 5395/577 R. (per. ore 15,40).

Franco ha diretto a codesto suo ambasciatore un telegramma segnalando precise dettagliate informazioni circa eccezionali rifornimenti di materiale da guerra sovietico via Mediterraneo, e prescrivendogli sollecitare da V.E. urgente collaborazione nostra Marina per impedirne passaggio. Inoltre, allo scopo di concretare con

V.E. possibilità e forme della predetta collaborazione, Franco ha inviato personalmente fratello Nicolas che è partito questa mattina da Cadice con Ala Littoria e col quale mi sono incontrato.

Nicolas Franco mi ha espresso l'opinione del Generalissimo, il quale è convinto che nuovo aiuto rosso capovolgerebbe situazione militare in quanto, data spro

166 4 Vedi serie ottava, vol. VI, p. 881, nota l.

porzione mezzi, esercito nazionale non sarebbe probabilmente in grado sostenere vittoriosamente nuova offensiva in grande stile. Nicolas Franco arriverà idroscalo Ostia oggi pomeriggio. Riterrei opportuno farlo incontrare da funzionario di codesto Gabinetto 1•

166 3 Vedi D. 125.

168

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. 1370/367 R. Roma, 4 agosto 1937, ore }4.

Per sua personale informazione avvertola che stampa italiana è stata invitata a tenere nei riguardi della Francia un atteggiamento di grande moderazione.

Come V.E. avrà notato, nella mia intervista odierna 1 e negli immediati commenti stampa è messo già in evidenza come il riavvicinamento italo-inglese non sia diretto contro nessuno, ma sia volto essenzialmente a scopi di pacificazione generale.

Le invio per corriere copia delle lettere scambiate tra il Duce e Chamberlain 2 , nonché dei colloqui Grandi-Chamberlain 3 .

169

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1371/283 R. Roma, 4 agosto 1937, ore 24.

Mio telegramma n. 279 1• Ho poi veduto Hassell. Gli ho dato lettura delle lettere scambiate tra il Duce e Chamberlain2 e l'ho messo al corrente dei colloqui tra Grandi e Chamberlain 3 .

168 l Vedi D. 165, allegato. 168 2 Vedi DD. 136, allegato e 155, allegato. 168 3 Vedi DD. 127 e 161.

L'ambasciatore Cerruti rispondeva con T. 5438/334 R. del 6 agosto: «Stampa francese pone in grande rilievo mutamento linguaggio della stampa italiana. Sarebbe però bene che tutti i giornali si attenessero direttive comunicatemi col telegramma di V.E. n. 367 e quindi anche Regime Fascista che invece nell'articolo Bluffismo in decrescenza del 5 agosto continua sostenere esistere in Francia grave agitazione interna, mentre qui tutto è normale». Sul documento c'è l'annotazione autografa di Ciano: «Non rompa le scatole». 169 1 Con riferimento al D. 138, ritrasmetteva il D. 139 con l'aggiunta «In senso analogo, parlo per mio conto con questo ambasciatore di Germania». 169 2 Vedi DD. 136, allegato e 155. allegato. 169 3 Riferimento ai colloqui del 27 luglio e 2 agosto (vedi DD. 1?7 e 161).

Come V.E. avrà rilevato, la mia intervista odierna e gli immediati commenti stampa mettono già in evidenza che il riavvicinamento italo-inglese è in funzione dell'asse Roma-Berlino. Noi intendiamo che una migliore atmosfera tra Roma e Londra porti come conseguenza una più facile intesa anche tra Londra e Berlino.

Le invio a parte copia della lettera del Duce a Chamberlain e dei colloqui Grandi-Chamberlain.

167 1 Per il seguito, si veda il D. 176.

170

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5425/057 R. Berlino, 4 agosto 1937 (per. il 5).

Come V.E. avrà rilevato, recenti segni avvicinamento anglo-italiano sono, sin dal primo momento, stati salutati in Germania con vera soddisfazione la quale, secondo ho potuto constatare nei contatti avuti stamane dentro e fuori l'Auswartiges Amt, ha trovato oggi nuova conferma nelle accoglienze fatte alla intervista 1 di

V.E. a cui viene pure dedicata una speciale Corrisponden2a politica e diplomatica. In sostanza, si ritiene qui che, per lo spirito in cui esso si è prodotto, questo riavvicinamento non solo non ostacola i rapporti italo-tedeschi, ma rende persino possibile un riavvicinamento «da asse ad asse».

La situazione non manca di avere delle ripercussioni anche sulle trattative locarniane in corso, le quali vengono ora considerate sotto un angolo visuale nuovo, come quelle che forse potrebbero, meglio di ogni altro mezzo prestarsi -auspici le quattro grandi Potenze che veramente contano -ad una détente generale di tutto l'Occidente europeo.

Ho ragione di ritenere che questo ambasciatore di Francia, François-Poncet, profittando prossima assenza Delbos, voglia cercare convincere Chautemps -pur tenendo conto delle esigenze politica Fronte Popolare -ad associarsi, anziché ad estraniarsi, come ne ha avuto l'aria finora, a questo movimento di détente generale e ciò anche agli effetti e nei riguardi nostri.

171

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 5426/058 R. Berlino, 4 agosto 1937 (per. il 5).

Il signor von Weizsiicker mi ha oggi parlato di un telegramma ricevuto da Faupel, secondo il quale un trasporto di veramente eccezionale importanza sta

rebbe per aver luogo dal Mar Nero a favore dei Rossi di Valencia. Nel segnalare la cosa, Faupel avrebbe aggiunto, non ho capito bene se a nome proprio o di Franco, la comoda proposta che l'Italia si incaricasse di bloccare questo convoglio, all'occorrenza con la forza. Weizsacker si affrettava ad aggiungere che mi riferiva la cosa a puro titolo informativo ma senza alcuna intenzione di darvi seguito.

Ho risposto a Weizsiicker che mentre trovavo una simile proposta, specie da parte di Faupel come puerile, ritenevo che la informazione da cui la proposta traeva origine avrebbe al caso potuto essere utilmente portata a conoscenza del famoso Comitato Plymouth.

Weizsacker ha replicato che anche per questo era un po' esitante, trattandosi di informazione riguardante quantitativi così sbalorditivi (2000 tanks e così via) da far ritenere che essa potesse non essere esatta 1 .

170 1 Rilasciata ali'Universal News Service. Vedi D. 165. allegato.

172

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5465/0240 R. Londra, 4 agosto 1937 (per. il 7).

Vansittart che ho visto oggi pomeriggio al Foreign Office, dopo avermi ringraziato per l'anticipata comunicazione delle dichiarazioni del ministro Ciano 1 , che egli si era affrettato a far avere immediatamente al Primo Ministro in Scozia e a Eden, mi ha detto che tali dichiarazioni avevano fatto un'impressione eccellente al Foreign Office e nell'opinione pubblica e che esse dovevano considerarsi un documento politico assai importante e un nuovo passo concreto sulla via del chiarimento definitivo della politica fra Italia e Inghilterra.

Ho domandato a Vansittart se egli era al corrente del secondo colloquio tra me e Chamberlain di lunedì scorso 2 e dei vari punti in esso trattati.

Vansittart mi ha detto di si.

Ho allora comunicato a Vansittart, secondo l'autorizzazione telefonica avuta da V.E. che il Duce, accogliendo la preghiera rivbita da Chamberlain aveva già dato istruzioni al ministero Stampa onde esplicasse un'azione diretta ad evitare, per quanto possibile, un inasprimento nel tono polemico fra la stampa italiana e quella francese. Naturalmente il governo fascista si attendeva da questa dimostrazione di buona volontà che la stampa francese cessasse dagli ingiusti e spesso provocatori attacchi contro il fascismo e la politica italiana.

Vansittart mi ha ringraziato, ed ha preso nota di questa comunicazione dicendo che l'avrebbe subito inviata al Primo Ministro Chamberlain, il quale-Vansit

R. del 6 agosto)». Si veda in proposito il D. 176. 172 l Vedi D. 165. 172 2 Vedi D. 161.

tart ha continuato~ l'avrebbe particolarmente apprezzata. «Effettivamente i francesi sono preoccupati e nervosi. Noi cerchiamo di calmarli dimostrando loro che una riconciliazione coll'Italia è nel quadro degli stessi interessi francesi. Non vi è dubbio che un miglioramento del tono della stampa italiana e della stampa francese sarebbe di grande aiuto in questo momento». Vansittart ha continuato dicendo che le dichiarazioni del conte Ciano avevano indubbiamente valso a chiarire davanti all'opinione pubblica britannica e francese un punto, per così dire, nevralgico della situazione. Il conte Ciano ha detto chiaramente che un eventuale accordo italo-britannico non è diretto contro chicchessia.

Ho replicato che era effettivamente così. Occorre che le quattro grandi Potenze dell'Europa Occidentale trovino un terreno comune di comprensione e di collaborazione reciproca. Evidentemente la situazione politica europea si è modificata durante gli ultimi anni: non si può certamente pensare che le posizioni delle quattro Potenze nel vecchio Piano di Locarno possano essere ristabilite così come erano allora. Ciò sarebbe infatti fuori della realtà. Vi sono dei fatti nuovi nella politica europea, dei quali le quattro Potenze debbono prendere atto, ciascuna nei riguardi dall'altra. I fatti nuovi sono soprattutto !'«intesa cordiale» fra Londra e Parigi e l'asse Roma-Berlino. Il governo fascista in tanto accetta l'intesa tra Parigi e Londra in quanto il governo britannico e il governo francese sono pronti ad accettare l'asse Roma-Berlino. Occorre essere molto chiari su questo punto. l due assi possono coesistere e giovarsi l'un l'altro.

Vansittart mi ha detto che era d'accordo. Né l'Italia intende indebolire l'intesa tra Parigi e Londra, né l'Inghilterra intende indebolire l'Asse fra Roma e Berlino.

Ho domandato a Vansittart che cosa, in conseguenza di quanto mi aveva dichiarato Chamberlain nelle due precedenti conversazioni, il Foreign Office intendeva adesso di fare per dare seguito pratico alla proposta fatta da Chamberlain e accettata dal Duce per conversazioni concrete fra i due governi, conversazioni che avrebbero naturalmente dovuto aver luogo a Roma tra il conte Ciano e Drummond, non immediatamente ma non troppo tardi nello stesso tempo. Ho aggiunto che la data preferibile nel pensiero di V.E. era verso la fine del mese di agosto o i primi di settembre. In questo senso V.E. si era già espresso con Drummond 3 .

Vansittart ha risposto che il governo britannico era d'accordo circa la sede di Roma e l'epoca proposta, cioè verso i primi di settembre, tanto più che Drummond aveva chiesto un mese di congedo per un periodo di necessario riposo e rientrerà in Inghilterra la settimana prossima. Nel frattempo ~ ha continuato

Vansittart -il Foreign Office metterà a punto le varie questioni da discutersi nelle prossime conversazioni, e Drummond ritornerà poscia a Roma con tutte le istruzioni necessarie per condurre le conversazioni medesime.

171 l Ciano così rispondeva: «Suo 058. La proposta di blocco navale, anche con l'uso della forza. è così puerile che l'abbiamo già deciso e adottato. Franco lo sa. Adesso ne informi Berlino (T. 1379/284

172 3 Di questo colloquio -avvenuto il 2 agosto -non c'è documentazione negli archivi italiani. Secondo quanto riferiva in proposito l'ambasciatore Drummond (vedi BD, vol. XIX, D. 82), era stato convenuto che le conversazioni sarebbero state iniziate a settembre ma che comunque, prima di prendere delle decisioni definitive, si sarebbe attesa la riunione dell'Assemblea della Società delle Nazioni prevista intorno alla metà del mese. Circa il contenuto dell'accordo, erano stati indicati i seguenti punti: riconoscimento de jure dell'Impero (che Ciano indicava come premessa di qualsiasi intesa ma che l'ambasciatore Drummond dichiarava di non poter considerare come un impegno preso fin dall'inizio della trattativa), confini del Kenia, confini del Sudan, lago Tana. Erano stati altresì indicati (da Ciano) degli scambi di informazioni circa i rispettivi apprestamenti militari nel Mediterraneo e (da Drummond) le attività propagandistiche dell'Italia nel Medio Oriente.

173

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1388/709. Jstanbul, 4 agosto 1937 (per. !'11).

A conferma delle considerazioni da me svolte nel rapporto n. 690 del 28 luglio 1 e nel telegramma n. 178 del 2 corrente 2 , circa il viaggio di Aras a Mosca e la fase attuale dei rapporti turco-sovietici, reputo opportuno richiamare schematicamente qui appresso alcune circostanze, da me a suo tempo riferite e commentate, sulle quali sono fondati i giudizi espressi:

l. attacchi, nell'aprile u.s., della stampa sovietica contro la Turchia (Iszvestia, Journal de Moscou), che manifestano il vivo disappunto prodotto dal viaggio di Ismet e Aras a Belgrado e dal non essersi la Turchia opposta, anzi dall'essersi la Turchia dichiarata favorevole, facilitandolo, al riavvicinamento italo-jugoslavo. Diretti attacchi contro Aras, accusato di «infedeltà» e di svolgere una politica «personale». La stampa turca, nel rintuzzare gli attacchi in questione, afferma la piena indipendenza e autonomia della politica della Intesa Balcanica. Anche il riavvicinamento italo-turco era stato oggetto di malumore sovietico.

2. L'incontro di Ismet con Litvinov a Londra (maggio u.s., in occasione cerimonie incoronazione Re Giorgio), ad onta delle contrarie affermazioni, non vale a dissipare totalmente dubbi e malintesi esistenti fra Turchia e U.R.S.S. Ne sono prova: a) le dichiarazioni di Ismet alla Grande Assemblea Nazionale (14 giugno): «l'indipendenza della nostra politica, le particolarità della nostra situazione diplomatica e geografica ci impongono e ci imporranno sempre alcune attività che ci sono proprie». Tali dichiarazioni, anche se precedute dall'affermazione che fra Turchia e U.R.S.S. esistono rapporti amichevoli e sinceri e che le voci di «freddezza» dei rapporti stessi sono infondate, segnano in modo netto il limite che la Turchia vuole che esista nell'amicizia fra i due Stati, imposto della esistenza di due fronti-del Mar Nero l'uno, mediterraneo l'altro-e la inammissibilità di una tutela sovietica che si estenda su entrambi. b) L'effettuazione del viaggio a Mosca di Aras avente carattere «dimostrativo» e proponentesi di calmare le apprensioni sovietiche ancor più accentuatesi per ragioni di vario ordine: costante sviluppo della influenza politica e della penetrazione economica ingle

173 I Vedi D. 135. 173 2 T. 5348/178 R. del 2 agosto. L'ambasciatore Galli ribadiva-in contrasto con quanto telegrafato da Rosso, il quale riteneva che la visita di Riistii Aras a Mosca aveva segnato un indiscutibile migliora mento nei rapporti turco-sovietici (T. 5247/65 R. del 28 luglio) -che il viaggio aveva confermato la volontà del governo turco di attuare una politica estera indipendente rispetto all'Unione Sovietica.

se, ristabilita cordialità di atmosfera con l'Italia, atteggiamento turco nella questione spagnola. La stessa presenza di Siikri.i Kaya, ministro dell'Interno e segretario generale del Partito del Popolo e dei due deputati turchi, se da parte sovietica viene messa in rilievo, anche a fini ideologici, come sintomo degli esistenti rapporti di amicizia fra i due Paesi, vuoi significare da parte turca che Aras non fa una politica personale ma è il fedele interprete delle direttive del governo.

3. La presenza a Mosca dei ministri turchi, se offre modo a Litvinov di attaccare pubblicamente i pretesi Stati aggressori, e se egli fa il tentativo di subordinare le amicizie turche a quelle sovietiche, consente tuttavia ad Aras di affermare ancora una volta che l'amicizia fra Turchia e l'U.R.S.S. non può in alcuna guisa menomare l'indipendenza completa dei due Paesi nello stabilimento delle relazioni con gli altri Stati e nell'esercizio di attività connesse a interessi specifici ed a situazioni speciali. Le esplicite ammissioni fattemi successivamente dal sottosegretario agli Esteri, Numan, le ammissioni meno esplicite ma non meno significative dello stesso Aras, le impressioni riportate da numerosi colleghi che hanno avvicinato recentemente Aras ed a me riferite, la circostanza -ultima ma non da meno -della non effettuazione della visita ai porti sovietici di unità della marina turca (quali che siano i motivi addotti dall'incaricato di affari turco a Mosca), concordano tutte nel farmi ritenere che la visita stessa ha bensì portato ad un «chiarimento» dei rapporti turco-sovietici, ma non nel senso voluto da Mosca. Essa, infatti, se è servita ad affermare che l'amicizia turco-sovietica resta inalterata, ha dato d'altra parte modo alla Turchia di ribadire la propria volontà di svolgere una politica autonoma in determinati settori. A più forte ragione, quindi, non si può parlare di «miglioramento» delle relazioni fra Turchia e U.R.S.S.

Tale convincimento, basato sulle circostanze di fatto più sopra enumerate, mi sembra avvalorato da considerazioni d'ordine logico di portata più generale. E cioè che l'amicizia turco-sovietica sorse sedici anni or sono da una parte per l'interesse sovietico alla libertà di navigazione degli Stretti e quindi al possesso degli stessi da parte di una Potenza amica non eccessivamente forte e dall'altra per l'interesse turco di ottenere dall'U.R.S.S. aiuti contro i greci invasori spinti dall'Inghilterra e contro le aspirazioni di Potenze occidentali. Donde strettissima collaborazione politica ed economica spinta a tal punto che si poteva parlare addirittura di una Turchia vassalla, o almeno pupilla, dell'U.R.S.S.

La situazione attuale è essenzialmente diversa, che, anche a non tener conto della grave crisi sovietica, la Turchia, sempre più forte militarmente e meglio attrezzata economicamente, sicura padrona degli Stretti, garantita nei suoi confini europei dal Patto Balcanico ed in quelli orientali dal Patto Asiatico, ammessa, sotto la interessata però vigilante tutela inglese, a sostenere un «ruolo» mediterraneo, può benissimo osare di svolgere una «propria» politica più indipendente, senza per ciò necessariamente rinunziare all'amicizia sovietica. Ma il solo fatto che l'amicizia sovietica debba relativamente diminuire per far posto ad altre amicizie (sicuramente a quella inglese, e successivamente o contemporaneamente anche a quella italiana) esclude appunto che possa oggi essere in atto un rafforzamento dell'amicizia turco-russa.

174

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 3750. Berlino, 4 agosto 1937 1•

Faccio seguito alla mia di ieri sui rapporti fra Vaticano e Germania 2 .

Alla notizia già data di una incipiente tregua di stampa, sono oggi in grado di aggiungerne una nuova e più significativa, e che cioè -secondo informazioni da ottima fonte-il Fiihrer ha dato nuovamente ordine di «sospendere» per tre mesi tutti i processi contro istituti e personalità religiose. Vedo in questo la mano di Neurath il quale ottenne già un provvedimento analogo l'anno scorso, provvedimento poi sorpassato, e anzi travolto, dalla Enciclica Papale 3 , etc., etc. Comunque, la cosa è importante e denota un desiderio di distensione a cui mi sembra che il Vaticano non dovrebbe mostrarsi insensibile.

A parte la possibilità di una messa a punto nei riguardi del cardinale Mundelein, di cui alla mia di ieri, io mi permetterei di suggerire:

l) che il Vaticano facesse dichiarare anche dal proprio Nunzio (mio rapporto del 28 luglio)4 quello che avrebbe ripetutamente detto a von Bergen ma che von Bergen non sembra aver ripetuto qui e cioè di esser sempre pronto a «conversare».

2) Che il Vaticano intervenisse a frenare l'acrimonia della stampa cattolica europea, la quale specie in Belgio ed in Olanda, nel suo zelo, non che fa invelenire i rapporti fra Germania e S. Sede. Quest'ultimo punto è tutt'altro che trascurabile. A torto o a ragione, qui si fa ricadere la responsabilità di quegli attacchi sulla S. Sede e ciò non giova certamente a quella tregua di stampa che è la condizione pregiudiziale per una qualunque distensione fra Germania e Vaticano.

Vedrai tu se e in quanto questi miei suggerimenti meritino considerazione 5 .

175

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5491/022 R. Bucarest, 5 agosto 1937 (per. il 9).

La prossima riunione a Sinaia della Piccola Intesa, fissata per il 30 agosto, potrà fra l'altro presentare un certo interesse dovendo esservi dibattuta la questione dei rapporti tra Piccola Intesa e Ungheria.

174 2 Vedi D. 166. 174 3 Vedi D. 47, nota 2. 174 4 Vedi D. 134. 174 5 Il documento ha il visto di Musso1ini.

Ebbi già a riferire a V.E., nel giugno scorso 1 , che la Piccola Intesa aveva attenuato, se non sostanzialmente modificato, i termini del noto processo verbale redatto il 2 aprile a Belgrado circa le condizioni per il riconoscimento della parità di diritti all'Ungheria.

Da informazioni assunte mi risulta che il governo romeno ha proposto a quello ungherese di far luogo, a Sinaia durante la conferenza della Piccola Intesa, ad uno scambio di idee, leggi conversazioni, tra il ministro Antonescu, quale fiduciario della Piccola Intesa ed il signor Bardossy, ministro d'Ungheria a Bucarest, quale speciale mandatario del governo ungherese. Non mi risulta, però, se gli altri due membri della Piccola Intesa siano d'accordo su tale procedura. Da qualche accenno fatto da questo incaricato d'affari di Jugoslavia 2 dovrei anzi desumere che, almeno per quanto riguarda il suo governo, esso non è stato informato circa tale proposta. Devo anche aggiungere che lo stesso signor Bardossy, ministro d'Ungheria, che fin dal mese scorso accennò a quest'idea del signor Antonescu, mi sembrò da sua parte poco entusiasta della progettata procedura. Può darsi che nel frattempo egli abbia cambiato d'avviso, cosa di cui mi accerterò non appena potrò incontrarlo, essendo attualmente in viaggio.

Ma a parte la questione procedurale, permangono le difficoltà sostanziali. In queste ultime settimane l'Ungheria non ha tralasciato occasione per dichiarare pubblicamente che essa non è disposta a pagar nulla per conseguire la parità di diritti. Mi ha perciò non poco sorpreso, in una conversazione avuta oggi con Antonescu, che questi si cullasse ancora nell'illusione che la Piccola Intesa potesse conseguire, in seguito alla concessione della parità di diritti, la «spontanea offerta» da parte dell'Ungheria, di tre patti bilateriali di non aggressione, da concludersi «contemporaneamente» con i tre Paesi.

Poiché il signor Antonescu mi ha oggi cortesemente manifestato il suo animo, ho creduto mio dovere disilluderlo, facendogli chiaramente capire che mai e poi mai l'Ungheria avrebbe ammesso la conclusione dei tre patti di non aggressione. Se la Piccola Intesa desiderava regolare amichevolmente con l'Ungheria la questione della parità di diritti, occorreva che essa si dimostrasse disposta a far qualcosa per le minoranze ungheresi e si rassegnasse a rinunziare alla progettata stipulazione dei patti di non aggressione. Ho avuto a congratularmi per tale chiarezza di linguaggio, poiché Antonescu ha cominciato a flettere proprio sulla questione in cui per il passato aveva mostrato maggiore intransigenza: le minoranze. Egli ha obiettato solo circa il momento, ma in definitva ha finito per ammettere che «qualcosa si poteva fare».

In quanto ai patti di non aggressione, gli ho di nuovo ricordato, e sempre a titolo personale, che nelle conversazioni intercorse nel marzo a Belgrado, il presidente Stojadinovic e quel ministro d'Ungheria 3 avevano cercato la soluzione del problema ventilando l'idea di una dichiarazione unilaterale e spontanea di non aggressione da parte dell'Ungheria.

175 2 Waldemar d'Alth. 175 3 Aleksander Avakumovié.

L'ho spinto di nuovo a fare sua tale idea e farsene promotore presso la Jugoslavia e la Cecoslovacchia. A Belgrado egli avrebbe trovato, forse, terreno favorevole visto che l'idea era sbocciata proprio lì. Il signor Antonescu, che in precedenti occasioni aveva sempre dimostrato scarso interesse per tale formula, ha invece, questa volta, considerato attentamente la sua portata. Ha osservato, però, che la dichiarazione unilaterale ungherese dovrebbe essere fatta solo ai tre membri della Piccola Intesa. Da parte mia, gli ho osservato che egli impostava ancora una volta il problema con una di quelle restrizioni mentali che tanto dispiacevano all'Ungheria. A mio avviso, restando impregiudicatp se l'Ungheria fosse oggi disposta a riallacciarsi alla proposta discussa a Belgrado sembrava chiaro che una dichiarazione del genere non potesse essere fatta nei confronti «dei tre» ma erga omnes, o tutt'al più nei confronti di tutti i Paesi confinanti con l'Ungheria.

Dalla conversazione avuta con Antonescu, che ha avuto un carattere puramente informativo e di sondaggio, ho riportato la sensazione che se l'Ungheria vorrà e saprà manovrare il momento è per essa favorevole. È ben vero che la questione della parità di diritti presenta ormai un limitatissimo interesse, ed è anche vero che l'Ungheria è ormai in grado di riprendere la «parità» quando vuole e come vuole ma è anche certo che una sua azione unilaterale darebbe modo a questi signori di accanirsi maggiormente contro le minoranze, mentre darebbe nuova coesione alla Piccola Intesa. Per quanto la Jugoslavia dimostri in molti settori una così grande indipendenza di manovra, sta anche di fatto che nei confronti dell'Ungheria essa finisce sempre per dare formale adesione ·alle pretese ceche e romene. Se invece la questione della parità di diritti potesse essere risoluta in modo da esaurire, svuotare il noto processo verbale di Belgrado, sia la Jugoslavia che la Romania si troverebbero finalmente libere dagli impegni sanciti in quel documento e potrebbero, forse in un non lontano avvenire, camminare indipendemente o concomitatamente verso intese più concrete e più intime con l'Ungheria.

174 l Manca l'indicazione della data di arrivo.

175 1 T. per corriere 4043/014 R. del 7 giugno, non pubblicato.

176

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL SEGRETARIO GENERALE DEL GOVERNO NAZIONALE SPAGNOLO, NICOLAS FRANCO

Roma, 5 agosto 1937.

Il giorno 5 agosto alle ore 19 a Palazzo Venezia il Duce ha ricevuto il signor Nicolas Franco, alla presenza del ministro degli Affari Esteri e del sottosegretario di Stato per la Marina 2 .

176 2 Nicolas Franco era latore della seguente lettera autografa del generalissimo Franco datata 3 agosto:

Il signor Nicolas Franco ha sottoposto alle decisioni del Duce le seguenti tre questioni:

l) In relazione alle notizie confermate circa un invio in massa di forze rosse al Governo di Valenzia, il Duce ha convenuto sulla necessità assoluta di formare un blocco navale tale da impedire il passaggio dei trasporti. A tal fine sono stati impartiti questi ordini al ministero della Marina:

a) intensificare il servizio di segnalazione da Costantinopoli: b) collocare due sottomarini all'altezza di Capo Matapan per il servizio di avvistamento; c) costituire un servizio di pattugliamento e riconoscimento di trasporti russi o spagnoli di Valencia nel Canale di Sicilia. Tale servizio verrà fatto da quattro esploratori da «duemila» che si manterranno in contatto visivo e che, non appena avvistato e riconosciuto il piroscafo in transito, daranno comunicazione ai sottomarini scaglionati tra Capo Bon e Capo Lilibeo con l'ordine di silurare i piroscafi nemici o sospetti; d) le navi spagnole incroceranno tra Capo Spartivento e le Coste d'Africa con la missione di attaccare quei piroscafi che avessero eventualmente potuto passare attraverso le linee di sbarramento del Canale di Sicilia; e) sei sottomarini effettueranno il blocco di Barcellona, di Valencia e Cartagena. Per quanto concerne i cinque piroscafi russi avvistati in giornata dalla nostra aviazione e diretti a Cartagena, è stato dato l'ordine ai caccia Nullo e Manin di portarsi sulla rotta dei piroscafi e di attaccarli durante la nottata. Qualora detti piroscafi dovessero sottrarsi all'attacco navale saranno nella mattinata di domani continuamente attaccati dall'aviazione legionaria delle isole Baleari, alla quale sono stati impartiti gli opportuni ordini.

«La actitud de Rusia y Francia dentro de la Comisi6n de no Intervenci6n, las agresiones de !os aviones rojos a los barcos italianos y alemanes como maniobra para suprimir el 'contro!'; la apertura de la frontera y puertos franceses seguida de la intensificaci6n del tnifico de materia! de guerra con la Espana roja, y las noticias sobre el envio de Rusia de un verdadero ejército de tanques y aeroplanos, dan a la guerra de Espana un nuevo giro quc a mi juicio impone urgentes y enérgicos remedios.

Rusia ha encontrado en la Espana roja quien le ayude a librar la campana contra Europa, ofreciéndosele la unica posibilidad que se k puede presentar en su historia de librar con sangre ajena. oro espanol y sin peligros de insurrecci6n para sus tropas. la batalla contra las naciones europeas y de crearse una situaci6n estratégica en el occidente que constituya un poderoso foco de propaganda y una base futura para acciones navales o aéreas.

Sabiendo lo que representa el triunfo de las armas nacionales para la suerte del comunismo y la que podria encerrar el del ejército rojo para Rusia, aprovechan sus agentes los enredos que provocan en el Comité de no Intervenci6n. para ponerse en condiciones de mejorar la suerte de las armas rojas, con acumulaci6n de cuantiosos medios materiales y técnicos con que armar su ejército.

Por todo ello, ante la posibilidad de que las noticias sobre envios tengan confirmaci6n, de los que son una muestra elocuente los elementos recibidos en el ultimo mes, y la confirmaci6n al aparecer en la batalla de Brunete, de mas de 150 carros de aquella procedencia, he considerado un deber, dada la gravedad de los momentos. que ecjano una decisi6n rapida. el confiar al Secretario Generai Don Nicolas Franco, portador de la presente, la misi6n de informaros personalmente de las necesidades de todo orden en el campo naval, del estado actual de nuestra campana en el Mediterraneo y de la actuaci6n que juzgo mas eficaz y decisiva.

Conociendo el profundo interés con que seguis los acontecimientos de la Espaiia Nacional, y las constantes muestras de solidariedad, que constantemente me dais y de que es exponente el heroismo de vuestra aviaci6n, voluntarios en campos de Espaiia, tengo fe ciega en vuestra cooperaci6n y en que esta revesta en cada momento la entensidad y ritmo que la situaci6n requiere>>.

2) Il signor Nicolas Franco ripete la richiesta di cessione di naviglio di scarto della R. Marina alla Spagna Nazionale. Il Duce conferma le ragioni di ordine internazionale per le quali si è ritenuto impossibile dar corso alla richiesta del governo spagnolo. l lavori di truccamento necessari per rendere irriconoscibili tali bastimenti richiederebbero un tempo troppo lungo e difficilmente potrebbero passare inosservati.

La cessione sarebbe destinata a provocare un incidente internazionale. 3) A richiesta del signor Nicolas Franco, il Duce conferma la decisione nostra di cedere al governo nazionale spagnolo i piani di costruzione di cacciatorpediniere nonché alcuni pezzi già pronti, per far si che nei cantieri del Ferro! possa al più presto iniziarsi la costruzione di naviglio silurante per il governo di Franco.

176 1 Il verbale fu redatto da Ciano.

177

IL CAPO DI GABINETTO, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 5 agosto 1937.

L'Ambasciatore di Cina è venuto al Ministero per far presente di aver ricevuto un telegramma da Chiang Kai-shek col quale il Generalissimo cinese ringrazia il Governo italiano delle buone intenzioni manifestate nei riguardi dell'attuale conflitto cino-giapponese e prega il Governo Fascista di voler far chiedere al Governo giapponese gli scopi e i limiti della sua nuova azione offensiva. Se dalla risposta giapponese la Cina potrà rendersi conto dell'effettivo poposito del Giappone di giungere ad una intesa, il Governo cinese esaminerà nelle migliori disposizioni le eventuali domande giapponesi.

Fin qui il telegramma di Chiang Kai-shek.

L'Ambasciatore di Cina poi, con riferimento a quanto al riguardo è stato detto nel Parlamento giapponese, propone di far chiedere al Governo di Tokio se una soluzione della vertenza sia attualmente possibile sulle seguenti basi:

Riconoscimento da parte cinese del Manciukuò e istituzione di una zona neutra tra il Manciukò e la Cina.

Qualora il governo di Tokio ritenesse ciò sufficiente, l'Ambasciatore di Cina, riportandosi alle conversazioni già avute con questo Ministero degli Affari Esteri circa un anno e mezzo fa, vorrebbe in un secondo tempo proporre che la zona neutra fosse amministrata da un corpo di polizia internazionale con a capo un italiano 1 .

177 l Il testo di questo appunto fu trasmesso all'ambasciatore Cora con T. 1374/150 R. e all'ambasciatore Auriti con T. 1374/142 R. del 5 agosto con la seguente aggiunta autografa di Ciano: «Faccio naturalmente, su tutto quanto precede, le più ampie riserve e se V.E. crederà di farne parola al Gaimusho La prego di voler chiaramente manifestare il mio più completo scetticismo su quanto mi ha detto l'ambasciatore di Cina che, sia detto fra noi, non mi sembra, né bene informato, né specialmente autorevole». Per il seguito, si vedano i DD. 185, 194 e 212.

178

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 3370. Londra, 5 agosto 1937 1 .

Rispondo subito alla Tua lettera del 2 agosto n. 61542 con la quale hai voluto cortesemente inviarmi copia di una comunicazione ricevuta dal Ministro degli Affari Esteri del Giappone, nonché copia del colloquio che hai avuto col nuovo Ambasciatore Hotta.

Tutto ciò è di un grandissimo interesse. L'offerta del Giappone segna la misura del nostro prestigio in Estremo Oriente, frutto di una politica lungimirante alla quale Tu stai personalmente e ininterrottamente lavorando da dieci anni a questa parte. Il valore sostanziale dell'offerta giapponese è troppo importante perché si possa esitare un solo momento e prenderla nella più favorevole considerazione.

Nessuno, ed io meno di tutti, può scartare in modo assoluto dalle possibilità dell'avvenire quella eventualità alla quale Tu accenni, ed in relazione alla quale le offerte del Giappone possono esserci preziose.

Poiché in vista della chiarificazione dei nostri rapporti con l'Inghilterra tu mi domandi il mio avviso circa la possibile reazione inglese e le ripercussioni che un nostro accordo col Giappone in questo momento potrebbero avere sulle conversazioni che stiamo per incominciare col Governo Britannico, io ti dirò francamente il

. .

mw pensiero.

L'accordo col Giappone aumenta la nostra forza, e rende di conseguenza da parte inglese più desiderabile l'Intesa con noi. Valgono, cioè, in questo caso le stesse considerazioni che ho avuto l'occasione di esporti nei riguardi dell'Asse Roma-Berlino. Come tu ricordi, a una prima reazione di allarme e di ostilità, delineatasi dopo il tuo viaggio a Berlino, è subentrata nella mente pratica degli inglesi, come effetto diretto dello stabilirsi dell'Asse Roma-Berlino, l'ansia di mettersi di accordo con noi. Così si è arrivati al Gentlemen's Agreement del 2 gennaio.

L'unico dubbio che si può prospettare nei riguardi di un accordo col Giappone si riferisce, non certo alla sostanza e all'opportunità dell'atto in se stesso, ma esclusivamente alle scelte del momento migliore per condurlo a compimento.

La tua visita a Berlino ha avuto luogo in pieno periodo di tensione italo-britannico, ed ha preceduto di quasi tre mesi le conversazioni che hanno condotto alla firma del Gentlemen's Agrement. Le ripercussioni e gli effetti positivi dell'Asse Roma-Berlino sull'opinione pubblica e sulla politica britannica, hanno avuto quindi il tempo di svilupparsi in pieno. Anzi il loro stesso sviluppo ha determinato il momento in cui l'Accordo con l'Inghilterra si è reso possibile. Nel caso presente, la chiarificazione fra Roma e Londra è stata da noi impostata su di una condizione essenziale, che è il riconoscimento giuridico dell'Impero Fascista. Questo riconoscimento a sua volta viene qui fatto dipendere delle decisioni dell'Assemblea di Ginevra, nel settembre prossimo.

E le decisioni dell'Assemblea si conformeranno senza dubbio a quell'azione, positiva o negativa, che il Governo britannico svolgerà in quell'occasione.

L'iniziativa di Chamberlain, in questo strano Paese di governanti pavidi, governati alla loro volta dall'opposizione, è stata indubbiamente un atto di coraggio: essa è ispirata dal desiderio, credo sincero inquantoché risponde a un interesse britannico, di una soluzione di tutte le difficoltà e di una eliminazione di tutte le ombre che turbano i rapporti itala-britannici. Armistizio, insomma, che lascia naturalmente immutati i termini del nuovo e profondo contrasto storico fra l'Impero fascista e l'Impero britannico. Armistizio che giova, in questo momento, sia a noi che agli inglesi. Il riconoscimento della nostra conquista dell'Etiopia dovrebbe, nella mente di Chamberlain, essere presentato alle opposizioni di sinistra, liberali, laburiste e antifasciste, come un passo necessario e indispensabile per raggiungere quella generale pacificazione europea che tutti i partiti politici di Inghilterra, sinistre comprese, dichiararano a gran voce di volere. Qualunque nuovo elemento che venisse ad essere introdotto in questa delicata situazione, determinando nuovi settori di ombra e nuovi interrogativi, non potrebbe che rendere più difficoltosa l'opera personale di Chamberlain, che incontra già sospetti e ostilità velate, ma nettamente individuali, in certe sezioni della classe politica inglese e nello stesso Gabinetto e Foreign Office. Eden e Vansittart devono essere considerati in questo momento -per motivi diversi ma tuttavia convergenti e che ho numerose volte illustrato -su una posizione assai più arretrata rispetto a quella coraggiosamente e pubblicamente presa da Chamberlain. Anche questo è un punto che non bisogna dimenticare. Mentre è chiaro che Chamberlain vuole fare sul serio, non è ancora chiaro se Eden e Vansittart vogliano effettivamente altrettanto o almeno nella stessa misura di Chamberlain. Credo che nelle prossime conversazioni italo-inglesi noi dovremmo contare su resistenze le quali si manifesteranno (come si stanno già manifestando) non attraverso un'opposizione a quelle che sono ormai le direttive di Chamberlain, bensì attraverso una tendenza ad allungare i tempi, protrarre le discussioni, e forse, ritardare le conclusioni.

La firma di un accordo itala-giapponese alla vigilia delle conversazioni itala-britanniche di Roma sarebbe molto probabilmente presentata come un «fatto nuovo».

Sarebbe difficile evitare in tal caso ripercussioni nella stessa politica interna britannica, a tutto vantaggio di coloro che oggi -per motivi diversi non ultimi fra questi le influenze straniere -vedrebbero con piacere compromessa l'iniziativa del Primo Ministro. Mi sembra, in conclusione, che siamo troppo vicini alla data alla quale dovrebbero determinarsi e concretarsi gesti decisivi del Governo britannico verso un riavvicinamento dell'Italia. Su questi gesti, che noi attendiamo dall'Inghilterra, un Accordo itala-giapponese, negoziato e concluso in questo momento, non potrebbe -a mio avviso -che avere un'influenza negativa mentre avrebbe prodotto indubbiamente un effetto positivo tre mesi fa, in piena campagna di stampa anti-italiana. Dopo settembre, dopo Ginevra, la situazione si presenterà più chiara.

Se per avventura il Governo britannico non sarà stato capace di prendere l'iniziativa che noi aspettiamo come una condizione preliminare alla chiarificazione dei nostri rapporti, avremo il campo libero per muoverei, a nostra volta, in una direzione che non potrà non indurre l'Inghilterra a riflettere di nuovo e seriamente sulle conseguenze della sua pericolosa ed assurda politica.

Se invece all'inizio del prossimo autunno avremo raggiunto le tappe essenziali dell'auspicato ravvicinamento itala-britannico potremo allora introdurre, in una situazione ormai consolidata, l'elemento nuovo costituito dal nostro accordo col Giappone, e farlo, se questo ci converrà lentamente assimilare dal Governo britannico. Potremo allora in questo caso valerci dei rapporti di rinnovata amicizia con l'Inghilterra, per dichiarare che la cordialità di questi stessi rapporti esclude ogni punta anti-britannica in un Accordo il quale si presenta formalmente come avente carattere esclusivamente anticomunista.

Potremo sopratutto costringere l'Inghilterra a riconoscere che il nostro Accordo col Giappone allarga e introduce elementi nuovi e impreveduti nel Gentlemen's Agreement del 2 gennaio, che le prossime conversazioni di Roma avranno nel frattempo consolidato. L'Accordo col Giappone porrà allora, accanto allo scacchiere mediterraneo, un nuovo scacchiere, quello del Pacifico, nel quale gli interessi anglo-italiani potranno fornire argomento di nuovo esame non più sull'esclusivo e limitato piano mediterraneo bensì su di un piano mondiale.

Queste sono le considerazioni che mi vengono in mente, leggendo la Tua lettera del 2 agosto. Credo, in conclusione, che lo sviluppo di negoziati e la conclusione di un accordo politico col Giappone proprio nel momento in cui si maturano le decisioni del Governo britannico e stanno per iniziarsi le conversazioni di Roma, avrebbero un effetto negativo sulla trama, ancora fragile e delicata, di quelli che speriamo siano, fra non molto, i nostri nuovi rapporti con l'Inghilterra. Ma una volta consolidati questi ultimi, e incassato il riconoscimento dell'Impero, l'Accordo itala-giapponese si presenterà, a mio avviso, come una carta di altissimo valore da poter giocare -senza pericoli di resipiscenze inglesi dell'ultima ora -con tutto il suo peso e la sua forza.

178 l Manca l'indicazione della data di arrivo. 178 2 Vedi D. 163.

179

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

T. PER CORRIERE 1375 R. Roma, 6 agosto 1937.

Suo telegramma per corriere n. 248 1•

0 ) Circa la campagna contro l'Esposizione di Parigi che sarebbe fatta in Italia, confermo il mio telegramma n. 1336 2: una campagna di questo genere non c'è. Né è un articolo di Regime Fascista o la mancata diffusione di alcuni manifesti di propaganda che possano comunque provarne l'esistenza.

2°) Circa le notizie pubblicate il 28 luglio dalla stampa italiana sui volontari francesi che sarebbero penetrati in Spagna attraverso la frontiera dei Pirenei, ecc., osservo che tutta la stampa di destra francese pubblica da dieci mesi a questa parte notizie del genere. È del resto ovvio che il 90 per cento delle brigate internazionali

179 I Vedi D. 145. I79 2 T. per corriere 1336 del 27 luglio. non pubblicato.

che si battono sul fronte rosso sono penetrate in Spagna dal territorio francese. Sarà bene che Delbos ricordi che le notizie (false) di recenti sbarchi di truppe italiane e tedesche in Spagna hanno trovato larghissimo credito su tutta la stampa francese che le ha a suo tempo, riprodotte con larghissimo corredo di informazioni fantastiche.

Quanto, poi, a notizie false è di origine francese (Pertinax) quella relativa ad un preteso scambio di lettere Duce-Hitler, il quale ultimo, col suo atteggiamento negativo, avrebbe indotto Mussolini a cercare di accordarsi con l'Inghilterra. Menzogna totalitaria.

3°) Delbos ha sopratutto insistito con V.E. su un presunto generale sentimento di ostilità esistente in Italia contro la Francia, affermando non esistere affatto in Francia un analogo sentimento contro di noi. Ne prendo atto. Gioverà comunque ricordare che gli incidenti di Chambéry, le sassate contro i nostri uffici consolari in Corsica, le dimostrazioni ostili contro i nostri piroscafi nei porti francesi, gli incidenti che hanno luogo con frequenza in occasione di festeggiamenti e riunioni di italiani non sono certamente espressioni di amicizia. Gioverà anche ricordare che niente di simile si è verificato finora in Italia.

4°) È poi nota l'attività politica anti-italiana che svolgono a Gibuti fuorusciti etiopici senza che autorità francesi intervengano in alcun modo per reprimerla.

5°) Ho in ogni modo dato istruzioni alla stampa italiana di mostrarsi nei confronti francesi e nei limiti del possibile, moderata e di rifuggire da attacchi e polemiche. Ho detto a BlondeJ3 che mi aspettavo una favorevole reazione nella stampa francese.

Quindi per ora aspettiamo e vediamo.

180

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5482/0242 R. Londra, 6 agosto 1937 (per. il 9).

Il Primo Lord dell'Ammiragliato, Duff Cooper, del quale sono stato ospite ieri nel Sussex, dove egli trovasi attualmente trascorrere periodo di ferie, mi ha confermato che nella seconda metà di settembre egli farà sullo yacht Enchantress una crociera mediterranea, visitando i vari porti britannici. Duff Cooper mi ha inoltre comunicato che Chamberlain, dopo aver preso conoscenza del suggerimento personale da me fatto nella conversazione avuta con Eden, il giorno 22 luglio1 , aveva accettato senz'altro l'idea che il Primo Lord dell'Ammiragliato toccasse durante la sua crocie

ISO l In realtà, del 21 luglio (vedi D. Il 0). Su questa parte del colloquio Grandi aveva riferito con T. 5318/644 R. del 31 luglio. L'ambasciatore aveva ricordato a Eden l'impressione negativa suscitata in Italia dall'analogo viaggio che l'allora Primo Lord dell'Ammiragliato, sir Samuel Hoare, aveva effettua to nel settembre dell'anno precedente.

ra mediterranea un porto italiano e che tale occasione potesse fornire l'opportunità per uno scambio di cortesie fra le due Marine italiana e britannica.

Duff Cooper ha proposto a sua volta a Chamberlain che invece di toccare un porto italiano durante la crociera, egli si imbarcasse addirittura a Venezia sullo yacht dell'Ammiragliato.

Ho detto a Duff Cooper che l'idea era buona e che, specialmente dopo i discorsi da lui fatti alla Camera dei Comuni 2 e ad Edimburgo 3 , egli avrebbe avuto a Venezia un'accoglienza sinceramente cordiale.

L'epoca in cui Duff Cooper si recherà a Venezia per iniziare da questo porto italiano la sua crociera mediterranea è stata fissata nella seconda metà di settembre. Duff Cooper si riserva di farmi conoscere la data precisa.

179 3 Non si è trovata documentazione di questo colloquio.

181

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5483/084 R. Bruxelles, 6 agosto 1937 (per. il 9).

Le notizie relative alla distensione italo-inglese e allo scambio di lettere tra il Duce e il Primo Ministro britannico 1 hanno qui prodotto profonda impressione. Esse hanno formato oggetto di numerosi commenti da parte della stampa d'ogni partito, che ha dedicato e continua a dedicare vasto spazio all'avvenimento, considerato il più importante dell'attuale momento politico internazionale. Così pure grandissimo rilievo è stato dato alle dichiarazioni di V.E. 2 , che hanno prodotto la migliore impressione, raccogliendo commenti molto favorevoli.

In genere, e salvo naturalmente gli organi di estrema sinistra, esclusivamente mossi e dominati dalla passione antifascista, questa stampa considera la nuova situazione determinatasi fra Londra e Roma quale un prezioso e forse decisivo elemento di pacificazione europea. Si può dire che le sole obiezioni e riserve degne di rilievo siano quelle espresse dai pochi organi tuttora infeudati al Quai d'Orsay, i quali manifestano il loro evidente malcontento, sia ostentando alquanto scetticismo, sia insinuando una pretesa freddezza del Reich, e sia sollevando la vecchia questione degli inconvenienti che potrebbero derivare da un eventuale patto a quattro.

Quest'ultima insinuazione non ha mancato di produrre i suoi effetti. Mi risulta che lo stesso ministro Spaak, che sempre ha avuto ad asserirmi, come ne ho

navale di Londra del 25 marzo 1936, che l'Italia, dopo aver avuto una parte di tutto rilievo nelle trattative, si era astenuta dal sottoscrivere il trattato perché sottoposta al regime delle sanzioni ma che ora c'era da sperare che il governo italiano prendesse in considerazione la possibilità di dare la sua adesione, visto che a suo tempo non aveva manifestato obiezioni circa il contenuto dell'accordo. 180 3 Vedi D. 127, nota 9. 181 1 Vedi D. 136, allegato e D. 155. allegato. 181 2 Riferimento all'intervista rilasciata il 4 agosto da Ciano ali'Universa/ News Service (vedi D. 165).

replicatamente informato V.E., che in un eventuale patto a quattro, e quindi nella concordia delle quattro grandi Potenze, risiederebbe la vera sicurezza del Belgio, ha mostrato -se non preoccupazione -qualche esitazione sulle conseguenze cui potrebbe dar luogo un'eventuale totale eliminazione del Belgio dai negoziati inerenti alla sicurezza occidentale. Ma tale esitazione di Spaak è da considerarsi come ispirata sovratutto a preoccupazioni di natura interna, avendo egli ormai da più mesi dovuto farsi di continuo il paladino della tesi di politica estera più violentemente avversata dal suo partito. La sua lotta cominciò con il fare accettare al partito socialista e alle sinistre massoniche francofile la politica, patrocinata dal Sovrano, della neutralità volontaria; continuò per l'atteggiamento favorevole da lui assunto nei riguardi della liquidazione della faccenda etiopica; divampò nella questione spagnola, specie al tempo in cui la tesi itala-tedesca venne a contrapporsi a quella franco-russa; si acutizzò vieppiù quando egli intraprese la sua campagna per una trasformazione del socialismo internazionale in socialismo nazionale, ecc.

Ad ogni modo, malgrado le insinuazioni della stampa francofila sui pretesi pericoli di un patto a quattro, nessun giornale ufficioso o notoriamente ispirato ha finora precisato dubbi o preoccupazioni; e lo stesso Spaak non me ne ha fatto sino ad oggi cenno alcuno 3 .

180 2 Il 20 luglio Duff Cooper aveva detto, nel corso della discussione per la ratifica del Trattato

182

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 5496/0255 R. Parigi, 6 agosto 1937 (per. il 9).

Torno da una visita fatta al presidente del Consiglio, Chautemps, il quale, in assenza di Delbos che sentendosi stanco ha anticipato il suo congedo estivo, regge il ministero degli Affari Esteri, dal quale è tuttora assente Léger, che termina le sue vacanze.

La mia conversazione con Chautemps, estremamente cordiale, ha avuto tre oggetti principali: relazioni itala-francesi con particolare riguardo al linguaggio della stampa, riconoscimento dell'annessione dell'Etiopia, guerra civile in Spagna.

Circa il primo punto Chautemps mi ha detto di avere ricevuto iermattina la relazione della conversazione fra V.E. ed il signor BlondeJl e di avere constatato che le dichiarazioni fatte all'incaricato d'affari di Francia corrispondevano intieramente a quelle che V.E. aveva fatto ad un'agenzia americana 2 e rese pubbliche dalla stampa francese. Chautemps aggiunse che credeva di non dover perdere tempo a spendere parole per assicurarmi che tutto quanto può servire a far ritornare amichevoli e fiduciose le relazioni tra l'Italia e la Francia gli riusciva sommamente gradito. Egli aveva infatti, più di qualunque altro uomo politico di sinistra francese, mantenuto nei riguardi dell'Italia in ogni tempo un atteggiamento di indipen

182 l Non è stata trovata documentazione di questo colloquio (al quale si fa riferimento anche nel D. 179). 182 2 Vedi D. 165.

denza dalla disciplina imposta ai gruppi politici appunto perché i suoi sentimenti di amicizia per il nostro Paese non gli consentivano di aderire a certe direttive politiche. Gli ultimi mesi erano stati particolarmente penosi. La stampa dei due Paesi, ma soprattutto quella italiana, aveva dato prova di un'incomprensione veramente difficile a spiegare. Vi sono nella vita dei popoli certi elementi imponderabili che hanno un'importanza non sempre desiderabile. Occorre fare di tutto perché essi lascino il posto ad altri elementi costruttivi e pacificatori.

Il linguaggio della maggior parte dei giornali italiani si era modificato da due giorni a questa parte. Ancorché in Francia non si disponesse di mezzi analoghi a quelli italiani, egli aveva fatto e farebbe ancora tutto il possibile per influire sull'atteggiamento della stampa. Mi pregava di ricordare a V.E. che i soli giornali che contano in Francia e che contribuiscono quindi a formare l'opinione pubblica sono il Temps, il Matin, il Petit Parisien, il Journal. Tutto il resto conta quel che conta. L'Oeuvre è per esempio un organo del governo di Fronte Popolare, ma in politica estera il governo dissente quasi sempre da quello che scrive Madame Tabouis, L'Humanité passa all'estero per essere un giornale governativo perché è l'organo dei comunisti che fanno parte della maggioranza governativa, ma in questo giornale Delbos viene attaccato ogni giorno come fautore del non intervento in Spagna e si chiede continuamente la testa di Léger accusato di essere «fascista». Il Populaire, organo di Blum e dei socialisti, non attacca personalmente Chautemps ma lo critica spesso e volentieri e non approva certo la sua politica. Il presidente del Consiglio mi pregò quindi di fare il possibile perché in Italia si cerchi di comprendere un poco meglio la mentalità della Francia e di attribuire sopratutto un'importanza molto relativa a quello che scrivono i giornali, seguendo in ciò l'esempio degli uomini politici francesi che si disinteressano delle campagne mosse loro da questo o quel giornale sapendo che a ventiquattr'ore di distanza nessuno vi pensa più.

Cogliendo l'occasione di quanto mi aveva detto Chautemps circa le buone disposizioni sue l'ho pregato di ottenere che il ministro dell'Interno revochi il divieto di introduzione in Francia della Domenica del Corriere. Egli mi ha promesso di intervenire subito al riguardo e mi ha lasciato intendere che provvederà nel senso da me desiderato.

Circa il riconoscimento dell'annessione dell'Etiopia, Chautemps mi ha detto che, se la campagna di stampa italiana non avesse assunto nelle scorse settimane una violenza tale da obbligare il governo francese a muovere rimostranze amichevoli a Roma, egli avrebbe colto occasione di dichiarare, durante uno dei discorsi politici pronunciati in provincia, che la Francia riconosceva essere l'Italia padrona assoluta ed incontestata dell'Etiopia e che essa si sarebbe quindi valsa della prima opportunità per riconoscere il nuovo stato di cose esistente nell'Africa Orientale. Oggidì, dopo lo scambio di lettere fra il Duce e Chamberlain3 , una simile sua dichiarazione verrebbe interpretata tanto in Francia come in Italia in senso diametralmente opposto a quelle che erano le sue intenzioni. Egli voleva far conoscere quale fosse il pensiero indipendente della Francia; se parlasse oggi si direbbe che lo fa per imitare l'Inghilterra.

Gli dissi che non gli sarebbe mancata l'occasione di esprimere a mezzo di un giornale autorevole come il Temps, che si sa rispecchiare le idee del governo fran

cese, quali sono le sue idee al riguardo. Un articolo che non lasciasse dubbio circa i propositi della Francia di regolare in settembre a Ginevra, in qualsiasi modo, la questione etiopica e di mandare il proprio ambasciatore a Roma, avrebbe fatto la migliore impressione ovunque. Chautemps mi disse che condivideva il mio modo di vedere tanto più che egli non aveva mai fatto mistero con alcuno di trovare semplicemente grottesca la mancanza di un ambasciatore di Francia a Roma.

Quanto alla Spagna, Chautemps mi disse di avere suggerito oggi a Londra di rimandare ancora la discussione del progetto inglese. Le informazioni ricevute da Mosca dimostravano infatti che il governo dell'U.R.S.S. si irrigidiva sulle primitive sue posizioni e non voleva ascoltare i consigli di moderazione dati dalla Francia. In tale stato di cose visto che l'atmosfera si era andata calmando e non vi era più una minaccia grave per la pace del mondo, la miglior cosa sarebbe stata quella di aggiornare le decisioni. Nel frattempo, ogni Paese avrebbe dovuto cercare di esercitare il controllo serio al proprio confine ed ai propri porti di imbarco. Sapeva perfettamente che ciò era difficile e che non si poteva ad esempio avere alcuna fiducia nell'U.R.S.S. al riguardo. D'altra parte, non vi era altra via di uscita. Bisognava sperare che ogni Stato avesse la coscienza del proprio dovere ed al tempo stesso non ci si doveva troppo formalizzare se qualche volontario o qualche spedizione di armi o munizioni raggiungesse la Spagna. Era cosa certa che se i due partiti avversi fossero lasciati soli a combattere, la guerra finirebbe presto. D'altra parte, sembrava a lui che la felicissima distensione prodottasi negli ultimi giorni fra l'Italia e l'Inghilterra, che già dava buoni frutti anche per i rapporti itala-francesi, doveva mostrare a tutti, e quindi anche ai partiti avversi spagnoli, che è giunto il momento di studiare attentamente se fosse possibile di intendersi. Egli non si faceva illusioni sopra ciò che sarebbe l'avvenire della Spagna. In una parte almeno del Paese dovranno convivere nelle medesime città e nei medesimi villaggi persone che hanno ucciso padri, figli e fratelli di altre persone. Ciò darà luogo a situazioni gravissime e solo il tempo potrà sanare una così grande frattura. Non è però questa una ragione per non cercare in tutti i modi di rappacificare gli avversari. Doveva dirmi che non ne scorgeva il modo attraverso l'ambasciata di Spagna a Parigi perché l'ambasciatore Ossorio Y Gallardo fa il tonto e si esprime come se fosse veramente convinto che tutto va per il meglio nei riguardi del governo di Valencia. Non era a mezzo di gente che avesse questa mentalità che si poteva sperare di giungere ad un armistizio precursore della pacificazione. Poi tutti avrebbero dovuto contribuire a rialzare la Spagna caduta così in basso e ciò sarebbe stata un'opera alla quale avrebbero dovuto collaborare sopratutto le altre Potenze mediterranee.

Il presidente Chautemps mi disse di avere appreso che vi erano lagnanze da parte sopratutto del ministro delle Colonie per il trattamento fatto dalle autorità italiane in Africa Orientale a certe ditte ed a singoli cittadini francesi e mi chiese di che cosa si trattasse. Lo misi al corrente del Caso Besse e gli dissi che attendevo gli ulteriori chiarimenti che mi risultava erano stati chiesti al vicerè d'Etiopia in base a nuovi elementi fomitimi dal Quai d'Orsay. Chautemps constatò che non si trattava di cose insolubili; gli sembrava che occorresse soltanto della buona volontà da entrambe le parti e sopratutto il proposito di giungere ad una soluzione. Egli si augurava che questo spirito esistesse e mi assicurò che da parte sua non mancava di sicuro. Sarebbe stato lieto che il ministro delle Colonie non dovesse più, come faceva presentemente, intrattenere i suoi colleghi riuniti in Consiglio delle sue lagnanze contro l'Italia.

La conversazione non poteva avere carattere più amichevole 4 . Essa confermò quanto sapevo e quanto sempre riferii a V.E., che cioè il presidente Chautemps è animato di sentimenti sinceramente amichevoli per l'Italia e ch'egli è uomo dalle vedute larghe e disposto a transigere pur di raggiungere lo scopo che si propone che è quello di tornare a rendere fiduciose ed amichevoli le relazioni fra i nostri due Paesi 5 .

181 3 Si veda nel D. 196 la risposta di Ciano.

182 3 Vedi DD. 136, allegato e 155, allegato.

183

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1841/660. Roma, 6 agosto 1937 (per. il 10).

Telespresso ministeriale del 5 corrente n. 226745/c 1• Prendo nota di quanto ha riferito il R. ambasciatore a Parigi nei riguardi di monsignor Valeri a proposito del suo atteggiamento verso il pittore catalano Sert.

Quanto alle direttive della Santa Sede nella questione spagnola esse, e non da oggi, non sono soltanto, come scrive il R. ambasciatore, ispirate a prudenza, ma sono intese a prevedere gli avvenimenti. Il 12 gennaio scorso concludevo il mio telegramma per corriere n. 52 come segue: «Per quel che riguarda le direttive politiche della Segreteria di Stato negli affari di Spagna, bisogna tenere presente che la Santa Sede ha necessità assoluta, purché abbia la possibilità di salvaguardare i superiori interessi spirituali del Paese, di trovarsi alla fine, dalla parte del vincitore».

Questo spiega i tentennamenti ai quali abbiamo assistito durante l'inverno e la primavera scorsi.

Solo in questi ultimi giorni la Santa Sede sembra essersi decisa in favore di Franco, procedendo a un per quanto larvato riconoscimento del suo governo (mio telegramma per corriere n. 65 del 4 corrente) 3 .

Debbo aggiungere che ciononstante non si debbono nutrire soverchie illusioni in un rapido sviluppo di cordiali relazioni fra Città del Vaticano e Burgos. La Segreteria di Stato intuisce che avrà grosse difficoltà con il governo nazionale spagnolo il quale si è dimostrato finora poco malleabile.

Il pensiero della Santa Sede sui governi totalitari -eccezione fatta del fascismo-l'ho esposto nel mio rapporto segreto all'E.V. del 13 aprile s. n. 954/326 4 e trovo inutile ripetermi.

Non v'è dubbio che le preferenze della Santa Sede sono per una soluzione della questione spagnola che escluda l'instaurazione, nella Spagna, di un governo militare-totalitario. Le esperienze poco soddisfacenti, con il generale Franco, hanno condotto la Santa Sede a una tale conclusione».

182 4 Annotazione a margine di Mussolini: «e inconcludente». 182 5 Il documento ha il visto di Mussolini. 183 1 Ritrasmetteva il Telespr. 5323/1828 del 29 luglio da Parigi. L "ambasciatore Cerruti riferiva di avere appreso dal pittore catalano Sert che il nunzio apostolico, monsignor Valeri gli aveva proibito di dipingere in rosso e oro la drapperia di un quadro che doveva essere esposto nel padiglione della Santa Sede all'Esposizione di Parigi perché si voleva evitare ogni riferimento alla bandiera dei Nazionali spagnoli. Cerruti osservava che il nunzio si era sempre mostrato assai freddo nei riguardi della causa nazionale e che il suo atteggiamento era certo dovuto a istruzioni ricevute. 183 2 T. per corriere 251/5 R. con il quale l'ambasciatore Pignatti riferiva di aver appreso. in un colloquio con monsignor Pacelli. che il nunzio apostolico a Parigi, basandosi su notizie da lui raccolte, avanzava molti dubbi circa la possibilità di una vittoria dci Nazionali spagnoli. La conclusione alla quale giungeva l'ambasciatore Pignatti sul piano generale è qui riportata. 183 3 T. per corriere 5390/65 R. del 4 agosto. Osservava che la Santa Sede aveva solo riconosciuto carattere ufficiale al rappresentante del governo di Burgos (fino a quel momento agente ufficioso). ciò che costituiva un compromesso rispetto al riconoscimento del governo nazionale spagnolo. Monsignor Pizzardo aveva espresso molti dubbi che ciò potesse essere sufficiente per appianare i contrasti esistenti con Franco.

184

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5457/299 R. Tokio, 7 agosto 1937, ore 7,30 (per. ore 15 ).

Per quanto non espresso pubblicamente vi è qui un certo malcontento verso Germania, cui già si era rimproverato vendita armi Cina e cui si rimprovera ora di considerare sfavorevolmente presente conflitto. Suppongo Germania si preoccupi di possibili danni ai suoi fiorenti traffici in Cina e di possibili complicazioni fra Tokio e Mosca. Inoltre, credo tema quel peggioramento di relazioni con Londra di cui appare già qualche preannunzio negli attuali giudizi giapponesi sulla politica inglese senza sapere che ambasciatore di Germania, il quale aveva tempo fa dichiarato qui che un miglioramento delle relazioni di Tokio con Londra sarebbe stato gradito a Berlino, mi disse giorni fa che aveva pensato di chiedere a questa ambasciata britannica che ne pensasse della possibilità di una mediazione inglese fra Giappone e Cina ma vi aveva poi rinunziato. Non so fino a che punto Berlino sia disposto accettare interpretazione anticomunista data nella Camera l'altro giorno da Hirota al presente conflitto perché da ciò deriverebbe obbligo almeno morale per la Germania di mostrare più chiare disposizioni a favore attuale politica nipponica.

185

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5466/300 R. Tokio, 7 agosto 1937, ore 7,35 (per. ore 17).

Telegramma di V.E. 142 1•

Poiché Hirota occupato oggi Parlamento e perché domani domenica, ho preferito non perdere tempo e parlare con viceministro. Ho voluto chiarire bene che l'Italia, a differenza di altre Potenze, ha sincero desiderio che Giappone e Cina si

accordino ed essa, pur disposta a quanto possibile per rendersi efficacemente utile, intende evitare quanto abbia suscitato qui erronea impressione che voglia intromettersi anche se non gradita. Ho poi fatto precise comunicazioni di Chiang Kai-shek. Circa idee personali di codesto ambasciatore cinese vi ho accennato in modo vago ma non ho parlato del particolare relativo all'Italia.

Nella latitudine delle istruzioni di V.E., ho creduto preferibile almeno per ora tacere su una proposta che non mi sembra verosimile sarebbe qui accettata (come d'altronde neanche quella della «zona neutrale» con cui è collegata e che, mentre da un lato farebbe sorgere il dubbio sul suo fondamento, potrebbe dall'altro far apparire non disinteressata presente ed eventuale futura nostra azione in Tokio.

Vice ministro riservandosi rispondermi mi ha pregato di ringraziare molto fin da ora R. governo per contenuto e forma comunicazione 2 .

183 4 Non rintracciato. 185 l Vedi D. 177, nota l.

186

IL MINISTRO PER LA CULTURA POPOLARE, ALFIERI, AI PREFETTI DEL REGN01

T. Roma, 7 agosto 1937.

Con riferimento telegramma circolare del R. ministero Interno del 9 maggio

u.s. s'informa che d'ordine superiore è stato revocato divieto generale ingresso nel Regno dei giornali quotidiani e settimanali inglesi (Regno Unito) colonie e possedimenti britannici 2• Predette pubblicazioni devono quindi essere riammesse Regno, fermo però restando divieto nei confronti di quei giornali e riviste inglesi che già prima del 9 maggio u.s. erano interdetti nel Regno per loro specifico atteggiamento anti-italiano. Pregasi provvedere d'urgenza.

187

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5487IO !56 R. Budapest, 7 agosto 1937 (per. il 9).

Telespresso n. 8838/1488 in data 3 agosto c.a. 1•

Il barone A por mi ha detto ieri che al Consiglio dei ministri (come appare dal comunicato apparso nella stampa: mio telespresso n. 8838/1488 del 3 corr.) è stato presentato il risultato della Conferenza di Ortisei. Il viceministro degli Affari Esteri nella conversazione che ne è seguita ha mostrato, pur con malcelata rassegnazione, di essersi reso conto delle ragioni che hanno portato alla decisione della commis

186 l Questo telegramma fu inviato per conoscenza al ministero degli Esteri con T. 9458 P. R. 186 2 In proposito si veda serie ottava. vol. VI. D. 567. 187 l Non rintracciato.

sione mista itala-ungherese. Mi ha detto di essere convinto, come V.E. aveva detto al barone Villani 2 , che la cosa non poteva avere significato politico: mi sono per mio conto valso degli argomenti fornitimi con telegramma di V.E. n. 1623 e con il telespresso 6128 del 31 luglio4 .

Il barone Apor mi ha osservato che le maggiori difficoltà saranno per il bestiame data la concorrenza jugoslava: e qui occorrerà evitare il pericolo che l'opinione pubblica ungherese e l'opposizione vogliano vedere nel fatto del trattato itala-jugoslavo e nell'avvicinamento con la Jugoslavia le ragioni di un trattamento meno favorevole per l'Ungheria: il politicante della strada e i soliti oppositori del governo potrebbero essere indotti a credere che l'entrata della Jugoslavia nel novero delle Potenze amiche avrebbe avuto come primo risultato pratico questo minor favore per l'Ungheria e quindi sarebbe stata la Jugoslavia che praticamente avrebbe modificato a suo favore il sistema del Patto di Roma anziché rafforzarlo. Ciò forse non aiuterebbe il governo nella sua politica di riavvicinamento alla Jugoslavia.

Come V.E. avrà rilevato, almeno per ora, la stampa ungherese non pubblica nessun commento agli avvenuti accordi limitandosi a dar notizia dei comunicati ufficiali.

185 2 Per il seguito si veda il D. 190.

188

IL SOTTOSEGRETARIO PER LA MARINA, CAVAGNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 7 agosto 1937.

Si è informato il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina spagnola che i sommergibili italiani in agguato nelle coste spagnole hanno avuto ordine di silurare:

a) le navi da guerra spagnole rosse;

b) le navi mercantili spagnole rosse e russe;

c) le navi mercantili di qualunque bandiera che di notte navigano con luci oscurate a distanza non maggiore di tre miglia dalla costa; d) di giorno e di notte le navi mercantili che navigano scortate da navi da guerra rosse e (soltanto di notte) da navi da guerra che navigano con fanali oscurati.

Si è richiesto se, in caso che fosse dato ordine di attaccare anche di giorno entro il limite delle acque territoriali tutti i piroscafi senza distinzione di nazionalità diretti a porti rossi, il governo nazionale spagnolo sarebbe stato pronto ad assumersi le relative responsabilità.

Il Sottocapo di Stato Maggiore ha detto che la questione era di tale importanza che anche il Segretario Generale, Franco, ora a Roma, non poteva dare una

187 3 T. 11780/162 P. R. del 4 agosto. Comunicava che il 2 agosto era stato concluso un nuovo accordo economico con l'Ungheria nel quale era stabilito che il regime preferenziale di Semmering avrebbe avuto termine il prossimo 31 dicembre.

risposta senza aver prima interpellato il suo governo. Ha tuttavia aggiunto che riteneva che essa sarebbe stata negativa, perché tra il Governo di Salamanca e il Governo inglese è intervenuto da tempo un accordo, per cui il primo garantiva la libertà di navigazione coi porti spagnoli del Mediterraneo alle navi mercantili battenti bandiera inglese, mentre il secondo si impegnava a garantire che il carico dei suoi piroscafi trafficanti coi porti rossi non avrebbe contenuto contrabbando. L'accordo stabilisce che, in caso di infrazioni od altro, le autorità di Salamanca ne dànno avviso alle autorità navali inglesi più prossime.

In pratica, quando le autorità nazionali hanno informato le autorità inglesi che vi erano ragioni di supporre che piroscafi contrabbandieri portavano indebitamente bandiera inglese ed hanno richiesto il loro dirottamento a Gibilterra per controllo, gli Inglesi hanno fatto intendere che comunque i piroscafi di bandiera inglese non dovevano essere disturbati, e le autorità nazionali non hanno dato seguito alla cosa.

Asserisce il Sottocapo di Stato Maggiore della Marina spagnola che la dichiarazione di blocco alle coste rosse per parte di Franco non ha avuto che un valore relativo, e soltanto per i porti del Cantabrico, non avendo mai il Generalissimo consentito che il blocco formale si estendesse ai porti del Mediterraneo. Ma anche per i porti del Cantabrico, quando le autorità marittime hanno richiesto autorizzazione di impiegare la forza contro navi straniere (e specialmente inglesi) il Generalissimo non ha mai voluto autorizzare l'impiego della forza neppure nelle acque territoriali, precisando che l'azione del naviglio nazionale doveva limitarsi ad energiche intimidazioni.

Circa il limite della acque territoriali, il Sottocapo di Stato Maggiore spagnolo ha dichiarato che, sebbene per la Spagna nazionale tale limite sia stato dichiarato in sei miglia, le azioni di blocco non hanno mai avuto sviluppo che nella fascia più limitata di tre miglia, poiché il Governo di Valencia riconosce soltanto quest'ultimo limite alle proprie acque territoriali ed in tal modo il Governo inglese regola la sua condotta.

Per i piroscafi battenti bandiera francese il Sottocapo di Stato Maggiore ha detto che, per quanto non esistano accordi diretti fra i governi, allo scopo evitare incidenti, il Generalissimo è stato sempre contrario ad azioni contro di essi. Fino ad ora, ad eccezione di casi di palese contrabbando, la Marina spagnola ha anche evitato il fermo di navi francesi.

Il Sottocapo di Stato Maggiore trasmetterà subito la richiesta italiana a Salamanca e ritiene di poter dare una risposta entro domani 1 .

187 2 Vedi D. 146, nota 3.

187 4 Non rintracciato.

189

L'UFFICIO DI GABINETTO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 8 agosto 1937.

Il dottor Enderle, recatosi a Ginevra in conformità delle disposizioni che gli furono impartite, è rientrato ieri ed ha presentato l'unita relazione 1 .

Da quanto riferisce il dottor Enderle, che ha preso contatti con i due più notevoli esponenti della Delegazione del Comitato Supremo Arabo (Jamal Husseinì, cugino del Mufti e Auni bey Abdul Adi) si rilevano sopratutto:

l) alcuni ulteriori interessanti dettagli circa le malversazioni compiute da !hsan Jabri e non poche indiscrezioni che questi avrebbe commesse; 2) elementi che confermano in pieno quanto ci è stato ultimamente comunicato dal fiduciario del Mufti, signor Mousa Alami; 3) Le ottime disposizioni di tutti i componenti in genere della Delegazione del Comitato Supremo Arabo nei nostri riguardi.

Il cugino del Mufti, signor Jamal Husseini, noto patriota palestinese, il quale ignora, come del resto tutti i componenti la Delegazione, i nostri rapporti col Mufti stesso, il 13 ed il 14 corrente, prima di rientrare in Palestina sarà a Venezia e sarebbe desideroso di incontrare colà un inviato del R. Governo.

Si ha l'onore di proporre a V.E. che lo stesso dottor Enderle si rechi ad incontrarlo per fargli una succinta comunicazione con la quale gli dica che egli ha riferito tutto quanto oggetto della loro conversazione a persona responsabile a Roma e che detta persona lo ha pregato di fargli sapere che «il R. Governo apprezza moltissimo i sentimenti nutriti dagli arabi di Palestina verso l'Italia, ha vivamente a cuore i loro interessi, li segue con vigile cura e farà di tutto per difenderli».

Dettaglio notevole nella relazione di Enderle è quello da cui si rileva che i tedeschi fanno, per gli arabi di Palestina, attraverso l'Iraq, un po' quello che noi pensiamo di fare attraverso l'Hegiaz (forniture di partite di armi e munizioni, inviate in aggiunta a quantitativi regolarmente acquistati) 2 .

188 l Il documento ha il visto di Mussolini. 189 l Non pubblicata,

190

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5480/303 R. Tokio, 9 agosto 1937, ore 1,55 (per. ore 23,10 dell'8).

Seguito mio telegramma n. 300 1•

Risposta Hirota comincia con parole di molta considerazione e gratitudine per il R. Governo. Prosegue asserendo che recente invio truppe è stato, come risulta da ripetute dichiarazioni giapponesi, semplice misura di autodifesa resa necessaria da atti anti-giapponesi delle truppe cinesi Nord Cina e che governo giapponese non ha alcun disegno conquista territorio. Se la Cina mette prontamente termine operazioni militari e offre adeguate garanzie che precludano possibilità ripetizione nel futuro di simile arbitrario contegno nella Cina del Nord, governo giapponese non attuerà alcuna nuova azione «offensiva». (Mi è stato chiesto se i cinesi intendessero offensiva militare [si c] ed ho risposto non sa perlo, ma supporlo). Ove go

verno cinese desideri sinceramente accordo pacifico con Giappone apprezzandone vero spirito, esso non esiterà aderire desiderio cinese di iniziare conversazioni e ciò allo scopo di assicurare pace Asia Orientale. Considera tuttavia necessario che simile desiderio sia espresso direttamente da governo cinese mediante qualche organo adatto.

Ritorno pace ordine Nord Cina grande importanza per Giappone giacché questo desidera armoniosa cooperazione tra Giappone, Manciukuò e Cina.

Riconoscimento Manciukuò cui alluso privatamente ... 2 Cina, è problema importante meritevole di esame in rapporto suddetti scopi Giappone. Perché tuttavia sia presa seria considerazione deve essere espresso direttamente al Giappone come definitiva intenzione delle più alte autorità governo cinese.

189 2 Sulla prima pagina del documento Ciano ha scritto: «Si». 190 l Vedi D. 185.

191

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A SALA MANCA, VIOLA

T. PERSONALE 1386/536 R. 1 Roma, 9 agosto 1937, ore 17,45.

Esprima a Franco il mio più vivo compiacimento per le recenti misure da lui adottate nell'ordine interno. Partito unico, milizia unica, sindacato unico, su questi tre capisaldi si svilupperà sicuramente la grande Spagna di domani.

192

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO AL MINISTRO DEGLI ESTERI DEL GIAPPONE, HIROTA

LETTERA PERSONALE S.N. Roma, 9 agosto 1937.

Je tiens à exprimer à Votre Excellence ma très vive et très sincère reconnaissance pour la lettre si aimable qu'Elle a bien voulu me faire parvenir par l'entremise de M. l'Ambassadeur Hotta 1•

C'est avec une profonde satisfaction que je constate l'excellent état des relations si heureusement existant entre nos deux Pays, et il m'est agréable de donner à V otre Excellence l'assurance que la consolidation et l'amélioration de ces relations continueront à former l'objet de mes efforts, conformément aux ordres du Duce et au sentiment unanime de Peup1e Italien. Je suis heureux de pouvoir compter dans l'accomplissement de cette tàche sur la coopération cordiale de V otre Excellence et du Gouvernement Impérial Japonais. Ainsi que Votre Excellence le fait remarquer si justement, il n'existe pas de questions qui séparent nos deux Pays, tandis que tant d'affinités contribuent à les

191 1 Minuta autografa. 192 l Vedi D. 154. allegato.

rapprocher. Ce sont !es sentiments communs aux deux Nations qui !es ont placées en première ligne parmi !es défenseurs de la civilisation mondiale contre le péril communiste. C'est pourquoi je partage la certitude de Votre Excellence qu'elles sauront s'unir encore plus étroitement, aussi bien pour faire face aux dangers de l'heure présente que pour jeter les bases d'un avenir toujours meilleur.

V otre Excellence a été appelée à reprendre !es hautes fonctions de Ministre des Affaires Etrangères dans un moment d'une très grande portée historique dans la vie millénaire de l'Empire Japonais. Je tiens à faire parvenir à Votre Excellence l'expressions de mes voeux les plus sincères pour le succès de l'ouvre politique à laquelle Votre Excellence va se dévouer, ainsi que l'assurance de ma ferme intention de travailler en commun pour le développement d'une entente toujours plus amicale entre nos deux Pays.

C'est dans ces sentiments qu'il m'est particulierèment agréable d'adresser à Votre Excellence l'espression de ma très haute considération ainsi que mes souhaits personnels !es meilleurs.

190 2 Nota dell'UtTicio Cifra: «gruppo indecifrabile».

193

L'ADDETTO NAVALE A LONDRA, BRIVONESI, AL MINISTERO DELLA MARINA

FOGLIO 636. Londra, 9 agosto 193 7 (per. il 13).

l) Sabato mattina, S.E. Grandi, in procinto di partire in vacanza per l'Italia, ha fatto chiamare il capitano Jori, il quale doveva presentarsi a lui in occasione della fine della sua destinazione presso questa ambasciata.

Nel corso della conversazione, S.E. Grandi si è fatto mostrare il foglio n. 630 in data 6 agosto 1 , che il capitano Jori aveva scritto a cotesto ministero a proposito della prossima venuta in Italia del Primo Lord dell'Ammiragliato, Duff Cooper, e, dopo di aver approvato il tenore di questa comunicazione, ha intrattenuto a lungo il capitano Jori a proposito di quelli che, a suo avviso ed in base agli elementi da lui personalmente raccolti in questi ambienti, sono i retroscena del presente atteggiamento inglese verso l'Italia.

2) La cronistoria fatta da S.E. Grandi, che si ricollega punto per punto alle vicende che si sono vissute a Londra durante gli ultimi anni, è di sommo interesse per la Marina, poiché essa coinvolge in modo particolare l'atteggiamento passato e presente dei dicasteri militari inglesi in genere e dell'Ammiragliato in ispecie.

Raccolgo pertanto qui appresso i caposaldi degli elementi di giudizio espressi da S.E. Grandi, annotando anche, dove necessario, i riferimenti a fogli scritti da questo Ufficio a proposito di argomenti analoghi.

3) S.E. ha cominciato col rammentare che l'impresa italiana in Abissinia e la crisi in Mediterraneo sono state sfruttate dagli ambienti militari inglesi «in funzione» del programma di riarmo ed ha anche precisato che la situazione determinata

193 I Vi si riferiva circa l'imminente crociera del Primo Lord dell'Ammiragliato nel Mediterraneo, su la quale si veda il D. 180.

si in quel periodo sul fronte europeo ha servito da «martinetto di spinta» per il varo di quel programma che era già in pectore da diversi anni (vedi comma 5° del foglio n. 175 del 23 febbraio 1937 di questo Ufficio 2 in accompagnamento al promemoria sulla Marina da guerra britannica).

4) La vecchia questione se l'invio della flotta in Mediterraneo nel settembre 1935 sia stata una decisione del Foreign Office o dell'Ammiragliato non rappresenta più oggi un'incognita. È infatti accertato che il Foreign Onìce ricevette tempestivamente dal Primo Lord del Mare, ammiraglio Chatfield. un rapporto recisamente contrario a tale dimostrazione navale. Le ragione del parere sfavorevole dell' Ammiragliato sono quelle già note dello stato di impreparazione della Marina britannica a quell'epoca, impreparazio11e contenuta implicitamente se non altro dalla richiesta fatta dal Chatfield al Foreign Office, sempre nel predetto rapporto, sulla necessità di avere almeno la garanzia della neutralità tedesca in caso di un conflitto itala-inglese.

5) Sono note le previsioni catastrofiche ed i conteggi tecnico-fisici nettamente sfavorevoli fatti a tempo debito dallo Stato Maggiore tedesco sulla possibilità di successo dell'impresa italiana in Etiopia. È ora certo che queste previsioni e questi conteggi vennero in quell'epoca m possesso dello Stato Maggiore inglese che li accettò in pieno. attendendo così con tranquillità e con fiducia il disastro militare italiano. L'atteggiamento britannico durante il periodo delle sanzioni va quindi analizzato nella cornice di questa atmosfera.

6) A partire dalla metà circa del 1935 vengono iniziati dall'Inghilterra preparativi bellici febbrili. Si rimedia alle lacune più gravi, si approvvigionano materiali e si riorganizzano per il meglio le difese costiere e le basi navali. Naturalmente la Marina da guerra riceve l'impulso maggiore.

Attraverso le vicende dell'accordo del gennaio e le vicende di Spagna si arriva alla nuova tensione italo-inglese del maggio scorso. A due anni circa di distanza dall'inizio della propria riorganizzazione militare, lo Stato Maggiore inglese. Ammiragliato compreso. non trova opportuno rispondere ancora sfavorevolmente al F oreign Office circa lo stato di preparazione dell'Inghilterra per una eventuale guerra con l'Italia. Tuttavia le incognite sono forse più gravi di quelle del passato ed il riarmo non ha ancora fatto progressi sufficienti a dare una sostanziale misura di tranquillità. La risposta più o meno affermativa data questa volta dallo Stato Maggiore britannico deve quindi spiegarsi per una ragione politica interna di Gabinetto. In altri termini. lo Stato Maggiore inglese è il primo a desiderare ardentemente che le assicurazioni date al governo abbiano ad affrontare la prova pratica il più tardi possibile. L'asse Roma-Berlino. il piede militare itala-tedesco in Spagna, e soprattutto le notizie che gli organi dirigenti e l'opinione pubblica italiana sono decisi ad accettare. anzi a preferire, un conflitto immediato piuttosto che un conflitto futuro, sono tutte circostanze che hanno accentuato la preoccupazione degli ambienti militari inglesi. Fra l'altro. il Foreign Office è riuscito a venire in possesso di una lettera personale del Duce diretta ad Hitler con la quale il Capo del governo italiano chiede esplicitamente quale sarebbe l'atteggiamento della Germania in caso di conflitto italo-inglese3 .

7) Si svolgono intanto sul fronte politico britannico due importanti avvenimenti: la Conferenza Imperiale e la cessazione dalla carica del Primo Ministro Baldwin.

Alla Conferenza Imperiale emergono le tendenze e gli ammonimenti dei Domini per una politica di accordi ed in sostanza per una politica pacifista (vedi rapporto n. 301 del 29 giugno u.s. di questo Ufficio) 4 .

Alla cessazione di carica del Primo Ministro Baldwin emerge il desiderio espresso dal suo sostituto, Chamberlain, prima di assumere il potere, di vedersi sbarazzato nell'ambito del Gabinetto delle divergenze sulla necessità di risolvere la questione abissina. Ciò raccoglie recisa opposizione da parte di Mr. Eden non perché quest'ultimo non trovi desiderabile la soluzione, ma perché secondo le richieste del Chamberlain la soluzione stessa sarebbe venuta a ricadere unicamente sulle spalle del ministro degli Esteri. Perciò il nuovo Primo Ministro non riesce a superare subito l'ostacolo. Egli tuttavia assume il potere con una decisa presa di posizione che dovrebbe essere considerata come la espressione di quello che almeno fino ad oggi è stato definito «lo spirito realistico di Mr. Chamberlain», spirito realistico che, è bene mettere in chiaro, non si esplica soltanto verso l'Italia ma si esplica, e forse di più, anche verso la Germania.

8) In queste condizioni, tenuto conto della loro effettiva «situazione interna» i capi dei dicasteri militari, indubbiamente anche con l'approvazione dei rispettivi ambienti, non trovano di meglio che appoggiare a spada tratta la politica del Primo ministro ed è anzi tanto il loro ardore, che essi con i loro discorsi e con le loro mosse addirittura lo precedono e gli rubano il passo.

S.E. Grandi ha concluso che, se questa è la ragione politico-militare di Gabinetto che consiglia oggi a Duff Cooper, a Hore Belisha ecc. ecc. di rivolgere sorrisi concilianti verso Roma e verso Berlino, è da tenere presente nel giudicare tale atteggiamento anche un'altra ragione di carattere parlamentare e di carattere umano di cui non sono esenti nemmeno gli uomini politici inglesi. Bisogna infatti ricordare che i ministri sopra nominati sono gli elementi giovanissimi del Gabinetto inglese e che ora si inizia la «corsa ad ostacoli» per «il traguardo» della sostituzione dello stesso ministro Chamberlain che avverrà tra quattro anni. Mr. Eden è uno dei «papabili» e non è certo il concorrente meno pericoloso.

193 2 Non rintracciato. 193 3 La lettera è inesistente.

194

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5513/248 R. Nanchino, 10 agosto 1937, ore 10,51 (per. ore 10,15).

Telegramma di V.E. n. 150 1 .

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto di non, ripeto non, aver inviato alcuna istruzione del genere a codesto ambasciatore Cina, pur non escludendo che possa

avergliene inviata direttamente Chiang Kai-shek, o che non si tratti di una iniziativa personale dell'ambasciatore stesso. Il Generalissimo è assente per due giorni; al suo ritorno cercherò di vedere come stanno le cose. Comunicato Tokio.

193 4 Non rintracciato. 194 l Vedi D. 177, nota l.

195

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

TELESPR. 227475/384. Roma, 10 agosto 1937.

Allego copia di un appunto !asciatomi da questo ambasciatore di Gran Bretagna nel corso di una conversazione che egli ha avuto con me il 6 corrente 1 relativamente alle prossime conversazioni tra il governo italiano e il governo britannico. Ho detto all'ambasciatore che ero d'accordo.

Quanto precede per informazione e per regolarità di carteggio.

ALLEGATO

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, DRUMMOND, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma. 6 agosto 1937.

I reported fully to my Government the conversation which we had on August 3rd 2 . My Government cordially welcome the opportunity now open for full and frank conversations with the Italian Government. Matters will be fully discussed with me and my instructions will be drafted on my return to London; and my Government hopes that the discussions will be started early in September.

196

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI

T. PER CORRIERE 1403 R. Roma, l l agosto 1937.

In relazione al telegramma per corriere n. 54885 dal 6 corrente 1 . V.E. tenga presente che non esiste ancora alcun progetto concreto di soluzione del problema della sicurezza occidentale. L'ultima nota britannica 2 è ancora allo studio e una nostra risposta non è imminente. Codesto governo non deve nutrire alcuna appren

195 2 Si veda in proposito D. 172, nota 3. Il colloquio era avvenuto il 2 agosto. 196 1 Riferimento errato. Si tratta presumibihnente del D. 181. 196 2 Del 16 luglio. Vedi D. 92, nota 2.

sione circa la sua posizione in eventuali negoziati futuri nei quali esso ha un evidente vitale interesse e dai quali quindi esso non potrebbe essere escluso.

Quali poi che siano le soluzioni che potranno essere date al problema della sicurezza occidentale, è nostra intenzione di mantenere in ogni caso le promesse fatte formalmente al Belgio di garantire la integrità delle sue frontiere d'accordo con la Germania e l'Inghilterra e la Francia dal momento in cui il Belgio riterrà utile di realizzare a suo vantaggio questa garanzia.

195 1 Di questo colloquio non è stato trovata documentazione.

197

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5557/0257 R. Parigi, 11 agosto 1937 (per. il 13).

Conversazioni Ciano-Drummond 1 e Grandi-Chamberlain 2 e scambio lettere Duce-Chamberlain3 hanno concentrato nei giorni scorsi attenzione intera stampa francese sul riavvicinamento itala-inglese.

Prima impressione è stata sorpresa e, presso alcuni, di amarezza per il fatto che riavvicinamento itala-inglese si sia iniziato al di fuori della Francia. A queste prime reazioni sono seguite considerazioni più ponderate particolarmente quella che favorevole evoluzione rapporti itala-inglesi costituisce importante contributo al mantenimento pace europea. Sono state tuttavia manifestate preoccupazioni circa salvaguardia rapporti franco-inglesi e interessi francesi nel Mediterraneo.

Editoriale del Temps del 5 corrente, che rispecchia come di consueto atteggiamento Quai d'Orsay, dopo aver dichiarato «che vi è nella stampa internazionale la tendenza a presentare le conversazioni itala-inglesi come molto più avanzate di quanto non siano in realtà», che «un nuovo accordo mediterraneo, dal quale, beninteso, la Francia non potrebbe essere esclusa, può essere utilmente negoziato soltanto dopo la definitiva liquidazione della crisi spagnola», conclude che «tutto sembra confermare che non vi è altro-all'ora attuale-che una conversazione anglo-italiana di carattere generale che basta tuttavia, di per se stessa, a creare un'atmosfera favorevole ad una détente europea».

Passaggio più interessante di detto articolo è tuttavia quello relativo questione riconoscimento. Temps afferma che «il riconoscimento dell'annessione dell'Etiopia all'Italia non dipende unicamente dal governo di Londra. L'Inghilterra come la Francia non può ritrovare sua intera libertà di movimento a questo riguardo che nel caso in cui la Società delle Nazioni prenda essa stessa iniziativa di constatare che Etiopia non riunisce più le condizioni di uno Stato indipendente e sovrano, condizioni necessarie per essere regolarmente membro della Lega. È d'altra parte verosimile -scrive il giornale -che tale questione sarà posta il mese prossimo, durante la sessione ordinaria del Consiglio e dell'Assemblea della S. d. N.

197 I Vedi D. 172, nota 3. 197 1 Vedi DD. 127 e 161. 197 3 Vedi D. 136, allegato e 155, allegato.

Quest'affermazione è sintomatica e va utilmente confrontata con commento di Pertinax a conversazione Chautemps-Cerruti del 6 corrente 4 : «Quanto alla questione di Ginevra, la condotta della Francia è conosciuta. Sin dal settembre 1936, essa ha ritenuto che la delegazione abissina non aveva più qualità per sedere all'Assemblea, l'autorità del Negus non esercitandosi più sul suo Impero. A quell'epoca gli sforzi combinati di Delbos e di Eden non riuscirono a trascinare la massa degli Stati. Essi saranno senza dubbio più fortunati, quest'anno, se rinnoveranno il loro tentativo e troveranno il modo di far constatare all'Assemblea che l'antico potere non esiste più. Ma il governo di Roma sarà bene ispirato se si considererà soddisfatto di questo risultato».

Nel commentare riavvicinamento italo-inglese stampa francese si mostra quindi soprattutto preoccupata di sue ripercussioni su rapporti italo-francesi da un lato, franco-inglesi dall'altro. E non possedendo ancora molti elementi di giudizio mantiene -in genere -un atteggiamento di riserva. Questo atteggiamento si è accentuato negli ultimi giorni, nei quali i commenti alle conversazioni italo-inglesi sono quasi completamente cessati. I giornali si limitano a pubblicare sull'argomento notizie o corrispondenze da Roma, Londra e Berlino.

198

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5572/066 R. Bled, 11 agosto 1937 (per. il 13 ).

Mio telegramma per corriere n. 064 1• La lettura pubblicamente fatta nelle chiese di Belgrado 1'8 corrente dei nomi dei ventiquattro ministri e deputati che, con Stojadinovié, il Santo Sinodo ha deferito al Tribunale Ecclesiastico ed ha sospeso, intanto, da ogni diritto e prerogativa di membri della Chiesa ortodossa serba, ha dato un colpo alle speranze di chi contava sulla possibilità che il Presidente riuscisse a ridurre rapidamente l'ostilità del clero. Indubbiamente questa è sostenuta ed incoraggiata a fondo da tutta la coalizione degli interessi interni ed esterni che scorgono nelle circostanze attuali un'occasione unica di impedire il consolidamento al potere di Stojadinovié e mettono in prima linea, in azione, una forza della potenza e dell'efficacia di quella di cui dispone il clero fra le masse popolari della città e delle campagne serbe. La propaganda del clero sta, infatti, dilagando ed occasionando perfino qualche disordine nei centri minori. La contropropaganda del governo e dell'Unione Radicale non è sufficiente alla difesa. Questa parla alla ragione, quella all'istinto di conservazione, che è fortissimo specie negli strati più bassi della popolazione serba, abituata da secoli ad indentificare gli interessi della famiglia e della patria con quelli della Chiesa ortodossa. La mentalità primitiva di questi contadini aiuta la convinzione delle più evidenti assurdità, una gran parte di essi è stata facilmente persuasa che il Concordato li obbligherà a convertirsi alla religione cattolica, a latinazzare i propri nomi, i propri santi e soprattutto, a restituire alla

Chiesa di Roma parte delle loro terre. La Narodna Obrana, parallelamente, lavora fra gli ufficiali della riserva e nelle stesse file dell'esercito. I croati, per i quali, principalmente, Stojadinovié è stato indotto a varare il Concordato, dichiarano di disinteressarsi della questione e assistono in atteggiamento equivoco e ribelle come sempre, agli avvenimenti.

Di fronte alla penosa situazione, che esercita e mette in giuoco --dopo l'eliminazione del pericolo esterno ·-le tendenze centrifughe del Paese, il governo accenna a pensare a misure di repressione. Ma la repressione è affidata al particolarismo settario di Koroscez e, d'altra parte, Stojadinovié sembra esitare a mettere in azione quei provvedimenti di rigore che apparirebbero indispensabili ma che, d'altra parte rivalorizzerebbero la dittatura del suo principale avversario, Zivkovié.

Intanto, le milizie di Stojadinovié sono ridotte al minimo. Gran parte dei suoi fedeli lo hanno, più o meno apertamente abbandonato, come lo ha abbandonato il favore popolare. A Belgrado si parla correntemente di inevitabili dimissioni e si pubblicano, a getto continuo, liste di nuovi ministri. Un fatto che ha prodotto molta impressione e che, etTettivamente, è rilevante, è che Re Carol -reduce da Parigi e notoriamente in ottimi rapporti con Zivkovié-abbia mancato o, come si dice, non abbia voluto incontrarsi con Stojadinovié, durante il suo recente viaggio in Dalmazia, per rendere visita alla Regina Madre.

Nel momento attuale, quindi, le sorti del Presidente sembrano dipendere essenzialmente dalla fiducia del Principe Reggente e dalla preoccupazione della grave incognita che rappresenterebbe per il Paese l'abbandono di Stojadinovié ed un governo nominato sotto la spinta del fanatismo popolare. Ma sul Principe agiscono quotidianamente pressioni di ogni genere e dell'estero e dell'interno, per prevenire una riscossa del Presidente, che è indubbiamente, uomo di impensabili risorse. Comunque un fatto è certo ed è che, per una volta, Stjadinovié ha creduto, con eccessivo ottimismo, di abbandonare i suoi abituali metodi prudenti ed ha commesso un errore di valutazione e di tempo. Non ha apprezzato sufficientemente la debolezza della compagine delle sue forze, ha sottovalutato quelle avversarie e le reazioni del clero ortodosso e per affrettare i tempi, specie nella questione del ricercato accordo coi croati, ha sfidato l'opinione popolare in una questione, come quella della ratifica del Concordato, che, in sofferenza da tanti anni, poteva attendere, senza inconvenienti, qualche mese ancora ad essere messa sul tappeto. Come avrebbe potuto ancora attendere, errore forse iniziale, la visita di von Neurath a Belgrado.

197 4 Per la quale si veda il D. 182. 198 I Vedi D. 153.

199

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5589/023 R. Bucarest, J1 agosto 1937 (per. il 14).

Nella conversazione avuta con il signor Antonescu e della quale diedi notizia all'E.V. col telegramma per corriere del 5 agosto n. 022 1 , gli avevo espresso la

mia convinzione che se la Piccola Intesa non rinunciava alla sua pretesa di conseguire dall'Ungheria l'offerta di tre patti bilaterali di non aggressione da negoziarsi contemporaneamente e da stipularsi sincronicamente, non sarebbe stato possibile arrivare ad una conclusione favorevole delle conversazioni che Antonescu, come mandatario della Piccola Intesa, si proponeva di condurre a Sinaia con il signor Bardossy, ministro d'Ungheria, in occasione della periodica riunione dei «tre». Aggiunsi, a titolo del tutto personale, che la Piccola Intesa avrebbe potuto accontentarsi di «una dichiarazione unilaterale di non aggressione» rivolta non ai «tre», cosa questa che l'Ungheria non avrebbe ammesso, ma a tutti i suoi vicini territoriali. Una siffatta dichiarazione, non essendo diretta ai soli membri della Piccola Intesa, avrebbe perduto il significato di contropartita per la recuperata parità di diritto. L'Ungheria, come è noto, aveva costantemente e pubblicamente proclamato che essa non intendeva «pagare nulla» in compenso della riconosciuta parità di diritti.

Avevo lanciato tale formula solo a titolo accademico, e, per vero dire, senza molta speranza che essa sarebbe stata presa in considerazione da Antonescu; questi, invece, non solo vi si è soffermato ma, in un successivo colloquio, mi ha detto che sarebbe stato anche disposto ad assumerne la paternità ed a farsene promotore presso i governi di Belgrado e di Praga, se avesse ricevuto da Bardossy, anche se per mio tramite, l'assicurazione che tale formula non riusciva sgradita a Budapest. Il signor Antonescu ha quindi sollecitato un mio prudente sondaggio presso il ministro d'Ungheria, cosa che naturalmente ho fatto. Non senza sorpresa ho trovato anche presso il signor Bardossy terreno molto favorevole. Anzi, il ministro d'Ungheria, mi ha autorizzato a far sapere al signor Antonescu che «egli prendeva su di sé la responsabilità del gradimento del governo di Budapest» alla formula da me suggerita. Da successive conversazioni con signor Bardossy ho creduto capire che il governo ungherese era disposto ad andare anche più lontano e che quindi la formula accettata da Antonescu rappresentava «meno» di quanto l'Ungheria era disposta a fare su questo punto.

Si è così superato, in maniera altrettanto felice quanto impensata, il punto che sembrava più critico. Resta però ancora un altro problema sul quale, quasi certamente, finiranno per naufragare questi approcci, e cioè quello che concerne il trattamento delle minoranze. Il signor Antonescu, che fino a poche settimane fa non aveva mai voluto entrare nell'ordine di idee che la Romania dovesse impegnarsi a fare qualcosa per addolcire il trattamento alle minoranze, aveva finito per convincersi che, in sede di trattative, la Piccola Intesa avrebbe potuto prendere l'impegno di convocare i rispettivi capi delle minoranze ungheresi e procedere con essi all'esame dello scottante problema, in vista di eliminare gli ostacoli che oggi si frappongono ad una pacifica convivenza fra le varie razze.

Il signor Bardossy, al quale ho riferito tali disposizioni di Antonescu, pur mostrandosi soddisfatto, ha però osservato che ciò non bastava; perché i futuri contatti di Sinaia avessero favorevole esito, era necessario che i tre governi, prima ancora di conseguire la dichiarazione di non aggressione da parte dell'Ungheria, revocassero talune disposizioni più ostiche alle minoranze. Egli ha accennato, per quanto concerne la Romania, soprattutto alla restituzione dei beni che lo Stato ha sottratto alle comunità religiose minoritarie.

In sostanza, il signor Bardossy ritiene che l'accordo fra Ungheria e Piccola Intesa dovrebbe comprendere i seguenti punti, da attuarsi in ordine cronologico:

l -Dichiarazione della parità di diritti. 2 -Misure tangibili da parte dei tre Paesi della Piccola Intesa per la revoca di taluni dei provvedimenti più ostici.

3 -Dicharazione unilaterale di non aggressione da parte dall'Ungheria ai quattro Paesi confinanti, i vi compresa cioè l'Austria, secondo la formula cui ho sopra accennato.

4 -Controdichiarazione di non aggressione da parte dei tre membri della Piccola Intesa.

5 -Convocazione dei capi delle minoranze per l'esame approfondito della loro situazione e per l'adozione di misure atte ad assicurarne la pacifica convivenza con altre razze.

In quanto al signor Antonescu, egli accetta i punti l, 2, 3, 4 e 5, mentre ritiene che le questioni di cui al punto 2 non dovrebbero rappresentare ostacolo alla conclusione dell'accordo politico che dovrebbe essere trattato in occasione delle conversazioni di cui al punto 5.

Come V.E. constaterà, il divario, in fondo, non è grande e sarebbe anzi spiacevole se le due parti si ostinassero nella reciproca intransigenza su un punto che non è certo capitale. Ma la verità è che gli ungheresi non sembrano disposti ad arrivare ad una détente se non hanno in mano qualche cosa di concreto concernente le minoranze, mentre la Piccola Intesa non sembra disposta ad anticipare nulla di concreto, per le minoranze, prima di accertare come l'accordo di natura politica sarà accolto dall'opinione pubblica.

Il più grave ostacolo che si frappone ad una onesta transazione in questa materia è il terrore che le due parti hanno delle rispettive opinioni pubbliche. Il governo romeno teme di essere rovesciato se in Paese si apprende che si è fatto qualche cosa per le minoranze; mentre il governo ungherese è sicuro di essere cacciato a furor di popolo, se, contemporaneamente alla détente politica, non è in grado di annunciare di avere conseguito qualche cosa di pratico e di preciso circa le minoranze.

Ho creduto mio dovere cercare di avvicinare i punti di vista. In uno slancio di entusiasmo Antonescu si è spinto persino a convocare preso di sé il signor Bardossy: si sono scambiati molti sorrisi e molte parole amabili ed hanno parlato a lungo di problemi di ordine generale. Però, né l'uno, né l'altro, ciascuno aspettando che l'altro fosse il primo, ha aperto bocca circa gli scottanti problemi che avevo discusso con il primo come con il secondo, ed avevo riferito al secondo come al primo.

Sta così passando l'occasione più favorevole presentatasi per l'Ungheria, da un decennio a questa parte, per il riacquisto, senza inutili scosse, della parità di diritti, e sta anche passando un'occasione principe per la Romania e per la Jugoslavia, aggiogate dallo statuto della Piccola Intesa al carro di Praga, di riacquistare l'indipendenza della loro azione politica almeno nei confronti dei deprecati impegni così leggermente da esse assunti a Belgrado nell'aprile scorso.

199 1 Vedi D. 175.

200

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5538/308 R. Tokio, 12 agosto 1937, ore 16,05 (per. ore 15,50).

Ambasciatore di Germania mi ha detto che Chiang Kai-shek avrebbe accennato a suo collega tedesco in Cina circa possibilità che Italia a Germania sondino Tokio per conoscere sue vere richieste.

Ho risposto che, a meno che questo governo non avesse fatto spontaneamente comprendere che i nostri buoni uffici sarebbero desiderati, mi pareva preferibile non intervenire. Molte settimane erano ormai passate da quando noi due avevamo avuto idea di una possibile mediazione. Dopo molti avvenimenti occorsi mi sembrava che tempo utile fosse trascorso. Credevo Giappone fosse ormai disposto trattare solo direttamente con Cina e d'altronde se la Cina avesse voluto ve ne era possibilità non essendo state rotte relazioni diplomatiche. Mio collega ha convenuto e mi ha detto trarre da contegno Chiang Kai-shek convinzione che non vi è finora alcun accordo fra Cina e Russia. Non (dico non) gli ho menzionato passo di codesto ambasciatore cinese.

Comunicato Roma e Nanchino.

201

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5550/0179 R. Vienna. 12 agosto 1937 (per. stesso giorno).

Sul preannunziato incontro con il barone von Neurath, avvenuto domenica 1 nella casa di montagna posseduta nel Vorarlberg dal ministro degli Esteri del Reich il dottor Schmidt, con il quale mi sono incontrato ieri a Salisburgo, mi ha confermato la viva cordialità della conversazione, svoltasi nel tono più amichevole. In particolare il dottor Schmidt mi ha precisato:

l) la piena soddisfazione manifestatagli da von Neurath per la nuova, promettente fase delle relazioni italo-inglesi. La Germania -avrebbe detto von Neurath -ha ogni ragione di compiacersi, non ha alcun motivo di preoccuparsi come da qualche parte si è supposto --di questo così risoluto e concreto tentativo di comporre ogni dissenso tra i due Imperi. Il governo del Reich sarà lieto di dare alle trattative ogni migliore appoggio che da sua parte si chiedesse. Von Neurath avrebbe fatto intendere che non avrebbe per ora elementi per condividere a pieno l'ottimismo forse soverchio, o almeno la soverchia fretta, con cui la stampa antici

201 I 8 agosto.

246 pa i risultati. In ogni modo, ciò che tra Roma e Londra è avvenuto sinora, costituisce di per sé una distensione decisiva della situazione e un «dono», prezioso anche più perché impreveduto, alla pace dell'Europa.

2) Circa i rapporti tra l'Austria e la Germania, von Neurath è apparso a Schmidt sotto l'impressione favorevole dei risultati e, più ancora, della migliore atmosfera creata dalla recente sessione della Commissione austro-germanica per l'Accordo 11 luglio. Fece comprendere che a Berlino si attendeva ora un ritmo meno lento nell'opera di pacificazione interna, accennando in particolare alla non ancora compiuta smobilitazione della ·legislazione eccezionale a difesa dello Stato e del regime, diretta sopratutto contro il nazionalsocialismo. Schmidt fece dipendere questa più sollecita evoluzione interna dalla più severa astensione della Germania -non solo governo, ma anche partito --da ogni ingerenza negli aftàri dell'Austria. Von Neurath si disse per conto suo d'accordo; ma non poté escludere qualche interferenza da parte dei gruppi troppo numerosi e indisciplinati degli emigrati austriaci in Germania che premono su alcuni settori del Partito. Da ambo le parti non si sarebbe attribuita eccessiva importanza agli incidenti avvenuti alle adunate di Wels e di Breslau, né alle conseguenti reazioni da parte patriottica in Austria.

3) Avendo Schmidt accennato al linguaggio poco benevoio all'Austria che von Neurath avrebbe tenuto a Budapest, Belgrado e altrove, von Neurath tenne ad assicurare che le informazioni giunte a Vienna contenevano molte esagerazioni; che ad ogni modo egli non parlò di sua iniziativa, ma solo rispondendo a precise domande, forse qua e là in senso alquanto pessimistico, che era giustificato dalla situazione precedente alla convocazione della Commissione mista austro-germanica.

4) Von Neurath, che disse di averne parlato a Hitler, si dichiarò favorevole ad un prossimo incontro di Schmidt con Goering (mio rapporto n. 1416 del 22 luglio u.s.) 2 .

Schmidt, che era accompagnato dalla signora, fu trattenuto a colazione da von Neurath e dalla baronessa, che avevano presso di sé la figlia e il genero von Mackensen il quale partecipò a parte della conversazione politica 3 .

202

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5549/0181 R. Vienna, 12 agosto 1937 (per. stesso giorno).

Ho veduto il Cancelliere Federale nella sua dimora estiva di S. Gilgen sul lago di S. Volfango nel Salisburghese.

incontri tra esponenti austriaci e germanici. 201 3 Il documento ha il visto di Mussolini. Sull'andamento del colloquio tra von Neurath e Schmidt si veda la versione notevolmente diversa data da von Neurath (in DDT, serie D, vol. l, D. 247).

Della lunga conversazione voglio rilevare specialmente il vivo compiacimento espressomi da Schuschnigg -altrettanto ha fatto poi anche Schmidt per il decisivo avviamento di rinnovata amicizia e collaborazione tra Italia e Inghilterra. Schuschnigg mi ha detto calorosamente tutta la sua gioia, perché anche esteriormente ciò sia avvenuto in modo da far apparire trionfante la politica del Duce. L'iniziativa della lettera del Primo Ministro inglese 4 è, secondo il Cancelliere, la conferma mondiale più significativa del grande prestigio del Duce e della nuova potenza dell'Italia.

La situazione tutta particolare dell'Austria rispetto a noi e al mondo anglosassone -su cui più volte ho riferito all'E.V. -spiega tale eccezionale interesse. Il governo austriaco, che ha sempre tenuto fede ai suoi impegni verso di noi anche nei momenti più aspri del conflitto con Londra, si vede ora come liberato da un imbarazzo, considerati i rapporti specialmente economico-finanziari dell'Austria con il mondo anglosassone.

Schuschnigg, oltre a varie considerazioni d'ordine generale, ha insistito sul beneficio che dall'accordo italo-inglese verrà direttamente anche all'indipendenza e sicurezza dell'Austria e alla sistemazione dell'Europa Centrale. Egli augura pertanto a V.E. il piu ampio successo nelle trattative che si svolgeranno a Roma nel prossimo settembre con i rappresentanti dall'Inghilterra.

201 2 R. 2883/1416 del 22 luglio. Riferiva di avere appreso che erano possibili prossimamente diversi

203

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5570/0261 R. Parigi, 12 agosto 1937 (per. il 13).

Telegrammi per corriere di questa R. ambasciata nn. 0255 1 e 0258 2 .

Segnalo a V.E. articolo di fondo del Temps di questa sera (n. 27732) intitolato L'Jta!ie et la coopération internationale. Articolo anzidetto va evidentemente messo in relazione col suggerimento dato dal R. ambasciatore al Presidente del Consiglio di far conoscere, attraverso un giornale ufficioso ed autorevole, desiderio francese collaborazione con Italia. Tale desiderio viene particolarmente marcato nella frase seguente relativa ai colloqui di Londra e alla conversazione Chautemps-Cerruti: «on peut considérer qu'il y a là un excellent point de départ pour des pourparlers ultérieurs». Attiro inoltre attenzione di V.E. sui brani relativi riconoscimento Impero e prossimo discorso di Palermo, che trascrivo qui appresso: «Il est don c possible qu'à la session ordinaire du mois de septembre de la Sociéte des Nations une

203 I Vedi D. !82. 203 2 T. per corriere 5558/0258 R. dell'Il agosto. L'incaricato d'affari, Scaduto, aveva telegrafato che, grazie ad un'indiscrezione, forse volontaria, diversi giornali francesi avevano parlato del colloquio Chautemps-Cerruti del 6 agosto (sul quale si veda il D. 182) con commenti quasi sempre favorevoli. L'argomento, però, non era stato toccato dai giornali ufficiosi più autorevoli e ciò faceva ritenere che il governo volesse conservare un atteggiamento di attesa.

initiative soit prise en vue de supprimer définitivement cet obstacle. Il ne fait point de doute que la France et l'Angleterre agiront solidairement dans cette affaire. En tout cas, l'opinion française accueillera avec satisfaction toute décision de nature à écarter cette difficulté du champ de la coopération européenne» ..... «Les conversations de ces dernières semaines constituent une heureuse préface à cet effort, et il est à souhaiter que le discours attendu de M. Mussolini vienne confirmer et justifier l'espoir qu'elles ont fait naitre» 3 .

202 4 Vedi D. 136.

204

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5624/085 R. Bruxelles, 12 agosto 1937 (per. il 16).

Mi consta che Re Leopoldo, con la piena adesione di Spaak, ha designato il conte di Kerchove, attuale ambasciatore del Belgio a Parigi, per il posto di Roma, presso il Quirinale (mio telegramma per corriere n. 039 del 7 maggio) 1 .

Il successore del conte Kerchove, in Parigi, sarà il signor Le Tellier, attuale ambasciatore del Belgio a Mosca. Quest'ultimo avrebbe dovuto venire a Roma ma egli non è ammogliato, né facoltoso di mezzi, mentre Sua Maestà ha tenuto a designare per Roma un diplomatico che avesse già coperto un'importante missione e che possedesse le due predette qualità, per la più sollecita ripresa dei contatti cogli ambienti romani.

La notizia è segreta, giacché si teme -a ragione -che Vandervelde ed i socialisti estremisti possano ancora una volta -e sarebbe la terza -intimidire Spaak e deciderlo alla ritirata.

Non mi è riuscito appurare se Sua Maestà abbia o meno già ottenuto da Spaak l'impegno a chiedere senz'altro a V.E. il relativo gradimento. Ma ad ogni modo un'altra personalità politica, in stretto rapporto col Sovrano, ha tenuto a sottolineare meco che la designazione del predetto ambasciatore per il Quirinale è un indice che difficilmente Spaak potrà nella prossima assemblea ginevrina eludere un passo diretto in favore della liquidazione della questione etiopica, o quanto meno sottrarsi ad un esplicito favorevole atteggiamento, qualora la questione venisse da altri colà sollevata.

203 3 Con T. per corriere 5622/0263 R. del 14 agosto, Scaduto comunicava di avere appreso dal capo di Gabinetto del ministro Delbos, Rochat, che l'articolo del Temps era stato effettivamente ispirato dalla Presidenza del Consiglio. Di ciò Rochat informava anche l'ambasciatore Cerruti, allora in vacanza a Badgastein, e Cerruti scriveva il 15 agosto a Ciano per attirare la sua attenzione su l'editoriale del Temps che, a suo parere, assumeva a questo punto «un'importanza speciale» e confermava «l'intenzione del governo della Repubblica di cogliere la prima occasione per pronunciare, d'accordo col governo britannico, la parola fine alla questione etiopica». 204 l T. per corriere 3191/039 R. del 7 maggio. Riferiva di avere appreso che Spaak intendeva adoperarsi attivamente a Ginevra per trovare una soluzione alla «questione etiopica» e che era deciso a procedere al più presto alla nomina di un ambasciatore presso il Quirinale nonostante le «grandissime difficoltà» suscitate dal partito socialista.

205

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 3089/1348. Mosca, 12 agosto 1937 (per. il 16).

Telespresso della R. ambasciata n. 2956/1300 del 4 agosto 1937 1•

Come previsto, l'incidente sollevato a seguito dell'incursione contro il consolato dell'U.R.S.S. e Tientsin non ha avuto alcun seguito. Un comunicato della Tass ha bensì informato che il console generale sovietico a Tientsin 2 avrebbe ricevuto le scuse di un segretario dell'ambasciata del Giappone in Cina, il quale l'avrebbe anche assicurato che le autorità militari giapponesi avrebbero preso tutte le misure necessarie ad impedire il ripetersi di episodi del genere; viceversa quest'ambasciata del Giappone, presso la quale ho fatto assumere informazioni, ha smentito in modo categorico che si sia mai parlato di scuse e che il governo nipponico si sia riconosciuto responsabile dell'incidente. La stessa stampa sovietica non fa più alcun cenno alla pretesa punizione degli assalitori e nemmeno alla richiesta restituzione dei documenti che sarebbero stati sottratti al consolato. Segno comunque che, a seguito del colloquio dei due funzionari, la cosa è stata messa in tacere.

È certamente sintomatica l'arrendevolezza verso il Giappone mostrata in questi ultimi tempi dal governo sovietico; da spiegarsi probabilmente, almeno in parte, con le preoccupazioni dovute alla situazione interna e dell'esercito rosso. Circola con insistenza anche qui la versione, già segnalata a V.E. dalla R. ambasciata a Londra e dal R. console in Mukden (telespresso di V.E. n. 225669/c del 27 luglio 3 e telegramma per corriere n. 11318 del 25 luglio)4 , secondo la quale il contegno mantenuto dal governo sovietico al momento dell'incidente dell'Amur avrebbe determinato la scelta del momento per le recenti operazioni militari del Giappone in Cina. Infatti, se l'invasione della Cina settentrionale ha provocato la solita fioritura di invettive della stampa, naturalmente ispirata, contro l'aggressore giapponese, il governo sovietico si è ben guardato dal compiere qualsiasi atto non soltanto di indiretta partecipazione al conflitto, ma che potesse essere interpretato provocatorio o non neutrale.

Alla stessa ambasciata del Giappone, in un colloquio con quel primo segretario (creatura di Hirota, che ha risieduto per otto anni nell'U.R.S.S. e notoriamente stretto collaboratore dell'ambasciatore Shigemitsu) è stato smentito tanto l'invio di soccorsi di carattere bellico (telegramma della R. ambasciata n. 67) 5 come la presenza sul teatro delle operazioni del Maresciallo Bliicher o di altra personalità dell'Armata Sovietica (mio telegramma n. 69) 6 . Non si è esitato a dire in modo molto

del consolato dell'U.R.S.S. a Tientsin ·-avvenuta quando i giapponesi avevano il controllo della città -era da ritenere che l'incidente non avrebbe avuto seguito tra Mosca e Tokio. 205 2 M. Smirnov. 205 3 Trasmetteva il D. 117. 205 4 Ritrasmetteva il D. 108. 205 5 T. 5403/67 R. del 4 agosto. Riferiva che correva insistente la voce dell'invio di 300 aviatori sovietici in Cina come «volontari». L'ambasciatore Rosso riteneva che la voce fosse destituita di fondamento, essendo improbabile che l'U.R.S.S. potesse compiere un gesto così provocatorio nei riguardi del Giappone. 205 6 T. 9473/69 P.R. del 7 agosto. non pubblicato.

esplicito che in caso contrario l'atteggiamento del governo giapponese sarebbe stato ben determinato. Il signor Miyakawa ha invece informato che da fonte sicura risulta alla sua ambasciata che larghi mezzi finanziari vengono inviati in Cina per tramite del Comintern, il quale avrebbe impartito ordini ai suoi agenti di collaborare ad ogni costo con qualunque corrente cinese che mostri una probabilità di affermarsi, non escludendo la possibilità di cedere ancora al Kuomintang, per trovare un punto di accordo con il generale Chiang Kai-shek.

Addirittura sensazionali sarebbero le rivelazioni di questo addetto navale del Giappone al nostro addetto militare colonnello Piacenza. Con una franchezza sorprendente, come ha riferito il colonnello Piacenza al suo ministero, egli avrebbe detto che le attuali operazioni tendono alla conquista delle provincie cinesi del Nord dove dovrebbe venir costituito un governo autonomo, indipendente dal Manciukò, nel fine di isolare la Repubblica Popolare Mongola. Gli sviluppi avvenire, avrebbe lasciato intendere, potrebbero essere diretti contro l'U.R.S.S. od alla continuazione della penetrazione in Cina. Ad una precisa domanda del R. addetto militare, avrebbe risposto che sarebbe considerata ancora prematura l'eventualità di attaccare l'U.R.S.S., accennando anche alla presente impossibilità di contare sull'aiuto della Germania, militarmente impreparata.

Ritengo che il capitano Kaivabata nulla più intendesse esporre, in forma così insolita, che le proprie vedute personali. Mi sono ciò nondimeno creduto in dovere di comunicare quanto sopra all'E.V. perché dalle conversazioni con i predetti funzionari nipponici si potranno forse trarre elementi di qualche utilità per i controlli che a codesto superiore ministero si presenterà l'occasione di fare.

205 1 Riferiva che, nonostante il duro comunicato diffuso dall'agenzia Tass a proposito dell'invasione

206

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1909/678. Roma, 12 agosto 1937 (per. il 13).

Dai documenti forni timi dall'E. V. con il suo telegramma per corriere dell' 11 corrente n. 12138 P.R. 1 , ho tratto gli elementi per una conversazione che ho avuto stamane con il cardinale Segretario di Stato.

Il cardinale Pacelli mi ha espressamente incaricato di ringraziare sentitamente l'E.V. per l'opera svolta, a mezzo del R. ambasciatore a Berlino, per tentare una via di componimento nella vertenza che divide la Santa Sede e il Reich. Il porporato mi ha detto ch'era giunta anche al suo orecchio la notizia della momentanea sospensione dei processi intentati contro istituti e personaggi religiosi. Non gli constava invece che fosse in atto una tregua di stampa. Il cardinale aveva sul suo tavolo un cumulo di giornali tedeschi con articoli contro la Chiesa e le sue più alte gerarchie e vignette offensive per la sua persona. In uno di questi disegni egli è raffigurato con tratti semitici e lo si vede abbracciare una formosa donna. In un altro lo si vede, trasformato in acrobata, saltare un cumulo di sacerdoti spagnoli massacrati. In un caso e

nell'altro, non può esistere dubbio alcuno che non si tratti del Segretario di Stato di Sua Santità perché il suo nome figura in tutte lettere sotto le caricature. Il cardinale ha poi posto sotto i miei occhi gli uniti due recentissimi ritagli di giornale, che mi sono impegnato di restituire, del 7 e dell'8 di questo mese. Nel primo foglio sono presi di mira alcuni Papi segnalati per i loro cattivi comportamenti, nel secondo ( Viilkischer Beobachter) è preso a partito lo stesso cardinale. In queste condizioni, ha osservato il porporato, come si osa chiedere alla Santa Sede di moderare il linguaggio della stampa cattolica europea e di invitarla ad assistere indifferente all'ondata di fango che la stampa tedesca tenta di versare sulla Chiesa e sulle sue più alte gerarchie?

Quanto al secondo punto, ossia alla disposizione dimostrata dalla Santa Sede «a conversare», il Segretario di Stato mi ha confermato di averne accennato ripetutamente, come ha fatto con me, con il mio collega di Germania. Di più il cardinale mi ha esibito l'opuscoletto che invio qui unito ali'E.V., non senza farmi osservare che la sua nota al signor Menshausen, incaricato d'affari di Germania. riprodotta nel testo tedesco e nella versione italiana, dalla pagina 5 alla fine, è segreta, non essendo stata comunicata alla stampa. Il Segretario di Stato ha richiamato la mia attenzione su quanto è scritto alla pag. 19 dell'opuscolo, là dove è detto: «E forse uno scambio di vedute franco e oggettivo, si sarebbe potuto -e si potrà sempre, quando lo si voglia sinceramente -non soltanto giudicare esattamente il caso presente, ma anche trovare una via per eliminare l'insieme delle cause che sono all'origine dell'attuale tensione. E più avanti ancora, dopo avere deplorata una campagna giornalistica e alcuni discorsi di uomini di Stato che si sono introdotti nelle discussione diplomatica come un elemento perturbatore, la nota conclude: «Eliminare un tale elemento disturbatore costituisce la premessa per rendere normale la situazione, come pure per creare quella pacifica atmosfera, nella quale soltanto ulteriori discussioni possono condurre a risultati positivi.

A me pare che il cardinale sia nel giusto quando sostiene che l'offerta «a conversare» da parte della Santa Sede è stata fatta abbastanza chiaramente, per chi voleva intendere e non soltanto in via ufficiosa, ma in una comunicazione ufficiale.

Alla nota del 24 giugno2 non è stata data, invece, nessuna risposta. Segno evidente che il Reich si propone di menare il can per l'aia e che non è disposto «a conversare». È questo un fatto che può dirsi acquisito e che lascia intravvedere il futuro.

Non è dato prevedere che cosa accadrà al Congresso di Norimberga. È sempre più probabile che il Fiihrer abbia deciso di svincolarsi in ogni caso dal Concordato. Non è escluso, però, che il Reich, riacquistata unilateralmente la propria libertà, offra alla Santa Sede di negoziare un regime di separazione della Chiesa dallo Stato. In queste condizioni non sembra che ci sia nulla da fare, almeno per il momento.

Mi permetto, infine, un'osservazione. Nella lettera del R. ambasciatore a Berlino aii'E.V., del 3 corrente, si parla di «un nostro tentativo di mediazione». Credo opportuno fare notare che non è il caso di parlare di mediazione perché non c'è una domanda della Santa Sede al riguardo. Sta di fatto che il cardinale Pacelli si è dimostrato a varie riprese, propenso a avviare conversazione con il governo del Reich e che un nostro interessamento ufficioso per favorire tali conversazioni è gradito alla Santa Sede.

Sarò grato all'E.V. di restituirmi i due ritagli di giornali allegati al presente telespresso.

206 l Trasmetteva in allegato i DD. 134, 166 e 174.

206 2 Vedi D. 6. nota l.

207

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5568/312 R. Tokio, 13 agosto 1937, ore 9,05 (per. ore 6,45).

Per quanto sia comune opinione non esserci mai in Estremo Oriente situazioni così disperate da non consentire accomodamento, si deve credere non esistere, ormai, altra possibilità oltre azione bellica, già d'altronde ripresa, sia essa per essere seguita o no da formale dichiarazione di guerra.

Sarà bene tener presente che, nell'attuale stato delle cose, qualunque intervento in Tokio, tanto più se di tutte le grandi Potenze, non otterrà alcun effetto e sarà anzi considerato come inteso favorire Cina. Credo poter affermare che nessuna altra grande Potenza susciti qui oggi tanta fiducia e simpatia quanto l'Italia, pur entro i limiti del valore che queste parole hanno nei rapporti internazionali. Tale simpatia e fiducia per noi sono da qualche tempo anche maggiori che non per la Germania malgrado grandissima considerazione di cui questa gode sempre specialmente in materia militare.

208

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 . Berlino, 13 agosto 1937.

Il signor Gaus essendo ora tornato, ho avuto con lui una conversazione in materia locarniana. La sua impressione personale è che l'ultima nota inglese 2 non sia tanto vuota di contenuto come ne ha l 'aria. Egli ritiene ad esempio che, nel n. 3 dei principi annessi alla nota inglese, l'Inghilterra sia andata assai più oltre della stessa Francia. E se come è da presumere essa ha fatto questo accordo col Quai d'Orsay, la nota del luglio rappresenterebbe un passo sulla via di un possibile compromesso.

Senza entrare ulteriormente nel merito delle singole proposte inglesi, il signor Gaus ha peraltro riconosciuto che l'opportunità o meno di procedere oltre nelle trattative locarniane dipende non tanto da quel che potrebbe essere in definitiva un qualunque nuovo trattato di Locarno, quanto dalla situazione politica che il trattato stesso sarebbe destinato a coprire. Ove un nuovo trattato di Locarno dovesse servire soltanto a mascherare un'alleanza anglo-francese, è chiaro che non vi sarebbe alcuna convenienza da parte nostra a spingerne avanti le trattative. Ove invece esso fosse destinato a coprire e varare un piano di cooperazione fra le quattro

ambasciate a Londra e a Bruxelles, che non contiene, né il numero di protocollo. né l'indicazione della data di arrivo. 208 2 Vedi D. 92. nota 2.

grandi Potenze occidentali e ciò su una base di eguaglianza e di confidenza reciproca, allora le cose cambierebbero.

Ora, è bensì vero che vi sono dei promettenti accenni di distensione fra i due Assi, ma è anche vero che, prima di decidersi definitivamente sulla posizione da prendere di fronte alle trattative locarniane, bisogna dar modo a questi accenni di distensione di maturarsi e sopratutto di estrinsecarsi in qualcosa di concreto. Ciò richiederebbe del tempo e, nell'attesa, il signor Gaus ritiene che anche la nota inglese possa essere lasciata a dormire e ciò almeno fino ai primi di ottobre. Questa conclusione è anche condivisa dal barone von Weizsacker, direttore degli Affari Politici al ministero degli Esteri e, secondo me, può essere considerata, almeno per il momento, l'opinione dell'Auswartiges Amt e del governo tedesco.

208 1 Il testo di questo documento è quello della ritrasmissionc effettuata il 15 agosto dal ministero alle

209

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5695/1994. Parigi. 13 agosto 1937 1 .

Onoromi rimettere a V.E., qui unito, copia del rapporto che questo R. addetto militare, generale S. Visconti Prasca, ha inviato al R. ministero della Guerra, in data IO agosto corrente circa una visita da lui compiuta al generale Gamelin.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, VISCONTI PRASCA, AL MINISTERO DELLA GUERRA

RAPPORTO 1227. Parigi, 10 agosto 1937.

Ho visitato oggi il generale Gamelin che era assente da parecchie settimane da Parigi e che appena ritornato mi ha voluto parlare.

Il generale Gamelin mi ha detto che le sue idee e i suoi sentimenti non sono mutati dal 1935, che egli vede sempre le questioni e le relazioni franco-italiane nel medesimo modo. Evidentemente, ha soggiunto, vi sono stati avvenimenti nel campo politico che hanno influito su quelle relazioni. Tra questi avvenimenti egli ha messo in prima linea la crisi interna francese di cui egli ha parlato con accento di dolore. Però, secondo il suo parere, quella crisi sarebbe in via di superamento. La Francia è un vecchio Paese che ha già affrontato e assimilato tante crisi, affronterà e assimilerà anche questa crisi di «ideologia». Il Paese è robusto e temprato da secoli. da molte lotte, il buon senso della sua maggioranza sta riprendendo il sopravvento. Spera che col tempo i socialisti diventino uomini di ordine, che almeno una parte di essi faccia una evoluzione analoga a quella dei radicali.

Dal punto di vista della influenza del governo del Fronte Popolare sull'efficienza dell'Esercito, mi ha detto che non ha mai avuto tanto denaro a disposizione come col Gabinetto Blum.

Ha avuto tutto quello che ha chiesto. Le fabbriche di materiali da guerra hanno lavorato e lavorano a pieno rendimento. Producono al massimo di intensità tutto quel materiale che mancava all'Esercito.

Gli è possibile ora di preparare un esercito d'attacco mentre prima gli mancava il materiale occorrente fra cui i carri armati. Le fortificazioni sulla frontiera belga sono in costruzione col ritmo più accelerato, quelle sul fronte germanico in via di perfezionamento e di completamento.

Ha ottenuto la nazionalizzazione dell'industria di guerra. Ciò permette di organizzare l'industria in vista della produzione su grande scala in tempo di guerra e di regolare lo smercio di materiale bellico ad altri Stati secondo esigenze d'ordine politico e non d'interesse privato.

Si incontrano attualmente difficoltà nella produzione del materiale in ragione dei movimenti operai, ma spera che questa situazione sia di carattere transitorio ..

Mi ha assicurato che le agitazioni politiche non hanno avuto influenza sul morale né risonanze sulla disciplina dell'Esercito. Ha espresso a diverse riprese questa affermazione aggiungendo: del resto ve ne persuaderete personalmente.

A proposito dei rapporti italo-germanici mi ha detto che considera l'Italia sempre un elemento di equilibrio, di sicurezza e di moderazione nei riguardi della Francia. Ha aggiunto che la Francia ha funzionato analogamente rispetto ai rapporti italo-inglesi, specialmente in alcuni momenti di maggiore tensione e quando l'atteggiamento inglese si dimostrò pericoloso per la pace. Ed ha accennato alla sua azione personale in tale opera mediatrice, aggiungendo che la Francia vuole la pace e che una nuova guerra sarebbe una catastrofe per il vinto e per il vincitore.

Ha avuto una buona impressione dei capi tedeschi: von Beck, von Blomberg. Li ritiene persone serene, equilibrate, ragionevoli, incapaci di colpi di testa, che vedono chiaramente quali sono gli interessi veri del loro Paese.

Ha espresso la sua ammirazione per il Duce e per il regime, augurandosi l'avvento in Francia di un regime d'ordine e di autorità con risultati uguali a quelli italiani. Ha parlato a lungo della guerra d'Etiopia, della nostra fusione degli animi, dell'impulso dato dal regime alla conquista e dell'opera di S.E. Badoglio come condottiero.

Ha terminato esprimendo i suoi sentimenti di cordialità e di amicizia per l'Italia e per l'Esercito italiano in continuo progresso e sviluppo, ripetendo che le sue idee e i suoi sentimenti sono sempre immutati.

Aggiungo che per quanto riguarda gli affari di Spagna lo Stato Maggiore francese e tutti gli ufficiali di carriera sono favorevoli al generale Franco e ne augurano il trionfo. Così si esprime l'entourage del generale Gameli n. Della Spagna egli non mi ha parlato.

209 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

210

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, RONCALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2465/1013. Salamanca, 14 agosto 1937 (per. il 20).

A seguito del mio rapporto n. 2346/972 del 7 corrente 1 , ed in relazione al telegramma di Vostra Eccellenza n. 543 2 onoro trasmettere qui unite, per opportuna conoscenza e documentazione, copia dei rapporti del R. console a San Se

210 I Trasmetteva il telespresso 1899 del 5 agosto del console Cavalletti relativo ad un colloquio con il canonico Onaindia che aveva confermato l'intenzione dei dirigenti baschi di portare ad una conclusione positiva le trattative per la resa ed aveva proposto un incontro tra il presidente del governo basco, Aguirre, ed il console italiano. 210 2 T. 1409/543 R. dell'Il agosto, che escludeva la possibilità di un incontro tra Cavalletti ed Aguirre.

bastiano n. 1941 3 , 1971, 1991 e 19994 , relativi alle trattative svoltesi tra il C.T.V. e gli esponenti baschi, pel tramite del R. console suddetto.

ALLEGATO IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

TELESPR. SEGRETO 1941. San Sebastiano, 10 agosto 1937.

Come è noto alla E.V., in seguito alle deliberazioni prese da S.E. il Capo del Governo circa la questione basca, i rappresentanti del C.T.V., in particolare il generale Roatta, il maggiore Beer e De Carlo, hanno iniziato circa un mese fa le trattative per l'attuazione della resa dei battaglioni baschi.

Tali trattative, condotte da parte dei baschi dal canonico Onaindìa e dal deputato Lasarte, vertevano principalmente su due argomenti: lo sgombero delle personalità basche compromesse, l'organizzazione tecnica della resa.

Le trattative, con varie fasi che ho seguito da lontano riferendone alla E.V. 5 , si sono trascinate per questo periodo senza fino ad ora portare a nessuna pratica conclusione. Da parte loro, i baschi hanno sempre riaffermato la loro perfetta buona fede ed il loro vivo desiderio di adempiere gli obblighi.

I rappresentanti del C.T.V. hanno però avuto la sensazione che i baschi, sia per non essere più sotto la minaccia della imminente offensiva, sia perché il gesto italiano ha loro procurato insperata benevolenza da parte del governo di Franco (mio telegramma 1698 del 19 scorso )6 cercassero di temporeggiare.

Il C.T.V. pertanto, anche in vista dell'offensiva che si prepara a breve scadenza, ha deciso di richiamare per qualche tempo i suoi rappresentanti da San Sebastian, affidando a me l'incarico di mantenere i contatti con i baschi e di continuare le trattative.

In particolare, il C.T.V. desidera che faccia immediatamente presente ai rappresentanti baschi di S. Jean de Luz che il Comando Legionario, pur senza considerare rotte le trattative, ritiene di non poter più a lungo tollerare l'atteggiamento dilatorio dei baschi, ed è disposto a riprendere i diretti contatti solo per concludere praticamente e sostanzialmente.

Il generale Roatta mi ha dato una breve nota in questo senso da consegnare ai rappresentanti baschi, significando loro nel modo più chiaro che qualsiasi ulteriore mora può riuscire fatale ai resti del popolo basco.

Mi recherò oggi a S. Jean de Luz per eseguire.

211

IL GENERALE ROATTA AL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO

R. l. ... 15 agosto 1937.

Ieri mattina, 14 corrente, avendo avuto notizia che stava per giungere una risposta basca, sono venuto a San Sebastiano.

2IO 4 Rispettivamente dell'Il, 13 e 14 agosto con i quali il console Cavalletti comunicava di avere effettuato la consegna delle note che in quei giorni erano state scambiate tra il Comando Truppe Vo lontarie ed i rappresentanti baschi. 210 5 Vedi nota l. 210 6 Non rintracciato. 211 1 Questo documento è tratto dall'archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

-Detta risposta, che non era una, (vedi allegato n. l )2 , è giunta alle 14. Si trattava, in sostanza, di un ulteriore pretesto basco per menare il can per l'aia.

-Allora ho trasmesso la nota allegato n. 2, in cui dichiaravo concluse negativamente le trattative, per colpa della parte basca, qualora le condizioni da noi poste non fossero accettate entro le ore 24, e per iscritto.

-Questa notte, alle ore una, mi è pervenuta la nota allegato n. 3, in cui i baschi, probabilmente già al corrente della nostra offensiva accettano le nostre condizioni, pur facendo riserve circa gli ostaggi preventivi (questione praticamente già sorpassata, dati gli avvenimenti).

-In conseguenza oggi sono state fatte verbalmente le comunicazioni di cui all'allegato n. 4. Esse, naturalmente, non trattano più di adattamento, sia pure parziale, dei nostri fronti a quelli baschi, né di segnalazioni complicate per il riconoscimento reciproco in azione, ma contemplano le sole modalità pratiche di resa che possono ancora, a mio avviso, essere concretate senza uscire dal campo della realtà.

-Sino alle ore 15 non è stato possibile entrare in contatto col tecnico militare basco, perché a colazione con amici. Egli sarà visibile solo alle ore 17. Gli altri emissari non hanno dimostrato nessuna fretta, e non sembrano dare molta importanza alla offensiva ieri iniziata.

-Perciò ho disposto che alle ore 17 venga consegnata la nota scritta allegato

n. 5, che pone come termine all'accettazione delle modalità di resa, oggi comunicate, le ore 24 di oggi stesso.

-Appena avrò la risposta, la trasmetterò telefonicamente, via Vitoria, dopo di che rientrerò alla mia sede di Comando, lasciando qui il maggiore Da Cunto, con mezzi di collegamento.

In sostanza, nel caso che la parte basca accetti sostanzialmente le modalità materiali di resa comunicate, si tratta:

-di avvertire le truppe che, nel caso che reparti baschi si presentino preceduti da bandiere bianche o nazionali basche (preciserò al più presto foggia e colori), o le innalzino sulle loro posizioni, occorre accettare la resa, senza far fuoco, disarmarle e raccoglierle;

-di avvertire che se, in dette circostanze, truppe basche o santanderine od asturiane facessero, prima o poi, uso delle loro armi, anche noi avremmo la immediata libertà di usare le nostre, cercando però di risparmiare i reparti baschi che si arrendessero nella stessa zona, pacificamente;

-di sollecitare il Comando nazionale perché le sue truppe, (sempre quando le basche si regolino di fronte ad esse come convenuto per noi) le trattino come abbiamo convenuto di trattarle noi, (cosa normale, avendo il Generalissimo accettato sin dall'origine delle trattative, le note condizioni).

Per norma, avvertirò io direttamente il Comando della brigata «Frecce nere» e quello della 62a divisione nazionale, salvo, per quest'ultimo la conferma da parte del proprio Comando superiore.

210 3 Qui allegato.

211 2 Gli allegati di questo documento non sono stati pubblicati; il loro contenuto è indicato nel documento stesso.

212

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5638/263 R. Nanchino, 15 agosto 1937, ore 17,47 (per. ore 14,40 del 16).

Mio telegramma n. 248 1 .

Ho potuto accertarmi che codesto ambasciatore cinese aveva unicamente incarico chiedere ... 2 V.E. da parte Chiang Kai-shek e di fargli conoscere se possibile cosa realmente vuole Giappone dalla Cina, per sapere su che base poter trattare, il che, eventualmente, questo governo sarebbe tuttora disposto a fare senza tuttavia prenderne l'iniziativa. Proposta coincide con iniziativa dell' ... 3 .

213

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, INGRAM

APPUNTO. Roma, 16 agosto 1937.

È venuto a vedermi l'incaricato d'affari Jngram il quale mi ha parlato della situazione in Estremo Oriente e mi ha detto che il governo inglese desiderava conoscere se, in virtù della mia esperienza personale, avessi alcuni suggerimenti da fare circa la situazione che si è prodotta a Shanghai e che appare così simile a quella del 1932. Comunque il Governo inglese desiderava conoscere il nostro punto di vista sulla situazione e chiedeva se eravamo disposti a partecipare ad una azione diplomatica collettiva delle Potenze Occidentali per tentare di migliorare la situazione in Estremo Oriente.

Ho risposto ad Ingram che ringraziavo il Governo inglese della cortese richiesta, ma che non ritenevo di poter dare alcun suggerimento poiché appunto la mia esperienza cinese mi diceva che in Estremo Oriente anche situazioni apparentemente simili possono essere invece sostanzialmente differenti. Gli avvenimenti quindi del 1932 dovevano essere tenuti presenti soltanto fino a un certo punto. Per quanto concerneva poi il nostro atteggiamento generale di fronte al conflitto cino-giapponese, facevo presente al Signor Ingram che l'Italia, essendo legata da amicizia con ambo i Paesi in lotta, intendeva mantenere un atteggiamento strettamente neutrale, pur esprimendo il voto che una pronta composizione del conflitto potesse venir trovata. Più urgente quella nel delicato settore di Shanghai. In tal senso avevo inviato istruzioni ai nostri Regi Rappresentanti in Estremo Oriente, evitando poi di dare istruzioni di dettaglio e preferendo affidarmi al loro giudizio delle si

212 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile». 212 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili>>. 213 1 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 202-203.

258 tuazioni specifiche, dato che appunto la mia conoscenza dei Paesi e degli ambienti estremo orientali mi suggerivano l'opportunità di lasciare fino ad un certo punto mano libera ai Regi Rappresentanti per porli quindi in grado di fronteggiare gli eventi che si producono con singolare rapidità.

Ho assicurato infine il Signor Ingram che, mentre per parte nostra non ritenevamo il caso di prendere iniziative, saremmo stati disposti ad appoggiare qualsiasi azione diplomatica delle Potenze Occidentali, che tendesse a ristabilire la pace e l'ordine in Estremo Oriente o magari a limitare e isolare le zone della lotta.

Il Signor Ingram ha vivamente ringraziato per tale mia comunicazione e durante tutto il colloquio ha tenuto a mettere particolarmente in rilievo la grande importanza che l'Inghilterra annette all'amichevole collaborazione dell'Italia in ogni settore della vita internazionale 2•

212 l Vedi D. 194.

214

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DEL DRAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5236/1432. Washington, 16 agosto 1937 (per il 31 ).

Mio telegramma n. 330 in data odierna1•

Quando il 29 aprile 1937 il Congresso dava voto favorevole all'attuale legge sulla neutralità e susseguentemente il Presidente firmava il complesso documento recatogli da un aeroplano mentre egli era intento a pescare nelle acque della Baia di Chesapeake, tanto il potere legislativo, quanto il potere esecutivo non si immaginavano che avvenimenti nell'Estremo Oriente, allora imprevisti, li avrebbero messi dinnanzi alla eventualità, oggi non desiderata, di dover applicare detta legge a così breve scadenza.

È prevedibile che se ciò avesse pensato il Presidente Roosevelt, che godeva in quel periodo ancora dell'intero favore del pubblico americano e che a causa della disciplinata unione del suo partito, in seno al quale non si erano ancora manifestate le crepe presenti, si sentiva capace di molto osare e che riteneva il momento propizio per riunire nelle sue mani i maggiori poteri, non avrebbe tanto insistito per far rimettere al suo unico e solo giudizio la decisione, assumendone così la grave responsabilità, di dichiarare l'esistenza o meno di uno stato di guerra fra due Paesi belligeranti.

Lo scopo confessato della legge della neutralità è quello di voler mantenere gli Stati Uniti estranei e lontani da qualsiasi conflitto, di voler eliminare le cause economiche che avrebbero potuto trascinare l'America in una guerra per la difesa dei suoi interessi commerciali. La clausola del «cash and carry» già esaminata lunga

Tokio (con T. 1450/151 R.) e Shanghai (con T. 1450/165 R.) con la seguente aggiunta: «V.E. si terrà quindi in contatto con i colleghi del corpo diplomatico ed agirà in conformità di quanto precede tenen domi regolarmente informato». 214 I T. 5642/330 R. del 16 agosto. Conteneva. in una forma più sintetica, gli stessi concetti qui svolti con maggiore ampiezza.

mente nel rapporto di quest'ambasciata n. 738 del 7 maggio u.s. 2 rispondeva formalmente a questo desiderio. Formalmente, ma la verità era ben altra.

Gli autori della legge non avevano evidentemente spinto il loro pensiero fino all'Estremo Oriente fissandolo invece soltanto sulla vicina Europa e avendo in mente una guerra nella quale Italia e Germania si sarebbero trovate di fronte alla Francia ed alla benamata Inghilterra.

L'attuale legge trova la sua genesi nelle due prime edizioni del 31 agosto 1935 e del 29 febbraio I 936 dedicate all'Italia e alla guerra etiopica. Allora, come nel giorno 29 aprile I 937, i legislatori americani, sotto la parvenza di voler salvaguardare unicamente gli interessi del loro Paese, perseguivano un loro fine particolare e cioè l'alleanza, sia pur Iarvata ed indiretta, sia pure mascherata dall'enunciazione pomposa ed intollerante di dottrine umanitarie, colle Potenze democratiche europee contro gli Stati a regime unitario [sic] quando con l'applicazione della legge sulla neutralità si veniva ad aiutare gli amici senza peraltro compromettere i commerci ed i traffici dei propri mercanti.

Oggi la situazione è ben diversa.

L'applicazione della legge della neutralità da parte degli Stati Uniti verso la Cina ed il Giappone verrebbe ad essere causa di notevole imbarazzo per gli Stati Uniti sia dal punto di vista economico come da quello politico. Tanto Cina che Giappone sono due buoni clienti. Le esportazioni americane in Giappone sono ammontate Io scorso anno a 204 milioni di dollari e le esportazioni americane in Cina a 47 milioni di dollari. Gli Stati Uniti nello stesso hanno importato merci per 172 milioni di dollari dal Giappone e per 74 milioni di dollari dalla Cina. Una gran parte delle esportazioni americane in Giappone consiste di aeroplani e parti di aeroplani, strumenti, macchine, rottami di ferro, tutti oggetti che sono facilmente classificabili come materiale di guerra e che, assieme al cotone che è il prodotto che l'America esporta in maggiore quantità, sono i primi ad essere colpiti dalla legge di cui si parla.

Le conseguenze politiche dell'applicazione dell'atto di neutralità vengono ad assumere un'importanza ancor più notevole. Non ci può essere dubbio che il Giappone portando la guerra sul suolo stesso della Cina debba essere considerato aggressore come non vi può essere dubbio che tutte le simpatie americane sono dirette verso la Cina.

I recenti accordi monetari ed i prestiti fatti alla Cina dall'America ne sono una prova. Inoltre gli Stati Uniti per il Trattato delle Nove Potenze' hanno garantito l'integrità territoriale della Cina. Gli Stati Uniti quindi e per sentimento della pubblica opinione e per forza di trattati prendono le parti della Cina. Ed ecco che l'applicazione del patto di neutralità verrebbe a danneggiare la Cina più del Giappone. Non solo, ma la clausola del «cash and carry», che stabilisce che le mercanzie acquistate dai belligeranti in America debbono essere trasportate su bastimenti non americani e che tutti i diritti, titoli ed interessi devono essere trasferiti a proprietari stranieri, metterebbe sottosopra tutto il traffico commerciale americano

214 3 Trattato di Washington del 6 febbraio 1922 per adottare una politica concordata negli affari cinesi (testo in MARTENS, vol. XIV, pp. 323-331).

attraverso il Pacifico, senza contare quello deJle Filippine e delle Hawaii alle quali isole si applica la legge.

Quando il conflitto si è delineato e si è venuto man mano sviluppando, il governo americano si è sentito suggerire da parlamentari e giornalisti impazienti che era venuto il momento di far giuocare il nuovo meccanismo della legge sulla neutralità, e solo aJlora, realizzando che la legge diveniva un «boomerang act», come alcuni l'hanno chiamata, ogni giorno ha escogitato nuove scuse per rinviare l'applicazione di una legge che non si adattava più alla situazione ed alla politica del momento.

Così abbiamo avuto dichiarazioni in seno al Congresso ed articoli ispirati circa la necessità di non applicare la legge poichè vi era una speranza di compromesso tra i contendenti, compromesso che questo Governo cercava di favorire e non si stancava di raccomandare.

Si sono avute raccomandazioni autorevoli di non applicare la legge perchè essa favoriva l'aggressore Giappone e danneggiava l'amica Cina. Finalmente, e questa è l'originale teoria che enunciava per primo il senatore Lewis in un discorso al Senato, si è detto che la legge avrebbe offeso il Giappone col quale l'America era in termini amichevoli e avrebbe trascinato l'America in un conflitto, venendo così essa a raggiungere il risultato opposto a quello che si proponevano gli autori della legge.

Sono dell'altro giorno le dichiarazioni del senatore Pittman, presidente della Commissione per gli Affari Esteri del Senato e portavoce del governo, il quale ha detto che bisognava interpretare la legge nel suo spirito e non nella lettera. La legge è stata fatta per tenere l'America estranea ad un conflitto. Quando si poteva prevedere che l'applicazione di essa potesse invece trascinare l'America in una lotta, era evidente che non bisognava metterla in atto. È un caviJlo ma la situazione è imbarazzante e per ora il Presidente non ha dato un'indicazione di come poterla risolvere. Ma quando le notizie indicano migliaia di morti fra i quali vari sudditi americani, è ben difficile ricorrere a cavilli per negare che uno stato di guerra effettivamente esista.

Eppure da un mese il governo americano «ignora» la reale situazione e spera ogni giorno in un miglioramento che gli fornisca una comoda scappatoia.

Mentre ieri era atteso un discorso del Presidente che desse un'indicazione della linea di condotta futura del governo americano e forse anche, secondo alcuni, la dichiarazione dell'applicazione della legge stessa, non si sono avute che delle dichiarazioni del signor Hull fatte dopo una giornata di coJloqui fra Casa Bianca e Dipartimento di Stato circa la decisione di inviare 1200 marinai americani che arriveranno a Shanghai fra cinque settimane.

11 senatore Pittman su nominato, esaminando l'eventualità dell'applicazione della legge, dichiarava che, dato che i due Paesi non avevano ancora interrotto le relazioni diplomatiche (da altre notizie risulterebbe invece che i consoli giapponesi siano stati ritirati), la situazione non sembrava paragonabile a quella creatasi fra Italia e Etiopia all'inizio del conflitto e che quindi non si poteva riconoscere l'esistenza di uno stato di guerra fino a che non si avevano in proposito altre prove autentiche [sic].

Intanto qualsiasi osservatore anche non favorevole nei nostri confronti non potrà fare a meno di sorridere pensando che varie volte, e l'ultima volta è recente, in Senato ed in Parlamento uomini politici hanno fatto eco a leghe antifasciste e pacifiste che richiedevano l'applicazione della legge sulla neutralità contro l'Italia e la Germania per gli aiuti dati alle truppe del generale Franco!

213 2 Il documento ha il visto di Mussolini. Questo verbale fu trasmesso il 17 agosto alle ambasciate a

214 2 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 563.

215

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1453/297 R. Roma, 17 agosto 1937, ore 0,20.

Comunichi al governo tedesco quanto segue:

l -Nel prossimo discorso di Palermo 1 il Duce farà un'affermazione molto precisa sulla solidità dell'asse Roma-Berlino in tutte le contingenze e in tutti gli sviluppi della situazione politica. Con ciò verrà posto fine alla assurda speculazione francese circa il ritorno «alla guardia al Brennero».

2 -La guerra al traffico di contrabbando rosso fatta da noi nel Mediterraneo ha preso un'intensità eccezionale e intendiamo continuare con ritmo crescente. In cinque giorni sono stati già silurati 7 battelli mercantili e da guerra, dei quali, a parte, manderò nomi.

3 -Ogni sera manderò un bollettino riservato relativo all'andamento della avanzata in Biscaglia per immediata opportuna segreta notizia al governo del Reich 2 .

216

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI

T. PER CORRIERE 12528 P. R. Roma, 17 agosto 1937.

Suo rapporto del 12 corrente n. 1909/678 1 .

Restituisco i due ritagli cortesemente rimessimi daii'E.V.

Confermo che non vi è stato da parte nostra alcun tentativo di mediazione, come risulta del resto dalla comunicazione del R. ambasciatore a Berlino, trasmessale per conoscenza. La nostra azione ha avuto sin qui carattere strettamente informativo e di chiarimento dei reciproci punti di vista.

Le mie istruzioni al R. ambasciatore a Berlino (mio telegramma n. 1343) 2 : «qualora Ella abbia a un momento dato la sensazione che le disposizioni a trattare manifestate dalla Santa Sede siano comunque condivise dal governo tedesco, V.E.

215 2 Si veda, per il seguito, il D. 217. 216 l Vedi D. 206. 216 2 T. 1343 del 29 luglio con il quale Ciano aveva informato l'ambasciatore Pignatti delle istruzioni date ad Attolico con il D. 125.

potrà svolgere azione personale per favorirle» concordano strettamente con quanto le è stato comunicato dal cardinale Pacelli («un nostro interessamento ufficioso per favorire tali conversazioni è gradito alla Santa Sede»: suo rapporto in alto citato).

215 l Vedi D. 239, nota 2.

217

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE 5699/067 R. Berlino, 17 agosto 1937 (per il 19).

Telegramma dell'E.V. n. 297 1 e mio telegramma n. 307 di oggi 2 .

A seguito del mio telegramma suindicato confermo di avere oggi fatto al Segretario di Stato von Mackensen che regge, nell'assenza del barone von Neurath, la Wilhelmstrasse, la comunicazione prescritta relativa al contenuto del prossimo discorso del Duce a Palermo, nei confronti della consistenza dell'asse Roma-Berlino, ed ai successi dell'offensiva su Santander. Ho posto anche in rilievo i buoni risultati ottenuti dall'intensificarsi del blocco navale nel Mediterraneo. E, nei riguardi dell'avvenuto affondamento della nave rossa Ciudad de Cadiz nel Mare Egeo gli ho fatto presente l'inutilità, per non dire l'inopportunità, di un breve commento oggi apparso nel Berliner Tageblatt, nel quale si pone in dubbio la possibilità, per i sommergibili di Franco, di spingersi in quelle acque. Il Segretario di Stato ha convenuto pienamente.

Quanto alle prossime parole del Duce che porranno fine alla speculazione relativa alla cosidetta «Guardia al Brennero», il Segretario di Stato, nel confermarmi quanto il governo tedesco apprezzi la comunicazione, mi ha assicurato che l'avrebbe portata questa sera stessa a conoscenza del barone von Neurath.

218

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO,

T. PER CORRIERE 5828/030 R. /stanbul, 17 agosto 1937 (per il 24).

Alla fine del mio lungo colloquio odierno (telegramma filo n. 188) 1 ho detto ad Aras che prima della sua partenza per Ginevra, dato che in settembre mi sarei recato in congedo, era necessario parlassimo a lungo della visita di V.E. per predìsparla nel miglior modo possibile. Egli vi ha aderito con calda prontezza e mi ha

217 2 T. 5656/307 del 17 agosto con il quale Magistrati comunicava di avere fatto al governo tedesco la comunicazione prescrittagli. 218 l T. 5670/188 R. del 17 agosto. Riferiva su un colloquio con Rustu Aras, il quale aveva espresso le sue vive preoccupazioni per i riflessi che il conflitto spagnolo stava avendo nel Mediterraneo.

assicurato che ne avremmo parlato dettagliamento tanto prima della sua partenza per Ginevra quanto dopo quella riunione. Era suo desiderio che la visita di V.E. fosse precisa espressione della sempre maggiore cordialità dei rapporti italo-turchi e, convenendo pienamente meco, ha affermato che essa doveva anche produrre un significativo risultato indicante il progresso delle nostre relazioni.

Lo vedrò quindi al suo ritorno dalle manovre in Tracia, e prima della sua partenza per Ginevra fissata il 5 settembre. Aras ha poi accettato, su mio invito, di fermarsi una mezza giornata a Venezia anziché a Milano, come è sua costante abitudine. lvi egli potrà essere mio ospite. Pertanto, ove l'E.V. creda aderire alla mia domanda di congedo (mio telespresso n. 743 dell'li corrente)2 , partirei per Venezia il 2 settembre. Prego anche l'E.V. telegrafarmi se approvi l'invito da me fatto ad Aras 3 .

217 l Vedi D. 215.

219

IL GENERALE ROATTA AL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO

T. 397/c. 2 Vitoria, 17 agosto 1937.

Noti emissari hanno consegnato alle ore dodici di oggi, diciasette, due note3 in cui cercano di scusare ritardo e chiedono incontro nel quale sono sicuri poter dimostrare loro buona fede e stretta osservanza accordi. Invio Da Cunto con nota4 in cui dicesi che ormai non si tratta più di dimostrare nulla, ma unicamente di

218 3 Con T. 13030/93 P.R. del 25 agosto. Ciano autorizzava l'invito. 219 1 Al generale Roatta era stato assegnato il compito di condurre le trattative per la resa dei baschi. 219 2 Numero di protocollo della corrispondenza telegrafìca del C.T.V. Il documento è tratto dall'ar chivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. 219 3 Non pubblicate. 219 4 La nota. consegnata ai baschi la mattina del 18 agosto. era del seguente tenore: «In risposta alla nota degli emissari baschi, delle ore 12 del giorno 17 agosto. e per quanto essa sia stata consegnata con grande ritardo rispetto al tem1ine stabilito nella nota legionaria del pomeriggio del 15 agosto, si comunica:

l -Negli ultimi combattimenti sono emersi, in modo positivo. spostamenti di intere brigate basche, anch'essi in assoluto contrasto cogli impegni assunti da parte basca, fra l'altro colla nota del 17 luglio.

2 -Ormai non si tratta più di dimostrare. da parte basca. la propria assoluta buona fede e la sua stretta osservanza degli accordi antecedentemente stretti. Ma si tratta unicamente (data la situazione) di accettare o meno. da parte basca le modalità di resa indicate nelle comunicazioni fatte da parte legionaria la mattina del 15 agosto al n. 4. In altre parole -si ripete -se la parte basca dichiara immediatamente di accettare dette modalità, e se le truppe basche effettivamente dimostrano di applicarle. le condizioni inizialmente poste rimarranno in vigore. In caso di dichiarazione contraria, di ulteriore ritardo, o di non esecuzione, le condizioni suddette -si ripete anche questo ---cesseranno di aver valore.

3 -Qualora da parte basca non si accettino ora le modalità di resa comunicate e detta parte, procedendo le operazioni e comprendendo, finalmente. di essere coll'acqua alla gola. le accettasse successivamente, le condizioni di cui sopra non avrebbero ugualmente valore. Lo stesso dicasi per il caso che da parte basca non si accettino nè ora nè poi tali modalità, ma le truppe. costrettevi dalle operazioni. si arrendessero ugualmente.

4 -Il sig. Da Cunto si incontra cogli emissari baschi. allo scopo seguente: ricevere la dichiarazione basca che si accettano o non si accettano le modalità di resa di cui sopra; ricevere (per quanto sorpassati) i dati di cui al n. l della comunicazione legionaria della mattina del 15 agosto; concludere i dettagli esecutivi del caso per la resa, sempre nell'ambito delle modalità da parte legionaria stabilite».

Il documento è tratto dall'Archivio dello Uftìcio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

264 accettare o meno modalità resa da noi comunicate giorno 155 . Se tali modalità non vengono accettate e non avranno immediato inizio esecuzione, condizioni inizialmente concesse non avranno valore. Né lo avranno se, non accettando modalità stabilite, truppe basche si arrendessero ugualmente man mano, quando costrettevi da nostre operazioni.

218 2 Non pubblicato.

220

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. RISERVATO 1460/88 R. Roma, 18 agosto 1937, ore 2.

Suo telegramma 91 1 .

Come indicato in fine mio telegramma 622 , senatore Gasparini è partito in questi giorni per Sanaa, allo scopo rinnovare con Imam Trattato amicizia italoyemenita di prossima scadenza.

Di quanto precede sarà bene V.S. dia generica informazione a codesto governo, illustrando opportunamente che rinnovo predetto Trattato si inquadra nella politica che Italia svolge verso i due Regni arabi del Mar Rosso, legati fra loro da rapporti di fratellanza araba; e ciò allo scopo di evitare che sorgano costì sospetti e diffidenze a proposito del viaggio del senatore Gasparini nello Yemen. Telegrafi.

Per sua personale norma aggiungo che, dopo passi fatti da V.S. (suo telegramma 91) in relazione istruzioni di cui mio telegramma 62, non sembra opportuno che V.S. in ogni caso per ora parli nuovamente costì di un'eventuale visita di Gasparini. Ove tuttavia Le si facesse parola della cosa si riservi e telegrafi 3 .

221

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5698/317 R. l. Tokio, 18 agosto 1937, ore 8,30 (per. ore 16).

Soltanto ierisera giunto telegramma di codesta ambasciata 262 2 .

219 s Vedi D. 211. 220 l T. 5365/91 R. dell'8 agosto. Il ministro Sillitti comunicava che un eventuale viaggio del senatore Gasparini a Riad per essere ricevuto da Re lbn Saud presentava difficoltà perchè i dirigenti saudiani, ad evitare qualsiasi congettura, preferivano evitare la visita di stranieri a Riad. 220 2 Vedi serie ottava. vol. VI, D. 657. 220 3 Con T. 5937/95 R. del 28 agosto, il ministro Sillitti comunicava di avere dato notizia del prossimo viaggio a Sanaa del senatore Gasparini al fratello del ministro Fuad Hamza che era stato inviato appositamente a Gedda per sollecitare una risposta alle domande poste al governo italiano (per le quali si veda il D. 162). 221 I Questo telegramma fu inviato anche all'ambasciata a Nanchino. 221 2 T. 5620/262 R. del 14 agosto da Nanchino relativo ad un possibile accordo per il ritiro da Shan ghai delle forze ciaesi c giapponesi. Il telegramma era stato inviato anche all'ambasciata a Tokio.

Quando sabato scorso3 comunicai al vicemtmstro la prima delle risposte di Chiang Kai-shek (telegramma codesta ambasciata 4), feci qualche discreto saggio anche circa la seconda, ma le mie allusioni non trovarono eco adeguata. Per di più, i fatti d'armi posteriori hanno messo di malumore qui: propositi bellici, invio di uomini, aumento armata, hanno aumentate spese.

Sono convinto che se Chiang Kai-shek vuole e può tentare inizio negoziati, deve mettersi in rapporti con governo giapponese o per diretta via diplomatica o per mezzo di qualche suo uomo di fiducia, che potrebbe essere scelto tra quelli che sono in rapporti d'affari col Giappone. Ma condizione essenziale è che Giappone ottenga nella Cina del Nord situazione più vantaggiosa di quella avuta all'inizio del conflitto.

Quale che sia la causa occasionale, sua vera ragione è che i cinesi volevano riguadagnare terreno in quella regione e giapponesi volevano non perderne. Oggi, dopo tutti i preparativi fatti e dopo scontri già avvenuti, giapponesi non accetterebbero una soluzione che non rendesse, se non impossibile, assai più difficile creazione futuri tentativi cinesi per riacquistare predominio nella Cina settentrionale. Tale supposizione trova conferma nella risposta di Hirota al passo dell'ambasciatore di Cina a Roma5 .

Ignoro se le recenti intenzioni di questo ministro Affari Esteri corrispondano alla posizione dei militari in Cina.

È noto che armata Kuangtung non era molto docile, visibilmente, ai voleri di Tokio. Ma molte altre truppe sono state ora mandate in Cina ed è quindi più difficile conoscere loro stato d'animo. Tuttavia non è credibile che nell'attuale situazione Hirota faccia dichiarazioni che non abbiano consenso questo ministero Guerra e Marina. Comunicato Nanchino e per conoscenza Roma6 .

222

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3496/2124. Londra, 18 agosto 1937 1•

Telespressi di V.E. n. 224125/c. del 15 luglio2 e n. 225649/302 del 27 luglio u.s. 3 .

221 4 T. 5381/260 R. del 13 agosto dell'ambasciata a Nanchino. Riferiva su un incontro avuto da un gruppo di ambasciatori con Chiang Kai-shek circa i modi per evitare uno scontro militare nella città di Shanghai. Chiang Kai-shek dopo aver accettato di prendere in considerazione le proposte giapponesi per un'evacuazione delle forze militari contrapposte dalla città, aveva espresso il desiderio che le Potenze svolgessero un'azione collettiva anche per risolvere tutto il conflitto cino-giapponese ed aveva dichiarato che la Cina sarebbe stata «disposta a trattare diplomaticamente con il Giappone la sistemazione completa delle divergenze esistenti» qualora le Potenze avessero garantito che il Giappone non l'avrebbe attaccata. I diplomatici presenti avevano escluso che i loro governi potessero prendere un impegno del genere. 221 5 Vedi D. 190. 221 6 Questo telegramma continua con il T. 5684/318 R., stessa data, relativo alla questione specifica di Shanghai che non si è ritenuto di pubblicare. 222 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 222 2 Vedi D. 74. 222 3 Vedi D. 128.

Mi proponevo attendere il ritorno di Rendel dal suo congedo per riprendere con lui le conversazioni sull'Arabia, in conformità delle istruzioni da V.E. impartitemi con i due sopracitati telespressi. Poichè tuttavia l'Ufficio competente del Foreign Office mi ha fatto sapere che Rendel non sarebbe tornato prima della fine di agosto, ho ritenuto opportuno avere intanto un colloquio con Baggally, funzionario che sostituisce Rendel duranta la sua assenza.

Ho cominciato coll'attirare l'attenzione di Baggallay sul fatto che la Gazzetta Ufficiale di Aden ha recentemente pubblicato la nomina di un Reggente la stazione quarantenaria di Camaran, definendo quest'ultimo «direttore della stazione quarantenaria ed amministratore civile». Ho osservato che l'articolo 4 dell' Accordo di Roma del 19274 dichiara che l'isola di Camaran è di sovranità riservata e che «nessuna Potenza europea ha da stabilirvisi». Ho concluso dichiarando a Baggallay che il governo fascista non può ammettere l'esistenza di un amministratore civile a Camaran, e che domanda pertanto la rettifica del decreto di nomina in modo da renderlo conforme agli impegni assunti con l' Accordo di Roma.

Baggallay ha risposto che il titolo di «amministratore civile» è stato, da molti anni, sempre aggiunto a quello di «direttore della stazione quarantenaria di Camaran>>, senza che ciò abbia dato luogo a rilievi da parte italiana. Questo titolo, ha continuato Baggallay, non implica in nessuna maniera che l'Inghilterra abbia messo o intenda metter piede a Camaran e si riferisce esclusivamente a certe funzioni amministrative e disciplinari che il direttore della stazione quarantenaria è costretto ad esercitare qualche volta nei riguardi dei pellegrini mussulm:tni che sono sudditi dell'Impero britannico.

Ho replicato come comunque la qualifica di amministratore civile dava luogo ad evidenti equivoci, e poichè la realtà non si pareggiava al titolo bisognava rettificare il titolo. In caso contrario, il mio governo avrebbe avuto ragione di inferire che se il titolo non corrispondeva alla realtà, corrispondeva almeno a un desiderio e ad un piano britannico di modificare questa realtà.

Baggallay, visibilmente imbarazzato, mi ha risposto che avrebbe esaminato la questione a fondo e mi avrebbe fatto sapere qualcosa di più preciso.

Passando ad altro argomento, ho detto a Baggallay che supponevo Rende! lo avesse informato delle conversazioni che io avevo avuto con lui nei mesi trascorsi 5 . Nell'ultima di queste conversazioni, Rende! mi aveva esposto una serie di capisaldi, o meglio di rivendicazioni, della politica britannica in Arabia, che mi erano riuscite totalmente nuove e addirittura sorprendenti. Io avevo comunicato al mio governo le cose dettemi da Rende!, e il mio governo mi aveva incaricato di precisare il suo punto di vista affinchè non rimanesse alcun dubbio al riguardo.

Ho dichiarato quindi a Baggallay che il governo fascista, mentre nei mesi passati ha preso atto delle ripetute assicurazioni del Foreign Office secondo le quali il governo britannico: l) intende svolgere in Arabia una politica statica e non dinamica; 2) intende mantenere in vita l'Accordo di Roma del 1927; non vede in qual

222 5 Vedi serie ottava, vol. VI, DD. 123 e 692.

modo si possano conciliare queste due dichiarazioni con la politica effettivamente seguita, in questi ultimi mesi, dall'Inghilterra e a me illustrata dallo stesso Rendel. È infatti evidente --ho aggiunto -che:

l) l'Inghilterra mentre cerca di gettare sull'Italia il sospetto di mire segrete sulla sponda orientale del Mar Rosso, sta svolgendo per suo conto in Arabia, ed a suo esclusivo vantaggio, una politica essenzialmente dinamica ed espansionistica;

2) questa politica non è stata fatta in consultazione e in parallelismo con l'Italia, e quindi è in aperto contrasto con gli impegni contenuti nel paragrafo 7 dell' Accordo di Roma.

Poiché Baggallay ha reagito dichiarando che quello che io chiamavo espansionismo non era altro che la «riscossione» di vecchi titoli giuridici, fra i quali il trattato anglo-turco del 1914 6 , gli ho replicato che quel trattato non contiene nulla da cui possa dedursi che i territori situati a sud-est del confine tracciato nel deserto siano da considerarsi inclusi nel possedimento di Aden o comunque dipendenti dalla Gran Bretagna.

Baggallay a sua volta ha osservato che i titoli positivi dell'Inghilterra sono costituiti da trattati anteriori a quello del 1914, stipulati direttamente, con le varie tribù e i sultanati arabi; e che lo scopo del trattato anglo-turco è stato quello di ottenere, attraverso un formale disinteressamento dell'Impero Ottomano, un implicito riconoscimento -da parte della Turchia -di una zona abbandonata all'influenza britannica. Non vi era infatti alcuna ragione perchè la Turchia delimitasse i propri possedimenti in Arabia mediante un trattato con l'Inghilterra, se con questo trattato essa non intendeva riconoscere, in corrispondenza al proprio disinteresse per la parte sud-orientale dell'Arabia, un certo predominante interesse britannico in quella stessa zona.

Ho detto a Baggallay che la sua argomentazione prestava il fianco a molte critiche e a molte riserve ma che non bisognava d'altra parte perdere di vista il fatto che l'oggetto del nostro discorso non era costituito dalle relazioni anglo-turche ma dalle relazioni anglo-italiane. Per non smarrirsi nei dedali di una discussione vana, occorreva far ritorno alla Magna Charta dei rapporti anglo-italiani nella Penisola Arabica, che era costituita dagli accordi di Roma del 1927. L'Italia, come avevo già avuto occasione di dire a Rende!, riconosceva la piena validità di questi accordi, riferiti però alla situa::.ione dell'Arabia esistente nel momento della loro conclusione e in quel momento riconosciuta dall'Italia; condizione ovvia e perfettamente logica, in quanto ogni impegno bilaterale non può che riferirsi a un dato di fatto preciso e noto ai due contraenti. Altrimenti, esso è fondato sull'equivoco. Ora, a quanto io avevo potuto comprendere, il governo britannico, pur dichiarando di riconoscere la piena validità dell'Accordo di Roma, lo riferisce tuttavia ad una situazione di fatto che non esisteva al momento dell'accordo, e ad una pretesa situazione di diritto che l'altro contraente -e cioè il governo fascista-ignorava nel modo più completo.

Io ponevo a Baggallay due alternative: o la franca ammissione, da parte del governo britannico, di aver modificato le sue intenzioni e la sua intera politica araba dopo l'accordo del 1927 (e-ho aggiunto-in particolare dopo la conquista italiana dell'Etiopia); ovvero l'ammissione, altrettanto franca, del governo britannico, che nel concludere l'accordo del 1927 esso aveva in mente riserve e sottintesi di cui si era guardato bene di dare notizia al governo fascista.

Nel primo caso, io dovevo constatare che l'Accordo di Roma -di cui tenevo a riconfermare la validità per il mio governo -non era stato rispettato dal governo britannico, il quale d'altra parte aveva evitato di darne aperta denunzia.. Nel secondo caso, dovevo constatare che l'Accordo di Roma conteneva un vizio d'origine, in quanto-per la reticenza del governo britannico nel momento della sua conclusione -l'oggetto stesso del negoziato era stato diverso per i due contraenti, ed era mancata quella reale coincidenza di due volontà che dà un contratto.

Nell'un caso come nell'altro, la responsabilità della spiacevole situazione in cui oggi ci trovavamo spettava al governo britannico, e non al governo fascista. Ho aggiunto subito che con queste mie parole io non intendevo affatto minacciare una denunzia dell'Accordo di Roma, nel quale anzi vedevo la chiave di volta della politica di collaborazione anglo-italiana nel Mar Rosso e in Arabia ma intendevo soltanto domandare a Baggallay un necessario chiarimento.

Baggallay si è trincerato nell'affermazione che al momento della conclusione dell'accordo i negoziatori italiani «non ignoravano certamente lo stato giuridico e politico dell'Arabia, e in particolare dell'Arabia meridionale, in relazione ai diritti e agli interessi britannici».

Gli ho risposto che non vedevo per quale misteriosa rivelazione i negoziatori italiani avrebbero dovuto conoscere quei cosidetti titoli giuridici tenuti segretissimi dallo stesso governo britannico.

Baggallay ha cercato di sostenere che per quanto i titoli -e cioè i trattatifossero segreti, le «persone bene informate» sapevano, in un modo o nell'altro, che l'Inghilterra aveva «almeno dei vitali interessi sulle coste meridionali dell'Arabia e cioè lungo la via delle Indie».

Ho risposto che nessuno metteva in dubbio questi vitali interessi, ma che -a nostro avviso -essi erano della stessa natura di quelli che l'Inghilterra giustamente afferma di avere lungo tutta la via delle Indie, nel Mar Rosso e nello stesso Mediterraneo. Interessi cioè che si conciliano benissimo con l'indipendenza politica assoluta degli Stati litoranei, tanto nel Mediterraneo, quanto nel Mar Rosso e così pure nell'Oceano Indiano e nel Golfo Persico. Questo era il genere di interessi che i negoziatori italiani dell'Accordo di Roma conoscevano e tenevano presenti quando l'accordo venne firmato.

Baggallay è tornato ad insistere sui «vecchi titoli dell'Inghilterra sull'Arabia sud-orientale, segreti come documenti ma noti a tutti nella loro esistenza e nella politica che essi rappresentavano: costituzione, cioè di una sfera d'influenza britannica».

Gli ho subito ribattuto che questi titoli mi parevano espressamente ignorati, e anzi esclusi, dall'Accordo di Roma, il quale a diverse riprese, e in particolare nelle frasi introduttive e nel paragrafo 7, parlava di «Southern Arabia». Dunque l'Arabia meridionale era uno degli oggetti dell'accordo, era una delle zone in cui le rispettive politiche dell'Inghilterra e dell'Italia dovevano, conformemente ai termini dell'accordo stesso, «attuarsi secondo uno spirito di amichevole cooperazione e svilupparsi secondo linee parallele benché indipendenti». Se l'Arabia meridionale fosse stata allora ritenuta un protettorato britannico, certo non sarebbe stata posta sullo stesso piede delle altre parti dell'Arabia, notoriamente indipendenti. O non sarebbe stata menzionata affatto, o sarebbe stata menzionata in un modo diverso, e con espressa riserva di un privilegio che l'Inghilterra voleva attribuirsi.

Baggallay ha tentato sostenere che l'espressione «Soutlzern Arabia», nel testo dell'Accordo di Roma, si riferisce soltanto allo Yemen.

Gli ho replicato che ciò mi pareva escluso per il semplice fatto che l'espressione «Arabia Meridionale» veniva costantemente fatta seguire dall'aggiunta delle parole «e Mar Rosso». Lo Yemen non aveva altro sbocco se non nel Mar Rosso. Dunque l'espressione «Soutlzcrn Arabia» non poteva riferirsi che a quelle parti dell'Arabia meridionale che non erano sul Mar Rosso; cioè proprio all'Hadramaut.

Baggallay, sempre più imbarazzato, mi ha detto che aveva ascoltato tutta la mia argomentazione ma che per rispondermi adeguatamente aveva bisogno di una certa preparazione. Egli mi chiedeva di mettere per iscritto quanto gli avevo detto e mi avrebbe risposto pure per iscritto. Appena tornato Rende! dal suo congedo, Baggallay mi avrebbe avvertito affinché io potessi avere con Rende! un altro scambio di idee.

Ho risposto che di tutto ciò avrei parlato con Rende! al suo ritorno. Ho aggiunto che il governo fascista, di fronte al mutamento dell'equilibrio politico in Arabia su cui poggiava l'Accordo di Roma, mutamento effettuato per sola iniziativa del governo britannico, intendeva riservare ogni suo diritto e facoltà. Il governo fascista, ho concluso, chiede infine al governo britannico, in nome dei tre principi di «consultazione», di «cooperazione» e di «para!le!ismo» consacrati nell'accordo del 1927. in qual modo esso intenda ristabilire quell'equilibrio politico e quella proporzione di influenze italiane ed inglesi in Arabia che sono la base essenziale dell'accordo stesso. Se infatti l'Accordo di Roma significa qualcosa, esso significa che i due contraenti si impegnano ad osservare l'una o l'altra delle due seguenti alternative: o mentenimento dello stato di fatto esistente nel I 927, o modifica concertata di questo stato di fatto, in modo tale però che gli interessi dell'Inghilterra e dell'Italia si avvantaggino, o comunque si modifichino, parallelamente ed armonicamente.

Baggallay non ha risposto. E ci siamo così lasciati.

Se mi è lecito esprimere un giudizio sulla situazione, vorrei osservare che mentre nelle argomentazioni e discussioni gli inglesi hanno avuto, e probabilmente continueranno ad avere, la peggio, essi non saranno mai disposti a riconoscere il nostro punto di vista perché ciò equivarrebbe ad ammettere:

l) una loro violazione dell'Accordo di Roma; 2) un conseguente «credito» nostro nei loro riguardi, e l'obbligo m cm essi verrebbero a trovarsi di dare all'Italia un qualche compenso.

La discussione, protraendosi su questo terreno, non sembra destinata a darci altra soddisfazione se non quella di constatare la superiorità dei nostri argomenti e la fondatezza e giustizia del nostro punto di vista. Mi permetto pertanto sottoporre a V.E. l'opportunità che nel mio prossimo colloquio con Rende! io cerchi di istradare la questione arabica verso una nuova piattaforma (e cioè quella delle imminenti conversazioni di Roma), sulla quale tale questione potrebbe divenire una carta importante nel gioco complessivo dei nostri negoziati con l'Inghilterra.

Sarò grato a V.E. delle istruzioni che vorrà impartirmi al riguardo, anche eventualmente in relazione alla richiesta di Baggallay di una mia comunicazione scritta 7 .

221 3 14 agosto.

222 4 Vedi D. 23, nota 5.

222 6 Vedi D. 70.

223

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. 1491/118 R. Roma, 19 agosto 1937, ore 22,50.

Ho già avuto occasione di dolermi dell'atteggiamento del ministro d'Austria a Londra in seno al Comitato di Controllo 1 e il governo austriaco ha assicurato che avrebbe impartito le volute istruzioni al proprio rappresentante, in realtà però con ben scarso risultato. D'altronde, l'atteggiamento dello stesso governo di Vienna in tutta la questione spagnola è stato ed è ben !ungi dall'essere soddisfacente e comunque poco amichevole verso Franco. Ciò che per molte considerazioni poteva, e certo senza pregiudizio per Vienna, evitarsi.

In una conversazione che ho avuto stamane con questo ambasciatore di Spagna2, quest'ultimo a nome del suo governo ha attirato la mia attenzione sulla questione rammaricandosi che il governo austriaco abbia sempre evitato di compiere un qualsiasi gesto che potesse significare simpatia e solidarietà con i Nazionali, e, chiedendo che si facesse qualcosa in tal senso. I desiderata del generale Franco sono i seguenti: se possibile riconoscimento pieno del governo franchista; se no, riconoscimento della belligeranza; infine, qualora nemmeno ciò possa venire concesso, l'accettazione di un agente ufficioso franchista, così come di recente ha fatto anche la Svizzera.

Ho detto a Conde che non avrei mancato di svolgere un'opportuna azione a Vienna, affinché i desideri del Generalissimo vengano, per quanto possibile, accolti dal governo austriaco e prego la S.V. di volersi attivamente interessare in questo senso. Dovrebbe essere del resto tanto più facile, visto anche che l'andamento della guerra in Spagna e le sue ripercussioni sull'opinione pubblica mondiale non posso

223 1 Il 18 luglio precedente, Ciano aveva telegrafato a Salata che il rappresentante austriaco al Comi tato di non intervento, Georg Frankenstein, non agiva in sintonia con la posizione dell'Italia e che tutto il suo atteggiamento era «molto, anzi moltissimo insoddisfacente» per il governo italiano (T. per corriere 1262 R. del 18 luglio). 223 2 Vedi D. 227.

no lasciare dubbio su chi abbia in Spagna la prevalenza e il governo effettivo. Per sua norma la informo che analogo passo è stato compiuto contemporaneamente dall'ambasciatore di Spagna a Berlino3 .

222 7 Per il seguito si veda il D. 527.

224

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5715/0183 R. Vienna, 19 agosto 1937 (per stesso giorno).

Mio telegramma n. 145 1 .

Da quanto ho potuto comprendere, il fatto nuovo e principale che induce Schmidt a preferire per l'incontro con V.E. il termine proposto in primo tempo dall'E.V. (telegramma per corriere n. 1265 R.) 2 è di potersi prima rendere conto delle conseguenze di una anticipata cessazione degli Accordi del Semmering e delle possibilità di sostituirvi nuovi accordi che tengano conto delle preoccupazioni politiche ed economiche qui suscitate dall'annunzio di quella denunzia.

Schmidt conferirà in proposito prossimamente con Schiiller e predisporrà d'urgenza gli studi necessari presso gli uffici tecnici competenti. In base ai risultati di tali studi che richiederanno qualche tempo, vorrebbe poter trattare a fondo con

V.E. di questo argomento che egli considera il più grave, nel presente momento, nei rapporti tra i due Paesi.

Se l'originario termine potesse essere mantenuto e conciliarsi con gli altri impegni di V.E., l'incontro avverrebbe opportunamente alla vigilia della venuta a Vienna dei delegati italiani preannunziata per la seconda metà di ottobre.

225

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5742/067 R. Belgrado, 19 agosto 1937 (per il 20).

Mio telegramma per corriere n. 066 1•

Il riconoscimento dell'inviato di Franco come rappresentante de facto del governo nazionale spagnolo aveva luogo, da parte del governo austriaco, 1'8 settembre. 224 1 T. 9819/145 P.R. del 17 agosto. Comunicava che il Segretario di Stato agli Esteri Schmidt aveva espresso il desiderio che il previsto incontro con Ciano ·non subisse mutamenti di data. 224 2 T. per corriere 1265 R. del 18 luglio. Ciano aveva comunicato di essere disposto ad incontrare Schmidt a fine settembre o all'inizio di ottobre in una località dell'Italia settentrionale. 225 1 Vedi D. 198.

La situazione a Belgrado è assai più calma. I dirigenti dell'opposizione, che contavano sopra un effetto più immediato dell'assalto dato a Stojadinovic, appaiono in condizioni di incipiente scoraggiamento e di maggiore riflessione, anche perchè cominciano a rendersi conto del pericolo di manifestazioni di un così acceso panserbismo, che, specie sul terreno religioso, allontanano sempre più la possibilità di un appoggio dell'efficienza di quello dei croati. La calma ottimistica, la fermezza nelle direttive di marcia e nella conservazione della compagine ministeriale che continua a dimostrare Stojadinovic -e che è, del resto, l'unica linea di condotta che le circostanze gli consentano -ha molto contribuito a padroneggiare la situazione. Questa non è, peraltro, ancora né normale, né del tutto sicuramente avviata. In provincia si manifestano ora, col naturale ritardo, gli effetti della propaganda degli oppositori e del clero. Sopratutto la domenica è giorno di disordini. Il 15 corrente se ne sono verificati degli abbastanza gravi a Kraljevo, a Kragujevac e sopratutto a Mladenovac -a circa 60 chilometri da Belgrado -con vari morti e feriti. Korosec sembra intenzionato a stringere i freni a fondo e più metodicamente. Mentre Stojadinovié appare intenzionato a trovare, comunque, una via d'intesa col Santo Sinodo, nel quale, come ho precedentemente riferito, si manifestano crepe e rivalità, specie in vista dell'elezione del nuovo Patriarca. Affiora, sopratutto, fra i vescovi, la convinzione di essersi messi sopra una falsa strada, in compagnie deprecabili e menomanti il prestigio ed il primato della Chiesa nazionale serba.

223 3 Salata telegrafava il 26 agosto (T. per corriere 5900/0190 R.) di avere parlato in proposito con Schuschnigg, il quale gli aveva assicurato che si sarebbe interessato a fondo della questione ma aveva aggiunto che intendeva consultarsi con Daranyi, che sembrava «ancora propenso a guadagnare tempo nella questione spagnola».

226

IL GENERALE ROATTA AL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO

T. 421/c. 2 Vitoria, 19 agosto 1937.

Noti emissari inviata pomeriggio ieri, giorno 18, nota3 in cui affermano che situazione non è ancora tale da legittimare resa ad occhi di terzi, che occorre accordarsi ulteriormente circa detto momento, ecc. Risposto che, di fronte tale conte

Il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito».

gno e tale incomprensione situazione, consideriamo del tutto inutile continuare trattative e che responsabilità circa danno proveniente civili e militari baschi da non applicazione condizioni favore originariamente concesse è tutta ed esclusivamente della parte basca 4 .

226 l Vedi D. 219, nota l. 226 2 Numero di protocollo della corrispondenza telegrafica del C.T.V. Il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. 226 3 La nota, consegnata a Saint Jean de Luz, era del seguente tenore: «No parece a la parte vasca llegado el momento en que a ojos de tercera persona esté justificada la rendici6n, aun comprendiendo el deseo de los Legionarios de tener algun anticipo de la entrega. Este momento debeni ser fijado por los técnicos militares de acuerdo; para ello el técnico de la parte vasca tiene actualmente la situaci6n de las fuerzas vascas y dara a los Legionarios hoy estos datos. Hasta que el momento fijado por los técnicos llegue, se vera que las tropas vascas no ofreceran la resistencia que en casos normales habrian de ofrecer, viéndose claramente la falta de su acostumbrada energia. En los datos que entregara el técnico militjir veran Uds. que los Batallones que han aparecido en frentes, otros que el anteriormente indicado, pertenecen a la Divisi6n de reserva, la cual esta a disposici6n de los mandas militares, no pudiendo negamos a este empleo para no imposibilitar la ejecuci6n total de lo convenido, no siendo aceptable por la misma raz6n la entrega parcial de las tropas. Estamos pues en la misma posici6n mantenida desde el principio y con los mismos deseos y esperanzas manifestadas desde entonces, creyendo que nuestro punto de vista es el mas eficaz y apropiado dadas las condiciones internas a que tenemos que hacer frente».

227

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A ROMA, CONDE

APPUNTO. Roma, 19 agosto 1937.

Il Signor Conde mi ha comunicato di aver ricevuto istruzioni dal Governo di Salamanca di farci presente il contegno sfuggente e comunque poco amichevole tenuto da Vienna nei confronti del Generale Franco. Anche a prescindere dall'atteggiamento del Rappresentante Austriaco nel Comitato di Non Intervento, che si è mostrato spesso non soltanto freddo ma addirittura ostile alla Spagna Nazionale e asservito completamente all'Inghilterra, anche il Governo Austriaco ha sempre evitato di compiere un qualsiasi gesto che potesse significare simpatia e solidarietà con i nazionali.

Il Generale Franco si rivolge pertanto a noi per pregarci di intervenire a Vienna e far sapere che una maggiore simpatia per la Spagna Nazionale sarebbe molto opportuna. I desiderata spagnoli sono i seguenti: -se possibile riconoscimento pieno del Governo franchista; se no, riconoscimento della belligeranza; infine, qualora nemmeno ciò possa venire concesso, l'accettazione di un agente ufficioso franchista, così come di recente ha fatto anche la Svizzera.

Un analogo passo viene compiuto contemporaneamente dall'Ambasciatore di Spagna a Berlino.

Ho assicurato Conde che non avrei mancato di svolgere una opportuna azione a Vienna, affinché i desideri del Generalissimo vengano, per quanto possibile, accolti dal Governo Austriaco 2 .

228

I DELEGATI DEL C.T.V. AI RAPPRESENTANTI DEL GOVERNO BASCO

19 agosto 1937.

l. -Nella nota trasmessa dagli emissari baschi nella giornata di ieri, 18 agosto 2 , la parte basca dichiara che secondo lei la situazione militare non è tale da

227 l Ed. in L'Europa verso la catastrofe, p. 205. 227 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 228 1 Il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. 228 2 Vedi D. 226, nota 3.

legittimare, agli occhi di terzi, la resa delle truppe basche, e che tale momento deve .essere ulteriormente concordato fra le due parti. Ossia, in sostanza, la parte basca non accetta le modalità di resa comunicate dalla parte legionaria colla nota del 15 agosto.

2. --A parte tale non accettazione, la ragione addotta da parte basca per spiegarla, la proposta di discutere ulteriormente in proposito, e le altre comunicazioni contenute nella nota basca di ieri, dimostrano che la parte basca o è all'oscuro di quanto sta avvenendo sul fronte di Santander, o non ne comprende assolutamente la portata, oppure intende continuare sino all'ultimo, e, malgrado tutto, in quel sistema di ritardi, divagazioni e pretesti, che ha caratterizzato, da parte basca, tutte le trattative. 3. --La parte legionaria, malgrado che abbia sempre visti vani i suoi sforzi per venire incontro alla parte basca, ha cercato, anche quando era prossima la grande offensiva, e persino quando essa era già iniziata, (ossia ~-si noti bene -quando la sorte militare delle truppe basche era già inesorabilmente segnata), di concretare modalità di resa tali che mantenessero a questa un certo carattere di spontaneità, permettendo così l'applicazione delle condizioni di favore per militari e civili, originariamente concesse. 4. --Poiché la parte basca non comprende e non accede al suddetto generoso intento della parte legionaria, questa giudica assolutamente inutile di continuare nelle trattative.

Nel comunicare quanto sopra, i delegati legionari dichiarano esplicitamente che la responsabilità del danno che perverrà ai militari ed ai civili baschi dalla non applicazione delle note condizioni, ricade completamente ed esclusivamente sulla parte basca.

226 4 Per il seguito si veda il D. 228.

229

IL CONSOLE GENERALE A MUKDEN, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5755/40 R. Mukden, 20 agosto 1937, ore 9 (per. ore 2,35 del 21).

Telegramma di V.E. n. J3l.

Alla data convenuta per ripresa conversaziom mlZlate a Mukden in luglio

(mio telegramma n. 36)2 mi sono recato Hsin-King.

Primo colloquio avuto con generale Tojo, capo Stato Maggiore Kuantung Ar

my il quale mi ha pregato comunicare a V.E. apprezzamento militari Giappone per

atteggiamento Italia in occasione presente conflitto.

A quanto mi risulta egli ha ripetuto la formula secondo cui in realtà Giappo

ne, nonchè combattere Cina, mira liberarla dalla piaga del comunismo di importa

zione straniera, che rende vano ogni sforzo verso indispensabile collaborazione dei

due popoli.

conferire con le autorità locali. 229 2 Riferimento errato. Si tratta presumibilmente del D. 90.

Oggi questo ha dovuto fare ricorso alla maniera forte.

Tornando a parlare dei rapporti fra l'Italia e Manciukuò e del modo migliore per svilupparli, ha detto augurarsi si possa giungere presto a un risultato concreto, il quale in questo momento assumerebbe per il Giappone, e particolarmente per ambienti militari, un significato di straordinaria importanza dovuta alla loro influenza su future relazioni tra l'Italia e Giappone .

. Ho ritenuto opportuno precisare che queste conversazioni finora non sono state altro che primo esame, fatto in comune, delle possibilità esistenti di sviluppare le relazioni fra i due Paesi.

Giorni successivi abbiamo esaminato con Oguoshi e con direttore3 i seguenti punti di una possibile intesa che, in linea di massima, essi si sono dichiarati disposti a negoziare. Come da istruzioni impartite a Mukden, essi hanno specialmente insistito sui seguenti punti:

l) Riconoscimento della sovranità italiana su Etiopia. 2) Conclusione trattato di commercio sul tipo di quello tra Germania e Manciukuò4. Per quanto riguarda quantitativi, sarebbero stabiliti per ora in base ai dati posseduti e con successivi ritocchi ogni anno in base all'esperienza. 3) Scambio di notizie da fornire alla stampa due Paesi per sventare manovre e false notizie di agenzie straniere.

4) Scambio di informazioni concernenti attività internazionale e politica.

5) Dichiarazione intenzioni iniziare quanto prima studio e trattative per creazione fabbrica italiana di aeroplani, nella cui costituzione apporto italiano sarebbe rappresentato da tecnici, mano d'opera specializzata macchine, ecc. Su questi punti, avrebbe dovuto richiedere altre amministrazioni che si sono riservate una proposta concreta, precisazioni. 6) Istituzione nelle rispettive capitali di rappresentanze diplomatiche, le quali servirebbero anche da strumento per applicazione accordo. 7) Durata di un anno, rinnovabile.

Resto in attesa istruzioni di V.E. 5 .

229 l T. 9386/13 P.R. del 23 giugno con cui il console Cortese era autorizzato a recarsi a Hsin King per

230

IL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

LETTERA. San Marzanotto d'Asti, 20 agosto 1937 1•

In occasione dell'invio a Parigi del generale Visconti Prasca quale addetto militare, ho incaricato il Visconti di dire al generale Gamelin che i miei sentimenti

229 4 Trattato per il commercio tra Germania e Manciukuò del 30 aprile 1936 (testo in MARTENS, vol. XXXVI, pp. 350-353). 229 5 Vedi D. 258 e D. 371, nota 6. 230 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

verso di lui erano sempre gli stessi e che mi auguravo che un raddrizzamento di idee del governo francese avesse a breve scadenza permesso più cordiali rapporti fra i due Paesi.

Il generale Gamelin mi ha risposto con la lettera che annetto. Anche il Visconti-Prasca mi ha informato con la lettera allegata 2 . Mi è sembrato opportuno portare quanto sopra a conoscenza di V.E.

ALLEGATO

IL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE DELL'ESERCITO FRANCESE, GAMELIN, AL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO

Parigi, ... agosto 19373 .

Rentrant à Paris après une série d'inspections et quelques jours de vacances, j'ai eu le plaisir d'y recevoir le Général Visconti Prasca.

Il m'a remis J'exemplaire de votre ouvrage sur votre glorieuse campagne d'Ethiopie. Je suis très sensible à votre aimable envoi et à l'amicale dédicace qui lui donne toute sa valeur.

J'ai dit au Général Visconti Prasca tout le plaisir que j'avais à le voir accrédité auprès de nous, en raison des sentiments qu'il nous inspire personnellement et parce que je suis heureux de trouver en lui un de vos intimes collaborateurs.

Il m'a transmis votre message. Je lui ai répondu que je vous demandais de ne point douter de mes sentiments, comme je n'ai jamais douté des votres, quelles que puissente etre les difficultés passagères.

229 3 Chuichi Ohashi, direttore del Servizio Affari Esteri.

231

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5799/0188 R. Vienna, 21 agosto 1937 (per. il 23).

Il Presidente del Consiglio d'Ungheria, che ho incontrato più volte in questi ultimi giorni durante la sua permanenza a Badgastein 1 , mi si è mostrato alquanto preoccupato delle recenti difficoltà che avrebbero incontrato i delegati ungheresi nelle trattative economiche con i nostri delegati ad Ortisei2 .

Avendogli io opposto che avevo letto un comunicato ufficiale, evidentemente concordato, sulla conclusione favorevole di quelle trattative, Daranyi mi ha osser

230 3 Manca la data dell'allegato. 231 l Daranyi era in vacanza dal 2 agosto a Badgastein, dove era stato poi raggiunto anche da Kanya. 231 2 Vedi DD. 146 e 187.

vato che l'Ungheria aveva dovuto fare di necessità virtù ma non poteva rinunziare alla speranza che prossime trattative sugli argomenti non conclusi ad Ortisei avrebbero portato a risultati più favorevoli.

Il capo del governo ungherese mi ha accennato anche ad una lettera che aveva ricevuto poco fa dal Duce in risposta ad una sua 3 . Nella lettera del Duce --mi disse, tra l'altro, Daranyi -oltre a comunicazioni sui motivi che inducono l'Italia ad una revisione dei suoi rapporti economici con l'Ungheria, aveva letto con sorpresa l'affermazione che ormai la situazione economica dell'Ungheria, anche rispetto ai traffici internazionali, era tanto migliorata da non richiedere più gli aiuti straordinari previsti dagli accordi di Roma, mentre per l'Italia sarebbero sorte nuove difficoltà che le impedirebbero di mantenere il sistema delle preferenze, ormai invocato anche da altri Stati. E fece allusione speciale alla Jugoslavia.

Daranyi mi disse che egli sarebbe ben lieto se il giudizio del Duce sulla situazione attuale dell'economia ungherese rispondesse alla realtà. Purtroppo, non sarebbe così. Egli, che ha ricevuto la lettera del Duce (essa recherebbe la data del luglio scorso) solo dopo la partenza da Budapest, ha dato da Badgastein al presidente della Banca Nazionale e al ministro delle Finanze l'incarico di preparargli gli elementi concreti, sulla cui base si riservava, la prossima settimana, appena ritornato a Budapest, di rispondere al Duce, anche per ringraziarlo delle assicurazioni dategli sulla linea della politica italiana verso l'Ungheria.

A questo proposito, Daranyi in un ultimo colloquio avuto con me ieri mattina, mi chiese con insistenza se ritenevo che permanesse ancora indiminuito, nella nuova situazione europea, l'interesse dell'Italia ai Protocolli di Roma e all'amicizia con l'Ungheria e l'Austria. Gli risposi che era mio fermo convincimento che tale interesse continuava ad essere uno degli elementi costitutivi della costante e rettilinea politica italiana. Poche ore dopo, il discorso di Palermo4 dava in proposito la più alta e precisa assicurazione.

Questo dei rapporti politici ed economici con l'Italia sarà, secondo le mie impressioni l'argomento principale dello scambio di idee che Daranyi avrà oggi, sabato, con Schuschnigg a St. Gilgen.

Il Presidente del Consiglio ungherese mi si mostrò molto tranquillo circa la situazione interna dell'Ungheria e l'esito dei prossimi lavori parlamentari, anche sulla riforma elettorale. Mi comunicò varie sue impressioni favorevoli sulle condizioni dell'Austria, tanto nei riguardi politici quanto in quelli economici.

Circa rapporti con la Jugoslavia, le trattative iniziate avrebbero -secondo quanto mi ha detto Daranyi --subìto un arresto per desiderio di Stojadinovic. Questi, essendo risoluto a prendere liberamente qualche utile iniziativa nei riguardi delle minoranze ungheresi, aveva fatto sapere a Budapest che doveva attendere per far ciò che la situazione interna, turbata ora dal conflitto religioso per il Concordato con la Santa Sede, si migliorasse e gli consentisse di attuare quel suo proposito nell'interesse di un miglioramento nell'atmosfera fra Belgrado e Budapest.

231 4 Riferimento al discorso di Mussolini del 20 agosto (vedi D. 239, nota 2). Circa i rapporti con l'Austria e con l'Ungheria, Mussolini aveva detto che «sono sempre intonati ai Protocolli di Roma che specialmente durante la punta della crisi economica si sono dimostrati efficacissimi».

230 2 Non pubblicata. Riproduceva il rapporto di Visconti Prasca del IO agosto (Vedi D. 209).

231 3 Vedi D. 146, nota 5.

232

L'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI D'EUROPA E DEL MEDITERRANEO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, [22] agosto 1937.

Nell'ultima conversazione che il R. Ministro a Gedda ha avuto con Yussuf Yassin1 , questi gli ha manifestato l'inquietudine di S.M. Ibn Saud per lo sviluppo degli avvenimenti relativi alla Palestina. Yussuf Yassin ha sottolineato che S.M. lbn Saud è il capo riconosciuto di tutti gli arabi, non solo nello stato saudiano ma anche negli altri Stati arabi; ed ha aggiunto che, per quanto i rapporti anglo-saudiani siano tuttora ottimi, Ibn Saud, data l'azione svolta dalla Gran Bretagna circa la Palestina, «è costretto a preparsi per trovare una soluzione favorevole agli interessi arabi di cui egli si considera capo, nel mentre si ritiene in grado di far prevalere le sue direttive in tutti i Paesi arabi».

Nella stessa conversazione Yussuf Yassin ha posto al R. Ministro a Gedda quattro questioni, che si riproducono qui appresso, facendole seguire da qualche considerazione circa le risposte che si proporrebbe di dar loro, e che risultano dal progetto di telegramma qui unito 2 .

l) Quale sia la politica permanente che l'Italia intende seguire rispetto ai Paesi arabi (Palestina, Libano, Siria, Transgiordania, Irak, Saudia e Yemen).

Nel progetto di risposta si distingue tra i Paesi sotto mandato e Stati indipendenti della costa orientale del Mar Rosso. Per i primi si accenna alla direttiva della politica italiana contraria a vedere aumentare l'influenza di grandi Potenze europee sulle regioni costiere del Mediterraneo orientale; è interesse italiano che i Paesi del Levante sotto mandato raggiungano una indipendenza politica effettiva; il progetto francese circa la cessazione del mandato sulla Siria e Libano e quello inglese circa la cessazione del mandato sulla Palestina non soddisfano a questa condizione. L'Italia resta fedele alla politica di simpatia verso le aspirazioni arabe, e seguirà ed appoggerà con ogni mezzo pacifico adatto alle circostanze gli sforzi arabi acchè lo statu quo nel Levante sotto mandato non venga peggiorato a detrimento degli interessi arabi.

Per quanto riguarda poi gli Stati arabi del Mar Rosso, si confermano al R. Ministro le direttive italiane basate sul mantenimento della pace e sulla conservazione dello statu quo nella penisola araba, e si ripeta il nostro desiderio di agevolare il rafforzamento di detti Stati, nel pieno rispetto della loro sovranità politica, indipendenza ed integrità territoriale.

2) Quale sia la politica reale dell'Italia rispetto alla spartizione della Palestina fra arabi ed ebrei. Non vedrebbe l'Italia un pericolo futuro nella creazione di uno Stato ebraico, sulla sponda orientale del Mediterraneo?

Nel progetto di risposta si ritiene opportuno accennare al fatto che circa la Palestina l'Italia non ha avuto occasione sinora di prendere posizione, essendo la discussione rimasta per ora nell'ambito ginevrino. Ma si aggiunge che tale riserva non significa consentimento, e che nella nostra azione futura ci ispireremo al mantenimento e alla difesa dei principi contenuto nell'art. 22 del Patto della

S.d.N. e nel testo del Mandato sulla Palestina, interpretandoli in senso conforme alle eque aspirazioni dei popoli arabi.

Non si riterrebbe opportuno di prendere una posizione più esplicita, particolarmente nei rispetti della costituzione dello Stato ebraico, sia in considerazione dell'attuale fase e dei prossimi sviluppi delle relazioni italo-britanniche, sia per il motivo che qualsiasi soluzione della questione palestinese non potrà in definitiva non tener conto delle masse israelitiche installatesi in Palestina, la sistemazione politica delle quali è auspicata, oltre che da forti correnti dell'opinione pubblica mondiale, da taluni grandi Stati (Gran Bretagna, Polonia).

3) Fino a qual punto gli arabi possono contare sull'appoggio dell'Italia, materialmente e moralmente.

4) Quali assistenze e quali appoggi potrebbe l'Italia fornire in caso di bisogno e di necessità.

Nel progetto di risposta si osserva che per fornire gli elementi desiderati da

S.M. Ibn Saud occorrerebbe conoscere esattamente quello che egli si propone di fare per trovare una soluzione favorevole agli interessi arabi. Si ricorda quello che l'Italia ha fatto finora per rafforzare l'organismo militare saudiano (Missione aeronautica a Gedda, offerte per fornitura di fucili e munizioni). Si aggiunge che l'Italia è pronta a continuare su questa via e a considerare simpaticamente precise richieste o progetti.

Si avverte infine il R. Ministro a Gedda di non accennare più a contropartite.

II progetto di risposta si ispira all'opportunità di continuare, in ogni caso e qualsiasi possa essere l'andamento dei rapporti italo-inglesi, a mantenere con lbn Saud i più amichevoli e confidenti rapporti.

Ibn Saud è oggi la personalità senza dubbio più influente nel mondo arabo. Egli, insieme con il Re dell'Irak e con l'Emiro della Transgiordania (ambedue più o meno nelle mani inglesi), ha contribuito a far cessare la rivoluzione araba in Palestina nello scorso anno.

Ritiene con ciò di avere preso un impegno morale verso gli arabi della Palestina di favorire le loro rivendicazioni ali 'indipendenza. La stessa Gran Bretagna si preoccupa di attutirne la probabile opposizione al suo progetto di spartizione della Palestina: ne è prova la cura che ha avuto di fargli pervenire, a mezzo di aerei appositamente inviati da Londra, e prima della sua pubblicazione, il suo progetto di sistemazione della questione palestinese, e di farglielo commentare dal ministro britannico a Gedda, appositamente recatosi dal Re lbn Saud a Riad.

L'andamento dei rapporti italo-saudiani non potrà non influire notevolmente sui rapporti generali dell'Italia col mondo arabo, che oggi considera Ibn Saud come l'unico Re arabo indipendente, capace di dar corpo alle aspirazioni verso l'unità di tutti i Paesi arabi.

232 l Vedi D. 162. 232 2 Non rintracciato.

233

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1290/390 BIS R. Nanchino, 22 agosto 1937 1•

Te1espresso di V.E. n. 217980/c. 2• Ho letto con interesse il rapporto del R. ambasciatore a Mosca annesso al precitato telespresso dell'E.V.

L'articolo pubblicato sugli organi della Comintern dal delegato cinese presso la Comintern stessa descrive assai efficacemente la situazione che è venuta formandosi in Cina in seguito all'abile modificazione della politica verso il Kuomintang, in senso più conciliativo e sotto l'etichetta della unificazione delle forze nazionali della Cina in funzione antinipponica in particolare dopo il colpo di Sian 3 in cui, a mio avviso, deve ricercarsi l'origine della modificata attitudine di Chiang Kai-shek nei riguardi dei comunisti cinesi.

Il «colpo di Sian» rimane ancora assai misterioso. Il libro dei coniugi Chiang Kai-shek4 non ha aggiunto molta luce: anzi è reticente e puerile. Io sono da poco tempo in Cina e non mi azzardo a volerne svelare i misteri; tuttavia posso dire che fin dal primo momento sono rimasto colpito da molti indizi che mi facevano ritenere il Generalissimo, se non prigioniero, almeno assai legato agli ambienti comunisti cinesi, in funzione antigiapponese.

Con ciò non intendo affermare che il Generalissimo sia ritornato alla sua primitiva attitudine, facendo adesione all'ideologia comunista. Egli si è dichiarato, a più riprese, contro il comunismo; nella nota dichiarazione del governo di Nanchino del 15 giugno 1928 vi è detto ben chiaro, a proposito dell'adozione dei famosi tre principi che costituiscono il nuovo Stato, «noi non tollereremo il comunismo». Ma, come non ricordare altresì che in relazione al terzo principio: «Il popolo ha diritto a tutta le risorse», Sun Yat-sen ha scritto che: «Il comunismo è l'ideale del terzo principio». Il governo di Nanchino adotta il terzo principio ma si dichiara contro il comunismo, malgrado che Sun Yat-sen dichiari che il comunismo è il suo ideale. Qui vi è tutta una psicologia diversa dalla nostra da comprendere: l'assoluto non esiste per i cinesi e perciò per essi un principio non può avere lo stesso valore che per noi. Nella loro relatività i cinesi, seguaci della «via media» di Confucio, è probabile si tengano lontani dagli estremi, non respingendo né applicando in blocco i principi comunisti. Con questa interpretazione che tiene conto della psicologia cinese si può spiegare l'attitudine del governo di Nanchino in apparenza contraddittoria.

Molti sono stati i sintomi in questi ultimi tempi di una mutata attitudine del Generalissimo verso i comunisti cinesi. Dopo il colpo di Sian l'attitudine del governo centrale verso il Giappone si è irrigidita e nel primo semestre di quest'anno la

233 I Manca l'indicazione della data di arrivo. 233 2 Non rintracciato. 233 3 Si riferisce all'imprigionamento di Chiang Kai-shek da parte del maresciallo Chang Hsiieh-liang nel dicembre 1937, a Sian. Sull'episodio e sull'atteggiamento tenuto in quella circostanza dal governo italiano si veda serie ottava, vol. V, DD. 600, 607, 621, 639, 650, 653. 233 4 MAYLING SOONG & CHIANG KAI-SHEK, l" Sian, a coup d'état; 2° A fòrtnight in Sian, Shanghai, China Pubi. Co., 1937.

stampa cinese ha avuto un linguaggio assai provocante e troppo sicuro di sé. A molti tale attitudine è apparsa prematura e pericolosa. I progressi realizzati dal governo centrale sono stati indubbiamente notevoli ma da questo a potersi misurare col Giappone ci corre ancora, gli avvenimenti attuali già lo dimostrano. Si dice che di questo parere fosse il Generalissimo stesso, costretto invece ad accelerare i tempi dagli impegni che aveva dovuto subire: il fronte nazionale costituito in funzione anti-giapponese. A meno di una vittoria completa sul Giappone, la sorte del governo personale di Chiang Kai-shek appare già segnata e l'armata rossa cinese, finora non impegnatasi, saprà approfittare del momento opportuno.

Fra i sintomi cui alludevo più sopra, vi è da segnalare il ritorno del figlio di Chiang Kai-shek, Chiang Ching kuo, dalla Russia dove si trovava da oltre dieci anni. Com'è noto egli è un ardente comunista ed aveva dichiarato che non avrebbe più fatto ritorno in Cina finché durava il regime paterno. E così il colloquio segreto che sarebbe avvenuto nel giugno scorso a Shanghai fra il Generalissimo e il famoso Chu En-lai, vice-presidente della cosidetta amministrazione cino-sovietica. Tornano ora di attualità le voci messe in circolazione a tale riguardo dalla stampa giapponese di Shanghai alla fine di luglio di un accordo concluso dal Generalissimo e da Chu En-lai col generale Lepin, addetto militare presso questa ambasciata sovietica, per la fornitura di materiale aeronautico e di piloti alla Cina nella eventualità di una guerra col Giappone. Si sarebbe trattato di l00 aeroplani. Gli stessi giornali hanno preteso allora che fra il Generalissimo e Chu En-lai sarebbe stato concluso un accordo per autorizzare la marcia dell'armata rossa cinese nello Hopei attraverso lo Shansi e per estendere il cosidetto territorio rosso del nord-ovest con l'inclusione del Suiyan, Shansi e Kansu.

Infine, in questi giorni, i famosi «salvazionisti» sono stati liberati dal Generalissimo ed il loro processo «sospeso». Così pure è stato liberato Chen Fu-hsin, noto comunista e educatore che scontava una pena di otto anni di carcere, per «aver messo in pericolo la sicurezza dello Stato».

Mentre con queste notizie gli ambienti militari giapponesi preparavano già la loro tesi per la lotta anti-comunista in corso di ostilità contro la Cina, è curioso notare che questa ambasciata del Giappone, la cui attenzione io avevo ripetutamente attirata sull'insieme della situazione che ho riportato più sopra, aveva sempre negato l'esistenza di trattative fra il governo cinese e l'ambasciata sovietica la cui attività si diceva sicura di poter controllare in ogni dettaglio. Ed è sintomatico che l'ambasciata giapponese a Mosca avesse un atteggiamento analogo non attribuendo -a torto -soverchia importanza alla azione sovietica in Cina.

234

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 5789/605 R. Salamanca, 23 agosto 1937, ore 1,30 (per. ore 6,45 ).

Questo ambasciatore di Germania, generale von Faupel, è stato improvvisamente richiamato ed ha preso congedo ieri da Franco. Richiamo è giunto inatteso benchè fosse stato insistentemente annunziato dalla radio rossa. Stampa, specialmente falangista, gli dedica calorosi articoli di saluto.

Ragioni sarebbero da ricercare nel troppo deciso atteggiamento assunto dall'ambasciatore a favore della Falange e sue recenti insistenze per liberazione Hedilla 1 e per trasferimento del capo falangista in Germania, insistenze che non hanno avuto successo ma hanno creato diffidenze ambienti governo. Avrebbe contribuito richiamo anche constatazione della netta e giustificata prevalenza da noi qui presa con apporto sangue e mezzi bellici; per mantenere livello influenza tedesca von Faupel aveva esercitato vivissime pressioni sul suo governo recandosi anche ripetutamente a Berlino allo scopo di ottenere intensificare ritmo rifornimenti militari ma incontrando rifiuto dello stesso Fi.ihrer il quale con l'odierno provvedimento avrebbe confermato sua disapprovazione opera qui svolta da von Faupel. Qualora tali notizie potessero essere controllate da Regio ambasciatore a Berlino gradirei esserne informato per mia norma 2 .

Successore sarà barone von Stohrer, ex-ministro Cairo, già consigliere a Madrid e nominato ambasciatore spagnolo 3 prima della rivoluzione, senza raggiungere il suo posto. Si sottolinea poi nomina di un diplomatico al posto di un militare.

235

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1504/310 R. 1 Roma. 23 agosto 1937, ore 12.15.

Ti ho già fatto presente che bisogna che alla visita del Duce a Hitler venga tolto ogni carattere diplomatico, mentre devono venire accentuati quello militare e di partito. Quindi niente pranzi, niente ricevimenti, niente contatti con gli ambasciatori stranieri. È il Capo di una Rivoluzione che viene a visitare il Capo di una Rivoluzione.

Ti prego di far presente ciò ai tedeschi. È necessario che nella preparazione del programma e nella presentazione pubblica della visita, questo carattere e questo aspetto siano particolarmente sottolineati. Ciò è tanto più importante in quanto la visita del Duce in Germania non può e non deve costituire precedente per inconcepibili visite in altri Paesi, visite alle quali, con poca sensibilità e comprensione, la stampa inglese di ieri fa inutilmente cenno.

veda serie ottava, vol. VI, DD. 579, 720, 722, 731. 234 2 A tale proposito l'ambasciatore Attolico telegrafava che fra le cause che avevano condotto al ritiro di von Faupel da Madrid vi era sicuramente il malcontento della Wilhelmstrasse per i contatti diretti tenuti da von Faupel con gli ambienti militari di Berlino e con la cancelleria di Hitler (T. per corriere 5875/073 del 25 agosto). 234 3 Sic. 235 l Minuta autografa.

234 l Il capo della Falange Manuel Hedilla era stato arrestato il 24 aprile precedente. Su la vicenda si

236

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 5810/144 R. Bled. 23 agosto 1937, ore 19,20 (per. ore 21,48).

Mio telegramma n. 143 1 .

Stojadinovic riceverà Anfuso mercoledì 25 corrente nel pomenggw, qm a Bled2 .

237

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, INGRAM 1

APPUNTO. Roma, 23 agosto 1937.

L'Incaricato d'Affari di Gran Bretagna, signor Ingram, premesso che quanto stava per dirmi non rappresentava comunque un passo formale, ha voluto richiamare la mia attenzione sugli avvenimenti che in questi ultimi tempi si erano prodotti e si stavano producendo nel Mediterraneo.

In primo luogo l'attacco aereo contro un piroscafo britannico, attacco che, secondo informazioni pervenute al Governo britannico, sarebbe stato effettuato da aerei che hanno la loro base a Palma e che qualcuno vorrebbe anzi identificare con aerei italiani.

In secondo luogo da qualche giorno si ripetevano azioni di siluramento e di cannoneggiamento contro navi di differenti nazionalità. Navi britanniche non e

284 rano state in realtà disturbate, ma qualche capitano aveva segnalato di venir seguito e osservato con particolare insistenza da naviglio di superficie italiano. Il Governo britannico si guardava bene dal mettere in relazione le due cose, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi dei continui incidenti che si verificano nel Mare Mediterraneo. Anche il luogo, molto distante dalle basi spagnole, in cui due piroscafi erano stati silurati e affondati recentemente, induceva a riflettere sulla situazione.

Il Signor Ingram teneva a dirmi che il Governo inglese non voleva, attraverso questa sua comunicazione, elevare una minima protesta presso di noi. Voleva soltanto far conoscere il suo vivissimo desiderio che l'atmosfera così felicemente schiarita tra la Gran Bretagna e l'Italia non dovesse venire turbata da imprevedibili e deprecabili complicazioni.

Ho risposto al Signor Ingram che, per parte nostra, intendevamo, esattamente come il Governo inglese, mantenere la favorevole atmosfera esistente tra i due Paesi in seguito alle recenti chiarificazioni diplomatiche.

Per quanto concerne gli incidenti di cui Ingram mi ha parlato, non ero in grado di dargli alcuna spiegazione. Nello stesso giorno in cui il loro piroscafo fu attaccato, anche il Mongioia fu oggetto di un bombardamento da parte di velivoli non identificati, bombardamento che fu, per i suoi effetti, ben più grave di quello subito dal British Corpora!. Poiché il Mongioia, oltre ad inalberare la bandiera nazionale, aveva anche dipinti sulle murate due tricolori visibili a grandissima distanza, non potevo ammettere che si fosse trattato di un equivoco e dovevo quindi confermarmi nell'idea che l'aggressore fosse un velivolo rosso. Dato che l'attacco al piroscafo inglese si era verificato più o meno alla stessa ora e in condizioni analoghe, tutto lasciava supporre che gli autori fossero della stessa parte.

Per quanto concerneva poi i siluramenti delle navi nel Mediterraneo, ero lieto di constatare che fino ad ora l'Inghilterra e l'Italia non potevano comunque essere chiamate in causa, dato che nessuna nave dei due Paesi era stata oggetto di attacco da parte delle navi nazionali spagnole.

Pur non essendo assolutamente in grado di dare alcuna informazione ad Ingram circa la intensificata attività svolta dalla Marina franchista, dovevo rispondere, per quanto riguardava gli attacchi alle bocche dei Dardanelli, che i sottomarini moderni possono benissimo operare a distanza anche maggiore dalle loro basi. Per quanto concerneva poi gli incontri delle navi britanniche con navi da guerra italiane, mi limitavo a far presente che nel Mediterraneo è molto facile di imbattersi in unità della nostra flotta che, particolarmente in questa stagione, sono in frequente movimento per le loro esercitazioni.

Prendevo atto ed ero lieto che quanto egli mi aveva comunicato non avesse nessun carattere di passo ufficiale. Anzi in questo scambio di vedute, diretto a conservare una favorevole atmosfera fra i due Paesi, riconoscevo una nuova prova della buona volontà di collaborazione.

Ingram si è dichiarato ampiamente soddisfatto delle mie risposte 2 .

236 l T. segreto 5582/143 R. del 22 agosto, con il quale il ministro Indelli comunicava che avrebbe fatto sapere al più presto quando Stojadinovié avrebbe ricevuto Anfuso. 236 2 Il vice-capo di Gabinetto, Anfuso, fu inviato a Belgrado con l'incarico di consegnare a Stojadinovié la fotografia di un documento britannico di cui il Servizio Informazioni Militare italiano era venuto in possesso. Nel documento -il rapporto n. 80 del 29 aprile 1937 ·-il ministro di Gran Bretagna a Belgrado, Sir R. Campbell, dopo aver illustrato in modo molto positivo la figura e la politica di Stojadinovié, aggiungeva. «In these circumstances l read with regret the passage in Mr. Newton's [ministro di Gran Bretagna a Praga] telegram n. 40 referring to a Franco-Czechoslovak plot to underminc M. Stoyadinovitch's position and bring about a change of Government. Nor should I have thought that M r. Benes would !end himself to such monoeul're, for he told a colleague of mine, who repeated it to me, that the opposition leaders who he met, much to Stoyadinovitch's annoyance, at a reception at the Czechoslovak Legation, had one and al! made the worst possible impression on him». Sui risultati della missione di Anfuso vi è questa annotazione nel Diario di Ciano, sotto la data del 28 agosto: «Filippo è tornato da Bled, o ve ha consegnato a Stojadinovié la prova fotografica della congiura franco-ceca contro di lui. Andrà al convegno della P.l. (Piccola Intesa) col sangue agli occhi. Il colpo è riuscito». 237 1 Ed. in L· Europa l'erso la catastrofi', pp. 206-208.

237 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

238

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

TELESPR. 3599/2164. Londra, 23 agosto 1937 (per. il 26).

Nei miei fonogrammi stampa n. 234, 235, 236, 237 e 238 1 ho segnalato a V.E. i commenti di questi giornali sui recenti affondamenti di navi rosse nel Mediterraneo, e gli accenni più o meno velati ad una pretesa responsabilità italiana. Come

V.E. avrà notato, anche nel commentare l'ultimo discorso del Duce 2 , qualche giornale ha voluto far riferimento agli incidenti suddetti pretendendo -come scrive il Daily Telegraph -che essi costituiscano «una minaccia a quella libertà di entrata, uscita e transito nel Mediterraneo che la dichiarazione italo-inglese del gennaio scorso ha riconosciuto essere un vitale interesse per l'Italia e per l'Inghilterra».

Queste manifestazioni di stampa, corrispondono effettivamente ad uno stato d'animo di perplessità che si è andato formando recentemente in certi ambienti vicini al Foreign Office e all'Ammiragliato. Stato d'animo appena percettibile ma nel quale stanno attivamente operando emissari francesi a Londra. Fra questi «emissari» citerò i corrispondenti di giornali francesi in Inghilterra, e particolarmente quelli dell'Agenzia Havas. L'azione di costoro si rivolge anzitutto ai circoli politici inglesi, che si cerca di «montare» contro l'Italia, rendendola responsabile dello stato attuale di insicurezza del Mediterraneo. In un secondo tempo, codesta azione si dirige alla ambasciate e legazioni straniere, e sopratutto alle rappresentanze di piccoli Stati, alle quali viene dipinto, a scopo allarmistico, un risentimento e corruccio inglese sproporzionato ai sentimenti che effettivamente sono andati manifestandosi.

Molti miei colleghi stranieri, e fra gli altri questo incaricato d'affari d'Ungheria3, sono venuti a parlarmi in questi ultimi giorni di preoccupazioni che sarebbero state espresse, in taluni circoli vicini al governo, che la persistenza di incidenti nel Mediterraneo possa avere qualche sfavorevole ripercussione sulle prospettive del riavvicinamento italo-britannico. Ho risposto a questi miei colleghi che non vedevo in qual modo incidenti della guerra civile spagnola potessero ripercuotersi sulle relazioni fra Italia e Inghilterra che erano tanto l'una quanto l'altra estranee agli incidenti stessi. Nella City, pochissimo rilievo è stato dato finora a questi voci, e -dalle ultime informazioni pervenutemi oggi stesso non risulta che si siano intiepidite le favorevoli disposizioni con le quali si attendono i buoni effetti di una completa chiarificazione italo-britannica. L'unica ripercussione che gli incidenti di cui si tratta hanno determinato nella City, è stato l'aumento del tasso delle assicurazioni marittime nel Mediterraneo. Aumento minimo in confronto a quello che si è verificato per la Cina e che -lasciando invariato a 5 scellini per 100 sterline (cioè 1/4 per cento) il tasso dell'assicurazione per le

238 2 Riferimento al discorso pronunciato da Mussolini il 20 agosto a Palermo (vedi D. 239, nota 2). 238 3 Ferenc Marosy.

navi passeggeri, lo ha portato a 10 scellini (l/2%) nel caso di altre navi (cargo boats), e a 20 scellini (l%) nel caso di navi petroliere, più facili ad essere attaccate.

Trasmetto, in allegato al presente rapporto, insieme ai vari ritagli di giornali che si sono occupati dei recenti incidenti nel Mediterraneo, anche un ritaglio del Times ed uno del Financial Times, che commentano il rialzo del tasso delle assicurazioni marittime 4 .

In conclusione, mentre indubbiamente in questi ambienti politici si deve registrare una certa reazione -ma limitata e contenuta -in seguito ai bombardamenti e siluramenti di navi nel Mediterraneo, è degna di nota la compiacente attività della Francia, diretta ad esagerare la portata di queste reazioni, allo scopo di creare imbarazzi al Primo Ministro e al governo britannico alla vigilia delle conversazioni di Roma e delle riunioni di Ginevra, e comunque nella speranza di rimettere in primo piano quel problema spagnolo che la Francia, appoggiata in ciò da alcune correnti politiche inglesi, desidera vedere impostato come condizione preliminare ad un riavvicinamento itala-britannico.

238 l Non pubblicati.

239

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3619/2179. Londra, 23 agosto 1937 (per. i/26).

Nei miei fonogrammi stampa n. 236 e 237 1 ho segnalato a V.E. le ripercussioni che il discorso del Duce 2 ha avuto tanto nei giornali di sabato, quanto in quelli domenicali. Ancora oggi lunedì la stampa rieccheggia i commenti delle varie capitali straniere.

Nel complesso, il discorso di Palermo ha avuto in Inghilterra una vastissima e prolungata risonanza, ed è stato unanimemente accolto come un ulteriore gesto di chiarificazione itala-britannica, dopo lo scambio di lettere Mussolini-Chamberlain 3 e l'intervista di V.E. all'Uni versa! Press Service 4•

Sotto questa veste uniformemente favorevole, traspaiono tuttavia le diverse reazioni di questa opinione pubblica. L'antifascismo britannico, rappresentato dal Daily Herald, dal Manchester Guardian e dal News Chronicle, pur conformandosi a denti stretti alla corrente

239 l Non pubblicati. 239 2 Il 20 agosto, Mussolini aveva pronunciato a Palermo un discorso che nella parte dedicata alla politica estera aveva avuto toni marcatamente distensivi. Circa i rapporti italo-britannici, Mussolini aveva detto «Oggi c'è di nuovo una schiarita all'orizzonte. Considerando la comunità delle frontiere coloniali, io penso che si può arrivare a una conciliazione duratura e definitiva». Aveva poi aggiunto che vi erano, però, delle realtà di cui occorreva tenere conto, una era l'esistenza dell'Impero italiano, l'altra era l'asse Roma-Berlino: «Non si arriva a Roma ignorando Berlino o contro Berlino e non si arriva a Berlino ignorando Roma o contro Roma». Il testo del discorso è in MUSSOLINI, Opera omnia, vol. XXVIII, pp. 239-242. 239 3 Vedi DD. 136, allegato, e 155, allegato. 239 4 Vedi D. 165.

generale, che considera con favore, in via di massima, una chiarificazione itala-britannica, insinua le sue riserve prospettando due problemi -Etiopia e Spagna -che secondo il giudizio di quei giornali lascerebbero pesare ancora molta incertezza sulle prospettive immediate di un riavvicinamento fra Roma e Londra. E la citazione materiale di questi due problemi l'uno accanto all'altro, lascia intendere il desiderio di vederli strettamente connessi, nelle conversazioni con l'Italia, conformemente alle preoccupazioni di una larga parte dell'opinione francese, della quale le sinistre britanniche sono notoriamente il portavoce in questo Paese.

La stampa di destra, rappresentata dal Daily Mai/ e dalla lvforning Post, assume un atteggiamento di incondizionata e quasi entusiastica accettazione dei concetti e delle parole del Duce.

Fra queste due estreme tendenze, merita un particolare rilievo l'atteggiamento di tre organi vicini al governo: Times, Daily Telegraph, Yorkshire Post.

Il Times unica e notevole eccezione, si è astenuto dal pubblicare un editoriale sul discorso del Duce. La redazione del giornale asserisce che i suoi migliori scrittori sono in vacanza. Tutto però converge a dare l'impressione che il Times abbia voluto lasciar parlare il suo confratello, il Daily Telegraph, allo scopo di non essere costretto a prendere posizione anch'esso ed a pubblicare un articolo di fondo contenente le stesse riserve enunciate dal Daily Telegraph.

Queste «riserve» del Daily Telgraph si riferiscono, come noto, alla Spagna e al Mediterraneo. L'affermazione del Duce che l'Italia non può tollerare il bolscevismo nel Mediterraneo, induce il giornale conservatore a polemizzare sul diritto dell'Italia di esercitare una specie di polizia anti-comunista in tutti gli Stati bagnati da quel mare. Da questo diritto, alla facoltà di compiere «atti di guerra» nel Mediterraneo contro navi «comuniste», non vi è che un passo. Il Daily Telegraph, riferendosi al Gentlemen's Agreement del 2 gennaio, dichiara che l'Inghilterra non potrebbe ammettere né per se stessa né per altre Potenze un diritto di controllo politico su altri Paesi mediterranei, e che «nessuna intesa della Gran Bretagna con l'Italia ha mai implicato, né potrebbe implicare, la possibilità di eccezioni per ragioni ideologiche nell'applicazione dei termini di un accordo».

La Yorkshire Post, nel suo editoriale, analizza punto per punto i passi del discorso del Duce che si riferiscono al Mediterraneo e alle relazioni itala-britanniche, ma pur mantenendo un tono favorevole si astiene da qualsiasi presa di posizione.

Mi risulta che il Foreign Office ha fatto del suo meglio per dosare nella stampa governativa questi tre elementi: silenzio del Times esegesi della Yorkshire Post, e considerazioni del Daily Telegraph sul Mediterraneo.

Le reazioni dei circoli politici inglesi, i quali, dato il periodo di ferie, sono in questo momento molto assottigliati, corrispondono in sostanza, per quanto ho potuto accertare, all'atteggiamento generale della stampa di cui accludo i ritagli: commenti in massima molto favorevoli; e, accanto ad una perplessità di varia origine per le ripercussioni che la questione spagnola e quella etiopica, specie nella cornice ginevrina, potranno avere sulle conversazioni fra Roma e Londra, l'unanime constatazione che il discorso di Palermo è un altro importante passo sulla via della riconciliazione italo-britannica5 .

238 4 Non pubblicati.

239 5 Il documento ha il visto di Mussolini.

240

IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI, GRAZZI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

TELESPR. 228970/C. Roma, 24 agosto 1937.

Suo telespresso senza numero del 13 agosto 1•

Convengo pienamente nelle considerazioni che Le sono state fatte da Gaus circa una eventuale risposta all'ultima nota britannica. Noi non vediamo nel momento presente e nelle condizioni attuali, né la convenienza di continuare uno scambio di note polemiche, che non porterebbero ad alcuna conclusione pratica, né la possibilità di iniziare trattative. concrete per il nuovo Patto di Sicurezza dell'Europa Occidentale. Meglio dunque, come Le ha detto Gaus, lasciar dormire per qualche tempo la nota.

241

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2579fl 048. Salamanca, 24 agosto 1937 (per. il 30).

A seguito del mio telegramma di ieri n. 608 1 , ho l'onore di trasmettere all'Eccellenza Vostra le !-mite copie dei telespressi segreti n. 2086 e n. 2094, rispettivamente del 21 e 22 corrente, del Regio consolato in San Sebastiano, relativi alle trattative con i baschi.

ALLEGATO l

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAVALLETTI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

TELESPR. SEGRETO 2086. San Sebastiano, 2 l agosto.

Come è noto alla E.V., in seguito all'arrivo di Ajuriaguerra in Saint Jean de Luz le trattative sono state riprese direttamente dal C.T. V. Esse però sembravano oramai rotte in data 19 corrente. Tuttavia i rappresentanti baschi mi hanno fatto ieri pervenire la nota che mi onoro accludere in copia. Ho immediatamente provveduto perché la nota stessa venisse con automezzo recata all'Ufficio S.l.M. in Vitoria.

241 l T. segreto non diramare 5806/608 R. del 23 agosto, con cui l'ambasciatore Viola comunica che era stato raggiunto un accordo per la resa dei battaglioni baschi e che si stava operando per darvi esecuzione.

Los Delegados Vascos en su nota correspondiente al di 182 del corriente mes expusieron la situaci6n de sus tropas y manifestaron sus deseos y esperanzas sinceras respecto a la ejecuci6n de los acuerdos que se vienen estudiando. Las manifestaciones verbales de la personalidad llegada expresamente de Santander para tratar de este asunto corroboraron explicitamente esta misma posici6n.

La lectura posterior de la nota legionaria del 19 del presente mes 3 ha provocado en los Delegados Vascos un estado de animo no exento de sorpresa. Sin embargo, dada la generosidad legionaria que di6 piè a estas tratativas, esperan fundadamente poder llegar a reanudar las conversaciones con miras a la inmediata ejecuci6n del pian.

En efecto, los delegados vascos manifiestan:

l. que creen llegado el momento a que se han referido en sus notas anteriores, en el cual se cumplen las condiciones de «rendici6n legitimada a ojos de tercero bajo la forma de una victoria militar»;

2. -en cumplimiento de los acuerdos previos, la parte vasca va efectuando la concentraci6n de sus tropas en los movimientos de retirada, para la inmediata ejecuci6n de las tratativas; 3. -la delegaci6n vasca ruega a los delegados legionarios un inmediato encuentro para llevar a cabo lo arriba mencionado, en el lugar y hora que designen. 4. -el proprio venido de Santander vuelve a la misma ciudad a encargarse de la direccion de la ejecuci6n.

ALLEGATO 2

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA V ALLETTI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

TELESPR. SEGRETO 2094. San Sebastiano, 22 agosto 1937.

Facendo seguito a mio 2086 di ieri 4 , ho l'onore di accludere l'unita copia della risposta data dai rappresentanti del C. T.V. ai rappresentanti baschi.

NOTA CONSEGNATA DAI LEGIONARI AGLI EMISSARI BASCHI LA SERA DEL 21 AGOSTO 1937 XV

l delegati legionari prendono atto della nota di parte basca del mezzogiorno del 20 agosto.

Constatano che malgrado le numerose promesse da parte basca i battaglioni baschi si spostano dalla dislocazione che avevano all'inizio dell'attuale offensiva e si battono tale e quale come i battaglioni santanderini ed asturiani (ieri 20 agosto comparvero per esempio sul campo di battaglia i battaglioni baschi U.G.T. e MEA VE n. 25).

Malgrado tutto da parte legionaria si è disposto in segno di umanità a fare alla parte basca quest'ultima concessione: le truppe basche che si presenteranno spontaneamente alle truppe legionarie per arrendersi entro il termine di tre giorni ossia entro le ore 24 del 24 agosto, saranno trattate alle condizioni a suo tempo convenute. Le truppe basche che si

presenteranno dopo tale termine o che saranno in qualsiasi modo catturate prima o dopo tale termine saranno trattate come tutte le altre truppe avversarie ossia non saranno loro applicate le condizioni a suo tempo convenute.

240 l Vedi D. 208.

241 2 Vedi D. 226, nota 3.

241 3 Vedi D. 228. 241 4 Vedi allegato l.

242

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DEL DRAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5329/1449. Washington, 24 agosto 1937 (per. il 13 settembre).

Telespresso di V.E. n. 226719/153 del 4 agosto 1937 1•

Con rapporto n. 29581738 del 7 maggio 2 questa R. ambasciata, nel trasmettere a V.E. il testo della nuova legge sulla neutralità così come·essa era stata definitivamente approvata dalle due Camere nella tornata del 29 aprile scorso, aveva l'onore di esporne le linee principali, illustrando in modo particolare, non solo il significato legale della sua principale novità (clausola del cash and carry), ma anche come questa interpretazione legale trovasse valida ed inequivoca conferma nell'interpretazione che ne davano la stampa e l'opinione pubblica.

Per quanto più particolarmente riguarda il quesito posto da V.E. col telespresso cui mi riferisco, mi permetto far notare che già prima dell'articolo di fondo del 30 luglio u.s. del New York Herald Tribune, quest'ambasciata ebbe a citare nel predetto rapporto vari giornali che in occasione del voto della legge l'avevano commentata nel senso che essa avrebbe favorito le nazioni che dispongono di una larga flotta mercantile e militare. Tali giornali erano il Ba/timore Sun, il Wall Street Journal, il Washington Post, il Philadelphia Record, il Washington Evening Star ed infine lo stesso New York Herald Tribune. Circa quest'ultimo si aveva l'onore di segnalare e di trasmettere all'E.V. un articolo del noto giornalista Walter Lippman il quale, senza eccessivi ambagi, dichiarava che la legge era stata fatta soprattutto per il caso di una guerra contro la Germania e l'Italia allo scopo di favorire la Francia e l'Inghilterra.

La particolarità della legge, così come la spiegazione degli errori e degli anacronismi che essa contiene, va dunque ricercata nel divario esistente fra la sua teorica applicazione a tutti i casi di guerra possibili ed il suo pratico concepimento per il solo caso di una guerra contro l'Italia e la Germania. Ciò è confermato da quanto va avvenendo in questi giorni a proposito del conflitto cino-giapponese. Assistiamo infatti alla perplessità dell'azione di questo governo che non sa decidersi ed applicare, come dovrebbe, la legge al Giappone, perchè essa lo favorirebbe contro la Cina. Non vi è dubbio che gli avvenimenti attuali inferiscano un colpo alla solidità della legge. Se essa non verrà applicata al conflitto cino-giapponese, si troverà infatti quasi certamente una minoranza di parlamentari che, per ragioni di politica interna, ne domanderanno la revisione in considerazione dell'esito infelice che essa ha avuto.

242 2 Vedi serie ottava. vol. VI. D. 563.

Far tuttavia fin d'ora una previsione di questo genere è, per chiunque conosca questo Paese, assolutamente impossibile. È infatti da notare che verso la metà del conflitto italo-etiopico, e nei mesi immediatamente successivi, questa opinione pubblica aveva, effettivamente, nonostante gli sforzi contrari della propaganda inglese e del Dipartimento di Stato, finito coll'orientarsi verso quel sentimento fondamentale e ricorrente che è l'isolazionismo dal mondo intero. La legge sulla neutralità votata nel febbraio 1936 portava il marchio di tale sentimento isolazionista ed era infatti una legge che, così come era stata concepita, avrebbe danneggiato ugualmente tutti i belligeranti. Era cioè in sostanza una legge non solo anti-italiana, ma anti-inglese, anti-tedesca, anti-francese, anti-giapponese.

Senonché, come si è avuto occasione di" dire nel citato rapporto, l'evoluzione dell'opinione pubblica americana fra il febbraio 1936 e l'aprile del 1937, dovuta particolarmente al riarmo tedesco, agli avvenimenti della Spagna ed alla grande vittoria democratica del Presidente Roosevelt, è stata molto sensibile e si può dire, senza esagerare, che essa è passata da un isolazionismo marcato verso tutti, ad una forma molto più moderata che contiene un segreto desiderio di collaborazione, sia pure sotto la forma legale della neutralità, con le Potenze cosiddette democratiche. Tale situazione permane, nonostante l'anacronistica situazione nella quale viene a trovarsi questo governo di fronte al conflitto cino-giapponese. E l'opinione pubblica e la stampa, allo scopo di mettersi in regola con la logica, sembrano, su ispirazione di questo Dipartimento di Stato, orientarsi verso una interpretazione nuova delle legge che tenderebbe, in sostanza, a lasciare al Potere esecutivo una maggiore elasticità di movimento. Si afferma infatti che la sua applicazione non sia tassativa allo scoppio di eventuali ostilità ma che, come il nome suo stesso lo indica, essa dovrebbe essere applicata solo in quei casi nei quali vi sia pericolo evidente che la neutralità degli Stati Uniti possa essere minacciata. Naturalmente, mi pare superfluo aggiungere, tranne qualche rarissima eccezione, nessuno si è domandato come si spieghi che il conflitto italo-etiopico avrebbe minacciato la neutralità degli Stati Uniti così da richiedere la messa in opera del meccanismo della legge più di quello che non la minacci ora il più vasto ed importante conflitto cino-giapponese. Dato quanto precede, non sembra esistere, almeno per ora, possibilità alcuna di un'azione da parte nostra che tenda a provocare una modificazione radicale della legge stessa.

Ciò detto, vorrei far seguire alcune mie osservazioni che mi sembrano di un certo rilievo.

L'affermazione che la legge attuale della neutralità, per l'esistenza della nota clausola cash and carry, favorisca decisamente le nazioni che hanno il dominio dei mari, come per esempio l'Inghilterra a danno delle altre, è vera soltanto in parte. Di fronte ad un esame più particolareggiato della questione vengono infatti fuori alcuni elementi che possono indurre a meditazione.

Mi richiamo al precedente della Guerra Mondiale. È noto che in quell'occasione, mentre gli Imperi Centrali non riuscirono a servirsi affatto del mercato americano -come sarebbe da presumere non riuscirebbero l'Italia e la Germania in caso di guerra contro Francia e Inghilterra -l'Intesa si rifornì qui, abbondantemente, non solo di materie prime di uso bellico, ma di vere e proprie armi e munizioni; ed anche questa favorevole situazione non avrebbe consentito forse la vittoria se la collaborazione degli Stati Uniti non si fosse trasformata da commerciale in politica e militare, mediante l'intervento nel conflitto. Ora, in un conflitto attuale, bisogna tener presente che Inghilterra e Francia, per effetto della legge sulla neutralità (nella ipotesi che essa venga applicata così come è stata concepita) non potrebbero fare nessun assegnamento su questo mercato per rifornirsi di armi e munizioni e nell'ipotesi poi dell'applicazione della clausola del cash and carry verrebbero a mancare dell'aiuto della flotta mercantile americana, flotta il cui peso aumenta ogni giorno per l'importante programma di costruzioni iniziato da questo governo. Esse vedrebbero quindi crescere il pericolo dell'arma sottomarina contro i loro rifornimenti.

Naturalmente, la legge contiene una eccezione che permetterebbe all'Inghilterra e alla Francia di sormontare questa difficoltà e l'eccezione è il Canada, in quanto la legge esclude dai suoi effetti i laghi, i fiumi, le acque interne e le acque confinanti con gli Stati Uniti. Si tratterebbe pertanto di vedere fino a che punto questo governo si sentirebbe di procedere ad una violazione dello spirito della legge favorendo oltre misura quello che inevitabilmente diventerebbe un colossale commercio con il Canada.

Faccio in ogni modo presente che un'azione eventuale della nostra collettività e della nostra stampa, così come quella svolta con successo durante il conflitto italo-etiopico, potrebbe avere maggiore probabilità di riuscita verso la fine dell'anno prossimo, quando dovrà rinnovarsi la Camera ed un terzo del Senato. In quell' occasione, il peso elettorale delle nostre collettività conferirà alla loro azione un vigore ed una efficacia che mancherebbe assolutamente adesso.

242 l Non rintracciato.

243

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 9292/1632. Budapest, 24 agosto 1937 (per. il 27).

Ho avuto già l'onore di segnalare in vari miei preced~nti rapporti 1 l'attività della propaganda germanica in Ungheria. L'orientamento che il regime Gombos aveva dato alla politica ungherese segnò la prima fase di tale azione. Nei riguardi della stampa si passò in un secondo tempo alla creazione del quotidiano Uj Magyarsàg e successivamente del Fuggeilenség, dell'Est i Uf~àg e del settimanale Virradat.

Intorno a questi giornali si sono ora raccolti tutti quegli uomini politici che avevano sostenuto il regime Gombos ed avevano contribuito a spingerlo accentuatamente verso la Germania, e precisamente: i deputati Francesco Ulain, Stefano Milotay, Andrea Mecsér (il quale accompagnò Gombos nel suo primo viaggio in Germania con relativo incontro con Hitler), Francesco Rajniss, Giovanni Makkai e tutta una serie di ottimi pubblicisti.

La terza fase è stata preparata e realizzata dal deputato Mecsér, il quale, attraverso la Cooperativa Hangya, la Camera Nazionale Agricola e la Camera di Commercio ungaro-germanica, delle quali è presidente, ha sviluppato ed intensificato le relazioni economiche con la Germania con lo scopo preciso di strappare all'elemento ebraico importanti rami del commercio ungherese come il bestiame, il grano, la camomilla, ecc.

Contemporaneamente si svolgeva la nota azione sulle minoranze tedesche e quella appoggiata sulle varie organizzazioni nazionalsocialiste ungheresi ( crocefrecciati, crocefalciati, ecc.), rivolgendosi così alle masse. delle popolazione.

La venuta a Budapest del ministro Mackensen (seguita dalla visita in Ungheria del padre, Maresciallo Mackensen, qui popolarissimo e che si prestava ad una chiassosa propaganda) nonché l'organizzazione di un intenso servizio di corrispondenza dell'Ungheria per i giornali germanici-14 corrispondenti -segnò il culmine della fase di preparazione.

La morte di Gombos segnò una battuta d'arresto nell'azione degli elementi filogermanici: risultò però ben presto che non si trattava di un ritiro dalla lotta di tali elementi, ma soltanto di un breve periodo di raccoglimento, al quale seguì una ripresa in pieno dell'azione, con ritmo sempre crescente ed intensificato: si considerava incerta la durata del governo Darànyi e ci si preparava addirittura all'assunzione del potere.

Si venne così nella primavera alla crisi del preteso «colpo di stato», denunziato dall'elemento ebraico maggiormente minacciato dalle correnti estremiste e che provocò, con le note ripercussioni, la decisa azione svolta dall'on. Eckhardt, il risveglio dell'attività del Partito dei Piccoli Possidenti, la coalizione di tutti gli elementi antigermanici, spalleggiati dagli ebrei e dalla loro stampa. È sintomatica la coincidenza di tali avvenimenti con il richiamo a Berlino del ministro di Germania, von Mackensen, sul quale ho già riferito 2 .

Della coalizione ormai nettamente caratterizzata dagli elementi antinazisti fanno parte uomini come il conte Bethlen, l'on. Eckhardt, il conte Giovanni Zichy, l'on. Ernszt, l'on. Friedrich, l'on. Imre Németh ed elementi extra parlamentari come l'ex deputato Szilinszky, ecc.

In questo complesso contrasto di tendenze politiche si è inserita --ed ha peso non lieve -la questione ebraica. Non soltanto per la parte diretta presa dall'elemento ebraico alla reazione antiestremista (reazione provocata e appoggiata dai maggiori esponenti ebraici e dalla loro stampa, proprio nei giorni in cui numerosissimi ebrei si affrettavano a lasciare Budapest, temendo un imminente Putsch e ignorando come stessero in realtà le cose), ma perché ormai essa è dovunque «all'ordine del giorno», nei programmi dei partiti politici e nell'opinione delle masse.

Della questione ebraica e delle rilevanti preoccupazioni che essa suscita nel Paese si valgono naturalmente gli elementi filogermanici, la cui azione, sistematica

mente organizzata e condotta, si indirizza efficacemente alle masse. Mentre aderiscono a tale «fronte germanofilo» una notevolissima parte dei funzionari statali e una buona metà degli ufficiali -specie i giovani -, nella provincia l'azione di propaganda mira a conquistare le masse anche con argomenti di carattere rivoluzionario: si parla di sequestro di terreni e del bestiame dei ricchi, che dovranno essere ridistribuiti fra i contadini e si tende particolarmente a minare la situazione di Eckhardt e del suo Partito. Organizzazioni come la TESZ e la MOVE -e specialmente quest'ultima -già da lungo tempo inattive, hanno ricevuto un nuovo impulso e svolgono attiva azione di propaganda. Così pure la Federazione Turul degli studenti universitari.

Questa stessa legazione di Germania spende, sotto vari titoli, somme ingenti per la propaganda, e la cosa mi è stata anche recentemente confermata da un alto funzionario di questo ministero degli Affari Esteri. Le minoranze tedesche sono seguite attentamente e appoggiate in varii modi: premi alle famiglie più numerose, facilitazioni e doni in occasione delle nascite, e via dicendo. Naturalmente sia la legazione di Germania, sia il noto agente von Hahn negano ogni fondamento a tale azione.

D'altra parte, gli esponenti delle tendenze antinaziste mentre hanno chiaramente espresso la loro opinione sulla Germania in materia di politica estera (della Germania e dei suoi interessi si dovrà in ogni caso tener conto nell'eventualità di una sistemazione del bacino danubiano) e mentre sostengono la politica dei Protocolli di Roma, hanno impostato all'interno tutta la loro azione sulla «costituzione» contro la dittatura (ne è esempio l'articolo pubblicato dal conte Bethlen nel Pesti Naplo di domenica 21 corrente), né mancano frequenti richiami -naturalmente provocati o incoraggiati dai maggiori interessati -alla necessità di curare le mi~liori relazioni con l'Inghilterra e anche con la Francia.

E chiara in tutto ciò la parte sostenuta dall'elemento ebraico messosi in vista come iniziatore delle manovre intorno al preteso Putsch germanofilo e attraverso il quale le varie massonerie internazionali, alle quali esso è legato da stretti rapporti, conducono anche in questo settore la lotta contro i regimi totalitari a base nazionale.

Una certa reazione all'invadenza tedesca avrebbe ora guadagnato terreno anche in circoli più tradizionalmente amici della Germania, come lo Stato Maggiore, secondo quanto ha avuto occasione di dirmi confidenzialmente un alto funzionario del ministero degli Esteri.

La politica tedesca in Ungheria trova opposizione non solo nei circoli demoliberali, per le sue ideologie razziste e antisemite, ma è anche osteggiata, dopo i recenti contrasti con il Vaticano, dal clero cattolico, che, come. è noto, è assai potente e ricopre delle cariche che hanno quasi una fisonomia costituzionale. ! tedeschi sono accusati di fare in Austria e in Ungheria una politica che tende a minare le loro compagini statali e nazionali ed a farne due Stati differenti se non antitetici: si lamenta, fra l'altro, che i tedeschi abbiano cercato in questi ultimi tempi di distruggere quell'omogeneità di armamenti fra Austria ed Ungheria che le autorità ungheresi si sono sempre sforzate di ottenere.

Il mio interlocutore non credeva che il nazismo avesse fatto progressi notevoli da un anno in qua, e ciò anche in Austria (egli riteneva altresì che il governo austriaco abbia la volontà di fronteggiare con le proprie forze qualunque colpo di mano tipo Dollfuss, che d'altra parte i tedeschi non sarebbero più capaci di organizzare con prevedi bile successo).

Al ministero degli Affari Esteri una corrente rappresentanta dal vice-ministro barone Apor e dal direttore degli Affari Politici Bessenyey accuserebbe Kànya di essere troppo condiscendente verso la Germania. Non ho avuto più alcun sintomo di guanto Darànyi ebbe a dire all'Eccellenza Vostra, che cioè Kànya sarebbe sostituito3; ma in tal caso è da domandarsi se la corrente che avrebbe forse il sopravvento, almeno al ministero degli Affari Esteri, non sia più distante dalle idee nostre che non il Kànya stesso: la nuova corrente sarebbe indubbiamente di maggiore resistenza alla Germania, in primo luogo perché di convinzioni legittimiste: e non è forse da escludere che una minore condiscendenza verso la Germania potrebbe favorire una tendenza ad una politica estera «neutrale» (insieme ad una politica interna più liberale), e quindi ad atteggiamenti meno rigidi verso altri raggruppamenti di Potenze 4 .

243 l Vedi serie ottava, vol. VI, DD. 252 e 559. Più di recente il ministro Vinci aveva richiamato ancora l'attenzione del ministero sul non felice andamento dei rapporti tra Budapest e Berlino sui quali pesava l'attività di gruppi filonazisti ungheresi. (T. per corriere 5026/0150 R. del 16 luglio) e soprattutto il problema della minoranza tedesca in Ungheria (TT. per corriere 4502/0129 R. del 1° luglio e 5027/0151 R. del 16 luglio).

243 2 Il ministro von Mackensen era stato chiamato a Berlino nei primi giorni di aprile per assumere la carica di sottosegretario al ministero degli Esteri dopo che il suo nome era stato fatto ripetutamente in rapporto al complotto di estrema destra scoperto poco prima a Budapest. Sulla vicenda il ministro Vinci aveva riferito con TT. per corriere 1910/051 R. e 1912/053 R. del 15 marzo e 2109/059 R. del 20 marzo, senza peraltro apportare elementi o dare giudizi circa la veridicità delle accuse mosse a von Mackensen.

244

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 5856/612 R. Salamanca, 25 agosto 1937, ore 22 (per. ore 2,10 del 26).

Santander può considerarsi virtualmente caduta. Guardia Civil e carabineros locali, coadiuvati da elementi nazionali, hanno assunto controllo città nella quale truppe vittoriose entreranno domani mattina.

Si delineano però difficoltà fra Comando spagnolo ed il nostro circa la resa delle milizie basche che, essendo in numero di circa 30 mila, dovrebbero essere consegnate agli spagnoli non potendo materialmente farsene carico le truppe legionarie. Franco, a cui nostro Comando ha notificato stamane accordo e condizioni resa, si è mostrato contrario ad accettarle, osservando che la resa dei baschi avviene soltanto quando non hanno più scampo e dopo aver combattuto fino all'ultimo e perciò essi devono essere considerati prigionieri di guerra comuni. Egli, da parte sua, intende mantenere l'osservanza delle condizioni di resa convenute cogli italiani.

A mio avviso, nostri parlamentari hanno dato prova di troppa condiscendenza nell'accettare ripresa trattative già rotte in seguito a tergiversazione dei baschi e la loro inosservanza ai termini fissati per decisione; nonché nell'accordare (a battaglia quasi vinta) difensiva [sic] presso a poco uguale a quella che avrebbe potuto essere consentita un mese fa. Ritengo inoltre che nostro Comando avrebbe dovuto insistere per presenza di un rappresentante di Franco nell'ultima fase delle trattative in cui furono determinate le condizioni e le modalità della resa. Oggi, mi sembra non potersi chiedere a Franco di più che un atteggiamento di ampia clemenza, da lui del resto già tenuto verso i baschi dopo la presa di Bilbao.

Riterrei doveroso, in questo momento, l'evitare con scaltrezza [sic] un attrito fra i due Comandi, mentre loro fusione è stata completa in tutto lo svolgimento dell'azione e mentre il nostro sforzo militare è in piena valorizzazione.

243 3 Vedi serie ottava. vol. VL D. 629. 243 Il documento ha il visto di Mussolini.

245

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3639/2192. Londra, 25 agosto 1937 (per. il 26).

Ieri, Sargent, nell'annunziarmi il suo proposito di recarsi a passare le ferie in Italia, e precisamente a Venezia, nei primissimi giorni di settembre, mi ha lungamente intrattenuto sulle prospettive del riavvicinamento itala-britannico.

Ha cominciato col dirmi che la riunione indetta per oggi dal Primo Ministro a Downing Street non era stata provocata da alcun fatto particolare, e nemmeno specificamente dalla situazione in Estremo Oriente, che è quella che è, senza che si veda per il momento la possibilità o l'urgenza di utili misure da prendersi che richiedano una deliberazione dell'intero Gabinetto. Chamberlain aveva interrotto le sue vacanze per un giorno, prima di recarsi dal Re e Balmoral, ed aveva ritenuto utile una presa di contatto coi suoi ministri per riesaminare, d'accordo con essi, la situazione generale nel campo della politica estera. Questa situazione presentava infatti, come è naturale, elementi nuovi, sviluppatisi durante le settimane di assenza da Londra del Primo Ministro; il quale desiderava esserne pienamente informato e concordare con Eden, e con qualche altro membro del Gabinetto, la linea di condotta del governo al riguardo. Vi era certo, fra le altre questioni, anche quella dell'Estremo Oriente; vi era la recente estensione della guerra civile spagnola in tutto il Mediterraneo; vi era l'approssimarsi delle riunioni di Ginevra. Sargent ha aggiunto che nessuna decisione di importanza sarebbe stata presa nella riunione di questo pomeriggio e che era probabile che un'altra e forse più completa riunione di ministri venisse indetta da Chamberlain alla vigilia della convocazione del Consiglio. e dell'Assemblea ginevrina.

Ho detto a Sargent che negli ambienti francesi di Londra avevo raccolto in questi ultimi giorni voci alquanto singolari, e certamente tendenziose, su quelle che erano le intenzioni del governo britannico nei riguardi dell'Italia. Si diceva cioè che a seguito dei recenti incidenti nel Mediterraneo, il governo britannico si era un po' raffreddato nei suoi propositi di riavvicinarsi al governo fascista; che il seppellimento della questione etiopica a Ginevra appariva alquanto problematico; che le conversazioni di Roma sarebbero forse state differite. Si parlava anche di diversità di vedute, a questo proposito, fra i vari ministri. Io segnalavo a Sargent tali voci e manovre sabotatrici di alcuni ambienti francesi e inglesi, perché ero sicuro che il Foreign Office le ripudiava e che conservava immutati i suoi sentimenti e i suoi progetti nei riguardi del riavvicinamento itala-britannico.

Sargent mi ha risposto categoricamente che nessun mutamento era avvenuto nei sentimenti e nei propositi del governo britannico. Erano emersi però alcuni nuovi elementi nella situazione internazionale che rischiavano in qualche modo di ripercuotersi sull'opinione pubblica inglese, e potevano così forse indirettamente influire, non certo sul fondo del riavvicinamento itala-britannico, ma sulle modalità e sulla rapidità della sistemazione che i due nostri governi sinceramente desideravano. Sargent ha continuato dicendo che egli non voleva affatto fare insinuazioni, che era certo che gli aeroplani e i sottomarini responsabili degli attacchi nel Mediterraneo erano aeroplani e sottomarini nazionalisti spagnoli e non italiani.

Ma l'opinione pubblica inglese aveva constatato in questi ultimi tempi una improvvisa potenzialità ed efficienza della flotta di Franco e il sospetto serpeggiava in alcuni ambienti che a creare questa potenzialità ed efficienza non fosse estraneo un qualche aiuto, sotto qualsiasi forma, di una grande nazione mediterranea. Egli, Sargent, comprendeva benissimo che, i soccorsi militari ai Rossi spagnoli continuando ad affiuire da certi Paesi a dispetto del «non intervento», l'azione di Franco costituiva in certo modo una remora ed una repressione del traffico illecito, e da questo punto di vista non aveva nulla da dire. Ma erano troppo frequenti gli errori, e in particolare gli attacchi a navi inglesi munite di regolari osservatori a bordo. E poi, tutta questa serie di siluramenti e bombardamenti, un po' a caso, anche a grandi distanze dalla Spagna, turbava il pacifico commercio marittimo in tutto il Mediterraneo. Comunque, tutto ciò non aveva nessun influsso diretto sulle relazioni tra i nostri due governi, ma rischiava di averne sulle relazioni psicologiche, di opinione pubblica e di stampa, rendendo così più difficoltosa l'opera dei governi stessi. Per fortuna, Sargent poteva constatare che finora, grazie anche agli sforzi del Foreign Office, la stampa britannica non aveva dato eccessivo rilievo né ai fatti, né sopratutto ai sospetti di complicità italiana che essi avevano suggerito in alcuni ambienti.

Un elemento di maggiore preoccupazione per il Foreign Office era costituito dalla nota di Valencia alla Società delle Nazioni 1: non perché il governo britannico prestasse fede alle accuse di Valencia contro l'Italia, ma perché la discussione di detta nota a Ginevra, proprio nel momento in cui si dovrà impostare la questione etiopica, rischia di provocare le solite chiassate ultrasocietarie, ed i soliti clamori nella stampa di sinistra dei vari Paesi. Ciò rende delicata la posizione del governo britannico, anche per la sua solidarietà col governo francese. Egli, Sargent, mi diceva tutte queste cose perchè io mi rendessi conto delle difficoltà cui il Foreign Office andava incontro per addivenire a quel riconoscimento giuridico della conquista italiana, che è un atto di logica e di realismo politico e che come tale appare così semplice visto da Roma.

Ho detto a Sargent che mi rendevo conto di queste difficoltà ma che ero troppo consapevole della decisiva influenza esercitata a Ginevra dal governo britannico per dubitare che -purché esso lo avesse seriamente voluto -avrebbe potuto agevolmente superare gli intoppi della procedura societaria. Ho aggiunto che il Duce, nel discorso di Palermo 2 , aveva considerevolmente facilitato le cose, chiedendo a Ginevra, non l'atto di nascita dell'Impero italiano, ma l'atto di decesso del defunto Impero etiopico.

Sargent ha pienamente convenuto su questo punto e mi ha detto che la chiarificazione fatto dal Duce era stata molto apprezzata dal Foreign Office. Tuttavia, anche così ridotto, il problema presentava sempre qualche difficoltà sia per le circostanze e l'atmosfera politica in cui si svolgeranno i lavori della prossima Assemblea, sia per l'alea che corrono tutte le questioni portate nell'ambiente di Ginevra. «Il riavvicinamento italo-britannico, ha osservato Sargent, è un fatto così impor

con la richiesta che il Consiglio prendesse in esame le aggressioni contro le navi spagnole su la base dell'art. Il del Patto. 245 2 Vedi D. 239, nota 2.

tante che mi domando se sia opportuno farlo dipendere da quest'alea, come da una condizione essenziale e preliminare».

Ho replicato che l'esperienza di questi ultimi mesi aveva abbondantemente dimostrato come la questione del riconoscimento del nostro Impero, lasciata in disparte nel Gentlemen's Agreement del 2 gennaio, avesse un'importanza fondamentale ai fini di una piena e sincera intesa fra i nostri due governi, e in particolare fra le nostre due opinioni pubbliche. Finché il governo britannico non si fosse deciso a voltare definitivamente questa pagina, qualsiasi accordo, anche se concluso con le più sincere intenzioni dalle due parti, rischiava di essere turbato o frustrato da campagne di stampa e diffidenze reciproche di opinione pubblica, che qualunque fatto o pretesto avrebbe potuto suscitare.

Sargent ha riconosciuto la fondatezza di questa osservazione. Ha osservato a sua volta che una piena chiarificazione anglo-italiana, che escluda per quanto possibile ogni residuo di malintesi, dubbi e dissapori nell'opinione pubblica e nella stampa dei due Paesi, esigerebbe ugualmente l'eliminazione del problema spagnolo. Anche questo problema, ha detto Sargent, non riveste tanta importanza nelle relazioni fra i nostri due governi (il governo britannico ha infatti preso atto delle assicurazioni dategli dal governo fascista nei riguardi della Spagna), quanta ne riveste, come gli avvenimenti dei mesi scorsi hanno lumeggiato, nelle relazioni fra le nostre due opinioni pubbliche e gli organi della stampa italiana ed inglese. Ora, il problema spagnolo si eliminerà da sé un giorno con la probabile vittoria di Franco. Ma nell'attesa, ha soggiunto Sargent, bisognerebbe cercare, nelle prossime conversazioni itala-britanniche, di studiare i modi di evitare che esso rimanga fonte potenziale di malintesi e di polemiche di stampa fra Londra e Roma.

Ho detto a Sargent che non volevo, né potevo inoltrarmi su di un terreno che riguardava le future conversazioni di Roma e gli argomenti che vi potranno essere trattati.

Sargent ha risposto che, beninteso, la nostra conversazione aveva carattere puramente privato ed amichevole. Anzi, proprio nello stesso spirito, egli desiderava pormi una domanda che avrei forse giudicato strana o indiscreta: quando io ritenevo sarebbe stato il momento migliore per iniziare le conversazioni di Roma?

Ho chiesto a mia volta: «il momento migliore per chi? per voi o per noi?».

Sargent ha risposto che non si trattava affatto di favorire gli interessi dell'uno

o dell'altro ma di raggiungere lo scopo che tutti e due avevano in mente e cioè il successo, più pieno possibile, delle prossime conversazioni itala-britanniche.

Avendo io accennato, sempre a titolo personale, alla «prima metà di settembre», Sargent ha detto che così infatti V.E. era rimasta d'accordo con Drummond. Egli, Sargent, si domandava tuttavia se non sarebbe stato meglio iniziare queste conversazioni dopo Ginevra, sopratutto per impedire che il loro svolgimento potesse venire turbato dalle polemiche che, con ogni probabilità, si scateneranno nella stampa internazionale, in occasione dei lavori del Consiglio e dell'Assemblea, e in particolare, della discussione della nota di Valencia e della questione etiopica. Comunque, non spettava a lui decidere in proposito, e non voleva nemmeno aver l'aria di permettersi di dare consigli.

Questo è il resoconto sommario della conversazione che ho avuto ieri con Sargent. Tale conversazione ha avuto, ripeto, carattere puramente personale; ma poiché essa contiene elementi non privi di interesse, ho creduto opportuno riferire a V.E. anche perchè Sargent si reca in Italia fra breve, ed è-fra gli alti funzionari del Foreign Office -uno dei più favorevoli ad un rapido e completo chiarimento dei rapporti itala-inglesi.

245 l Riferimento alla nota presentata il 23 agosto dal governo di Valencia alla Società delle Nazioni

246

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

TELESPR. 2598jl053. Salamanca, 25 agosto 1937 (per. il 31 ).

A seguito del mio telespresso n. l048 in data di ieri 1 , ho l'onore di trasmettere all'Eccellenza Vostra, per opportuna documentazione, l'unita copia di un rapporto pervenutomi in data odierna dal Regio Console in San Sebastiano, concernente le trattative con i baschi.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAVALLETTI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA. VIOLA

TELESPR. SEGRETO 210 l. San Sebastiano, 25 agosto, 1937.

Mio 2094 di ieri 2

Conformemente alle istruzioni impartitemi dalla E.V. con Suo telegramma per corriere 961 del 12 corr3 . Ho seguitato a coadiuvare, secondo le richieste del C.T.V., le trattative, facendomi tramite delle note che gli emissari baschi hanno rivolto al Comando legionario e delle risposte relative.

È noto a Y.E. per il mio sopracitato che in data 22 corr. il C.T. V. ha posto un termine di tre giorni entro cui i baschi avrebbero potuto arrendersi giovandosi delle note condizioni di favore convenute.

I rappresentanti baschi mi hanno, in giornata, fatto pervenire la nota che qui accludo in copia (Allegato n. l). in cui essi, pur domandando di precisare alcuni punti, accettavano per conto dei battaglioni baschi.

Il generale Roatta cui ho subito trasmesso la nota, mi ha pregato di prendere immediatamente contatto con gli emissari baschi per chiarire i punti ancora incerti e giungere ad una conclusione definitiva. Mi sono pertanto recato a S.Jean de Luz ove ho incontrato il canonico Onaindia ed il deputato Lasarte.

Ad essi ho fatto innanzi tutto osservare che il punto lo della loro nota del 22 corr. relativo alla evacuazione non poteva non considerarsi oramai superato. I baschi mi hanno risposto che essi domandavano il libero transito per gli ultimi piroscafi di evacuandi che arriverebbero o partirebbero da Santander prima del 24 corrente.

Essi hanno aggiunto a questo proposito che il C.T.V. aveva precedentemente già consentito che gli ufficiali baschi che si consegnassero con i loro reparti, verrebbero fatti poi

evacuare. In base a tale promessa essi chiedevano che detti ufficiali venissero dopo la resa imbarcati su piroscafi che il governo basco avrebbe inviato in una zona fra Laredo e San tona.

Ho risposto agli emissari baschi che ritenevo non ci fossero difficoltà per la prima questione, essendo già in massima accordato il libero transito agli evacua n di; quanto alla seconda mi sono riservato di riferire al C.T.V.

Riguardo il punto due della nota basca relativo alla protezione della popolazione civile, ho confermato, dietro istruzioni del generale Roatta, che il C.T.V. consentiva a che 6 battaglioni baschi si arrendessero anche dopo il termine stabilito, allo scopo di proteggere la popolazione civile. Il C.T.V. avrebbe facilitato in tutti i modi possibili il compito di tali battaglioni.

Circa la «Conclusione» contenuta nella nota basca, ho fatto presente non essere esatto che i prigionieri di guerra baschi sarebbero rimasti sotto la sovranità del Regno d'Italia, essi sarebbero solamente rimasti prigionieri delle truppe legionarie. I baschi hanno risposto essere questa una questione di forma ed essere pronti ad accettare.

Infine, circa !'«Appendice» della nota basca, gli emissari, dietro mia richiesta, mi hanno dato i chiarimenti seguenti: ignorare essi le direttive della offensiva ma supporre che esse siano due una per Torrelavega ed una in direzione obbliqua verso Laredo. Mentre la prima, tagliando la comunicazione colle Asturie, facilitava il mantenimento dell'ordine a Santander, la seconda, quella verso Laredo, avrebbe tagliato in due tronconi le forze basche, complicato la resa e difficoltato la protezione dell'ordine a Santander dalla cui parte sarebbe rimasto solo un piccolo contingente basco.

Ho risposto che avrei fatto presente quanto precede al C.T.V. ed ho aggiunto che questo desiderava che sulle tre rotabili lungo le quali dovrebbe avvenire la resa, si presentassero preventivamente degli ufficiali baschi di Stato Maggiore per indicare il nome ed il numero dei battaglioni che si arrendono in quella direzione. I rappresentanti baschi hanno accettato assicurando che avrebbero dato disposizioni in proposito.

Ho riferito quindi al generale Roatta le richieste e le precisazioni fatte dagli emissari baschi, richieste e precisazioni che il generale Roatta ha trovato soddisfacenti. Si è quindi compilata una ultima nota (Allegato 2) in cui si riassumono i risultati definitivi del mio colloquio.

Questa nota è stata da me presentata immediatamente agli emissari baschi ad Hendaye, i quali, dichiarando di accettarla in tutti i suoi punti, mi hanno consegnato la risposta che qui trascrivo:

«NOTA ENTREGADA EN HENDAYE AL EXC/MO SR. CONSUL EN SAN SERASTIAN EL DIA 22 DE AGOSTO DE 1937 A LAS 19 HORAS. Leida por la Delegaci6n Vasca la nota de los Delegados legionarios correspondiente a las horas 19 de hoy manifiestan aquella que: Aceptan y confirman el contenido de la misma, comprometiendose a una inmediata realizaci6n». Ho rimesso al generale Roatta tale nota manoscritta dal canonico Onaindia.

ALLEGATO l

NOTA ENVIADA A LOS DELEGADOS LEGIONARIOS DESDE

S. JEAN DE LUZ EL DIA 22 DE AGOSTO A LAS 13 HORAS

En contestaci6n a la nota legionaria fecha 21 corr. manifiestan los Delegados vascos que aceptan el contenido de la misma. A este efecto sale para Santander hoy mismo un proprio para ultimar los detalles de la realizaci6n.

Sin embargo creen los Delegados vascos absolutamente necesario una entrevista con los Delegados legionarios para tra tar de:

l) las evacuaciones convenidas de dirigentes politicos, oficiales, militares heridos,

2) la protecci6n a la poblaci6n civil a la que hay que defenderla de las represalias tanto antes de la rendici6n como después.

CONCLUDENDO ... todos los batallones vascos que se rindan en el plazo concedido seran considerados como prisioneros de guerra bajo la soberania del Reino de Italia y ]es seni reconocida la voluntariedad del servicio de guerra en el futuro.

APENDICE ... Los Delegatos vascos deseando exponer urgentemente y de palabra el pian de ataque sobre Santander proponen:

l) que se active la ofensiva sobre Torrclavega;

2) que se vaya moderando la ofensiva sobre Solarcs.

De esta suerte los vascos podr{m controlar el orden publico de Santander y garantizar la evitaci6n de excesos.

ALLEGATO 2

NOTA CONSEGNATA DAI DELEGATI LEGIONARI AGLI EMISSARI BASCHI ALLE ORE 19 DEL GIORNO 22 AGOSTO 1937

A seguito della nota da parte basca delle ore 13 di oggi, e del colloquio che ha avuto successivamente luogo a St. Jean de Luz fra il R. Console d'Italia in San Sebastian e gli emissari baschi, i delegati legionari comunicano:

l) Circa la evacuazione dei dirigenti politici ecc. (punto l della nota basca odierna) è già inteso da tempo che i piroscafi ad essa evacuazione adibiti abbiano libero transito. Ad ogni modo la parte legionaria segnalerà immediatamente alle autorità nazionali (spagnole) centrali, che nei giorni 22 e 23 corrente altri piroscafi adibiti a detto servizio partiranno da Santander. Segnalerà altresì i nominativi di questi piroscafi qualora la parte basca li indichi tempestivamente.

Gli ufficiali baschi che si arrenderanno alle truppe legionarie nei termini di tempo stabiliti (ossia entro le ore 24 del 24 corr.) non verranno dal Comando Legionario mai consegnati alle autorità nazionali (spagnole), a meno che detti ufficiali lo desiderino. Il Comando Legionario farà, successivamente ed al più presto, il possibile per evacuare all'estero, con navi provviste dalla parte basca e colle modalità esecutive da stabilire in seguito, quegli fra i suddetti ufficiali che desiderassero tale evacuazione.

2) Per la protezione della popolazione civile basca dislocata nella zona non ancora occupata dalle truppe legionarie o nazionali, si conferma che la parte basca può mantenere in armi, anche oltre le ore 24 del 24 corrente, 6 battaglioni baschi (di forza non superiore, ognuno, ai 500 uomini).

Detti battaglioni si arrenderanno alle truppe legionarie quando queste raggiungeranno la zona dove essi saranno, e verranno loro applicate le condizioni convenute malgrado la loro resa abbia luogo dopo il termine stabilito, e sopraindicato.

La parte basca è invitata a comunicare al più presto il nome e numero distintivo di detti battaglioni e fa loro disloca::ione.

La protezione dell'anzidetta popolazione, a resa avvenuta, sarà assicurata dalle truppe occuparrti.

La parte legionaria, per evitare intanto molestie da parte santanderina od asturiana alla popolazione in parola, è disposta a far lanciare da aerei, su Santander e località vicine, manifestini che minaccino gravi rappresaglie nel caso che vengano usate sevizie alle popolazioni civili in genere.

3) Si conferma che le truppe basche che si arrendono alle truppe legionarie nei termini di tempo e colle modalità stabilite saranno considerate prigioniere di guerra di dette truppe legionarie.

Saranno loro applicate le condizioni convenute, compresa quella della volontarietà per il caso di ulteriore loro servizio nell'attuale conflitto.

4) Si fa presente alla parte basca la convenienza reciproca che si presenti al più presto alle truppe legionarie, su ognuna delle tre grandi rotabili indicate nella nota legionaria di ieri, un ufficiale basco di Stato Maggiore, che possa indicare al corrispondente Comando Legionario quali o quante truppe basche si arrendono lungo od a cavallo di ogni rotabile.

5) Si prende atto di quanto segnalato nell'appendice della nota basca, ricordando che il mantenimento dell'ordine nella zona di Santander e la protezione della popolazione civile basca sono, dopo il termine fissato per la resa delle truppe basche (ore 24 del 24 corrente) affidati ai 6. battaglioni di cui al numero 2 della presente nota.

246 l Vedi D. 241. 246 2 Vedi D. 241, allegato 2. 246 3 Non rintracciato.

247

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE URGENTISSIMO Salamanca, 26 agosto 1937, 5853/613 R. ore 2,30 (per. ore 4).

È intervenuta intesa fra Comando truppe volontarie e Comando spagn~lo per la resa a discrezione dei battaglioni baschi.

Reparti baschi, in numero di oltre trantamila, inquadrati coi loro ufficiali e con armamenti hanno già cominciato ad affluire alle Frecce Nere che li metteranno a disposizione del Comando spagnolo, il quale osserverà criteri di clemenza.

Entrata in Santander sarà effettuata stamane da colonna mista brigate Legionarie e Navarra.

248

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5883/339 R. Tokio, 26 agosto 1937, ore 9 (per. ore 16).

A proposito della situazione della missione militare tedesca in Cina, ho appreso da sicura fonte tedesca, in via confidenzialissima, che effettivamente essa continua nella sua «attività normale». Informatore precisava che essa consisterebbe soltanto nell'istruzione dei cadetti dell'Accademia militare Nankino senza partecipazione studi o direzione operazioni militari.

Tale situazione ha prodotto impressione pessima presso queste autorità ed è oggetto di continue insistenti richieste per ritiro o sospensione attività missione.

Relazioni nipponiche-tedesche ne risentono assai. A mio informatore rincresceva che interessi di carattere finanziario e commerciale avessero avuto sopravvento a Berlino su maggiori considerazioni politiche militari che riguardavano non solo il presente ma soprattutto il futuro.

Questa ambasciata di Germania insiste a Berlino perché sia ovviato prontamente al grave inconveniente e interpreta come buon segno mutamento tono stampa tedesca.

Chiesto quale fosse posizione nostra missione, è stato confermato che i nostri ufficiali si astengono dal partecipare ad azioni nonché alla preparazione dei relativi piani.

Prego comunicare ministero della Guerra.

249

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5893/0191 R. Vienna, 26 agosto 1937 (per. il 27).

Ho riveduto ieri Schuschnigg nella sua residenza estiva, dopo l'incontro con Daranyi 1 . Il Cancelliere mi ha fatto rilevare che la brevità dell'incontro, la presenza della signora Daranyi e le stesse esteriorità della visita non hanno dato modo ad ampie conversazioni politiche. Anche il successivo colloquio di Schmidt con Daranyi a Salisburgo è stato molto breve e generico. Nelle notizie date ai giornali è stato omesso ogni accenno politico.

Schuschnigg mi ha detto -confermando le mie impressioni dirette già comunicate a V.E. (mio telegramma per corriere n. 0188 del 21 corr. 2) che ha trovato Daranyi molto impressionato per la situazione economica e anche per eventuali ripercussioni di politica interna, in seguito alle nuove direttive dell'Italia nei rapporti economici con gli Stati dei Protocolli Romani.

Schuschnigg, che non si nasconde l'importanza della cosa, mi si è mostrato più tranquillo. Mi sono valso, nel corso della conversazione, anche degli argomenti contenuti nel telespresso riservato di V.E. n. 227041/c. del 6 corr.'.

Il Cancelliere confida che nelle nuove trattative annunziate per ottobre sia pur possibile di conciliare la vicendevoli necessità più urgenti ed essenziali. Ha preso atto con vivo compiacimento dell'assicurazione che dalle nuove direttive economiche esula ogni mutamento della politica tra i due Paesi. Egli crede necessario che si faccia a suo tempo ogni sforzo per evitare possibilmente anche ogni impressione esteriore di mutamento di direttive politiche.

Schuschnigg, per il quale -come mi ha ripetuto -l'amicizia dell'Italia è un dogma, non ha mancato di riconoscere che l'Austria, come l'Ungheria, ·devono esse stesse essere le prime a sostituire con proprie risorse la parte non assolutamen

304 te indispensabile degli aiuti straordinari loro concessi in momenti eccezionali, dall'Italia, abituandosi sempre più -come disse con frase in tedesco più significativa --a stare sui propri piedi. Egli -aggiunse -lo va da tempo predicando ai propri collaboratori e qualche risultato concreto lo ha ottenuto.

Schuschnigg mi ha parlato con grande ammirazione del discorso del Duce a Palermo4 che considera decisivo per la nuova situazione europea che si va disegnando, e dalla quale anche l'Austria si ripromette indiretto vantaggio. Ha molto apprezzato il passo relativo all'Austria e all'Ungheria 5 , senza nascondersi il significato dell'accenno all'efficacia dei Protocolli di Roma «specialmente durante la punta della crisi economica», ma non condividendo affatto l'opinione di alcuni ipercritici di qui che vorrebbero sminuire il valore politico delle parole dedicate dal Duce ai rapporti con i due Stati dei Protocolli di Roma.

Ho l'impressione che un unico risultato concreto può avere avuto l'incontro Schuschnigg-Daranyi: la vicendevole assicurazione di una sempre più stretta intesa e di un contatto permanente tra Vienna e Budapest, per aiutarsi a superare le nuove difficoltà e per accrescere anche il valore politico dei due Stati di fronte ad ogni eventualità.

249 1 Vedi D. 231, nota l. 249 l Vedi D. 231. 249 3 Non rintracciato.

250

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5918/070 R. Belgrado, 26 agosto 1937 (per. il 27).

Ho chiesto a Stojadinovic, che ho visto qui ieri, subito dopo il colloquio con Anfuso 1 , quanto vi fosse di vero nelle intenzioni attribuitegli di recarsi in autunno, prima o dopo la sua visita ufficiale a Roma, a Parigi e forse anche a Londra. Il Presidente mi ha detto che, effettivamente, era stato insistentemente officiato a recarsi a Parigi, in occasione del rinnovo formale del patto di amicizia franco-jugoslavo2 che dovrà avvenire il 28 ottobre prossimo, per uno scambio di idee circa le reciproche situazioni, specie in ordine all'argomento del patto di mutua assistenza che, come è noto, è rimasto da tempo, secondo la formula adottata, «allo studio». Mi ha aggiunto che, peraltro, l'atteggiamento francese in occasione dei recenti avvenimenti interni, ha molto raffreddato le sue primitive disposizioni ad effettuare il viaggio.

Quanto al patto di amicizia colla Francia, mi ha detto che verrà rinnovato, ma senza mutare una virgola, contrariamente alle aspettative francesi. E per ciò che concerne la mutua assistenza, la questione continuerà a rimanere indefinitamente nella fase di studio.

249 5 Vedi D. 231, nota 4. 250 I Vedi D. 236. 250 2 Trattato di amicizia, di conciliazione e di arbitrato tra la Francia ed il Regno Serbo-Croa to-Sioveno dell'Il novembre 1927 (testo in MARTENS, vol. XVIII, pp. 347-354).

249 4 Vedi D. 239, nota 2.

251

IL GENERALE ROATTA AL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO

N. 704/3. [Vitoriaj, 26 agosto 1937.

A seguito miei telegrammi di stamane:

l. I due delegati baschi, che si sono presentati ieri sera, sono i sigg. Ajuriaguerra e Artetexe, entrambi consiglieri del partito nazionalista basco. Affermano di essere autorizzati a prendere decisioni, che verrebbero poi seguite dalle truppe. Il primo di essi ebbe la parte preminente nelle ultime trattative di St. Jean de Luz.

2. -Ho consegnato loro la nota allegato n. l. 3. -Essi hanno risposto, alle ore 5,30, colla nota allegato n. 2. 4. -La voce «para los batallones vascos y comprendidos ... » si riferisce a uno-due battaglioni santanderini che sarebbero situati nella zona tenuta dalle truppe basche, per i quali gli emissari propongono le stesse condizioni che chiedono per quelli baschi, qualora si arrendano con e come questi ultimi. 5. -Circa il punto 2, è chiaro che l'occupazione senza resistenza dipende non da noi, ma dai baschi. 6. -Circa il punto 3 sembra conveniente, almeno in primo tempo, di custodire tutti gli individui aventi un incarico ufficiale e che non abbiano potuto ancora riparare all'estero.

Sarò grato di istruzioni.

ALLEGATO N.

NOTA CONSEGNATA DALLA PARTE LEGIONARIA AGLI EMISSARI BASCHI NELLA NOTTE DEL 26 AGOSTO

La parte legionaria fa presente:

l. Le trattative per la resa delle truppe basche, inziate nella prima decade di luglio, si sono trascinate estremamente in lungo esclusivamente a causa dei ritardi, delle esitazioni e tergiversazioni della parte basca.

2. -Più di una volta la parte legionaria, visti inutili tutti i suoi sforzi per venire ad una conclusione, e non ricevendo nei termini fissati una risposta concreta da parte basca, ha notificato che riteneva chiuse le trattative. - 3. -In definitiva, la parte legionaria, con nota della sera del 21 agosto2 , si è dichiarata disposta, in segno della sua umanità, ed a titolo di ultima concessione, a «trattare alle condizioni a suo tempo convenute le truppe basche che si presenteranno spontaneamente alle truppe legionarie, per arrendersi, entro il termine di tre giorni (ossia entro le ore 24 del 24 agosto)».

Colla stessa data si dichiarava: «Le truppe basche che si presenteranno dopo tale termine, o che saranno in qualsiasi modo catturare prima o dopo tale termine, saranno trattate

come tutte le altre truppe avversarie, ossia non saranno loro applicate le condizioni a suo tempo convenute.

4. -La parte basca ha accettato quanto sopra con la sua nota delle ore 13 del 22 agosto~. Ed ha confermato l'accettazione con la nota delle ore 19 del giorno stesso4 , impegnandosi alla immediata realizzazione di quanto convenuto. 5. -Malgrado quanto sopra, alle ore 24 del 24 agosto (ossia al termine stabilito dalle due parti, entro il quale avrebbe dovuto essere ultimamente la resa), non si era arreso neppure un soldato basco. Si erano unicamente presentati alla linea della brigata Frecce nere gli ufficiali baschi che, su proposta legionaria, dovevano prendere contatto per concretare la modalità di dettaglio della resa (affluenza e successione dei reparti arrendentisi, e simili). 6. -Alle ore 19,30 del 24 agosto, ossia a poche ore di distanza dallo scadere del termine stabilito, la parte basca chiedeva alla parte legionaria di effettuare, se possibile, un'operazione destinata a tagliare completamente le truppe basche da Santander e che, considerando le difficoltà annesse a tale operazione, la parte legionaria avesse la generosità di procrastinare i termini fissati per la resa.

La parte legionaria rispondeva, la mattina del 25, che l'operazione richiesta non poteva essere compiuta, ed era, del resto, superata dalla situazione militare in atto e dagli accordi pratici di dettagli per la resa conclusi nella notte del 25 stesso, cogli ufficiali baschi di cui sopra. E notificava che «non poteva ancora rispondere esplicitamente circa la richiesta basca di considerare valida la resa, sebbene in ritardo al termine fissato, tutto dipenderà dal modo come detta resa sarà effettuata e dal numero di uomini che si arrenderanno».

7. Secondo gli accordi conclusi la notte del 25 cogli ufficiali baschi di cui sopra, tutte le truppe basche concentrate fra Laredo, Colindres, Santona, ecc. avrebbero dovuto arrendersi alla brigata Frecce nere in ragione di 10.000 al giorno, cominciando dal giorno 25.

La mattina del 25 diversi reparti baschi situati sulla riva sinistra del rio Aguera, di fronte alla brigata Frecce nere, alzarono bandiera bianca e cominciarono, dalla loro parte, a riattare i passaggi sul rio, in vista della resa.

Successivamente gli ufficiali baschi di cui sopra affermarono che le truppe non potevano arrendersi se prima essi non avessero visto materialmente le note degli emissari baschi con le quali essi avevano dichiarato di accettare la resa delle truppe basche. Malgrado la stranezza di tale desiderio, tali note furono mostrate, e gli ufficiali in parola rientrarono nelle loro linee.

8. -Senonché, neppure allora si affettuò la resa, ed il capo di Stato Maggiore dell'esercito di Euzkadi, chiese per lettera altre 24 ore di tempo per iniziare quella resa che avrebbe dovuto essere completata già mezza giornata prima. La parte legionaria ha rifiutato tale dilazione, ha invitato ad arrendersi le truppe che stavano di fronte alla brigata Frecce nere, ed ha avvertito che, in caso che questo non avvenisse, si sarebbero considerate tutte le trattative superate e la brigata avrebbe ripreso subito l'offensiva. 9. -Alle ore 16, vedendo che le truppe basche di cui sopra non solo non si arrendevano, ma ripiegavano verso ovest, la brigata ha passato il rio Aguera, ed ha J;llarciato su Laredo dove finalmente è cominciata la resa di alcuni reparti baschi. ·

Allo stato di fatto, dato che la vittoriosa avanzata legionaria nazionale ha precluso ogni via di scampo alle truppe basche, la resa di dette truppe avviene a discrezione. Quanto viene fatto a loro favore dipende esclusivamente dalla generosità legionaria.

ALLEGATO N. 2

Ante la situaciòn creada por el avance de las tropas legionarias en el dia ayer (25) queremos hacer constar nuestro disgusto por las resoluciones tomadas por ese mando legio

nario, al mismo tiempo que exponemos nuestra actuaci6n, para que el trato definitivo que se de a las tropas vascas sea el que corresponde a la nobleza con que han actuado estas y del trato noble que esperamos de la parte legionaria.

Fijadas en firme aceptadas unas condiciones de rendici6n se han comenzado a cumplir con la exactitud que caracteriza al vasco, empezando por presentar, antes de finalizar el plazo de los tres dias, los oficiales pedidos y los nombres de los batallones que garantizaban el orden en la retaguardia.

Al pasar esos oficiales se encontraron con que la tropa legionaria que los recibi6 no tenia conocimiento exacto de lo que debian hacer y tratar con esos oficiales, enviando a la parte vasca una nota que modificaba por completo las caracteristicas esenciales de las condiziones convenidas en el acuerdo. o que desorient6 completamente a la parte vasca.

Esta desorientaci6n, unida a la falta de cumplimiento de la libre entrada de los barcos en el puerto de Santona para la evacuaci6n de los responsables politicos y civiles y aun militares convenidos, segl!n se desprende de una nota recibida de la parte legionaria, nos ha impedido desarrollar el pian concebido por nosotros para la entrega total de las fuerzas cercadas, para lo cual pediamos con insistencia se retrasara por veinticuatro horas el avance de la tropa legionaria.

La demostraci6n de la nobleza con que ha actuado la tropa vasca, esta bien patente en que los batallones que cubrian el frente no han opuesto resistencia alguna y se han rendido diez batallones durante las primeras horas del avance.

En vista de que al Generai Jefe las fuerzas legionarias del frente de Castro, ha comprendido claramente las explicaciones que la parte vasca ha hecho sobre su actuaci6n, ésta espera de la nobleza de la parte legionaria la decisi6n minima que senala el convenio inicial en favor de la tropa vasca y de los responsables politicos que se encuentren dentro de la zona ocupada, incluso Santander donde han quedado algunos debido a la preocupaci6n de ultima hora.

Concretando lo expuesto en la nota que antecede:

l. Pedimos que se mantengan firmes todos los puntos convenidos en la nota del acuerdo, para los batallones vascos y comprendidos en la zona entre Solares y Castro que se rindan o se hayan rendido ya;

2. -Consideramos que la mejor forma de rendici6n es la ocupaci6n sin resistencia de las zonas ocupadas por aquellos. 3. -Que se consideren como militares para los efectos del compromiso, los responsables

politicos, la policia y los empleados del Gobierno Vasco. Castro-Urdiales, a las 5 horas y media del dia veintiseis de Agosto de 1937.

251 l Pubblicato in ROVIGHI e STEFANI, pp. 596-600. 251 2 Vedi D. 241, allegato.

251 3 lbid. 251 4 Ibid.

252

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'INCARICATO D'AFFARI DI GRAN BRETAGNA A ROMA, INGRAM

APPUNTO. Roma, 27 agosto 1937.

L'Incaricato d'Affari di Gran Bretagna, Signor Ingram, ha comunicato, in seguito ad istruzioni ricevute dal Foreign Office che Sir Eric Drummond non potrà, a causa della morte del fratello, venire a Roma che alla fine di settembre. Ciò naturalmente determinerà un ritardo nell'inizio delle conversazioni. Il Foreign Office, nell'esprimere il suo rammarico per questo rinvio, teneva a far sapere che non

252 1 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 208-209.

308 vi è assolutamente niente di nuovo nelle intenzioni e nei desideri dei Governanti britannici e che quindi il ritardo deve essere attribuito unicamente alla suddetta impossibilità materiale di Drummond di far ritorno in sede.

Avendo Ingram chiesto cosa si sarebbe potuto fare per evitare false interpretazioni del rinvio, gli ho risposto che, a mio avviso, non vi era da far niente altro se non far pubblicare da qualche giornale inglese quanto egli mi aveva comunicato. La stampa italiana lo avrebbe ripreso.

lngram mi ha chiesto particolari circa la visita del Duce in Germania. Gli ho risposto che in massima era stata decisa e che avrebbe avuto luogo nell'ultima decade di settembre. Per il momento non ero in grado di dargli maggiori informazioni.

Infine, Ingram, premettendo che parlava nello stesso spirito della nostra ultima conversazione2 , e cioè coll'intendimento di evitare ogni incidente nel Mediterraneo che potesse turbare l'atmosfera tra i nostri Paesi, mi ha presentato l'unito promemoria relativo ad osservazioni compiute dalla nostra Aeronautica su piroscafi britannici. Ho risposto ad Ingram che tali esplorazioni rientrano nel servizio normale dell'aviazione e non mi rendevo comunque conto del «danno» che esse avevano potuto portare alla navigazione britannica. lngram ha convenuto che non si trattava di avvenimenti degni di rilievo, ed ha insistito sulla volontà inglese di eliminare ogni eventuale futura possibilità di malintesi 3 .

ALLEGATO

PROMEMORIA. Roma, 26 agosto 1937.

His Majesty's Embassy are instructed to bring to the urgent notice of the Ministry of Foreign Affairs certain further incidents affecting neutra! shipping in the Mediterranean. His Majesty's Government feel bound to draw attention to these events because they are sincerely apprehensive of some unfortunate incident in the Mediterranean which they are sure the Italian Government would deplore as much as they would.

A number of complaints have been received that Italian aeroplanes have on severa! occasions reconnoitred and closely scrutinised vessels on the norma! traffic routes in the Mediterranean, and have caused danger to navigation by flying at very low altitudes over them. The most recent instance of this was the case of the Steamship « Y ork Moor», over which on August 14th, when she was some hundred miles east of Malta, an Italian seaplane, 186/5, circled in a dangerous manner. The Steamship «Dallas City» had already lodged similar complaints with the British authorities.

The continued attacks on neutra! shipping in the Mediterranean are causing His Majesty's Government the gravest concern and public opinion everywhere, and not only in the United Kingdom, is showing a growing inclination to believe that many incidents must be due to ltalian activities. If these occurrences continue it can only be an extremely short time before press begin to comment upon them.

His Majesty's Government are sure that both the Italian Government and themselves desire that the forthcoming conversations should take piace in un untroubled atmosphere. The worst of ali incidents would be some untoward occurrence concerning a British ship, but any widespread incidents concerning the ships of other friendly nations would tend to prejudice the conditions in which His Majesty's Government desire and are sure the Royal ltalian Government also desire, that the conversations should be held.

252 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

252 2 Del 23 agosto. Vedi D. 237.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A GERUSALEMME, MAZZOLINI

T. 1521/82 R. Roma, 28 agosto 1937, ore 2,30.

Suo telegramma per corriere n. 056 1•

Circa atteggiamento italiano nei riguardi questione palestinese, V.S. potrà, all'occasione ed a titolo personale, esprimersi con codesti circoli arabi nel senso che da parte italiana non si è avuta ancora possibilità di prendere posizione nei riguardi dei progetti britannici, essendo per ora la discussione rimasta nell'ambito ginevrino; che l'attuale atteggiamento di riserva italiano non significa affatto disinteressamento; e che nell'azione futura in proposito ci ispireremo alla difesa e al mantenimento dei principi stabiliti nell'articolo 22 del Patto e nel testo del Mandato sulla Palestina.

254

L'AMBASCIATORE IN CINA. CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5939/295 R. Nanchino, 28 agosto 1937, ore 22,18 (per. ore 5,30 del 29).

Ministro degli Affari Esteri mi ha oggi convocato e mi ha comunicato d'ordine di Chiang Kai-shek che il governo cinese ha firmato col governo sovietico un patto di non aggressione 1 il cui testo sarà pubblicato lunedì prossimo. Secondo il ministro degli Affari Esteri, il patto sarebbe semplicemente di non aggressione del tipo di quelli firmati dall'U.R.S.S. con gli Stati Baltici e prevede durata 5 anni. Ogni pubblicazione del testo sarà accompagnata da una dichiarazione in cui la Cina si dice disposta a firmare patti analoghi con i suoi vicini compreso Giappone.

Il ministro degli Affari Esteri infine ha aggiunto per ordine espresso di Chiang Kai-shek che la firma questo patto di cui era stata già questione anche in passato non, ripeto non, implica adesione Cina al comunismo: governo cinese è e resterà contrario al comunismo e fedele ai tre principi Sun Yat-sen.

A vendo io fatto presente al ministro che la firma patto negli attuali frangenti poteva assumere un'importanza particolare e legittimare interpretazioni di varia natura, il ministro ha negato che il patto contenga clausola segreta o di mutua assistenza dichiarando che il patto sarà registrato alla S.d.N.

Come V.E. ricorderà io avevo manifestato a varie riprese che fra i due Paesi fosse in corso qualche trattativa malgrado parere 2 di questo ambasciata del giappone della cui politica patto è uno dei risultati.

nelle discussioni su la questione palestinese alla S.d.N. aveva provocato delusione in Palestina e veniva sfruttato dalle autorità mandatarie per indebolire le simpatie di cui godeva l'Italia presso l'elemento arabo. 254 1 Trattato di non aggressione tra Cina e U.R.S.S. del 21 agosto 1937 (testo in MARTENS, vol. XXXVI, pp. 681-682). 254 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione dubbia».

253 1 T. per corriere 5081/056 R. del 19 agosto. Riferiva che il mancato appoggio dell'Italia alle tesi arabe

255

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 5951/0288 R. Parigi, 28 agosto 1937 (per. stesso giorno).

Ieri, ammiraglio Godfroy, sottocapo Stato Maggiore Marina francese, ha convocato R. addetto navale e lo ha pregato far presente al R. ministero della Marina senso malessere destato negli ambienti navali francesi da crociere che siluranti italiane starebbero facendo, da circa tre settimane, in Tunisia e Algeria, fuori acque territoriali ma in vicinanza coste lungo linee traffico. Ammiraglio Godfroy ha aggiunto: semafori francesi danno giornalmente avvistamenti unità italiane e continue sono proteste comandanti e equipaggi piroscafi francesi che mettono in relazione sorveglianza traffico con siluramenti ultimamente avvenuti e domandano alla Marina militare essere efficacemente protetti.

Manovra avvistamento e riconoscimento da parte unità italiana sia di giorno che di notte sono così evidenti da non lasciare dubbi circa sorveglianza traffico e crociera effettuata così vicino coste francesi dà impressione quasi di blocco. Ammiraglio Godfroy ha attirato attenzione comandante Ferreri anche su sorveglianza traffico da parte nostri aerei.

Infine, sottocapo Stato Maggiore francese ha detto al R. addetto navale che lo pregava far presente a R. ministero della Marina opportunità allontanare crociera dalle coste e specialmente non eseguire manovre evidenti di riconoscimento piroscafi battenti bandiera francese e recanti marche visibili da lontano e ciò al fine di evitare incidenti e di non dovere eventualmente ricorrere in futuro a un passo diplomatico.

Comandante Ferreri mi ha detto che conversazione si è svolta in modo molto cortese. R. addetto navale ha subito comunicato quanto precede al R. ministero della Marina.

256

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 10418/298 P.R. Shanghai, 30 agosto 1937, ore 19 (per. ore 0,05 del 31 ).

Telegramma di V.E. 180 1•

Il prof. De Stefani era giunto il 2 aprile in Cina su invito di Chiang Kai-shek per assumere le funzioni di «Alto Consulente Economico e Sociale» (sulle origini della sua missione si veda serie ottava, vol. V, D. 102). Il 1° giungo, De Stefani, dopo un primo «viaggio informativo» attraverso le provincie della Cina, aveva inviato-tramite l'ambasciata-un telegramma personale a Ciano, da sottoporre anche a Mussolini, in cui segnalava l'accoglienza cordialissima ricevuta dalle Autorità cinesi, dovuta --egli sottolineava -oltre che «al fatto di essere investito dal Generalissimo di un pubblico

S.E. -de Stefani prima di partire da Nanchino per Shanghai mi disse che in vista delle sopraggiunte circostanze egli considerava come terminata la sua missione. S.E. -De Stefani aveva sottoposto a Chiang Kai-shek vari ed importanti progetti di riforme cui attuazione, impossibile in questo momento, avrebbe potuto essere ripresa in esame in circostanze più favorevoli e che a tal fine egli sarebbe stato nominato consulente onorario per corrispondenza del governo cinese. S.E. -De Stefani mi assicurò che sarebbe ritornato Nanchino per prendere congedo da Chiang Kai-shek ma in seguito mi informò che partiva per Hong Kong dove si trova attualmente in attesa suo bagaglio che ho inoltrato scortato dal brigadiere carabinieri addetto alla missione.

256 l T. 12991/180 P.R. del 25 agosto con cui Ciano chiedeva «un rapporto telegrafico sulle ragioni della partenza di De Stefani».

257

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. SEGRETO 1519/90 R. Roma, 31 agosto 1937, ore 22,30.

Prima di rispondere suo dispaccio numero 93 1 ho voluto attendere il telegramma integrativo per corriere preannunciato dalla S.V. e testé giunto 2 .

In relazione al linguaggio tenutole da Yussuf Yassin, V.S. potrà far sapere verbalmente a S.M. Ibn Saud --mettendo in rilievo che rispondo solo ora perché ho voluto attendere suo rapporto -che governo fascista si è molto interessato comunicazione ricevuta a mezzo della S.V. da S.M. Ibn Saud, nonché della confidenza dimostrata dal governo saudiano nel comunicarci la preoccupazione con cui S.M. Ibn Saud segue lo svolgimento della situazione in Palestina, e la conseguente necessità in cui esso si trova di prepararsi a ricercare una soluzione favorevole agli interessi arabi, secondo direttive che ritiene in grado di far prevalere in tutti i Paesi arabi.

Con la stessa confidenza e lealtà il governo fascista intende rispondere alle domande postele da Yussuf Yassin.

l. La politica che l'Italia ha seguito ed intende seguire nei rispetti dei Paesi arabi si conforma all'interesse italiano di non veder aumentare l'influenza di Potenze europee, sia sui Paesi costieri del Mediterraneo Orientale, sia nella Penisola Araba e particolarmente sulla costa orientale del Mar Rosso. Interesse che l'Italia ha evidentemente in comune con Ibn Saud. Ne consegue-per quanto riguarda i

mandato, anche alla grande rinomanza che hanno in tutte le provincie visitate l'opera costruttrice del fascismo e la personalità del Duce» (T. 3784/171 R. del lo giugno). Con successivo telegramma per corriere 4585/924-305 R. del 4 giugno (giunto a Roma il 5 luglio), l'ambasciatore Cora aveva riferito ancora sulle ottime impressioni riportate da De Stefani «sia per le accoglienze tributategli dalle Autori tà locali, sia per l'ordine e l'attività ricostruttrice costatati nelle varie provincie», ciò che lo induceva a conclusioni «assai ottimistiche» per il futuro della Cina e per i risultati del suo lavoro, al quale intende va dedicarsi subito dopo aver preso contatto con Chiang Kai-shek che lo aveva chiamato a Nanchino per conferire. 257 I Vedi D. 162, nota l. 257 2 Vedi D. 162.

Paesi del Levante sotto mandato -che l'Italia favorisce la costituzione di Stati arabi effettivamente indipendenti e sovrani. Il fatto che gli arabi della Siria e del Libano abbiano accettato, attraverso organi di governo responsabili, i progetti francesi per la cessazione del Mandato, riduce la possibilità di soluzioni più conformi agli interessi dei siriani e dei libanesi e comunque crea un precedente contrario. Tuttavia l'Italia, in conformità delle direttive politiche indicate di sopra e della simpatia per il mondo islamico, seguirà ed appoggerà con ogni mezzo pacifico, che suggeriscano le circostanze, ogni sforzo arabo diretto a far raggiungere ai Paesi del Levante sotto Mandato la loro piena indipendenza e sovranità, in conformità dei principi stabiliti nell'art. 22 del Patto della S.d.N.

Per quanto riguarda gli Stati arabi indipendenti sul Mar Rosso, V.S. ha già avuto occasione di esprimersi nel senso che la politica italiana è basata sul mantenimento della pace e sulla conservazione dello statu quo in Arabia, nel quadro della fratellanza araba che esiste tra Saudia e Y emen; e che conseguentemente intendiamo facilitare, nel pieno rispetto della loro sovranità politica, indipendenza ed integrità territoriale, il rafforzamento di detti due Stati ed il loro sviluppo politico ed economico, mentre ci preoccupiamo di qualsiasi avvenimento che possa essere in contrasto con questi fini.

2. -Per la Palestina valgono le considerazioni su espresse circa i Paesi sotto Mandato. Non abbiamo ancora avuto occasione di prendere posizione sulle proposte della Commissione britannica, la discussione delle quali è rimasta per ora nell'ambito ginevrino. Tale atteggiamento di riserva non significa affatto disinteresse. Nella nostra azione futura in proposito ci ispireremo-come è sopra indicato -alla difesa e al mantenimento dei principi contenuti nell'articolo 22 del Patto della S.d.N. e nel testo del Mandato sulla Palestina, che interpretiamo con sentimento di amicizia verso gli arabi. 3. -e 4. La risposta ai quesiti circa gli aiuti e le assistenze su cui gli arabi possano contare materialmente e moralmente, sia in questo momento, sia in caso di bisogno e necessità, implicherebbe la preventiva conoscenza di quello che S.M. Ibn Saud, nell'interesse del mondo arabo, si propone di fare per trovare una soluzione favorevole agli interessi arabi. Per il momento valgono le indicazioni fornite nei due numeri precedenti.

Sin qui la risposta ai quesiti postiLe.

In relazione alle dichiarazioni amichevoli fatteLe nei nostri riguardi, Ella potrà aggiungere che per parte nostra, ai rapporti amichevoli tra Italia e Saudia e alla simpatia per Ibn Saud, abbiamo dato espressione concreta nel passato venendo per quanto possibile incontro alle richieste che ci sono state manifestate da codesto governo ai fini di un rafforzamento della sua organizzazione statale, e che naturalmente manteniamo l'atteggiamento sinora seguito. Mi riferisco in particolare all'azione svolta nel campo aeronautico con la nostra missione, nonché alle proposte fatte a codesto governo circa la nota fornitura di armi, proposte per le quali attendiamo anzi da tempo le decisioni di codesto governo.

Per Sua norma rilevo che non è affatto il caso di accennare a contrapartite da parte del governo saudiano.

In linea generale sarà bene continuare ad intrattenere codesto governo in modo confidenziale su tali argomenti onde accertarne le intenzioni, e convincerlo dei nostri sentimenti di simpatia verso il mondo islamico e verso l'Hegiaz e Ibn Saud.

258

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSOLE GENERALE A MUKDEN, CORTESE

T. 1540/17 R. Roma, 31 agosto 1937, ore 22,30.

Suo 40 1 .

Prendo atto con compiacimento dei risultati primi contatti con codeste Autorità.

Questioni di cui ai numeri 2, 3 e 4 predetto telegramma saranno esaminate da uffici competenti. Attendo tuttavia maggiori precisazioni specialmente circa punto

n. 5 (fabbrica aeroplani).

Questione istituzione rappresentanze diplomatiche non potrà essere esaminata che in secondo tempo.

259

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6029/081 R. Berlino, 31 agosto 1937 (per. il 2 settembre).

Mi riferisco al mio telegramma n. 320 di oggi 1 .

La conclusione, avvenuta a Nanchino il 21 u.s. del Patto di non aggressione, tra Cina e U.R.S.S. 2 , ha fatto qui una viva impressione e ha dato forza a questi ambienti, particolarmente anticomunisti, che vorrebbero che la Germania, memore del recente trattato nippo-tedesco, prendesse un atteggiamento maggiormente favorevole al Giappone nell'attuale conflitto. Anche qui infatti è pervenuta l'eco della disillusione verificatasi, almeno in un primo tempo, in Giappone, circa la prudenza, per non dire la freddezza, della Germania nella contingenza grave, nella quale il Paese amico si trova.

Il trattato sino-russo ha quindi sollevato ieri sera un'ondata di commenti e di apprezzamenti, i quali, pur senza marcare una netta adesione alla tesi giapponese, costituivano in certo modo una condanna dell'atteggiamento di Nanchino. Come ho accennato con il mio telegramma, si è così avuta una prima presa di posizione tedesca, da quando il conflitto è scoppiato.

Stamane, però, silenzio assoluto e rinnovato atteggiamento di stretta neutralità, atteggiamento che, come è noto, è patrocinato dalla Wilhelmstrasse. Riferirò ulteriormente 3 .

259 1 T. 5989/320 R. del 31 agosto. Riferiva che a Berlino l'annuncio della conclusione del patto ci no-sovietico aveva suscitato, in un primo momento, un forte malumore di cui si trovava eco nella stampa. Successivamente, però, essa era tornata ad evitare qualsiasi giudizio sul conflitto in Estremo Oriente. 259 2 Vedi D. 254, nota l. 259 3 Vedi D. 271.

258 l Vedi D. 229.

260

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 4158/1396. Berlino, 31 agosto 1937 (per. il 2 settembre).

I rapporti tra il Reich nazionalsocialista e l'Austria del Cancelliere Schuschnigg non hanno presentato, in questo scorcio di estate, alcun avvenimento di particolare importanza. Essi continuano ad essere inquadrati nella cornice dell'accordo dell' 11 luglio 1936 e delle sue applicazioni.

La riunione del luglio 1937 a Vienna 1 , dove la delegazione tedesca era presieduta dal barone von Weizsiicker, riunione indubbiamente positiva, la visita del colonnello Adam 2 a Monaco in questo mese di agosto, la conversazione tra il Segretario di Stato Schmidt e il barone von Neurath 3 e quella, ora annunziata, fra lui ed il generale Goring, stanno a dimostrare che il contatto tra i due Paesi esiste e forse si intensifica.

Un tale contatto fa nascere un certo, anche se timido, ottimismo. E ciò per quanto, d'altra parte, alcuni incidenti, quali la presenza dei «cantori» austriaci a Breslavia, la contrastata vendita a Graz del libro del Cancelliere Hitler Mein Kampj; l'imposizione fatta dalle guardie di frontiera tedesche agli automobilisti che si recano in Austria di fare sempre sfoggio di bandiere con la croce uncinata, etc. mostrino, di tempo in tempo, come l'atmosfera sia sempre pesante e non poche e gravi difficoltà siano ancora da superare.

Ho avuto in proposito in questi giorni una conversazione con questo ministro d'Austria, rientrato dal congedo e pronto a recarsi personalmente, per la prima volta, (altro segno di distensione) al Congresso nazionalsocialista di Norimberga dove l'Austria, nel 1936, venne, come è noto, rappresentata solamente dall'incaricato di affari, dott. Seemann.

Il ministro Tauschitz si mostra, in certo modo, ottimista e pensa che, nel complesso, la situazione non sia cattiva. Il problema cruciale resta sempre quello degli emigrati politici, campo nel quale non si sono fatti molti progressi. Migliora la situazione della stampa che sembra aver abbandonato l'antico tono insistentemente polemico.

Naturalmente è sempre la Germania meridionale e particolarmente Monaco di Baviera, sede naturale di ogni fuoruscitismo austriaco nazionalsocialista, il centro più delicato ed è là che, di tempo in tempo, nascono voci che vorrebbero far credere ad un peggioramento della situazione.

Ad esempio, proprio in questi giorni, il R. console generale in Monaco, ministro Pittalis, mi ha inviato il rapporto segreto che trasmetto qui unito all'E.V. 4 .

260 ' Vedi i DD. 51 e 77. 260 2 Il capo deli'Utlicio Stampa della Cancelleria austriaca, Walter Adam, aveva avuto delle conver sazioni a Monaco sui problemi concernenti i rapporti tra la stampa dei due Paesi. 260 3 Vedi D. 201. 260 4 Non pubblicato. Il suo contenuto è qui indicato.

In esso si fa accenno alla circostanza che, secondo talune notizie, una delle nuove Kameradscha[ten studentesche (associazioni che sostituiscono le antiche disciolte) avrebbe assunto il nome di quel Planetta, uccisore del Cancelliere Dollfuss. E ciò perchè tutte le Kameradsclzaften portano e porteranno il nome di combattenti per l'idea nazionalsocialista. L'informazione sarebbe di indubbia gravità, ma essa non trova fino ad oggi conferma, perché non esiste assolutamente alcun «pezzo di carta» che attesti l'esistenza di un tale battestimo. Anche la legazione d'Austria a Berlino, che segue molto attentamente quanto avviene in Baviera, non ne ha alcuna conferma. Il ministro Tauschitz ha anzi aggiunto in proposito che, già nello scorso anno, si diffuse con insistenza la voce che una nuova strada di Monaco di Baviera era stata intitolata al nome del Planetta, notizia che risultò in seguito non esatta.

Ho pregato quindi il R. ministro Pittalis, che segue sempre, con la sua intelligente attenzione, quella delicata situazione, di intensificare le ricerche allo scopo di approfondire la verità di quella informazione. Potrebbe anche darsi che l'idea sia effettivamente sorta e sia stata annunciata ma che non abbia in seguito avuto pratica e regolare applicazione, per il divieto degli elementi responsabili.

Anche nel Congresso del tedeschi all'estero di Stoccarda non vi è, sino adesso, alcun sintomo o accenno capace di far credere che esso possa essere un episodio dannoso all'auspicata distensione dei rapporti austro-tedeschi5 .

261

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 4198/1406. Berlino, 31 agosto 1937 (per. il 3 settembre).

Una certa «tregua d'armi» nella nota campagna scandalistica nei maggiori organi della stampa germanica contro il clero cattolico in tema di processi per traffico di divise e malcostume, e la recente visita di questo nunzio apostolico, monsignore Orsenigo, al Segretario di Stato von Mackensen, hanno, particolarmente nella stampa straniera, fatto sorgere una quantità di supposizioni. Supposizioni, nel complesso, inspirate ad un certo ottimismo.

Ed anche la riunione annuale dei vescovi tedeschi tenutasi a Fulda in questi giorni e la voce che una loro delegazione, guidata dallo stesso cardinale Faulhaber, sarebbe disposta a recarsi a Roma per fare opera conciliativa, hanno dato nuova forza a quell'ottimismo. Occorre dire però che monsignor Orsenigo, che parte in questi giorni per il suo congedo annuale, e che è venuto stamane a vedermi, non lo condivide interamente. --

Egli infatti riconosce che la stampa tedesca ha cessato da qualche tempo. a seguito dell'azione moderatrice della Wilhelmstrasse, dalla virulenta campagna re

316 clamistica intorno ai processi, ma non si fida troppo di un tale silenzio. Egli anzi pensa che una tale condiscendenza potrebbe essere posta in risalto a Norimberga quale prova di buona volontà da parte del governo e costituire in certo modo una scusa, per una più violenta ripresa in un prossimo avvenire. Sta di fatto che le autorità hanno «nel cassetto» ancora molto materiale da tirar fuori e che difficilmente si persuaderanno a porvi sopra una pietra tombale.

Circa il Congresso di Norimberga molte voci, particolarmente nelle. scorse settimane, vorrebbero che in quell'adunata il governo nazionalsocialista proclamerebbe l'intera sovranità dello Stato nei confronti delle Chiese. Occorre però dire che tutta la stampa tace in proposito e non si vede alcun indizio di quella preparazione necessaria per una tale proclamazione. Ciò non esclude però che a Norimberga le maggiori autorità del partito possano, nei loro discorsi, porre in risalto le colpe «politiche» del clero ed in generale dei cattolici nella storia contemporanea del Reich. Caratteristico è in proposito l'atteggiamento degli organi più «puri» del partito e particolarmente di quei fogli settimanali, quali lo Schwarzes Corps o il Der SA. Mann, che rispecchiano le idee dei centri più ortodossi. Questi fogli continuano sistematicamente una campagna denigratoria, a base anche di vignette satiriche, ai danni dei maggiori esponenti del pensiero cattolico e dello stesso Vaticano.

Gli uomini di governo invece, dopo la tremenda sfuriata del dott. Goebbels 1 contro il cardinale Mundelein, arcivescovo di Chicago, da qualche tempo tacciono. Ieri solamente, il ministro Frank, nel discorso tenuto a Stoccarda in seno al Congresso dei tedeschi all'estero, ha nuovamente dichiarato che il «nazionalsocialismo assicura la libertà religiosa ma non ammette alcuna eccezione allorché attraverso la religione si vuole fare della politica».

Siamo quindi in situazione di attesa. Forse, come ho accennato, il Congresso di Norimberga potrà dare indizi sicuri circa l'atteggiamento che il nazionalsocialismo vorrà, nel prossimo avvenire, prendere nei confronti della grave questione 2 .

260 5 Il documento ha il visto di Mussolini.

262

L'INCARICATO D'AFFARI A MOSCA, MIGONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3315/1442. Mosca, 31 agosto 1937 (per. il 6 settembre).

l commenti dei giornali sono, per i ben noti motivi, l'unica fonte sovietica d'informazione anche per il patto di non aggressione sino-sovietico 1 , di cui un comunicato della Tass ha dato notizia soltanto ieri 30 agosto. Ai commenti della Pravda e delle Isvestia (telegramma Stefani n. 81) si aggiunge oggi quello del Journal de Moscou, ufficioso del Narkomindiel: tutti e tre identici nella sostanza

ed intonati alla solita esaltazione del principio della pace indivisibile e delle aspirazioni pacifiche dell'U.R.S.S.

Vi si osserva in primo luogo che, dopo tergiversazioni che risalgono al 1933, il governo cinese è stato indotto alla firma del patto sotto il peso della critica situazione esteriore ed in vista di un vasto incremento delle simpatie per l'Unione Sovietica sviluppatosi nelle masse del popolo cinese. Questi due fattori, dice testualmente l'Jsvestia, «costringono il governo cinese ad intraprendere dei passi per consolidare i propri rapporti con i Paesi pacifici ed in primo luogo con l'U.R.S.S.». Il tono si direbbe quello di un rimprovero per le passate velleità anticomuniste di Chiang Kai-shek, del cui ravvedimento si ha tutta l'aria di voler prendere atto di buon grado.

Il patto è fatto rientrare per intero nel programma pacifista dell'U.R.S.S. «la pace è indivisibile», si spiega con enfasi: «in Europa, in Asia, nel Mediterraneo e sulle coste del Pacifico l'aggressione costituisce una minaccia per la pace generale». Ma l'impegno di non aggredire la Cina, di non prestare nessun appoggio diretto o indiretto ai suoi aggressori vuole significare in questo momento di prova per la Cina che il governo sovietico ne «segue con massima simpatia la lotta per l'indipendenza e per l'unità nazionale».

Un altro fattore di pace, cui si fa cenno un po' di sfuggita ~ ma che, agli occhi di Mosca, rappresenta forse la parte più sostanziale del patto ~ sarebbe costituito dagli obblighi, perfettamente reciproci, che la Cina assume nei riguardi dell'U.R.S.S.

In mancanza di più ampi elementi di informazione sui quali basare un'interpretazione del patto, mi sono messo in contatto con alcuni colleghi del corpo diplomatico.

Sarebbero stati indotti i cinesi alla firma dell'accordo, lusingati da promesse di forniture belliche? I militari con cui ho parlato lo escludono per ragioni tecniche. Tutt'al più si sarebbe trattato di mandare qualche aeroplano. I mezzi di comunicazione non consentirebbero l'invio d'ingenti quantitativi di materiale e soprattutto un fatto simile non sarebbe sfuggito ai giapponesi che continuano a non dare credito a questa versione. Quali che ne siano i motivi, il governo sovietico persevera nel mostrare fermo desiderio di evitare complicazioni con il Giappone.

Secondo un'ipotesi tedesca, le ragioni dell'adesione di Nanchino a quest'accordo, che sarebbe stato da tempo nei piani sovietici, dovrebbe ricercarsi nella minaccia che avrebbe potuto costituire, per l'esercito cinese, la presenza alle sue spalle dell'armata comunista cinese del nord. Quest'incaricato d'affari d'America 2 non esita a considerare tale ipotesi non aderente alla realtà, ed io propenderei per quest'opinione. Non è in questo momento che Chiang Kai-shek ha da temere qualche cosa da quella parte, quando esiste cioè un comune interesse a battere il Giappone. Anche da parte sovietica ogni sforzo dovrebbe tendere a mantenere intatta l'armata comunista cinese, che potrà risultare preziosa in caso di appesantimento del fronte nord cinese.

Quello che sembra più verosimile è che qualche cosa si aspettino i cinesi dall'U.R.S.S. e qualche cosa, se non promesso, può essere stato fatto balenare loro da qui. Comunque, una manovra abbastanza abile del Maresciallo Chiang Kai-shek è

giudicata quella di aver dato la sensazione ai giapponesi che si sono rotti tutti i ponti con loro e che la Cina, ad onta delle sue diverse idealità, cerca ormai nell'U.R.S.S. le proprie amicizie.

Per quanto sembri effettivamente che l'iniziativa del patto di non aggressione sia dovuta alla Cina e risalga all'epoca della ripresa delle sue relazioni con l'U.R.S.S. nel 1932, non pare vi sia dubbio ch'esso è stato molto desiderato da parte sovietica, mentre i cinesi hanno, per contingenze diverse, lungamente esitato. Fra queste, secondo il mio collega americano, la vendita a suo tempo della ferrovia mancese e la rinnovazione dell'alleanza con la Mongolia esteriore3 che avrebbero provocato vivo risentimento in Cina. L'atteggiamento personale di Chiang Kai-shek e la politica del Kuomintang non potevano aver favorito recentemente la stipulazione di un trattato come questo, che, dettato dal governo sovietico, vale un riavvicinamento alla Russia bolscevica. Quando, davanti alla presente situazione, il governo cinese si è rivolto a Mosca, il Cremlino gli avrebbe imposto in primissimo luogo una nuova professione di fede antinipponica con la firma del patto; e sotto questo punto di vista andrebbero interpretati gli odierni commenti della stampa sovietica.

Secondo l'opinione insistentemente espressami da questa ambasciata del Giappone, lateralmente si sarebbe fatto agire il Comintern. Non sarebbe anzi da escludere che, obbligando il Comintern a venire a termini con il nazionalismo cinese, i Soviet intendano pagare il loro debito di riconoscenza alla Cina per aver chiuso la cintura dei patti di non aggressione conclusi dall'U.R.S.S.

Il patto con la Cina, secondo l'opinione comune di qui, e mi par questa la sola conclusione sicura a cui si possa giungere -sarà sfruttato ampiamente per mostrare a Londra, a Ginevra ed a Washington con quanta cura il governo sovietico, pur seguendo inalterati i suoi ideali di lotta contro l'aggressore, si preoccupi di non complicare una situazione già di per sé minacciosa. Sarà una nuova carta per sostenere le azioni di Mosca in Europa che, al solo accenno ad un'intesa itala-britannica -se ne ha la sensazione anche qui -minacciano di precipitare.

Accludo il testo in francese del comunicato della Tass ed il commento del lournal de Moscou4 .

261 l Vedi serie ottava, vol. VI, p. 888, nota 2. 261 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 262 l Vedi D. 254, nota l.

262 2 Loy W. Henderson.

263

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, RONCALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2657/1070. Salamanca, 31 agosto 1937 (per. il 4 seltef!lbre).

A seguito, da ultimo, del telespresso n. 1063 del 29 corrente1 , mi onoro trasmettere qui unito, per documentazione, copia del rapporto del R. console e San Sebastiano, n. 2157 del 28 corrente.

marzo 1936 (testo in MARTENS, vol. XXXIII, pp. 360-361). 262 4 Non pubblicati. 263 I Non rintracciato.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAVALLETTI, ALL'AMBASCIATA A SALAMANCA

TELESPR. SEGRETO 2157. San Sebastiano, 28 agosto 1937.

Dietro richiesta del C.T.V. ho seguitato a mantenere i contatti negli ultimi giorni fra questo e gli emissari baschi di Saint Jean de Luz, trasmettendo con la dovuta urgenza le note relative alla resa dei battaglioni baschi. In data 24 corr., il C.T.V. mi pregava altresì di prendere personale contatto con gli emissari per aderire alla richiesta da essi espressa nella loro nota del giorno precedente.

Nella giornata del 24, l'ultima del termine per la resa, i delegati baschi mi hanno tenuto di ora in ora al corrente sullo svolgimento della esecuzione, quale veniva loro trasmesso per radio. Essi mi hanno comunicato che Ajuriaguerra, il quale era venuto il giorno prima a S. Jean de Luz, aveva ratificato il loro operato e dirigeva personalmente l'operazione della resa. Questa resa, sostenevano i delegati baschi, si sarebbe virtualmente iniziata entro il termine stabilito anche se materialmente nessun battaglione avrebbe potuto deporre le armi prima della mezzanotte, infatti, dicevano gli emissari baschi, il passaggio nel campo italiano degli ufficiali baschi di Stato Maggiore richiesti e soprattutto gli spostamenti effettuati dai battaglioni garantivano la ferma volontà esecutiva dei baschi. I battaglioni abbandonando Santander, rinunciando a rifluire verso le Asturie e concentrandosi nei pressi di Laredo si erano spontaneamente messi nella materiale impossibilità di combattere. A ciò si aggiunga che i battaglioni si consegnarono con le loro armi, liberando 600 prigionieri nazionali e lasciando il Paese, i ponti e le vie di comunicazioni intatti. In considerazione di ciò i delegati baschi nutrivano fiducia che i legionari avrebbero prolungato di tre giorni i termini per la evacuazione delle persone responsabili, dei civili e dei feriti e per la resa dei 33 mila gudaris alle condizioni stabilite.

Ho detto non aver facoltà per dar loro risposta. Tuttavia esser certo che la questione dell'evacuazione, già considerata militarmente irrilevante e superata dagli eventi, non poteva essere rimessa in discussione. Sembrarmi invece non del tutto impossibile che il C.T.V. mostrasse eventualmente particolare generosità se i battaglioni baschi provassero coi fatti la loro buona fede.

Gli emissari baschi hanno concluso dicendo di essere sicuri che la generosità fascista non abbandonerà il popolo basco e osserverà l'impegno morale assunto. Essi mi hanno infine fatto notare l'enorme prestigio che resterà in seguito per l'Italia nelle provincie basche ove il fascismo ha salvato innumerevoli vite e protetto tanti innocenti.

262 3 Riferimento al protocollo di mutua assistenza sottoscritto tra U.R.S.S. e Mongolia Esterna il 12

264

IL MINISTRO A L'AlA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

TELESPR. !338/438. L'Aja, 31 agosto 1937 (per. il 6 settembre).

Mio te1espresso n. 1316/432 m data del 24 corrente 1•

Questo presidente del Consiglio e ministro degli Esteri mi ha detto di avere apprezzato come le più esatte e incisive sinora pronunziate, le frasi del Capo del Governo circa la questione d'Etiopia 2 . Ha aggiunto di ritenere personalmente con noi che ogni ulteriore esitazione o tergiversazione sia dannosa. L'Impero italiano d'Etiopia è un fatto indiscutibile, granitico. Ignorarlo è colpa e bestialità. Mi diceva ancora Colijn che tale punto di vista egli aveva sostenuto in tutte le sue conversazioni. A una personalità britannica che lo contraddiceva, aveva risposto chiedendo se considerava che prima del 1957 la Gran Bretagna avrebbe riconosciuto l'Abissinia italiana. Avuta una risposta pienamente affermativa, aveva ancora chiesto: e perchè allora non riconoscerla immediatamente ponendo fine a una situazione incresciosa e pericolosa e riconducendo l'Italia a Ginevra dove la sua collaborazione appare oggi più che mai indispensabile?

Colijn tuttavia, riprendendo le considerazioni fatte dal Segretario Generale, ha messo in evidenza l'impossibilità per l'Olanda di prendere iniziative. Ma d'altra parte mi ha assicurato che, avendo deciso di andare a Ginevra, non mancherà colà in ogni privato scambio di vedute di raccomandare una liquidazione completa e coraggiosa della questione abissina. Non vorrebbe che ai piccoli Stati una onorevole soluzione fosse fatta pagare cara, con impegni ad esempio di carattere collettivo. Un tale mercanteggiare e tali impegni l'Olanda respingerebbe nettamente3 .

264 l Il ministro Taliani vi aveva riferito circa un colloquio avuto con il Segretario Generale del ministero degli Esteri olandese, Hurgronje, circa l'atteggiamento del governo dell'Aja nei riguardi del riconoscimento dell'Impero italiano.

265

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA. Sinaia, 31 agosto 1937 1•

In attesa di riferire in esteso da Bucarest sui risultati della nostra mediazione fra Ungheria e Piccola Intesa sulla questione della parità di diritti (collegata con la dichiarazione unilaterale di non aggressione) nonché sulla questione delle minoranze ungheresi, profitto della partenza per Roma del generale Pellegrini (venuto qui per la linea aerea) per mandare a V.E. qualche notizia preliminare su quanto qui si è fatto.

Nella riunione di ieri i Tre decisero che Antonescu avrebbe invitato il ministro di Ungheria a prendere contatto con lui; questo colloquio si sarebbe svolto contemporaneamente ad un incontro, parallelo fra Stojadinovic e me.

I due colloqui furono molto cordiali. Da essi uscì riconfermato il desiderio della Piccola Intesa di arrivare ad un accordo: la Piccola Intesa si accontenta, al posto dei patti di non aggressione, di una dichiarazione unilaterale ungherese di non ricorso alla guerra sulle linee del Patto Kellogg, dichiarazione diretta a tutti i

264 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 265 I Manca l'indicazione della data di arrivo.

Paesi limitrofi dell'Ungheria, secondo il suggerimento da me dato ad Antonescu e a Bardossy. (All'ultimo momento Antonescu ha espresso il desiderio che la dichiarazione fosse diretta solo ai Tre: ma Stojadinovic e Krofta accettano che sia diretta a tutti i Paesi limitrofi).

La questione concernente le minoranze ha fatto un notevole passo avanti: gli ungheresi rinunziano a chiedere la contemporaneità, di certi procedimenti, con la loro dichiarazione di non aggressione e si accontentano che le loro domande siano consegnate, con impegno da parte dei Tre di darvi sollecita esecuzione, in tre protocolli segreti, di cui, pregato da Bardossy, ho suggerito la traccia, che è stata oggi consegnata ai Tre, senza trovare obiezioni gravi.

Oggi Bardossy, per iniziativa di Antonescu, ha incontrato Stojadinovic e Krofta, separatamente, ed ha tratto da tali incontri favorevole impressione (così egli mi ha detto alla presenza di Capece).

Antonescu insisteva vivamente ieri sera perchè io non trascurassi Krofta: l'insistenza di Antonescu mi parve del resto un favorevole segno, nel senso che egli si è veramente adoperato ad accrescere le chances di successo. Il colloquio fra me e Krofta fu molto conclusivo, e difatti Krofta si è poi oggi molto adoperato a creare una atmosfera favorevole ad un'intesa.

Poiché la Piccola Intesa termina stasera i suoi lavori, è stato stabilito che Antonescu, in nome e per incarico anche degli altri due membri, proseguirà i contatti con Bardossy, fino al 7 settembre, per mettere a punto i tre protocolli segreti, e per fissare le due formule: cioè quella della rinunzia della Piccola Intesa alle clausole del Trattato del Trianon per la limitazione degli armamenti dell'Ungheria e quella detta «non aggressione».

Antonescu mi ha vivamente pregato, quasi con orgasmo, di non !asciarlo solo con Bardossy in questa delicata fase, e Bardossy ha fatto altrettanto. Cosicché mi propongo rimandare al 7 la mia partenza in congedo.

Impressioni:

Stojadinovic e Krofta credono alla possibilità di un esito favorevole.

Antonescu mi ha dichiarato, «salvo bestialità gravi da parte nostra (sua, beninteso) o da parte degli ungheresi nel proseguo dei contatti, dovrei considerare come certa l'entrata in porto».

Bardossy, per la prima volta ha dato oggi a me (e a Capece che era presente) la soddisfazione di dichiarare spontaneamente che vedeva con ottimismo il proseguo del negoziato.

Stojadinovic è però l'unico (a mio avviso) a rendersi conto che lo svuotamento del Protocollo di Belgrado, svuotamento -egli mi ha detto -che poteva avvenire solo mediante un accordo dei Tre con l'Ungheria, segna praticamente anche lo svuotamento dell'azione della Piccola Intesa come tale, nei confronti della Ungheria. È da augurarsi naturalmente che egli non si faccia legare di nuovo le mani.

Mi ha detto: «avevo fatto due colpi grossi, e non potevo fare il terzo». In fondo egli si libera le mani: questo, a me pare, è il punto più interessante di tutta la trattativa.

La questione ungherese ha costituito la parte centrale e sostanziale del convegno della Piccola Intesa. Sulle altre questioni trattate riferirò con il normale corriere diplomatico.

Mi manca la possibilità materiale di conservare traccia di queste mie affrettate note, dovendo il generale Pellegrini ripartire fra poco, perciò mi permetto pregare

V.E. per documentazione dell'archivio di questa Rappresentanza, di volermene fare estrarre copia, e farmela pervenire per corriere 2 .

264 2 Riferimento al discorso pronunciato il 20 agosto da Mussolini a Palermo (vedi D. 239, nota 2).

266

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. 13410/319 P.R. Roma, r settembre 1937, ore 2.

R. ambasciatore in Cina telegrafa 1 che atteggiamento componenti m1sswne militare tedesca in Cina non si è modificato e generale Falkenhausen è sempre al fronte partecipando attivamente operazioni.

Prego V.E. informare al riguardo.

267

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6061/0296 R. Parigi, ] 0 settembre 1937 (per. il 3).

Mi son dovuto recare oggi dal direttore generale degli Affari Politici al Quai d'Orsay per parlargli di un affare di ordinaria amministrazione ed ho colto l'occasione per chiedergli, a titolo personale, (sottolineando che richiesta era di mia iniziativa ed aveva carattere puramente informativo), quanto ci fosse di vero nella notizia stampa secondo la quale governo francese ha fatto un passo a Londra per proporre conclusione di un patto fra Potenze rivierasche del Mediterraneo per garantire sicurezza navigazione, nonché nella notizia, anch'essa riprodotta dalla stampa, secondo la quale governo francese ha attirato attenzione governo britannico su scambio telegrammi avvenuto tra il Duce e il generale Franco dopo la vittoria di Santander 1•

Signor Bargeton mi ha risposto che entrambe notizie surriferite sono infondate. Circa portata iniziativa testé presa dalla Francia a Londra relativa accordo mediterraneo, Bargeton non mi ha dato particolari e si è mostrato riservato, accen

bre): <<Compiacciomi per quanto Ella mi riferisce col Suo rapporto del 31 agosto. Qualora le conversa zioni iniziate dovessero condurre a conclusioni positive, sarebbe opportuno far risultare in modo mani festo l'azione svolta dall'Italia. Al ogni buon fine invio copia del Suo rapporto e del presente telegramma a Budapest». 266 l Con T. 5949/294 R. del 28 agosto. 267 l Vedi 270, nota l.

nandomi tuttavia che progetto accordo sarebbe concepito sulle linee del Patto mediterraneo di assistenza di cui prese l'iniziativa l'Inghilterra alla fine del 1935. Signor Bargeton mi ha poi detto che governo britannico non ha ancora fatto pervenire risposta alla proposta francese.

Per quanto riguarda comunicazione dell'incaricato d'affari di Francia in Londra2 al governo inglese circa telegrammi scambiati fra il Duce e Franco, direttore generale Affari Politici al Quai d'Orsay mi ha detto che governo francese ha ritenuto dover far conoscere al Foreign Office impressione sgradevole suscitata da telegrammi anzidetti in Francia, dove essi sono stati considerati aperta ammissione intervento italiano in Spagna e, di conseguenza, violazione impegno non intervento.

A questo punto ho detto al signor Bargeton che tesi francese mi sembrava del tutto infondata poiché telegramma diretto da volontari' al Duce non era altro che naturale espressione loro sentimenti esultanza nel momento della vittoria e risposta del Duce non modificava in nulla stato giuridico dei volontari, che secondo nobile tradizione italiana si battono per un alto ideale.

Signor Bargeton ha insistito nel suo punto di vista e ha replicato che governo francese non ha mai scambiato telegrammi analoghi con volontari francesi che si battono in lspagna.

Ho fatto rilevare al signor Bargeton che reazione del Quai d'Orsay era indice cavillosità poiché telegrammi non avevano creato una realtà nuova: realtà era ed è che vi erano in !spagna, dopo come prima dei telegrammi, degli italiani che si battono volontariamente e che di violazione degli impegni di non intervento non si può parlare poiché, da quando essi erano stati assunti, nessun volontario è partito dall'Italia per la Spagna. Ho concluso, parlando sempre a titolo personale, che ritenevo che passo fatto da governo francese presso quello inglese avrebbe destato a Roma impressione non gradevole anche in quanto esso veniva poco tempo dopo le dichiarazioni di propositi amichevoli del presidente del Consiglio Chautemps al

R. ambasciatore3 : tali dichiarazioni esprimevano tra l'altro, buone intenzioni della Francia che avrebbero dovuto concretarsi prossimamente a Ginevra e se le cose colà non andassero come sembrava desiderasse il signor Chautemps non ci sarebbe da meravigliarsi che in Italia si pensasse poi che ancora una volta fosse stata la Francia a creare degli ostacoli.

Signor Bargeton mi ha risposto che purtroppo situazione di oggi è diversa da quella esistente al momento in cui presidente del Consiglio parlava al R. ambasciatore e che non poteva nascondermi che atmosfera è peggiorata. Motivi: lo scambio dei telegrammi e le crociere navali italiane al largo delle coste algerine e tunisine4 che in taluni ambienti vengono messe in relazione ai siluramenti di navi mercantili da parte di unità di nazionalità sconosciuta.

Del resto, per quanto riguarda crociere navali anzidette, Quai d'Orsay aveva già impartito istruzioni al signor Bionde! di intrattenerne V.E. 5 .

267 3 Vedi D. 182. 267 4 Vedi D. 255. 267 5 Non si è trovata documentazione di un passo compiuto a tale proposito dall'incaricato d'affari francese.

265 2 Il documento ha il visto di Mussolini. Ciano così rispondeva (con il T. 1549/85 R. del 3 settem

267 2 Roger Cambon.

268

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, r settembre 1937.

Con gli accordi economici e finanziari firmati a Tirana il 19 marzo 1936 1 ha termine ufficialmente il periodo di tensione e di crisi nei rapporti fra i due Paesi, scoppiato nell'estate del 1933.

Gli accordi del 1936 significano la ripresa della collaborazione fra i due Paesi, cioè, nel campo economico e finanziario, la ripresa dell'assistenza tradizionale dell'Italia allo Stato alleato. In base ai nuovi accordi questa assistenza si estende per un periodo di 5 anni, dal 1936 al 1941 e comporta un onere che per l'esercizio 1936-37 fu di circa 85 milioni di lire, per il 1937-38 è di 52 milioni, per il 1940-41 sarà di 36 milioni con cifre intermedie decrescenti. Dopo l'esercizio 1941-42 è previsto soltanto il contributo fisso per le spese militari, nella misura di 3,5 milioni di frs. oro (pari a circa 22 milioni di lire).

Nell'aprile 1937, all'indomani degli accordi italo-jugoslavi, ha avuto luogo la visita a Tirana di S.E. il Ministro. L'accordo con la Jugoslavia ha effettivamente segnato una fase delicata nei rapporti italo-albanesi. Il profondo mutamento verificatosi nella politica seguita negli ultimi anni dall'Italia verso la Jugoslavia non poteva non sconcertare Re Zog, il quale ha creduto e temuto che l'assistenza italiana al suo Paese, che egli riteneva fosse in funzione unicamente del fattore jugoslavo, potesse ora aver termine.

Il viaggio a Tirana doveva avere, fra l'altro, anche lo scopo di rassicurare Re Zog e di stabilizzare la direttiva politica albanese all'indomani degli accordi italo-jugoslavi. I dirigenti della politica albanese sembrano essersi ora convinti che l'Italia considera come suo interesse la stabilità interna e internazionale dell'Albania.

Durante il soggiorno a Tirana, Re Zog presentò a S.E. il Ministro un promemoria di cui si allega copia (alle g. n. l )2• In esso sono elencate varie richieste albanesi che tendono naturalmente ad aumentare l'importo del contributo italiano quale era stabilito dagli accordi del 1936.

Queste nuove richieste di Re Zog sono state prese in attenta considerazione, discusse ed elaborate nei loro vari aspetti tecnici e infine accolte nella cifra complessiva di 10.872.000 franchi oro e 3.645.000 Lit. da distribuirsi in quattro esercizi (alleg. n. 2) 3 .

Anche se l'Albania non concede contropartite materiali a queste nuove erogazioni -contropartite che non sono state neppure richieste dato il carattere prevalentemente politico della concessione -tuttavia essa ha dato prova di un indirizzo politico albanese in armonia all'importanza ed all'onere dell'assistenza datale dall'Italia.

268 2 Non pubblicato. Si veda serie ottava, vol. VI, p. 1014, nota 3. 268 3 Non pubblicato. L'accettazione delle sue richieste era stata comunicata a Re Zog direttamente da Ciano con lettera personale del 30 agosto.

In particolare sono da segnalarsi: il recente provvedimento preso dal Consiglio dei Ministri in favore delle nostre importazioni in Albania (le merci italiane, insieme a quelle greche e americane saranno le sole ad avere libero ingresso in Albania mentre la importazione dagli altri Paesi sarà sottoposta a contingentamento), la concessione del monopolio della pesca ad una Compagnia italiana per tutta l'Albania, la cessione di vasti boschi nella regione del Mati, la concessione di miniere cuprifere nella zona di Alessio ad una società italiana e, in altro campo, l'estensione della zona di competenza della nostra Missione archeologica in quello Stato che avrà ora modo di esplorare l'antica zona e città romana di Durazzo.

268 1 Testo in Trattati e Convenzioni, vol. 50°, pp. 25-73.

269

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 2704/1093. Salamanca, 1° settembre 1937 (per. il 7).

Come ho avuto l'onore di riferire a V.E. con mio telegramma n. 613 del 26 agosto u.s. 1 , le difficoltà sorte fra il Comando spagnolo e il Comando delle Truppe Volontarie circa la resa dei baschi erano state per il momento appianate mediante la convenuta adozione della formula di «resa a discrezione».

Senonché qualche altra difficoltà è sorta successivamente circa l'interpretazione della formula stessa, mentre d'altra parte era urgente consegnare agli spagnoli la massa degli arresi che non· poteva essere custodita, né alimentata dalle nostre truppe legionarie; né potevasi consegnarli senza avere definito cogli spagnoli le necessarie garanzie circa l'ulteriore trattamento dei prigionieri, onde fossero salvaguardati nel miglior modo gli impegni da noi assunti verso di essi.

Anche queste altre difficoltà furono appianate col Comando spagnolo a Burgos nella giornata di ieri, rimanendo stabilito che con la resa a discrezione tutti avrebbero avuta salva la vita, tranne i colpevoli di delitti; per costoro è stata costituita una speciale commissione di inchiesta della quale è stato chiamato a far parte un ufficiale superiore italiano.

Ieri sera, a Burgos, ho fatto visita a Franco per ringraziarlo, ed anche per sondarne l'umore: egli non mi ha nascosto un residuo di malcontento per il fatto che il nostro Comando abbia continuato a trattare coi baschi fino a battaglia finita a di lui insaputa ed anzi contro il suo espresso parere e ha insistito sulla circostanza che non potevasi ormai fare ai baschi, vinti e accerchiati, le stesse condizioni che erano state negoziate per la resa un mese fa.

Tuttavia queste recriminazioni, fattemi in forma assai cortese dal Generalissimo, non hanno che un valore retrospettivo. La questione è da considerarsi definitivamente liquidata, ed anche riassorbita dalla preoccupazione di nuovi e pressanti avvenimenti militari, quali l'offensiva rossa in Aragona, che però, a detta di Franco, può ritenersi ormai completamente fallita.

Franco, del resto, mi ha assicurato che dei trentamila baschi, una grandissima parte sarà rinviata alle proprie case e al lavoro dei campi; molti che lo hanno richiesto, saranno incorporati nell'esercito nazionale; altri, adibiti a lavori militari; una piccola parte, come detto, sarà sottoposta a inchiesta da parte della citata Commissione cui egli ha però impartito direttive di speciale clemenza.

269 1 Vedi D. 247.

270

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6068/0297 R. Parigi, 2 settembre 1937 (per. i/3).

Tutta la stampa francese odierna pone in grande rilievo atteggiamento assunto dal governo francese col passo compiuto presso il Foreign Office dall'incaricato d'affari a Londra per comunicare al governo inglese le proccupazioni francesi circa ripercussioni telegrammi scambiati tra Duce e generale Franco 1 e per suggerire conclusione di un accordo per la sicurezza nel Mediterraneo. Tranne pochi giornali di destra che si astengono da commenti limitandosi a dare notizia iniziativa francese, maggior parte stampa esprime compiacimento per prova risolutezza fornita dal governo. Organi di estrema sinistra attribuiscono apertamente ad Italia responsabilità recenti siluramenti in Mediterraneo e invitano governo a «riconsiderare» questione non intervento in !spagna. Va particolarmente rilevato articolo Echo de Paris che conclude con seguenti parole: «Checchessia, le prospettive che si aprono attualmente sono poco rassicuranti. Una sola delle conse

«Nel momento in cui le valorose truppe legionarie entrano in Santander in stretta collaborazione e fraternità con le truppe nazionali, entrambe in nome della civiltà occidentale contro la barbarie asiatica, ottenendo una delle più brillanti e risonanti vittorie di questa guerra, mi è assai grato testimoniare a

V.E. l'orgoglio che provo per averle ai mie ordini, insieme alla mia sincera ammirazione per l'ardimento

e la perizia con le quali hanno realizzato una così rapida avanzata».

Mussolini aveva così risposto:

«Sono particolarmente lieto che le truppe legionarie italiane abbiano dato durante 10 giorni di dura battaglia un contributo potente alla splendida vittoria di Santander e che tale contributo trovi oggi -col Vostro telegramma -l'ambito riconoscimento. Questa oramai intima fraternità d'armi è garanzia della vittoria finale che libererà la Spagna e il Mediterraneo da ogni minaccia alla nostra comune civiltà».

Anche il comandante delle truppe legionarie, generale Bastico, aveva inviato a Mussolini un telegramma:

«In questo momento, ore 13, alla testa mie truppe entro in Santander libera. Legionari tutti orgogliosi di avere assolto interamente compito loro affidato, vi dicono a mio nome tutta la fierezza di avere portato nell'amica terra spagnola l'ideale della Patria e di avere combattuto e vinto per la maggior gloria dell'Italia fascista nel nome di S.M. il Re Imperatore e del Duce».

Mussolini aveva risposto:

«La vittoria corona l'eroismo dei legionari italiani riconosciuto ed esaltato non solo in Italia, ma nel mondo intero. Il popolo italiano ha seguito la battaglia con passione e con la certezza della vittoria. A lei, ai generali delle colonne, agli ufficiali, ai legionari tutti il mio entusiastico plauso. L'Italia è fiera dei suoi combattenti in terra spagnola».

Tutti questi messaggi erano stati riportati dalla stampa italiana con molta evidenzà.

guenze dell'imprudente manifestazione del Duce può essere sin da questo momento determinata con precisione ed è lo scacco sicuro dei negoziati che dovevano apnrs1 a Ginevra per un regolamento soddisfacente della questione etiopica».

270 1 Il 27 agosto, in occasione della presa di Santander, il generale Franco aveva inviato a Mussolini il seguente telegramma:

271

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 6073/086 R. Berlino, 2 settembre 1937 (per. il 3).

Mi riferisco al telegramma dell'E. V. n. 319 del l o u.s. 1 ed al telegramma per corriere dell'E.V. n. 13398 P.R. del 31 agosto u.s. 2 .

Circa l'atteggiamento della Germania nel conflitto sino-giapponese e particolarmente circa la presenza in Cina dei consiglieri militari tedeschi, ho avuto una nuova conversazione con il ministro principe Bismarck, il quale, nell'assenza dei principali dirigenti (von Neurath, von Ma.ckensen, von Weizsacker) regge praticamente in questi giorni la Wilhelmstrasse.

Bismarck mi ha ripetuto ancora una volta che la Germania, conscia delle sue gravi responsabilità, intende mantenere la più stretta neutralità, senza lasciarsi andare ad alcuna infrazione capace di porla in difficoltà. Ciò non impedisce che «fatti nuovi», quali ad esempio il Patto di non aggressione sino-russo, possano, nell'opinione pubblica tedesca, produrre movimenti di simpatia, per altro platonica, verso una delle due parti.

In tali condizioni, le voci relative ad un intervento diretto dei consiglieri militari tedeschi presso l'esercito cinese, e particolarmente del generale von Falkenhausen, devono essere frutto di malintenzionati, i quali sarebbero lieti di provocare qualche incidente tra Germania e Giappone. Fin dal principio del conflitto vennero inviate precise istruzioni a quei consiglieri di astenersi assolutamente da qualsiasi partecipazione ad azioni di guerra o da qualsiasi collaborazione per la compilazione di piani. Guai infatti se, per una disgraziata circostanza, uno di quei consiglieri dovesse cadere nelle mani dei giapponesi, per una qualsiasi ragione. Del resto, ha aggiunto von Bismarck, mai i giapponesi hanno fatto parola in proposito alla Wilhelmstrasse.

Questa la conversazione con von Bismarck. Aggiungo che effettivamente la Wilhelmstrasse sembra seguire una linea intesa a non avere «fastidi» per il conflitto in Estremo Oriente. Se essa fosse stata meno timida, il governo del Reich avreb

271 I Vedi D. 266. 271 2 Ritrasmetteva il T. 5949/294 R. del 28 agosto da Nanchino. L'ambasciatore Cara vi comunicava che l'atteggiamento dei componenti la missione militare tedesca non si era modificato e che il generale Falkenhausen era sempre al fronte partecipando attivamente alle operazioni. «La Cina -osservava poi l'ambasciatore -è un grande e sempre più promettente Paese ed è anche nostro interesse che essa non riceva una batosta troppo forte determinante un caos politico, tanto più che dove mette piede il Giappone ogni ingerenza straniera è eliminata».

328 be forse potuto non lasciarsi sfuggire l'occasione di inviare anch'esso a Shanghai, per la prima volta dopo la guerra, la sua bandiera, le sue navi, e forse anche i suoi uomini per la protezione dei suoi sudditi e dei suoi interessi.

272

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6136/027 R. Bucarest, 2 settembre 1937 (per. il 6).

Al ritorno dalla sua rapida gita a Budapest alla vigilia della riunione della Piccola Intesa, il signor Bardossy, ministro d'Ungheria è apparso, come il duca Capece ha riferito con suo telegramma per filo n. 117 del 28 agosto 1 , alquanto più fiducioso sulla possibilità di arrivare ad un accordo con la Piccola Intesa circa il riarmo dell'Ungheria e circa la questione del trattamento delle minoranze. Bardossy aveva tuttavia precisato a Capece che se ne sarebbe rimasto nella sua villa che sovrasta l'albergo Palace di Sinaia, luogo di riunione della Piccola Intesa, aspettando che un messaggero salisse al colle. Ciò egli mi ha ripetuto la mattina del 30 agosto al mio arrivo a Sinaia.

Gli ho risposto che stesse tranquillo perché, a quanto Antonescu mi aveva sempre dichiarato, era pacifico che il primo passo sarebbe stato compiuto verso di lui dalla Piccola Intesa.

Fin dalla prima riunione i tre stabilirono che il ministro di Romania a Budapest, signor Bossy, si sarebbe recato da Bardossy per invitarlo a scendere all'albergo Palace a prendervi contatto con il signor Antonescu quale presidente in carica del Consiglio Permanente della Piccola Intesa. Fu anche stabilito che durante tale presa di contatto, ufficiale, il signor Stojadinovié, pretestando la sua antica amicizia con me, mi avrebbe ricevuto a titolo personale in separata sede. Il signor Krofta sarebbe invece rimasto inoperoso.

Il colloquio fra Bardossy e Antonescu si svolse tra le 8 e le 9 del 30 agosto cioè del primo giorno della riunione nella conferenza e fu cordialissimo. Antonescu confermò ufficialmente a Bardossy tutto quanto aveva nelle precedenti settimane convenuto con me e cioè:

l) che la Piccola Intesa avrebbe con dichiarazione unilaterale e spontanea, non subordinata a nessuna condizione, rinunciato alle clausole del Trattato del Trianon concernenti le limitazioni militari per l'Ungheria;

2) che due o tre giorni dopo l'Ungheria avrebbe risposto a questo gesto spontaneo, con gesto altrettanto spontaneo, dichiarando ai Paesi limitrofi, e perciò anche all'Austria, la volontà dell'Ungheria di non far ricorso alla guerra, riconfermando cioè gli obblighi da esssa assunti con il Patto Kellogg;

3) che i tre Paesi della Piccola Intesa avrebbero fatto analoga e separata dichiarazione nei riguardi dell'Ungheria;

4) che ciascuno dei tre membri della Piccola Intesa si impegnava a convocare i capi delle minoranze per discutere con essi circa le misure da adottare a loro favore per assicurare la pacifica convivenza con le popolazioni maggioritarie.

Circa le misure pratiche, immediate, che l'Ungheria aveva in un primo tempo chiesto che fossero adottate contemporaneamente alla sua dichiarazione di non ricorso alla guerra, si convenne che tali atti amministrativi domandavano comunque un certo tempo per essere attuati e che era quindi più pratico e più espediente addivenire alla firma di tre protocolli separati contenenti, oltre gli impegni di cui ai quattro punti sopra menzionati anche quello della attuazione di misure spontanee ed autonome da parte dei tre Stati nei confronti delle rispettive minoranze, sulla base di una lista da allegarsi al documento principale.

Fu anche convenuto che il signor Bardossy si sarebbe incaricato della redazione di uno schema di protocollo da sottomettersi, l'indomani, al Consiglio della Piccola Intesa quale prima base di discussione.

Il signor Bardossy uscì da tale colloquio profondamente soddisfatto e mi espresse successivamente i suoi affettuosi ringraziamenti per l'utile mediazione offerta dal governo italiano e per la minuziosa preparazione fatta dal rappresentante d'Italia nelle settimane precedenti.

Nel frattempo si svolgeva il mio colloquio con il presidente Stojadinovié anche esso improntato a quella estrema cordialità che caratterizza oggi i rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia quali sono derivati dalla stipulazione del Trattato di Belgrado.

Il signor Stojadinovié ha tenuto soprattutto, nella prima parte del colloquio, a dirmi quanto grande fosse la sua ammirazione per il Duce e quali sentimenti di profonda affezione egli nutre per V.E. dopo le felici giornate di Belgrado. «Anche recentemente il ministro Ciano mi ha dato una prova personale della sua amicizia per me» 2• «Prova fotografica», ho interrotto. Egli mi ha detto: «Dunque voi sapete». Ho protestato, sorridendo «che non sapevo nulla». Egli ha riso ed il colloquio ha proseguito in uno spirito ancor più grande di fiduciosa intimità.

Mi ha spontaneamente dichiarato che egli aveva molto apprezzato l'opera di mediazione fatta dall'Italia circa il problema ungherese. In un primo momento egli si era persino prospettata la possibilità di marciare da solo nei confronti dell'Ungheria. «Ho dovuto però riconoscere che avevo dato alla Piccola Intesa due colpi uno più rude dell'altro. Tre sarebbero stati troppi. Mi apparve quindi indispensabile che la questione della parità dei diritti fosse risoluta di concerto. È quello che voi mi aiutate a fare, e perciò ve ne sono riconoscente».

Ho fatto subito osservare al signor Stojadinovié che noi tendevamo ad esaurire il Protocollo di Belgrado, che era peraltro indispensabile, dopo che la Jugoslavia avesse riacquistato la sua indipendenza nei confronti dell'Ungheria, che non si lasciasse trascinare ad assumere nuovi impegni che condizionassero la sua azione al consenso ed al beneplacito degli altri due.

Stojadinovié mi ha risposto che questo era pacifico. Circa la procedura dell'accordo con l'Ungheria gli ho fatto rilevare che lo scoglio più grande era rappresentato dalla resistenza romena a far concessioni in materia di minoranze.

Stojadinovié mi ha allora fatto osservare che per quanto lo concerneva egli aveva già ricevuto una volta i capi delle minoranze ungheresi ed altrettanto avrebbe fatto ad accordo concluso. Per la Jugoslavia la questione minoritaria non rappresentava ostacolo insormontabile, e da parte sua avrebbe premuto sui romeni perché a loro volta si mostrassero transigenti.

Mi ha poi aggiunto che data la sua brevissima permanenza in Romania era necessario che le conversazioni per stabilire le formule e i protocolli fossero continuate fra Antonescu e il signor Bardossy. La Piccola Intesa si sarebbe poi riunita il 13 o il 14 settembre a Ginevra, dove il risultato dei lavori di Bucarest sarebbe stato esaminato.

Il nostro colloquio circa gli affari ungheresi, data la precisione di linguaggio di Stojadinovié, la chiarezza delle sue idee, la sua rapidità di decisione, nonché l'assenza di ogni tergiversazione e di ogni riserva verbale, è durata meno del tempo che V.E. mette a leggere questo mio scritto. In cinque o sei minuti l'argomento era esaurito.

Il colloquio invece è durato per oltre un'ora ma su di un argomento del tutto imprevisto, cioè storie albanesi che rimontano a 13 anni or sono, su cui egli mi ha chiesto dettagliate e precise informazioni, prendendone nota, come riferirò a V.E. con il prossimo corriere3 .

Il mio colloquio con Stojadinovié è stato poi subito da me rapportato al signor Bardossy, che a sua volta mi ha raccontato quanto era passato tra lui e Antonescu. Bardossy traeva da entrambi gli incontri i più lieti auspici.

L'indomani, 31 agosto, sono stato convocato dal signor Antonescu al quale per incarico di Bardossy ho propinato un nuovo documento concernente le richieste ungheresi nei riguardi delle minoranze, il cui testo trasmetto con il mio telespresso in questa data n. 6554 .

Nella precedente serata del 30 agosto ci eravamo riuniti Bardossy ed io per redigere lo schema di protocollo segreto da firmarsi dal rappresentante d'Ungheria con ciascuno dei tre Stati membri della Piccola Intesa: tale schema fu consegnato il 31 mattina dal signor Bardossy ai signori Stojadinovié e Krofta, nel corso di due separate conversazioni che Antonescu gli aveva procurato. Copia di tale documento fu successivamente consegnata da Bardossy perché la rimettesse ad Antonescu, al signor Bossy, ministro di Romania a Budapest.

Questo fu l'ultimo atto avvenuto durante i lavori del Consiglio della Piccola Intesa. Si era stabilito che le conversazioni sarebbero poi proseguite fra Antonescu e Bardossy nella prima settimana di settembre. Sia Antonescu che Bardossy avevano invocato la mia assistenza ed avevo quindi stabilito, come ho comunicato all'E.V. nella mia lettera manoscritta del 31 agosto5 che io mi sarei trattenuto a Bucarest fino al 7 corrente.

272 4 Telespr. 2442/655 del 2 settembre da Bucarest. Trasmetteva il testo di tre documenti scambiati tra ungheresi e rappresentanti della Piccola Intesa durante le conversazioni di Sinaia e concernenti la parità dei diritti in fatto di armamenti e la questione delle minoranze ungheresi. 272 5 Vedi D. 265.

Ieri, però, si è svolto a Sinaia un movimentato colloquio tra Bossy e Bardossy, circa il testo dello schema di protocollo segreto. Antonescu ha fatto sapere che il testo non gli va. Bardossy ha perduto la pazienza ed ha dichiarato che è disposto a mandare tutto a monte. Poi si è precipitato qui a Bucarest per informarmi che avrebbe chiesto udienza ad Antonescu per dichiarargli che se ne partiva in congedo, anzi abbandonava il posto.

Ho calmamente risposto a Bardossy che a mio avviso l'Ungheria aveva già guadagnato la partita. Infatti, o si concludeva l'accordo circa la parità di diritto e circa il trattamento delle minoranze ed in tal caso tutto si era svolto per il meglio; ovvero, per l'intransigenza romena sulla questione delle minoranze l'accordo falliva, ed in tal caso l'Ungheria, avendo già fatto il meritorio gesto di prendere contatto con la Piccola Intesa era ormai in grado, senza possibilità di biasimo da parte di chicchessia, di riprendere subito la parità di diritto, problema che le trattative di Sinaia avevano oramai svuotato di ogni possibilità di drammatizzazione da parte della Piccola Intesa, la quale non avrebbe usato rappresaglie contro le minoranze dopo che aveva ufficialmente negoziato con l'Ungheria per assicurarne il miglioramento delle condizioni di vita. Oramai la Piccola Intesa si era compromessa sull'una e sull'altra questione.

Bardossy si è calmato, mi ha ringraziato. Mi ha poi detto che non partiva e che continuerebbe a trattare. ·

272 l Con T. 5936/117 R. del 28 agosto, l'incaricato d'affari, Capece aveva comunicato che il ministro d'Ungheria a Bucarest, Bardossy, era stato autorizzato dal suo governo ad iniziare le trattative con il governo romeno su le basi indicate da Sola (per le quali si veda il D. 199). Sia Capece che Bardossy avevano però l'impressione che le buone disposizioni iniziali di Antonescu si fossero attenuate.

272 2 Vedi D. 236.

272 3 Vedi D. 309.

273

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6137/0260 R. Londra, 2 settembre 1937 (per. il 6).

Mio telegramma n. 6911.

Ho creduto utile avere oggi un colloquio con Sargent per attirare la sua attenzione sulle manovre che tendevano a trasformare gli incidenti avvenuti in questi ultimi giorni nel Mediterraneo da episodi della guerra civile spagnola in motivi di sospetto e di malinteso fra l'Italia e l'Inghilterra.

Ho detto a Sargent che conoscendo i suoi sentimenti nei riguardi del riavvicinamento itala-britannico, gli parlavo a puro titolo personale al solo scopo di esaminare con lui la situazione determinatasi in seguito agli avvenimenti di questi ultimi giorni. Io escludo a priori che Sargent potesse prestare alcuna fede alle insinuazioni anti-italiane diffuse prima e dopo l'attacco contro l'Havock2 . Tutto sembrava indicare che la responsabilità dell'attacco contro l'Havock era da attribuirsi a quei governi (U.R.S.S.) o pseudo governi (Valencia) che avevano interesse a turbare i rapporti fra i nostri due Paesi. Ho ricordato a Sargent che recentemente la

quio con Sargent, Crolla aveva sottolineato che appariva evidente la preoccupazione del governo bri tannico per le crescenti reazioni dell'opinione pubblica di fronte al ripetersi degli incidenti nel Mediter raneo e per i riflessi che ciò poteva avere sui rapporti con l'Italia. 273 2 Si vedano i DD. 274 e 278, nota 2.

332 Russia aveva venduto alle autorità di Valencia un certo numero di motoscafi lanciasiluri ai quali si poteva presumibilmente attribuire l'attività particolare di cui era stato teatro il Mediterraneo, a non grande distanza dalle coste di Valencia e Barcellona. Anche nel caso molto improbabile che risultasse provata responsabilità di unità navali franchiste in qualche attacco, per quanto concerneva navi britanniche non poteva trattarsi che di un errore. D'altra parte, il governo britannico, col rifiutarsi di riconoscere finora la belligeranza a Franco, aveva posto quest'ultimo nella necessità di svolgere le sue operazioni di guerra nel mare in forma anormale e quindi più pericolosa agli interessi del traffico internazionale.

Sargent mi ha risposto che il riconoscimento della belligeranza avrebbe certo chiarito la situazione ma che egli temeva che non avrebbe potuto mettere fine a tutti questi incidenti. Sargent non voleva accusare Franco e naturalmente non prestava fede alle insinuazioni contro l'Italia. Egli tuttavia constatava che tutti gli attacchi avvenuti nel Mediterraneo in queste ultime settimane, e dei quali non si erano potuti identificare gli autori, erano diretti contro navi che commerciavano nei porti rossi. Da qui la presunzione che ne fosse responsabile il governo di Salamanca. D'altra parte, i sospetti che si erano andati manifestando in questa pubblica opinione di un qualche aiuto anche indiretto prestato a Franco dall'Italia, traevano la loro origine dal fatto che la flotta nazionalista aveva improvvisamente dimostrato un'efficienza e una capacità offensive molto superiori a quelle che le erano state finora attribuite. Il Foreign Office aveva cercato e cercava di dissipare questi sospetti e frenare la campagna di stampa ma egli; Sargent, mi confessava che il ripetersi e l'aggravarsi degli incidenti rendeva sempre più difficile quest'azione del Foreign Office. La questione spagnola avvelenava da oltre un anno tutta l'Europa ed era interesse di tutti vederla liquidata al più presto.

Sargent non voleva lasciarsi andare ad esprimere alcun giudizio pessimistico circa gli effetti che la presente situazione del Mediterraneo avrebbe potuto avere sul riavvicinamento anglo-italiano. Era vero che alcuni ambienti francesi mostravano a questo riguardo un nervosismo molto maggiore degli inglesi e parevano quasi preoccupati di evitare che il riavvicinamento italo-britannico potesse effettuarsi sulla base di stati di fatto che la Francia e (a giudizio di quegli ambienti) l'Inghilterra non poteva riconoscere. Ma questi stati d'animo a Parigi finivano in qualche modo coll'influire fatalmente anche su Londra. Il governo britannico, come tale, serbava immutati i suoi propositi verso l'Italia ma c'era un'opinione pubblica e una stampa che potevano innegabilmente rendere più agevole o più difficoltosa l'attuazione di questi propositi. Purtroppo egli, Sargent, doveva constatare che l'atmosfera odierna in Inghilterra aveva subito un qualche regresso su quello che era al momento dello scambio di lettere fra il Duce e Chamberlain. Sargent si augurava di vedere al più presto la situazione nuovamente e definitivamente chiarita.

Ho chiesto a Sargent se era vero che il governo francese avesse proposto al governo britannico di concordare una comune azione contro gli attacchi di navi, sommergibili, aeroplani spagnoli nel Mediterraneo.

Sargent ha risposto che vi erano stati infatti ripetuti scambi di idee in questi ultimi giorni, che la Francia aveva manifestato la sua preoccupazione e chiesto all'Inghilterra che cosa intendesse fare di fronte alla presente situazione. Ma l'Inghilterra fino ad ora non vedeva che cos'altro si potesse fare, all'infuori dell'invio di navi da guerra per meglio assicurare la protezione delle proprie navi mercantili e del proprio commercio e di qualche consultazione con Potenze mediterranee. Mentre egli, Sargent, mi parlava Eden stava discutendo questo problema (insieme al problema dell'Estremo Oriente) con alcuni suoi colleghi di Gabinetto.

Ho detto a Sargent che noi italiani ci rendiamo pieno conto del diritto che ha il governo britannico, come ogni altro governo, di tutelare le proprie navi. Se tuttavia dall'esercizio di questo diritto da parte dei singoli governi, si fosse passati ad un'azione concertata fra due o più Potenze mediterranee, mi pareva ovvio che perché tale azione concertata non sembrasse diretta contro un'altra Potenza mediterranea (e precisamente l'Italia), o per lo meno non sembrasse partire da una premessa di ingiustificato sospetto verso tale Potenza, era necessario che la Potenza stessa partecipasse in un generale scambio di idee e concertasse con le altre le eventuali misure da adottare. Io non avevo nessuna istruzione ma se egli avesse avuto qualche cosa da dirmi a questo riguardo, ne avrei dato immediata comunicazione al mio governo.

Sargent mi ha risposto che nulla era stato finora deciso. Non era da escludersi tuttavia che in occasione delle prossime riunioni di Ginevra si sarebbe entrati nell'esame di eventuali misure da prendersi in comune per la protezione del libero traffico nel Mediterraneo.

Ho replicato che Ginevra mi sembrava il sito meno indicato per discutere un simile delicatissimo problema, tanto più che sarebbe stata sul tappeto la nota menzognera e provocatoria di Valencia3 . Ho aggiunto che mi pareva superfluo attirare l'attenzione di Sargent sul fatto the alle riunioni della Lega l'Italia non sarà presente.

Sargent mi ha risposto che se con questo io intendevo fare allusione ad una qualche possibilità che il governo britannico pensi minimamente di escludere l'Italia da eventuali conversazioni circa gli attacchi nel Mediterraneo, egli teneva a dichiararmi che nulla era più lontano dai propositi del governo inglese.

273 1 T. 6050/691 R. del 3 settembre con cui Crolla aveva riferito, in modo più sintetico, sul suo collo

274

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6051/692 R. Londra, 3 settembre 1937, ore 2,06 (per. ore 6).

Permettomi attirare l'attenzione di V.E. sul mio fonogramma n. 248 dal quale risulta reazione giornali inglesi per attacco contro Havock 1• Di tale attacco profit

334 tano socialisti francesi e sinistra antifascista britannica per intensificare campagna antitaliana e tentativi sabotare riavvicinamento inglese. Anche nei circoli conservatori e negli ambienti dell'Ammiragliato si manifesta oggi risentimento per attacchi contro navi da guerra inglesi e preoccupazione per possibili nuovi incidenti derivanti dall'anormale situazione nel Mediterraneo.

Governo francese ha rinnovato stamane pressioni per ottenere che governo inglese concordi con Parigi linea per un'azione comune nei confronti delle «piraterie» nel Mediterraneo.

Questione è stata oggi esaminata in riunione dei ministri presenti a Londra sotto la presidenza di Simon. Mentre comunicato ufficiale della seduta si limita annunziare decisione immediato rafforzamento flotta inglese nel bacino occidentale del Mediterraneo, da informazioni raccolte stasera risulterebbe altresì che governo britannico avrebbe accettato proposta governo francese per una discussione tra le Potenze mediterranee sulla situazione nel Mediterraneo. Tale discussione avrebbe luogo a Ginevra in occasione riunione del Consiglio della S.d.N.

273 3 Vedi D. 245, nota l. 274 1 Nella rassegna stampa n. 248 del 2 settembre, l'atteggiamento della stampa britannica veniva così riassunto: «l comunicati con i quali l'Ammiragliato ha dato ieri notizia dell'attacco contro il cacciatorpediniere Havock da parte di un sommergibile non identificato, "la caccia" che a tale sommergibile stanno dando numerose unità navali britanniche nel Mediterraneo, le ripercussioni di questo avvenimento a Londra e nelle altre principali capitali europee, occupano il posto d'onore in tutta la stampa odierna che dedica alla questione corrispondenze e commenti sotto titoli a grandi lettere e a carattere sensazionale. Tutti i giornali descrivono l'attacco contro lo Havock e l'immediata reazione del cacciatorpediniere britannico. Sulla scorta del comunicato dell'Ammiragliato e delle informazioni raccolte a Gibilterra e nei circoli navali di Londra, quasi tutti i giornali dicono che è impossibile indicare la nazionalità del sommergibile responsabile di questo atto di "pirateria", che è improbabile che esso venga rintracciato e identificato e che è ancora più improbabile che le torpedini di profondità adoperate

275

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6096/123 R. Bucarest, 3 settembre 1937, ore 20,30 (per. ore 2,10 del 4 ).

Telegramma di V.E. n. 85 1 .

Nei circoli politici, diplomatici e giornalistici di Bucarest è ormai di ragione pubblica che la mediazione per provocare la presa di contatto fra rappresentanti Ungheria e ministro Antonescu è opera esclusiva dell'Italia.

Le interviste date alla stampa da Stojadinovié e da Krofta nelle quali essi si mostrano vivamente lieti di raggiungere accordo con Ungheria circa questione riarmo hanno qui prodotto profonda impressione. Antonescu che pur è stato il primo ad essere guadagnato all'idea della presa di contatto Ungheria e che quest'idea ha sostenuto e fatto trionfare presso suoi colleghi, dimostrasi invece oggi il più riservato. Ciò si capisce dato che alla Romania l'Ungheria domanda le maggiori concessioni circa le minori questioni 2 , rimane il rospo più duro da inghiottire.

Tutti i tre ministri Esteri mi hanno confermato che le prese di contatto proseguiranno qui a Bucarest fino alla partenza per Ginevra di Antonescu. Nel frattempo saranno consultati i rispettivi Capi di Stato ed a Ginevra si avrà una nuova sessione straordinaria della Piccola Intesa che deciderà circa il seguito delle trattative. Da parte

dallo Havock lo abbiano colpito. Tutti i giornali sono unanimi nel sottolineare il risentimento e la preoccupazione dei circoli politici e navali inglesi per l'aggressione e nel mettere in risalto che la que stione ha fatto ieri oggetto di un approfondito esame da parte di Eden e degli organi dell'Ammiraglia to. Oggi, essi aggiungono, avrà luogo una riunione dei ministri di Gabinetto che si trovano a Londra, riunione che, in assenza di Chamberlain, sarà presieduta da Eden». 275 1 Vedi D. 265, nota 2. 275 2 Sic. Leggasi «la questione delle minoranze».

mia non mi muoverò da Bucarest fino all'indomani della partenza di Antonescu.

Il rilievo dato al fatto che la presa di contatto con Ungheria è opera mediazione italiana è molto commentato in questi circoli politici che sono del resto appoggiati dal favorevole atteggiamento stampa inglese. Sta a vedersi però quale azione eserciteranno qui Francia e Russia i cui rappresentanti assenti si sono precipitati appena che hanno saputo dell'opera svolta da rappresentante Italia.

276

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6077/364 R. Parigi, 3 settembre 1937, ore 22,20 (per. ore 1,30 del 4).

Mio telegramma per corriere n. 0296 1 .

Durante una conversazione occasionale, capo di Gabinetto ministro degli Affari Esteri, parlando della progettata riunione per sicurezza navigazione mediterranea, mi ha detto quanto riassumo qui appresso:

l) è pervenuta al governo francese accettazione inglese, ma non sono stati ancora fissati particolari;

2) come luogo riunione è stato proposto Ginevra per ragioni pratiche, ma riunione avrà luogo in margine riunione societaria; potrebbe del resto darsi che avesse luogo anziché a Ginevra in altra località vicina;

3) saranno invitate Potenze rivierasche mediterranee;

4) non è stata ancora presa alcuna decisione circa delicata questione se invitare o non Spagna, poiché si avvertono ostacoli cui si andrebbe incontro invitando solo Valencia e d'altra parte sembra difficile invitare anche governo nazionale;

5) governo francese molto preoccupato della situazione creatasi nel Mediterraneo desidera che riunione sia convocata al più presto;

6) importa al governo francese non già stabilire responsabilità dei gravi fatti accaduti ma, a prescindere dagli autori di essi, fare in/modo che il pericoloso stato di cose attuali cessi attraverso un accordo collettivo delle Potenze interessate.

Tono nel quale mi ha parlato oggi signor Rochat è molto diverso da quello nel quale parlò avantieri signor Bargeton. Differenza di tono si nota anche tra editoriale Le Temps di ieri (di cui al mio telegramma per corriere n. 0298)2 ed editoriale di questa sera del medesimo ufficioso.

Sembrami poter rilevare che iniziativa francese (di cui punta antitaliana è stata, all'inizio, provata dalle considerazioni fattemi da Bargeton e dalla connessione

276 I Vedi D. 267. 276 2 T. per corriere 6067/0298 R. del 2 settembre. non pubblicato.

336 esistente nel passo francese a Londra tra proposta per accordo mediterraneo e rilievi circa telegrammi tra Duce e Franco) 3 si sia venuta modificando nel senso di una maggiore prudenza di atteggiamento. Questa modificazione va forse messa in relazione alle accoglienze fatte al passo francese dal governo britannico che, secondo quanto viene ammesso da una parte della stampa francese stessa, avrebbe esercitato influenza moderatrice.

Rochat, che conosco da lunghi anni, mi ha detto quanto sopra in via del tutto personale ed amichevole.

277

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE 1544 R. Roma, 3 settembre 1937.

Telegramma per corriere n. 057 del 23 agosto, del R. console generale a Gerusalemme' qui unito in copia.

Alla prossima occasione accenni opportunamente al Foreign Office alla propaganda antitaliana in Palestina, che autorità britanniche lasciano svolgere indisturbata. Sarà da tralasciare notizia di cui al n. 3 del telegramma unito 2 .

Ci attendevamo e ci attendiamo che al nostro atteggiamento in tale questione (ispirato alle finalità indicate nel telegramma n. 277 dell'8 luglio) 3 corrisponda almeno, da parte delle autorità britanniche in Palestina un atteggiamento per cui la posizione di riserva, che abbiamo sinora mantenuta, non venga sfruttata ai nostri danni.

278

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6087/693 R. Londra, 4 settembre 1937, ore 1,45 (per. ore 6,30).

Mio telegramma n. 692 1 .

277 1 T. per corriere 5877/057 R. del 23 agosto. Riferiva che le Autorità britanniche in Palestina conti nuavano nella loro propaganda antitaliana diffondendo la voce che l'Italia non ammetteva stranieri nelle sue colonie e sottolineando che, mentre anche la Francia aveva mostrato il suo interessamento per gli arabi palestinesi, l'Italia era rimasta completamente inattiva. 277 2 Si riferiva al confronto tra l'atteggiamento francese e quello italiano di fronte alla questione palestinese. 277 3 Vedi D. 41. 278 l Vedi D. 274.

Ho chiesto oggi a Vansittart se potesse fornirmi elementi circa riunione ministri di ieri e atteggiamento governo britannico di fronte ultimi sviluppi situazione Mediterraneo2.

Vansittart mi ha detto che era molto lieto di farlo e che era anzi vivamente desideroso che governo italiano fosse tenuto pienamente al corrente. Effettivamente iersera incaricato d'affari francese era stato informato che il governo britannico è favorevole proposta della Francia eventuali conversazioni fra le Potenze mediterranee. Tale decisione non era però stata presa nella riunione dei ministri che se ne era solo superficialmente occupata, bensì dal Foreign Office dopo maturo esame di tutti i problemi. Vansittart ha aggiunto che teneva a precisare che per il momento si trattava soltanto di una decisione di massima e che i particolari relativi tale conversazione non erano stati ancora studiati dal Foreign Office. Rispondendo a mia domanda circa governi che saranno invitati partecipare conversazioni, Vansittart mi ha detto che il governo britannico evidentemente considera partecipazione dell'Italia di fondamentale importanza. Fino ad ora si era anche parlato di invitare tutte le Potenze mediterranee; ma, né governo francese aveva suggerito, né Foreign Office aveva ancora considerato una lista di possibili partecipanti. Partecipazione o meno della Spagna (Salamanca, Valencia o entrambe) sollevava una questione spinosa. Su tale questione Vansittart è stato molto guardingo ma mi ha dato impressione che mentre Francia vorrebbe includere Rossi spagnoli nelle conversazioni, Inghilterra si va orientando verso esclusione di qualsiasi rappresentanza spagnola. Questa impressione mi è stata confermata da accenno di Sargent ieri e di Vansittart oggi al fatto che Spagna non ha mai aderito alla parte IV del Trattato di Londra 3 circa guerra sottomarini. Se quindi si decidesse invitare a conversazioni le Potenze mediterranee firmatarie di tale parte IV del Trattato, Spagna verrebbe automaticamente esclusa.

Ho domandato quindi a Vansittart se volesse darmi qualche indicazione circa località e data delle conversazioni. Vansittart mi ha risposto che per ragioni pratiche conversazioni avrebbero potuto utilmente aver luogo a Ginevra ove si accingono a recarsi rappresentanti di molte Potenze mediterranee.

Ho immediatamente osservato che scelta su Ginevra non mi appariva diretta a facilitare partecipazione dell'Italia e non avevo bisogno di illustrargliene i motivi.

Vansittart ha replicato che scelta di Ginevra era solo ispirata a motivi di ordine pratico e che egli sinceramente si augurava che governo italiano avrebbe apprezzato il motivo e non avrebbe considerato scelta città di Ginevra come ostacolo all'invio rappresentanti italiani. Egli teneva a sottolineare il fatto che conversazioni

si sarebbero svolte assolutamente al di fuori della Lega. Allo scopo di evitare che attacchi nel Mediterraneo potessero comunque costituire un addentellato fra queste conversazioni e la S.d.N., governo britannico intendeva suggerire che le conversazioni circa Mediterraneo avessero inizio venerdì mattina 10 settembre prima della riunione del Consiglio. Vansittart si è riservato farmi avere maggiori precisazioni lunedì venturo e ha espresso speranza che in quell'occasione avrei potuto fornigli qualche indicazione circa pensiero governo italiano al riguardo.

Mi ha confermato che Consiglio dei ministri sotto la presidenza di Chamberlain, deciderà mercoledì 8 settembre istruzioni definitive da dare a Eden in vista azione che questi dovrà svolgere a Ginevra4 .

276 3 Vedi D. 270.

278 2 A questo proposito, Crolla aveva comunicato, con la rassegna stampa n. 249 del 3 settembre: «Continua in tutti i giornali la grande ripercussione dell'attacco contro lo Havock e della situazione determinatasi nel Mediterraneo in seguito a quella che tutta la stampa definisce "la pirateria" imperversante. I giornali, nelle note dei loro redattori diplomatici, danno grande rilievo alle decisioni raggiunte nelle due riunioni di ministri che hanno avuto luogo ieri. Di tali decisioni quella di inviare un certo numero di cacciatorpedinieri a rafforzare le Il unità che già incrociano nel Mediterraneo occidentale, è stata annunciata con un comunicato ufficiale ed incontra l'unanime approvazione di tutta la stampa. Le altre due decisioni che il Consiglio dei ministri avrebbe raggiunto ieri non sono contenute nel comunicato ufficiale ma sono riportate da tutta la stampa, con un'unanimità di tono e di linguaggio che rivela l'ispirazione ufficiale. Esse sono: l'accettazione della proposta francese di una conferenza fra le Potenze mediterranee e la convocazione di un Consiglio di ministri sotto la presidenza di Chamberlain prima della partenza della delegazione britannica per Ginevra». 278 3 Riferimento al Trattato di Londra per la limitazione e la riduzione degli armamenti navali sottoscritto il 22 aprile 1930 da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Italia e Giappone (testo in MARTENS, vol. XXIII, pp. 645-677).

279

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6097/366 R. Tokio, 4 settembre 1937, ore 19,25 (per. ore 13,30).

Mi si assicura da fonte sicura che ultime operazioni militari Shanghai sono state dirette da ufficiali tedeschi 1• Comunicato Roma e Nanchino.

280

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO· DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6101/368 R. Tokio, 4 settembre 1937, ore 7 (per. ore 13,30).

Questa ambasciata di Germania è molto amareggiata e preoccupata dalla politica di Berlino verso Nanchino. Stampa giapponese si è finora astenuta da

L'ordine dato ai sottomarini fu conosciuto dall'Ammiragliato britannico che era in possesso della chiave della cifra e portato a conoscenza di lord Chatfield e di Eden che non ne diedero notizia alla Conferenza di Nyon (si veda su ciò PETER GRETTON, The Nyon Conference. The Naval Aspect in The English Historical Review, gennaio 1975).

Il 14 settembre, Goering avvertiva Ciano-tramite il consigliere Magistrati-che «gli inglesi possiedono tutte le comunicazioni inviate dai nostri [italiani] sottomarini. Egli si permette consigliare ,che tutte le notizie relative ad agguati, affondamenti, ecc. non siano assolutamente più inviate per radio ma siano invece comunicate a Roma per lettera allorché i comandanti delle unità ne abbiano la possibilità toccando un porto italiano. Un cambio di cifrario appare poco utile perché gli inglesi, con molta probabilità, riuscirebbero in brevissimo tempo ad avere la nuova chiave» (Magistrati a Ciano, lettera del 14 settembre). 279 1 Con riferimento a questo telegramma, l'ambasciatore Cora confermava che l'atteggiamento della missione militare tedesca in Cina non era mutato e che l'ambasciata di Germania continuava ad affermare di non aver ricevuto nuove istruzioni al riguardo (T. 6119/316 R. del 5 settembre).

qualsiasi allusione ma contegno Germania comincia essere noto anche a questa opinione pubblica del che non ne profittano, né i rapporti fra i due Paesi, né il lavoro di questa ambasciata tedesca. I suoi ripetuti e insistenti inviti a Berlino non hanno sinora ottenuto mutamento del linguaggio quella stampa ma essa spera che almeno adesso, dopo patto cino-sovietico 1 , istruzioni alla missione militare germanica in Cina verranno mutate. Il contrasto fra politica di Berlino e quella di Roma verso Tokio dà alla nostra maggiore valore e avvantaggia nostra situazione qui.

Comunicato Roma e Berlino.

278 4 Il diario di Ciano contiene la seguente annotazione alla data del 4 settembre: «Ho dato ordine a Cavagnari di sospendere l'azione navale fino a nuovo ordine. Ma la bufera tende a placarsi. Conde mi ha pprtato un telegramma di Franco che dice che se il blocco continuerà a tutto settembre sarà risolutivo. E vero. Però adesso dobbiamo sospenderlo».

281

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6109/695 R. Londra, 4 settembre 1937, ore 20,25 (per. ore 22,40).

Mio telegramma n. 693 1 .

Sargent mi ha comunicato stamane ultimi sviluppi situazione circa prossime conversazioni Mediterraneo. Egli mi ha detto che da ieri a oggi, pensiero governo britannico è andato concretandosi su punti seguenti:

l) Governo britannico è giunto alla conclusione che per favorire inizio conversazioni è opportuno che esso si associ al governo francese nel sollecitare pronta partecipazione di altre Potenze mediterranee.

2) Inviti saranno diretti esclusivamente a Potenze mediterranee. N o n sarà quindi invitata U.R.S.S.

3) È stato deciso non (dico non) invitare nessuna delle due parti in conflitto nella Spagna.

4) Una volta iniziate le conversazioni tra le Potenze mediterranee, si potrà naturalmente proporre l'invito a qualche altra Potenza interessata, non mediterranea, ovvero anche ad una od all'altra o ad entrambe le parti in conflitto nella Spagna. Ciò apre per noi la possibilità di ottenere partecipazione della Germania. In tal caso però è prevedibile che la Francia chiederà l'intervento della Russia.

5) L'ordine del giorno delle conversazioni sarà formulato in termini vaghi. Sargent mi ha accennato a questo punto in forma generica a discussioni circa misure per la sicurezza del traffico nel Mediterraneo.

6) Sargent mi ha confermato quanto mi aveva detto ieri Vansittart, e cioè che la scelta di Ginevra era stata essenzialmente dettata da ragioni di ordine pratico

ma mi ha lasciato comprendere che qualora vi fosse un'assoluta obiezione da parte dell'Italia, il governo britannico sarebbe anche disposto a scegliere altra località vicina a Ginevra. Sargent ha soggiunto che sperava tuttavia che il governo italiano avrebbe acconsentito ad inviare il suo rappresentante a Ginevra in vista della difficoltà, sia per Eden che per il delegato di altro governo, di assistere contemporaneamente ai lavori della S.d.N. ed alle conversazioni delle Potenze mediterranee, qualora queste ultime avessero luogo in altra sede.

Prego impartirmi possibilmente urgenti istruzioni 2 .

280 1 Vedi D. 254, nota l. 281 l Vedi D. 278.

282

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6106/70 R. Roma, 4 settembre 1937 1 (per. ore 21,15).

Il cardinale Segretario di Stato mi ha dichiarato che molte delle notizie date dai giornali negli ultimi tempi sulle relazioni fra la Santa Sede e il Reich, non hanno fondamento. Non gli risulta ad esempio, almeno fino ad oggi, che il nunzio a Berlino abbia avuto un colloquio con il Sottosegretario di Stato tedesco per gli Affari Esteri. E se pure è vero che i vescovi tedeschi si sono riuniti a Fulda, non gli consta che una delegazione presieduta dal cardinale Faulhaber debba venire a Roma per essere ricevuta da lui.

A proposito poi dell'asserito miglioramento delle relazioni della Santa Sede con il Reich, il cardinale mi ha detto di non avere al riguardo nessuna precisa

. .

1mpresswne.

Negli ultimi tempi egli aveva veduto due volte l'ambasciatore del Reich presso la Sede Apostolica, ma non era riuscito a sapere nulla circa le intenzioni attribuite al Fuhrer.

Il signor von Bergen aveva dichiarato al cardinale di non poter dire nulla perché nulla sapeva e che anche al ministero degli Esteri di Berlino non si era al corrente dei propositi del signor Hitler. Il Segretario di Stato, a sua volta, aveva informato l'ambasciatore che se, a Norimberga o altrove, la Chiesa Cattolica fosse attaccata dalle supreme gerarchie del Reich, il Pontefice avrebbe risposto immediatamente e pubblicamente.

Il cardinale Pacelli, ha osservato che se l'attacco del Fuhrer alla Chiesa cattolica si verificherà al Congresso di Norimberga, la risposta papale avverrà durante il soggiorno del Duce e della E.V. in Germania. Ha soggiunto che gli doleva sinceramente della eventuale contemporaneità, ma che il Papa era deciso-glielo aveva confermato nella mattinata di oggi -a dare una pronta risposta a un eventuale attacco del nazismo tedesco.

281 2 Non è stata trovata documentazione di una comunicazione in proposito. 282 l Manca l'indicazione dell'ora di partenza.

283

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6112/120 R. Varsavia, 4 settembre 1937, ore 22 (per. ore 1,25 del 5).

Ho veduto oggi Beck che si accinge a partire per Ginevra. Ho tenuto ad intrattenerlo sulle prospettive della prossima assemblea ginevrina nei riguardi della Spagna e della liquidazione abissina.

Circa la Spagna, mi ha risposto che gli era molto difficile fare previsioni giacché vi era anche da tener conto del quasi contemporaneo convegno degli Stati mediterranei1 . Non era neanche sicuro che presidenza Assemblea sarebbe stata tenuta da Del Vayo data evidente incompatibilità con discussione su Spagna. Comunque non sembrava preoccupato troppo della cosa.

Quanto all'Abissinia, dato il desiderio di molti Stati di sbarazzare il terreno da tale questione, non escludeva che qualche iniziativa potesse sorgere.

A giudizio di Beck sia Londra e Pa1igi malgrado gli Stati nordici (e Sandler glielo ha confermato nella sua recente visita) 2 non sarebbero contrarie ad una liquidazione della faccenda a Ginevra, nel senso indicato dal Duce nel discorso di Palermo3 .

Beck, nel rivendicare alla Polonia il merito di aver tracciato la via nel maggio scorso colle assicurazioni di Komarnicki4 , del che gli ho dato volentieri atto, ha aggiunto che sarebbe desiderabile che Bova Scoppa ricevesse istruzioni di tenere frequenti contatti con la delegazione polacca a Ginevra e anche prima dell'arrivo di questa con Komarnicki.

Nel ribadirmi i suoi sentimenti di amicizia per l'Italia, Beck mi ha detto che sarebbe stato molto lieto di poterei essere utile informandoci ed orientandoci tempestivamente.

L'ho ringraziato incoraggiandolo nel modo più efficace ed assicurandolo che ne avrei informata V.E. 5 .

284

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6224/044 R. Praga, 4 settembre 1937 (per. il 9 ).

Mio telegramma per corriere n. 041 del 26 agosto u.s. 1 .

283 2 Il 25 agosto. 283 3 Vedi D. 239, nota 2. 283 4 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 544. 283 5 Ciano rispondeva con T. 1580/72 R. del 7 settembre: «Suo 120 incrociatosi col mio telegramma 1554 [D. 286]. Bova Scoppa è al corrente delle comunicazioni fatte all'E.V. e gli vengono date istruzioni di mettersi in contatto con la delegazione polacca a Ginevra. 284 1 T. 6027/041 R. del 26 agosto. Riferiva che Krofta gli aveva confermato il desiderio del governo cecoslovacco di giungere ad un'intesa economica per il bacino danubiano-balcanico con la partecipazio

Il ministro Krofta mi ha informato che a Sinaia 2 si è parlato anche della nota collaborazione economica nel bacino danubiano secondo il progetto di Hodza 3 . Ha rammentato che secondo il patto di organizzazione della Piccola Intesa4 ogni e qualsiasi decisione non può essen: presa che dai ministri degli Esteri dei tre Stati associati: così che la risoluzione adottata nel giugno scorso, su iniziativa di Hodza, dai tre Presidenti del Consiglio incontratisi in Jugoslavia, di invitare l'Italia e la Germania ad esaminare preliminarmente le linee basi della progettata collaborazione non poteva aver effetto senza essere oggetto di decisione da parte del Consiglio Permanente. Ciò è stato fatto a Sinaia col proposito di riprendere la trattazione ex novo e rivolgere al momento opportuno invito all'Italia e alla Germania per l'esame ventilato. Il momento opportuno __:___ ha aggiunto Krofta -potrà presentarsi solo dopo che sia raggiunto l'atteso accordo con l'Ungheria.

283 1 Riferimento alla Conferenza di Nyon.

285

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6229/04 7 R. Praga, 4 settembre 1937 (per. il 9).

La prima cosa che questo ministro degli Affari Esteri, di ritorno da Sinaia, ha tenuto a farmi presente è stata la soddisfazione sua e dei suoi colleghi associati per lo speciale interessamento dimostrato dall'Italia al recente convegno della Piccola Intesa, prendendo con questa contatto -ciò che non era avvenuto finora (sic) a mezzo del R. ministro a Bucarest e collaborando direttamente ad un miglioramento dei rapporti fra la Piccola Intesa e l'Ungheria. La soddisfazione di Krofta per tale adombrato successo della Piccola Intesa è stata condivisa da questa stampa (Stefani n. 67).

Secondo quanto Krofta mi ha detto, il ministro di Ungheria a Bucarest avrebbe proposto un progetto di protocollo confidenziale da concludersi separatamente con ciascuno dei tre Stati della Piccola Intesa e composto per la Cecoslovacchia di quattro punti.

Col I o sarebbe sancita l'uguaglianza di diritti dell'Ungheria; col 2o sarebbe prevista una dichiarazione di non aggressione da parte dell'Ungheria verso gli Stati limitrofi; col 3° e 4° si metterebbero le basi per dare soddisfazione all'Ungheria circa il trattamento della minoranza magiara.

Raggiunto presso a poco l'accordo sui due primi punti, non sarebbe stato possibile altrettanto sugli altri due, chiedendosi da parte ungherese che il governo di Praga invitasse i deputati cecoslovacchi dell'opposizione ungherese a presentare i loro desiderata e ne accettasse il contenuto, tenendo presenti gli affidamenti che

ne dell'Italia e della Germania ma che i passi compiuti in proposito dal presidente del Consiglio Hodza erano risultati non ben coordinati, tanto da far ritenere opportuno riprendere la questione dall'inizio. 284 2 Alla riunione del Consiglio della Piccola Intesa del 30-31 agosto. 284 3 Vedi D. 12. 284 4 Trattato di Ginevra tra Cecoslovacchia, Jugoslavia e Romania del 16 febbraio 1933 (in MARTENS, vol. XXVIII, pp. 323-326). '

ad essi sarebbero stati dati da Benes al momento della sua candidatura alla presidenza della Repubblica. I rappresentanti della Piccola Intesa avrebbero opposto di non poter ammettere con richieste di tal genere una diretta ingerenza negli affari interni di ciascuno Stato e, nel dirsi disposti a concordare una formula generica di benevolo trattamento verso le minoranze ungheresi, si sarebbero riservati di continuare a studiare fra loro la questione per giungere ad eque controproposte. Ciò che sarebbe fatto senza ritardo nella speranza di giungere ad un accordo in occasione della prossima riunione della Piccola Intesa a Ginevra.

286

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, SANTIAGO E V ARSAVIA E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BERNA, BUDAPEST, LIMA, MONTEVIDEO, TIRANA E VIENNA

T. URGENTE RISERVATO 1554/C. R. Roma, 5 settembre 1937, ore 7.

(Per tutti) Alcuni governi ci hanno fatto sapere che sarebbero disposti a prendere alla prossima Assemblea della S.d.N. una qualche iniziativa atta a consentire di risolvere la questione etiopica e ci hanno chiesto se avevamo da fare loro pervenire qualche suggerimento sulla procedura più rispondente allo scopo. Altri governi si sono dichiarati pronti a dare il loro appoggio ad ogni iniziativa che venisse presa allo stesso fine.

Come è noto, nell'Assemblea del 1936, in seno alla Commissione per la verifica dei poteri, fu discussa la questione della validità dei poteri dei delegati etiopici, e l'altra preliminare relativa all'esistenza sul territorio etiopico di un governo dipendente dall'ex Negus. L'Assemblea dichiarò di non avere allora elementi sufficienti per decidere le due questioni 1 .

Nell'Assemblea del maggio scorso, la delegazione polacca fece osservare che la Commissione di verifica dei poteri dell'Assemblea precedente aveva lasciato in sospeso tali questioni, ed aggiunse che ad avviso del governo polacco la situazione di fatto non lasciava più sussistere i dubbi, che esistevano nel settembre scorso 2 . Anche questa volta l'assemblea lasciò cadere la questione, anche per il fatto (fu detto) che non era stata presentata una precisa proposta al riguardo.

L'Italia, attenendosi alla linea di condotta seguita finora, si astiene da qualsiasi iniziativa. Ciò non toglie che la questione possa ripresentarsi o automaticamente, qualora sia inviata una sedicente delegazione etiopica, o indirettamente per iniziativa di uno o di più Stati amici che, riprendendo l'argomentazione polacca, provochi la decisione che nel 1936 non fu presa per l'asserita mancanza di elementi di fatto.

Un'iniziativa del genere che qualche Stato amico prendesse a Ginevra sarebbe vista con soddisfazione dal R. governo in relazione alle dichiarazioni pubbliche fatte anche di recente e nell'interesse generale della collaborazione europea.

286 I Si veda in proposito serie ottava, vol. V, DD. 92, 96, 98, 100. 286 2 Si veda in proposito serie ottava, vol. VI, D. 640.

(Solo per Varsavia): V.E. intrattenga in via confidenziale su quanto precede Beck, richiamandosi all'atteggiamento preso dalla delegazione polacca nel maggio scorso e gli chieda opportunamente se e che cosa egli si prepari a fare, aggiungendo che una procedura come quella sopra prospettata, la quale non farebbe che sviluppare la dichiarazione di Komarnicki del maggio scorso, sarebbe da noi gradita. Telegrafi d'urgenza se la Polonia agirà in tal senso 3 .

(Per tutti meno Varsavia): La S.V. intrattenga in via confidenziale codesto governo su quanto precede. Faccia presente che noi contiamo sulla buona volontà di codesto governo per prendere un'iniziativa ad hoc o almeno perché esso dia il suo più efficace appoggio per un'iniziativa che venisse presa. Ci riserviamo eventuali ulteriori comunicazioni. Telegrafi 4 .

(Solo per Belgrado): S.V. aggiunga a Stojadinovié che conto particolarmente sulla sua azione personale anche presso i suoi colleghi della Piccola Intesa 5 .

(Solo per Atene): V.S. faccia rilevare a codesto Presidente del Consiglio che un'iniziativa o un appoggio greco per la soluzione del problema etiopico, nel senso che ormai non dovrebbe venire osteggiato da Londra, non mancherebbe di produrre un benefico duraturo effetto sui rapporti italo-greci6 .

287

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6125/311 R. Shanghai, 5 settembre 1937, ore 11 (per. ore 2,16 de/6).

Generalissimo ha chiesto di vedermi e stamane ho avuto con lui lungo colloquio.

Da Montevideo, l'incaricato d'affari Perrone telegrafava che il ministro degli Esteri aveva risposto al passo da lui compiuto di ritenere che l'iniziativa dovesse essere presa da una Potenza europea e aveva espresso l'intenzione di uniformare il proprio atteggiamento a quello degli altri Stati americani

(T. 6165/43 R. del 6 settembre).

Da Tirana, il ministro Jacomoni comunicava che Re Zog aveva assicurato che l'Albania avrebbe regolato la propria azione secondo i desideri del governo italiano eventualmente anche «assumendo direttamente un'iniziativa di primo piano» (T. 6220/134 R. dell'8 settembre).

Da Lisbona, il ministro Mameli riferiva che Salazar gli aveva fatto sapere di ritenere che il Portogallo non potesse prendere direttamente l'iniziativa ma che il suo governo era pronto ad appoggiare qualsiasi proposta gradita all'Italia che fosse stata avanzata dinanzi all'Assemblea. Istruzioni in questo senso erano state già inviate alla delegazione a Ginevra (T. 6252/225 del 9 settembre e T. 6282/226 R. del 10 settembre).

Per la risposta da Berna, si veda il D. 322. 286 5 Per la risposta da Belgrado, si veda il D. 304. 286 6 Per la risposta da Atene, si veda il D. 300.

Egli mi ha confermato invio in Italia del generale Chiang Kei-tu. In sostanza, Chiang Kai-shek mi sembra preoccupato di accentuare i suoi buoni rapporti con noi e soprattutto di evitare interpretazioni dannose per la Cina del recente accordo con la Russia 1•

Secondo Chiang Kai-shek, lo scopo precipuo nel firmare il patto sarebbe stato quello di ottenere solida pace2 con le Potenze assicurandosene neutralità ed isolando moralmente il Giappone. Con ciò e con la formazione di un fronte nazionale cui partecipano forze cosiddette comuniste Chiang Kai-shek rinunzia alla lotta contro il comunismo.

Questioni politiche interne passano per ora in seconda linea mentre occorre resistere al Giappone e resistenza sarà accanita fino in fondo e Chiang Kai-shek desidera che V.E., che così bene conosce Estremo Oriente, sappia che l'atteggiamento assunto dal Giappone impedisce ogni trattativa pacifica da parte della Cina la quale non si lascerà mettere in ginocchio secondo l'espressione del principe Konoye e inoltre egli fa sapere alla E.V. confidenzialmente che la Cina non intende rimanere «passiva» nel campo politico diplomatico senza tuttavia sollevare dibattito ... 3 .

Questa sua allusione doveva forse essere messa in relazione con l'intervista concessa da Chiang Kai-shek ad un inviato speciale della Reuter ove aveva sostenuto il punto di vista che la Cina combatte anche per i grandi interessi mondiali qui investiti facendo soltanto appello a un intervento internazionale per la protezione della sanità pubblica e per. .. 4 .

Conflitto appare ormai avviato verso una lotta ad oltranza fra i due Paesi e non troverà la fine se non con una schiacciante vittoria e con un intervento delle grandi Potenze firmatarie del Trattato a Nove.

Comunicato Roma e Tokio.

286 3 Per il seguito da Varsavia, si veda il D. 283 e 283, nota 5. 286 4 Da Vienna, il ministro Salata rispondeva di avere avuto assicurazioni da Schmidt che il governo austriaco era disposto «anche a prendere, al caso, dopo opportuno sondaggio, l'iniziativa desiderata od associarsi ad altrui iniziativa»: la delegazione austriaca a Ginevra si sarebbe tenuta in contatto con quella ungherese e con il rappresentante italiano e lo stesso Schmidt si sarebbe recato a Ginevra «per svolgere anche un'azione diretta in questo senso» (T. 6152/152 R. del 6 settembre).

288

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6121/312 R. Shanghai, 5 settembre 1937, ore Il (per. ore 2,16 del 6).

In relazione al mio telegramma n. 311 1 ed alle dichiarazioni di Chiang Kai-shek in merito al patto di non aggressione cino-sovietico, aggiungo che questo avrebbe dovuto essere in origine un patto di mutua assistenza e che su questa base erano state a suo tempo avviate trattative attraverso ambasciatore di Cina a Mosca.

Mentre Chiang Kai-shek si era da principio opposto ad un patto del genere, solo adesso, avendo modificato per forza maggiore, in seguito «colpo» di Hsian2

287 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo di dubbia interpretazione». 287 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili». 287 4 Nota dell'Ufficio Cifra: «alcuni gruppi indecifrabili». 288 l Vedi D. 287. 288 2 Vedi D. 233, nota 3.

suoi rapporti con comunisti cinesi e per le circostanze contigenti, egli si sarebbe indotto a firmarlo. Negli ambienti di questi esperti deJla S.d.N. si dice che vi sarebbero deJJe clausole segrete.

Nei circoli politici cinesi si mantiene invariabilmente, ripeto invariabilmente, la versione ufficiale; solo l'ambasciatore di Francia si è lasciato sfuggire con me questa frase «non c'è gran che di più».

Comunicato Roma e Tokio.

287 l Vedi D. 254, nota l.

289

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6266/028 R. Bucarest, 5 settembre 1937 (per. il 10).

Ho accennato in calce al mio telegramma per corriere del 2 corrente n. 027 1 il movimentato incontro che, spenti i lumi del concerto e del baJJo con i quali si sono conchiusi la notte del 31 agosto i lavori del Consiglio deJJa Piccola Intesa, si è avuto l'indomani, l o settembre, fra il signor Bardossy, ministro d'Ungheria a Bucarest ed il signor Bossy, ministro di Romania a Budapest.

Ai festeggiamenti oltre i personaggi deJJa Piccola Intesa erano presenti soltanto i ministri d'Ungheria e d'Italia nonché l'incaricato d'affari di Germania2 . L'Asse in piena forma. Francia, Inghilterra e Polonia, quest'ultima per le note ragioni, le prime due per comprensibili motivi, erano invece rigorosamente assenti ciò che ha suscitato non pochi commenti.

Dopo il nervoso incontro con Bossy, Bardossy, come ho informato, si è precipitato da Sinaia qui a Bucarest per dirmi che tutto era ormai faJJito e che egli perciò se ne partiva in congedo, anzi abbandonava il posto.

L'ho rimesso in sella. Gli ho detto che non facesse e dicesse sciocchezze. Gli ho dimostrato che l'Ungheria aveva partita vinta, si concludesse o non si concludesse l'accordo, perché la Piccola Intesa si era compromessa a trattar di minoranze con lui. Del resto la Cecoslovacchia dimostrava di voler ad ogni costo l'accordo, e in quanto ad Antonescu, egli era stato il primo a mettere in moto la macchina e non poteva certamente essere il primo a tirare il dito daJJ'ingranaggio. Re Carol voleva pure l'accordo mentre Krofta e Stojadinovié volevano marciare, come rivelavano interviste date aJla stampa. SuJla Romania avrebbe, a mio avviso, molto influito il favorevole coro deJla stampa cecoslovacca ed inglese. Ostacoli seri potevano certamente venire daJJa parte di Parigi e di Mosca ma non doveva lui, Bardossy, con movimenti di impulsività, guastare le cose. A mio avviso anche il suo governo voleva marciare e ne aveva offerto inequivocabile prova autorizzando lui,

347 Bardossy, a prendere contatto ufficiale con la Piccola Intesa, cosa che io non mi ero mai sognato di suggerire e che aveva riempito a giusto titolo di meraviglia e di incredulità, il direttore dell'ufficio politico del nostro ministero degli Affari Esteri, come aveva riempito di meraviglia me stesso.

Bardossy mi ha chiesto con preoccupazione se tale passo ungherese era sembrato un errore.

Ho replicato che non era un errore: anzi, se l'accordo falliva, tale mossa sarebbe rimasta come il titolo più meritorio per l'Ungheria che avrebbe potuto più tranquillamente proclamare la parità di diritto. Ho aggiunto che io stesso non avevo, né avevo mai avuto, eccessiva fiducia nel risultato finale delle trattative, e ciò per l'avarizia romena a far concessioni alle minoranze; ma avevo sempre stimato che il successo, dirò così, dell'operazione, risiedeva soprattutto nella presa di contatto. Questa c'era stata. Occorreva ora continuarla ad ogni costo: occorreva cioè che la Piccola Intesa, ai progetti e schemi da lui, o piuttosto da me, consegnati, rispondesse con altri schemi e con altri progetti, con altre controproposte. Dopo di che o la trattativa andava in porto ed allora tanto meglio, o falliva e l'Ungheria si sarebbe trovata in una situazione ben diversa da quella di una settimana fa.

Bardossy mi pare abbia capito. Ha ripreso ieri contatto con Antonescu ed hanno parlato di minoranze.

Antonescu partirà dopodomani per Ginevra, e Bardossy farà una corsa a Budapest ove il suo governo, che probabilmente non riesce a capir più nulla dalle sue contraddittorie comunicazioni, vuole essere informato di viva voce.

Da mia parte non continuerò, giorno per giorno, a raccontare a V.E. gli alti e bassi dei nervi del signor Bardossy e tanto meno mi adopererò a descrivere la stitichezza del signor Antonescu a ponzare le concessioni romene per le minoranze. Una idea precisa sul risultato potremo farcela dopo Ginevra, ove la Piccola Intesa si riunisce e dove riesaminerà il problema anche alla luce delle istruzioni che Stojadinovié avrà chieste al principe Paolo e Krofta al signor Benes, secondo entrambi mi dissero avrebbero fatto 3 .

289 l Vedi D. 272. 289 2 Wilhelm Pochammer.

290

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6264/029 R. Bucarest, 5 settembre 1937 (per. il 10).

Ho già riferito a V.E. che in previsione della riunione della Piccola Intesa ebbi a conversare, or è circa un mese, col signor Antonescu circa il problema abissino. Gli dissi che si presentava per lui l'ennesima occasione per prendere una iniziativa nel seno della Piccola Intesa. Gli spiegai per lungo e per largo che la permanenza nella lista degli Stati sovrani, membri della Lega, di un Paese dal nome Abissinia di cui invano si sarebbe trovata traccia nella geografia politica, era contraria al

Covenant e che quindi la Società delle Nazioni si trovava ormai schiacciata contro la legge internazionale.

Antonescu, che non è mai capace di affrontare «le cose più grandi di lui», ama però accarezzare, nelle sue fantasticherie, la possibilità di farlo. È probabile quindi si sia confidato con qualcuno circa una sua eventuale iniziativa. Sta di fatto che per tre settimane la notizia ha circolato, sorda sorda, in vari circoli di Bucarest, finché se n'è fatto eco, alla vigilia della riunione di Sinaia, un giornale di Belgrado, il Vreme.

Nel frattempo, le acque del Mediterraneo si erano gonfiate cosicché Antonescu, assillato dalla Francia e pur non osando per riguardo all'Italia diramare un comunicato ufficiale di smentita, ha tuttavia fatto telegrafare dalla Radar all'Ava/a una rettifica: la Romania non aveva mai pensato a prendere iniziative.

La questione abissina figurava però su richiesta di Antonescu, all'ordine del giorno del Consiglio della Piccola Intesa ed è stata quindi esaminata nella primissima seduta.

Appresi subito, da indiscrezioni però non complete, che il Consiglio aveva deliberato di confermare la precedente deliberazione presa a Belgrado nello scorso anno e cioè che «se la questione si fosse presentata a Ginevra, i tre Paesi si sarebbero adoperati a far coincidere lo stato di diritto con la situazione di fatto mediante il riconoscimento dell'Impero». Deliberazione ottima, se non vi fosse la condizione sospensiva. Mi è sembrato comunque che io dovessi cercare di trarre il miglior partito da questa rinnovata deliberazione e mi sono quindi recato dal signor Stojadinovié per suggerirgli di adoperarsi affinché essa fosse inserita nel comunicato finale dei lavori della Conferenza.

Stojadinovié che non mancai di rimproverare per aver ammesso a Belgrado, nel processo verbale del 30 marzo, che la qualifica di Re Imperatore attribuita nel trattato italo-jugoslavo a Sua Maestà non costituiva riconoscimento de jure dell'Impero, cominciò con lo spiegarmi che egli non aveva potuto far apparire un troppo flagrante divario fra l'atteggiamento della Jugoslavia e quello degli altri due consoci. Spetta a lui tuttavia il merito della deliberazione che impegnava i tre governi della Piccola Intesa a votare a favore dell'Italia sempre che la questione si fosse presentata a Ginevra. Ma egli aveva fatto di più: a Belgrado stesso aveva dichiarato verbalmente ai consoci nella maniera più ferma e pregandoli di prenderne nota che, per quanto concerneva la Jugoslavia, questa considerava il problema abissino definitivamente risoluto conforme al punto di vista italiano (questa dichiarazione verbale di Stojadinovié mi è stata confermata anche da altra fonte).

In quanto alla mia richiesta di far inserire la deliberazione di Belgrado, confermata a Sinaia, nel processo verbale, considerava la cosa opportuna e giusta e si impegnava quindi a sostener/a nella maniera più efficace presso i consoci.

Nel colloquio avuto successivamente con Krofta e dopo avergli detto (non senza sua sorpresa) che ero a giorno del preciso tenore della deliberazione di Belgrado, ripetuta quella mattina stessa a Sinaia ho rivolto anche a lui il suggerimento di far inserire la deliberazione nel comunicato finale.

Krofta, però, con evidente imbarazzo, mi ha risposto che non riteneva la cosa fattibile. Gli ho fatto rilevare che di simili deliberazioni consegnate nel segreto dei processi verbali l'Italia non sapeva che farsene, mentre che un gesto pubblico, oltre che meritorio nei nostri confronti, rappresentava, da parte della Piccola Intesa un atto di sincerità verso se stessa e la fine di una posizione equivoca che non giovava, né alla Piccola Intesa, né, in ultima analisi, alla stessa Società delle Nazioni.

Pur con molta delicatezza, il signor Krofta mi ha tuttavia detto che non vedeva l'utilità di gesti appariscenti. Egli non escludeva piuttosto di poter, se l'occasione si presentava, riallacciarsi egli stesso al testo della deliberazione del luglio 1936 (da lui attribuito al delegato cecoslovacco ciò che Antonescu contrasta) che ammetteva la delegazione abissina nel «dubbio» dell'esistenza o meno di un goverJ!O legale abissino. Poiché il dubbio oggi non esisteva più si poteva far luogo ad una nuova deliberazione favorevole al nostro punto di vista.

Gli ho fatto osservare che tutto quanto mi diceva era molto ipotetico, mentre il mio suggerimento circa la pubblicazione nel comunicato, pur non risolvendo la questione giuridica, rappresentava comunque un atto di sincerità, di quella sincerità che le democrazie, in tutti i discorsi, amano attribuire a loro stesse.

Neanche l'accenno alla democrazia ha commosso il signor Krofta che ha continuato a schivarsi.

Non gli avrei certamente parlato della questione o piuttosto ne avrei parlato con ben altro tono, se avessi saputo interamente quel che era passato nella seduta della mattina.

Solo l'indomani apprendevo infatti da Antonescu che Krofta era arrivato da Praga con un progetto di deliberazione il quale «impegnava» il Consiglio della Piccola Intesa a seguire in ogni caso, nella questione abissina, l'atteggiamento della Francia e dell'Inghilterra. Sia Stojadinovié che Antonescu si erano ribellati a tale proposta che, in sostanza, annullava quella di Belgrado secondo cui la Piccola Intesa aveva già deliberato di votare a favore del riconoscimento dell'Impero senza subordinare tale voto alle direttive altrui. Ma Krofta aveva insistito sulla sua formula rivelando, a corto di argomenti, che essa era stata personalmente redatta da Bene§ dalle cui precise istruzioni egli non poteva allontanarsi. Neanche, però, la confessione della paternità di Benes era valsa ad indurre Stojadinovié e Antonescu ad ammettere di poter far macchina indietro nei riguardi della deliberazione di Belgrado.

Antonescu afferma anzi (ma forse è una innocente vanteria, non essendo egli fatto di tale stoffa) aver protestato che i tre ministri degli Esteri non erano dei ragazzi incapaci di regolarsi secondo la propria opinione, specialmente dopo averla consegnata in un processo verbale.

Fu così che il Consiglio deliberò, con la contrariata acquiescenza di Krofta, di riconfermare la formula di Belgrado. Tutto ciò il signor Antonescu mi confidava anche per sottrarmi ogni illusione sulla possibilità che Krofta si lasciasse persuadere da Stojadinovié di ammettere l'inserzione della più volte menzionata decisione della Piccola Intesa, nel comunicato finale dei lavori del Consiglio.

Sta di fatto che la sera del 31 agosto Stojadinovié mi mandava il suo Capo di Gabinetto' a dirmi che nonostante le sue vivaci insistenze, non era riuscito ad indurre gli altri due «colleghi» di ammettere la divulgazione del vero pensiero della Piccola Intesa, il quale resta perciò segreto ed archiviato in un processo verbale, a documentazione della sincerità e della lealtà del democratico sodalizio.

290 ' Dragon Protié.

289 3 Su le conversazioni di Ginevra. si vedano i DD. 350, 367 e 3Ti.

291

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 2463/659. Bucarest, 5 settembre 1937 (per. il 10).

Nella lettera manoscritta che ho diretto a V.E. da Sinaia la sera del 31 agosto 1 accennavo ad un interessante coHoquio da me avuto con il signor Krofta per iniziativa del signor Antonescu.

Mi ero detto che non avevo nessuna veste per chiedere al ministro degli Esteri cecoslovacco un'udienza, pur rendendomi conto che l'atteggiamento della Cecoslovacchia poteva essere decisivo nell'indirizzare il problema ungherese sulla direttiva dall'E.V. impartitami nel corso dell'udienza concessami a Roma la settimana scorsa, dato che la Cecoslovacchia sembra essere il più interessato dei tre Paesi a che non sorgano complicazioni in Europa Centrale come avverrebbe se l'Ungheria proclamasse di sua iniziativa, con un gesto brusco, la parità di diritti.

Dopo il mio colloquio con Stojadinovié, mi intrattenevo tranquillamente con un gruppo di amici nel salone dell'Hotel Palace, ove abitavo e dove si svolgevano i lavori del Consiglio della Piccola Intesa, quando il signor Antonescu ha puntato vivacemente su di me dicendomi con tono ansioso: « ... Vi prego di parlare con il signor Krofta».

Ho obbiettato che non conoscevo il signor Krofta e che quindi mi riusciva difficile prendere contatto con lui. Antonescu ha replicato vivacemente che avendo io veduto Stojadinovié era indispensabile mi intrattenessi anche con Krofta. Senza nemmeno aspettare la mia risposta, ha chiamato il suo Capo Gabinetto 2 che era lì a due passi, per ordinargli di dire a Krofta di ricevermi: poi sembrandogli che questa procedura fosse ancora troppo lenta mi ha senz'altro spinto nel gruppo in cui trovavasi Krofta, mi ha presentato e, messomi nelle sue braccia, si è allontanato di urgenza.

Mi sono dilungato nel descrivere questo innocente maneggio perché esso ha contribuito a farmi capire che il signor Antonescu «tiene» a che l'accordo si concluda. Egli ha voluto infatti evitare una eventuale diffidenza cecoslovacca nei confronti di questa iniziativa così manifestamente italiana, ed ha voluto assicurare alle trattative la simpatica adesione di Krofta.

Il signor Krofta mi ha accolto con marcata cortesia dicendomi, in italiano, che era molto desideroso di parlarmi. Ha subito congedato i funzionari cechi con cui faceva in quel momento circolo ed ha iniziato senz'altro con me un colloquio che mi è apparso il più importante ed il più significativo fra quanti ho avuto a Sinaia nei due giorni della Conferenza.

Krofta ha cominciato con l'assicurarmi spontaneamente che la Cecoslovacchia era desiderosa di collaborare al chiarimento della situazione in Europa Centrale. Gli ho risposto che me ne rendevo perfettamente conto. Sapevo quanto Hodza tenesse al suo nuovissimo piano circa la riorganizzazione economica del bacino danubiano. Sapevo altresì quanti sforzi egli, Krofta, metteva nel tentare di avviare a favorevole soluzione tale complesso problema. (Mi risulta invece che Krofta non

291 I Vedi D. 265. 291 2 Fr. Nanu.

351 è molto convinto della vitalità del piano Hodza). Gli ricordavo però che di piani economici se ne erano inventati dappertutto. Benes ne era autore di tre o quattro; Tardi eu aveva detto la sua; persino l'Inghilterra aveva nel '31 lanciato l'ingenua idea di una unione doganale fra tutti i Paesi danubiani. La stessa Italia aveva, nel 1934, costruito un vero e proprio piano organico: nessuno di essi era andato in porto, e la ragione era ovvia: l'Ungheria e l'Austria avevano sempre visto nei piani economici di marca intesista un tentativo di accerchiamento politico diretto contro di loro, mentre la Piccola Intesa aveva sempre guardato con sospetto le mosse ungheresi e austriache. Tutte le volte, poi, che una Grande Potenza, Italia, Francia

o Germania avevano avanzato qualche proposta, anche se redatta in forma così obbiettiva come quella italiana del 1934, i clienti delle altre due l'avevano accolta con non celata ostilità.

Il problema quindi non poteva essere risoluto in campo economico, se prima non fossero cadute le diffidenze di carattere politico. Riconoscevo che i rapporti dell'Austria con gli altri Paesi danubiani sembravano oggi più fiduciosi, ma in quanto all'Ungheria questa si sentiva tuttora minorata nella parità di diritti, accerchiata in campo politico, e insoddisfattissima del trattamento delle sue minoranze.

La questione della parità di diritti, per quanto svuotata ormai di un reale contenuto pratico, e la questione del trattamento delle minoranze, benché giuridicamente risoluta dai trattati di pace, costituivano tuttavia i soli ostacoli ad una generale détente nel bacino danubiano. In quanto al «supplemento di sicurezza» che la Piccola Intesa chiedeva per rinunciare alle clausole !imitatrici del Trattato del Trianon degli armamenti ungheresi, era chiaro che l'Ungheria non poteva darla mediante una serie di patti di non aggressione che avrebbero assunto, implicitamente, un carattere rinunciatario. È perciò che io avevo suggerito di far ricorso ad una dichiarazione unilaterale di non aggressione, ricalcata sul patto Kellogg, dichiarazione che l'Ungheria avrebbe diretta ai Paesi «limitrofi» (perciò anche all'Austria) e che pur costituendo quel supplemento di garanzia che la Piccola Intesa chiedeva, non rappresentava un atto di contrizione o di umiliazione per l'Ungheria, che nessun governo di quel Paese sarebbe stato disposto o in misura di fare.

Le mie spiegazioni devono aver fatto buona impressione al signor Krofta. Mi ha risposto che egli stesso si era posto il problema così come lo ponevo io. Se una intesa economica era possibile nell'Europa danubiana occorreva che previamente cadessero le diffidenze politiche. Ciò egli aveva ripetutamente detto al presidente Hodza. Egli trovava molto abile il modo come io avevo girato la difficoltà inerente alla necessaria sincronicità dei patti di non aggressione che la Piccola Intesa aveva domandato in primo tempo: appena egli aveva preso conoscenza, sottopostagli da Antonescu, della nuova formula «cioè dichiarazione unilaterale diretta a tutti i Paesi limitrofi» egli l'aveva da sua parte subito accolta.

Circa le minoranze, egli giudicava che le difficoltà erano per la Cecoslovacchia meno gravi che per la Romania. Si proponeva comunque di influire su Antonescu per spingerlo, in vista dell'importanza del problema generale, a far qualche concessione.

Avendo io rinnovato al signor Krofta premure in tal senso, egli mi ha confidato che nell'incontro di due settimane fa tra Tatarescu e Hodza, quest'ultimo aveva fatto premure sul presidente romeno affinché entrasse nell'ordine di idee di far concessioni alle minoranze. Continuando nelle sue confidenze, Krofta mi ha anche fatto capire «risultargli» che Re Caro! vede con favore l'accordo e che quindi il Re spingerà Antonescu a marciare, sempre, beninteso, se l'Ungheria non esagererà nelle sue domande.

Ho poi creduto opportuno chiarire al signor Krofta che la dichiarazione della Piccola Intesa di volontaria e spontanea rinuncia alle restrizioni circa gli armamenti contenute nel Trattato del Trianon, non doveva essere subordinata a nessuna condizione. Il signor Krofta mi ha risposto in modo inequivocabile, dichiarandosi perfettamente d'accordo con me. Ha aggiunto soltanto che sarebbe stato forse bene trovare una motivazione plausibile, nella formula stessa della rinuncia. «Si potrebbe-ha proposto -iniziare la dichiarazione dicendo che i tre governi della Piccola Intesa convinti che l'Ungheria non ha intenzioni aggressive nei loro confronti, avevano determinato di rinunciare ecc. ecc.». Ho risposto che la sua idea mi sembrava molto abile: la formula, se così redatta, offriva un buon addentellato all'Ungheria per fare a sua volta la conseguente dichiarazione «di non ricorso alla guerra».

Prima di mettere fine alla conversazione ho voluto sondare Krofta per sentire come egli riteneva di poter risolvere il delicato problema procedurale della istrumentazione degli impegni che i tre Stati avrebbero dovuto prendere verso l'Ungheria in materia minoritaria. Ho avuto la piacevole sorpresa di sentirmi dire che egli era disposto ad accettare «la proposta del signor Bardossy della redazione di tre protocolli segreti da stipularsi fra ciascuno dei tre Paesi e l'Ungheria» protocolli che avrebbero fissato tutto il complesso dell'accordo intervenuto (ivi compreso la cronologia dei vari gesti «autonomi» ....ma concordati!). In allegato ai protocolli si sarebbero inserite le due formule delle dichiarazioni da farsi (rinuncia alle restrizioni militari e dichiarazione di non ricorso alla guerra), nonché la lista dei provvedimenti che ciascun Paese si assumeva in via autonoma di adottare nei confronti delle rispettive minoranze magiare.

Questa mi è parsa la parte più conclusiva del colloquio, e mi ha dato la misura dell'interesse che la Cecoslovacchia sembra portare alla soluzione del problema.

Ha molto lusingato il signor Krofta ch'io gli abbia detto che l'accordo di natura politica faciliterebbe la soluzione del piano economico che il signor Hodza persegue e insegue, piano che, secondo quanto ho altre volte riferito, incontra la più grande incredulità romena e jugoslava. Mi è sembrato comunque che bisognasse soprattutto insistere su questa nota e l'ho fatta quindi vibrare in suono flebile ma prolungato.

Se Hodza insegue soprattutto il miraggio del suo piano economico, Benes e Krofta vogliono sgombrare il terreno dall'ostacolo della parità di diritto, che impedisce ogni manovra in campo politico, nella speranza di tentare un approccio con l'Ungheria e con l'Austria e servirsene come trampolino per una possibile marcia di avvicinamento nei riguardi della Germania. La Cecoslovacchia spera in conclusione di essere la prima ad approfittare della fine dei gravosi impegni del Protocollo di Belgrado3 che impediscono oggi a ciascuno dei tre Governi della Piccola Intesa di condurre un'azione politica agile ed indipendente nei confronti dell'Ungheria.

La Cecoslovacchia confida, naturalmente, che essa non rimarrà distanziata nella corsa dei Tre a chi primo varcherà il traguardo di Budapest, se l'accordo attualmente in discussione sarà concluso!

Il fatto che la conclusione dell'accordo costituirebbe non un elemento di associazione fra i Quattro, ma un elemento di dissociazione fra i Tre, non mi sembra

finora essere stato visto da molta gente, nemmeno da questo rappresentante d'Ungheria al quale ho spesse volte illustrato questo concetto.

È per le istruzioni impartitemi a Roma da V.E. che mi trovo quì ( ... vai a mettere una zeppa fra i Tre ... ) a solleticare il vanitoso Antonescu, e a lusingare l'innocuo Krofta.

Stojadinovié sembra sa perla più lunga degli altri: il mio colloquio con lui sulla questione ungherese è durato, come ho detto in precedente rapporto, cinque o sei minuti soltanto, mentre quello con Krofta, minuzioso e preciso, è durato un'eternità.

291 3 Riferimento agli accordi conclusi il 2 aprile precedente al termine della riunione del Consiglio Permanente della Piccola Intesa a Belgrado.

292

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6144/372 R. Tokio, 6 settembre 1937, ore 7,05 (per. ore 13,20).

Questi ambienti militari dichiarano non preoccuparsi affatto dei movimenti delle truppe russe. Si dicono decisi battere cinesi al più presto e vigorosamente ed a non fermarsi se non alla vittoria completa e definitiva. È quindi più che mai certo che essi non permetterebbero interventi di terze Potenze per qualsiasi motivo e sotto qualsiasi forma.

Comunicato Roma Nanchino.

293

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE URGENTE 6159/628 R. Safamanca, 6 settembre 1937, ore 22,30 (per. ore 3,30 del 7).

Ho ragione di ritenere che vengano intensificati tentativi dei tedeschi diretti ad attirare nella loro orbita la aeronautica spagnola specialmente con riguardo alla sua organizzazione militare ed industriale avvenire.

Onde controbattere sollecitamente tale azione suggerirei profittare passaggio costà domani di Nicolas Franco per invitarlo a visitare al suo ritorno dalla Germania nostre industrie aeronautiche. Perrnettomi inoltre prospettare a V.E. opportunità far rivolgere tramite Nicolas Franco analogo invito a generale Kindelan capo aviazione militare spagnola per modo che visita dei due personaggi possa aver luogo congiuntamente. Qualora Nicolas Franco fosse nell'impossibilità trattenersi in Italia al suo ritorno dalla Germania, occorrerebbe comunque persuaderlo a provocare venuta in Italia del generale Kindelan accompagnato da alcuni ufficiali del suo comando.

Prego V.E. tenermi informato 1•

T. 1586/332 R. del 9 settembre.

293 1 Ciano incaricava l'ambasciatore Attolico di interessare Nicolas Franco nel senso qui indicato con

294

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6386/033 R. Varsavia, 6 settembre 1937 (per. il 13).

Ho chiesto a Beck che notizie egli avesse da Mosca e quali erano le sue impressioni sull'attitudine dell'U.R.S.S. nei confronti degli attuali problemi di politica estera. Beck mi ha risposto che dalle informazioni di cui disponeva gli sembrava di potere anzitutto rilevare un estremo nervosismo delle sfere dirigenti sovietiche. L'attività del Comintern era enormemente aumentata in questi ultimi tempi attraverso i due centri principali di Praga e Kaunas, fatto questo che è stato largamente controllato dagli informatori polacchi che su questo punto sono unanimi. Si direbbe che a Mosca si voglia controbilanciare gli effetti degli insuccessi diplomatici con una più intensa propaganda largamente sussidiata. Quanto alla politica del Narkomindiel nell'Europa Occidentale, essa per il momento non avrebbe altri scopi all'infuori di quello d'impedire che avvenga un avvicinamento fra le Grandi Potenze. Tutta l'attività del sig. Litvinov nella prossima assemblea a Ginevra sarà molto probabilmente ispirata a tali direttive.

Ho domandato poi a Beck se egli credesse alla possibilità di un intervento diretto dell'U.R.S.S. nell'attuale conflitto in Estremo Oriente. Beck per il momento l'escluderebbe. A suo dire l'U.R.S.S. si limiterà in questa prima fase ad aiutare la Cina con l'invio di armi ed ufficiali. In fondo, a Mosca non dispiace che intanto il Giappone faccia dei grossi sacrifici di sangue e di denaro, nella speranza che questo possa indebolirlo. Solo se i successi del Giappone fossero tali da rappresentare una minaccia per l'U.R.S.S. Mosca sarebbe indotta a riesaminare la propria situazione. Intanto preferisce attendere senza esporsi eccessivamente.

295

IL CAPO DELLA MISSIONE MILITARE ITALIANA IN SPAGNA, ROATTA, AL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO

LETTERA PERSONALE URGENTE. ... 6 settembre 1937.

In risposta a quanto mi hai chiesto Ti prospetto quanto segue:

Questione dei Baschi

a) Le promesse da me fatte ai Baschi sono quelle che sono state comunicate man mano a Te, ossia sono quelle delle «note».

Nell'ultima nota, consegnata la notte sul 262 ai due dirigenti venuti da Santoila (che sono i firmatari dell'annessa richiesta, da Te inviatami), si concludeva riproducendo, tali e quali, le parole del Tuo radio, ossia in sostanza:

-la resa avveniva a discrezione;

-ciò che si facesse a favore dei Baschi dipendeva unicamente dalla nostra generosità.

I due emissari hanno subito risposto con una loro nota3 , pure trasmessa Ti, in cui sostenevano di avere, da parte loro, adempito le clausole da noi imposte, e di avere perciò diritto alla applicazione integrale delle condizioni in origine pattuite.

A tale nota non abbiamo mai dato risposta, né scritta, né orale.

b) La sera del 26 agosto fu occupata Santofìa, dove si arresero 11 battaglioni. In Santofìa, misti alla popolazione, ed in piccola parte imbarcati su due o tre piroscafi inglesi, si trovava un migliaio di cosiddetti «compromessi» (ex dirigenti funzionari -ufficiali e simili), i quali non avevano potuto allontanarsi prima, perché detti piroscafi non avevano potuto sino allora penetrare nel porto, a causa della presenza di navi da guerra nazionali.

-Il giorno 27 sono venuto a parlarTi del trattamento da farsi, secondo me, ai prigionieri, e tu hai avuto la benevolenza di convenire che, sebbene non vincolati in linea di diritto, avremmo evitato di dare «in pasto» ai Nazionali i prigionieri, specie i «compromessi» ed ufficiali.

-Rientrato in Algorta, nella notte sul 27, ho appreso che il comando supremo nazionale aveva dato ordine al comando brigata Frecce Nere di fare sbarcare gli imbarcati, e di perquisire quindi i piroscafi. La brigata, per non creare un conflitto internazionale, non aveva eseguito l'ordine, ed io le ho confermato di non eseguirlo. Ho però consigliato ad uno dei suddetti due emissari, nel loro interesse, a fare scendere coloro che erano a bordo e di riunire questi e gli altri compromessi, consegnandoli alle nostre truppe, che li avrebbero guardati, tenendoli fuori contatto dalle autorità nazionali e dalle popolazioni. Nel loro interesse, perché quelli a bordo sarebbero stati o catturati da forze di polizia spagnole, o catturati all'uscita del porto, dove incrociavano navi da guerra nazionali. E quelli a terra sarebbero caduti nelle mani della polizia spagnola.

-L'emissario convenne della bontà del consiglio, e promise di adoperarsi in proposito. Mi chiese altresì che cosa sarebbe avvenuto dopo, ed io, in base anche a quanto dettomi da Te e da S.E. l'Ambasciatore, gli risposi che non ero in grado di specificare quanto avrebbe poi potuto seguire ma che la via consigliata era, per l'intanto, la più sicura, e che fidassero nelle nostre generose intenzioni.

·--L'indomani mattina, 28 agosto, su consiglio del suddetto dirigente, gli imbarcati sbarcarono e gli altri si raccolsero, con essi, consegnandosi a noi e chiedendo di essere messi nel carcere, dove furono infatti messi, con guardie esclusivamente italiane.

c) Stando così le cose, non vi è dubbio che, in linea di diritto materiale, noi siamo liberi di applicare ai Baschi qualsiasi trattamento. Ma, in linea morale, dato il modo come le truppe si sono arrese ed il fatto che la massa, non responsabile dei ritardi dei capi, si è arresa nella persuasione di consegnarsi a gente ben disposta e generosa, io rimango dell'idea che noi dobbiamo applicare quel trattamento che Ti ho esposto nel mio foglio n. 750/3 del 29 agosto (ottenere il loro espatrio o garanzia di amnistia completa).

d) L'amicizia e la devozione sincera che ho per Te mi inducono a richiamare altresì la tua attenzione sopra due considerazioni d'ordine politico:

-la prima è che qualora le suddette persone vengano abbandonate ai Nazionali, e sottoposte a fucilazioni e condanne, l'ex governo basco, rifugiato in Francia, non mancherà di fare una campagna contro l'Italia. Questa, malgrado qualsiasi nostra dimostrazione in contrario, sarebbe raccolta e sfruttata in pieno dalle nazioni a noi poco favorevoli;

-la seconda è che, se sono reali le trattative con la Catalogna, o quando si verificheranno trattative del genere, il precedente, sia pure sfigurato, può o potrà nuocere moltissimo al loro buon esito, e quindi, in definitiva, a Franco stesso.

In altre parole, la soluzione da dare al problema, può avere, dal lato politico, tali conseguenze, da fare apparire opportuno di usare ai Baschi un certo trattamento di favore, anche se, come è di fatto, essi non vi hanno materialmente nessun diritto 4 .

295 l Ed. in ROVIGHI E STEFANI, pp. 609-611. 295 2 Vedi D. 251. allegato l.

295 3 Vedi D. 251, allegato 2.

296

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA

T. 1577/327 R. Roma, 7 settembre 1937, ore 0,50.

Suo telegramma per corriere n. 0250 del 18 agosto u.s. 1•

Il senatore Gasparini ha testé telegrafato di aver proceduto il 4 corrente con l'Imam Yahia alla firma del nuovo trattato di amicizia fra l'Italia e lo Yemen 2 . Detto trattato aggiorna -mantenendolo sostanzialmente immutato --precedente trattato d'amicizia3 .

V.S. vorrà informare di quanto precede il Foreign Office, mettendo opportunamente in rilievo che anche questa comunicazione è fatta nello spirito del Protocollo finale delle conversazioni di Roma del 1927, al quale il governo fascista intende -come del resto è già noto -continuare ad informare la sua politica nella Penisola Arabica.

295 4 Il generale Bastico rispondeva con foglio 8261 del 7 settembre: «Ricevo tua lettera del 6 settembre. Ritengo necessario che questione sia trattata da te con autorità interessate. Ti prego recarti direttamente Burgos per parlare con chi di dovere nel senso da te indicato nella tua lettera. Comunicami giorno c ora in cui sarai Burgos ove ti invierò mio ufficiale superiore>>. Per il conseguente colloquio Franco-Roatta si veda il D. 315, allegato. 296 I T per corriere 5708/0250 R. del 18 agosto. L'incaricato d'affari Crolla aveva telegrafato di aver comunicato al Foreign Office-in ottemperanza alle istruzioni ricevute-che il senatore Gasparini era partito per Sanaa allo scopo di sottoscrivere il nuovo Trattato di amicizia tra l'Italia e lo Yemen. Crolla aveva aggiunto che la comunicazione era fatta nello spirito degli Accordi itala-britannici del 1927, «ai quali il governo italiano intendeva pienamente informare la sua politica in Arabia». 296 2 Trattato di amicizia e di rapporti economici tra Italia e Yemen del 4 settembre 1937. Testo in Tra/lati e conven::ioni, voL LI, pp. 356-359. 296 3 Trattato di amicizia e di relazioni economiche tra Italia e Yemen del 2 settembre 1926. Testo ibid, voL XXXVI, pp. 503-505.

297

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. 1579/97 R. Roma, 7 settembre 1937, ore 0,30.

Mio telegramma n. 87 1•

Senatore Gasparini telegrafa aver proceduto 4 corrente con Imam firma nuovo trattato amicizia italo-yemenita2• Detto trattato aggiorna -mantenendolo sostanzialmente immutato -precedente trattato d'amicizia.

V.S. vorrà comunicare quanto precede Re lbn Saud e suo governo mettendo opportunamente in risalto che nuovo trattato s'inquadra nella politica di pace e, di statu quo del governo fascista nei confronti degli Stati arabi del Mar Rosso, pienamente rispettosa dell'indipendenza, della sovranità e dell'integrità territoriale di detti Stati 3 .

298

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6194/319 R. Shanghai, 7 settembre 1937, ore 11 (per. ore 2,25 dell'8).

Telegramma di V.E. n. 1961 . Ripetizione telegramma n. 307; mio telegramma n. 298 2•

In seguito conversazioni Generalissimo-missione De Stefani, il generalissimo Chiang Kai-shek mi ha fatto telegrafare Hong-Kong per trattenere colà S.E. De Stefani in attesa di ulteriori comunicazioni ed oggi mi ha informato di avere nominato suo rappresentante personale generale Chang Pei-li (già addetto alla missione De Stefani) con l'incarico di recarsi in Italia per esprimere al Duce sua ammirazione e sua riconoscenza per l'opera prestata dalle tre missioni italiane in Cina; secondo quanto ebbe a dirmi anche il ministro degli Esteri ritengo che Generalissimo avrebbe intenzione concludere con noi accordi di carattere economico.

Comunque Generalissimo dimostrasi in questo momento particolarmente amichevole e mi ha fatto anche dire che ha dato istruzioni perché stampa cinese assuma un atteggiamento favorevole all'Italia mettendosi in relazione diretta col capo Ufficio Stampa del Kuomintang.

Generale Chang Po-li prenderà imbarco sul Conte Biancamano insieme a

S.E. De Stefani3 .

297 2 Vedi D. 296, nota 2. 297 3 Si veda per il seguito il D. 345. 298 1 T. 175291196 P. G. del 4 settembre che chiedeva la ripetizione del T. 307 del 3 settembre da Nanchino, giunto incomprensibile. 298 2 Vedi D. 256. 298 3 Ciano rispondeva con T. 1593/204 R. del IO settembre: «Data attuale situazione non vedo possi bilità di addivenire con codesto governo ad accordi di carattere economico. Comunque sarebbe necessa

297 1 Riferimento errato. Si tratta del D. 220.

299

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 6186/124 R. Varsavia, 7 settembre 1937, ore 14,57 (per. ore 18).

Telegramma di V.E. n. 15541 . Ho ricevuto 2 stamane questo ministro Affari Esteri un'ora prima della sua partenza per Parigi. Ho insistito nella maniera più efficace nel senso indicatomi da V.E. Beck mi ha promesso che si interesserà vivamente nell'intento di poter giungere alla liquidazione della questione abissina durante la prossima assemblea della

S.d.N. Non era ancora in grado di dare precisazioni sulla procedura. Egli non ha escluso a priori la possibilità di una formale iniziativa polacca a Ginevra, possibilità sulla quale per altro ha fatto delle riserve, la Polonia avendo da tempo dichiarato di considerare la questione già chiusa. Beck spera di persuadere Eden, in compagnia del quale si ripromette fare viaggio da Parigi a Ginevra. Dell'andamento delle sue conversazioni informerà personalmente Bova Scoppa.

Ho ringraziato vivamente Beck rilevando che queste sue amichevoli disposizioni non mancheranno di essere apprezzate da V.E.

Sono sicuro che Beck farà tutto quanto gli sarà possibile. Devo peraltro osservare che l'azione che egli si riserva, come sembra, di svolgere potrebbe trovare un limite in un atteggiamento decisamente contrario di Eden.

300

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6193/178 R. Atene, 7 settembre 1937, ore 21,20 (per. ore 23,50).

Suo telegramma n. 1554 1•

Ho intrattenuto presidente del Consiglio, Metaxas, e sottosegretario Affari Esteri, Mavrudis, nel senso prescrittomi. Terreno era già preparato da conversazioni riferite col telegramma per corriere 08438 del 25 agosto scorso 2 . Metaxas mi ha perciò subito detto:

rio che venissero fatte concrete proposte perché possa esaminarsi se possono essere prese in considera zione». In proposito, l'ambasciatore Cora precisava di ritenere che il generale Chang Po-li intendesse proporre l'acquisto di materiale bellico, come sembrava confermato anche dalla voce che la Commissio ne aeronautica cinese avesse chiesto all'Italia, tramite la missione Scaroni, forniture per cento milioni di lire (T. 6530/340 R. del 17 settembre). 299 l Vedi D. 286. 299 2 Sic. Leggasi: «riveduto». 300 l Vedi D. 286. 300 2 Numero di protocollo errato: si tratta del T. per corriere 5878/069 R. del 25 agosto con cui il ministro Boscarelli aveva riferito sui colloqui avuti nel giugno precedente con il sottosegretario agli Esteri, Mavrudis, e con alcuni funzionari circa la possibilità che fosse il governo greco a prendere l'iniziativa in sede S.d.N. per il riconoscimento dell'Impero italiano. Il ministro Boscarelli ne aveva tratto l'impressione che ad Atene si fosse desiderosi di agire in tal senso ma che si fosse trattenuti dal timore di fare cosa sgradita alla Gran Bretagna.

l) che aveva dato istruzioni a Mavrudis che parte questa sera per Ginevra per presiedervi delegazione ellenica, di appoggiare ogni iniziativa atta a consentire liquidazione questione etiopica;

2) che dell'argomento aveva anche parlato con Riistii Aras -passato di qui . avant'ieri -il quale si era mostrato d'accordo con lui; 3) che pertanto egli riteneva che tutta l'Intesa Balcanica sarebbe stata a Ginevra favorevole alla liquidazione della questione etiopica.

Infine, Metaxas ha aggiunto che aveva lungamente esaminato la suggestione

da me fatta nel giugno scorso a Mavrudis secondo la quale la Grecia avrebbe

dovuto farsi iniziatrice della formula opportuna per la liquidazione di questa incre

sciosa questione ma che -suo malgrado -era dovuto giungere alla conclusione

di non poterlo fare sia perché la Grecia era troppo piccolo Paese per intromettersi

in una controversia fra due grandi Paesi (Italia e Inghilterra), sia perché una inizia

tiva in tal senso presa da essa come Paese mediterraneo avrebbe messo in sospetto

Inghilterra 3 che forse sarebbe stato da ciò indotta a farla fallire; che in ogni modo

oggi era lieto di poter fare cosa gradita all'Italia appoggiando una iniziativa che

fosse venuta da altri.

Ho pregato Metaxas di voler ripetere a Mavrudis quello che io stesso gli ave

vo detto, che cioè sarebbe stato opportuno che la Grecia avesse fatto opera di

propaganda a Ginevra e che la parte che a tale riguardo essa avrebbe colà assunto

anche in seno alla stessa Intesa, avrebbe dovuto essere preponderante e non di

secondo piano.

Mi è stato promesso che sarebbero state date istruzioni in tal senso.

301

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3409/1487. Mosca, 7 settembre 1937 (per. il 13).

Nei contatti avuti con vari colleghi dopo il mio ritorno dal congedo, ho con

stato essere opinione unanime dei diplomatici esteri a Mosca che i Soviet, non

soltanto non hanno alcuna intenzione di intervenire nel conflitto fra Cina e Giap

pone, ma si astengono anche dal fornire al governo cinese un aiuto apprezzabile in

materiale da guerra.

Si ritiene da alcuni che il governo di Mosca non veda in definitiva con sfavore

un inasprimento ed un prolungamento della lotta, dalla quale si spera qui che il

Giappone abbia ad uscire spossato, se non altro finanziariamente. Comunque, tan

to la situazione interna, quanto lo stadio presente della preparazione militare scon

sigliano evidentemente all'U.R.S.S. di lasciarsi trascinare nel conflitto: il che spiega

l'attitudine di estrema prudenza e riserva che continua a mantenere perfino la

stampa sovietica, pur così prona di solito alle escandescenze.

Quanto alle forniture di materiale bellico, insieme alle ragioni di prudenza sopra accennate, entrano in giuoco difficoltà tecniche e materiali. A parte il fatto che l'U.R.S.S. non ha verosimilmente riserve sufficienti di materiale per rifornire anche parzialmente la Cina in guerra, dati i bisogni dell'Armata Rossa e gli impegni con la Spagna, importa tener presente che le possibilità di trasporto fra

U.R.S.S. e Cina sono molto limitate. Esclusa la via del mare da Vladivostock o dal Mar Nero, perché troppo esposta ai pericoli derivanti dal blocco giapponese, le vie di terra si riducono a quella attraverso la Repubblica Popolare Mongola (Mongolia esterna) ed a quella attraverso lo Sinkiang. Per la,prima potrebbe essere utilizzata la rotabile da Ulan Udè a Ulan Bator (capitale della Mongolia esterna) e da questa località la camionabile che arriva fino a Kalgan oppure la rotabile che porta fino a Kuku Khoto, sulla ferrovia Kalgan-Bau Tou. Kalgan essendo già occupata dalle truppe giapponesi, la camionabile non sarebbe però utilizzabile che in parte, mentre la rotabile di Kuku Khoto sembra essere in condizioni tali da non permettere il trasporto con autocarri. Del pari, le comunicazioni attraverso lo Sinkiang specialmente in territorio cinese, sono scarse e malagevoli, senza contare che esse comporterebbero un percorso di 3.000 chilometri. Tutto considerato, sembra quindi da escludersi la possibilità di trasporto di materiale e uomini in quantità considerevole per la via di terra.

Resta la via dell'aria, anche questa non facile e che richiederebbe comunque l'organizzazione di campi di atterraggio e di posti di rifornimento.

l tecnici militari, coi quali ho discusso la questione, sono tutti d'accordo nel dire che i rifornimenti sovietici alla Cina non potrebbero in ogni caso essere fatti che molto lentamente ed in misura molto scarsa e che molto verosimilmente l'aiuto fornito attualmente può consistere soltanto di un numero limitato di ufficiali e di specialisti e forse di qualche aeroplano. Aggiungo che nello stesso ambiente dell'ambasciata del Giappone si manifesta una perfetta tranquillità per quel che concerne gli even_tuali rifornimenti sovietici alla Cina.

300 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione dubbia>>.

302

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6181/698 R. Londra, 8 settembre 1937, ore 0,50 (per. ore 5).

Come preannunziato nel mio telegramma di ieri n. 697 1 , ho visto oggi Eden, il quale mi ha letto il telegramma inviatogli da lngram dopo colloquio con V.E. 2•

tario Aggiunto al Foreign Office, Sargent, il quale gli aveva fatto presente che un successo della Confe renza di Nyon con la partecipazione dell'Italia avrebbe avuto «ripercussioni molto favorevoli sull'atmo sfera delle conversazioni italo-inglesi». 302 2 Colloquio avvenuto il 6 settembre, nel corso del quale l'incaricato d'affari britannico aveva con segnato una nota con l'invito alla Conferenza di Nyon. Su tale colloquio non è stata trovata documen tazione ma si veda il resoconto di Ingram in BD, vol. XIX, D. 126. Una nota identica fu consegnata dall'incaricato di Francia, Bionde!. Il testo della nota è in DDF, vol. VI, D. 396.

Eden mi ha detto che si rendeva perfettamente conto degli argomenti addotti da V.E. e che era rimasto particolarmente colpito dalla osservazione che nota sovietica3 era evidentemente diretta sabotare conferenza Mediterraneo. Anche egli era convinto che questo fosse obiettivo di Mosca, ma appunto per questo desiderava nella maniera più franca e amichevole esporre alcune considerazioni. Non si trattava soltanto di considerazioni sue personali, ma del risultato di un lungo colloquio che egli aveva avuto stamane col Primo Ministro Chamberlain.

Conferenza di Nyon, ha continuato Eden, soddisfa nel pensiero del governo britannico, a due scopi. Il primo è quello di raggiungere un accordo essenzialmente tecnico fra le Potenze interessate per rimediare a una situazione che l'Inghilterra considera ormai intollerabile. Secondo obiettivo è quello di promuovere attraverso il successo della conferenza un'atmosfera migliore fra le Potenze mediterranee. «Tanto Chamberlain quanto io», ha soggiunto Eden, «siamo convinti che ciò influirebbe in maniera particolarmente favorevole sulle prossime conversazioni italo-inglesi, alla cui riuscita attribuiamo importanza essenziale, e su di una distensione nei rapporti italo-francesi. Chamberlain -ha proseguito Eden -mi ha raccomandato di far presenti questi motivi, nella maniera più amichevole, al governo italiano e di esprimere la sua sincera speranza che il Duce e il conte Ciano non vorranno facilitare quelle manovre sabotatrici russe che lo stesso conte Ciano ha denunziato».

Ho interrotto Eden per fargli osservare che se il successo della Conferenza di Nyon fosse garantito, io avrei potuto anche condividere questo suo modo di vedere. Ma la nota russa, gli attacchi anti-italiani della stampa sovietica, l'atteggiamento della Francia nelle ultime settimane, sono indizi tutt'altro che incoraggianti. Un clamoroso insuccesso a Nyon avrebbe avuto sulla tesa atmosfera europea e mediterranea ripercussioni peggiori che non una prudente astensione dal convocare la conferenza stessa.

Eden ha risposto che, a suo avviso, se le principali Potenze interessate lo avessero voluto, il successo poteva essere ottenuto anche malgrado le manovre russe. Era intenzione ferma del governo britannico di dare alla Conferenza di Nyon un carattere tecnico, evitando ogni riferimento al passato ed a questioni di responsabilità e limitarsi all'adozione di alcune misure per l'avvenire. D'accordo con l'Ammiragliato, il Foreign Office aveva esaminato alcune possibili proposte, concepite in modo da poter essere favorevolmente accolte dalle principali Potenze mediterranee ed in particolare dall'Italia. Per quanto egli non avesse ancora sufficientemente approfondito questo aspetto della questione, gli pareva di concepire una soluzione per la quale le misure da adottare sarebbero state circoscritte alle Potenze mediterranee vere e proprie, lasciando in qualche modo fuori dell'accordo tecnico i Paesi del Mar Nero (Russia compresa) e la Germania. Qualora la Russia cercasse di

Il governo italiano aveva risposto lo stesso 6 settembre con una nota in cui si negava qualsiasi responsabilità negli affondamenti e si respingevano in blocco le richieste sovietiche. L'8 settembre, il governo sovietico presentava una seconda nota in cui si dichiarava di considerare non soddisfacente la risposta dell'Italia e si confermavano le accuse contenute nella nota precedente. Alla seconda nota sovietica non veniva data risposta da parte italiana.

approfittare della Conferenza per attacchi contro l'Italia, l'Italia potrebbe controbattere, come già nel Comitato di non intervento, senza che questa polemica pregiudicasse sostanzialmente accordo per il Mediterraneo quale l'Inghilterra lo concepisce. Del resto, Eden si proponeva di sottoporre a ... 4 l'opportunità di concordare «prudente» azione comune a Mosca, per indurre Russia a modificare suo atteggiamento.

Rispondendo alle mie osservazioni, Eden mi ha detto che l'eventuale astensione dell'Italia, e in tale caso evidentemente della Germania, avrebbe posto il governo britannico nel più grave imbarazzo. Esso riteneva aver fatto tutto il possibile per evitare che conferenza mediterranea potesse essere da chiunque interpretata come diretta contro l'Italia e contro l'asse Roma-Berlino. D'altra parte, attuale situazione del Mediterraneo aveva determinato nell'opinione pubblica inglese reazioni tali da porre il governo britannico nella assoluta necessità di -dover fare qualche cosa.

Alla fine del nostro lungo colloquio Eden ha accennato a quanto V.E. ha detto ad Ingram circa questione etiopica 5 . Su questo punto Eden si è limitato a considerazioni vaghe ed ha concluso dicendo che non poteva fare a meno di rilevare che la maniera nella quale sarebbe stato risolto il problema della Conferenza di Nyon non avrebbe mancato di avere influenza anche su tale questione.

Ometto per brevità mia ovvia replica.

302 1 Con T. 6150/697 R. del 6 settembre Crolla aveva riferito su un colloquio avuto con il Sottosegre

302 3 Il 6 settembre, l'incaricato d'affari dell'U.R.S.S. a Roma, Helfand, aveva presentato una nota nella quale si attribuiva all'Italia la responsabilità del siluramento di due navi mercantili sovietiche e si chiedeva il risarcimento dei danni e la punizione dei colpevoli (il testo della nota è pubblicato in DDF, vol. VI, D. 405, allegato).

303

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6203/376 R. Tokio, 8 settembre 1937, ore 8 (per. ore 13).

Ambasciatore di Germania mi ha detto essergli stato lodato e quasi citato ad esempio contegno missione aeronautica italiana ritiratasi Hankow.

Dalle sue spiegazioni non sempre chiare e precise mi è sembrato dovrebbesi dedurre che indirizzi della politica Berlino verso Nankino sarebbero ispirati al desiderio di non perdere mercato cinese sperando di impedire la sostituzione e il predominio sovietico convincendo i cinesi di addivenire appena possibile alla pace, continuando anche in seguito lavoro addestramento militare.

Mi sarebbe stato facile ribattere ma ho preferito astenermene perché ho compreso che ciò gli sarebbe riuscito penoso e imbarazzante e che in ogni caso quanto sta avvenendo è in contrasto sua volontà.

Comunicato a Roma e a Nankino.

302 4 Nota dell'Ufficio Cifra: «un gruppo indecifrabile». 302 5 Durante un colloquio avvenuto nella mattinata del 6 settembre. Anche su questo colloquio non è stata trovata documentazione ma si veda il resoconto di Ingram in BD, vol. XIX, D. 124. Secondo quanto riferiva l'incaricato d'affari britannico, Ciano aveva rilevato che il riconoscimento dell'Impero italiano da parte della Gran Bretagna, oltre ad avere una grande importanza ai fini della distensione in Europa, appariva necessario per risolvere il problema dei rapporti tra i territori italiani in Africa Orientale e le colonie britanniche adiacenti.

304

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6212/148 R. Belgrado. 8 settembre 1937, ore 13 (per. ore 18,20).

Telegramma di V.E. n. 1554/c. 1 .

Stojadinovié ha fatto riservatamente informare Sola, al termine della riunione di Sinaia, delle vive insistenze da lui fatte presso i colleghi cecoslovacco e romeno per una decisione formale e pubblica della questione etiopica e del risultato negativo ottenuto, pur avendo constatato disposizioni genericamente favorevoli sul merito dell'argomento2.

Ho ora parlato nel senso prescrittomi da V.E. ed ho posto la questione se la delegazione jugoslava a Ginevra sarebbe stata obbligata o meno ad una linea di condotta concertata fra le delegazioni della Piccola Intesa, malgrado posizione speciale e formale assunta dal governo jugoslavo nei confronti questione etiopica.

La risposta fu piuttosto imbarazzata: «intenzione di favorire e di appoggiare una qualsiasi iniziativa per una favorevole liquidazione della questione, ma opportunità generica di seguire una linea di condotta comune con gli Stati della Piccola Intesa».

Ho l'impressione, confermata del resto da alcuni punti del comunicato finale della riunione di Sinaia, che nelle presenti "circostanze politiche interne il presidente del Consiglio marcherà una battuta di aspetto per ogni iniziativa appariscente che possa essere interpretata come una conferma di una intenzione di abbandonare alcuni principi della tradizionale politica jugoslava.

Mi riservo eventuali comunicazioni ulteriori.

305

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DEL DRAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6233/363 R. Washington, 8 settembre 1937, ore 21,12 (per. ore 6,30 de/9).

Nonostante gravità crisi Estremo Oriente e complesse questioni che solleva per la politica americana, attenzione questi circoli politici si è spostata di nuovo verso Europa.

Passo sovietico 1 è apparso gravido di conseguenze. Wall Street ne ha registrato ripercussioni con sensibile caduta del mercato titoli che in alcuni casi hanno perduto fino 14 punti.

304 2 Vedi D. 290. 305 1 Riferimento alla nota presentata dal governo sovietico al governo italiano il 6 settembre circa gli affondamenti di navi nel Mediterraneo (vedi D. 302. nota 3).

È opinione abbastanza diffusa, nonostante che alcuni funzionari Dipartimento di Stato riconoscano nella nota russa una manovra destinata a rialzare prestigio sovietico, che azione Giappone in Cina e attuale politica italo-tedesca in Europa corrispondano, soprattutto per il modo come sono condotte, all'attuazione di un unico e preordinato piano diplomatico militare. Queste impressioni troverebbero conferma nei telegrammi delle rappresentanze americane in Europa, tutti improntati a pessimismo.

Segretario di Stato, interrogato da giornalisti, si è limitato dichiarare che situazione Mediterraneo diventa sempre più acuta ed ha rivelato di aver già discusso col capo Commissione marittima, ciò che da questa stampa viene interpretato nel senso che governo degli U.S.A. starebbe studiando il modo di eventualmente proteggere sua navigazione in Mediterraneo. Segretario di Stato ha infine sottolineato che U.S.A. persistono a non riconoscere come legale un eventuale blocco delle coste spagnole.

304 l Vedi D. 286.

306

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6241/0263 R. Londra, 8 settembre 1937 (per. il 9).

Telegramma di V.E. n. 327 1•

Ho fatto ieri al Foreign Office comunicazione prescrittami. Rende! (col quale ho parlato) ne ha preso atto e mi ha pregato di far pervenire al governo italiano i ringraziamenti del governo britannico per la cortese comunicazione fatta nello spirito dell'Accordo di Roma del 19272 . Rende! ha aggiunto che, nello stesso spirito del Protocollo finale delle conversazioni di Roma, egli desiderava assicurarmi che non vi era nulla di vero in alcune voci, circolate recentemente ad Aden, e secondo le quali il governo britannico starebbe accingendosi a concludere un nuovo trattato di amicizia con lo Yemen. Il governo britannico, ha continuato Rende!, è già legato col governo yemenita dal Trattato di amicizia e cooperazione del 1934 la cui durata è di 40 anni\ e non si propone per ora di concludere alcun nuovo trattato.

307

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 8 settembre 1937.

His Majesty's Government have received the impression from press reports from Italy that the Royal ltalian Government may decide not to participate in the

306 I Vedi D. 296. 306 2 Vedi D. 23, nota 5. 306 3 Trattato di amicizia e di mutua cooperazione tra Gran Bretagna e Yemen dell'Il febbraio 1934 (testo in MARTENS, vol. XXX, pp. 41-44).

Nyon Conference on account of the Soviet Note 1 accusing Italy of the recent sinking of Soviet ships in the Mediterranean.

His Majesty's Government trust that this is not so, and that Italy will not allow herself to be influenced by accusations from any quarter as to past happenings. The Conference is to discuss the future, and His Majesty's Government feel that it is of importance for the future of conversations between Great Britain and Italy that both countries should show that they desire to ensure in ali circumstances free and safe transit for shipping in the Mediterranean.

His Majesty's Government hope, therefore, that the Royal Italian Government will make an affirmative reply to the invitation, despite the Note sent by the Soviet Government. His Majesty's Government attach the greatest importance to the Conference, and to an agreement being reached between ali Powers concerned to take measures which will put a stop to acts of piracy in Mediterranean waters.

His Majesty's Government have already indicated that they regard such acts as intolerable. They are ali the more anxious that the Conference should succeed, because the reaching of an international agreement upon an issue of this importance would be a most useful prelude to conversations between ltaly and the United Kingdom. It is useless to deny that recent events and the publicity given to Italian intervention in Spanish affairs 2 have seriously perturbed public opinion in the United Kingdom. Moreover, the Royal ltalian Government will also be aware of the apprehensions previously expressed by His Majesty's Government as to the effect of a continuance of recent events in the Mediterranean. Ali these factors, which, taken together, cannot be without their effect on the prospect of successful conversations, make His Majesty's Government more than ever anxious that a solution of the problem of piracy in the Mediterranean should be achieved by international agreement with the participation of ltaly3 .

308

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITL AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

R. 773/215. Tokio, 8 settembre 1937 {per. il 15 novembre).

È difficile accertare se il primo colpo di fucile sia stato sparato in Pechino da cinesi o da giapponesi; e se anche si riuscisse a accertare bisognerebbe poi che chi volesse stabilire le responsabilità sapesse se sia stato sparato a ragione o a torto, cioè con o senza sufficiente provocazione dall'altra parte. Anche se il colpo sia partito dai giapponesi, credo che veramente a Tokio non si volesse ora il conflitto,

307 2 Allusione allo scambio di telegrammi tra Mussolini e Franco del 27 agosto precedente (vedi D. 270, nota l). 307 3 Non si è trovata documentazione del colloquio tra Ciano e lngram avvenuto in occasione della consegna di questo promemoria. Si veda il resoconto dell'incaricato d'affari britannico in BD, vol. XIX, D. 138.

pur considerandosi esso da molti come un giorno inevitabile, perché il Giappone si stava riarmando e avrebbe preferito serbarsi per adesso intatto in previsione di quelle maggiori lotte che la situazione europea poteva far considerare non impossibili se anche non imminenti. A ogni modo il Giappone avrebbe voluto senza dubbio risolvere il conflitto localmente ma Nanchino vi si è opposto, e così ha avuto inizio la guerra.

Nanchino vi si è opposto perché ciò avrebbe significato un maggiore indebolimento della sua autorità nella Cina settentrionale, mentre esso voleva rafforzarla e da tempo andava cercando rafforzarla. Tale lotta fra Nanchino e Tokio per il dominio di quella regione è la causa essenziale, quale che ne sia stata l'occasionale, del presente conflitto, che appunto perciò, se anche l'incidente di Pechino non fosse avvenuto, sarebbe ugualmente sorto, in tempo non molto lontano, per qualche altra ragione o pretesto.

Da più d'un anno Nanchino andava abilmente manovrando per riacquistare almeno in parte quanto di effettivo potere aveva perduto nella Cina settentrionale. Un certo rafforzarsi del governo centrale, un certo diffondersi d'un qualche sentimento unitario sia pure nella forma negativa dell'anti-nipponesimo, l'accrescersi dei propri armamenti e il migliorarsi dell'addestramento delle proprie truppe, il maggior appoggio morale e economico dell'Inghilterra, dal quale potevano forse sperarsene anche altri più efficaci, sono per quanto p~ò vedersi da qui tra le principali ragioni di quella maggiore fiducia in sé e nella propria capacità a fronteggiare Tokio che Nanchino aveva mostrato da qualche tempo. Altre conviene aggiungerne, non positive ma negative, che riguardavano non la Cina ma il Giappone: mentre quelle inducevano Nanchino a credere in un proprio rafforzamento, queste gli facevano a loro volta supporre un indebolimento di Tokio; intendo dire la rivolta degli ufficiali nel febbraio '36 1 , la perdurante lotta politica fra militari e parlamentari, i segni di indisciplina dei giovani ufficiali, la meno prospera condizione economica, la lentezza del riarmamento specie in aviazione, la preferenza della Marina per un'espansione nel Sud invece che nel Nord. Di detto indebolimento s'era veduto dalla Cina prova nella insolita remissività mostrata dal Giappone durante i numerosi incidenti anche sanguinosi avvenuti colà lo scorso autunno a danno di propri sudditi, e conferma poi in un conciliante discorso del molto conciliante signor Sato, quand'era stato ministro per gli Affari Esteri per poche settimane.

Che il Giappone avesse alquanto perduto terreno nella Cina settentrionale, ch'esso per di più si fosse mostrato parecchio indebolito di fronte a tutta la Cina è indubbio e io stesso lo segnalai cercando darne le ragioni. Ma se Nanchino fondandosi su ciò ha creduto, o almeno sperato, che il Giappone avrebbe continuato a cedere, ha commesso un errore. Il Giappone, appunto perché aveva perduto terreno e dato segni di debolezza, era obbligato a mutar rotta (e la situazione internazionale gli si presentava ora favorevole), a meno di una rinuncia al suo piano di espansione sull'altra sponda, la quale non era concepibile, da chi conoscesse l'orgoglio del Giappone, i suoi bisogni e i suoi scopi, se non come conseguenza d'una sua completa e irrimediabile sconfitta militare. Non che Tokio si rifiutasse di discutere con Nanchino; vi si è sempre dichiarato pronto e non ha mentito dichiarandolo. Ma con un Nanchino che avesse avuto un altro animo, che

308 I Si veda in proposito serie ottava, vol. III, DD. 315, 327 e 342.

367 si fosse cioè rassegnato all'avvenuto e lo avesse almeno implicitamente accettato. Invece Nanchino, anch'esso disposto a discutere, non accettava quelle premesse; e si comprende. A chi è più forte e ha tolto e nulla vuoi restituire è facile mostrarsi e voler essere amico. Ma è diversa la condizione del più debole cui è stato tolto e nulla vuoi restituirsi. È vero che il Giappone ha sempre detto e ripetuto non avere mire territoriali sulla Cina settentrionale ma che cosa è se non una parola vana la semplice sovranità nominale che Tokio è disposto a lasciare a Nanchino in quella regione? Tanto meno questa semplice sovranità nominale può essere accettata da un governo come quello di Nanchino, che afferma voler ricostituire l'unità della Nazione e chiamarla a vita nuova.

Che nei fatti ciò sia o sia per essere possibile non so. I metodi di corruzione e transazioni del governo repubblicano non sono dissimili da quelli tradizionali delle vecchie dinastie imperiali cinesi e non si vede quindi perché i mezzi vecchi dovrebbero produrre risultati nuovi. Per di più la Cina non è stata mai un'unità etnica, bensì un agglomerato di razze affini ma diverse (ciò che il nostro occhio inesperto di occidentali non distingue) cui ha dato unità per mezzo della comune scrittura la cultura comune. Più volte nella storia la Cina è stata divisa tra Nord e Sud pur non spezzandosi la sua unità di cultura; e certo memori di ciò i giapponesi, quando si adoperano a affermare un sempre più solido loro predominio nel Settentrione, pensano a tempi come quelli durante la dinastia dei Sung in cui questi non ebbero sovranità che nel Meridione e la loro capitale fu appunto Nanchino. Senonché quando le invasioni straniere occuparono e dominarono in tutto o in parte la Cina, esse furono mongole, razze cioè meno dissimili dalla cinese che la giapponese, e razze le quali non solo non rinnegavano la cultura cinese ma la assimilarono e se ne fecero sostenitrici e propagatrici. Diversa la condizione dei giapponesi, che pure avendo tratto tutta la loro antica cultura dalla Cina la hanno rielaborata secondo il proprio genio; e resala per tal modo distinta da quella e fusa!a con la moderna, che hanno tutta tratta dall'Occidente, vogliono imporre in Cina l'una e l'altra con meni che possono essere ammirati come prova di forza e consapevolezza di sé ma non come strumento adatto al rapido assorbimento dei dominati.

Comunque sia, se la resistenza di Nanchino a non cedere allo straniero una parte così considerevole del proprio territorio è comprensibile, la pressione di Tokio è comprensibile anch'essa. Le massime linee della politica estera d'uno Stato non sogliono derivare dalla pura volontà d'un solo uomo e d'un solo governo, di cui l'opera può soltanto consistere nell'interpretare i bisogni spirituali e materiali del popolo, nel formulare secondo questi una certa politica e nell'attuarla. Sono invece tali bisogni che danno fatalmente il contenuto alla politica stessa, e finché questi permangono permane attraverso le successive generazioni la politica che ne deriva. La volontà giapponese di conquista dell'altra sponda non è sorta di recente, poiché già nella seconda metà del secolo XVI lo sciogùn (specie di dittatore militare) Hideiosci mandò una spedizione militare in Corea con lo scopo di conquistarla e di conquistare dopo di essa la Cina settentrionale. La sconfitta della sua flotta per opera della coreana, i risultati non definitivi ottenuti dagli eserciti sul territorio di quell'impero malgrado il loro valore, la morte infine dello stesso sciogùn, posero termine alla infruttuosa campagna. Il piano fu per il momento messo da parte: gli sciogùn che seguirono, quelli cioè della famiglia Tocugava, troncarono in seguito ai timori suscitati dalla predicazione dei missionari cattolici ogni relazione con qualsiasi Stato estero, e fecero una politica di isolamento e raccoglimento. Ma dopo che in seguito alla restaurazione della piena autorità imperiale nel '68 il Giappone si riaprì all'Asia e all'Occidente, l'antico piano fu ripreso, così da consentire l'affermazione che da più di quarant'anni la politica del Giappone è consistita nella graduale attuazione del suo antico disegno di espansione sull'altra sponda; né potrà esso considerarsi effettuato completamente anche quando il presente conflitto sarà finito e anche se finirà in tutto secondo la volontà giapponese, giacché vi saranno ancora desideri insoddisfatti, e tra questi in ogni caso, quali che siano gli altri, Vladivostok.

I bisogni di espansione del popolo e dei prodotti giapponesi sono noti, e noti gli ostacoli sempre più alti che gli altri Stati per necessità di legittima difesa vanno ponendo a una merce cui per il prezzo non può farsi concorrenza e a una immigrazione di cui la differenza di razza e religione impedisce ogni assimilazione. Il Giappone è però obbligato a espandersi, e di quanto si accentua una tale condizione di cose a esso avversa, di tanto cresce il valore del territorio più vicino e dello sbocco più naturale. Dove dirigersi altrimenti? Verso le Indie olandesi? A esse pensano infatti qui vari, pur senza osare affermare in pari tempo che il Giappone abbia da trascurare del tutto la Cina e lasciare che alcuni ricchi Stati occidentali vi rafforzino il loro potere e ne traggano per sé soli ogni beneficio. Ma quale che sia per il Giappone il valore delle Indie olandesi paragonato con quello della Cina, la loro conquista sarebbe ora più pericolosa sotto l'aspetto internazionale, e può solo restare, come l'Indocina le Filippine e forse l'Australia, meta per il futuro. Se un'occasione favorevole v'è stata finora per il Giappone, esso se l'è lasciata sfuggire:· alludo alla nostra guerra etiopica.

Vi sono nodi che non possono sciogliersi e per i quali non v'è altro rimedio che reciderli con la spada. E vi sono contese nelle quali ambo i contendenti hanno ragione e per le quali non appare una soluzione equa che soddisfi in pari tempo i diritti degli uni e degli altri. Vale per esse la forza, e la vittoria data da questa è l'unico motivo che giustifichi il prevalere dei diritti dell'uno su quelli dell'altro .

307 l Vedi D. 302, nota 3.

309

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 2502/673. Bucarest, 8 settembre 1937 (per. i/13).

Finito il rapido scambio di idee con il presidente Stojadinovié circa il riarmo ungherese una frase del tutto occasionale ha dato luogo ad ùna diversione che può essere interessante io riferisca a V.E.

Il signor Stojadinovié mi esprimeva tutta la sua soddisfazione per l'accordo da

V.E. firmato con lui a Belgrado nel marzo scorso ed ha ricordato che egli faceva parte, quale ministro delle Finanze, anche del governo radicale che il 17 gennaio 1924 aveva concluso il Patto di Roma 1 al quale aveva fatto seguito una lunga serie di malintesi, cui il Trattato di Belgrado metteva fine.

309 I Patto di amicizia e di collaborazione cordiale tra Italia e Regno serbo-croato-sloveno del 27 gennaio 1924 (testo in Trattati e Convenzioni, vol. XXXI, pp. 48-50).

Ho congratulato Stojadiohovié di essersi trovato al governo, sia in occasione del Patto di Roma, sia, come Presidente e quindi come uno dei due firmatari e artefici principali, in occasione del Trattato di Belgrado. Anche il Patto di Roma, gli ho detto, aveva illuminato di eccezionale luce i rapporti itala-jugoslavi con la soluzione del problema fiumano e con la saldatura delle frontiere dei due Paesi. Potevo testimoniargli che durante tutto il 1924 il Duce non aveva lasciato trascorrere nessuna occasione per dimostrare alla Jugoslavia le sue generose affettuose disposizioni. Ero incaricato d'affari a Belgrado il giorno della firma del Patto di Roma e potevo perciò dirgli, con conoscenza di causa, che anche allora Mussolini aveva steso di pieno cuore la mano alla Serbia.

Purtroppo l'accordo del '24, volto a risolvere il drammatico problema fiumano, aveva lasciato in ombra quello albanese, allora sopito ed è per l'Albania che ci eravamo poi guastati: l'accordo invece di Belgrado, cui egli aveva apposto la sua firma accanto a quella di V.E., sarebbe stato certamente duraturo perché regolava tutti i problemi, ivi compreso quello albanese.

Stojadinovié è rimasto un istante pensieroso. Mi ha preso poi entrambe le mani e mi ha detto: « Nincié sostiene che la colpa del disaccordo, sopravvenuto per l'Albania, sia da attribuirsi all'Italia. Lo ha scritto nella sua lettera di dimissioni. Volete darmi il vostro personale avviso sulle allegazioni di Nincié? Ciò mi interesserebbe moltissimo».

(Né subito, né durante il prosieguo della conversazione ho chiesto a Stojadinovié perché egli aveva interesse di controllare le affermazioni di Nincié).

Ho cominciato col dire che effettivamente Nincié era stato animato da sincero desiderio di avvicinarsi all'Italia ed era stato, con Pasié, artefice convinto dell'accordo di Roma. Nincié aveva nutrito però l'illusione che essersi accordato con l'Italia significava, per la Jugoslavia, aver mano libera nei Balcani. La Jugoslavia si era quindi affrettata a denunciare l'alleanza decennale con la Grecia2 , ed aveva subito assunto un tono aggressivo verso la Bulgaria. In quanto all'Albania, Nincié credeva forse che, disgustata dai fatti di Valona, l'Italia guardasse con minor interesse a quella che era ed è la chiave dell'Adriatico, e che perciò se egli avesse osato, noi non avremmo reagito.

Nincié dimenticava però che il patto di amicizia firmato a Roma era anche un patto di «consultazione e collaborazione» e dimenticava che nei confronti di tutti i problemi che potevano riguardare i due Paesi, e quindi soprattutto per l'Albania, egli era obbligato a consultarci e a interpellarci.

Stojadinovié: «Questo punto è importante: la consultazione era prevista nel Trattato?».

Sola: «La consultazione era prevista nel Trattato».

Ho continuato dicendogli che eravamo anche disposti ad ammettere che Nincié, nel giugno del 1924, avesse per un momento potuto credere che la rivoluzione promossa da Fan Noli contro il regime di Zogolli, così si chiamava Zog, potesse essere stata istigata dall'Italia, tanto più che i fannolisti avevano scimmiottato certe misure punitive adottate dal fascismo durante il periodo rivoluzionario. Ma que

370 sta errata impressione, mi risultava, cessò subito. Tre rappresentanti jugoslavi a Tirana mi avevano successivamente confidato che il governo di Belgrado aveva compiuto immediatamente un'accurata inchiesta ed aveva potuto accertarsi che l'Italia era assolutamente estranea al colpo di Fan Noli. Uno di questi rappresentanti era il signor Kassidolac, fino a ieri ministro di Jugoslavia a Bucarest, che era al corrente di tutta la questione e che egli poteva quindi interrogare.

Aggravava la posizione di Nincié il fatto che non appena era venuto a nostra conoscenza (agosto-settembre 1924) che Zogolli, rifugiato in territorio jugoslavo, stava preparando la contro-rivoluzione, avevamo subito attratto l'attenzione di Nincié, ed anche quella di Marincovié che per qualche settimana aveva sostituito Nincié al ministero degli Affari Esteri. Entrambi avevano formalmente affermato che il governo jugoslavo era estraneo ad ogni maneggio. Anzi nel novembre 1924 il signor Nincié mi aveva comunicato che Zogolli aveva ricevuto ordine di lasciare il territorio jugoslavo e di ... filare a Parigi. Il pretendente filava invece a Uscub dove la sua armata, composta di russi e di elementi albanesi del Cossovo, soggetti quindi jugoslavi, si raccoglieva e si armava.

Ai primi di dicembre del 1924, convinto che la spedizione avrebbe presto iniziato la sua marcia verso la frontiera albanese, avevo compiuto un nuovo energico passo presso Nincié ricevendo nuove smentite e nuovi affidamenti che avevo trasmesso a Roma dichiarando però che non potevo prenderli per buoni.

Il 5 o 6 dicembre il Duce giustamente preoccupato della grave scossa che un'avventura jugoslava in Albania poteva dare al Patto di Roma, aveva invitato Nincié per mio mezzo, a recarsi d'urgenza a Roma a discutervi il grave problema. Nincié aveva raccolto l'invito, ma aveva smentito ogni ingerenza jugoslava nei maneggi dei fuorusciti albanesi e 1'11 o 12 dicembre metteva la sua firma, a Roma, ad una dichiarazione italo-jugoslava impegnante i due Paesi a non ingerirsi nelle cose interne albanesi. Una settimana dopo Zogolli passava la frontiera alla testa di 2000 uomini e la vigilia di Natale giungeva a Tirana.

Il governo italiano -facevo osservare al signor Stojadinovié -avrebbe potuto denunciare la sleale condotta di Nincié. Ma desiderosi di tentare ancora di salvare il Patto di Roma, ci eravamo limitati a giocar con le sue carte e quindi, due mesi dopo, e cioè il 25 febbraio 1925 (durante la missione di cui fui incaricato in Albania) venivano conclusi con Zog, come ora si chiamava, i noti accorti di carattere economico 3 , e cioè il prestito SVEA e la fondazione della Banca d'Albania.

Nessuna mossa politica l'Italia però fece durante quasi due anni, finché in seguito alla rivoluzione dei Ducagini, fomentata nel novembre 1926 contro Zog, fu concluso il 26 novembre 1926 il Patto di sicurezza italo-albanese 4 che tanto scalpore suscitò in Jugoslavia e che diede poi luogo alle rumorose dimissioni di Nincié.

Tenevo però a ricordare che il signor Nincié il 15 gennaio del '27 (gli servivo questa data con riserva) commetteva l'imprudenza di concedere al Matin una intervista in cui ammetteva che la spedizione di Zog in Albania era stata da lui favorita, cosa che aveva negato enfaticamente due anni prima al rappresentante italiano a Belgrado e che aveva solennemente smentito al Duce, a Roma, nel convegno del dicembre 1924.

309 4 Patto di amicizia e sicurezza tra Italia e Albania del 27 novembre 1926. Testo in Trattati e convenzioni, vol. XXVI, pp. 616-617.

Stojadinovié: «Quando è stato firmato il trattato di alleanza?» 5 .

Sola: «Il 22 novembre 1927, undici giorni dopo la firma del Trattato franco-jugoslavo» 6 .

Ho aggiunto: «Come vedete nella questione albanese l'Italia non ha mai preso iniziative, si è solo limitata a reagire alle iniziative di Nincié e di Marincovié».

Stojadinovié dopo avermi ascoltato con manifesto, vivo interesse, e dopo avermi tempestato di molte altre domande che per brevità non riproduco, ha chiesto se gli permettevo di prendere nota delle varie date da me citate nella nostra conversazione. Gli ho risposto affermativamente ed egli quindi ha incolonnato, con molta precisione e con minuta calligrafia di banchiere, le seguenti date e annotazioni in francese, sul verso e sul retro di un foglio non intestato:

17 gennaio 1924: Patto di amicizia e di collaborazione italo-jugoslavo (Patto di Roma); giugno 1924: rivoluzione Fan Noli; luglio-dicembre 1924: preparativi di Ahmet Bey Zogu, e ripetuti avvertimenti dell'incaricato d'affari d'Italia a Belgrado ai sigg. Nincié e Marinkovié;

11 dicembre 1924: Nincié concorda a Roma con il Capo del governo italiano un pubblico comunicato con impegno dei due Paesi a non intervenire nelle cose albanesi.

18 dicembre 1924: A hm et Bey Zogolli passa la frontiera;

24 dicembre 1924: Zogolli entra a Tirana;

25 febbraio 1925: Accordi economici fra Italia e Albania. (A questo punto Stojadinovié mi domanda: «sono gli accordi che avete negoziati voi?» -Rispondo affermativamente. Egli allora aggiunge all'annotazione queste parole: accordi Sola-Zogu);

26 novembre 1926: Primo Trattato di Tirana (Patto di sicurezza italo-albanese) («È il trattato firmato da Aloisi?» Rispondo affermativamente); 15 gennaio 1927: Intervista di Nincié al Matin. (A questa data ho fatto però aggiungere un punto interrogativo perché la memoria può avermi tradito); 22 novembre 1927: Trattato d'alleanza italo-albanese.

Ho finito di dettare. Ma Stojadinovié non è ancora soddisfatto, non si rende conto come io nel dicembre 1924 fossi a Belgrado e nel febbraio 1925 mi trovassi in Albania. Gli spiego che fui dal Capo del governo chiamato da Belgrado nel Natale del '24 e spedito a ricevere Zogu in Albania.

-Ma voi avete avuto una seconda missione in Albania!

E vuoi sapere con precisione le date di inizio e di fine missione ed intercala quindi fra rigo e rigo, con calligrafia ancora più minuta tutte le date di inizio e di fine delle mie due missioni in Albania.

Solo ora il presidente Stojadinovié ritiene aver le sue carte in regola. Piega accuratamente lo scritto e se lo pone nel portafogli.

Convenzioni, vol. XXXVI, pp. 463-467. 309 6 Trattato di amicizia, conciliazione ed arbitrato tra il Regno Serbo-Croato-Sloveno e la Francia dell'Il novembre 1927. Testo in MARTENS, vol. XVIII, pp. 347-354.

Dall'estrema cura ch'egli ha messo nell'informarsi ho riportato l'impressione che egli si senta sotto l'accusa di Nincié di aver prestato fede all'Italia che (Nincié lo ha scritto nella sua drammatica lettera di dimissioni del 1927) avrebbe volontariamente infranto la politica di collaborazione cui egli aveva creduto. Stojadinovié ha voluto cioè essere in grado di provare, all'occorrenza, che proprio Nincié aveva mancato di spirito di collaborazione perché con la spedizione Zogolli, divenuto poi Zogu, poi Zog, aveva compromesso il Patto che Mussolini aveva firmato e a cui egli stesso, Nincié, aveva apposto la sua firma, insieme con Pasié, in quella promettente giornata romana del gennaio 1924.

Se e quanto Stojadinovié farà uso dei suo appunti non so. Ho creduto tuttavia che non bisognasse rifiutare a quest'uomo, attaccato da tante parti ma pronto a tener fronte da ogni parte, un'ampia documentazione che, all'occorrenza, può esssere per lui preziosa arma polemica.

309 2 Riferimento alla denuncia, effettuata dal governo di Belgrado nel novembre 1924, del trattato di alleanza tra Grecia e Serbia del 1° giugno 1913.

309 3 Vedi serie settima. vol. III, D. 735.

309 5 Trattato di alleanza difensiva tra Albania e Italia del 22 novembre 1927. Testo in Trattati e

310

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. 1585/202 R. Roma, 9 settembre 1937, ore 3.

Telegramma di V.E. n. 311 1• Prendo atto di quanto Generalissimo ha comunicato a V.E. Prego peraltro

V.E. di tener presente, per sua opportuna norma, che mentre governo fascista non intende almeno per il momento intervenire neppure indirettamente a favore di alcuna delle due parti, non può tuttavia trascurare il fatto che il Giappone rappresenta in Estremo Oriente e nel mondo elemento di ordine e di stabilità e barriera contro espansione comunista verso il Pacifico. Conclusione recente patto cino-sovietico2, anche se, cosa di cui è lecito dubitare, patto stesso non contenga clausole segrete, non ha potuto se non rafforzare ed intensificare simpatie italiane verso il Giappone, già nettamente delineatesi in seguito al contegno nipponico in occasione del conflitto con l'Etiopia e del riconoscimento dell'Impero.

311

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 6243/091 R. Berlino, 9 settembre 1937 (per. stesso giorno)

Nel complesso, in questi ultimi giorni, si nota una certa tendenza negli ambienti tedeschi ad avvicinarsi alla tesi giapponese nel conflitto di Estremo Oriente.

È la reazione, anche se un po' tarda, alla conclusione del trattato sino-russo. Mi risulta in proposito, da fonte che dovrei definire sicura, che il Fiihrer ha avuto, all'annunzio parole molto vivaci nei riguardi della Cina. Egli poi, come è noto, nel suo proclama dell'altro ieri al Congresso nazionalsocialista di Norimberga ha nettamente posto in risalto l'azione antibolscevica del Giappone, azione che ha tutta la simpatia della Germania.

Un altro sintomo è l'accoglienza cordiale che il Cancelliere stesso farà al principe Chichibu, fratello dell'Imperatore, giunto ieri in apparecchio a Berlino. Il principe, dopo un breve soggiorno nella Germania settentrionale, dove sono previste alcune visite e ricevimenti, si recherà, su invito del Cancelliere. a Norimberga per assistere alla fase finale del congresso.

La stampa, però, tutta presa dalle manifestazioni di Norimberga, dedica in questi giorni minore spazio al conflitto di Estremo Oriente.

310 l Vedi D. 287. 310 2 Vedi D. 254, nota l.

312

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLE AMBASCIATE DI FRANCIA E DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE. Roma. 9 settembre 1937.

l. In risposta alla nota verbale del 6 corrente 1 , il R. Ministero degli Affari Esteri ha l'onore di assicurare l'Ambasciata di S.M. Britannica (di Francia) che il Governo Fascista ha seguito e segue gli avvenimenti nel Mediterraneo con tutta l'attenzione richiesta dalla sua situazione di Grande Potenza Mediterranea, interessata in modo diretto e vitale alla sicurezza ed alla pace di quel mare. Esso aveva pertanto considerato con stato d'animo favorevole le prime notizie che gli erano pervenute circa una possibile iniziativa di una Conferenza destinata a discutere le misure appropriate per rimediare alla presente situazione. Come è noto -e quantunque una iniziativa del genere non fosse stata presa quando ebbe a verificarsi l'attacco del Leipzig con le gravi conseguenze che si conoscono -il Governo Fascista si preparava a rispondere infatti in modo affermativo alla proposta formale di convocazione della Conferenza stessa.

2. Come il Governo Britannico (Francese) sa, si è tuttavia verificato nel frattempo un fatto nuovo. L'Ambasciata Sovietica a Roma ha presentato il 6 corrente al R. Ministero degli Affari Esteri una nota2 con cui, sulla base di una cronistoria dei fatti completamente arbitraria, il Governo deli'U .R.S.S. vorrebbe rigettare sull'Italia la responsabilità di taluni siluramenti recentemente avvenuti nel Mediterraneo. Tale atto di accusa, già dall'Italia fermamente respinto, introduce all'ultimo momento un nuovo e grave elemento nella situazione e non può non modificare lo stato d'animo del Governo Fascista di fronte alla proposta Conferenza. È evidente

312 I Vedi D. 302, nota 2. 312 2 Vedi D. 302, nota 3.

374 infatti che il Governo Fascista deve rinviare ogni sua decisione in senso affermativo fino a quando l'incidente creato con l'invio della nota del Governo della

U.R.S.S. -sul cui invito alla Conferenza dovrebbero essere avanzate riserve non sia stato soddisfacentemente regolato.

3. Il Governo Fascista, vivamente animato dal desiderio di niente tralasciare di quanto possa servire a porre rimedio alla situazione esistente, si è posto, ciò nonostante, il problema del come l'iniziativa per uno scambio di conversazioni tra le Potenze interessate potrebbe avere parimenti luogo.

Dato il numero delle Potenze invitate e dato il carattere della conferenza a cui esse dovrebbero partecipare, il Governo Fascista è venuto alla conclusione che gli argomenti da trattarsi potrebbero essere adeguatamente esaminati e discussi dal Comitato di non intervento di Londra. Questo organo internazionale, nel quale tutte le Potenze invitate dai Governi Britannico e Francese sono, oramai da tempo, rappresentate, ha al suo attivo anche in questioni tecniche e navali, una esperienza che lo rende perfettamente adatto ad affrontare i problemi indicati nella nota verbale britannica (francese). Tale procedura, che eviterebbe la convocazione di una nuova speciale conferenza, mentre esiste già il Comitato di non intervento, ha anche il vantaggio di non escludere nessuna delle Grandi Potenze europee ed altre Potenze più direttamente interessate, permettendo quindi, e particolarmente, la partecipazione della Polonia e del Portogallo.

Il Governo Fascista non dubita che il Governo Britannico (Francese) si renderà conto delle ragioni che ispirano l'atteggiamento italiano, ed ha l'onore di dichiarare fin d'ora che -disposto a continuare la sua attività in seno al Comitato di non intervento di Londra -esso è pronto, d'accordo col Governo del Reich, a dare al suo Rappresentante nell'anzidetto Comitato tutte le istruzioni necessarie allo scopo.

313

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA 1 . Roma, 9 settembre 1937.

His Majesty's Government stili sincerely desire a successful outcome of the conversations contemplated between Italy and the United Kingdom, which could, they are convinced, be an invaluable contribution towards easing the situation in Europe. His Majesty's Government's attitude towards these conversations remains as explained at the end of July last by the Prime Minister to Count Grandi 2 . Mr. Chamberlain on that occasion mentioned specifically the question of Abyssinia, when, in response to an enquiry from the Italian Ambassador, he made it plain

relativo colloquio non è stata trovata documentazione ma si veda in BD, vol. XIX, D. 151 il resoconto di Ingram. 313 2 Vedi D. 110.

375 that de jure recognition could only be çontemplated if it could be described as part of a generai scheme of reconciliation which should remove anxieties and suspicions and lead to a restoration of confidence in Europe.

His Majesty's Government have already indicated that an indispensable preliminary to de jure recognition would be some move by the League of Nations in the form of a declaration that Abyssinia had ceased to be an independent State.

At the end of last July the atmosphere appeared to make it feasible that a declaration of this nature might be made by generai, if not universal, agreement. Recent events, however, in the Mediterranean3 , and the exchange of messages between the Head of the ltalian State and Generai Franco 4 , have materially changed this atmosphere, and to His Majesty's Government it is now plain that any declaration of the nature referred to above would be strongly opposed should it be proposed at the next Session of the League of Nations, and that in the United Kingdom it would indeed meet with a formidable amount of criticism.

In these circumstances, His Majesty's Government consider that the objective now to be aimed at is to reestablish the situation obtaining last July, and they sincerely hope that the Royal ltalian Government will co-operate with them at the proposed Conference at Nyon, with a view to reaching a satisfactory solution of the difficulties in the Mediterraneari.

His Majesty's Government are not, of course, in a position, should it be possible to achieve such a happy result at Nyon, to give an undertaking that the League of Nations would take steps very shortly to make a declaration of the nature mentioned. His Majesty's Government would, however, hope that they and the Royal ltalian Government might very shortly commence the conversations contemplated when the exchange of letters between the Heads of the British and ltalian Governments5 took piace. In the meantime, His Majesty's Govemment feel that it can be safely said that prospects generally would be more favourable if the proposed Conference at Nyon were able to reach a satisfactory agreement, and if no further incident should occur contrary to the spirit of the Non-intervention Agreement.

313 1 Questo promemoria fu consegnato a Ciano dall'incaricato d'affari di Gran Bretagna, Ingram. Sul

314

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1380/464. L'Aja, 9 settembre 1937 (per. il 13).

A semplice titolo di informazione credo utile riferire quanto un'alta personalità austriaca qui di passaggio mi ha confidato ieri sulla situazione politica del suo Paese.

Il ministro degli Affari Esteri avrebbe ottenuto, dopo lunghissime conversazioni serali, il consenso di Schuschnigg per intensificare, proprio in questi giorni,

313 4 Vedi D. 270. nota l. 313 5 Vedi DD. 136, allegato e 155, allegato.

376 una politica di deciso avvicinamento alla Gran Bretagna. Già la stampa controllata avrebbe ricevuto istruzioni di insistere sull'enorme peso della Gran Bretagna su ogni scacchiere politico, sulla sua potenza di oggi e su quella formidabile del 1941. Accenni in tal senso sarebbero già apparsi in molti fogli: accenni che impressionano per la loro analogia che tradisce la medesima ispirazione.

A colui che mi parlava, Guido Schmidt avrebbe detto la settimana scorsa che l'Austria, presa ormai tra due forze schiaccianti, doveva prima che fosse troppo tardi, cercare un nuovo punto d'appoggio. Doveva nel più breve tempo possibile assicurarsi la simpatia e la fiducia assoluta del governo di Londra. Senza perdere un istante si doveva lavorare al miglioramento dei rapporti austro-britannici.

Venne risposto a Schmidt che l'Inghilterra, nell'eventualità di un pericolo grave e urgente non avrebbe potuto far nulla, che meglio era continuare nella politica di intima amicizia con Roma; Mussolini era l'uomo che avrebbe mantenuto sino all'ultimo e in ogni caso le sue promesse.

Il ministro degli Esteri, sorvolando sulla questione dei rapporti italo-austriaci, accennò al peso sempre maggiore della Gran Bretagna in tutte le questioni europee, all'opera moderatrice che nei riguardi dell'Austria avrebbe potuto svolgere a Berlino, dato che Berlino presto o tardi avrebbe avuto bisogno di Londra.

Schmidt dava l'impressione di essere completamente caduto sotto l'influenza del direttore generale Hornbostel, del quale sarebbero note le idee liberali e la spinta francofilia.

A Londra le disposizioni sarebbero eccellenti. Si era già parlato a Londra e si parlerebbe a Ginevra per dissipare ogni residua ombra di malintesi. Ma il governo britannico desidererebbe assicurazioni precise. L'ex ministro Selby sarebbe stato trasferito a Lisbona (promoveatur ut amoveatur) non tanto per i suoi atteggiamenti di aperta simpatia per il duca di Windsor, quanto perché durante il periodo delle sanzioni, e dopo, aveva cercato di scusare il punto di vista austriaco e non si era dimostrato abbastanza energico nel far valere quello britannico 1•

313 3 Riferimento all'affondamento di navi effettuato da sottomarini.

315

IL COMANDANTE DEL C.T.V. IN SPAGNA, BASTICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2391. Salamanca, 9 settembre 1937.

l) Come è noto a V.E., le trattative coi baschi per la resa delle loro truppe si sono trascinate molto in lungo, a causa delle continue tergiversazioni e dei continui ritardi della parte basca, che, evidentemente, sperava (specie a causa della offensiva rossa nel settore di Madrid), di poter evitare quella resa in vista della quale aveva invocato di trattare quando, appena caduta Bilbao, la situazione sembrava disperata.

-È noto pure a V.E. che più di .una volta posi l'aut-aut, e che, solo su richiesta pressante della parte basca, acconsentii di riprendere le trattative.

314 I Il documento ha il visto di Mussolini.

Fui indotto a ciò dalle considerazioni:

-che le forze basche, per il loro numero, per la quantità dei gregari e per il loro armamento, rappresentavano una entità tale che valeva la pena, continuando le trattative, di cercare di attenerne la resa, o, quanto meno, la passività, anche se tardiva, e cioè durante la progettata offensiva su Santander;

-che, d'altra parte, malgrado alcuni atti in contrasto collo spirito delle trattative in corso (quali, per esempio l'attacco effettuato nel settore di Valmaseda contro truppe nazionali) i baschi stavano realmente concentrando il grosso delle loro forze verso est, (ossia sul fronte della brigata Frecce Nere), come avevamo loro richiesto;

-iniziatasi e sviluppatasi la nostra offensiva su Santander, la parte basca, rendendosi ormai conto della situazione reale, e delle sue conseguenze, dichiarò finalmente di accettare le modalità di resa da noi proposte.

In conseguenza il giorno 21 agosto feci consegnare ai soliti emissari (di Saint Jean de Luz) una nota1 in cui si stabiliva, come termine ultimo della effettuazione della resa, le ore 24 del giorno 24.

Questo sempre nella considerazione di cui sopra, dato che in quel momento il grosso delle truppe basche, concentrato ad est, era ancora in piena efficienza.

Il) All'alba del 24 agosto le truppe basche di prima linea del fronte est ripiegavano sui loro grossi, e la brigata Frecce Nere, per quanto il Comando dell'Esercito del Nord, dal quale dipendeva, non avesse mutato gli ordini precedenti di non avanzare, procedeva, senza incontrare resistenza, sino a contatto coi grossi predetti.

-Nelle ultime ore del giorno 24 stesso si presentavano alla prima linea della brigata suddetta gli ufficiali di S.M. baschi che, secondo il pattuito, dovevano concretare le modalità esecutive di dettaglio della resa.

(E questo l'unico atto di sapore «resa» compiuto dai baschi nei termini voluti, mentre in detti termini avrebbe dovuto compiersi l'intera resa). -Il giorno 25, dopo alcune tergiversazioni pacifiche, si arresero alla brigata avanzante diversi battaglioni.

-La notte sul 26 si presentarono, provenienti dalla città di Santofia, due dirigenti baschi, per trattare della ulteriore resa direttamente, ossia in sostituzione degli emissari di Saint Jean de Luz, ormai distanti, in ordine di spazio e di tempo.

-A costoro feci consegnare una nota2 in cui, dopo aver sommariamente elencato i ritardi, le tergiversazioni e le inadempienze da parte basca, si concludeva che la resa avveniva a discrezione, e che qualsiasi trattamento a favore dei baschi dipendeva esclusivamente dalla generosità legionaria.

-I due dirigenti risposero immediatamente con una nota 3 in cui, in base a diverse loro considerazioni rivendicavano il diritto alle condizioni antecedentemente concordate, malgrado che la resa non si fosse compiuta entro le ore 24 del 24 agosto.

A tale nota non è mai stato risposto, né per iscritto, né a voce.

-Il giorno 26 la brigata Frecce Nere occupava Santofia, dove si arrendevano undici battaglioni, mentre gli ultimi tre si presentavano, provenienti da ovest, la mattina del giorno 27.

-La resa delle truppe basche è avvenuta sempre pacificamente. Le truppe si sono presentate in rango, ufficiali in testa. I comandanti hanno presentato la nota dei loro dipendenti e delle loro armi. Hanno provveduto loro stessi alla raccolta, consegna e trasporto di esse. Hanno guidato i loro reparti, una volta disarmati, ai luoghi di concentramento da noi designati, spesso coi loro propri autocarri.

Queste modalità, l'ordine con cui furono effettuati i vari atti, e manifestazioni non isolate di simpatia per l'Italia, dimostrano all'evidenza che la resa era stata effettivamente preordinata e che la massa riteneva assolutamente che essa avvenisse nei termini stabiliti o che, guanto meno, avessero tuttora valore le condizioni originariamente pattuite.

III) A Santofì.a, oltre ai battaglioni di cui sopra, si trovava, all'atto della occupazione, un migliaio di civili baschi, che, naturalmente, una volta bloccati gli sbocchi della città, vennero a trovarsi virtualmente nelle nostre mani. Fra costoro, come risultò poi in seguito, erano compresi degli ex-dirigenti o funzionari del governo Euzkadi, degli ufficiali di grado abbastanza elevato (tra cui qualcuno di carriera), e dei cappellani militari. Insomma, gente cosiddetta «compromessa», che si era concentrata lì, insieme al grosso delle truppe, nella speranza di potersi imbarcare su piroscafi di bandiera britannica, all'uopo da tempo noleggiati, ma che non avevano pouto entrare nel porto, od uscirne, a causa del blocco dei Nazionali. In altre parole, si trattava di una parte di quei «compromessi» per cui il generalissimo Franco aveva ammesso, all'inizio delle trattative, che espatriassero sulle navi evacuanti la popolazione civile. Di costoro, 200 circa erano già imbarcati sopra uno o due piroscafi, di bandiera inglese, esistenti nel porto.

-Il giorno 27, il Comando supremo nazionale ordinava alla brigata Frecce Nere di far sbarcare colla forza le persone suddette, di perquisire le navi per accertarsi che non rimanesse nessun basco a bordo, e di lasciare quindi partire le navi stesse. Siccome non si poteva concepire che reparti legionari salissero a bordo di piroscafi battenti bandiera inglese, per compiere un'operazione di questo genere, l'ordine non venne eseguito.

-La sera dello stesso giorno, i due dirigenti baschi di cui sopra, rivendicando la applicazione, a favore dei «compromessi», delle condizioni primitive (libertà di espatrio), chiesero di poter fare partire la gente in parola. Fu loro risposto che, a parte il fatto che non si poteva più parlare di diritto alle condizioni di cui sopra, simile partenza non sarebbe risultata possibile, essendo già a Santofìa la polizia nazionale ed essendo all'imboccatura del porto delle navi da guerra pure nazionali. E venne loro consigliato, nel loro interesse, come unica via di uscita, lo sbarco spontaneo degli imbarcati, e la consegna collettiva del migliaio di persone suddette alle truppe legionarie del presidio di Santofia che avrebbero concentrato detta gente in un locale appropriato, tagliando, come per i prigionieri militari, i contatti colla popolazione e colle Autorità nazionali.

I baschi chiesero che cosa sarebbe avvenuto dopo.

Si rispose che non si era in grado di specificare che seguito avrebbe avuto la faccenda, ma che essi fidassero delle nostre generose intenzioni. -La mattina del giorno 28, infatti, su invito dei suddetti dirigenti, avvenne lo sbarco, e tutti gli individui in questione si consegnarono al nostro presidio.

Essi vennero custoditi, in Santofia stessa, da reparti totalmente italiani, mentre altri reparti, pure completamente italiani, guardavano i due grossi campi dei prigionieri militari.

IV) Dato quanto sopra, (e considerato, specialmente, che la resa si è effettuata in ritardo e quando una cattura, pacifica o cruenta, risultava ineluttabile), è chiaro che, dal punto di vista giuridico materiale, noi non eravamo e non siamo tenuti ad usare ai baschi un qualsiasi trattamento di favore. Ma le modalità colle quali si è effettuata la resa (che ne comprovano il preordinamento), e lo spirito di simpatia e di fiducia col quale la massa si è arresa, mi hanno convinto, a prescindere da qualsiasi altra considerazione, che esistesse per noi un certo obbligo morale ad applicare od ottenere per gli arresisi un trattamento generoso. (Successive manifestazioni di gratitudine dei prigionieri, plaudenti, per esempio, al passaggio di nostri reparti ed innalzanti scritte inneggianti all'Italia ed al Duce, mi hanno ribadito questo punto di vista).

-Perciò, avendo il Generalissimo frattanto dichiarato che, per essere stata la resa tardiva, non si poteva assolutamente più parlare di qualsiasi diritto da parte basca, il giorno 28 ho inviato al quartier generale il mio capo di S.M. per appurare che intenzioni reali avesse Franco a riguardo dei prigionieri. Ed il colonnello Barroso (che è, in sostanza, senza averne il titolo, il capo di S.M. di Franco) assicurò che i baschi sarebbero stati trattati con grande umanità, che non sarebbero stati perseguiti che i rei di reati comuni, e che il Comando nazionale si sarebbe certamente messo d'accordo con noi in proposito.

-In base a tale assicurazione, il giorno 4 settembre, quando il Comando nazionale chiese di sostituire con truppe spagnole quelle legionarie guardanti i prigionieri e di iniziare, coll'intervento di un nostro ufficiale superiore, il riconoscimento e la classifica dei prigionieri stessi aderii alla richiesta.

V) Senonché subito dopo, ebbi notizia che le Autorità nazionali avevano iniziato senz'altro processi a carico di prigionieri pronunciando alcune condanne a morte, (peraltro non ancora eseguite).

-Questo fatto, già di per se stesso assai grave, ed una successiva «nota» inviata dai soliti due dirigenti, il giorno 34 , nella quale, sia pure correttamente e molto velatamente ed indirettamente, si accenna al dubbio di una nostra eventuale malafede, mi hanno indotto a considerare la possibilità che i dirigenti baschi rifu

giati all'estero possano, divulgando in maniera monca le trattative, suscitare una campagna incresciosa contro di noi.

Provvedimenti radicali da parte del governo di Franco contro i prigionieri, o parte di essi, potrebbero invero non solo causare, ma dar corpo a detta campagna, alla quale, secondo me, non si potrebbe efficacemente far fronte colla divulgazione integrale -da parte nostra -delle trattative intercorse, dato che dette rettifiche non sarebbero raccolte dalla stampa straniera a noi avversa.

-È pur vero che l'ex governo di Euzkadi non avrebbe, in fondo, nessun interesse a svelare delle trattative da cui apparirebbe che esso sino dal luglio stava trattando, fra le quinte, la resa. Ma tale considerazione, se la rende meno probabile, non esclude una manovra del genere.

-Ciò posto, dopo aver comunicato il mio punto di vista a S.E. l'ambasciatore e sempre rimanendo, d'altra parte, dell'idea che qualche concessione ai baschi debba, malgrado tutto ed indipendentemente dalla questione di cui sopra, farsi ho inviato un mio incaricato, il generale Roatta, (che com'è noto, è stato quegli che per mia delega ha condotto le trattative in oggetto) dal generale Franco per prospettargli la situazione e per chiarire quali fossero i suoi intendimenti reali. Questi, ed il punto di vista di Franco, quali furono espressi al suddetto incaricato, risultano dall'annesso allegato.

VI) Stamane ho fatto comunicare al Generalissimo che prendevo atto delle sue dichiarazioni, e ringraziavo. Ma che, essendo la questione anche di indole politica, mi riservavo di riferire a V.E., chiedendo istruzioni.

Pregavo, pertanto, di non procedere ancora alla dichiarazione ufficiosa a mezzo della stampa, a cui Franco aveva accennato.

Nei riguardi degli intendimenti del Generalissimo circa il trattamento verso i prigionieri, mentre non avrei nulla da eccepire a proposito di quello verso le truppe, trovo che quello verso gli ufficiali ed i compromessi politici è discutibile. Non è detto, infatti, che il governo di Valencia accetti di scambiarli con prigionieri di guerra legionari e nazionali e con detenuti politici di fede franchista. Se poi venissero alla luce le trattative basche per la resa, è più che probabile che il governo di Valencia non vorrebbe questa gente, o che, accogliendola, eserciterebbe rappresaglie sopra una parte almeno di essa. E se allo scambio non si addivenisse, i condannati, anche sfuggendo ad una esecuzione, dovrebbero scontare, nella Spagna Nazionale, una pena più o meno lunga.

Sono perciò di avviso che l'unico sistema da adottare rispetto a questa categoria sia il permesso di espatrio, od una completa amnistia.

-Ritengo altresì conveniente che le imputazioni ed i procedimenti a carico degli imputati di reati comuni avvengano con l'intervento diretto di un nostro rappresentante, e che vengano considerati reati comuni delle azioni non identificabili con questa specie di delitti.

Ritengo che esaurita la parte tecnica del problema, esso rientri nel campo politico. E pertanto, ove l'E.V. lo creda opportuno le ulteriori trattative col Generalissimo potrebbero essere svolte dal R. ambasciatore in Salamanca, cui ho inviato in copia la presente relazione.

ALLEGATO

IL GENERALE ROATTA AL COMANDANTE DEL C.T.V., GENERALE BASTICO

lì, 8 settembre 1937.

Alle ore 17 di oggi, in presenza del maggiore Pacinotti, ho esposto al Generalissimo il nostro punto di vista circa la questione dei baschi e il trattamento che, secondo noi, si deve usare a loro, nella forma sostanziale seguente:

l) I baschi non si sono arresi nei tempi utili loro concessi. -Quando si sono arresi è indubbio che erano ormai tagliati fuori. -La notte sul 26 agosto è stato loro notificato per iscritto che la resa avveniva a discrezione. -Alla loro susseguente nota, che rivendicava le condizioni originariamente convenute, non è stato risposto né per iscritto, né a voce.

2) Dal punto di vista giuridico materiale, i baschi non hanno perciò diritto alla applicazione delle condizioni a suo tempo pattuite.

3) Tuttavia, dati i movimenti compiuti dalle truppe basche per concentrarsi verso est (in vista della resa), dato il modo come questa si è compiuta, data la fiducia dimostrata nella resa stessa della massa non responsabile dei ritardi dei capi, dato che i compromessi già imbarcati su piroscafi inglesi ne sono sbarcati su nostro consiglio e si sono arresi alle truppe Jegionarie insieme agli altri compromessi rimasti a terra a Santofia, noi riteniamo che, in linea morale, si debbono concedere ai baschi le più importanti delle condizioni già convenute. Ossia: (messi da parte i condannati o rei di delitti veramente comuni);

-non fucilare nessuno; -lasciar partire per l'estero, (magari condannandoli, esiliandoli e confiscando i loro beni), i compromessi politici e gli ufficiali di carriera; -mettere in libertà la truppa, e non costringerla a combattere coi Nazionali, tranne i volontari.

4) A parte tale nostro punto di vista, esiste il pericolo, procedendo in altro modo, che l'ex governo basco rifugiato all'estero, pubblicando, mutilate, le trattative intervenute, accusi l'Italia di una specie di tradimento che verrebbe sfruttato dai Paesi avversi, senza che nostre rettifiche ottengano lo scopo di sventare tale accusa. Orbene l'interesse del buon nome italiano è tale, dato anche l'intervento, alla origine delle trattative, del Capo del governo italiano, che occorre, a nostro parere, sorvolare su qualsiasi altra considerazione per evitare o sfruttare in antecedenza una accusa del genere.

5) Qualora tale accusa potesse essere lanciata con una par~enza di verità, eventuali trattative coi catalani sarebbero destinate a fallire con grave danno dei Nazionali stessi.

Il Generalissimo ha risposto:

a) I baschi hanno chiesto ed ottenuto condizioni di favore quando le operazioni per la conquista di Santander non erano ancora cominciate e neppure imminenti, ossia quando una loro resa avrebbe effettivamente avuto per i Nazionali una grande valore.

b) Non si sono però allora arresi; hanno, trattative durante, attaccato nel settore di Valmaseda; hanno resistito ancora durante l'offensiva su Santander.

c) Sono venuti a trattative conclusive per la resa solo quando erano già tagliati fuori, cercando affannosamente di realizzare quelle condizioni che erano state loro offerte molto prima, e che essi, fino allora, avevano col loro contegno virtualmente rifiutato. Quindi è fuori dubbio che i baschi non hanno più nessun diritto.

-Alla abbiezione: «non si tratta di discutere se i baschi abbiano o no dei diritti, ma di evitare l'aspetto di veridicità ad un'eventuale accusa da parte basca all'Italia» Franco risponde:

-Questa accusa non può essere fatta, perché negli ultimi tempi, mentre i baschi trattavano cogli italiani, trattavano anche con lui, dichiarando essi stessi di riconoscere che non avevano più diritto alle condizioni in precedenza pattuite. Infatti, in tale epoca, il ministro basco signor Leizaòla ha chiesto al maggiore Troncoso, commissario del governo nazionale alla frontiera di Irun, a quali condizioni i baschi potevano arrendersi. Egli ha fatto rispondere che ormai, date le circostanze, i baschi non potevano arrendersi che a discrezione, rimettendosi alla generosità del vincitore. Qualche giorno dopo, verso il 24-26 agosto lo stesso ministro è tornato alla carica descrivendo al Troncoso quanto avveniva tra baschi e legionari tale e quale come io lo avevo esposto a lui (Franco). Il Troncoso diede al Leizaòla la stessa risposta data in antecedenza. Ed il ministro basco ha ammesso che ormai la parte basca non aveva più nessun diritto, e che la resa non poteva perciò considerarsi che a discrezione. Ed, in presenza del Troncoso, diede ordine affinché gli elementi baschi di Santona si arrendessero senz'altro. Il mancato diritto alla esplicazione delle condizioni anzi pattuite, e la constatazione che la resa avveniva a discrezione, risultano dunque così ammessi dalla parte basca, la quale, fra l'altro, ha anche commesso l'indelicatezza di trattare contemporaneamente, in articulo martis, con rappresentanti di due enti diversi.

-Tuttavia egli (Franco) rendendosi conto delle ragioni che inducono ad evitare una accusa, o la verosimiglianza di una accusa all'Italia ha già disposto, con ordini dati alle autorità dipendenti, per un trattamento generoso verso i baschi.

Questi ordini sono:

-Condannati od imputati di delitti veramente comuni: procedimento ordinario.

-Truppa divisa in tre categorie:

prima -individui non soggetti per età ad obblighi militari, in libertà; seconda -individui soggetti per età ad obblighi militari: i volontari incorporati nell'Esercito Nazionale, i rimanenti organizzati in battaglioni di lavoratori od impiegati, a seconda della loro specialità, in fabbriche e simili; terza -individui pericolosi: messi in campi di concentramento; in seguito ad ulteriori accertamenti una parte sarà poi trattata come le categorie precedenti.

-Ufficiali e compromessi:

Non avranno condanne capitali. Saranno scambiati con prigionieri nazionali o legionari in mano dei Rossi, e con quei civili nazionali che i Rossi hanno imprigionato come detenuti politici. Questo scambio equivale praticamente ad una messa in libertà.

All'idea da me prospettata di lasciar partire la gente di questa ultima categoria sopra piroscafi stranieri, che, una volta in alto mare, potrebbero essere catturati da navi da guerra nazionali (col che si salverebbe la faccia), Franco risponde che il procedimento non può attuarsi, sia perché la classifica dei prigionieri è già iniziata (se ne sono già classificati 10.000), sia perché i piroscafi verrebbero certamente presi sotto scorta da navi da guerra inglesi, impedendo la cattura.

Obiettai che il trattamento descritto dal Generalissimo (sul quale avrei riferito) potrebbe bensì essere interpretato come una manifestazione di generosità del governo nazionale, ma che non eliminava il fatto che gente arresasi alle truppe legionarie era stata da queste consegnate alle Autorità nazionali, contrariamente non al diritto da parte basca, ma a ciò che i baschi potrebbero sia pure in malafede invocare come un diritto.

Occorrerebbe perciò almeno, a mio avviso, una dichiarazione di pubblico dominio da cui apparisca ben chiaramente che la generosità di cui sopra viene esercitata in seguito ad una richiesta italiana, e che è in base alla garanzia dell'applicazione della suddetta generosità che la consegna dei prigionieri è avvenuta.

Franco risponde che non ha nulla in contrario.

Su mia richiesta, dice che la dichiarazione potrebbe essere fatta a mezzo della stampa nazionale, in forma ufficiosa. -Infine ho chiesto al Generalissimo di voler precisare come intendeva il nostro intervento nelle pratiche riguardanti la sorte dei singoli prigionieri. Franco rispose che il nostro rappresentante è parte della commissione di classifica. Avendo io, allora, domandato se un nostro rappresentante non potesse presenziare i processi dei processabili, Franco rispose essere ben lieto che assista, senza però far parte del corpo giudicante.

Ho comunicato al Generalissimo che avrei riferito a V.E. tutto quanto sopra5 .

315 1 Vedi D. 241, allegato 2. 315 2 Vedi D. 251, allegato l. 315 3 Vedi D. 251, allegato 2.

315 4 In una lettera al generale Roatta del 3 settembre, gli incaricati baschi avevano espresso la loro viva preoccupazione per il fatto che, dopo essere sbarcati dalle navi britanniche che dovevano portarli in salvo (alle quali la flotta nazionale aveva impedito di lasciare il porto di Bilbao) per consegnarsi alle truppe italiane nella convinzione di essere poi trasferiti in Francia, erano stati invece tenuti prigionieri e abbandonati senza notizie circa il loro futuro. Il documento è nell'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

316

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6277/377 R. Ginevra, 10 settembre 1937, ore 13,45 (per. ore 15,15).

S.E. Pilotti comunica quanto segue.

Avena! mi ha parlato della Conferenza mediterranea. Egli mi ha fatto parte del risentimento provato dal Quai d'Orsay in seguito all'inconsulto gesto del governo sovietico 1 , confermandomi che tale gesto era stato fatto senza preavvertire in alcun modo, né il governo francese, né quello inglese. Secondo A venol, i russi sono ajfolés di fronte al continuo indebolirsi delle loro posizioni così militari che diplomatiche. Non vi è dubbio che la protesta a Roma è stata decisa appunto per silurare la Conferenza mediterranea e nel timore che Italia e Inghilterra, incontrandosi a Nyon, potessero mettersi d'accordo anche su alte questioni e concertarsi colà con la Germania e la Francia. La responsabilità della crisi è quindi d'attribuirsi senza riserve all'atteggiamento tendenzioso di Mosca. D'altra parte, egli si rendeva conto della reazione italiana e mi ha detto di apprezzare il tono conciliante della risposta di Roma a Parigi e a Londra 2 e le proposte costruttive in essa contenute.

Avena!, in quest'occasione, come in altri miei precedenti colloqui sullo stesso argomento, si è mostrato molto riservato circa la questione etiopica, ciò che si spiega dopo gli avvenimenti dell'Assemblea dell'anno scorso. Mi ha detto che, nel suo viaggio nei Paesi baltici, non ha avuto occasione riscontrare intenzioni bene determinate da parte di quei Paesi nei riguardi della questione stessa. Per quanto

315 s Il documento ha il visto di Mussolini. 316 1 Si riferisce alle note sovietiche al governo italiano del 6 e dell'S settembre precedenti (vedi D. 302, nota 3). 316 2 Vedi D. 312.

384 riguarda Francia e Inghilterra, egli ritiene che avrebbero profittato della riunione di Nyon per esaminare la possibilità di soluzione. Per ora, non gli risulta che altri governi intendano prendere iniziative.

Dal canto suo, Walters, di ritorno da Londra, ha confermato che il governo britannico preferisce riservare alle sue trattative dirette con l'Italia la moneta di scambio del riconoscimento dell'Impero.

317

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6312/323 R. Shanghai, 10 settembre 1937, ore 18 (per. ore 5,30 dell'li).

Mio telegramma n. 307 1•

Il generale 2 è partito ieri sera per Hong Kong dove raggiungerà S.E. de Stefani. Egli è anche latore di una lettera per V.E. dell'ex ministro dell'Industria K. P. Chen, attualmente ministro Educazione Popolare e capo Ufficio Propaganda presso Comando Supremo il quale mi dice essere stato in rapporti amichevoli con V.E.

Lettera contiene assicurazioni circa Patto cino-sovietico che non sarebbe alleanza di qualsiasi sorta, mentre Cina conserva libertà di concludere patto analogo anche con Giappone e non desidera penetrazione comunismo nel proprio Paese.

Si esprime speranza che V.E. vorrà continuare a dare appoggio morale e materiale alla Cina, e si augura che vorrà usare la sua influ~nza col Giappone per indurlo a modificare la sua politica verso la Cina, disposta alla pace ma non alla resa a discrezione.

318

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6302/388 R. Ginevra, 10 settembre 1937, ore 23,30.

Nella seduta privata della Conferenza di Nyon 1 la proposta iniziale preparata dall'Ammiragliato britannico di organizzare un sistema di scorte ai convogli di navi mercantili è stata scartata perché considerata ineseguibile. Comitato ha lungamente discusso ed ha finito per accettare nelle linee generali un altro piano

317 2 Generale Chang Pei-li. 318 l Il verbale della prima seduta della Conferenza di Nyon è pubblicato in DDF, vol. VI, D. 423.

secondo il quale il Mediterraneo verrà diviso in zone di sicurezza mentre verranno stabilite delle rotte obbligate che verranno sorvegliate da pattuglie marittime organizzate dalle Marine disposte a fornire il loro concorso. Le prime difficoltà sono sorte precisamente quando si è trattato di determinare quali dovranno essere queste Marine.

Secondo il piano franco-inglese, il Mediterraneo verrebbe diviso in due grandi zone di sicurezza; all'ovest di Malta opererebbero le pattuglie franco-inglesi. Sulla zona ad est tanto Litvinov che Riistii Aras hanno dichiarato che erano pronti a fornire la loro collaborazione. Gli inglesi hanno capito la gravità del proposito sovietico e per prendere tempo hanno sospeso la seduta e deciso di riunire stanotte stessa gli esperti anche perché, come ho comunicato con mio telegramma precedente2, i rappresentanti dei piccoli Stati desideravano ottenere altri chiarimenti.

Secondo quanto hanno dichiarato gli inglesi, il progetto, una volta definitivo, verrebbe inviato all'Italia ed alla Germania con invito a partecipare al sistema di controllo adottato.

Alla delegazione francese si dimostrava stasera una certa preoccupazione per il fatto che col progetto in esame il problema della presenza della flotta sovietica nel Mediterraneo è posto in pieno sul tappeto.

Segnalo che durante la discussione del progetto Nyon, Riistii Aras ha sempre vivamente appoggiato le richieste e le tesi del delegato sovietico. Riservomi fornire altri dettagli sulla discussione odierna.

317 l Vedi D. 298.

319

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6376/094 R. Berlino, 10 settembre 1937 (per. il 13).

Mi riferisco al telegramma deii'E.V. n. 327 del 6 u.s. 1 ed alle mie precedenti comunicazioni.

Le voci che gli ufficiali tedeschi che formano il gruppo dei «consiglieri» militari del governo di Nanchino, continuino a prendere parte, più o meno attiva, alle operazioni, circolano, come è noto, con insistenza.

Naturalmente, come ho avuto occasione di ripetutamente riferire, il ministero degli Affari Esteri ed il ministero della Guerra del Reich, insistono nel dichiarare che, all'inizio del conflitto cino-giapponese, vennero inviate all'ambasciata tedesca a Nanchino, al generale von Falkenhausen ed ai suoi collaboratori, precise istruzioni di astenersi dal guidare operazioni militari. Quegli ufficiali però vennero autorizzati a rimanere sul posto.

319 I T. 1556/327 R. del 6 settembre. Ciano aveva telegrafato che secondo notizie di fonte sicura tra smesse dall'ambasciata a Tokio [con T. 6097/366 R. del 4 settembre] le ultime operazioni cinesi a Shan ghai erano state dirette da ufficiali tedeschi ed aveva chiesto che cosa risultasse in proposito a Berlino.

Ora, di fronte alle voci alle quali ho sopra accennato ed a taluni malumori giapponesi, il governo tedesco ha ritenuto opportuno pubblicare un comunicato che dice esattamente così: «Nella stampa straniera vengono continuamente pubblicate notizie tendenziose, secondo le quali delle missioni militari tedesche si trovano all'estero ed esercitano ogni possibile influsso sugli avvenimenti attuali. Appare necessario mettere bene in chiaro che la Germania non ha alcuna missione militare in nessun Paese del mondo. È invece esatto che vari Stati stranieri cercano di fare uso delle esperienze militari di alcuni antichi ufficiali tedeschi ed a questo scopo li hanno presi in servizio con contratti privati. Questi antichi ufficiali agiscono, allorché conchiudono contratti di tale natura, di loro pura iniziativa e sotto la loro sola responsabilità, senza che in nulla entrino le autorità ufficiali tedesche».

Con questo comunicato il governo tedesco intende dichiarare del tutto personale l'azione eventuale di quei consiglieri militari in Cina, denominati «antichi ufficiali». Nella realtà, secondo quanto anche mi conferma questo R. addetto militare, talune autorità militari tedesche non vedono di cattivo occhio che le posizioni acquisite presso l'esercito cinese ed in generale presso il governo di Nanchino, non vadano interamente perdute a causa dell'attuale conflitto.

318 2 T. 6201/387 R. del IO settembre, non pubblicato.

320

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 11023/177 P.R. Budapest, 11 settembre 1937, ore 1,30 (per. ore 9).

Telegramma di V.E. per corriere n. 13549 1•

Come nelle precedenti occasioni, in speciale modo ieri ho avuto modo, parlando in assenza di Apor a questo direttore degli Affari Politici delle trattative di Sinaia, di mettere in evidenza l'azione amichevole ed efficace svolta dal ministro Sola, precedentemente e durante le trattative stesse, valendomi a tal fine principalmente dei seguenti argomenti sui quali ho riferito all'E.V. con mio telegramma per corriere n. 0181 del 9 settembre 2 :

l) L'avvenuta presa di contatti fra Piccola Intesa e Ungheria non può essere comunque considerata individualmente successo per quest'ultima: l'Ungheria ha

dato indiscutibili prove di buona volontà, e vede aperto un negoziato che già praticamente la pone su di un piede di parità;

2) È stata ammessa comunque dalla Piccola Intesa la possibilità di migliorare (contrariamente a quanto finora sempre sostenuto) il trattamento delle minoranze ungheresi: mentre invece una dichiarazione unilaterale di parità di diritti da parte Ungheria ne avrebbe immediatamente aggravata la situazione;

3) La mediazione italiana era stata tanto più efficace in quanto era naturalmente apparsa come scaturita dagli amichevoli rapporti itala-ungheresi e non inspirata da altri particolari interessi. Nel comunicarmi quanto ho riferito a parte con telegramma per corriere n. O181, Bessenyei mi assicurò che il governo ungherese si era perfettamente reso conto del valore della nostra mediazione. Ricevuto stamane il telegramma di V.E. n. 1823 , e avendo avuto occasione di rivedere Bessenyei (che salutavo prima della sua partenza per Ginevra) ho nuovamente portato il discorso sulle trattative di Sinaia, esprimendomi nel senso del telegramma di V.E. suddetto.

Bessenyei mi ha detto che avrebbe subito informato Kanya e che poteva confermarmi intanto il vivissimo apprezzamento del governo ungherese per la mediazione italiana, concludendo col dirmi che l'Italia non avrebbe potuto far di più. Circa le trattative, nulla vi era di nuovo.

Antonescu stava studiando le richieste ungheresi sulla base documenti trasmessi a V.E. dalla R. legazione a Bucarest con telespresso n. 655 del 2 corrente4 e il negoziato sarebbe stato ripreso a Ginevra. L'Ungheria non aveva pertanto speciali richieste da formulare, per il momento, al governo italiano: non appena sarà conosciuta a Ginevra la linea di azione adottata dalla Piccola Intesa nei riguardi dell'Ungheria potrà essere richiesto l'appoggio italiano manifesto e nei limiti che ora V.E. potrà definire. Bessenyei ha concluso ringraziandomi vivamente per la comunicazione fattagli a nome della E.V., e mi ha detto che di ogni eventuale richiesta sarei stato immediatamente informato.

320 l T. per corriere 13549 P.R. del 3 settembre. Ritrasmetteva il D. 265. 320 2 T. per corriere 6373/0181 R. del 9 settembre con il quale l'incaricato d'affari, Formentini, aveva riferito su un colloquio avuto con il direttore degli Affari Politici, Bessenyei, al quale aveva fatto rilevare che «l'avvenuta presa di contatto fra Ungheria e Piccola Intesa, anche se non poteva dirsi che apparenti risultati conclusivi fossero stati ottenuti, non poteva rappresentare, di per se stessa, che un successo per l'Ungheria. La Piccola Intesa, infatti, accettando di porre in discussione problemi circa i quali si era mostrata sempre intransigente, aveva posto automaticamente l'Ungheria sopra un piede di parità e, ammettendo inoltre il principio di poter concedere un migliore trattamento alle minoranze, smentiva la tesi, sempre sostenuta prima, che esse avessero avuto un trattamento analogo a quello degli altri cittadini. Se, d'altra parte, l'Ungheria si fosse irrigidita sul principio di affermare semplicemente il diritto alla parità, ciò, in ultima analisi, non avrebbe potuto che avere ripercussioni gravemente sfavorevoli nei riguardi delle minoranze».

321

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6319/390 R. Ginevra, 11 settembre 1937, ore 13,45.

Purié, primo delegato jugoslavo, mi ha detto che iersera aveva voluto sondare Eden e Delbos circa le loro disposizioni relative ad una possibile soluzione della

no ungherese su l'azione svolta dal ministro Sola in occasione dell'incontro di Sinaia ed aveva chiesto di fargli conoscere «eventuali osservazioni in proposito, nonché eventuali richieste in merito a questioni interessanti l'Ungheria e per il loro migliore seguito». 320 4 Vedi D. 272, nota 4.

questione etiopica. Delbos gli aveva detto che sarebbe stato lieto di vedere tale questione risolta se l'Italia avesse dato sintomi di volere collaborare sinceramente con la Francia e l'Inghilterra. Ma i sintomi di questi ultimi tempi erano in senso perfettamente contrario. Non vedeva quindi facile una soluzione del problema. Eden ha detto a sua volta a Purié che egli aveva esaminato con Grandi tutta la situazione europea e che quindi il governo italiano era più o meno al corrente del punto di vista inglese: ma il fatto che l'Italia non fosse venuta a Nyon non era destinato a facilitare le cose.

Purié ha avuto netta l'impressione che, tanto Eden che Delbos, fossero molto irritati per il fatto che l'Italia non sia venuta a Nyon dove avrebbero voluto intavolare conversazioni dirette con V.E., conversazioni che dovevano costituire nel loro spirito il preludio ad ogni possibile cooperazione. Secondo Purié, questa Conferenza, indetta espressamente a Nyon per farvi venire italiani e tedeschi che non sono venuti, ha messo in presenza due forti delegazioni francese e inglese, munite di un largo stuolo di esperti, con i piccoli Stati balcanici, i quali hanno dovuto confessare di non avere i mezzi per associarsi alla politica del Mediterraneo e non hanno nascosto le loro preoccupazioni per un eventuale nuovo rifiuto dell'Italia e per la presenza di navi sovietiche nel Mediterraneo, la quale può essere fonte di gravi incidenti, e ha finito con irritare i due uomini di Stato. Entrambi, almeno ieri, non avevano certo disposizioni d'animo molto favorevoli per risolvere la questione etiopica. Secondo Purié, qualora l'Italia rifiutasse di accettare ora il piano della Conferenza mediterranea ogni ulteriore possibilità di varare una soluzione della questione etiopica in sede di assemblea verrebbe gravemente compromessa. Egli si permetteva perciò, come sincero amico e nell'interesse della cooperazione europea di suggerire, qualora V.E. avesse voluto prendere in benevola considerazione tale suggerimento, che il governo fascista facesse un gesto qualsiasi destinato a favorire una possibile collaborazione con Parigi e Londra. Evidentemente Purié «con gesto qualsiasi» intendeva accettazione eventuale del piano mediterraneo.

Ho detto a Purié che lo ringraziavo delle informazioni fornitemi e delle buone intenzioni manifestatemi. Siccome egli aveva insistito sul fatto che se l'Italia fosse intervenuta a Nyon un'intesa avrebbe potuto facilmente essere raggiunta con la Francia e l'Inghilterra non solo sulla questione del Mediterraneo ma anche sulla questione etiopica, gli ho precisato che la responsabilità della nostra assenza non risaliva a Roma. Il governo fascista era pronto ad intervenire alla Conferenza e mantenne questa decisione anche dopo la prima nota sovietica 1• Ma l'insistenza sfacciata dal governo di Mosca manifestatasi in una seconda nota2 aveva fatto comprendere a Roma che il governo bolscevico si sarebbe proposto -come è infatti accaduto -di intentare un processo clamoroso contro l'Italia a Nyon e ciò con fini ben noti e precisi. Il governo fascista non poteva prestarsi a un simile gioco. Ora l'avamprogetto britannico prevedeva di far entrare le navi sovietiche nel Mediterraneo per esercitarvi una azione di polizia e forse per proteggere meglio il copioso contrabbando di guerra

321 I Del 6 settembre. Vedi D. 302, nota 3. 321 2 De11'8 settembre. Si veda ibid.

389 che proveniva dai porti del Mar Nero con destinazione alla Spagna Rossa. Non mi sembrava che questo costituisse un preludio atto a far accettare con entusiasmo il piano all'Italia, piano che, comunque, veniva redatto, emendato e perfezionato nella nostra assenza. Gli si affidava una zona con la comminatoria che se non accettavamo, il piano sarebbe stato varato lo stesso e le flotte francese ed inglese avrebbero assicurato loro la sicurezza anche nel nostro mare. Si voleva creare infine con ricordo a precedenti molto sgraditi al governo di Roma, una solidarietà navale, tra le Potenze mediterranee anche in nostra assenza, cosa che avrebbe fatto il buon gioco di Londra e Parigi ma soprattutto di Mosca. Nello stesso tempo le indicazioni che egli mi dava sugli umori di Delbos e di Eden relativamente alla questione etiopica non mi sembravano destinati a favorire gesti molto amichevoli da parte di Roma. Mi rendevo conto del disappunto che Eden e Delbos avevano provato davanti al rifiuto di Roma e Berlino, ma noi non eravamo affatto responsabili della situazione che si era venuta determinando.

D'altra parte, se Eden e Delbos avessero tenuto fermo un atteggiamento ostile di fronte al problema etiopico, diveniva superfluo che in così cordiale collaborazione da vari delegati si cercasse una formula per uscire dall'impasse dei veti societari e si coordinassero gli sforzi e le buone volontà intese veramente a lavorare per la causa comune della pace.

Purié ha insistito nel pregarmi di rappresentare con molta serenità la situazione a Roma dato che tale situazione muta qui rapidamente secondo il più trito costume parlamentare e quello che sembra difficile oggi può divenire a Ginevra facile domani solo che la romana e forte e ormai conosciuta calma del governo fascista continui a dar prove della sua buona volontà.

Ho assicurato Purié che avrei fedelmente riferito le sue e le mie impressioni sulla situazione alla giornata di oggi.

320 3 Con T. 1595/182 R. del IO settembre, Ciano aveva incaricato di richiamare l'attenzione del gover

322

IL MINISTRO A BERNA, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6341/117 R. Berna, 11 settembre 1937, ore 15,15 (per. ore 17,30).

Ho parlato stamane con Motta conforme alle istruzioni di V.E. 1 .

Egli mi ha detto che Consiglio Federale gli ha vivamente raccomandato, con riguardo alla situazione interna 2 , di tenersi molto riservato a Ginevra e di non prendere nessuna iniziativa.

Mi ha assicurato però e mi ha autorizzato a dire a V.E., che se egli vedesse sorgere d'altra parte una iniziativa per eliminare questione etiopica da Ginevra e si

322 2 Con T. per corriere 6015/077 R. del 31 agosto, il ministro Tamaro aveva riferito su i durissimi attacchi di cui era oggetto da parte delle sinistre l'onorevole Motta, accusato di fare una politica favo revole alle Potenze fasciste per avere accettato un rappresentante del generale Franco a Berna.

390 convincesse che tale iniziativa è seria, concreta ed ha probabilità di successo, chiederebbe al Consiglio Federale autorizzazione a sostenerla e non dubita a che autorizzazione gli sarebbe concessa. Non appoggerebbe una azione insufficientemente fondata perché egli è convinto che un insuccesso peggiorerebbe situazione.

Telegrafato Ginevra.

322 l Vedi D. 286.

323

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6335/402 R. Ginevra, 11 settembre 1937, ore 23.

Impressione generale di questa sera è che la Russia abbia incassato una solenne sconfitta. Tale impressione è riconfermata dai fatti. Durante la discussione di oggi a Nyon 1 , Litvinov ha avanzato numerose proposte che sono state tutte respinte da Eden, da Delbos e, con particolare decisione, dall'ammiraglio inglese lord Chatfield, il quale ha dichiarato che le proposte sovietiche miravano a scatenare un conflitto nel Mediterraneo e che la Gran Bretagna non era disposta a seguirla su questa via. D'altra parte, la riunione degli Stati balcanici di ieri sera e stamane deve essere considerata come una netta presa di posizione antisovietica alla quale si è associato anche Aras. Quest'ultimo mi si dice che abbia manovrato abilmente dando ieri per ragioni tattiche l'impressione appoggiare in pieno i Soviet e solidarizzandosi oggi con gli altri Stati balcanici preoccupato in fondo anche lui di trovarsi la flotta sovietica al di qua e al di là degli Stretti.

Alla fine della discussione di oggi solo russi e turchi hanno riservato la definitiva adesione dei loro governi al progetto. Delbos, chiudendosi la Conferenza, ha tenuto un discorso affermando che l'opera svolta dagli Stati convenuti a Nyon non era diretta contro nessuno e che sperava sarebbe stata utile anche agli assenti. Lo stesso Delbos ricevendo stasera la stampa ha dichiarato che il Mediterraneo è un mare di tutti; che la polizia navale sarà fatta da 60 «caccia» di cui 35 inglesi e 25 francesi; e che la Conferenza doveva considerarsi come una manifestazione importante della sicurezza collettiva; che il testo dell'accordo sarà trasmesso a Roma prima della firma; che esso concerne solo i sottomarini; quanto agli aeroplani e alle navi di superficie si discuterà più tardi. Delbos ha messo in rilievo che ciascuna Marina nazionale avrà diritto di affondare i sottomarini che, pur conformandosi al Trattato di Londra2 , attaccassero una nave della propria bandiera nelle proprie acque territoriali. Delbos ha sottolineato infine in maniera energica che il problema risolto a Nyon riguarda solo le Potenze mediterranee per evidenti ragioni di congiunzione [sic] e per evidenti ragioni di

323 I Il verbale della seconda seduta della Conferenza di Nyon è pubblicato in DDF, vol. VI, D. 426. 323 2 Vedi D. 278, nota 3.

391 politica interna. Ha fatto capire che i Soviet erano stati esclusi per poter escludere la Germania. Ma facendo quest'ultima dichiarazione aveva dimenticato il progetto di ieri 3 .

324

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 11094/096 R. Berlino, 11 settembre 1937 (per. il 13 ).

Mi riferisco al telegramma della E.V. 325 del 4 u.s. 1 ed al mio telegramma per corriere 092 del u.s. 2 .

Questo R. addetto aeronautico ha avuto ieri una conversazione con il Segretario di Stato del ministero dell'Aeronautica del Reich, generale Milch, circa le voci relative a forniture militari tedesche per il governo di Nanchino. Il generale Milch, pur accennando alla circostanza che la Germania è estranea al conflitto di Estremo Oriente, ha aggiunto che senza dubbio le simpatie tedesche vanno verso il Giappone. Sono state così sospese tutte le forniture di materiale bellico che erano previste per la Cina.

Data questa precisa dichiarazione dell'elemento maggiormente competente, dovrei ritenere che la notizia di una fornitura di 100 aeroplani da bombardamento tedeschi al governo di Nanchino sia priva di fondamento.

325

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6321/2269. Parigi, 11 settembre 1937 (per. il 13 ).

L'onorevole Daladier ha pronunziato ieri 10 settembre un importante discorso di politica estera ed interna -del quale trasmetto il testo in allegato' -dinanzi al Comitato esecutivo del Partito Radicale Socialista, riunitosi per fissare la condotta del partito in occasione delle prossime elezioni cantonali del l O e 17 ottobre p.v.

324 1 Con T. 13598/325 P.R. del 4 settembre, Ciano aveva chiesto di controllare le voci-che circola vano negli ambienti industriali italiani -circa una fornitura alla Cina di cento aerei da bombardamen to fabbricati in Germania e pagati in contanti. 324 2 T. per corriere 6250/092 R. del 9 settembre. Comunicava che le indagini effettuate dall'addetto aeronautico circa la vendita di aerei tedeschi alla Cina non avevano avuto esito. 325 1 Non pubblicato.

Le dichiarazioni di Daladier meritano particolare rilievo, dato l'ascendente che il ministro della Difesa Nazionale, che è anche presidente del Partito Radicale Socialista, possiede in seno al partito e nello stesso Paese, ove è considerato l'avversario più risoluto del comunismo.

Dopo avere evitato di pronunziare, sul terreno della politica interna, parole troppo sgradevoli verso i socialisti e i comunisti, mostrando una moderazione che non è priva di significato nell'approssimarsi delle elezioni cantonali ove i radicali corrono i più gravi rischi, l'onorevole Daladier ha fatto interessanti accenni alla situazione internazionale.

Parlando delle complicazioni provocate dalla crisi spagnola, egli ha deplorato i siluramenti avvenuti nel Mediterraneo, ha riaffermato la volontà di pace della Francia ma ha aggiunto:

«Ciò non vuoi dire che nel momento presente, noi dobbiamo restare ciechi dinanzi ad imprese che avrebbero per effetto di colpire gravemente gli interessi essenziali e la sicurezza stessa del nostro Paese. Quale che sia il nostro desiderio reale e sincero di restare fedeli alla politica di non intervento noi non sapremmo ammettere che essa divenga un'insidia e che conduca, in realtà, alla distruzione delle libertà delle nostre comunicazioni con il nostro Impero africano o a creare una minaccia sulla nostra frontiera dei Pirenei. Nella vita di un popolo risoluto a mantenere la propria grandezza, vi sono delle ore nelle quali bisogna dire "no".

Tutti questi avvenimenti drammatici devono rafforzare la nostra volontà di portare al suo più alto grado di efficienza la nostra difesa nazionale. In un'epoca nella quale risuona di nuovo nel mondo la dura parola: "guai ai deboli!", bisogna che la Francia dia lo spettacolo di un popolo fiero, unito e forte, pronto ad assicurare esso stesso la sua indipendenza e la sua libertà. Partito democratico e nazionale il partito radical-socialista non deve mai cessare di fare appello a questa volontà profonda del nostro popolo di non rassegnarsi mai alla pace della servitù.

Per parte mia non esiterò a difendere queste idee alle prossime elezioni cantonali».

Le affermazioni di Daladier vanno utilmente raffrontate con il discorso tenuto dall'onorevole Blum a Vézily il 7 corrente. Parlando in una riunione organizzata dalla federazione socialista di Seine et Oise, l'ex presidente del Consiglio dedicò l'intero suo discorso alla situazione internazionale, rilevando -tra l'altro -il carattere «pubblico» dell'intervento italiano nella guerra civile spagnola e dichiarando:

«Questa situazione non giustilìcabile, né tollerabile, che non potrebbe certo perdurare, pone delle responsabilità più pesanti e dei doveri più gravi che mai dinanzi ad un governo animato dalla più ardente volontà di pace e avente l'obbligo di tutelare gli interessi della Francia».

Sul terreno della politica estera sembra dunque che la distanza che finora separava i radicali, fautori di un non intervento rigoroso e assoluto, dai socialisti e comunisti, sostenitori della necessità di «riconsiderare» l'atteggiamento della Francia di fronte alla crisi spagnola, si sia notevolmente ridotta.

Il prevalere, nelle fila radicali, di questo nuovo stato d'animo, dimostra che i radicali non vogliono lasciare ai loro associati di estrema-sinistra il merito di apparire come i difensori dei presunti interessi della Francia e che profitteranno della campagna elettorale per le prossime elezioni cantonali per rivendicare al proprio partito la tutela degli interessi francesi.

Comunque, le dichiarazioni di Daladier sono state riprodotte con compiacimento dalla stampa francese di sinistra, di centro e, in parte, di destra che vuole vedere nell'uniformità di atteggiamento dei radicali e dei socialisti di fronte alla crisi spagnola e alla questione mediterranea un sintomo della concordia nazionale che si determina in Francia allorché sono in gioco interessi vitali del Paese.

323 3 Vedi D. 318.

326

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6351/404 R. Ginevra, 12 settembre 1937, ore 9,50.

Il principale artefice del fallimento del primo progetto navale che prevedeva l'ingresso della flotta sovietica nel Mediterraneo 1 è stato Purié; è lui che aveva convocato ieri mattina presso di sé i delegati balcanici. Un'ora prima della riunione avevo avuto una lunga conversazione con Purié e non avevo mancato di fargli presente -come ho comunicato a V.E. col mio telegramma n. 3902 ieri mattina -che l'Italia non avrebbe accettato un piano del genere.

Purié ha esposto ai delegati greco, turco e romeno questo punto di vista; ha trovato il consenso degli altri relativamente al pericolo grave di complicazioni che potevano sorgere per la presenza dei sovietici nel Mediterraneo e alla colazione offerta ieri mattina stessa da Delbos a tutti i delegati ha fatto capire a Delbos e a Eden che, sondato il punto di vista italiano e quello dei colleghi balcanici, doveva dedurre che il piano era inaccettabile. Si è così passati nel pomeriggio alla discussione ed alla approvazione del secondo progetto che trasmetto con fonogramma a parte 3 .

Ho ringraziato Purié del suo atteggiamento.

327

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. 1596/198 R. 1 Roma, 12 settembre 1937, ore 19,30.

Dica a Stojadinovié che abbiamo altamente apprezzato il contegno della Jugolavia a Nyon.

D. 427. 327 l Minuta autografa.

326 l Vedi D. 318. 326 2 Vedi D. 321. 326 3 Non pubblicato. Il testo dell'accordo è pubblicato in BD., vol. XIX, D. 156 e in DDF, vol. VI,

328

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6402/428 R. Ginevra, 13 settembre 1937, ore 21.

Sono note a V.E. le difficoltà che esistono per trovare delle formule che possano essere approvate dall'Assemblea per quanto si riferisce alla questione etiopica. Le difficoltà derivano dal fatto che se si offre l'occasione ai nostri avversari di sollevare un dibattito in seno all'Assemblea, molti Stati, anche di quelli che sono legati a noi da particolare amicizia devono uniformare i loro atteggiamenti agli impegni cui sono legati, alle dottrine politiche che li vincolano e qualche volta alle particolari delicate situazioni geo-politiche in cui si trovano.

Dai numerosi contatti che ho avuto in questi giorni ho tratto l'impressione che è estremamente difficile che l'Assemblea possa votare un atto di morte puro e semplice dell'Etiopia. Anche se si tratterà di «emettere il voto» che essa registri in qualsivoglia modo tale decesso, o quanto meno lo constati, ci saranno sempre quegli che solleveranno delle eccezioni e che obbligheranno l'Assemblea a un dibattito. E una volta che entri in materia di principio e tenendolo in gioco la Dottrina Stimson e il Patto Saavedra Lamas 1 e quello Briand Kellog, ecc. è difficile vedere a Ginevra in seno alla Società atteggiamenti veramente coraggiosi e realisti

ci. Un dibattito che si risolvesse in una votazione con moltissimi astenuti e con una maggioranza leggerissima non potrebbe essere di gradimento per il governo fascista.

Bourquin, giurista belga, mi ha chiesto se non convenga rovesciare i termini del problema, fare in modo che il voto che l'Assemblea dovrebbe emettere (e si dice voto perché è il solo che possa essere adottato a maggioranza mentre per una deliberazione occorre l'unanimità) concerna il ritorno dell'Italia a Ginevra, visto che sono eliminati ormai dubbi che esistevano circa la esistenza di uno Stato etiopico. Egli avrebbe perciò studiato una formula che potrei fare sostenere dalle delegazioni amiche dopo essermi assicurato: l) che Francia e Inghilterra sono disposte ad appoggiarla e a farla votare dai loro satelliti; 2) che sarebbe sostenuta da un considerevole numero di Stati. La formula 1mrebbe la seguente:

«Considerando che dall'ottobre 1935 il governo italiano ha cessato di dare la sua collaborazione effettiva alla S.d.N.;

considerando che nell'interesse generale della pace è da auspicarsi in maniera particolare che questa situazione cessi;

considerando che se la 17a Assemblea ha ancora convalidato i poteri di una delegazione etiopica fu con ogni riserva per l'avvenire e in ragione del dubbio che sussisteva allora ai suoi occhi per ciò che concerne la situazione di fatto esistente

in Etiopia;

considerando che ormai tale dubbio è completamente eliminato, l'Assemblea esprime il voto di vedere il governo italiano riprendere la sua partecipazione alle diverse attività della S.d.N. ».

Questa formula avrebbe i seguenti vantaggi:

l) constaterebbe che il dubbio sulla esistenza di una Etiopia indipendente non esiste più per la S.d.N. e quindi consacrerebbe la disparizione dello Stato etiopico;

2) non offrirebbe il destro ad una discussione sui principi perché non tocca nessuna nota questione di conquiste e di annessioni;

3) obbligherebbe tutti gli Stati a prendere posizione non tanto sulla scomparsa dell'Etiopia quanto su un problema politico molto più importante quale è quello della ripresa eventuale della collaborazione italiana a Ginevra.

Credo che data l'atmosfera inquinata che qui regna, per evitare un dibattito che rischierebbe di riportare alla ribalta tutto il problema etiopico, fare il buon gioco dei nostri avversari e avvelenare maggiormente la situazione, una formula come quella che ho prospettato avrebbe molte probabilità di successo. Aggiungo che l'adozione di un simile voto da parte dell'Assemblea non costituirebbe nessun impegno da parte italiana a riprendere effettivamente la collaborazione a Ginevra, problema che verrebbe risolto quando convenisse al governo fascista.

Tuttavia, prima di fare un qualsiasi passo tra le delegazioni amiche nel senso su indicato desidero conoscere che un gesto simile riscuoterebbe l'approvazione di V.E. 2•

328 1 Riferimento al Patto di non aggressione e conciliazione tra Argentina, Brasile, Cile, Messico, Paraguay e Uruguay del IO ottobre 1933 (MARTENS, vol. XXXII, pp. 655-664). Al patto avevano poi aderito numerosi Stati. L'Italia vi aveva aderito, con alcune riserve, il 14 marzo 1934 (testo in Trattati e Convenzioni, vol. XLVI, p. 329, nota 1).

329

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6454/430 R. Ginevra, 13 settembre 1937 (per. il 15).

Pilotti comunica quanto segue:

Dalle consultazioni che ho avuto in questi giorni con diversi delegati, e soprattutto con quelli che presumibilmente sarebbero stati chiamati a far parte della Commissione di verifica dei poteri, si traggono le seguenti conclusioni:

Francia e Inghilterra sono ancora ostili all'idea di affrontare la questione etiopica in seno alla S.d.N ., soprattutto la Francia sembra credere che il momento non sia ancora propizio ed è decisa a non ammettere che la questione venga affrontata per vie indirette, come quella della verifica dei poteri o dell'esame del bilancio della Lega in cui figurano ancora le quote di contributo etiopico che per il 1935 e per il 1936 non sono state pagate. Ho l'impressione che la maggiore ostilità sia attualmente da parte francese e che gli inglesi, se prevedessero un'iniziativa ferma da parte di altri Stati, lascerebbero correre. Ma è certo che l'atteggiamento francese,

396 che consiste nel preferire che la questione sia affrontata in pieno come questione di radiazione dell'Etiopia, rende ancora più difficile che anche Stati molto amici dell'Italia possano prendere iniziative formali.

Per ciò che riguarda in particolare la verifica dei poteri, si obbietta: a) che questa volta Tafari non ha neppure inviato una lettera per giustificare l'assenza di una sua delegazione; b) che in tali condizioni, la Commissione non ha nessun oggetto concreto da verificare e quindi non ha mezzo di riaprire la questione, ciò indipendentemente dalla ragione di opportunità sulla quale insistono i francesi.

Per quanto riguarda invece la possibilità di affrontare in pieno il problema della radiazione, anche le delegazioni amiche mostrano una certa tiepidezza, sebbene sembri già che qualche delegazione farà allusione a tale problema in sede di discussione generale.

Motta mi ha riconfermato il suo atteggiamento del maggio scorso, dicendomi che esso è conforme alla politica di neutralità della Svizzera e che esso non comporta iniziativa, ma soltanto la possibilità di votare favorevolmente ad una mozione presentata da altri.

Il Primo Ministro del Lussemburgo, Bech, uomo di grande autorità morale e di grande buon senso e che naturalmente deve seguire la politica belga per le relazioni fra i due Paesi, mi si è dichiarato desideroso di vedere eliminata la questione ma impedito di fare proposte per il fatto che il suo governo trovasi in crisi a seguito dei risultati del plebiscito e dovrebbe essere ricomposto con una partecipazione socialista.

Il ministro degli Esteri di Lituania, Lozoraitis, già ministro a Roma e di tendenze piuttosto favorevoli nei nostri riguardi, mi ha fatto sapere anch'esso che non potrebbe presentare proposte, pur ritenendo che la questione dovrebbe essere affrontata e risoluta. Ciò vale anche come risposta dell'Estonia e della Lettonia, dati i legami che uniscono i tre Paesi.

Quanto agli scandinavi, confermo che esiste anche presso di loro una corrente favorevole alla eliminazione della questione ma che, per ragioni di partito o per ragioni di anti-hitlerismo, la corrente contraria sembra prevalere. È tuttavia sintomatica la dichiarazione fattami in via privata dal ministro di Svezia a Berna 1 che conosco da molti anni, cioè che la questione cadrà come un castello di carte il giorno in cui un gruppo di Stati avrà il coraggio di provocare una discussione all'Assemblea perché in tal caso gli apertamente contrari si ridurranno ad un numero molto ristretto e i favorevoli prevarranno anche sulle astensioni.

Siccome però da tutte le previsioni risulta che alcune delle opposizioni rimarranno irriducibili, la necessità si manifesta, per coloro che volessero prendere l'iniziativa, di formulare una proposta che non richiede l'unanimità dei voti per essere adottata.

Rimangono naturalmente decise a compiere qualunque sforzo in nostro favore l'Ungheria e l'Austria.

Credo che lo stesso sentimento sia condiviso dalla Piccola Intesa in blocco, dalla Grecia, dalla Turchia e dalla Bulgaria. Ne è prova il contegno degli Stati balcanici a Nyon, non influenzato, checché si sia potuto pretendere, né dalla Francia, né dall'Inghilterra, contegno che è giunto fino a far sapere che avrebbero la

329 I Karl Ivan Westman.

sciato la Conferenza se fosse stata ammessa l'entrata delle navi russe nel Mediterraneo a titolo di controllo. Ne è prova ugualmente l'accoglienza che ho avuto tanto presso Aras quanto presso Politis, quanto presso i cecoslovacchi, allorché ho parlato della possibilità di affrontare la questione già in sede di verifica dei poteri.

Debbo aggiungere che un accenno mi è stato fatto da parte dei francesi alla possibilità di formulare, qualora la questione di merito venisse sollevata in Assemblea, un quesito da sottoporre alla Corte dell'Aja circa il verificarsi delle condizioni stabilite dall'articolo 1° del Patto per la qualità di membro della S.d.N.

È significativo il fatto che Politis abbia rifiutato di essere presidente o relatore della Commissione di verifica dei poteri.

A semplice titolo di cronaca, rilevo infine che tra i motivi da cui, secondo i commenti delle varie delegazioni, sarebbe determinato l'atteggiamento francese, si sentono enumerare i seguenti:

l) Il governo di Chautemps, sebbene di tinta più borghese del governo di Blum, è sempre soggetto all'influenza, cioè praticamente al ricatto, di Jouhaux, capo della Conféderation généra/e du Travail, e chiamato, in quanto tale, a far parte della delegazione francese aJI'Assemblea.

2) Dalla inchiesta inglese parrebbe risultare il sospetto che alcuni siluramenti nel Mediterraneo siano dovuti a sottomarini tedeschi, ciò che avrebbe allarmato in modo specialissimo i francesi, inducendoli a procrastinare ogni decisione fino a che siano sicuri che le conclusioni di Nyon sono accettate, non solo dall'Italia ma anche dalla Germania.

Si può osservare: che Jouhaux ha fatto parte di tutte le delegazioni francesi all'Assemblea e ha sempre ricattato tutti i governi del suo Paese, i quali però gli hanno resistito quando hanno voluto, e che, se Parigi intende procrastinare ogni decisione, la spiegazione più semplice e meno artificiosa è che nutre la speranza o l'illusione di venire un giorno a negoziati diretti con Roma esigendo contropartite relative ad interessi politici in Europa e ad interessi economici in Africa.

328 2 Ciano rispondeva con T. 1602/16 R. del 14 settembre: «Non. dico non. faccia nessun passo».

330

LE AMBASCIATE DI FRANCIA E DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 13 settembre 1937.

Le gouvernement français et le gouvernement de Sa Majesté dans le RoyaumeUni, en leur qualité de «gouvernements invitants» de la conférence de Nyon, ont l'honneur de faire tenir au gouvernement italien le texte de l'arrangement1 concernant la suppression de la piraterie en Méditerranée, adopté par !es représentants des puissances participant à cette conférence. Ils désirent spécialement attirer l'attention du gouvernement italien sur le paragraphe 4-1. où référence est faite à la mer Tyr

330 I Vedi D. 326. not8 3.

398 rhénienne. Ils tiennent à expliquer que cette disposition a été insérée en vue d'assurer la participation italienne aux mesures convenues à Nyon. Le gouvernement français et le gouvernement de Sa Majesté dans le Royaume-Uni ont déjà marqué leur regret que le gouvernement italien n'ait pas cru devoir prendre part aux délibérations et ils ont en mème temps exprimé leur espoir qu'il lui apparaìtrait néanmoins possible d'ètre associé aux travaux de la Conférence. Cet espoir trouve son expression pratique dans l'invitation cordialement adressée au gouvernement italien de prendre dans la mer Tyrrhénienne les mesures prévues par l'arrangement.

Le texte de cet arrangement est communiqué d'autre part au gouvernement allemand2 .

331

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6414/433 R. Ginevra, 14 settembre 1937, ore 13,45.

Ho visto stamane Beck che mi ha pregato di dire a V.E. che sulle sue idee relativamente alla necessità di risolvere la questione etiopica a Ginevra, egli aveva già intrattenuto a Varsavia il barone Valentino'. Non aveva mancato durante il suo viaggio e appena giunto qui di far presente soprattutto a Eden e a Delbos la necessità che tale questione venisse risolta e ciò nell'interesse della cooperazione europea in generale. A Parigi si era chiesto esplicitamente di dire se qualora la questione fosse stata risolta, l'Italia sarebbe tornata a Ginevra. Egli aveva risposto che non era in condizione di rispondere a tale quesito, che soltanto a Roma si sarebbe potuta ottenere una risposta esauriente ma che comunque gli sembrava che la questione etiopica avrebbe dovuto essere risolta per una ragione di ordine politico superiore e nell'interesse stesso della S.d.N. Beck ha aggiunto che l'atteggiamento da lui assunto nei confronti dei suoi interlocutori gli era facilitato dal fatto che il suo governo con gesto realista aveva già per suo conto preso posizione sul problema etiopico 2 .

Giunto a Ginevra si era adoperato per cercare di far liquidare la cosa in seno alla Commissione di verifica dei poteri, attraverso una procedura che gli sembrava la più semplice e la più diretta. Senonché aveva dovuto constatare che francesi ed inglesi avevano abbinato immediatamente la questione etiopica a quella di Nyon e dalla felice soluzione di quest'ultima facevano dipendere la soluzione del problema etiopico. Gli era sembrato quindi inutile di insistere in atteggiamenti che non avrebbero avuto successo.

occasione della presentazione di questo promemoria. In proposito, si vedano i resoconti inviati da Bionde! (in DDF, vol. VI, D. 436) e da Ingram (in BD, vol. XIX, D. 161 ). 331 I Vedi D. 283. 331 2 Riferimento alla dichiarazione fatta il 26 maggio precedente all'Assemblea della S.d.N. dal dele gato polacco, Komarnicki. Vedi serie ottava, vol. VI, D. 640.

Egli doveva convenire che dall'Assemblea di maggio a oggi l'opinione generale dei delegati convenuti a Ginevra aveva fatto una sensibile evoluzione in senso favorevole alla liquidazione della passività etiopica. Riteneva che se sulla questione del Mediterraneo si fosse giunti ad un accordo in questi giorni sarebbe stato possibile risollevare la questione in seno all'Assemblea.

Mi pregava di ripetere a V.E. che avrebbe fatto del suo meglio per agire in tale senso. Il compito gli veniva facilitato dal fatto che in questa sessione dell'Assemblea non vi erano questioni che interessassero particolarmente la Polonia, salvo la questione della Palestina di cui si occupava unicamente nei riflessi della emigrazione. Egli si sentiva quindi più libero per agire e svolgere un'opera utile non solo alla pace ma anche alle relazioni italo-polacche alla cui cordialità teneva in particolare modo. Ha aggiunto che suo intento era di evitare che la S.d.N. divenisse un blocco di Potenze inspirate a una sola ideologia e che perciò riteneva fosse nell'interesse del suo Paese battersi contro una simile eventualità.

Ho ringraziato Beck delle sue dichiaraizoni, del suo interessamento e della sua attività, assicurandolo che lo avrei tenuto al corrente dello sviluppo delle trattative tra Roma, Londra e Parigi (delle quali riterrei, sarebbe utile mi fosse comunicato qualche cosa) perché egli potesse orientare la sua azione e portarla a fondo nel momento opportuno.

Aggiungo che Beck mi ha detto di aver trovato gli inglesi molto più bene disposti dei francesi sul problema in questione ed ha avuto l'impressione che Londra vorrebbe giungere ad un accordo con l'Italia sul problema della polizia navale nel Mediterraneo.

330 2 Non è stata trovata documentazione sul colloquio che Ciano ebbe con i due incaricati d'affari in

332

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6420/377 R. Parigi, 14 settembre 1937, ore 14 (per. ore 15,15).

Segretario Generale Quai d'Orsay mi ha stamane pregato di andarlo a vedere, e nel corso della conversazione che ho avuto con lui e sulla quale riferirò particolareggiatamente con telegramma a parte 1 mi ha detto che Chautemps mi avrebbe ricevuto oggi ore 15,30 per farmi conoscere, in via confidenziale, favorevoli disposizioni governo francese verso l'Italia. Intanto comunico a V.E. in riassunto seguenti considerazioni espostemi da Léger:

l) Auspicata viva cordialità collaborazione italiana per soluzione problemi europe1;

2) Governo francese annette pertanto massima importanza ad adesione dell'Italia ad Accordi Nyon, Accordi Nyon non (dico non) sono da considerarsi ne

332 I Vedi D. 336.

varietur e quindi non escludono possibilità di un riesame al fine di permettere all'Italia di aderirvi su piede parità con Francia, Inghilterra. A vendo io obiettato al Segretario Generale Quai d'Orsay che la cooperazione italiana auspicata dalla Francia non mi sembrava possibile se anzitutto non viene liquidata cosiddetta questione etiopica, Léger mi ha fatto comprendere che se Italia aderirà Accordo Nyon, è possibile prevedere che questione etiopica venga liquidata durante assemblea S.d.N.

333

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6431/351 R. Berlino, 14 settembre 1937, ore 21,27 (per. ore 22,40).

V.E. avrà rilevato la tonalità e la forza del discorso con il quale il Cancelliere del Reich ha concluso il Congresso N orimberga 1 . Mi riferisco specialmente alla posizione presa sulla questione spagnola, in merito alla quale Cancelliere del Reich ha anche fugato ogni e qualunque parvenza di sfasamento -almeno sul piano ideologico -tra l'Italia e Germania. Da notare anche le ripetute puntate polemiche nei riguardi Inghilterra.

Tuttociò, non è in contrasto ma evidentemente sorpassa il discorso di apertura. E poiché, nelle more del Congresso, unico fatto nuovo è costituito da Conferenza Nyon, io non esito a vedere nell'ultimo discorso Hitler una deliberata prova di solidarietà all'Italia.

334

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 6424/378 e 6430/379 R. Parigi, 14 settembre 1937, ore 23,30 (per. ore 2,50 -del 15).

Mio telegramma n. 377 1• Ho avuto col presidente Chautemps lunga conversazione alla quale egli ha tenuto a dare carattere amichevole.

Chautemps ha cominciato col manifestarmi il suo vivo desiderio di vedere ristabiliti fra l'Italia e Francia cordiali rapporti attraverso una completa chiarificazione.

Prendendo le mosse dalle dichiarazioni del Duce a Palermo 2 e propriamente dalla constatazione che nelle relazioni italo-francesi non vi è materia per un dramma, Chautemps ha rilevato che vi sono tuttavia questioni che devono essere risolte.

La prima di queste, almeno in ordine tempo, è quella dell'adesione dell'Italia agli Accordi di Nyon.

Al riguardo Chautemps, ripetendo quanto nuovamente aveva detto Léger3, mi ha confermato grande interesse che vi annette il governo francese, il quale, a suo dire, si è reso conto dei motivi di risentimento da parte Italia, sia eludendo sede di Ginevra, sia contribuendo a frenare escandescenze sovietiche ed a tenere U.R.S.S. fuori del Mediterraneo (sic).

A questo punto ho fatto presente a Chautemps che ignoravo tuttora quali erano gli intendimenti di V.E. ma credevo potergli dire che a mio avviso non vedevo come adesione Italia potrebbe essere ottenuta se non le fosse fatta, nelle misure di vigilanza, la parte che le spetta come principale Potenza mediterranea interessata: Italia infatti deve essere in ogni circostanza su un piede di assoluta parità con le altre grandi Potenze.

Chautemps mi ha pregato allora di comunicare a V.E. il seguente suo suggerimento personale: che cioè l'Italia dia la sua adesione ad Accordo di Nyon facendo in pari tempo una riserva intesa ad ottenere una partecipazione alle misure di vigilanza più larga di quella prevista dall'Accordo anzidetto.

Chautemps ha aggiunto che se l'Italia aderisse ai principi dell'Accordo di Nyon, egli farebbe quanto è in suo potere per fare accettare dagli altri una maggiore partecipazione italiana alle misure di vigilanza, salvo a trattare le modalità relative all'attuazione tecnica Accordi di Nyon. Chautemps mi ha fatto presente in pari tempo necessità evitare riapertura della discussione sui principi dell'accordo, sia per impedire possibili nuove rivendicazioni dell'U.R.S.S., sia per ragioni di prestigio degli Stati che hanno partecipato alla Conferenza; del resto, egli ha concluso, su questo punto quello che importa è preparare il terreno alla partecipazione che le compete. Secondo Chautemps l'Italia potrebbe far valere le sue richieste o per il tramite diplomatico oppure in sede del Comitato di Londra.

Ho risposto a Chautemps che, pur prendendo atto delle sue buone intenzioni generiche verso l'Italia, dovevo fargli rilevare, nell'interesse stesso della chiarificazione da lui desiderata, che ero convinto non potersi giungere a tale chiarificazione senza prima aver risolto questione Etiopia. Del resto, ho soggiunto, il Duce con le dichiarazioni di Palermo ha spianato il terreno.

Chautemps ha convenuto e mi ha detto che la meta che egli intende raggiungere è quella del riconoscimento, senonché, a suo modo di vedere, tenendo conto dei pregiudizi in politica interna ed estera, occorre procedere per tappe allo scopo di evitare reazioni di parte dell'opinione pubblica.

Ho replicato che la gradualità da lui ritenuta necessaria sarebbe stata seguita, appunto, riconoscendo prima a Ginevra il decesso dell'ex Impero etiopico e procedendo in un secondo tempo al riconoscimento dell'Impero italiano da parte governo francese.

Chautemps, insistendo sul suo punto di vista, ha allora chiarito meglio il suo pensiero in proposito, infatti -egli mi ha detto -alla liquidazione della questione etiopica si potrà giungere quando il campo sia stato sbarazzato da divergenze, che come quella inerente alla crisi spagnola, turbano oggi l'atmosfera internazionale.

Gli ho ribadito che a mio avviso la soluzione della questione etiopica è condizione preliminare per il ristabilimento d'una effettiva collaborazione internazionale e che un'altra via potrebbe richiedere troppo tempo e pregiudicare i risultati desiderati. Viceversa una iniziativa francese che, una volta tanto, non apparisse come determinata dall'atteggiamento di altri Paesi, potrebbe avere felici risultati.

A questo punto Chautemps, premesso che egli desiderava di non dire più di quanto non fosse in grado di mantenere, mi ha detto che non si impegnava a prendere una iniziativa durante attuale Assemblea S.d.N., ma che egli si augurava che le circostanze si sviluppassero in modo che prima della chiusura dell'attuale sessione ginevrina fosse possibile arrivare alla soluzione auspicata.

Dalla conversazione con Chautemps ho tratto l'impressione riassuntiva che governo francese tenda a stabilire una connessione tra soluzione questione etiopica, adesione italiana Accordo Nyon e avviamento ad una soluzione delle questioni inerenti alla crisi spagnola. Chautemps mi è sembrato più misurato e più leale di Léger; infatti è sembrato più impegnativo per quanto riguarda possibilità liquidare questione etiopica a Ginevra ed è stato più esplicito nell'esprimermi convinzione francese che alle soluzioni relative alla Spagna dovrebbe precedere la constatazione a Ginevra del decesso.

333 l Il 13 settembre. 334 l Vedi D. 332.

334 2 Vedi D. 239, nota 2. 334 3 Vedi D. 332.

335

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6423/72 R. Roma, 14 settembre 1937 (per. stesso giorno).

Il mancato accenno nei discorsi del Fiihrer, a Norimberga, alla questione religiosa non ha modificato l'atmosfera di nero pessimismo, dominante nella Segreteria di Stato, a proposito dei rapporti fra la Santa Sede ed il Reich. Negli ambienti vaticani si è convinti che Hitler ha rinunciato a muovere un pubblico attacco alla Chiesa Cattolica per un motivo tattico. Si giudica, infatti, in Germania -così si pensa in Vaticano -che non valga la pena di arrivare a una clamorosa rottura con la Santa Sede, mentre lo scopo finale, di scristianizzare il Paese, può essere raggiunto egualmente seguendo il sistema in corso, il quale consiste nello smantellare una per una tutte le posizioni della Chiesa Cattolica. Non si nasconde, in Segreteria di Stato, che la tattica nazional-socialista è abile e prepara brutti giorni per il cattolicesimo in Germania.

Considero tanto più notevoli le surriferite dichiarazioni in quanto vengono da monsignor Pizzardo che, in passato, non è stato sempre un fervente ammiratore della politica del cardinale Segretario di Stato verso la Germania. Il nunzio a Berlino è a Roma ed è evidente che l'accentuata nota di pessimismo deve attribuirsi alle notizie e impressioni ch'egli ha qui recate.

336

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, SCADUTO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6457/0315 R. Parigi, 14 settembre 1937 (per. il 15).

Mio telegramma n. 377 1 .

Mia conversazione di stamane con Segretario Generale Quai d'Orsay si è svolta sulle stesse linee di quella che ho avuto nel pomeriggio con Chautemps2• Ritengo pertanto superfluo riferirla a V.E. in tutti i suoi particolari.

A quanto ho già detto nel mio telegramma-filo indicato in riferimento, debbo solo aggiungere che Léger ha sottolineato specialmente seguenti punti:

l) governo francese non ha nessuna intenzione tentare incrinare asse Roma-Berlino e si rende anzi conto come questo possa costituire utile elemento per giungere collaborazione Potenze occidentali;

2) importanza determinante dell'adesione dell'Italia agli Accordi di Nyon, nel momento critico presente, in quanto da essa dipenderebbe l'evoluzione della situazione internazionale o nel senso di un principio di pacificazione generale, o di un grave acuirsi dell'attuale tensione.

Da parte mia, nel prendere atto delle dichiarazioni di Léger, ho creduto opportuno fargli rilevare che le buone disposizioni odierne erano diverse da quelle che egli mi aveva indicato pochi giorni or sono (mio telegramma n. 374)3 . Ne arguivo quindi che il governo francese, o almeno Quai d'Orsay, valutavano oggi diversamente la situazione, probabilmente in seguito al sopravvenire di nuove circostanze.

337

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLE AMBASCIATE DI FRANCIA E DI GRAN BRETAGNA A ROMA

NOTA VERBALE 7360. Roma, 14 settembre 1937.

Il Governo fascista ha esaminato l' arrangement1 adottato dai Rappresentanti delle Potenze partecipanti alla Conferenza di Nyon, nonché il pro-memoria in data 13 corrente rimesso dagli Incaricati d'Affari di Francia e di Gran Bretagna2 .

336 2 Vedi D. 334 336 3 Con T. 6305/374 R. dell'Il settembre, Scaduto aveva riferito su un colloquio con Léger, il quale gli aveva detto di aver esaminato con Vansittart la possibilità di liquidare la questione etiopica in sede di S.d.N. ma che entrambi si erano trovati d'accordo nel ritenere che. data l'atmosfera del momento, una soluzione favorevole del problema era impossibile. 337 l Vedi D. 326. nota 3. 337 2 Vedi D. 330.

Da tali documenti risulta che il solo Mare Tirreno, in caso di adesione dell'Italia, le verrebbe affidato per esercitarvi le misure di sorveglianza stabilite dalla Conferenza stessa, mentre praticamente le stesse misure in tutto il Mediterraneo resterebbero affidate alle flotte francese e inglese.

La situazione che ne risulterebbe per l'Italia appare inaccettabile. I suoi interessi vitali nel Mediterraneo ed il fatto che sulle sue linee di comunicazione corre il traffico maggiore determinano l'esigenza che l'Italia abbia condizioni di assoluta parità con qualunque altra Potenza in qualsiasi zona del Mediterraneo 3 .

336 l Vedi D. 332.

338

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6445/446 R. Ginevra, 15 settembre 1937, ore 13,20.

Spitzmuller, segretario di Delbos, che ho incontrato a caso stamane mi ha chiesto se il nostro rifiuto aveva carattere definitivo. Gli ho chiarito secondo le istruzioni di V.E. 1 il senso della nostra nota2 . Spitzmuller mi ha detto che era lieto di constatare che analoga interpretazione gli avevano dato stamane Massigli e Rochart. Sulle reazioni del ministro non poteva dirmi ancora nulla. Me le avrebbe riferite questo pomeriggio e mi avrebbe fatto sapere qualche cosa anche sulle reazioni inglesi 3 . Massigli gli aveva dichiarato proprio stamane che la via alle conversazioni restava aperta. Si trattava di sapere se, dopo la nota l'Italia avrebbe fatto lei il passo per una ripresa di contatti o avrebbe aspettato che Francia e Inghilterra l'avessero invitata a trattare sulla base delle sue richieste implicite nella nota stessa. Gli sembrava difficile, da quanto aveva saputo, che Francia e Inghilterra prendessero tale iniziativa.

Ho precisato che se veramente fosse intervenuto un comunicato francese come si affermava stamane dichiarando che l'accordo era definitivo e non poteva essere rivisto, sarebbe stata inutile qualsiasi altra iniziativa da qualsiasi parte venisse.

Spitzmuller mi ha detto che non gli risultava fosse in preparazione un comunicato del genere.

Con altri delegati che hanno chiesto informazioni mi sono espresso nel senso indicatomi da V.E. Tutti i miei interlocutori hanno trovato logica e legittima la presa di posizione italiana che, come ho comunicato, era prevista.

ne. In proposito si veda il telegramma inviato da Ingram in BD, vol. XIX, D. 166. Il testo della nota fu reso pubblico con un comunicato in cui si precisava che la risposta del governo era stata data «previo accordo» con il governo germanico (testo in Relazioni Internazionali, p. 698). 338 l Di queste istruzioni non è stata trovata documentazione. 338 2 Vedi D. 337. 338 3 Si veda in proposito il D. 339.

Negli ambienti delle altre delegazioni mediterranee resta fermo il convincimento che i ponti non sono rotti, che sulla base del paragrafo tre dell'articolo 4 dello stesso accordo 4 l'intesa potrà essere possibile malgrado non ci si nascondano le difficoltà gravi che vi saranno a superare l'opposizione sovietica.

337 3 Su la consegna della nota agli incaricati francese e britannico non è stata trovata documentazio

339

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6460/450 R. Ginevra. 15 settembre 1937, ore 21.

Sono in condizione di riferire a V.E. punto di vista di Delbos e di Eden sulla nota italiana 1• Entrambi pensano che tale nota non costituisce un rifiuto. Però non faranno contro-offerte all'Italia e attendono che il governo fascista precisi le sue richieste. Ho subito osservato che le richieste italiane erano già contenute nella nostra nota e che era superfluo domandare altre precisazioni.

Noi chiedevamo il principio della parità e bastava accoglierlo e comunicare a Roma ,essere disposti a trattare su tale base. Mi è stato dichiarato che la nostra nota stabilisce un principio, mentre ci sono questioni concrete da risolvere e se si associa una terza flotta alla collaborazione di quelle francese ed inglese occorre rivedere le zone e in sostanza modificare l'accordo. Tanto Eden che Delbos attendono dunque che l'Italia precisi i suoi desiderata. Entrambi sono disposti a discutere ed a trattare. Eden ha aggiunto che tali desiderata dovrebbero essere fatti valere non a Ginevra ma per via diplomatica. Questa richiesta di Eden può essere in correlazione con il fatto che quasi tutti gli esperti navali inglesi sono ripartiti.

Si è insistito sul fatto che Francia, Inghilterra e altri Stati mediterranei sarebbero lieti di arrivare ad un accordo.

Le disposizioni d'animo perciò di Eden e di Delbos appaiono favorevoli ad un negoziato. Si chiede solo che Roma precisi. Mi si è messo in risalto dalla delegazione francese che Delbos ha fatto di tutto durante la Conferenza di Nyon per non urtare la suscettibilità italiana e si vorrebbe che a Roma se ne prendesse atto. Mi si è anche detto che durante i colloqui franco-inglesi relativamente al Mediterraneo, l'Ammiragliato britannico si è mostrato sempre molto più favorevole a concessioni verso l'Italia di quanto non lo sia stato il Foreign Office e che tali disposizioni favorevoli persistono tuttora2 .

339 l Vedi D. 337. 339 2 Su i contatti avuti tra il 15 e il 20 settembre da Bova Scappa con il Segretario Generale della delegazione francese presso la S.d.N., Spitzmuller, in vista di una partecipazione dell'Italia agli Accordi di Nyon non è stata trovata altra documentazione oltre ai DD. 338 e 339 qui pubblicati. In proposito si veda la nota della delegazione francese alla S.d.N. pubblicata in DDF, vol. VI, D. 494.

338 4 Vedi D. 326, nota 3.

340

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6461/451 R. Ginevra, 15 settembre 1937, ore 21.

Delegato turco Kemal Husnu mi ha detto che Accordo di Nyon costituisce, a suo avviso, il primo esempio di una fattiva cooperazione militare franco-inglese che si sia avuta dalla guerra in poi. Egli stima che i franco-inglesi abbiano tenuto a marcare, in modo speciale, la loro solidarietà in questo campo per opporla come un elemento di fatto all'asse Berlino-Roma alla vigilia dell'incontro tra il Duce e Hitler.

Riferisco tale opinione a titolo puramente significativo sul come viene interpretato Accordo di Nyon iri alcuni ambienti.

341

L'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE AFFARI TRANSOCEANICI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 15 settembre 1937.

Con rapporto del 25 agosto 1 il R. ministro in Kabul, parlando del modo come è stato accolto in Afghanistan il Patto Turchia -Iran -Irak -Afghanistan, accenna alla particolare posizione che la Turchia ha oggi nella politica del blocco asiatico.

La Turchia, approfittando del prestigio acquistato dal governo kemalista per i successi raggiunti sia all'interno che all'estero, ha aumentato molto la sua influenza sull'Afghanistan, il quale si rende conto che se vuole uscire dalla sua tradizionale politica di altalena fra Inghilterra e Russia deve cercare una guida e un consigliere che lo conduca attraverso il labirinto della politica mondiale. Questa posizione di consigliere di fiducia è stata recentemente conquistata dalla Turchia che ha saputo manovrare con molta abilità nell'Afghanistan.

Il R. Ministro espone quindi le seguenti impressioni che ha raccolto in quegli ambienti circa gli scopi che la Turchia perseguirebbe con la politica fondata sul Patto Asiatico.

l) Le Potenze del Patto Asiatico desiderano costituire un fronte unico in vista del grande conflitto che sentono avvicinarsi. Naturalmente la Turchia crede di aver il diritto di dirigere la politica di questo blocco non solo nei meandri elettorali di Ginevra, ma anche, se la S.d.N. fosse messa da parte, fuori di essa.

341 I Rapporto 389/232 del 25 agosto (pervenuto il 13 settembre). Il ministro Quaroni vi riferiva circa le probabili ripercussioni che il Patto di Saad Abad avrebbe avuto sulla posizione dell'Afghanistan e circa il ruolo che la Turchia andava assumendo in quel settore.

2) Per attuare tale politica non è escluso che la Turchia, per recuperare l'influenza che aveva nel mondo musulmano prima della sua rottura con il Califfato, pensi in un secondo tempo di brandire di nuovo la bandiera del panislamismo e del panturanismo che coprirebbe in sostanza un'organizzazione asiatica antieuropea.

3) In ogni modo, se la seconda parte di questo programma è ipotetica e richiede molto tempo per essere realizzata, la prima parte, e cioè l'accentramento ad Ankara della politica degli Stati asiatici, non sembra impossibile a realizzare, e, nonostante la diffidenza afghana, la Turchia può, se lavora con tatto, riuscire ad avere molta influenza. nelle decisioni afghane.

4) Evidentemente, se tale politica ha successo, la Gran Bretagna che è abituata ad agire in Afghanistan in piena libertà, non mancherà di reagire. Tale reazione può assumere molte forme ed i recenti moti afghani possono anche essere stati un avvertimento al governo afghano di mantenersi saggio. Ma può anche rivolgersi alla radice del male e cioè in Turchia ove questa dovesse diventar troppo influente in Asia. In questo caso la cosa ci interessa direttamente perché la reazione inglese potrebbe avere ripercussione sull'atteggiamento della Gran Bretagna nei riguardi della Turchia circa la questione mediterranea.

342

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6503/383 R. Parigi, 16 settembre 1937, ore 21,55 (per. ore 23,30).

Riferirò ragguagliatamente per corriere 1 la conversazione avuta testé con Léger, che riassumo nella parte essenziale.

Premesso che da cinque giorni avevo lasciato Roma e che quindi ero nell'ignoranza di quanto si era passato in questi ultimi giorni, gli domandavo spiegazioni circa le eventuali possibilità, che vedevo menzionate nella stampa francese ed inglese, di riconoscere all'Italia nella polizia del Mediterraneo la parte che le spetta e che inveçe non le fu riservata.

Léger dopo aver citato tutti i riguardi che la Francia e l'Inghilterra tennero ad usare all'Italia durante la preparazione di Nyon mi ha detto che anche se noi avevamo deciso di non parteciparvi, queste due Potenze avevano voluto rendere edotta l'Italia delle decisioni prese, due giorni prima che fossero pubblicate, attirando la mia attenzione sopra paragrafo 3° articolo 4°. Sapeva che incaricato di affari francese e inglese avevano insititito presso V.E. perché li mettesse in grado di far conoscere ai loro rispettivi governi le osservazioni dell'Italia 2 , di cui si sarebbe tenuto il conto dovuto, ricevendo peraltro una risposta la quale suonava disinte

resse completo a quanto era stato deciso a Nyon 3 . In tale stato di cose non sarebbe possibile rivolgersi ora all'Italia facendole ulteriori proposte, mentre se governo italiano si dichiarasse disposto a partecipare alle ulteriori riunioni a Nyon, sarebbe tuttora possibile, in base all'articolo 4, studiare una migliore distribuzione dei servizi di polizia marittima.

Ho detto a Léger che se Francia e Inghilterra fossero state animate verso l'Italia dai sentimenti amichevoli da lui menzionati anziché invece, come si ritiene dalla opinione pubblica italiana, da un forte residuo dello spirito nefasto che prevalse durante la guerra etiopica, l'Accordo di Nyon sarebbe stato fatto sulla base della polizia del Mediterraneo fatta solidalmente, salvo a lasciare ai rispettivi Stati Maggiori di prendere accordi per l'attuazione pratica della polizia.

Léger rimase interdetto e disse poi che a ciò si sarebbe probabilmente arrivati se noi fossimo stati presenti a Nyon come tutti desideravano. Insistette, poi, ancora perché si cerchi di trovare una via di uscita in base a nostre ulteriori proposte che sarebbero esaminate col massimo favore a Parigi e, credeva, anche a Londra. Aggiunse che a suo avviso ci si trovava ad un bivio decisivo soprattutto alla vigilia del viaggio del Duce in Germania: o si trovava la via comune della collaborazione che era quella che si era voluto raggiungere a Nyon, oppure si sarebbero d'ora innanzi seguite due vie opposte le cui conseguenze sarebbero state presto o tardi fatali. A suo avviso, occorreva pensare pure che sessione di Ginevra potrebbe essere facilmente prolungata per ulteriori due sessioni, cioè per un periodo sufficiente a trovare anche altre soluzioni se l'atmosfera fosse diversa.

342 l Vedi D. 344. 342 2 Vedi D. 330, nota 2.

343

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6549/0268 R. Londra, 16 settembre 1937 (per. il 18).

L'attuale crisi del franco, iniziatasi verso la metà della scorsa settimana con un primo crollo delle quotazioni precedenti, ha segnato ieri un nuovo e non meno grave peggioramento, con una ulteriore caduta del franco al livello più basso toccato dalla crisi del 1926 in poi. La discesa, come è noto, dopo un precedente e già sensibile periodo di pesantezza, ha avuto inizio precisamente lo scorso giovedì, a seguito della notizia giunta da Parigi che le Autorità finanziarie francesi avevano deciso di abbandonare il controllo del mercato, notizia coincisa con la pubblicazione della situazione settimanale della Banca di Francia dalla quale risultava un ulteriore indebitamento della Tesoreria di 800 milioni di franchi in aggiunta a quello di 1340 milioni della settimana precedente.

Il movimento, che già durante la prima giornata aveva portato la quotazione del franco a Londra da circa 132,75 a 136, si è accentuato durante la giornata di

venerdì, portando il corso a circa 140,50. Successivi interventi, anche a quanto pare, da parte inglese, hanno valso a riportare per qualche giorno la sembianza di una certa stabilità sulla cifra .media 138-139. Un attacco rinnovato da parte degli speculatori nella giornata di martedì avrebbe indotto comunque il controllo francese a rinunciare a qualsiasi ulteriore intervento, determinando così il nuovo e spettacoloso crollo di ieri. Speculanzione e nuova fuga di capitali francesi, l'una e l'altra provocate dalla difficile situazione finanziaria interna e della incerta situazione internazionale, sono i motivi immediati che qui vengono unanimamente ascritti alla presente crisi.

La situazione internazionale, aggravata per la Francia dalle sue attuali difficoltà in Marocco 1 , avrebbe poi a sua volta, si ritiene in questi circoli, avuto non poco peso nel determinare la decisione delle autorità francesi di non fare in questo momento un nuovo sacrificio delle proprie riserve auree con costose operazioni di controllo.

Se questi, tuttavia, possono essere citati come fattori contingenti dei recenti sviluppi, è certo che questi ambienti finanziari vedono nell'odierna crisi la manifestazione di una preoccupante situazione che ha radici ben più profonde. Dall'originario riadeguamento del franco nel settembre 1936 ad oggi non si è trattato di «fluttuazioni» ma di progressiva ed irrimediabile svalutazione. Il tanto decantato «accordo tripartito» 2 è rimasto a tutti gli effetti lettera morta, mentre il governo francese si è trovato costretto ad abbandonare una dopo l'altra le varie linee di resistenza adottate; la quota 111 del maggio scorso, la quota 128 di fine giugno, la quota 132 di metà luglio. Si parla ormai di rinuncia completa ad ulteriori tentativi di controllo da parte francese, affinché «il franco trovi il suo livello naturale». Quale possa essere tale livello pochi si azzardano a prevedere, ma nella City si ritiene in genere che anche quello odierno di 146-147 non sia quello definito. Osservo solo che, dopo una svalutazione la quale ha ormai raggiunto la proporzione del 50 per cento, il fatto che ancora si preveda qui la possibilità di ulteriori «aggiustamenti» dà una chiara indicazione della gravità che si attribuisce qui alla situazione in Francia ed alle conseguenze dell'«esperimento Blum». Una gravità che alcuni giornali, come ad esempio il Times, si sforzano con scarso convincimento di nascondere, spiegando che le autorità finanziarie francesi, colte d'improvviso, non avevano ancora «sviluppato un'adeguata tecnica del mercato aperto».

Di fronte intanto alla impressionante misura del deprezzamento subito dal franco ed alle voci che corrono di possibile allineamento del belga, un'altra preoccupazione va facendosi strada negli ambienti finanziari inglesi, e cioè il ricordo che la legge con la quale venne sanzionata la svalutazione negli Stati Uniti offre tuttora alla discrezione del Presidente la possibilità di applicare un'ulteriore riduzione nel contenuto aureo del dollaro.

Alla Banca d'Inghilterra è stata stamane smentita la notizia -apparsa in qualche giornale -della venuta a Londra di esponenti della Banca di Francia.

È stato viceversa ammesso che un funzionario della Banca d'Inghilterra si recherà a Parigi al principio della prossima settimana e, sebbene a tale visita si voglia attribuire carattere di assoluta normalità, è facile illazione che essa non sia estranea alla situazione che è venuta creandosi. Parallelamente voci, per il momento non controllabili, indicano che affrettate conversazioni sarebbero state iniziate tra Londra e Washington, allo scopo di stabilire una qualche sostanziale forma di collaborazione nell'attuale crisi. Tali voci vengono avvalorate dalla presenza a Washington del sottosegretario alla Tesoreria britannica Philips e dalla partenza per la capitale americana dell'addetto finanziario di questa ambasciata degli Stati Uniti.

Mi riserbo indagare e riferire.

342 3 Vedi D. 337.

343 1 Si riferisce alle agitazioni provocate dalla penuria di cibo conseguente alla siccità e culminate il 1°-2 settembre in sanguinosi scontri a Meknes tra polizia e indigeni. 343 2 Riferimento all'accordo monetario tra Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna reso pubblico nella notte tra il 25 ed il 26 settembre 1936 con il quale si annunciava la svalutazione del franco francese e veniva sciolto il cosidetto «blocco dell'oro».

344

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6551/0319 R. Parigi, 16 settembre 1937 (per. il 18).

Mio telegramma odierno n. 383 1•

Nel far visita oggi a Léger, gli ho innanzitutto riferito le mie impressioni dopo il soggiorno fatto in Italia, impressioni non favorevoli nei riguardi della Francia perché l'opinione pubblica italiana constata che qui si continua a non voler tenere conto delle realtà. Queste sono di due specie: innazitutto riguardano l'Etiopia che è italiana e che come tale deve essere considerata da Francia ed Inghilterra se queste due Potenze vogliono giungere ad accordi con l'Italia aventi per oggetto i reciproci interessi in Africa Orientale. Riguardano, in secondo luogo, la Spagna dove il governo di Franco esercita il potere sopra buoni due terzi del Paese e dove la vittoria dei Nazionalisti è certa.

Léger non poté nulla obbiettare al primo punto. Disse soltanto che, quando Francia ed Inghilterra, che hanno deciso in proposito di procedere d'accordo, stanno facendo i massimi sforzi per pronunciare la parola «fine» circa l'affare etiopico (cosa che è tuttora difficile a causa di una parte delle due opinioni pubbliche contraria), in Italia si trova il modo di rendere impossibile la cosa. Riesumò il telegramma inviato dal Duce a Franco dopo la caduta di Santander2 e la valorizzazione della vittoria italiana, cosa che è in contrasto colla politica ufficiale di non intervento. Gli ho naturalmente risposto che quanto egli mi diceva mostrava come in Francia non ci si rendesse conto dello spirito che esisteva in Italia nei riguardi degli affari spagnoli soprattutto dopo che per colpa dell'Inghilterra ed in parte anche della Francia si era cercato di denigrare il valore del soldato italiano. Naturalmente Léger obbiettò che non ci devono essere «soldati» italiani in Spagna. Quelli che ci sono ufficialmente sono volontari che il governo italiano dovrebbe ignorare. Ho ribattuto che in Italia si ragionava altrimenti che in Francia. I nostri volontari in Spagna erano italiani e

come tali circondati dall'interesse di tutta la Nazione che sapeva che essi combattevano e morivano per la difesa della civiltà europea contro il bolscevismo. Era dunque inutile volerei convincere a pensare diversamente.

Circa il secondo punto, Léger osservò che sarebbe stato più semplice per la Francia ~e forse preferito dall'Italia ~di seguire il metodo che avrebbe portato all'abolizione della politica di non intervento, con libertà a ciascuna Potenza di aiutare questo o quel partito spagnolo. Invece, la Francia escogitò e propose dopo maturo esame all'Inghilterra che l'accettò la politica che condusse a Nyon, politica in cui la Francia ebbe essenzialmente di mira di attirare l'Italia in un'azione di collaborazione che avrebbe dovuto esercitarsi dalle quattro Grandi Potenze di Europa per risolvere di comune accordo i problemi politici attuali. Prova della preoccupazione francese di fare cosa gradita all'Italia erano i principi che erano stati posti come fondamento della riunione di Nyon: l) intervento dei soli Stati mediterranei, con un'unica eccezione a favore della Germania tenendo conto dell'asse Roma-Berlino nonostante che la Francia sia sempre stata riluttante ad ammettere l'ingerenza del Reich nel Mediterraneo; 2) esclusione assoluta dal programma delle discussioni politiche; 3) assicurazione che non si sarebbe dovuto esaminare il passato, ma soltanto l'avvenire. Dopo che l'Italia, dopo avere accettato di intervenire a Nyon, per ragioni di cui non poteva misconoscere il fondamento ma che erano ad ogni modo totalmente estranee all'azione della Francia, aveva deciso di astenersi dal recarsi alla riunione, Francia ed Inghilterra avevano avuto cura di mettere al corrente l'Italia delle decisioni adottate e di insistere particolarmente sopra la clausola che permetteva di rivedere la distribuzione delle zone del Mediterraneo affidate alle varie marine per le operazioni di polizia marittima. Il contegno del ministro degli Affari Esteri italiano di fronte alle insistenti premure degli incaricati d'affari di Francia ed lnghilterra3 che gli chiedevano di metterli in grado di far conoscere a Parigi e Londra quali fossero i desideri dell'Italia, affinché i loro due governi potessero tenerne conto, era stato di disinteressamento assoluto, cosicché era poi apparsa poco comprensibile la proposta italiana che rilevava come non fosse stata fatta all'Italia la parte che le spettava come Potenza che aveva i maggiori interessi nel Mediterraneo. Egli non discuteva in proposito perché il punto di vista nostro era logico e come tale poteva essere sostenuto, ma si domandava perché non lo avessimo esposto subito, aderendo alle insistenti premure dei rappresentanti francese ed inglese, ed in tempo perché Londra e Parigi studiassero il modo di darci soddisfazione.

Ho detto a questo punto a Léger che era meglio non cavillare. A Nyon si era agito male nei nostri riguardi. L'unica soluzione logica a mio giudizio personale, sarebbe stata quella di decidere che la polizia del Mediterraneo fosse fatta solidarmente a cura delle tre marine italiana, francese ed inglese, lasciando ai rispettivi Stati Maggiori di stabilire di comune accordo come esercitarla e come eventualmente stabilire zone di azione. Ciò non era stato fatto e ciò giustificava il grave malumore dell'opinione pubblica italiana che scorgeva nelle decisioni di Nyon il sopravvivere dell'infausto spirito anti italiano che aveva durante il conflitto etiopico dato origine al Patto mediterraneo. Dopo di ciò fingendo di non essere al corrente di quanto era accaduto durante gli ultimi cinque giorni chiesi a Léger se egli poteva dirmi come scorgesse la possibilità di trovare quella soluzio

ne soddisfacente per tutti che vedevo menzionata vagamente ma calorosamente da buona parte della stampa francese ed inglese, che auspicava la collaborazione dell'Italia alle operazioni di polizia nel Mediterraneo, previa revisione della distribuzione delle zone relative.

Léger rispose che dopo quanto Francia ed Inghilterra avevano fatto, un nuovo loro passo a Roma avrebbe corrisposto a riconoscere di essere nel torto e sarebbe quindi stato contrario alla loro dignità. Però rimaneva il fatto che gli incaricati d'Affari di Francia e d'Inghilterra avevano insistito presso V.E. perché facesse loro conoscere gli eventuali desiderata dell'Italia. Nella risposta loro rimessa due giorni dopo4 l'Italia aveva rilevato che la sua posizione di grande Potenza mediterranea non era stata tenuta in sufficiente conto. Si poteva, con della buona volontà, ritenere che questo fosse una specie di suggerimento di cui si sarebbe potuto tenere ancora adesso il debito conto. Però sarebbe stato necessario e desiderabile che l'Italia si dichiarasse disposta a discutere della cosa in una ulteriore riunione della Conferenza di Nyon, che avrebbe potuto essere convocata a tal uopo. Era invece impossibile discutere della cosa a Londra nel Comitato di non intervento dato che colà i dibattiti avrebbero assunto un carattere astioso e quindi assolutamente contrario ai desideri della Francia e dell'Inghilterra.

A questo punto Léger mi ripeté che Nyon era stato escogitato dal governo francese come il mezzo di stabilire una collaborazione fra Italia, Francia, Inghilterra e Germania, in modo da trovare di comune accordo la soluzione di tutti i problemi politici attuali. In caso diverso, si doveva invece temere che le vie seguite dai due gruppi delle Potenze autoritarie e liberali si sarebbero sempre più scostate, colle conseguenze più gravi a scadenza più o meno lontana. Léger insisté pure sul fatto che con della buona volontà la sessione dell'Assemblea poteva essere trascinata per le lunghe, per altre due settimane, tempo che avrebbe permesso di crearsi un'atmosfera più favorevole alla soluzione di altri problemi. Ebbi la sensazione, ancorché non l'abbia menzionato, che Léger pensasse al problema etiopico, perché era rimasto impressionato del quadro che gliene avevo fatto all'inizio della conversazione.

344 l Vedi D. 342. 344 2 Vedi D. 270, nota l.

344 3 Vedi D. 330.

345

IL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE SEGRETO 6947/03 R. Gedda, 16 settembre 1937 (per. il 5 ottobre).

Ho l'onore di confermare il m10 telegramma odierno n. l02 1 , che ad ogni buon fine trascrivo qui appresso: «Telegramma di V.E. n. 902 . Ministro Forze Armate Suleiman venuto ieri Gedda con espresso incarico Re lbn Saud raccogliere da me risposta governo

fascista. Fatta comunicazione scrupolosamente conforme istruzioni ricevute. Da lunga conversazione confidenziale seguita, che riferisco dettagliamente con telegramma per corriere, rilevai seguenti tre punti principali:

l) intendimento assoluto di questo governo non accettare progetto spartizione Palestina e spiegare ogni maggiore possibile azione difesa interessi arabi; 2) speranza ripetutamente espressa che con aiuto governo italiano questione Palestina venga risolta favorevolmente arabi; 3) affermazione diritto Saudia su Akaba che questo governo «ha richiesto, richiede e richiederà sempre». Sembra quindi attendibile notizia telegramma

V.E. n. 94 3 circa reclamo diretto da lbn Saud a Gran Bretagna per restituzione Akaba».

S.E. Yussuf Yassin, prima della sua partenza per la Siria (da me segnalata con telegramma n. 95 del 28 agosto u.s.) 4 , mi aveva scritto pregandomi quando mi fossero pervenute le relative istruzioni e fossi stato in grado di comunicare la risposta del governo fascista, di darne notizia al principe Feisal, residente a Taif. A lui, quindi, appena possibile, facevo subito sapere di avere ricevuto le attese istruzioni ed egli soltanto dopo una diecina di giorni mi faceva rispondere di comunicare la risposta del governo fascista al ministro delle Forze Armate Abdullah Suleiman, che prestissimo sarebbe venuto a Gedda. Evidentemente nel frattempo egli si era rivolto per istruzioni al Sovrano lbn Saud residente a Riad, uniformandosi così alla regola generale rigorosamente imposta dallo stesso Sovrano a tutti i suoi agenti di non trattare con i rappresentanti esteri se non in seguito ed in conformità a tassative, precise e particolareggiate istruzioni personali del Re lbn Saud.

Alla stessa regola si attenne il ministro Suleiman, al quale comunicai ieri la risposta del governo fascista, e ciò nonostante che egli goda della particolare fiducia del Re e sia investito di autorità e poteri superiori a quelli di qualsiasi altro uomo di governo locale. Certamente, in conformità delle istruzioni tassativamente ricevute dal Re lbn Saud, egli raccolse la mia comunicazione senza manifestarsi in alcun modo e in alcun senso, limitandosi a prendere qualche nota scritta su quanto andavo esponendo.

La comunicazione della risposta e la lunga conversazione che ad essa fece seguito, si svolsero con spirito strettamente confidenziale e di reciproca fiducia, con ripetute attestazioni, secondo il sistema arabo, di sincera simpatia e leale amicizia tra i nostri Paesi e governi e tra noi personalmente. Non mancai di riaffermare i sentimenti di simpatia del governo fascista verso il mondo islamico, e verso la Saudia e il Re lbn Saud.

Durante la conversazione rilevai che ogni volta che si accennava alla sorte della Palestina, il ministro Suleiman mi diceva di sperare che «con l'aiuto dell'Italia la questione della Palestina venga risolta a favore degli arabi». Tenendo presente la regola che, come è stato detto sopra, è rigorosamente imposta dal Re lbn

Gerusalemme che riferiva di voci giornalistiche su l"argomento qui indicato. 345 4 Vedi D. 220, nota 3.

414 Saud a tutti i suoi agenti incaricati di trattare con rappresentanti esteri, è certamente da supporre che quella speranza sia stata espressa in conformità, a tassative istruzioni dello stesso Ibn Saud.

Il ministro Suleiman, inoltre, mi ha detto che per ora tutta l'attività politica del governo saudiano è principalmente rivolta alla questione della Palestina, e che qualsiasi azione e qualsiasi movimento politico svolgentesi attualmente in Saudia è in relazione con la difesa degli interessi arabi in Palestina. Il Re Ibn Saud, come qualsiasi altro semplice musulmano, non può accettare il progetto della Commissione Reale inglese per la spartizione della Palestina. La questione, come ha detto il ministro Suleiman, non è soltanto politica ma anche religiosa. Le popolazioni del Neged, di solito indolenti e disinteressate alle questioni politiche, sono invece sensibilissime alle questioni concernenti la religione musulmana. Le diverse tribù del Neged hanno tenuto molte riunioni per protestare contro il progetto inglese ed hanno incaricato i loro capi di presentare, insieme, al Re Ibn Saud la richiesta di provvedere alla difesa degli interessi arabi in Palestina, riaffermando la loro intransigenza rispetto agli ebrei, la loro assoluta devozione verso il Sovrano ed il loro maggiore spirito di sacrificio per la causa araba.

Il Re lbn Saud ha accettato la richiesta ed intende agire (naturalmente per quanto gli sarà possibile).

Così si spiega perché il ministro saudita a Londra, Scheik Hafiz Wabha, come ho riferito col rapporto riservato n. 826/287 del 9 c.m. 5 , sia stato di recente chiamato a conferire a Riad, e sia tornato dopo pochi giorni al suo posto. Il ministro Suleiman, senza specificare la ragione del viaggio di Wabha, mi ha confermato che esso era in relazione alla questione della Palestina.

Così si spiega perché il sottosegretario ad interim Yussuf Y assin, come ho riferito col telegramma n. 95 del 28 agosto u.s., si sia recato in Siria, e si spiega ancora il movimento di personalità, pure riferito col rapporto sopra indicato n. 826/287 del 9 c.m., per lo più con passaporti diplomatici, tra Riad, la Palestina e la Siria. Il ministro Suleiman mi ha confermato che questi viaggi, motivati per ragioni di famiglia e di salute o d'interesse privato, sono in realtà tutti in relazione alla questione della Palestina e, quando consentiti, sono stati fatti per la Palestina stessa, e soltanto in caso contrario, per la Siria.

Circa il Congresso arabo di Bludan (Siria), mentre, come riferii col Resoconto Stampa del 12 c.m. (rapporto n. 836/294) 6 , l'ufficioso Umul-Qura della Mecca pubblicò in data 10 c.m. che la Commissione Saudiana pro Palestina, avendo ricevuto la lettera d'invito a partecipare al Congresso soltanto due giorni prima dell'apertura del Congresso stesso, era stata costretta a declinare l'invito per l'impossibilità materiale di far arrivare in tempo i propri rappresentanti, il ministro Suleiman, invece, mi assicurò che a quel Congresso la Saudia fu regolarmente rappresentata.

Circa poi la notizia di cui al telespresso di V.E. n. 94 del 5 c.m. relativa a «voci corse di fortificazioni alla frontiera tra Transgiordania e Saudia vicino ad Akaba», il ministro Suleiman ha escluso qualsiasi fondatezza di tali voci.

Egli, invece, non ha escluso per niente la fondatezza dell'altra voce corsa che il Re lbn Saud abbia chiesto la restituzione di Akaba. Rispondendo a mia domanda al riguardo, egli ha risposto testualmente che il Re lbn Saud «ha richiesto, richiede e richiederà sempre Akaba che appartiene all'Hegiaz».

Ho infine intrattenuto il ministro Suleiman sulle questioni della nostra missione aeronautica e della fornitura di armi, sulla quali questioni riferirò con rapporti a parte.

344 4 Vedi D. 337. 345 l T. 6507/102 R. 345 2 Vedi D. 257.

345 3 T. 13636/94 P.R. del 4 settembre. Ritrasmetteva il T. per corriere 6016/060 R. del 28 agosto da

345 5 Non pubblicato. L'argomento è qui indicato. 345 6 Non pubblicato.

346

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1664/877. Istanbul, 16 settembre 1937 (per. il 22).

Mio telespresso n. 1617/852 dell'8 c.m. 1•

L'atteggiamento della Turchia nella questione spagnola è stato, fin dagli inizì della crisi, suficientemente chiaro e conseguente: il governo turco infatti, preoccupato di tutto ciò che possa comunque modificare lo status quo e, peggio ancora, determinare un conflitto, ha sempre cercato di mantenere un atteggiamento neutrale ed imparziale. Esso peraltro, costretto a destreggiarsi fra la necessità di non aggravare una situazione estremamente delicata e l'opportunità di non irritare la Russia, ha avuto in principio qualche ondeggiamento ed esitazione. Così si spiegano, Io scorso anno e nei primi mesi dell'anno corrente, l'avversione manifestata per le teorie fasciste e qualche compiacenza nei riguardi dei trasporti russi attraverso gli Stretti. Mano mano però che il conflitto veniva aggravandosi, minacciando di dividere l'Europa in due blocchi ed assumendo un aspetto più precisamente mediterraneo, l'atteggiamento della Turchia si è sempre più consolidato su una posizione intermedia di neutralità, appoggiandosi ideologicamente sui noti principì di pace e di sicurezza ed agganciandosi praticamente all'azione politica inglese, della quale ha seguito le alternative [sic]. Questo atteggiamento lo troviamo espresso nelle parole di Aras, a suo tempo riferite all'E. V.: «Siamo ostili nettamente allo stabilirsi del boscevismo in Spagna. Nel Mediterraneo non vi deve essere una Repubblica sovietica e dimostriamo la nostra avversione non permettendo in Turchia alcuna propaganda. Però saremmo molto preoccupati se in !spagna, debellate le forze rivoluzionarie, si instaurasse un regime nettamente dominato dalla influenza tedesca e più dalla italiana».

L'affondamento dei trasporti rossi, recentemente avvenuti in Mediterraneo e la riunione della Conferenza mediterranea a Nyon, hanno messo in rilievo lo sforzo turco tendente ad evitare soluzioni temibili e pericolose. La stampa infatti si è internazionalmente astenuta da qualsiasi attacco contro il nostro Paese, mostrando

anzi di riprovare l'inopportuna mossa sovietica delle note presentate a Roma2 sulla responsabilità degli affondamenti avvenuti in Mediterraneo. Questi circoli politici hanno poi appreso con sollievo l'esclusione di Mosca dal controllo del Mediterraneo orientale, che si è implicitamene attribuita all'azione turca, sostenuta dall'Intesa Balcanica e dalla Bulgaria.

Informazioni di attendibile fonte confidenziale mi confermano d'altro canto che, nelle riunioni del Consiglio dei ministri tenute per inviare istruzioni alla delegazione turca a Nyon, sarebbe stato deciso di opporsi ad ogni sforzo sovietico tendente a partecipare direttamente al controllo mediterraneo e, in genere, ad interferire, aumentando i pericoli di una situazione considerata piena di incognite. Le stesse argomentazioni comparse sul Giornale d'Italia dell'Il c.m. 3 contro la Convenzione di Montreux, che avrebbe aperto le porte del Mediterraneo alle forze marinare armate del Mar Nero, quelle sovietiche comprese, hanno determinato qui, tenuto conto dell'ambiente, una reazione piuttosto moderata. Ad eccezione, infatti, di qualche spunto polemico dello Haber, le altre pubblicazioni si sono proposte di dimostrare che la Convenzione di Montreux ha ristabilito la sovranità della Turchia sugli Stretti, nell'interesse turco e di tutti gli altri Stati in genere. Del resto, lo stesso governo, in presenza delle voci corse di avvistamenti di sommergibili negli Stretti, si è preoccupato soprattutto di ingenerare nel Paese il convincimento che le forze armate turche fanno buona guardia e che il prestigio e la sicurezza turche non corrono alcun pericolo di sorta.

Mi mancano sufficienti elementi per giudicare l'azione svolta da Aras a Nyon, ma ho ragione di credere che l'esclusione dell'Italia dal controllo mediterraneo abbia prodotto un certo senso di compiacimento. La Turchia ha paura e tutto ciò che può contribuire, a suo modo di vedere, ad abbassare il nostro prestigio in Mediterraneo, senza che ciò comporti peraltro nei suoi riguardi un eccessivo rischio, le è fonte di soddisfazione. Ma ove essa vedesse reazioni da parte nostra con possibilità positive di successo, non mancherebbe di ostentare un'azione equilibratrice e conciliatrice, magari pienamente contrastante con precedenti manovre prudentemente eseguite nell'ombra.

Riassumendo, fino a questo momento, i risultati della Conferenza di Nyon sono stati qui accolti con grande soddisfazione perché si ha la sensazione della costituzione di un solido blocco capace di mantenere la pace armata di fronte al conflitto spagnolo, divenuto grave problema europeo e mediterraneo, riuscendo contemporaneamente ad escludere le forze navali sovietiche dal Mediterraneo, ed a limitare la libertà di azione dell'Italia.

Intanto, la Grande Assemblea Nazionale è stata convocata d'urgenza pel 18

c.m. per ascoltare le dichiarazioni che il Presidente del Consiglio sarà per fare in proposito e per discutere ed approvare gli Accordi di Nyon.

346 1 Non rintracciato.

346 2 Vedi D. 302, nota 3. 346 3 Nell'articolo di fondo "Punti chiariti", firmato da Virginio Gayda, si sosteneva che, aprendo le porte del Mediterraneo all'Unione Sovietica, la Conferenza di Montreux facilitava la manovra sovietica tendente a dividere i Paesi europei e ad impedire il riavvicinamento itala-britannico. Da parte sua però -concludeva l'articolo ---l'Italia era ben decisa ad evitare che "il nuovo momento che si va creando fra Londra e Roma sia turbato e alterato dai tentativi avversi espressamente organizzati".

347

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO URGENTE 6518/471 R. Ginevra, 17 settembre 1937, ore 19.

Durante tutta la mattinata punto di vista di Delbos e di Eden è rimasto rigido: l'Italia, secondo i due uomini politici, aveva rifiutato di aderire all'Accordo di Nyon e spettava ad essa di riprendere i contatti. Mi si sono mostrati tutti i giornali italiani di questi ultimi giorni di cui si erano sottolineati con grande cura titoli e testi che parlavano di «rifiuto italiano». Alle mie obbiezioni che nota italiana 1 conteneva una parte costruttiva, si ripeteva che quella parte era la spiegazione del rifiuto. Il testo, secondo i francesi diceva: «Si rifiutava parce que» e non «si rifiuterebbe se». Cavilli esasperanti che sono durati tutta la giornata. Finalmente dopo lunghe discussioni prolungatesi fino a stasera si è convenuto quanto segue: l'incaricato d'affari di Francia verrà da V.E. per presentarLe il testo del nuovo accordo firmato oggi relativo alle navi di superficie e alle aeronavi 2 , che farà parte integrante di quello di Nyon. Nel presentare tale testo, ·l'incaricato francese informerà V.E. che la nota di risposta era stata considerata da Delbos come un rifiuto motivato. Se però nello spirito del governo italiano tale nota non costituisce un rifiuto il governo francese sarebbe lieto di conoscere i desiderata italiani in forma precisa.

Con tutta probabilità anche gli inglesi aderiranno alla démarche e l'incaricato d'affari inglese si esprimerà nello stesso senso. Eden, fino all'ora in cui telegrafo, non si era ancora deciso, pur avendo dichiarato che «era desiderosissimo di arrivare ad un accordo». Ma non ho motivo per credere che all'ultimo momento rifiuterà di aderire al passo. In conclusione, si profitterà dell'occasione della consegna del nuovo accordo per non fare una démarche .1peciale intesa a conoscere i desiderata del governo italiano. Ma praticamente mi sembra di essere riuscito che siano Francia ed Inghilterra a sondare Roma e a tendere loro la mano per una possibile intesa. Mi si è precisato che se la risposta di Roma dovesse essere semplicemente che le nostre condizioni sono già esposte nella nota senza andare più in là sarebbe difficile prendere altre iniziative.

348

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 6527/74 R. Roma, 17 settembre 1937 (per. stesso giorno).

Sono stato a salutare il cardinale Segretario di Stato, in procinto di lasciare Roma per la Svizzera dove usa passare, sul lago di Costanza, il mese di congedo autunnale.

347 I Vedi D. 337. 347 :>Testo in DDF, vol. VI, D. 461.

Il porporato mi ha dichiarato che non ha fissato ancora la data della partenza. Egli attende di sapere quali reazioni ha prodotto in Germania l'articolo pubblicato da L'Osservatore Romano sotto il titolo: Dopo il Congresso di Norimberga, articolo che ho segnalato all'E.V. con il mio telespresso del 15 corrente

n. 22511792 1 .

La conversazione si è avviata, come si può bene immaginare, sulle cose di Germania. sul discorso di Rosenberg, a Noriberga, contro le Chiese che pretenderebbero un dominio politico, e sulla glorificazione di quel gerarca, con l'assegnazione del Premio delle arti delle lettere. Il cardinale ha osservato che la stampa tedesca continua a tenere un linguaggio «infame» verso la Chiesa cattolica e le sue più alte gerarchie.

Il cardinale ha portato, quindi, il discorso sul viaggio del Duce e dell'E.V. in Germania. Egli ha osservato che l'esaltazione che la stampa italiana fa del nazismo non può fare piacere alla Santa Sede, anche per le ripercussioni che, alla lunga, potrebbero derivarne sulle relazioni fra la Santa Sede e l'Italia. Il porporato ha rilevato che, mentre i giornali italiani hanno dedicato colonne e colonne al Congresso di Norimberga, non hanno avuto neppure un cenno all'articolo succitato dell'Osservatore Romano, che fissa con chiarezza il punto di vista della Sede Apostolica. Ho replicato che, dati i rapporti che intercorrono fra i governi di Roma e Berlino, la stampa italiana deve occuparsi ampiamente delle cose del Reich e degli avvenimenti che colà si svolgono. Facevo, poi, notare che da alcuni mesi i giornali italiani mantengono una scrupolosa riserva nei riguardi della vertenza fra la Santa Sede e il Reich. D'altra parte, il cardinale era al corrente dell'azione spiegata a Berlino daii'E.V. con la prudenza imposta dalla delicatezza del caso. La conversazione ha assunto un tono vivace perché il cardinale persisteva nel suo punto di vista, mentre da parte mia non potevo non contraddirlo.

A un certo punto il Segretario di Stato ha accennato, prima velatamente ma poi apertamente, ad un intervento del Duce e dell'E.V. presso il Fuhrer, in occasione del prossimo viaggio in Germania, nel senso che potrebbe derivarne un miglioramento notevole della situazione. Ho pregato il cardinale di spiegarsi. Egli mi ha dichiarato che parlava di sua iniziativa e non intendeva impegnare il Pontefice che non aveva interpellato. Ha aggiunto che mi autorizzava a riferire all'E.V. la nostra conversazione e la sua domanda ed ha precisato che, se il Duce e l'E.V. riuscissero a ottenere un concreto miglioramento nelle relazioni fra la Santa Sede il Reich, il tàtto avrebbe un'importanza incommensurabile perché in questo momento -ha detto il Segretario di Stato -la questione che preoccupa in primo e al massimo grado la Chiesa cattolica, è quella religiosa in Germania. La Chiesa vede il pericolo grande che corre, non solo la religione cattolica ma il Cristianesimo, in Germania, e desidera fare di tutto per salvare una situazione che considera gravissima.

Il cardinale mi ha prevenuto che ad eventuali aperture del Duce e deii'E.V. si risponderà, dai gerarchi del Reich, che la Chiesa cattolica si propone di fare in

348 I Non pubblicato. Nell'articolo pubblicato su l'Osservatore Romano il 15 settembre, si sosteneva che la relativa moderazione dimostrata dai dirigenti nazionalsocialisti al Congresso di Norimberga nei confronti della Chiesa cattolica era stata soltanto una mossa tattica perché in realtà il nazionalsocialismo diventava sempre più profondamente ostile al cristianesimo, come era dimostrato dal fatto che alle teorie di Alfred Rosenberg era stato dato un riconoscimento ufficiale.

Germania una politica di partito, rimettendo in piedi il Centro Cattolico. Il Segretario di Stato ha smentito con veemenza l'asserzione. Egli mi ha autorizzato a riferire all'E.V. perché possa farne uso, se del caso, che egli e disposto a dare su questo punto le più ampie, esplicite assicurazioni in privato e in pubblico. La Santa Sede si occupa e preoccupa esclusivamente degli interessi religiosi dei cattolici, nel Reich, e dell'educazione religiosa della gioventù. Salvaguardati questi due punti, essa non ha null'altro da desiderare.

Ho assicurato il cardinale che avrei riferito esattamente all'E.V. le sue dichiarazioni.

349

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6546/0323 R. Parigi, 17 settembre 1937 (per. il 18).

Parlandomi ieri del conflitto cino-giapponese, Léger mi ha detto che le notizie ricevute durante le ultime settimane dal Quai d'Orsay dimostravano come il Giappone si trovasse impegnato in una avventura molto ma molto più seria di quanto avesse immaginato. La marina giapponese aveva costantemente osteggiato un'azione energica nei riguardi della Cina, voluta invece dall'esercito che era riuscito, dopo che Sato aveva lasciato la direzione del ministero degli Affari Esteri, ad imporre i suoi desideri al governo.

Secondo notizie molto precise fornite dall'addetto militare francese a Tokio lo Stato Maggiore giapponese aveva pensato di impiegare nell'azione in Cina, che esso immaginava limitata al Nord, delle truppe in numero limitato, riservando le migliori e più giovani per una eventuale campagna contro l'U.R.S.S. ove questa avesse parteggiato per la Cina. Senonché, l'estensione del conflitto a Shanghai aveva sconvolto i piani dello Stato Maggiore giapponese che si era veduto obbligato a mandare all'imboccatura del Yang-tse numerose truppe traendole dalle riserve suddette. Inoltre, i soldati cinesi, istruiti da europei, si erano mostrati molto migliori di quanto non credessero i giapponesi. Essi si battevano con ardore e, contrariamente a quanto suoleva avvenire in passato, non abbandonavano la linea del fuoco probabilmente anche perché si rendevano conto che la popolazione civile ultra-nazionalista avrebbe fatto loro una accoglienza ostile, costringendoli a ritornare in prima linea.

Lo Stato Maggiore giapponese realizza, in ritardo, che sarebbe stato opportuno accettare le proposte di mediazione presentate da varie Potenze allo scopo di impedire che Shanghai diventasse uno dei teatri della guerra. Oggidì non vi era più rimedio, le perdite dalle due parti erano ingenti e purtroppo comprendevano anche molti civili. Si era manifestata recentemente un'epidemia colerica che potrebbe assumere proporzioni gravi data l'assoluta incuria dei cinesi per le misure profilattiche. Unica speranza era la stagione avanzata che non avrebbe permesso il diffondersi dei bacilli del colera.

A detta di Léger, la gravità della situazione per il Giappone era di duplice ordine; innanzi tutto il conflitto sarebbe durato molto a lungo, in secondo luogo l'U.R.S.S. stava a vedere sperando che le forze del Giappone si stremassero per intervenire eventualmente quando non vi fossero più eccessivi timori di resistenza. Egli menzionò pure la poca armonia che regnerebbe fra Tokio e Berlino, dato che il Reich, interessato com'è economicamente in Cina, vede di malocchio l'azione bellica intrapresa dal Giappone 1•

350

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6576/477 R. Ginevra, 17 settembre 1937 (per. il 20).

Kanya mi ha detto stamani che la Piccola Intesa non era arrivata ancora a mettersi d'accordo relativamente al problema ungherese. Le difficoltà provenivano soprattutto da parte romena. Egli aveva ben precisato che senza un gesto da parte della Piccola Intesa sulla questione della minoranza non avrebbe potuto fare nessuna dichiarazione destinata a migliorare i rapporti con i tre Stati finitimi. Un patto di non aggressione che gli era stato richiesto lo aveva rifiutato per evidenti ragioni dato che i tre Stati della Piccola Intesa erano legati tra loro da convenzioni militari da cui non si sarebbero certo svincolati. Se la Piccola Intesa avesse fatto qualche cosa pel problema delle minoranze egli si riprometteva di fare una dichiarazione in senso analogo a quella che l'Ungheria aveva fatto al momento di aderire al Patto Kellogg. Se la Piccola Intesa non fosse entrata in questo ordine di idee, egli non avrebbe fatto più nulla. Quanto al problema del riarmo ungherese, egli non aveva mai nascosto ai tre governi che nei limiti delle sue possibilità l'Ungheria riarmava, cosciente dei suoi diritti.

Aveva saputo da ottima fonte che la Francia si era molto preoccupata dei possibili risultati della riunione di Sinaia. La Francia temeva che un'eventuale intesa con l'Ungheria avesse potuto spingere la Romania e la Jugoslavia completamente nell'orbita di Roma. E quindi aveva agito per contrastare una possibilità d'accordo.

Nella riunione che aveva avuto luogo a Ginevra tre giorni or sono erano state effettivamente esaminate delle controproposte cecoslovacche, come ho comunicato con mio telegramma n. 466 del 16 corrente 1 . Ma i rapporti con la Cecoslovacchia non erano molto favorevoli. Negli ultimi tempi, in base a una nuova legge cecoslo

350 l Riferimento errato. Si tratta del T. 6500/476 R. del 16 settembre con il quale Bova Scappa comunicava che nella riunione della Piccola Intesa del giorno precedente era stato esaminato un con troprogetto cecoslovacco alle richieste ungheresi già prese in esame alla Conferenza di Sinaia. senza peraltro giungere a decisioni.

vacca, si voleva obbligare alcuni latifondisti ungheresi che avevano le loro proprietà in Slovacchia a vendere tali proprietà a cittadini cechi. Egli aveva dichiarato a Praga che una tale pretesa annullava ogni possibilità di accordo.

Non si faceva illusioni su un'intesa rapida. Considerava che egli con i discorsi tenuti a Budapest aveva chiarito quale contributo l'Ungheria era disposta a dare per pacificare il bacino danubiano. Spettava agli altri ora di fare qualche cosa di positivo allo stesso fine.

349 l Il documento ha il visto di Mussolini.

351

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6579/074 R. Belgrado, 17 settembre 1937 (per. il 20).

Secondo notizie che mi pervengono da fonte attendibile sarebbe prossimo l'accordo fra Stojadinovié ed il Patriarcato serbo sulla questione del concordato con la Santa Sede. L'accordo sarebbe raggiunto sulla base di alcune garanzie circa l'applicazione restrittiva del Concordato stesso nei confronti dei diritti riconosciuti alla Chiesa ortodossa e specialmente sulla base di un apporto finanziario del governo alle disponibilità della Chiesa stessa. Il risultato, qualora fosse realmente raggiunto, coronerebbe l'azione paziente e riservata spiegata dal Presidente del Consiglio in questi ultimi tempi per sfaldare progressivamente la coalizione dei vescovi oppositori e per togliere così, all'opposizione, un'arma dimostratasi di così larga e decisiva eftìcacia.

Contemporaneamente, Stojadinovié sta trattando con vari gruppi croati, disillusi circa una possibilità di utile intesa colle opposizioni, specie con un nazionalismo così violentemente ortodosso, disillusi, d'altra parte, delle non chiare manovre temporeggiatrici e degli armeggi di Macek. Stojadinovié preme su quest'ultimo facendogli intravedere la possibilità di uno scisma fra le file croate ed il reclutamento di un partito rurale indipendente, aderente al governo di Belgrado.

Intanto, il Presidente cerca di fare il suo miglior viso a tutti ma in ispecie a Praga ed a Parigi, da dove possono nuovamente partire ordini e mezzi di attacco. In ciò fedele alla sua tattica di non prendere le difficoltà di fronte ma di bordeggiare in attesa che le situazioni acute si sfoghino, si esauriscano e si stanchino da sé.

La situazione del Paese, infatti, è, ora, almeno apparentemente, normalizzata. Soprattutto, per stanchezza di una lotta nella quale gli avversari, non trovando una decisa ed uniforme resistenza, non riescono a mettersi d'accordo fra loro. Non sembra, peraltro, che la situazione personale del Presidente possa considerarsi pienamente ristabilita. Il pericolo è stato severo, l'esperienza convincente per gli oppositori, gli strascichi e gli odi personali numerosi, la massa contadina serba scossa nella sua sottomissione.

Il risultato di questo stato di cose può riservare delle sorprese e, comunque, rendere assai complessa e difficile, nel momento, l'azione, sia all'interno che all'estero, del governo di Stojadinovié.

352

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, DEL DRAGO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5824/1595. Washington, 17 settembre 1937 1•

Mio telespresso in data 2 settembre, n. 5515115132 .

Con mossa non del tutto inattesa per quanti hanno seguito gli sviluppi degli avvenimenti in Estremo Oriente, il Presidente degli Stati Uniti ha proibito alle navi di proprietà del governo americano, che sono esercite dalla Pioneer Line e che ammontano esattamente a tredici bastimenti di circa novemila tonnellate facenti il commercio fra gli Stati Uniti e l'Estremo Oriente di trasportare armi, munizioni e materiale di guerra; mentre al tempo stesso ha avvertito le navi appartenenti a privati che tale traffico sarebbe condotto a loro rischio e pericolo. Susseguenti notizie riportano come sarebbe allo studio, benché tale provvedimento non si ritenga immediato e non appare probabile almeno per ora perché danneggerebbe oltre a tutto considerevoli interessi americani, di comprendere fra il materiale di guerra che non può essere trasportato da navi governative anche il cotone e rottami di ferro.

Dobbiamo ritenere che questo embargo parziale e riguardante il limitato numero di navi appartenenti al governo costituisca un primo passo verso l'applicazione integrale della nota legge della neutralità? Le opinioni non sono concordi ma si deve pensare che il Presidente ha voluto valersi di questa misura appunto per procrastinare e possibilmente evitare l'applicazione della legge in parola.

Tutte le manifestazioni della politica svolta da questo governo durante il conflitto sorto in Estremo Oriente fanno ritenere che detta politica sia stata sempre inspirata al desiderio di non provocare incidenti tali da rendere inevitabile l'adottare un provvedimento così serio e così suscettibile di potenziali conseguenze.

Il più grave ed il più deteminante fra gli incidenti che si sarebbero potuti verificare era difatti l'eventuale fermo di navi americane recanti meteriale di guerra in Cina, fermo effettuato dal Giappone esercitante il blocco delle coste della Nazione avversaria. Poiché il Presidente degli Stati Uniti, se può ignorare il blocco pacifico di navi cinesi non potrebbe peraltro passare sopra ad un fermo di navi americane, vale a dire navi neutrali, il che presupporrebbe l'esistenza di uno stato di guerra che una volta riconosciuto non lascerebbe a questo governo altra via se non l'applicazione della legge: legge il cui scopo dichiarato è quello di tenere l'America lontana da un conflitto, senza dimenticare quello velato di favorire le Nazioni europee ad identiche idealità.

L'atteggiamento di questo governo fino ad oggi ha sempre mostrato come pesasse agli Stati Uniti questa incomoda legge e come si cercasse con cavilli più o meno evidenti di non applicarla.

Se all'atto della ratifica della legge potevamo pensare che non se ne fosse prevista tutta la portata e che non se ne fossero calcolate le diverse conseguenze a

seconda dei diversi campi di applicazione, dopo le recentissime dichiarazioni che il Presidente Roosevclt ha fatto circa la convenienza di applicare la legge solo in caso di conflitto europeo, appare chiara la riserva mentale avuta dai legislatori e dal potere esecutivo durante la formazione e la perfezione della legge. Dunque la legge trova la sua applicazione pratica solo in caso di guerra europea, secondo le parole del Presidente stesso, e per quanti anche superficialmente abbiano seguito la questione non vi può essere il minimo dubbio sulle Nazioni che detta legge vuoi favorire e su quelle che essa vuoi colpire.

Inoltre, secondo l'ipotesi di taluni, a cui già è stato fatto cenno in precedenti rapporti, l'applicazione della legge sulla neutralità danneggerebbe la Cina e nello stesso tempo offenderebbe il Giappone; due conseguenze ugualmente spiacevoli per questo governo. Vi è stato perfino qualcuno che ha sostenuto essere preferibile abbandonare tutti gli interessi americani in Cina ammontanti a otto miliardi di dollari, piuttosto che venire coinvolti in un conflitto che potrebbe costare molto più caro.

Il contegno prudente del governo americano, poi, nei riguardi del Giappone non si smentisce in ogni occasione. Il Dipartimento di Stato allo scopo di evitare possibili cause di dissidio con il Giappone ha avvertito per radio le navi mercantili americane di evitare le acque attinenti alle coste cinesi dove il Giappone esercita il blocco e contro il quale blocco la Cina ha manifestato l'intenzione di esercitare rappresaglie. Un altro esempio della volontà di questo governo di evitare per ora polemiche e recriminazioni si ha nell'atteggiamento tenuto dal signor Hull il quale, il 27 agosto, ha diretto una nota ai governi cinese e giapponese manifestando l'intendimento di ritenerli responsabili dei danni materiali e delle vittime americane causate dal conflitto nella zona di Shanghai. Orbene, il signor Hull, essendo stato interrogato su una nota giapponese che il Dipartimento di Stato avrebbe ricevuto e che respinge qualsiasi responsabilità per danni a proprietà straniera e per vittime di nazionalità straniera a Shanghai, ha declinato di discutere della nota ed ha dichiarato alla stampa solo poterla prendere in esame quando gli sviluppi della questione avessero raggiunto uno stadio sufficiente per farne oggetto di una pubblica dichiarazione. Il che si interpreta nel senso che questo governo solleverà la questione solo a conflitto terminato, quando l'atmosfera sarà più serena ed i possibili reclami non faranno correre il rischio di ulteriori e maggiori complicazioni.

Nell'intento di evitare e prevenire incidenti sono state fatte c si fanno tuttora energiche pressioni perché gli americani abbandonino la Cina e specialmente le zone dell'interno. Si sono chiusi vari consolati e si è dato l'ordine alle famiglie del personale civile addetto alle forze militari e navali americane in Cina di lasciare il territorio cinese. Il Presidente Roosevelt dichiarava pubblicamente che quanti americani restavano in Cina facevano ciò a loro rischio c pericolo. La protesta da parte della Camera di Commercio di Shanghai -che vedeva in ciò il principio di totale abbandono degli interessi americani --non commuoveva eccessivamente questo governo. Provocava solo delle successive dichiarazioni del Segretario di Stato Hull assicuranti che la flotta ed i soldati americani non sarebbero stati ritirati, ma che chiunque non era obbligato a rimanere avrebbe fatto meglio a partire.

Come manifestazione platonica di simpatia e di appoggio morale per la Cina poi si è avuta la dichiarazione del signor Hull circa il deposito, alla Società delle Nazioni, in occasione della riunione dell'Assemblea che esaminerà l'appello della Cina contro l'aggressione giapponese, della sua nota del 16 luglio sui principì fondamentali informanti la politica americana 3 e le risposte ottenute da sessanta Nazioni. È stata questa una iniziativa del signor Hull significante che l'America è pronta ad appoggiare ogni ragionevole passo che vorrà fare la Società delle Nazioni nei confronti della situazione in Estremo Oriente. l giornali lodano tale mossa, ma si nutre ormai poca o nessuna fiducia, dopo le recenti esperienze, sull'efficacia della Lega e si ritiene che l'iniziativa suddetta avrà un valore puramente sentimentale.

Pertanto, pensando a tutto quanto ha fatto il governo americano per non essere costretto ad applicare la legge sulla neutralità, l'embargo parziale che colpisce navi di proprietà governativa trasportanti materiale di guerra in Estremo Oriente non appare che una continuazione logica delle misure prese e sopra descritte.

Con tale divieto, del resto, se pure limitatamente dato il piccolo numero di navi per ora implicate e che è più dannoso per la Cina che non sia per il Giappone, il quale sarebbe solo toccato se il governo americano decidesse di estendere l'embargo al cotone ed ai rottami di ferro, il Presidente ha ritenuto di poter sopprimere quelle cause di incidenti che avrebbero potuto rendere inevitabile la non desiderata applicazione della legge sulla neutralità. Il Presidente Roosevelt ha bensì dichiarato che la legge stessa può venire applicata secondo il corso dei mutevoli avvenimenti nello spazio di ventiquattro ore, ma con la misura oggi annunziata egli spera appunto non essere costretto a ricorrervi.

In questi ultimi giorni, il governo americano si è mostrato estremamente preoccupato della situazione in generale. Poiché non è soltanto il conflitto cino-giapponese che desta gli allarmi di questo governo; gli avvenimenti del Mediterraneo costituiscono una fonte di ansietà altrettanto sentita e forse anche più viva che non sia la situazione in Estremo Oriente. In Cina l'America desidererebbe vedere l'Inghilterra assumere un contegno deciso che mettesse un freno alle provocazioni giapponesi. Non sono mancati articoli di giornali che fanno rilevare come la conquista della Cina da parte del Giappone darebbe un tremendo colpo al prestigio ed al commercio inglese in Estremo Oriente. L'Inghilterra dovrebbe quindi prendere l'iniziativa della mano forte e far sentire il peso della sua potenza. Inoltre qui si trova che le democrazie dovrebbero con un gesto di forza verso il Giappone, dare un esempio ed un ammonimento alle Potenze fasciste in Europa.

La possibilità di un conflitto nel Mediterraneo viene ad aumentare le preoccupazioni di questo governo in quanto questa eventualità lo priva prima di tutto di un valido concorso inglese in Estremo Oriente, essendo per l'Inghilterra facile scusa quella di dover anzitutto attendere il chiarificarsi della situazione europea prima di arrischiarsi in avventure in acque cinesi. D'altra parte, gli inglesi farebbero le stesse pressioni sul governo americano perché voglia intervenire in modo più concreto di quello che non abbia fatto finora facendo rilevare che un predominio nipponico sulla Cina industrialmente organizzata costituirebbe un impero così potente contro il quale nessuna Nazione di razza bianca potrebbe opporsi.

Secondo alcuni sarebbe stato perfino ventilato un piano di blocco economico del Giappone che ridurrebbe qualla Nazione ad una inevitabile resa. La massima parte delle importazioni giapponesi pervengono per via di mare. Con una flotta a Singapore ed una al Canale del Panamà si stabilirebbe un blocco effettivo del Giappone che certamente non potrebbe rifornirsi attraverso la Cina ormai sua av

versaria. Sarebbe una misura punitiva che non vorrebbe necessariamente significare la guerra, ma ve se sarebbe la possibilità ed il governo americano -come ripeto -pone tutto il suo studio ad evitare una simile eventualità. Il governo americano non solo vuole evitare la guerra agli Stati Uniti ma nutre le stesse ansietà e guarda con gli stessi timori alla possibilità che l'Inghilterra sia coinvolta in un conflitto. L'Inghilterra è pur sempre l'Impero al quale questa Nazione guarda con riverenza ed al quale è attaccata da legami che la Dichiarazione d'Indipendenza del 1776 non ha troncato. L'influenza inglese è ancora qui così notevole che non vi sarebbe nemmeno bisogno di una propaganda inglese in America dove anzi, se tale propaganda non fosse più che abilmente condotta, essa irriterebbe quelle correnti di opinione pubblica che formalmente disconoscono una qualsiasi soggezione all'Impero britannico, pur subendola inconsciamente.

Le preoccupazioni nutrite per l'Estremo Oriente sono superate adesso dall'egoistico timore che l'Inghilterra possa essere trascinata in un conflitto europeo: dico egoistico perché i responsabili della politica americana sentono di poter rimanere estranei ad un lotta solo fino a quando la Gran Bretagna ne rimarrà estranea; ma che il giorno in cui l'Impero britannico sarà impegnato in una lotta di capitale importanza, questa Nazione sarà costretta a mettersi al suo fianco con tutte le sue risorse materiali e morali.

352 l Manca l'indicazione della data d'arrivo. 352 2 Non rintracciato.

352 3 Se ne veda il testo in FRUS, 1937, vol. I, pp. 699-700.

353

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 6552/639 R. Safamanca, 18 settembre 1937, ore 22,30 (per. ore 0,50 del 19).

Telegramma per corriere di V.E. 13996 in data dell'Il corrente 1•

Mi sono recato oggi espressamente a Burgos per intrattenere Franco nel senso prescrittomi, circa trattamento personalità basche e capi militare arresisi alle truppe legionarie.

Generalissimo ha insistitito sul punto che la resa dei baschi, dato il momento e la circostanza in cui è avvenuta, non può conferire ad essi alcun diritto a condizioni di favore. Ha ricordato che nei giorni immediatamente precedenti la presa di Santander, essi avevano tentato patteggiare resa anche con lui e che solo dietro suo rifiuto fare condizioni essi si erano decisi ad intavolare e concludere trattative

con Comando italiano. Ciò nonostante Franco mi ha dato ampie assicurazioni che saranno adottati criteri della maggiore clemenza e che in tal senso ha dato e rinnoverà ordini precisi. Egli mi ha dichiarato che desidera anzitutto far cosa gradita al Duce e alla E.V. e altresì di tener conto dell'opinione pubblica all'estero e particolarmente in Inghilterra. Condanne capitali di capi politici e militari finora pronunciate sono in numero relativamente esiguo e per la maggiore parte saranno commutate con provvedimenti di grazia.

Franco però ha escluso possibilità espatrio delle persone predette, circa le quali egli si dice convinto che ritorneranno nella Spagna Rossa o quanto meno si dedicheranno alla propaganda all'estero contro il governo nazionale.

Ha escluso inoltre possibilità di provvedimenti di grazia nei casi di provata reità per gravi delitti comuni.

353 1 Ritrasmetteva un telegramma inviato a Ciano dal deputato laburista Lansbury nel quale si chiedeva al ministro degli Esteri italiano di intervenire presso Franco perché alle personalità basche che si erano arrese fosse consentito di lasciare la Spagna e recuperare la libertà come era stato loro promesso dal generale Mancini [Roatta]. Ciano aggiungeva: «Ho dato istruzioni all'ambasciata a Londra di assicurare Lansbury che sarei intervenuto presso il governo spagnolo nel senso richiesto. V.E. vorrà intrattenere della questione generale Franco. Gli dica a mio nome che un suo gesto di clemenza provocherebbe certamente benefiche reazioni nell'opinione pubblica inglese e potrebbe attraverso il Lansbury-che come è noto è il più vecchio parlamentare britannico ed uno fra i più rispettati --indubbiamente giovare alla causa nazionale. Una decisione in tal senso sarebbe apprezzata anche dal governo fascista. Mi telegrafi esito suoi passi».

354

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6595/0209 R. Vienna, 18 settembre 1937 (per. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 0204 dell'Il corrente 1•

Un ultimo tentativo di indurre il Cancelliere a recarsi a Ginevra è stato fatto nel pomeriggio di ieri da Herriot, arrivato in automobile dalla Svizzera nella mattinata. Secondo la versione data a Schuschnigg dallo stesso Herriot, egli, avendo detto a Ginevra a Delbos che avrebbe fatto una rapida corsa a Salisburgo e a Vienna per rinfrescare sue impressioni per un libro che sta scrivendo su Morzat (?), era stato pregato da Delbos di vedere il Cancelliere e di rinnovargli l'invito ad andare a Ginevra, dove Chautemps e Delbos avrebbero molto gradito di conoscerlo e di conferire con lui.

Herriot ha veduto Schuschnigg nel pomeriggio di ieri. La conversazione è stata piuttosto generica, ma il Presidente della Camera francese ha molto insistito perché il Cancelliere aderisse al desiderio del ministro degli Esteri di Francia.

Schuschnigg ha ringraziato per l'interesse che il governo francese dimostrava per lui ma ha esposto le ragioni che lo avevano sconsigliato dal partecipare alla sessione di Ginevra. In nessun caso egli avrebbe voluto fare un gesto che potesse essere male interpretato, nel presente momento, a Roma.

Herriot tenne a dimostrare che tale interpretazione doveva, secondo lui, considerarsi esclusa e pregò Schuschnigg di non dargli subito una risposta definitivamente negativa.

Il Cancelliere rispose che si sarebbe incontrato oggi o domani ad Innsbruck con il dottor Schmidt, il quale gli avrebbe fornito le ultime informazioni sulla si

tuazione di Ginevra ma non lasciò dubbio che la sua decisione definitiva sarebbe stata negativa, pur esprimendo anche da parte sua il desiderio di un incontro con i ministri francesi, altrove e in altro momento. Anche questo ministro di Francia Puaux, che ha parlato con Herriot dopo il colloquio al Ballhaus, mi ha confermato oggi questa impressione negativa.

Herriot è ripartito stamane diretto attraverso la Svizzera in Francia.

Schuschnigg è partito ieri sera per Innsbruck (mio telegramma per corriere

n. 208)2 . Lo rivedrò martedì al suo ritorno 3 .

354 l Con T. per corriere 6369/0204 R. dell'Il settembre, il ministro Salata aveva riferito che, sia da parte francese, sia ~e in modo anche più vivo ~da parte britannica, si stavano facendo pressioni su Schuschnigg perché si recasse alla sessione plenaria della S.d.N.

355

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

LETTERA PERSONALE l. Roma, 18 settembre 1937.

Ti scrivo, d'ordine del Capo, per chiederti alcune cose che gli stanno a cuore e per ragguagliarti su alcuni provvedimenti presi di recente, che giudico utile farti conoscere.

Comincio da questi ultimi. In seguito alla situazione che si è prodotta è stato deciso l'invio di nuove forze in Libia: tre divisioni, che partiranno, sia pure numericamente ridotte, nei prossimi giorni.

Inoltre, sono stati ceduti a Franco alcuni sottomarini: due per ora, e due tra breve che opereranno come forze legionarie nelle acque territoriali.

Infine, le forze aeree delle Baleari sono state molto rafforzate. Si conta di servircene contro i porti rossi. Il blocco che abbiamo interrotto in mare libero verrà praticamente effettuato in futuro rendendo la vita impossibile nei porti di Valencia, Barcellona. Tarragona, Alicante e Almeria. I bombardamenti saranno durissimi e continuativi.

Queste notizie te le do per tua riservata informazione: perché tu possa fare meglio il punto e conoscere i misteri degli eventi futuri.

Ma ciò che il Capo vuoi conoscere da te è l'effettivo stato d'animo inglese, quanto c'è dietro le quinte da Nyon in poi. Come sono andate le cose, tu lo sai meglio di me. Allo stato degli atti da parte nostra non c'è niente da fare. Aspettiamo. Con calma e con freddezza. Ed anche con quella formidabile decisione di cui tu sei stato testimone a Palazzo Venezia.

Se veramente esistesse una volontà di intesa, la possibilità offerta dalla nostra ultima nota2 non si sarebbe lasciata cadere. Invece -giudicando da qui, racco

per il Tirolo, dove il Cancelliere avrebbe pronunciato un discorso ma dedicato esclusivamente a pro blemi di politica interna. 354 3 Lo stesso giorno, il ministro Salata comunicava, con T. 8677/0218 R., che il Cancelliere Schu schnigg aveva dato una risposta definitivamente negativa all'invito di recarsi a Ginevra. 355 I La lettera è autografa. 355 2 Vedi D. 312.

428 gliendo alcune notizie ed anche leggendo tra le righe di una stampa provocatrice e ricattatoria -l'animo non sembra chiaro. Quello che conta è saperlo per tempo. Questo è quanto il Duce ti chiede. Un'inchiesta rapida e un tuo giudizio sintetico e, come sempre, sereno. In base a questo se non decisioni, saranno almeno fissati alcuni provvedimenti di varia natura, per i quali è indispensabile avere tempo e altamente vantaggioso prendere l'iniziativa.

Ti scrivo -e ciò valga anche per tua norma di condotta -perché abbiamo avuto ragione di dubitare della segretezza dei cifrari 3 .

354 2 T. per corriere 11485/0208 P.R. del 18 settembre che dava notizia della partenza di Schuschnigg

356

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2931/1172. Salamanca, 18 settembre 1937 (per. il 24).

Con riferimento, da ultimo, al telespresso di questa R. ambasciata n. 2455/1008 del 14 agosto scorso 1 , mi onoro di trasmettere qui unito a V.E., copia del rapporto

n. 2335 del 10 corrente, col quale il R. console a San Sebastiano ha ulteriormente riferito nei riguardi della missione di monsignor Antoniutti.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CAVALLETTI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

TELESPR. 2335. San Sebastiano, 10 settembre 1937.

Mio 1953 del 10 agosto s.

Malgrado gli sforzi di conciliazione che ha compiuto monsignor Antoniutti nella operazione di repressione contro il clero basco, esistono ancora seri attriti per tale questione fra il governo nazionale e i padri gesuiti.

Il governo di Franco fa colpa ai gesuiti di aver avuto quali allievi tutti i principali esponenti del nazionalismo basco come Aguirre, Ziaurriz, Leizaula, Jauregui ecc., i quali effettivamente sono tutti usciti dalle università gesuitiche di Bilbao di diritto e di commercio.

Il governo nazionale pertanto sta più o meno apertamente frapponendo difficoltà e ostacoli per la continuazione della missione educativa dei gesuiti in Biscaya e per riflesso anche in Guipuzcoa, accusando di baschismo un considerevole numero di religiosi.

356 1 Trasmetteva il telespresso 1953 del IO agosto del console Cavalletti relativo ad un colloquio con monsignor Antoniutti. TI prelato aveva osservato che la sua attività nella zona basca, anziché essere facilitata, era stata ostacolata dai dirigenti di Burgos e dalla Falange locale e, sul piano generale. si era mostrato preoccupato «dell'invadente influenza tedesca e dello spirito di paganesimo tipo nazionalso cialista che circolava nella Falange».

È nota per i miei precedenti rapporti la condotta tenuta dai gesuiti nella Repubblica di Euzkadi: mentre la più grande parte dei padri, qualsiasi fossero i loro segreti sentimenti, si sono tenuti veramente in disparte dalla questione politica, un piccolo gruppo ed in particolare un Padre si sono schierati per il baschismo, arrivando persino a pubblicare scritti contro il cardinale Gomà.

Dopo la liberazione di Bilbao. l'Ordine stesso ha preso gravi misure contro costoro espellendo un confratello ed inviandone tre in America. Queste misure non sono però sembrate sufficienti ai militari i quali hanno voluto mettere sotto pressione altri dodici padri gesuiti.

Questo Padre provinciale si è in questi giorni recato in Salamanca e a Burgos a intercedere per loro e a cercare di riconciliare le Case gesuitiche delle provincie basche col governo. Sembra che egli abbia ottenuto solo un parziale successo riuscendo a fare rilasciare sei dci padri, senza potere impedire che l'istruttoria si continui contro gli altri pur mantenendola segreta cd evitando che la stampa ne parli. Seguiterò a riferire.

355 3 Per la risposta di Grandi si veda il D. 421.

357

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A PARIGI, LONDRA E SALAMANCA

T. 1620/c. R. 1 Roma, 19 settembre 1937, ore 24.

Ieri gli incaricati di affari di Gran Bretagna e di Francia mi hanno fatto la seguente comunicazione:

«l governi francesi e britannico hanno. in mancanza di commenti autorizzati, interpretato come un rifiuto la comunicazione2 che è stata fatta ai loro rappresentanti il 14 settembre dal governo italiano. Secondo informazioni che sono state date loro da fonte ufficiosa, ciò non era il senso che doveva essere attribuito a tale comunicazione. In queste circostanze essi tengono a ripetere che esamineranno con tutta l'attenzione che meritano le osservazioni positive che potranno essere presentate dal governo italiano in merito alle misure concordate a Nyon».

Stamani ho loro risposto quanto segue:

«Il governo italiano riteneva che dalla sua nota del 14 settembre potesse facilmente apparire il significato delle osservazioni ivi contenute relative ad una eventuale partecipazione italiana alle misure navali prevedute daii"Accordo di Nyon del 14 settembre.

In seguito alla comunicazione verbale fatta oggi dagli incaricati d'affari di Gran Bretagna e di Francia relativa alla nota italiana e alle misure anzidette, il governo italiano precisa che, per parità di diritti con qualsiasi altra Potenza ed in qualunque zona del Mediterraneo, esso intende che, per partecipare alle misure navali, dovrà essere riservata alla flotta italiana una posizione uguale a quella delle flotte britannica e francese.

Quanto precede, così precisato, riveste il carattere di una osservazione positiva». Avendo i due rappresentanti insistito per conoscere se una tale mia risposta significava che l'Italia era pronta a partecipare a discussioni relative all'Accordo di

Nyon, ho detto che in primo luogo era necessario conoscere le reazioni dei governi di Londra e di Parigi sulla questione di principio relativa alla nostra parità nel pattugliamento mediterraneo. Ciò fissato, non sarebbe stato difficile intenderei sui particolari esecutivi, tanto più che tale collaborazione avrebbe potuto venire discussa sul terreno pratico dai tecnici navali 3 .

Tanto comunico per opportuna notizia di V.E. Con telegramma in chiaro invio il testo del comunicato 4 che nel pomeriggio sarà dato alla stampa.

357 1 Minuta autografa. 357 2 Vedi D. 337.

358

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6574/488 R. Ginevra, 20 settembre 1937, ore 10

Beck mi ha detto di aver avuto una conversazione di un'ora e mezza con Delbos. Ha soggiunto che teneva a mettermi al corrente, molto confidenzialmente, di tale colloquio con preghiera di informare V.E. perché si era trattato di un argomento che, a suo avviso, poteva avere eccezionali conseguenze per la pace d'Europa.

Aveva portato il discorso con Delbos sulla questione spagnola. Egli era «baltico» e non «mediterraneo», quindi a tale problema si interessava per i riflessi che esso poteva avere sulla pace del mondo e non per fini diretti. Ma teneva a fare sapere a V.E. il pensiero di Delbos perché ciò avrebbe potuto servire di orientamento al governo italiano nell'apprezzare gli sviluppi successivi della situazione politica europea.

Delbos ha in sostanza dichiarato a Beck che la Francia è praticamente indifferente al regime che potrà instaurarsi in Spagna. La preoccupazione a cui essa ispira tutta la sua condotta nel problema spagnolo e mediterraneo è che l'Italia non si installi nelle Baleari definitivamente e che non pesi così una minaccia gravissima sull'unità dell'Impero francese e sulle sue linee di comunicazione. Un cambiamento delle status quo del Mediterraneo sarebbe intollerabile per la Francia. Sarebbe quindi bastata una dichiarazione formale di Roma a Parigi, contenente un impegno da parte dell'Italia a rispettare l'integrità territoriale della Spagna, perché la situazione si sarebbe potuta subito chiarire. Di fronte a una simile dichiarazione la Francia si sarebbe di fatto disinteressata del problema interno spagnolo. Lo sbarco eventuale di nuove truppe italiane in Spagna, l'invio

431 di nuovi mezzi non avrebbero fatto che aumentare le preoccupazioni del governo francese di fronte ad un problema vitale per l'avvenire delle Nazioni e aggravare quindi la situazione generale.

Ho risposto a Beck che il Capo del governo italiano aveva fatto reiteratamente pubbliche dichiarazioni sul suo fermo proposito di rispettare l'integrità territoriale della Spagna. Il Duce aveva perfino dichiarato che avrebbe avuto del disprezzo per quel capo nazionale che avesse fatto mercato del territorio nazionale spagnolo, così come si erano proposti di fare precisamente i governanti rossi di Valencia. Il Duce aveva tracciato in formule chiarissime le linee maestre della politica italiana sul problema della Spagna e del Mediterraneo. Quello che Roma avrebbe impedito con tutti i mezzi era la possibilità che si installasse in Spagna un governo bolscevico od affine. Non capivo perché tanto Delbos quanto Eden continuassero ad agitarsi attorno a questa pretesa minaccia a cui sembravano aver inspirato anche gli Accordi di Nyon o non prestassero fede alle dichiarazioni che il Duce aveva spontaneamente fatto appunto per far comprendere che egli inspirava la sua politica ad una concezione superiore dell'avvenire dell'Europa e della sua civiltà e non a motivi di avventura ed a fini egoistici. Il sangue che i volontari italiani versavano in Spagna era un olocausto fatto per il bene dell'Europa intera. Non si vedeva, quindi, questa necessità di una dichiarazione esplicita che si sarebbe dovuta fare a Parigi e a Londra per vedere la situazione subito sotto una nuova luce, come egli mi diceva. Avevo l'impressione che Eden e Delbos insistessero su questo motivo di diffidenza per giustificare certi aspetti generali della loro politica mediterranea che non sembravano molto ben definiti e molto chiari.

Beck mi ha interrotto per dirmi che Delbos gli era parso sincero. Egli teneva a informare della cosa V.E. che avrebbe potuto fare di tale segnalazione il conto che credeva. Ma come europeo, preoccupato delle sorti del continente, aveva il dovere di fare quanto poteva per favorire un possibile accordo. Se quindi un passo del genere da parte italiana avesse potuto garantire la pace europea e forse un più facile trionfo di Franco, perché non segnalare che ad esso si teneva in modo speciale?

A Delbos aveva detto lealmente che avrebbe tenuto fede agli impegni presi dal suo Paese ma non si gradiva l'idea di avere i soviet alle spalle in armi.

Niente patto dell'Est; su questo ultimo punto non vi era da discutere. I suoi rapporti con la Germania erano noti. Verso la Cecoslovacchia non intendeva fare gesti di nessun genere. Quanto all'Italia, aveva stabilito con essa rapporti molto amichevoli e desiderava mantenerli tali. Beck ha soggiunto che non aveva da fare misteri sulla sua politica, che era chiarissima. Quanto alla S.d.N., la Polonia vi sarebbe rimasta se la Lega avesse dato prova di essere una libera unione di Stati sovrani. Se avesse dovuto trasformarsi in una coalizione ideologica o settaria come minacciava di fare l'avrebbe abbandonata. Per marcare intanto il suo recente disinteresse se ne sarebbe partito oggi stesso e precisamente per l'Italia.

Ho ringraziato Beck di avermi parlato con tanta franchezza e gli ho detto che

V.E. sarebbe certo stata molto sensibile al fatto che egli aveva voluto mantenere così stretti contatti col rappresentante italiano qui durante questo periodo e che aveva voluto metterlo così dettagliatamente al corrente della sua conversazione con Delbos.

357 3 Non è stata trovata altra documentazione sui colloqui tra Ciano e gli incaricati d'affari di Gran Bretagna e di Francia durante i quali furono effettuate le <<comunicazioni verbali>> qui riportate. Si veda sul primo di tali colloqui il telegramma di Ingram in BD, vol. XIX, D. 174 e, sul secondo, il resoconto dello stesso Ingram (ihid., D. 177) e quello di Bionde! in DDF, vol. VI, DD. 469 e 470. 357 4 Il testo del comunicato, sul quale dovevano nascere alcune polemiche (vedi D. 359), è in Rela=ioni lnterna=ionali, p. 712.

359

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6582/491 R. Ginevra, 20 settembre 1937, ore 12,30.

Come ho segnalato verbalmente a V.E., reazione al comunicato italiano 1 relativo al passo fatto dai due incaricati di affari di Francia e di Inghilterra presso

V.E. e alla risposta da essi ricevuta è stata diversa presso le due delegazioni interessate. Mentre i francesi hanno mostrato di comprendere la legittimità della richiesta italiana, Eden si è in principio molto irritato per il comunicato diramato a Roma ieri sera, affermando che non vi era nessuna ragione di marcare pubblicamente che Francia e Inghilterra avevano ceduto alla volontà italiana di essere le prime a riprendere l'iniziativa di un possibile negoziato.

In base a tale irritazione, aveva ieri sera tardi e stamane dichiarato che avrebbe risposto con una nota affermante che i legittimi interessi italiani nel Mediterraneo sarebbero stati salvaguardati.

Ho fatto notare tanto a Stevenson che a Massigli che si occupano entrambi del problema che codeste mi sembravano questioni piuttosto puerili. Quello che interessava era sapere se Francia e Inghilterra avrebbero risposto aderendo alla tesi italiana

o no. La redazione della formula interessava fino a un certo punto, sebbene la cosa migliore da fare sarebbe stata quella di riprendere nella risposta le parole stesse del conte Ciano. Quello che contava era l'immediata accettazione del principio da noi posto e mi sono valso degli argomenti fornitimi da V.E. ieri sera 2 per spiegare che ritenevo, a mio avviso, personale, urgente ed essenziale una decisione categorica. Ma come in questo caso formule ambigue avrebbero fatto perdere il tempo e mai come in questo caso il tempo perduto sarebbe stato esiziale alla possibilità di un accordo.

Mi si è detto infine che in giornata stessa sarebbero preparati i testi della risposta che verrebbe concordata fra le due delegazioni mentre si sarebbe studiata la possibilità di invitare Roma a far partire subito per Parigi i suoi esperti navali. Infatti, anche accettando il principio in pieno, resta la necessità di un accordo tecnico per il fatto che pur non avendo consacrato negli Accordi di Nyon una suddivisione in zone del Mediterraneo, i due Stati Maggiori praticamente hanno suddiviso per l'esercizio della sorveglianza il Mediterraneo fra le due flotte francese ed inglese. Quindi con l'eventuale adesione dell'Italia bisognerà rivedere gli aspetti tecnici dell'Accordo stesso.

Avendomi infine Stevenson detto che anche altre Potenze avrebbero potuto richiedere gli stessi diritti che reclamava l'Italia con evidente allusione alla Russia, gli ho risposto che una simile richiesta poteva essere respinta in base al più elementare buon senso perché le sole Potenze che potessero esigere parità di diritti per il Mediterraneo erano l'Italia, Potenze mediterranea al cento per cento, la Francia e l'Inghilterra.

359 I Vedi D. 357. nota 4. 359 2 Di queste istruzioni non è stata trovata documentazione. È da ritenere che siano state date per telefono.

Appena avrò conoscenza della formula che verrà adoperata nei telegrammi che stanno subendo una laboriosa redazione non mancherò di informarne V.E. 3

360

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA

T. PERSONALE 1624/19 R. l Roma, 21 settembre 1937. ore 12,35.

Suo 488 2 .

In relazione a quanto Beck ha detto a Vossignoria circa suo colloquio con Delbos, si rechi da quest'ultimo e gli confermi a mio nome che Italia non ha mai inteso, né intende portare il benché minimo mutamento nello Stato territoriale della Spagna. Ogni affermazione circa nostre mire sulle Baleari è arbitraria e falsa. Abbiamo più volte chiarito le ragioni puramente ideologiche della nostra azione in !spagna e non dovrebbe quindi esserci la necessità di tornare a battere su questo chiodo. Ma se i francesi hanno bisogno di ulteriori conferme, noi siamo disposti a ripetere loro nella forma che riterranno migliore che nessuna mira territoriale ci guida nella nostra azione e che l'integrità spagnola, continentale e insulare, sarà da noi rispettata 3 .

361

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6673/350 R. Shanglwi. 21 settembre 1937, ore 15 (per. ore 4 del 23 ).

Ho avuto lungo colloquio con questo ambasciatore del Giappone dal quale mi sono recato per ringraziarlo delle cortesie usate dalle autorità Giapponesi in occasione mio recente viaggio da e a Shanghai.

giuntamente una comunicazione ver.bale dei loro governi con la quale si prendeva atto della disponibili tà del governo italiano a partecipare all'applicazione degli Accordi di Nyon e si proponeva la riunione a Parigi di esperti navali delle tre Potenze per concordare le misure di applicazione. Lo stesso giorno, Ciano rispondeva con una comunicazione verbale in cui, preso atto che l'Italia avrebbe avuto nelle misure navali una parte uguale a quelle della Francia e della Gran Bretagna, si accettava di partecipare alla riunione di Parigi. Il testo della comunicazione anglo-francese è in DDF, vol. VI, D. 473: la comu nicazione italiana è riportata ihid., D. 477. Negli archivi italiani non si è trovata documentazione dei due colloqui: si veda il resoconto di lngram in BD, vol. XIX, DD. 182 e 184. 360 l Minuta autografa. 360 2 Vedi D. 358. 360 3 Si veda per il seguito il D. 362.

Mio collega non intravvede ancora possibile soluzione del conflitto e di questa incertezza egli si preoccupa nonostante il successo militare giapponese. Ad ogni buon fine, egli mi assicurò, il Giappone si è preparato per un lungo conflitto. Alle mie osservazioni sulla possibilità di un intervento armato sovietico e sulle informazioni che si hanno al riguardo a Nanchino (mio telegramma n. 339) 1 , ambasciatore del Giappone non si è mostrato scettico come altre volte ma ha ammesso possibilità aiuti sovietici materiali bellici e volontari, pur dubitando di un intervento diretto nel conflitto. Giappone dovrà tenere occhi bene aperti ma anche Cina deve domandarsi quale sia finalità cruento [sic] intervento sovietico e in definitiva temerlo come il Giappone.

A tale riguardo ambasciatore del Giappone mi ha detto di non credere personalmente che Chiang Kai-shek sia passato al comunismo di cui invece sarebbe ancora avversario. Attuale situazione dovuta a suo indebolimento dopo colpo di Hsian2 ed impegni che aveva dovuto accettare per essere liberato: da allora elementi estremisti nazionali e comunisti avevano preso il sopravvento e propaganda comunista infiltrata anche nelle truppe del Maresciallo stesso e ciò costituisce il pericolo malgrado apparente fronte unico anti-giapponese.

Richiestogli con quale governo cinese Giappone avrebbe potuto fare la pace, mio collega ha risposto, dicendo esprimere suo parere personale, col generale Chiang Kai-shek e mi ha rivolto ancora domande sulla sua salute e la sua situazione a Nanchino dichiarandosi convinto che sino a che Chiang Kai-shek avrà la salute e l'autorità necessaria egli sarebbe l'unica persona con cui poter trattare una pace durevole. All'infuori di lui non si vede che un caos politico assai pericoloso per il Giappone che dovrà pure arrestarsi un giorno nell'avanzata.

Comunicato Roma a Tokio.

359 3 Il 21 settembre, gli incaricati d'affari francese, Bionde!, e britannico, Ingram, effettuavano con

362

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

T. 6649/510, 6650/511, 6651/512 e 6652/513 R. Ginevra, 22 settembre 1937, ore 13,25 (per. ore 20,35 ).

Ho fatto a Delbos la comunicazione ordinatami da V.E. con telegramma

n. 19 1 , specificandogli ben chiaramente che in seguito alle vive preoccupazioni che esistevano a Parigi e qui e di cui il governo italiano aveva avuto sentore, V.E.

aveva ritenuto opportuno di rinnovare in forma esplicita il punto di vista italiano sul problema spagnolo.

Delbos si è mostrato visibilmente soddisfatto della dichiarazione fattagli ed ha preso appunto mentre io gli leggevo i passi più importanti del telegramma illustrandogli la portata di esso.

Avendogli detto che eravamo disposti a ripetere nella forma che egli riterrà migliore che nessuna mira territoriale guida la nostra azione, Delbos mi ha detto che a suo avviso la forma migliore sarebbe che venisse concretato un accordo tra Francia, Italia e Inghilterra sulla Spagna, accordo che abbracciasse oltre l'impegno di rispettare la integrità territoriale, anche la questione del ritiro dei volontari che gli sembrava strettamente connessa alla prima.

Ho risposto che non vedevo correlazione tra le due cose. La riconferma dell'integrità territoriale che noi facevamo era destinata a calmare le apprensioni ingiustificate di circoli francesi che attribuivano all'azione italiana secondi fini inesistenti. Quanto al problema dei volontari egli aveva visto, per esperienza, come si trattasse di una questione delicata e spinosa. I volontari italiani erano agli ordini di Franco e la loro presenza in Spagna era in rapporto alla forma di intervento diretto della-Russia sovietica e anche della Francia, e comunque il problema era di competenza del Comitato di Londra.

Delbos ha naturalemente protestato asserendo: l) che lo scambio di telegrammi tra il Duce e Franco e il Duce e i generali italiani2 provavano largamente che l'intervento italiano era fatto sotto ispirazione governativa; 2) che la Francia aveva rispettato l'impegno di tener chiusa la frontiera salvo che ali' esportazione di merci ammesse dallo ... 3 ; 3) che l'opera del Comitato di Londra si era dimostrata nulla e che per conseguenza sarebbe stato utilissimo riprendere l'esame della questione spagnola sotto tutti i suoi aspetti in una conversazione diplomatica fuori di Londra.

Avendomi accennato che la Francia non considerava come questione vitale per essa la presenza di un governo bianco piuttosto che rosso in Spagna, gli ho detto che se egli aveva affidamento così pieno circa il rispetto dell'integrità territoriale di quel Paese da parte nostra e se la presenza di un governo autoritario in Spagna non costituiva -come egli mi diceva -un rischio per la Francia non vedevo perché insistesse tanto sul problema dei volontari.

Delbos mi ha detto che vi era una opinione pubblica in Francia alla quale egli doveva rendere conto e tale opinione pubblica, che parteggiava per Valencia, considerava un «paradosso grottesco» che mentre Franco continuava a ricevere rinforzi di uomini e di materiale dall'Italia e dalla Germania la frontiera dei Pirenei restasse chiusa.

Ho obiettato che questo apparente paradosso era di fatto inesistente perché rinforzi di uomini dall'Italia non erano più partiti, mentre arrivavano ai Rossi continui rifornimenti di mezzi e la frontiera dei Pirenei ci risultava chiusa più di nome che di fatto.

362 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

Ho chiesto a Delbos se era vero che avesse deciso con Eden di riaprire legalmente tale frontiera nel caso che nuovi volontari italiani fossero sbarcati in Spagna.

Delbos ha risposto che aveva esaminato il problema con Eden e che effettivamente, se l'intervento italiano in Spagna avesse preso proporzioni più vaste, la possibilità di riaprire la frontiera dei Pirenei era stata in principio ammessa, benché niente ancora fosse stato deciso. Ho chiarito che una tale decisione avrebbe potuto essere molto grave, al che Delbos ha risposto che non era il solo a decidere in Francia e che egli personalmente aveva sempre patrocinato il non intervento. Ad ogni modo egli teneva a confermarmi che la dichiarazione da me fattagli a nome di V.E. era destinata a rasserenare molto l'atmosfera e desiderava ringraziare il Duce e V.E. che con spirito tanto realistico aveva voluto accettare di discutere sugli Accordi di Nyon.

Delbos mi ha lungamente intrattenuto sulle origini e le conclusioni di Nyon affermando che se l'Italia avesse partecipato alla Conferenza altre questioni avrebbero potuto essere risolte.

Cogliendo la palla al balzo ho chiesto a Delbos, a titolo puramente personale, se, dato il miglioramento sensibile della situazione di cui egli stesso parlava, non riteneva che fosse giunto il momento di liquidare la questione etiopica nel corso della presente Assemblea della S.d.N.

Delbos mi ha risposto che la soluzione di tale problema dipendeva dall'atmosfera generale e che gli ultimi incidenti di Tunisi 4 , avendo suscitato viva emozione in Francia, non erano fatti per migliorarla.

Ho risposto che gli incidenti di Tunisi erano episodi locali dovuti a provocazioni dei soliti irresponsabili e che non avrebbero potuto aver peso decisivo sul miglioramento generale dell'atmosfera. Ad ogni modo mi sembrava che agissimo in un circolo chiuso. L'atmosfera non poteva migliorarsi se la questione etiopica non fosse stata risolta e quindi era inutile attendere che l'atmosfera migliorasse per agire.

Ho lasciato a Delbos copia delle note dichiarazioni di Litvinov dello scorso anno che indicano in forma precisa la soluzione problema etiopico e gli ho accennato alle formule di cui si discuteva per un possibile rapido regolamento, facendogli notare che, mentre quasi tutte le delegazioni erano disposte ad aderire a qualcuna di esse, mancava solo l'adesione della Francia e dell'Inghilterra.

Delbos ha preso nota di alcune formule. Lui ha detto spontaneamente che avrebbe consultato Chautemps e mi avrebbe tenuto al corrente se era possibile fare qualche cosa nel corso della presente sessione. Mi è parso personalmente ben disposto e conscio dell'importanza che avrebbe una decisione in proposito. Occorrerà vedere come reagirà Parigi. Delbos mi ha detto che per ora teneva in sospeso ogni comunicato e ha espresso il desiderio di rivedermi questo pomeriggio.

Ricevendo la stampa francese, ha dichiarato che aveva avuto un colloquio di oltre un'ora con me nel corso del quale, avendo accennato a questioni concernenti la Spagna, aveva ottenuto delucidazioni circa il punto di vista del governo italiano.

Delbos parlandomi degli incidenti di Tunisi mi ha detto che essi rivestivano particolare gravità per il fatto che si trattava di marinai della Marina da guerra

italiani, condotti da allievi dell'Accademia. Mi ha chiesto quale sarebbe stata la reazione dell'Italia se ciò fosse accaduto a Tripoli con marinai e cadetti francesi. Ho risposto che ciò non sarebbe accaduto a Tripoli dove i marinai francesi non sarebbero stati provocati mentre lo erano stati e in forma grave, a Tunisi.

Delbos mi ha aggiunto che aveva fatto fare una démarche da Bionde! in proposito e che sperava ricevere da V.E. una risposta in armonia col miglioramento generale dei rapporti tra Italia e Francia.

Parlandomi di questi ultimi ha precisato che non comprendeva perché malgrado la comunanza stretta di interessi non si riuscisse a trovare un minimo di intesa. Ho risposto che era un problema di buona volontà che le sinistre francesi rendevano impossibile per le ragioni che il Duce aveva sinteticamente fissate nel discorso

. di Palermo 5 . Che tuttavia, se un buon passo si voleva fare per la ripresa di rapporti normali, occorreva risolvere la questione etiopica.

361 l T. 6515/339 R. L'ambasciatore Cora aveva riferito da Nanchino di avere appreso «da persona bene informata» che il patto cino-sovietico era stato negoziato e parafato già due anni prima ma allora Chiang Kai-shek si era rifiutato di firmarlo. Lo aveva firmato ora, dopo aver costatato l'atteggiamento passivo delle Gran Bretagna, per ottenere subito dei rifornimenti e nella prospettiva di un intervento dell'U.R.S.S. che Chiang Kai-shek era costretto a desiderare, «pur rendendosi conto delle concessioni di vario genere che la Russia non mancherà di chiedere». 361 2 Vedi D. 233, nota 3. 362 l Vedi D. 360.

362 2 Vedi D. 270.

362 4 Si riferisce agli incidenti avvenuti il 20 settembre a Tunisi quando un gruppo di allievi ufficiali e di marinai italiani aveva dato l'assalto ad un giornale che aveva distribuito degli opuscoli antifascisti. Nello scontro, era rimasto ucciso un comunista italiano e feriti tre marinai. Due marinai erano stati arrestati con l'accusa di omicidio.

363

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6654/514 e 6657/515 R. Ginevra, 22 settembre 1937. ore 22,10 (per. ore24).

Delbos ha voluto rivedermi questo pomeriggio 1•

Mi ha detto oggi che preferiva non fare comunicato stampa in attesa che questa eccellente prefazione costituita dalla cortese dichiarazione di V.E. potesse avere un seguito e per tema che inevitabili polemiche dei giornali potessero avere un cattivo influsso su eventuali ulteriori negoziati che egli vivamente auspicava. Ha aggiunto che le affermazioni di V.E. gli erano giunte tardissimo e avrebbero avuto conseguenze benefiche sull'atteggiamento del governo francese. Tuttavia teneva a dichiarare che se a questo eccellente preludio, non avesse fatto seguito <<riattacco», l'effetto della dichiarazione sarebbe andato attenuandosi sempre più.

Bisognava considerare la situazione con molta obiettività ed egli sperava che

V.E. si sarebbe reso conto delle suscettibilità e degli interessi francesi. Il suo governo prende atto con molta soddisfazione dell'impegno che l'Italia assumeva di non apportare cambiamenti allo stato territoriale della Spagna ... 2 la guerra civile spagnola avrebbe potuto prolungarsi come una guerra di religione indefinita e la occupazione italiana di Maiorca sarebbe anche continuata indefinitamente.

Era proprio l'occupazione di Maiorca che costituiva integrità territoriale di preoccupazione spiegabile 3 per il governo e per l'opinione pubblica francese. Se, dunque, dopo le assicurazioni che gli fornivamo, si fosse potuto iniziare un negoziato fra l'Italia, la Francia e l'Inghilterra -l'ho interrotto per aggiungere: «e la

363 I Per il primo colloquio Delbos-Bova Scoppa si veda il D. 362. 363 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile>>. 363 3 Sic.

Germania» -inteso ad ottenere che venissero prese misure concrete per evitare l'invio di rinforzi in Spagna in primo tempo e la evacuazione di qualche zona più sensibile da parte dei volontari in un secondo tempo, egli considerava che le ripercussioni di tale fatto sarebbero state grandissime.

Ho risposto a Delbos che mi sembrava che l'appetito gli venisse mangiando; che il governo italiano aveva fatto un gesto spontaneo, destinato a dissipare malintesi e a rasserenare l'opinione pubblica francese allarmata artificiosamente da certa stampa antifascista. Quello che egli chiedeva ora era cosa di una estrema difficoltà. Il governo italiano non poteva impegnarsi a richiami di volontari quando era notorio che dalla Russia e dalla Francia affluivano uomini e mezzi in quantità ingenti in Spagna. Per entrare in un negoziato come quello che egli ci chiedeva si sarebbe dovuto ottenere non solo la garanzia di evacùazione totale dalla Spagna di tutti i volontari -problema insolubile -ma anche organizzare poi un sistema di controllo, sistema che si era, alla luce dei fatti, dimostrato inefficace. La nostra dichiarazione odierna, di cui mi sembrava superfluo rilevare la portata, mirava appunto a tranquillizzare la Francia, visto il prolungarsi delle operazioni in Spagna e la permanenza colà di volontari italiani. Non bisognava dimenticare che negoziato sul ritiro dei volontari e sull'organizzazione di un sistema di controllo aveva avuto già luogo senza successo. D'altra parte, mi sembrava difficilissimo trovare una via di soluzione senza ottenere lo sgombero totale dei volontari e dei copiosissimi mezzi stranieri che affluivano presso i Rossi.

Delbos mi ha risposto che naturalmente qualunque negoziato avrebbe avuto il tìne di sboccare in un impegno simultaneo tanto da parte dell'Italia che da parte della Russia (non ha nominato la Francia perché la considerava esente da colpe) al ritiro degli uomini e delle armi dalla Spagna e in base alla politica decisa di non intervento.

Doveva confessarmi che scambio dei telegrammi fra il Duce, Franco e i generali italiani che si battevano in Spagna4 aveva avuto ripercussioni profondissime sull'opinione pubblica francese. A partire da quel momento tutte le «persone di buon senso» in Francia si chiedevano se era giusto che il governo francese assistesse a queste manifestazioni chiare e concrete dell'intervento italiano in Spagna e non solo non reagisse ma si ostinasse a mantenere la frontiera dei Pirenei chiusa. Occorreva perciò che l'opinione pubblica francese avesse la prova che le buone intenzioni manifestate da governo italiano erano seguite da qualche fatto concreto.

Altrimenti egli personalmente si sarebbe fatto accusare di essere beffato. Primo passo era dunque, secondo lui, quello di iniziare conversazioni diplomatiche fra Parigi, Londra e Roma -tenendo al corrente Berlino -(questa seconda volta ha ammesso la presenza di Berlino ma solo per «tenerlo al corrente») per studiare qualche cosa di positivo relativamente al problema spagnolo. Un grande successo sarebbe stato già quello di riunirsi attorno a un tavolo per discutere. Mi pregava di trasmettere questa sua suggestione, rinnovava le espressioni del suo animo grato per il passo che io avevo fatto stamane. Pregava V.E. di volersi rendere conto della sua speciale posizione politica di fronte all'opinione pubblica e alla Camera dei deputati francesi.

Ho risposto:

l) che non avrei mancato di trasmettere questo suo punto di vista;

2) che la dichiarazione che io gli avevo fatto stamane a nome di V.E. era in fondo quasi equivalente a quanto ci chiedeva dato che il nostro impegno sulla integrità territoriale della Spagna era categorico e aveva riflessi sulla situazione generale in Mediterraneo;

3) che sviluppo richiesto rientrava nel quadro della valutazione generale politica e che per conseguenza non avrei potuto che !imitarmi a riferirne a V.E.

Dal colloquio avuto ho tratto le seguenti impressioni: l) governo francese vorrebbe ottenere qualche cosa di concreto dal governo italiano per quanto concerne Maiorca. La presenza di truppe italiane in quella isola è motivo di vivissima preoccupazione e di ansietà. 2) Delbos vorrebbe riprendere una conversazione a tre tra Italia, Francia e Inghilterra e su questo punto egli ha vivament~ insistito, affermando che l'esperienza di Londra di un grande Comitato era stata disastrosa. Mi è sembrato anche intendere che egli faceva questo tentativo per amorcer un negoziato italo-franco-inglese contemporaneamente al viaggio del Duce a Berlino. Alla fine del suo colloquio Delbos ha insistito sulle conseguenze che avrebbe un tentativo di intesa a tre anche per la soluzione di altre questioni, come quella etiopica, per la quale peraltro mi ha assicurato di aver chiesto istruzioni a Chautemps.

362 5 Vedi D. 239. nota 2.

363 4 Vedi 270, nota l.

364

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6647/516 R. Ginevra, 22 settembre 1937, ore 20,20.

Avverto ad ogni buon fine che mie due interviste odierne con Delbos 1 hanno dato luogo a una serie di commenti disparati negli ambienti giornalistici. Presenza a Ginevra di centinaia di giornalisti in occasione dell'Assemblea fa sì che si dia ai due colloqui una serie di interpretazioni arbitrarie nonostante mie ripetute precisioni che si è trattato di puri e semplici scambi di idee.

365

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 22 settembre 1937.

Ho ricevuto stamane il signor Mousa Alami, fiduciario del Gran Mufti di Gerusalemme.

Il signor Alami mi ha confermato il profondo attaccamento all'Italia delle popolazioni arabe del Prossimo Oriente e del mondo islamico in genere.

Inoltre egli mi ha detto che è nei propositi del Mufti di Gerusalemme, sempre d'intesa con Ibn Saud e con i maggiori esponenti del nazionalismo iraquiano e siriano, iniziare nel prossimo novembre -a meno che circostanze impreviste non dovessero provocare un ritardo o un anticipo -un vasto movimento inteso ad abbattere il Regno dell'Emiro Abdallah in Transgiordania, per sostituirlo con un governo provvisorio in attesa che sia risolto il problema palestinese. Il movimento avrebbe come scopo finale la caduta del progetto Peel per la Palestina, la fine del Mandato Inglese nel Prossimo Oriente e quindi la costituzione di una repubblica che comprenda la Palestina e la Transgiordania o di una federazione araba tra la Palestina e la Transgiordania, la Siria, l'Iraq e il Regno Arabo Saudiano.

Il movimento avrebbe carattere di estrema violenza e larghe possibilità di successo in vista dal fatto che l'Inghilterra ha attualmente in Palestina e Transgiordania non più di 8000 uomini. Esso durerebbe almeno un anno.

Il Mufti, che è pronto ad assumere in proprio ed a fare assumere a lbn Saud ed a persona responsabile dell'Iraq e della Siria impegni di carattere amichevole con l'Italia, vorrebbe che gli venissero concessi i seguenti aiuti:

-50.000 sterline al più presto possibile;

-5.000 sterline al mese per tutta la durata della rivoluzione;

-armi e munizioni che gli furono già promesse;

-altri aiuti di carattere particolare.

Il signor Alami ha aggiunto che, senza l'aiuto dell'Italia il movimento dovrà ugualmente aver luogo, ma che in tal caso, esso sarà, dopo qualche mese, soffocato nel sangue, senza effetti 1 .

364 1 Vedi DD. 362 e 363.

366

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6689/356 R. Shanghai, 23 settembre 1937, ore 15 (per. ore 3,40 del 24).

Missione militare germanica continua essere stretto contatto con le Autorità militari cinesi. Generale Falkenhausen quando non è al fronte è giornalmente alla mensa del Maresciallo Chiang Kai-shek insieme al consigliere Donald.

Generale è tuttora ottimista; malgrado grandi successi giapponesi al Nord, egli ha disapprovato ritirata cinese sul fronte di Shanghai che sarebbe stata esegui

365 I Sul documento vi è la seguente annotazione: «Approvato in tutto, riducendo da 50.000 a 15.000 sterline la prima nuova sovvenzione 23.9.1937».

ta contrariamente suoi ordini. Generale, riconosce azzardato suo primitivo giudizio sulle truppe giapponesi (mio telegramma 315) 1 che si battono bene soprattutto quando sono sostenute dai gruppi motorizzati ma anche soldati cinesi si battono molto bene malgrado colpevole deficienza comando e organizzazione.

Situazione militare appare complessivamente diversa da Shanghai e malgrado ottimismo di alcuni e ridda comunicati fantastica vittoria si notano segni preoccupazione nelle alte sfere cinesi.

367

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6680/522 R. Ginevra, 23 settembre 1937, ore 21,30.

Kanya, che parte per Budapest, ha tenuto a mettermi al corrente delle conversazioni che egli ha avuto con Antonescu e con Purié.

Antonescu, che egli incontrava per la prima volta, ha detto che era animato dalle migliori intenzioni; che nelle riunioni che avevano avuto luogo a Ginevra 1 i rappresentanti della Piccola Intesa avevano preso di nuovo in esame le proposte presentate dal ministro di Ungheria a Bucarest e che avevano già fatto oggetto di preliminari studi aSinaia. Si era convenuto di ammettere i tre punti e cioè: dichiarazione sull'uguaglianza di diritti, dichiarazione dell'Ungheria ispirata a quella fatta al momento di aderire al Patto Kellogg e risposta da parte dei tre Stati interessati con dichiarazione analoga. Quanto al quarto punto concernente le minoranze ungheresi, le difficoltà erano assai più grandi per trovare una formula. Kanya ha naturalmente insistito su questo punto che forma a suo avviso la parte essenziale dell'Intesa.

Antonescu ha confermato a Kanya che Re Caro! desiderava vivamente accordarsi con l'Ungheria ma il suo governo deve tener conto su questo problema delle reazioni di una parte dell'opinione pubblica romena e di «certi uomini politici» (leggi Titulescu). Antonescu ha aggiunto che la Cecoslovacchia si trovava sul problema delle minoranze in condizioni assai più difficili della Romania, perché qualunque concessione essa avesse fatto agli ungheresi, ciò avrebbe costituito un pericoloso precedente per i tre milioni di tedeschi che vivono in Cecoslovacchia. Tuttavia è stato convenuto che nella giornata di oggi verrebbe data a Kanya una risposta da parte delle Piccola Intesa. Se un accordo non poteva essere raggiunto si sarebbero continuate le conversazioni per via diplomatica.

Purié si era espresso con Kanya più o meno nello stesso senso ma credo che il delegato jugoslavo avesse ben poca conoscenza del problema in questione.

ai giapponesi, faceva considerare esagerato l'ottimismo dei consiglieri militari tedeschi circa la capacità di resistenza dell'esercito cinese. 367 l Vedi D. 350.

Questa sera Kanya vedrà Krofta, che è arrivato oggi da Praga. Riservomi riferire sui risultati di questo ultimo colloquio 2•

Per quanto finora a conclusioni non si sia arrivati, Kanya è d'avviso che in ogni caso le conversazioni da lui avute sono state utili e che esiste oggi fra Ungheria e Piccola Intesa un miglioramento sensibile di atmosfera3 .

366 1 T. 6167/315 R. del 6 settembre. Riferiva che l'andamento delle operazioni, nettamente favorevole

368

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO URGENTISSIMO 6682/391 R. Parigi, 23 settembre 1937, ore 21,40 (per. ore 23,20).

Mentre ero da Léger ho assistito a due sue conversazioni telefoniche, con Massigli prima e con Delbos dopo, che Léger mi ha del resto subito dopo esposto ragguagliatamente.

Il governo francese, d'accordo sembra con quello inglese (ancorché mi sia parso non esistere una identità assoluta di vedute in proposito), ritiene che sarebbe opportuno fare seguire alla conversazione Delbos-Bova Scoppa 1 un passo ufficiale per il tramite diplomatico ordinario da parte dei due rappresentanti diplomatici di Francia e Inghilterra a Roma per richiamare attenzione dell'E.V., prima della partenza per Berlino del Duce, sopra situazione gravissima che sarebbe creata dall'eventuale partenza di nuovi contingenti di volontari italiani per la Spagna. Léger mi ha detto che governi francese e inglese conoscono nei dettagli preparativi fatti al riguardo 000 2 e sanno che ne era già stata fatta analoga nell'aprile scorso.

Essi ritengono che corrisponda al pieno diritto del governo italiano di prendere tutti quei provvedimenti che giudica utili anche per ragioni tattiche. Considerano peraltro necessario far presente all'E.V. che partenza di nuovi volontari scatenerebbe un tale movimento di opinione in Francia ed Inghilterra che i due governi (certamente quello francese) non potrebbero perseverare nella politica di non intervento sino ad ora seguita. Ciò metterebbe a repentaglio la pace europea.

Governo francese ritiene che sarebbe pericoloso attendere a fare una simile comunicazione dopo il ritorno del Duce dalla Germania perché se nel frattempo partenza avesse avuto luogo non si potrebbe evidentemente per ragioni di prestigio tornare indietro.

Léger mi ha lasciato intendere che se non fosse possibile di impartire questa sera o durante notte 000 3 e istruzioni (che devono ancora essere concordate nei det

367 .1 Si veda per il seguto il D. 372. 368 l Vedi D. 362. 368 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile». 368 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «due gruppi indecifrabili».

tagli con Londra) agli incaricati d'affari francese e inglese a Roma perché compiano passo domani mattina, presidente del Consiglio Chautemps potrebbe forse indursi a parlarne a me.

367 2 Con T. 6726/521 R. del 25 settembre, Bova Scoppa comunicava di avere appreso che i rappresentanti della Piccola Intesa non avevano preso nessuna decisione circa la risposta da dare alle proposte ungheresi. Krofta nel suo colloquio con Kanya aveva confermato i suoi propositi concilianti, senza però prendere alcun impegno.

369

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE A BERLINO, LONDRA, PARIGI E SALAMANCA E ALLA DELEGAZIONE ITALIANA ALLA S.D.N.

T. 1634 R. 1 Roma, 24 settembre 1937, ore 3.

I colloqui Bova Scoppa-Delbos2 sono stati artificiosamente gonfiati dagli ambienti ginevrini e dalla stampa francese. Bisogna invece tener presente ch'essi non avevano se non una portata esplorativa. Se del caso, esprimersi in tal senso in codesti circoli.

370

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, CERRUTI

T. 1648/341 (Londra) 416 (Parigi) R. 1 Roma, 26 settembre 1937, ore 16.30.

Incaricato d'affari di Gran Bretagna ha fatto una comunicazione 2 informando come il suo governo si prepari a compiere un passo per provocare una conferenza tripartita nella quale dovrebbero venire trattati i problemi di evacuazione dell'intervento in Spagna.

L'incaricato d'affari di Francia, senza specificare ha anche lui annunciato una nota relativa alla questione spagnola. Poiché tale passo, a quanto risulta almeno dalla comunicazione britannica, si baserebbe sui colloqui Delbos-Bova Scoppa 3 nonché su una mia conversazione con Ingram 4 , tengo a specificare quanto segue:

369 2 Vedi DD. 362 e 363. 370 l Il testo di questo telegramma fu inviato da Ciano, allora in Germania, al ministero con T. per telefono 6747/1 R. del 26 settembre perché fosse trasmesso con la massima urgenza alle ambasciate a Londra e a Parigi. 370 2 In assenza di Ciano, la comunicazione era stata fatta al direttore generale degli Affari di Europa e del Mediterraneo. Buti. Un passo analogo era stato compiuto lo stesso giorno dall'incaricato d'affari francese, Bionde!. 370 3 Vedi DD. 362 c 363. 370 4 Si riferisce con tutta probabilità ad un colloquio del 22 settembre di cui non si è trovata docu mentazione negli archivi italiani ma sul quale si può vedere il resoconto dell'incaricato d'affari britanni co in BD. vol. XIX, D. 187.

l) Che i colloqui Delbos-Bova Scoppa, artificiosamente gonfiati dalla stampa franco-britannica ginevrina, non avevano altro scopo che quello di riaffermare che l'azione italiana in Spagna non ha mire territoriali. Ciò è stato fatto perché i francesi avevano anche recentemente manifestato preoccupazioni in merito.

2) Che io non ho dato assicurazioni di sorta a Ingram, né ho preso impegni per il futuro, essendomi limitato a dirgli, a sua domanda, che in questi ultimi tempi non avevano avuto luogo invii di volontari in Spagna.

Ciò premesso, qualsiasi passo franco-britannico nel senso sopra indicato è destinato a sicuro insuccesso. È evidente che la materia del non intervento nonché quella relativa all'evacuazione dei volontari è di stretta competenza del Comitato di non intervento. Non potremmo quindi mai aderire a che tali questioni venissero trattate in altra sede e tanto meno in conferenze tripartite. Ritengo quindi conveniente che V.E., nella forma che riterrà del caso, faccia intendere a codesto governo l'opportunità di non dar corso ulteriore ad una iniziativa che nella migliore delle ipotesi è destinata a lasciare il tempo che trova e che è basata su una erronea interpretazione delle conversazioni di Bova Scoppa e della mia risposta a Ingram5 .

369 l Minuta autografa.

371

IL CONSOLE GENERALE A MUKDEN, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6779/51 e 6782/52 R. Mukden, 27 settembre 1937, ore 12 (per. ore 5,35 del 28).

Telegramma di V.E. n. 17 1• Mio telegramma n. 402• Ritorno da Hsin King dove ho ripreso e continuato per alcuni giorni trattative con il Kuantung Army e altre amministrazioni.

Circa parte politica, vi è accordo di massima sui punti risolti, 3, 4. Richiedono però come conditio sine qua non il riconoscimento, lasciando scelta tra diretta diffusione [sic] di riconoscimento e quella indiretta della istituzione rappresentanze diplomatiche. Loro argomento è che istituzione consolato generale accreditato presso governo Manciukuò, di cui hanno ancora una volta tenuto a dichiararsi grati a V.E., ha già fatto metà del cammino e che stipulazione di un accordo, il quale accanto a concrete misure collaborazione economica conterrebbe disposizioni di natura politica quale quelle punto 4, non è concepibile senza contemporaneo riconoscimento.

Circa parte economica, si erano intestarditi a voler ricalcare accordo con Italia su quello tedesco-mancese3, il quale impone Germania determinate cifre acquisto pari quadruplo vendita e saldare differenza in valuta.

371 1 Vedi D. 258. 371 2 Vedi D. 229. 371 3 Vedi D. 229, nota 4.

Dimostrandosi che Germania può concedere tale favore perché sua bilancia avversa col Manciukuò è compensata da sua bilancia favorevole col Giappone ~ il che non avverrebbe nel nostro caso ~ ho posto come condizione assoluta la parità fra acquisto e vendita e l'assenza di ogni impegno a una determinata cifra di acquisti. Il meccanismo degli scambi avverrebbe nella forma clearing.

Si sono riservati ulteriori studi, ma anche su questo punto ritengo la cosa bene avviata.

Unico punto tuttora incerto è numero ... 4 giacché impianto fabbrica motori aeroplani era prevista nel quadro del nuovo piano quinquennale, la cui esecuzione, il fatto nuovo della guerra, ha per ora rinviato. Poiché però ho avuto notizie che, malgrado sospensione piano quinquennale, è allo studio impianto di una fabbrica di autocarri, ho chiesto fosse spostato in questo campo concessione prevista al numero 5. Ho dichiarato essere questa una condizione necessaria all'accordo, sia l'uno sia l'altro per avviare una collaborazione sullo stesso piano di quello della Germania, che ha fornito macchinari e ingegneri all'impianto altiforni Anschan, e sia per far conoscere in questi Paesi grado perfezionamento cui è giunta nostra industria.

Siamo rimasti intesi che studieranno questione e daranno risposta.

Mi permetto pertanto far presente a V.E. che questo punto rischia di tirare per il lungo le trattative che, per tutti altri punti sembrano oggi non lontane da una conclusione. Né credo che portata e importanza partecipazione a impianto di una industria siano tali da risarcire i rischi. Giacché dove vi sono i giapponesi installati, la partecipazione effettiva a una gesti~:me industriale, e cioè partecipazione con il carattere della continuità e della possibilità di controllo, non è concepibile, specie se si tratta di un ramo di produzione collegata alla difesa nazionale.

In realtà, anche nel caso di partecipazione all'impianto, tutto si riduce in definitiva a semplice vendita di macchinari, con in più l'ingaggio di tecnici per un determinato periodo, perché i tecnici giapponesi, appena capaci, prenderebbero il posto. Dopo di che si è messi fuori. Esodo avvenuto in questi 5 anni di pressocché tutte le imprese capitalistiche che erano prima installate in Manciuria non lascia illusioni al riguardo. Del resto gli stessi tedeschi nella partecipazione all'impianto di Anshan non hanno preteso più che semplice fornitura macchinari e ingaggio a termine del personale tecnico.

In secondo luogo trattative per impianto di fabbriche debbono passare tale trafila di discussioni con autorità politiche ed economiche non solo mancesi, ma anche giapponesi, che facendo dipendere da esse la conclusione di un accordo si perderebbe il vantaggio di potersi trovare al più presto in regime di favore in un momento come quello attuale in cui nuove occasioni vanno sorgendo dagli sviluppi della guerra in Cina. Per esempio, sembra che esercito giapponese dimostri gran bisogno di navi 5 carboniere dopo che quelle costruite da ditta Mitsubishi si sono rivelate alla prova di qualità scadenti. Tedeschi ed americani, potenti industrialmente e da tempo impiantati nel Paese, e tedeschi forti anche per la circostanza di essere gli unici legati al governo mancese da un accordo, si trovano in condizione

eccezionalmente favorevole. Noi, ultimi venuti m Manciuria e industrialmente pressoché sconosciuti, avremmo bisogno di una buona spinta per portarci avanti più o meno in linea con gli altri e sfruttare l'occasione.

Modesto mio avviso è che unico atout nelle nostre mani da cui sia possibile stabilizzare questa spinta è la possibile conclusione rapida di un accordo più vasto e completo di quello tedesco, e con clausola anche politica, concessione, questa, dell'unica cosa che ancora gli altri non hanno ancora dato -ma che il governo tedesco in forma privata potrebbe ancora dare prima di noi -e a cui i due governi giustamente tengono, facendola beninteso pagare con clearing più favorevole di quello tedesco, e cioè bilanciato e senza impegno da parte nostra di maggiori acquisti, nonché con concessione immediata di una buona fornitura derrate alimentari e concessione da loro parte di partecipazione ad altri impianti.

In tal modo metteremo in marcia anche affare forniture il quale, dati i bisogni della motorizzazione dell'esercito giapponese e i piani futuri di attrezzamento economico nel Manciukuò e Nord Cina potrebbe rivelarsi di assai vasta portata e durata.

Del resto, trattative partecipazione industriale, anche se momentaneamente staccate dall'accordo, potrebbero ugualmente proseguire per la loro via arrivando forse a migliori condizioni, sia per la fiducia derivata dall'accordo, sia per la diretta impressione che forniture in forma privata darebbero della nostra potenzialità industriale e sia soprattutto per avere già vinto gli impedimenti e messo in moto la ruota degli scambi 6

370 5 Per il seguito, si veda il D. 380.

371 4 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca». Si legga: numero 5. 371 5 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppi di dubbia interpretazione».

372

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 6772/540 R. Ginevra, 27 settembre 1937, ore 22.

Ha avuto luogo oggi a Ginevra una nuova riunione della Piccola Intesa presenti Krofta, Antonescu e Purié. Scopo della riunione è stato quello di esaminare lo stato dei negoziati con l'Ungheria.

Si è deciso che per il momento non era possibile fornire a Kanya la risposta alle suggestioni presentate da Bardossy a Sinaia. Le principali difficoltà per trovare una formula concernente la questione delle minoranze sono state sollevate da Antonescu, il quale, pur essendo favorevole in principio a fare delle concessioni su questo punto, esita da solo ad assumersi una responsabilità che vuole natu

ralmente condivisa da tutto il governo ed è molto perplesso ad agire a poca distanza dalle elezioni romene. Egli non intende naturalmente alla vigilia di un così importante avvenimento della politica interna del suo Paese offrire il destro a critiche di base da parte dell'opposizione. Anche Krofta ha rilevato che su questo problema delle minoranze egli non poteva impegnarsi se non con molta cautela dato che la Cecoslovacchia ha tre milioni di tedeschi nel suo territorio e non vuole costituire pericolosi precedenti. La Jugoslavia per suo conto si è dichiarata disposta ad andare tanto oltre per quanto vi andranno Cecoslovacchia e Romania. Si è deciso che continueranno a lavorare attorno ad una formula che possa essere accettata dai tre Stati contemporaneamente e se i negoziati continueranno per via diplomatica.

Nella riunione non si è parlato del viaggio del Duce a Berlino e per quanto concerne la Spagna si è confermato l'atteggiamento di assoluta neutralità già approvato nella precedente riunione.

Parlandomi dei risultati della riunione di oggi, il delegato jugoslavo Andrié mi ha detto che per quanto si proceda molto a rilento per difficoltà inerenti alla situazione interna romena e cecoslovacca sarebbe stato opportuno che Kanya avesse compreso che i tre governi della Piccola Intesa sono animati dalle migliori intenzioni e dal migliore spirito di conciliazione possibile ma che se ancora non si è trovata una formula che possa soddisfare tutti ciò è appunto a causa delle difficoltà d'ordine interno sopra indicate.

371 6 Ciano rispondeva con T. 1672/22 R. del 5 ottobre riservandosi di inviare delle istruzioni circa le trattative di ordine economico ma confermando che nella questione del riconoscimento la posizione italiana restava quella indicata nel suo telegramma del 31 agosto (vedi 0.258). Successivamente, Ciano telegrafava che il forte sbilancio tra le importazioni e le esportazioni tra Italia e Manciuria rendeva impossibile una soluzione basata sul clearing e che pertanto restava come unica possibilità interessante «quella di far valere preponderanza nostri acquisti regolati in divisa, per assicurarsi importanti forniture pagabili a loro volta in valuta forte» (T 16504/26 P.R. del 20 ottobre).

373

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 11. Rio de Janeiro, 27 settembre 1937 1 .

Nel mio rapporto n. 2270/641 del 10 settembre u.s. 2 , dopo avere esaminato le cause di debolezza dell'integralismo come movimento rivoluzionario (mancanza di senso eroico, mancanza di uno stato di necessità, mancanza di orizzonti extra-costituzionali, mi riservavo di riferire a V.E. sui rapporti dell'integralismo stesso col nazismo e col fascismo e su quello che noi possiamo attenderne di bene o di male.

Parlando dei rapporti coi due movimenti europei, bisognerebbe distinguere tra rapporti ideali e rapporti di fatto. Ora, mentre è risaputo che Plinio Salgado ebbe la rivelazione dell'integralismo dopo un viaggio di studio in Italia, è divenuto invece un luogo comune in Brasile quello di credere che le maggiori connessioni dell'integralismo siano col movimento tedesco. Gli è che i tedeschi hanno puntato decisamente verso l'integralismo con contatti precisi e con aiuti concreti molto prima che noi uscissimo da un periodo di esitazioni; e questi atti concreti essi hanno svolto

448 qui sul posto, toccando i veri punti nevralgici dell'organismo integralista mentre noi invece, pur avendo superato il periodo di esitazione, preferivamo ancora svolgere i nostri contatti in Italia verso uomini isolati che si qualificavano esponenti dell'integralismo con tanta maggiore facilità quanto più lontano essi si trovavano dai propri organi di controllo.

La sollecitudine con cui la Germania ha voluto sorpassare di sbalzo ogni premessa dottrinaria, sovrapponendovi il peso dei suoi appoggi concreti, dimostra come, in linea di idealismi, essa non fosse altrettanto sicura di sboccare ad un risultato egualmente soddisfacente. La verità, del resto, è che la dottrina integralista è ancora allo stato fluido e che essa, pur essendo orientata verso il pensiero di Roma e di Berlino, si contenta per ora di lasciarsi condurre vagamente lungo una rotta buona per ambedue gli obbiettivi, senza ancora definire se imboccherà il Mare del Nord o il Mediterraneo. Mentre perciò la dottrina stenta a coagulare, gli uomini e le azioni si polarizzano con maggiore facilità verso quegli altri uomini e quelle altre azioni che muovono loro incontro senza incertezze. Si stabiliscono in questo modo relazioni di fatto di valore decisivo, contatti fra partito e partito, e fra persone e persone, infiltrazioni, prestazioni ed aiuti che difficilmente consentono poi di ritornare indietro nelle demarcazioni teoriche. Questo metodo risoluto ha dato al nazismo una aureola di priorità nella formazione dell'integralismo; ma contro questa aureola il nazismo sta anche portando la croce delle contumelie e delle accuse di tutta la stampa brasiliana non integralista. È accusato di finanziare l'integralismo, di tenere in mano con cittadini brasiliani-tedeschi le principali cellule integraliste, di concorrere con le banche tedesche allo sconto in denaro dei titoli del cosidetto prestito patriottico integralista, ecc. ecc. Tutte queste accuse si condensano nell'accusa massima di una vera e propria interferenza nella politica interna brasiliana. Esse non hanno niente a che vedere con le critiche minori rivolte in pari misura tanto a noi che ai tedeschi per la resistenza alla nazionalizzazione dei nostri figli, per l'insegnamento della nostra lingua, per le organizzazioni giovanili a forma para-militare, per l'uso delle bandiere e degli inni della Patria di origine e per tutto un complesso di opere e di organizzazioni che intendono resistere alla sovranità locale ma non leder/a con illecite connivenze con un partito interno.

Debbo ritenere che sia per noi una felice situazione quella di avere stabilito da qualche mese intimi e fiduciosi contatti con la persona stessa del capo dell'integralismo e di esercitare verso questo partito un appoggio altrettanto efficiente che quello nazista, senza esserci esposti per imprudenza alla sassaiuola democratica che sta flaggellando i nostri camerati tedeschi. Si sta verificando in sostanza fra noi ed i nazisti una situazione paragonabile a quella di due corridori di cui uno, in testa, si prende la sferzata d'aria e l'altro, sulla scia, va più fresco e si riserva la volata finale. Fra questi due corridori non conviene palesare ancora, né rivalità, né diversità di intenti. Dal punto di vista del nostro interesse io sono convinto di questa opportunità, sia perché il nazismo ha lavorato sinora più di noi e quindi a noi conviene avvantaggiarci di tutto ciò che esso ha conseguito; sia perché con tante difficoltà da vincere e con tanti nemici in comune, non conviene dividerci per fare il gioco degli altri, e sia infine perché la volata finale non potrà che riuscire a nostro favore.

Infatti, il giorno in cui qui si costruisse solidamente il triangolo fascismo-integralismo-nazismo, due elementi insopprimibili porterebbero l'integralismo ad una distanza minore verso di noi. Questi due elementi sono la razza e la religione. La razza giuoca anzitutto in senso negativo verso il nazismo in quanto la dottrina razziale che domina tutta la concezione tedesca è inammissibile in una nazione composta di derivati etnici stranieri del tutto promiscui. La razza giuoca inoltre in senso positivo verso di noi giacché ~ per quanto numerosi siano i brasiliani di origine tedesca ~ancor più numerosi sono quelli di origine italiana. Ma qui non è poi questione di numero di discendenti diretti. Non è solo in questo senso che deve essere intesa la questione di razza. Essa deve essere intesa come origine storica della intera nazione, la quale deriva dal Portogallo, Paese latino. Deve essere intesa come lingua, la quale è neo-latina. Deve essere intesa come forma mentis, la quale è mediterranea. Deve essere intesa come concezione generale della morale e del diritto, che sono romani; come concezione della famiglia, che è cattolica; come arte, architettura, stile, oratoria, che sono tutte imparentate al ceppo iberico-mediterraneo.

In quanto alla religione, essa mi sembra, fra tutti gli elementi fondamentali di distacco fra l'integralismo e il nazismo, il più netto. Distacco, secondo me insormontabile. Nel mio precedente rapporto ho detto che l'integralismo cerca un'altura spirituale che supplisca all'assenza del suo mito solare e del suo senso eroico; ed ho aggiunto che questa altura spirituale è stata trovata nella universalità del cattolicesimo e nella tradizione di ciò che il cattolicesimo ha creato in Brasile. L'incompatibilità fra integralismo e nazismo in materia religiosa non è quindi una semplice questione di culto e di coscienza individuale; è una questione di orgoglio nazionale, il massimo e forse unico orgoglio della nazione brasiliana; una questione, come tale, che non si può relegare nel mistico nascondiglio delle preghiere della sera, ma che deve invece sfolgorare di pieno giorno sulle masse e formare l'ossatura della loro entità politica e nazionale, in mancanza di ogni altra gloria o tradizione migliore.

Integralisti e nazisti, tutti intenti per ora ad una indispensabile solidarietà, perseguono anch'essi la giusta tattica di non lasciar trapelare le incompatibilità e tirano avanti procrastinando finché possibile l'ora in cui questi nodi dovranno venire al pettine. Per quel giorno, sia pur lontano e sia pur problematico, che è connesso con la solidificazione dell'integralismo e con la marcia al potere, occorre che il fascismo sia saldamente stabilito a fianco del movimento integralista in Brasile per assicurarlo del proprio puntello nel momento in cui fatalmente verrà a scricchiolare il puntello nazista ..

Ma è proprio sicuro che noi facciamo il nostro giuoco puntellando l'integralismo? Nel continuo lavoro di consultazione discreta che vado facendo in tutti gli ambienti che mi possono illuminare con opinioni che io metto poi a confronto con le mie osservazioni per contestarle a me stesso o per rafforzarle in me stesso, è frequentissimo l'incontro con «esperti» del luogo, alcuni dei quali sono anche ottimi fascisti, i quali parlano dell'integralismo come della tomba dell'italianità in Brasile. Il loro ragionamento è esatto: dicono che l'integralismo rappresenterà un nazionalismo acceso e totalitario che non ammetterà altro cittadino brasiliano se non il brasiliano integrale, scevro di ogni vincolo con qualsiasi altra Patria di origine.

Vediamo a questo proposito che cosa dice Plinio Salgado nel suo Manifesto Integralista (Ottobre 1932): «Il cosmopolitismo ~ egli dice ~ e cioè l'influenza straniera, è un male di morte per il nostro nazionalismo. È nostro dovere combatterlo. Ciò non vuoi dire cattiva volontà verso le nazioni amiche, verso i figli di altri Paesi che qui lavorano anche per l'ingrandimento della Nazione brasiliana ed i cui discendenti sono incorporati nella nostra vita nazionale. Ci riferiamo invece ai costumi radicati specialmente nella nostra borghesia imbevuta di una civiltà che sta declinando in Europa e negli Stati Uniti. I nostri lari sono impregnati di xenofilie; le nostre conversazioni, il nostro modo di considerare la vita non sono più brasiliani. I brasiliani delle città non conoscono i pensatori, gli scrittori, i poeti nazionali ... ».

Da questo brano risulterebbe che Plinio Salgado non ha bandito precisamente una guerra contro le nazionalità di origine dei discendenti degli antichi immigrati, bensì ha voluto condannare quello stile esotico che forma la delizia di una generazione snobistica che non affligge particolarmente il solo Brasile. Tuttavia non mi faccio illusioni sulla sorte delle nazionalità di origine, né in regime integralista, né in regime democratico; e voglio ammettere, non per concessione dialettica ma per assoluta convinzione, che l'integralismo giungendo al potere infierirebbe contro ogni affermazione di italianità o di germanesimo o di lusitanesimo da parte dei figli degli italiani, dei tedeschi e dei portoghesi in Brasile.

Ma la democrazia liberale non sta infierendo lo stesso? All'ombra della doppia cittadinanza, che fu una lustra con cui i governi liberali italiani acquietarono la propria coscienza dopo gli spropositi della emigrazione a tutti i costi, credendo e facendo credere che non esisteva una perdita di sangue, la sovranità territoriale lavora in tutto il suo imperio mentre quella del lontano Paese di origine guarda le nuvole col binocolo. Gli inventori della doppia cittadinanza dettero a credere che la pera si sarebbe divisa per metà fra lo Jus sanguinis e lo Jus loci. In realtà quest'ultimo prevale con tutto il suo ambiente, con tutta la sua lingua, con tutta l'applicazione territoriale delle sue leggi, con i suoi gendarmi, con i suoi maestri di scuola, col suo servizio militare, ed infine con le catene delle professioni, dei mestieri e delle occupazioni locali.

I fautori della doppia cittadinanza ritornano all'assalto sostenendo un'altra equazione: il doppio cittadino è cittadino di fatto del luogo ove vive e poiché può vivere egualmente in ambedue le Patrie, le due sovranità territoriali si equivalgono. Altro errore. Infatti, su cento italiani misti che dividono fra l'Italia e le Americhe la loro cittadinanza, quanti vivono in America? Almeno novantanove. Solo uno su cento ritorna definitivamente in Italia. La sovranità americana grava dunque su novantanove cittadini misti, quando su uno solo riesce appena ad esercitarsi quella italiana. Questo è il bilancio esatto della doppia cittadinanza e questa è la fine irrimediabile di tutte le emigrazioni, a quel che ci è dato vedere sotto le beate leggi liberali. L'integralismo potrà mai riservarci un trattamento peggiore? Non credo, poiché già ci troviamo al peggiore. Potrà tutt'al più presentare in termini espliciti ciò che i liberali presentano sotto forme più ipocrite. Noi perderemmo dunque con l'avvento dell'integralismo ciò che è già condannato a perdita sicura, e che, comunque, dobbiamo strenuamente difendere.

Veniamo invece alle prospettive di guadagno.

Io focalizzo queste prospettive non tanto nel fatto costruttivo della fondazione, su questo continente, di uno Stato fascista che risulterebbe forse come una brutta copia, debole e sbiadita, quanto nel fatto distruttivo della rottura del fronte democratico che imperversa senza interruzione dall'Alaska alla Patagonia.

L'idea che, in caso di estrema emergenza, la causa nella quale ci impegneremo per la vita o per la morte abbia a trovare inesorabilmente chiuse le porte e gli animi su tutte le coste delle Americhe solo perché le false democrazie, le plutocrazie e le massonerie non tollerano la luce fascista, è rivoltante. Nell'impostare il quadro delle relazioni italo-brasiliane ho dovuto -come sempre -riferirmi ad un quadro più vasto ove i problemi della guerra, che non trovano il minimo posto nel primo, finiscono con dominare tutta la vasta scena. Mi sono creato anche qui una mia «Leggenda di Guerra» senza della quale non saprei mai dare significato al mio lavoro. Ecco ora quello che dice questa «Leggenda» e V.E. vorrà perdonarmi se prendo le mosse da settori che non mi riguardano da vicino come ambasciatore in Brasile, ma riguardano certamente il cittadino e il soldato:

L'urto Roma-Cartagine è fatale. Il perimetro del Mediterraneo, che 22 secoli fa rappresentava l'orlo estremo del teatro di guerra, è divenuto invece la parete eterna della capsula entro cui Roma dovrebbe soffocare. Ma Roma, facendo base -ora come allora -sulla Sicilia e strozzando letteralmente il canale di Trapani a Capo Bon, spezzerà in due tronconi senza rimedio il ventaglio delle forze nemiche, ostruirà le comunicazioni fra l'Occidente e l'Oriente, dividerà il Pianeta in due mondi isolati e vicendevolmente irraggiungibili. si assiderà fra questi due mondi in grazia della sua posizione geografica e opponendo al gioco della morsa predisposta dall'avversario il proprio gioco a cuneo, farà saltare la ganascia più debole della morsa, e cioè la ganascia orientale. Per questa ganascia orientale passa anche, per coincidenza, l'asse della nuova potenza imperiale di Roma, il quale, prolungando all'infinito la direttrice appenninica che proietta la penisola come verso un obbiettivo d'oltremare, investe la Cirenaica, scavalca l'Alto Nilo, si pianta saldamente nel territorio dell'Impero in Africa Orientale e sbocca nell'Oceano Indiano all'altezza dell'equatore.

In questa situazione è chiaro che dei tre chiavistelli con cui si pretende di incapsulare Roma nel Mediterraneo, il chiavistello di Suez è destinato a saltare e salterà matematicamente al primo urto per il solo fatto che esso si trova collocato lungo l'asse della potenza imperiale italiana in un teatro ove non vi sarà più forza umana capace di arrivare più presto o più forte della nostra, né per terra, né per mare, né per aria. Una volta disarticolata la ganascia orientale e schiavardato il boccaporto di Suez, ecco Roma affacciarsi all'Oceano Indiano con l'impeto di chi, dall'interno di un sottomarino ricuperato dall'abisso, si precipiti all'aperto per bere l'aria e la vita. Troverà a sua portata due grandi forze: una militare, costituita dalla flotta giapponese che avrà forzato i passi anglo-olandesi; ed una economico-morale, costituita dalle Americhe con tutti i loro apporti di materie prime e di fattori spirituali.

E qui entra in scena il Brasile. Il Paese di America più vicino all'Oceano Indiano è il Brasile. Il primo scalo neutro di rifornimento che ci si presenta appena rotto il chiavistello di Suez è il Brasile. (Vedere, per credere, i fogli 4-5 dell'Atlante del T.C.I., di cui allego per chiarezza un lucido).

Siccome per arrivare dall'Oceano Indiano al Brasile bisogna passare pei mari australi al di sotto del continente africano, rimane il problema della transitabilità di tali mari nella suddetta ipotesi di guerra. Ho già sentito parlare di un progetto britannico di rafforzamento delle posizioni del Capo di Buona Speranza in vista della inevitabile rottura delle vie mediterranee e del conseguente ritorno in funzione della rotta del Capo per il congiungimento fra Occidente ed Oriente. Queste basi periferiche dell'Impero Britannico sono delle vere teste di Idra, ognuna delle quali può sembrare spaventosa a chi non sia capace di puntare al cuore del mostro. Il Giappone-per esempio-potrà avere a che fare con queste teste di Idra per affrontare le quali dovrà forse assicurarsi la solidarietà di qualche amico che lavori per conto comune contro il cuore dell'avversario. Credo che nel Mare del Nord e nel Mediterraneo esistano di questi amici capaci di fare afflosciare dal centro le orribili teste della belva.

Sta in fatto, ad ogni modo, per quello che riguarda i mari australi, che non vi sarà crociera di pattugliamento la quale, in una zona così eccentrica, sia pure appoggiata alle fortezze del Capo, non sia destinata ad una rarefazione così incosistente da permettere ad una marina mercantile ardita e sospinta da uno stato di necessità, di avventurarvi largamente i suoi convogli con una percentuale di rischi tollerabile.

Ed ecco per quale strano capovolgimento noi, che prima della fondazione dell'Impero credevamo di impostare il giro delle lancette della nostra storia verso una neutralità «filantropica» dell'Inghilterra e verso una neutralità commerciale degli Stati Uniti, ci troviamo ora col movimento delle lancette all'inverso, le quali invece di farci sboccare nell'Atlantico del Nord girando per Gibilterra, ci faranno sboccare nell'Atlantico del Sud girando per Suez. Nuova York, che dista oggi da Napoli quattro giorni e mezzo, diviene in caso di guerra il Paese più remoto della Terra e le speranze che credevamo di potere riporre sull'America del Nord vanno invece rivolte all'America del Sud.

Occorre ora che in questa America del Sud noi possiamo trovare una costa ospitale su cui poggiare. Costa ospitale ove non si corra il rischio di cadere nelle fauci di quei feroci cannibali che sono, in tempo di guerra, i democratici pacifisti, tanto più implacabili quanto meno sinceri. Occorre una costa amica ove possano approdare non soltanto le nostre navi vettovagliatrici ma anche le nostre idee. Le guerre non si vincono più oggi senza una base granitica di premesse logiche e di premesse morali. L'opinione pubblica mondiale (parlo di quella che non sarà coinvolta in guerra e che sarà soltanto quella americana) rappresenterà qualche cosa come la tribuna dei pretoriani che, nell'antico anfiteatro, dispensavano la vita o la morte col semplice gioco del pollice. Ora, è bene coinvincersi che tutte le democrazie americane, unanimi, punteranno contro di noi col pollice verso, appena noi saremo in guerra, senza neppure soffermarsi ad esaminare il merito delle nostre tesi e delle nostre necessità.

Rompere questo fronte democratico nel più grande dei Paesi sudamericani, creare un ambiente che sia favorevole, per ragioni di analogia, al nostro regime, coltivare un'opinione nazionale brasiliana aperta alle premesse ed alle necessità dell'Italia, aprire una fonte di consensi morali e di risorse materiali in quella parte appunto del mondo neutro che sarà alla minore distanza geografica dal nostro asse imperiale e dal nostro apparato respiratorio, ecco cosa vorrebbe dire l'insediamento di uno Stato integralista nel Brasile.

Quali che siano le fiacchezze e le deturpazione con cui il movimento brasiliano può parodiare il fascismo italiano, non vi ha dubbio che il movimento stesso deve essere guardato ed accettato per quello che è e non per quello che dovrebbe essere; e per quello che è deve essere appoggiato non tanto per creare una forma di bellezza ideale forse qui irraggiungibile, quanto per infrangere la continuità di un fronte democratico ostile che altrimenti non ci lascerebbe adito alcuno su terra alcuna di questo immenso continente che nella grande emergenza rappresenterà il mondo dei neutri, il mondo dei giudici ed il mondo dei fornitori.

373 1 Manca l'indicazione della data d'arrivo. 373 2 Non pubblicato.

374

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 6767/395 R. Parigi, 28 settembre 1937, ore 0,10 (per. ore 2,30).

Ho telegrafato a Berlino 1 quanto segue:

«Per S.E. il ministro degli Affari Esteri.

Telegramma di V.E. n. 416 2 .

Ho veduto Léger col quale ho riparlato conversazioni Delbos-Bova Scoppa 3 , circa le quali egli mi ha letto integralmente promemoria ragguaglio inviato da ministro degli Esteri a Chautemps. Entrato così in materia, mi sono espresso giusta istruzioni ricevute.

Léger ha osservato che Francia e Inghilterra non intendevano menomamente mettere fuori causa competenza Comitato di non intervento di Londra. Avendo esaminato attentamente contenuto dichiarazioni fatte in nome di V.E. a Delbos da Bova Scoppa i due Gabinetti Parigi e Londra erano giunti alla conclusione che se si fossero accontentati di prendere atto delle dichiarazioni stesse avrebbero implicitamente ammesso di riconoscere all'Italia diritto di continuare a fare in Spagna quella politica che essi, invece, non potendo consentire sui motivi ideologici da noi adottati, ritengono essere in contrasto con impegno di non intervento da tutti assunto. Per tali ragioni e vista la procedura rigidamente amministrativa del Comitato di Londra non era sortito alcun risultato pratico; Francia e Inghilterra, desiderose come erano di raggiungere soluzione soddisfacente degli affari spagnoli, avevano ritenuto che sarebbe opportuno proporre all'Italia di mettersi sopra un terreno pratico e precisamente quello costantemente preconizzato dal Duce come il solo atto a portare risultati politici importanti. Si trattava, infatti, secondo il giudizio Francia ed Inghilterra, di un problema politico di primo grado implicante la psicologia delle varie nazioni e richiedente spiegazioni esaurienti le quali avrebbero potuto riguardare anche altri problemi oltre quello spagnolo. Francia e Inghilterra erano desiderose di compiere tutti i sacrifici compatibili con la salvaguardia dei loro interessi e della loro dignità pur di conservare la pace. Speravano che Italia fosse pronta a fare dal suo lato i necessari sacrifici per un fine così alto.

Ho insistito su quanto avevo dichiarato prima cioè Italia non potrebbe dare propria adesione a trattative che si svolgessero al di fuori di Londra e tanto meno ad una conferenza tripartita.

Léger osservò che circa il primo punto credeva di avermi già spiegato sufficientemente quale fosse il punto di vista francese ed inglese, circa il secondo punto mi dichiarò, che se Italia ritenesse oppurtuno di fare partecipare alle eventuali conversazioni Germania non aveva che da esprimere il desiderio e Francia e Inghilterra sarebbero state liete di iniziare conversazioni fra quattro anziché fra tre Potenze.

374 I Ciano era in visita in Germania al seguito di Mussolini. 374 2 Vedi D. 370. 374 3 Vedi DD. 362 e 363.

Léger mi chiese, poi, se aveva bene compreso ritenendo che io avessi menzionato una nota da inviarsi al governo italiano da Francia e Inghilterra. Alla mia risposta affermativa disse che egli non aveva sentito parlare del proposito di mandare un tale documento. Ignorava se e quale fosse la procedura che avessero escogitato a riguardo il presidente del Consiglio ed i ministri francesi ed inglesi. Per conto suo riteneva che non avessero nemmeno ancora esaminato la portata del passo preannunziato e che nel renderne edotto V.E. avessero avuto unicamente in animo di tener presente bene la situazione così grave che sarebbe sorta il giorno in cui nostro palese intervento in favore di Franco si esplicasse mediante invio di nuovi contingenti di volontari. Era indubbio che accordi conclusi sarebbero caduti ipso facto con la conseguenza che Francia avrebbe servito come territorio di transito per tutto il materiale di guerra che industrie di ogni Stato, compresa U.R.S.S., avrebbero diretto nei porti francesi per essere poi inoltrato nella Spagna repubblicana. Accennava soltanto a questa conseguenza volendo evitare che io potessi interpretare le sue parole come qualche cosa che rassomigliasse ad una intimidazione ma credeva purtroppo che se non si fosse mostrato da ogni parte un sincero desiderio di applicare rigidi principi di non intervento ulteriore negli affari spagnoli si sarebbe posta in serio pericolo pace europea. Comunicato Roma».

375

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3694/1709. Mosca, 28 settembre 1937 (per. il 4 ottobre).

Mentre a Ginevra Litvinov continua a fare della demagogia societaria, l'ambiente politico di Mosca mantiene la massima riserva su tutte le questioni di ordine internazionale. Come succede sempre durante le assenze del suo titolare, il commissariato degli Affari Esteri sembra limitare la propria attività alle funzioni puramente amministrative ed ai piccoli affari correnti.

Alcuni dei miei colleghi (fra i quali l'inglese 1 ed il francese 2) sono assenti da Mosca per congedo; gli altri considerano inutile prendere contatti col Narkomindiel per scambiare idee sulla situazione politica generale, sapendo che il vice commissario Potemkin ed i suoi collaboratori non farebbero che riferirsi ai discorsi ginevrini di Litvinov. La stessa stampa da qualche settimana si è ridotta, nei suoi articoli di fondo, ad una semplice parafrasi di detti discorsi ed a stampare le corrispondenze da Ginevra, indubbiamente compilate secondo le direttive della delegazione sovietica alla S.d.N.

Questa atonia degli ambienti politici sovietici si può spiegare, oltre che con l'assenza del titolare del commissariato degli Esteri, anche col fatto che I'U .R.S.S. si tiene oggi in un posizione di attesa.

375 I Aretas Akers-Douglas Chilston. 375 2 Robert Coulondre.

All'Est essa segue con attenzione gli sviluppi del conflitto cino-giapponese, ma evita di compromettersi apertamente a favore della Cina prima di avere potuto misurare con una relativa sicurezza la forza di resistenza del Paese invaso e la capacità di penetrazione dell'invasore. Il giorno in cui la potenza giapponese rivelasse dei sintomi di esaurimento, non è da escludersi che l'U.R.S.S. uscirebbe dalla sua passività per intervenire attivamente nel regolamento della situazione estremo-orientale.

Ad Occidente, il governo sovietico si rende conto che, nonostante i discorsi di Litvinov a Ginevra, l'iniziativa non può appartenere all'U.R.S.S. e che la situazione spagnola si svilupperà in questa o quest'altra direzione a seconda delle decisioni che saranno prese specialmente a Roma, Londra e Parigi. Pur sforzandosi di sabotare le possibilità di accordo fra le Grandi Potenze occidentali, l'U.R.S.S. deve quindi accontentarsi di attendere le decisioni degli altri. Ciò spiega, a mio modo di vedere, la calma apparente di Mosca di fronte alla situazione internazionale3 .

376

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6839/0185 R. Budapest, 29 settembre 1937 (per. il 30).

Mio telespresso 983611786 del 25 corrente1 .

Ho visto stamane questo direttore generale degli Affari Politici, rientrato da Ginevra con ministro Kanya, il quale mi ha parlato delle recenti trattative svoltesi a Ginevra e di cui Bova Scoppa era stato tenuto direttamente al corrente 2••

Mentre Purié e Krofta ---mi ha detto Besscnyei -si erano mostrati in genere ben disposti, Antonescu aveva tenuto a mettere in rilievo particolari difficoltà delle Romania, per la quale questione minoranze ungheresi è problema di primo piano e di delicatissima trattazione, mentre Jugoslavia e Cecoslovacchia assorta la prima nel problema croato, preoccupata la seconda della forte minoranza tedesca e dall'atteggiamento ostile dell'Ungheria non possono non essere inclini ad un accordo.

Antonescu avrebbe altresì fatto intendere chiaramente che tutto dipendeva in definitiva da volontà Presidente Consiglio romeno, mentre sue personali possibilità di definire le trattative erano limitate. Di ciò Kanya sarebbe convinto, ritenendo -~ d'accordo anche con ministro Ungheria a Bucarest -attuale posizione Antonescu assai scossa, e scarse le probabilità per lui di rimanere al governo in caso di eventuale rimpasto ministeriale.

376 I Riferiva che le trattative tra Ungheria e Piccola Intesa si erano arenate su la questione delle minoranze. per le quali i tre Stati della Piccola Intesa erano disposti a fare delle promesse ma non a sottoscrivere un accordo formale che consideravano lesivo della propria sovranità. 376 2 Vedi DD. 350, 367 c 372.

Kanya ritiene, d'altra parte, che Jugoslavia e Cecoslovacchia abbiano già dato qualche prova concreta di buona volontà; la prima avendo deciso effettuare taluni provvedimenti favorevoli a minoranze ungheresi anche se di non rilevante importanza, e la seconda avendo revocato talune recenti disposizioni minacciose per interessi ungheresi (mio telegramma per corriere n. 0180 dell'8 corrente) 3 ; ciò che potrà costituire una pressione nei riguardi dalla Romania per indurla seguire loro esempio. Situazione a cui si è attualmente giunti segna comunque -a dire di Bessenyei -un successo di principio per Ungheria: e a prova di ciò egli mi ha ripetuto considerazioni che avevo avuto occasione di prospettargli prima della sua partenza per Ginevra (mio telegramma 177 del 10 corrente)4 ; andamento ulteriori trattative previste con Romania deciderà del raggiungimento di un eventuale concreto risultato che dovrebbe contenere (previo riconoscimento parità all'Ungheria) la prevista dichiarazione generica di non aggressione, sulla base del Patto Kellogg, e le dichiarazioni concernenti trattamento minoranze: queste ultime andrebbero fatte su base reciprocità in modo da evitare una forma che potrebbe apparire lesiva diritti sovrani degli Stati della Piccola Intesa, mentre Ungheria oltre al vantaggio della riconosciuta parità avrebbe comunque stabilito suo diritto a trattare direttamente per questioni interessanti le proprie minoranze.

375 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

377

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 6840/0222 R. Vienna, 29 settembre 1937 (per. il 30).

Questo ministro di Francia mi ha confidato in grande segretezza che, secondo rapporti avuti in comunicazione da Parigi, Blum avrebbe avuto da Benes e Hodza, in occasione della recente sua permanenza a Praga per i funerali di Masaryk, la notizia «documentata» di un piano germanico di invasione della Cecoslovacchia e dell'Austria. Il piano sarebbe venuto a conoscenza del governo di Praga attraverso la Svizzera.

Il piano, che sarebbe stato elaborato non dal governo germanico ma dal partito nazionalsocialista per inspirazione di Hess, prevederebbe moti insurrezionali, fatti scoppiare tra i tedeschi dei Sudeti e tra i nazisti austriaci, con la conseguente occupazione germanica di territori, per il primo tempo marginali, della Cecoslovacchia e dell'Austria, col pretesto non solo della tutela dell'ordine pubblico ai confini della Germania ma anche della protezione delle popolazioni tedesche con

telegramma si riferiva che il governo cecoslovacco stava applicando anche alla minoranza ungherese la Legge per la difesa dello Stato promulgata l'anno precedente -che comportava un trattamento restret tivo nei riguardi delle minoranze-ciò che aveva provocato a Budapest un'irritazione tanto più viva in quanto il governo cecoslovacco aveva dato ripetutamente l'assicurazione ufficiosa che quella legge sa rebbe stata applicata solo nei confronti della minoranza tedesca. 376 4 Vedi D. 320.

457 tro le repressioni dei governi di Praga e di Vienna. Il piano avrebbe incontrato difficoltà presso la Reichswehr ma non sarebbe stato scartato del tutto.

Come mi risulta da una conversazione avuta sull'argomento con Schmidt, una comunicazione del genere sarebbe stata fatta, circa un mese fa anche al governo austriaco dalla Svizzera, il cui ministro a Vienna 1 si sarebbe mostrato molto preoccupato.

Schmidt mi ha detto che, secondo informazioni avute da Monaco e da Berlino, deve trattarsi di propositi vaghi, che riaffiorano a tratti in alcuni circoli del nazionalsocialismo, dominati specialmente dagli emigrati austriaci e dei sudeti ma senza probabilità di approvazione, almeno nella situazione attuale, da parte dei circoli responsabili del governo germanico e dello stesso partito socialnazionalista.

Praga tiene ad impressionare al di là del bisogno, l'alleata Francia. Allo stesso scopo è diffusa, da fonte cecoslovacca e francese, la voce secondo cui nell'incontro Mussolini-Hitler la Germania chiederebbe l'adesione preventiva o l'acquiescenza dell'Italia ad un colpo di mano tanto contro la Cecoslovacchia quanto contro l'Austria. A Vienna -mi ha detto Schmidt -nessuno presta fede a tali fantasticherie.

376 3 T. per corriere 6245/0180 R. de11'8 settembre. Contrariamente a quanto qui affermato, in quel

378

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA RISERVATA 5271/1491. Belgrado, 29 settembre 1937 (per. il ] 0 ottobre).

Come ho informato V.E. col mio telegramma odierno n. 165 1 , Stojadinovié conterebbe partire per Parigi il 12 corrente e trattenersi colà due giorni soltanto. Eventualmente, proseguirebbe, poi, per Londra, rimanendovi un giorno solo, per essere di ritorno a Belgrado verso il 19 ottobre, per la ripresa dei lavori parlamentari.

Le pressioni ed intimidazioni francesi su Stojadinovié, esercitate anche attraverso Praga, datano dalla firma del Patto che l'E.V. ha concluso a Belgrado e ad un certo momento, si sono tradotte nell'azione dimostrativa che ha recentemente posto in subbuglio ed in pericolo governo e Paese. Stojadinovié ha resistito con ostinazione eccezionale per i suoi metodi politici, che non consistono precisamente nell'affrontare le situazioni in crisi di acutezza. Ha mandato emissari a Parigi, il deputato Sokié, in occasione del viaggio in Italia dei giornalisti jugoslavi, il capo di Stato Maggiore, generale Nedié, ministri e parlamentari, lo stesso Presidente della Camera2 , approfittando delle varie circostanze, per cercar di rasserenare l'ambiente, ma non sembra sia riuscito a ridurre le diffidenze di Parigi nei suoi riguardi. Ha finalmente dovuto decidersi al passo personale che sta per compiere, sia pure nelle disposizioni d'animo che è facile immaginare, sotto la stretta delle difficoltà che il

378 1 T. 68201165 R. del 29 settembre, il cui contenuto è qui indicato. 378 2 Cirié Stevan.

suo governo attraversa per effetto di un'agitazione che è diretta dalla capitale ove sta per recarsi e che trova in questo Paese facili elementi di disordine.

In questa condizione di cose, non credo che il viaggio di Stojadinovié debba sfavorevolmente impressionarci. Quello che a noi interessa, a mio avviso, è che Stojadinovié riesca a mantenersi ed a consolidarsi al potere e che ciò possa permettere alla nostra non facile azione di continuare sistematicamente il progresso e l'allargamento delle posizioni raggiunte, e da raggiungere, nel poco tempo che ormai rimane fino alla maggiore età di Re Pietro, quando potrebbero ritornare od assurgere al comando elementi suscettibili di rappresentare delle incognite nei nostri riguardi.

Comunque, riassumo qui le comunicazioni che Stojadinovié mi ha fatto:

a) il Patto di amicizia colla Francia 3 sarà prorogato tale e quale, senza aggiunte o modificazioni di sorta;

b) in occasione del suo recente soggiorno a Praga per i funerali di Masarik, Benes gli avrebbe mostrato di disinteressarsi oramai del Patto di mutua assistenza, aggiungendo che è un argomento che concerne, allo stato attuale delle cose, soprattutto Parigi. Stojadinovié si attende, quindi, che si profitterà del suo viaggio per attaccarlo seriamente su questo punto e me ne ha dimostrato qualche preoccupazione. Abbiamo parlato abbastanza a lungo della questione. Risultato: Stojadinovié si disporrebbe, ove occorresse, a parare il colpo al Quai d'Orsay ponendo nettamente innanzi l'impossibilità e l'inopportunità per la Jugoslavia, dopo la nuova sistemazione dei suoi rapporti coll'Italia, di entrare in combinazioni non chiare e non utili, che possono, comunque, essere interpretate come in contraddizione con tali rapporti;

c) Stojadinovié ha tenuto che io faccia sapere all'E.V. che egli è sempre più convinto dell'importanza essenziale per l'interesse della Jugoslavia di far capo, in prima linea, all'Italia e che, checché avvenga, le direttive della sua politica sono dirette al rafforzamento ed all'intensificazione di tale politica;

d) quanto al suo viaggio a Roma, Stojadinovié lo ritiene, senz'altro, fissato per il prossimo novembre, secondo l'E.V. ha proposto. Egli lascia all'E.V. di sceglierne la data. Non ha impegni improrogabili a Belgrado che dal 19 al 22 novembre. Il viaggio potrebbe, quindi, aver luogo verso la metà di novembre o verso la fine. Egli dovrà restituire, poi, -ma con viaggio a parte -la visita di von Neurath a Berlino e, forse, accettare un invito di Goering, per la fine di novembre, per l'apertura di una esposizione di caccia. Comunque egli, per ora, si è astenuto dal prendere impegni precisi, in attesa che venga precisata la data della sua visita a Roma. Debbo pregare, per conseguenza, l'E.V. di volermi far avere un cenno, possibilmente telegrafico, a questo proposito.

È possibile che Stojadinovié, di ritorno da Londra, viaggi col Sempione O. E. e passi per Milano. Qualora le RR. ambasciate a Londra od a Parigi potessero darne conferma, persona di fiducia di V.E. potrebbe conferire col Presidente durante il percorso di ritorno 4 .

378 4 Il documento ha il visto di Mussolini. Le sottolineature qui riportate è dubbio se siano di Musso lini oppure di Ciano. Per la risposta di Ciano si veda il D. 392.

377 l Maximilian H. S. Jaeger.

378 3 Vedi D. 250, nota 2.

379

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6852/135 R. Varsavia, 30 settembre 1937, ore 16,10 (per. ore 21).

Come V.E. avrà potuto rilevare dai telegrammi Stefani speciale, il viaggio Duce a Berlino è stato seguito qui con grandissimo interesse ma con visibile preoccupazwne.

La stampa di opposizione ha tentato la solita manovra di mettere in rilievo più le ragioni di possibile discrepanze della politica italiana e tedesca anziché quelle che inducono i due Paesi alla collaborazione. I giornali governativi pur mantenendo una maggiore misura non hanno dato mostra questa volta di quell'entusiasmo col quale siamo abituati a vedere commentate tutte le manifestazioni della nostra vita nazionale, sia nel campo della politica interna che di quella esterna. Peraltro le agenzie ufficiose si sono astenute sino ad oggi dal commentare l'avvenimento limitandosi a pubblicarne una larghissima cronaca.

A prescindere da tutte le manovre di politica interna polacca e dall'influenza che esercita la massoneria su questa stampa, è certo che un irrobustimento, eccessivo della Germania preoccupa sensibilmente quest'opinione pubblica la quale, malgrado la politica del governo tendente a mantenere ottimi rapporti col Reich, ritiene di avere tutto da temere da una Germania troppo forte.

Non sono mancate neanche nella presente occasione allusioni alla possibile rinascita del Patto a Quattro ma ciò evidentemente più che altro ai fini polemici.

380

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6853/715 R. Londra, 30 settembre 1937, ore 21,20 (per. ore 2,05 del l" ottobre).

Mio telegramma n. 713 1•

Mi sono espresso con Eden nei termini telegramma n. 341 di V.E. 2

Eden mi ha detto che era addolorato e sorpreso per la mia comunicazione che gli giungeva tanto più inaspettata dopo le buone notizie pervenutegli ulteriormente sui soddisfacenti risultati del convegno itala-anglo-francese 3 che aveva

380 I T. 6816/713 R. del29 settembre. Comunicava di avere effettuato presso Eden il passo prescrittogli con il D. 370. 380 2 Vedi D. 370. 380 3 Si riferisce alla Conferenza di Parigi tra le delegazioni delle marine di Francia, di Gran Bretagna e d'Italia per la sorveglianza ed il pattugliamento nel Mediterraneo in applicazione degli Accordi di Nyon. La Conferenza si era conclusa il 30 settembre con la firma di un progetto di accordo che sarebbe stato presentato ai governi per l'approvazione.

accolto tutte le domande italiane e assegnato all'Italia parte preponderante nei compiti polizia navale Mediterreneo.

Eden ha continuato dicendomi che iniziativa conferenza italo-anglo-francese per esaminare a fondo questione spagnola era partita da Parigi e che governo inglese aveva dato il suo consenso. Eden si sarebbe tuttavia consultato col governo francese in merito alla mia comunicazione.

Governo inglese non attribuisce importanza decisiva al fatto che si riunisca una formale conferenza tra le tre Potenze: quello che governo inglese considera essenziale ed urgente è che nei casi urgenti Londra, Roma e Parigi comincino, senza indugio, conversazioni concrete per risolvere una volta per sempre il problema dell'intervento in Spagna, problema che nel giudizio del governo britannico ha raggiunto uno stato acuto e assolutamente pericoloso per la pace europea. L'idea di restringere per il momento tali conversazioni a Italia, Francia e Inghilterra è basata sul fatto ovvio ~ha continuato Eden ~che questione spagnola interessa soprattutto le tre grandi Potenze mediterranee e che questo è il solo modo per escludere la Russia, la cui partecipazione significherebbe un insuccesso prima ancora di cominciare le conversazioni, come hanno provato le discussioni al Comitato di non intervento. La questione spagnola, ha continuato Eden, è il solo, ma tuttavia grave, ostacolo che sbarra il passo a una leale e permanente intesa anglo-italiana. Se non si rimuove questo ostacolo una intesa italo-inglese non (dico non) sarà possibile.

In Italia si crede ~ha continuato Eden ~che la opposizione in Inghilterra all'azione italiana in Spagna sia dovuta a presupposti antifascisti. Ciò è vero per una piccola frazione faziosa inglese. La realtà è che tutti in Inghilterra e in primo luogo il governo, l'Ammiragliato, gli ambienti militari e del partito conservatore sono vivissimamente preoccupati dell'azione italiana in Spagna. L'estensione e la profondità dell'impegno italiano in Spagna, nel campo militare, è tale che non può essere spiegato sul terreno della solidarietà dei regimi, esso dà l'impressione, tutti sono d'accordo in Inghilterra su questo punto, che l'Italia mira a una presa di possesso politica e militare della Spagna. Ciò altera evidentemente l'attuale equilibrio mediterraneo e l'Italia non può attendersi che le Potenze mediterranee possano a ciò rassegnarsi. Voi mi parlate di protezione inglese ai Rossi di Valencia. Vi risponderò con cruda franchezza: l'Inghilterra non ha alcuna simpatia per i Rossi di Valencia ma ha la più profonda diffidenza per i Nazionalisti di Salamanca. Questo è motivo esclusivo di diffidenza che l'Inghilterra nutre per l'azione italiana in Spagna, e alleati Franco [sic].

Se noi potessimo essere garantiti sull'azione dell'Italia in Spagna, noi non avremmo alcuna difficoltà a mutare i nostri sentimenti, la nostra ... 4 verso Nazionalisti spagnoli. Per questo appunto noi abbiamo connesso questione volontari con il riconoscimento della belligeranza. Di questa siamo pronti a discutere, a Roma direttamente con l'Italia, senza gli inceppi, che la tattica sovietica ha creato nel Comitato di Londra.

Voi mi parlate ancora di Ginevra e della Abissinia. Ma come si può pensare ad una pacificazione generale fra l'Italia e l'Inghilterra sino a che perdura il ner

vosismo e gli interrogativi gravi sollevati dalla questione spagnola? Governo britannico è pronto, come lo era nel luglio scorso al riconoscimento dell'Impero italiano, ma ritiene che per regolare questa questione sia assolutamente necessario aspettare la futura assemblea della S.d.N.

Si può far propaganda, ma solo quando fra Londra e Roma si sia giunti ad un chiarimento «totalitario» e senza zona d'ombra, secondo la frase felice del Duce, su tutto, ma in primo luogo sulla questione spagnola.

È superfluo riproduca a V.E. tutte le mie repliche e controbattute mano a mano che si svolgeva la nostra discussione. Mi riservo farlo per corriere5• Ma ho creduto opportuno anticipare subito a V.E. in vista degli imminenti contatti fra

V.E. e codesto ambasciatore britannico, il succo delle dichiarazioni fattemi da Eden.

380 4 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

381

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6834/80 R. Roma, 30 settembre 1937 (per. stesso giorno).

Il primo segretario dell'ambasciata ha visto stamane monsignor Pizzardo. Naturalmente hanno parlato del viaggio in Germania del Duce 1•

Il sottosegretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari gli ha detto che il Papa aveva seguito con particolare attenzione le diverse fasi della visita e si era mostrato soddisfatto per il discorso pronunciato dal Duce al Campo di Maggio 2• apprezzandone specialmente l'invocazione alla pace.

Venturini ha allora osservato che, data l'effettiva storica importanza della visita, nell'Osservatore Romano si era esagerato nel non dare rilievo all'incontro Hitler-Mussolini e che ben differentemente si erano comportati i giornali italiani, in occasione del viaggio del cardinale Pacelli a Lisieux3 . Ha aggiunto che l'Enciclica di ieri sul Rosario 4 poteva forse risparmiarsi, nell'attuale delicato momento, le due chiare puntate contro il nazionalsocialismo.

Monsignor Pizzardo gli ha lasciato intendere che nella questione dei rapporti fra Germania e Santa Sede è il Papa che tutto fa e decide: la Segreteria di Stato si limita ad eseguire gli ordini che riceve. Ha soggiunto che in Santa Sede si considera la questione con molto pessimismo, che il Reich accentua sempre più il suo atteggiamento di completa intransigenza e di antagonismo verso la Chiesa e, a

380 s Non è stato trovato nessun documento in proposito. 381 I Vedi D. 383, nota l. 381 2 Pronunciato il 28 settembre a Berlino (testo in MussouNI, Opera Omnia, vol. XXVIII, pp. 248-253). 381 3 Vedi D. 56. 381 4 Enciclica lngravescentihus malis del 29 settembre 1937 (testo in Acta Apostolicae Sedis, vol. XXIX, pp. 373-380.

dimostrazione di quanto asseriva, ha riferito che si è di recente giunti perfino a proibire la pubblicazione del Bollettino delle Missioni, accusato di antirazzismo perché riportava gentili episodi di conversioni e di spirito cristiano in terra d'Africa e d'Asia.

Il Segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari ha fatto infine capire a Venturini che si era ansiosi di sapere se il Duce e V.E. hanno ritenuto opportuno accennare, nei colloqui avuti con i dirigenti del Reich, alla questione religiosa ed ha concluso dicendo che la Santa Sede nutre però poche speranze sull'esito degli eventuali sondaggi.

382

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6919/1193-667 R. Salamanca, 30 settembre 1937 (per. il 4 ottobre).

Da persona molto vicina a Franco mi viene riferito che questo nuovo ambasciatore del Reich, in occasione della presentazione delle sue credenziali al Generalissimo e nella conversazione intima che, come d'uso fa seguito alla cerimonia, ha posto senz'altro a Franco la questione delle miniere di Bilbao e delle necessità tedesche in fatto di minerale di ferro. Ha lamentato che le miniere stesse lavorino ancora soltanto in misura del 30 per cento sul loro rendimento normale per difetto di maestranze e mano d'opera ed ha suggerito di attivare l'impiego dei prigionieri di guerra. Il Generalissimo ha assai poco gradito questo soggetto di conversazione giudicandolo inopportuno per un primo contatto, nonché in considerazione della circostanza e del luogo ed ha comunicato queste sue impressioni agli ambienti a lui vicini, nei quali la cosa è sfavorevolmente commentata.

Osservo che gli argomenti di cui von Stohrer ha intrattenuto Franco sono gli stessi sui quali egli si era indugiato con me, in occasione della visita da lui fatta, con speciale attenzione, a me per primo, nel giorno susseguente al suo arrivo: in quell'occasione, l'ambasciatore del Reich ha insistito sui seguenti punti, dandomi la sensazione trattarsi di direttive generali ricevute prima di lasciare Berlino:

lo La soluzione della guerra deve essere affrettata.

2° La Germania non può continuare il rifornimento di materiale bellico perché essa stessa è !ungi dall'avere completato il suo armamento e perché non dispone, a differenza dell'Italia, di residui di materiale sorpassato da poter cedere: tutto il suo armamento è moderno, e, come tale, non può disfarsene.

3° Ai fini di un acceleramento della guerra spagnola la Germania potrebbe fare ancora uno sforzo, purché e sempre che la Spagna le fornisse il ferro nella quantità e nel tempo richiesti.

383

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6089/1652. Washington, 30 settembre l 937 (per. il l 5 ottobre).

La visita del Duce in Germania 1 nella settimana decorsa è stata considerata in questo Paese, a giudicare dall'interesse che vi ha dedicato l'opinione pubblica e lo spazio che vi hanno dato i giornali, il più importante avvenimento di politica estera del momento, facendo passare in seconda linea anche il conflitto cino-giaponese che pure è seguito sempre con grande interesse e passione dai circoli politici e dai più larghi strati della popolazione degli Stati Uniti d'America.

La cronaca della visita è stata riportata nei più minuti dettagli e si può dire che non una parola od un gesto relativo a tale avvenimento non abbia avuto il dovuto rilievo. Detta cronaca ha registrato con unanimità assoluta l'imponenza delle manifestazioni preparate per accogliere il Duce e l'entusiasmo delle folle di Monaco e di Berlino che ha superato ogni aspettativa ed ha stupito non solo i corrispondenti dei giornali americani ma, a guanto viene qui riferito, anche gli stessi organizzatori tedeschi e gli ospiti italiani.

La ricerca di motivi su cui esercitare la propria malignità, come abitudine di questa stampa, è stata nei riguardi dell'esteriorità dell'incontro completamente delusa, in guanto si è dovuto constatare l'apparenza di grande popolarità della politica seguita dal Reich nei riguardi dell'Italia e l'adesione data ad essa dalle più vaste sfere del popolo tedesco. In questo campo tutto si è limitato a qualche osservazione sulla confusione regnante alla stazione di Monaco alla partenza del Duce ed all'inconveniente della pioggia che ha attenuato alla fine della cerimonia lo splendore con cui si era iniziata l'adunata dello Stadium, alle severe e meticolose misure di pubblica sicurezza prese in occasione della visita tanto in Germania che in Austria.

Ora, a visita terminata, sono apparsi numerosi editoriali ed articoli di commento in cui la fantasia si è sbrigliata nelle più svariate interpretazioni. Va rilevato però che anche in detti commenti è generale la constatazione dell'intonazione pacifica che ha caratterizzato l'incontro, ciò che del resto corrisponde alle previsioni che erano state fatte già in anticipo da questa stampa. Dovrei anzi osservare, senza per ciò voler fare a mia volta della malignità, che questo tono pacifico ha provocato una certa delusione in alcuni ambienti americani, che avrebbero voluto approfittare di una così bella occasione per le solite tirate contro le dittature, pericolo costante per la pace universale.

In genere, l'impressione che qui si è data al pubblico americano attraverso la stampa è quella che l'incontro di Germania, senza aver creato alcun fatto nuovo e sostanziale nei rapporti fra i due Paesi, abbia consolidato l'asse Roma-Berlino, se non altro per il fatto che una manifestazione così clamorosa compromette gli auto

383 I Dal 25 al 29 settembre Mussolini fu in visita ufficiale in Germania. Sui colloqui avvenuti in quella occasione non si è trovata documentazione negli archivi italiani e anche gli archivi tedeschi forniscono pochi elementi.

ri della stessa a mantenere almeno per un certo periodo di tempo, senza deviazioni, la linea politica fin oggi conservata. Si è ricordato, bensì, che dopo l'incontro di Venezia fra il Duce ed il Fiihrer2 , i rapporti fra l'Italia e la Germania sono rapidamente peggiorati fino ad arrivare ad un punto di eccezionale tensione, ma si riconosce d'altra parte che ciò è stato dovuto a circostanze sopravvenute, che non si può ritenere debbano ripetersi e che d'altra parte allora le circostanze dell'incontro non avevano neanche lontanamente raggiunto la solennità di quelle di oggi. Devo aggiungere che anche il carattere particolare di questo incontro fra i due uomini di Stato che sono nello stesso tempo creatori e capi dei due regimi, è stato giustamente compreso, né perciò si è dato rilievo alla mancanza di un comunicato ufficiale che tradizionalmente chiude gli incontri fra Capi di Stato e Capi di governo.

In mancanza di indicazioni più precise sugli argomenti che hanno formato oggetto dei colloqui politici e sulle relative determinazioni, le ipotesi fatte sono numerose ed in parte anche discordanti; ce ne sono alcune tuttavia che rappresentano una specie di linea comune e che come tale hanno acquistato un certo credito in questo Paese. Cercherò di riassumerle:

Si ritiene che tanto il Fiihrer quanto il Duce si siano trovati d'accordo sulla necessità di migliorare i rapporti con la Gran Bretagna non essendo interesse, né dell'Italia, né della Germania di alimentare un dissidio con detto Paese, dissidio che non ha nessuna ragione sostanziale di esistere; si ritiene che il Duce abbia cercato di guadagnare la Germania ad un più attivo intervento in Spagna (a cui si opporrebbero i circoli della Wilhelmstrasse e probabilmente anche gli ambienti militari), mentre il Fiihrer avrebbe cercato di ottenere dal Duce un'esplicita adesione alle rivendicazioni della Germania principalmente nel campo coloniale. Si pensa anche il Duce possa aver influito su Hitler per un'attenzione della lotta che si fa in

li Capo del governo italiano ebbe -il 25 settembre a Monaco-un colloquio con Hitler al quale fu presente l'interprete della Wilhelmstrasse, Pau! Schmidt, che nelle sue memorie (trad. italiana: Da Versaglia a Norimberga, Roma, L'Arnia, 1951, pp. 340-341) ne dà un'indicazione molto sommaria qualificandolo come di modesta importanza.

Il 27 settembre, Mussolini ebbe, poi, un colloquio con Goring. Neanche di questo vi è documenta: zione ma in proposito si veda il memorandum di Wilhelm Keppler (in DDT, serie D. vol. I, D. 256) nel quale è riportato quanto dettogli da von Neurath circa le istruzioni impartite, in sua presenza, da Hitler a Giiring, al quale, in vista dell'incontro che avrebbe avuto con Mussolini, fu fatto rilevare che il suo atteggiamento nei riguardi della questione austriaca era troppo duro e che per il momento occorreva evitare una crisi in Austria. Secondo quanto risultava al ministro degli Esteri tedesco, Mussolini aveva espresso a Giiring il suo malcontento per la politica di Schuschnigg e aveva manifestato stanchezza per il ruolo che fino a quel momento aveva dovuto tenere di fronte al problema austriaco.

Altri elementi sul colloquio tra Mussolini e Giiring a Karinhall e sulla posizione assunta dal Capo del governo italiano nei riguardi della questione austriaca si trovano in un promemoria dell'ambasciatore von Hassell nel quale l'ambasciatore riferiva su due conversazioni avute durante il viaggio con Mussolini. Quest'ultimo gli aveva dichiarato, fra l'altro, di desiderare che l'indipendenza dell'Austria fosse mantenuta ma aveva "sottolineato particolarmente" che intendeva parlare "soltanto di una indipendenza formale" (v o n Hassell a von Weizsiicker lettera del 7 ottobre in DDT, serie C, vol. VI, D. 568, allegato).

La posizione della Wilhlmstrasse circa il contenuto da dare ad una eventuale intesa sulla questione austriaca è indicata dai due progetti di accordo preparati per l'occasione (testo ibid., D. 557). Non risulta peraltro che quei documenti siano stati portati a conoscenza di Mussolini.

Per altri contatti avuti da Mussolini durante il suo viaggio, si veda il promemoria in data 2 ottobre del Capo del cerimoniale della Wilhe\mstrasse, Biilow Schwante (in DDT, serie D, vol. L D. 2, allegato).

I risultati immediati della visita di Mussolini considerati più importanti dalla Wilhelmstrasse furono indicati da von Neurath in un telegramma del 30 settembre a tutti i capi missione (ibid. D. l). 383 2 Del 14-15 giugno 1934.

Germania contro la Chiesa Cattolica, dovendosi considerare il cattolicesimo un naturale alleato dei due Stati fascisti nella lotta contro il bolscevismo. Si pensa ancora che la questione dell'Austria sia stata considerata momentaneamente come risolta dopo gli Accordi austro-tedeschi del luglio 1936 che hanno appunto costituito la premessa della politica dell'asse Roma-Berlino iniziata coi Protocolli firmati dal Fiihrer3 e dal conte Ciano a Berchtesgaden.

Ciò come argomenti specifici, a parte le evidenti ragioni d'interesse comune fra i due Paesi che sono state più volte proclamate. Su tali ipotesi si sono innestati vari commenti da parte americana. Anche per questi cerco di seguire una certa linea generale senza citare le varie sfumature.

L'impressione generale qui è che il rafforzamento dell'asse Roma-Berlino non sia favorevole ad una rapida intesa fra le quattro Grandi Potenze occidentali euro~e che abbia anzi creato un certo irrigidimento da parte della Gran Bretagna, che rappresenterebbe la chiave di volta della situazione, la quale, per sua antica e tradizionale linea politica, non può abbandonare lo Stato più debole, che oggi sarebbe la Francia, per favorire una specie di egemoma fascista sul continente.

Per quanto riguarda le affermazioni pacifiche contenute nelle manifestazioni verbali che hanno accompagnato la visita, pur essendo le stesse state accolte con compiacimento dai circoli più responsabili, è generale un senso di scetticismo che contribuisce a dare un'intonazione malevola alla massima parte degli editoriali. Si osserva cioè che tali affermazioni sono state troppe volte ripetute ma che generalmente sono state contraddette dai fatti. Si osserva anche che tali offerte di pace sono accompagnate da riserve che potrebbero rendere difficile un'intesa sulla base delle stesse. Si conchiude però che qualunque sia l'intenzione con la quale tali affermazioni sono state fatte, le Potenze democratiche non ne possono non tener conto, pure esigendo che le stesse abbiano una pronta realizzazione pratica che dia la prova dell'effettiva buona volontà degli offerenti.

Per quanto riguarda l'Austria, pur rendendosi conto che la situazione non costituisca oggi un problema attuale per i rapporti fra i due Paesi, si pensa generalmente che il rafforzarsi dell'asse Roma-Berlino renda più facile un insensibile graduale assorbimento di questo Paese da parte della Germania. Per quanto riguarda l'efficacia e la durata di tale intesa italo-germanica, si ritiene che pur essendovi fra i due Paesi degli evidenti interessi comuni ci sono anche delle essenziali ed inderogabili ragioni di dissidio che in un avvenire più o meno lontano potranno di nuovo far sentire il loro peso; si ritiene che perciò l'Italia non intenda legarsi oltre certi limiti con la Germania e che un eventuale accostamento dell'Italia verso le Potenze occidentali, per cui l'Italia--qui si dice-vuoi mantenersi la porta aperta, porterà come conseguenza ad una attenuazione del peso del detto Asse sulla politica europea.

Per citare qualche commento di minore rilievo ricorderò che da qualche parte qui si è affermato che le due Potenze fasciste, col continuo richiamo alla parità dei diritti e con l'invocazione alla cessazione dell'ostilità contro le stesse e mettendosi in tale riguardo sulla difensiva, dànno prova di soffrire di un inferiority complex

che non è giustificato dai fatti. Si è anche osservato che le dichiarazioni del Duce sono state più vibrate di quelle di Hitler, anche negli attacchi contro il comunismo per cui invece si attendeva una più energica presa di posizione germanica. D'altronde va rilevato che da una parte della stampa, anche se non la più numerosa, certo importante si ritiene che la politica itala-germanica è determinata dall'aggressione bolscevica contro la civiltà occidentale e come tale deve essere considerata elemento di pace e di ricostruzione.

Segnalo a tale riguardo, oltre qualche articolo della stampa HEARST, alcune buone corrispondenze del signor Simms della catena SCRIPPS-HOWARD. I commenti sono ancora in pieno corso ma ritengo che l'intonazione generale non si allontanerà dalle linee sopra indicate. Comunque, a parte i riassunti giornalieri dell'agenzia Stefani, mi riservo di segnalare se qualche cos'altro di importante venisse pubblicato sul! 'argomento 4 .

383 3 Sic. I protocolli erano stati sottoscritti da von Neurath.

384

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6109/1662. Washington, 30 settembre 1937 (per. il 15 ottobre).

Telespresso di quest'ambasciata in data 17 settembre, n. 5824/1595 1•

Cessate le ripercussioni della visita del Duce in Germania, il conflitto cino-giapponese riprende il primo posto tra gli argomenti che appassionano e preoccupano questo governo e questa opinione pubblica. Pure continuando un grande disorientamento, nelle ultime manifestazioni del governo americano si nota un certo irrigidimento contro il Giappone.

Per controbilanciare l'effetto che il divieto posto alle navi governative di trasportare armi, munizioni e materiale bellico ha prodotto a Nanchino e che ha provocato una protesta da parte di questo ambasciatore cinese, che ne ha intrattenuto il signor Hull, gli Stati Uniti hanno accettato di partecipare al Comitato consultivo per l'Estremo Oriente su invito della Società delle Nazioni. Detto Comitato consultivo, del quale gli Stati Uniti fanno parte dal 1933, senza aver diritto al voto, è ora risuscitato dopo quattro anni di completa inattività. La partecipazione americana è stata accolta con soddisfazione dal governo cinese come un primo passo verso una politica più attiva in Estremo Oriente. In ogni modo nell'accettare di far parte del Comitato consultivo per l'Estremo Oriente, questo governo ha chiaramente fatto intendere che esso avrebbe preso parte solo in qualità di osservatore e che non si sarebbe ritenuto legato da alcuna decisione che detto Comitato avrebbe potuto prendere.

Come ulteriori manifestazioni di tale atteggiamento di maggiore rigidità vanno notati la dichiarazione dell'ammiraglio Yarnell di voler proteggere i cittadini

americani che rimangono in Cina, ad onta degli avvenimenti ed inviti ad abbandonare quel Paese, e la comunicazione del Segretario di Stato in appoggio della dichiarazione di Ginevra contro i metodi di guerra aerea giapponese 2 , pure già segnalata a codesto ministero.

Il messaggio dell'ammiraglio Yarnell, comandante in capo della flotta americana in Cina, ha un tono deciso che ha destato qui una certa sorpresa. Detto messaggio rende noto come la flotta americana rimarrà nelle acque cinesi allo scopo di proteggere ed assistere i cittadini americani fino a che duri il presente conflitto. Questa esposizione della linea di condotta degli Stati Uniti, che per la prima volta è stata così chiaramente espressa, è stata comunicata dal ministero della Marina si presuppone dopo essere stata approvata dal Dipartimento di Stato. Il ministero della Marina in dichiarazioni supplettive ha spiegato che tale linea di condotta continuerà ad avere forza anche dopo che i nazionali siano stati avvertiti di lasciare la Cina e che ne abbiano avuto l'opportunità senza avvalersene. Nel prestare tale protezione ed assistenza, continua il ministero della Marina, le nostre navi potranno correre dei rischi che pur non essendo gravi, debbono tuttavia essere previsti e scontati.

Ma non è mancato chi ha voluto rilevare come tale dichiarazione sia stata fatta dall'ammiraglio Yarnell di sua iniziativa sulla base della linea di condotta seguita in occasioni precedenti e come sia stata resa pubblica da questo Dipartimento di Stato con tre giorni di ritardo e ciò dietro richiesta dei corrispondenti a Shanghai. Il che forse significa che questo Dipartimento di Stato non reputava opportuno ancora chiarire la propria prudente politica ed impegnarsi per contingenze future.

È pervenuta ora la nota di risposta giapponese 3 , redatta in un tono talmente secco e quasi duro, che ha suscitato una certa emozione nei circoli politici e giornalistici. Il Segretario di Stato ha fatto una dichiarazione vaga da cui si deve ritenere che l'incidente non è chiuso, ma non pare sia da attendersi, nella fase attuale della questione, altra conseguenza se non un ulteriore scambio di carte ed anche questo vien messo in forse.

È certo però che l'ostilità contro il Giappone per la sua aggressione in Cina è qui in progressivo aumento. Si dice anche che lo State Department sarebbe disposto a prendere un atteggiamento più energico, ma che vi si oppone il Presidente Roosevelt, sicuro di poter contare sulle larghissime correnti ultraneutraliste del Paese. Effettivamente non si può pensare oggi che il Paese possa essere smosso dalla sua decisa volontà di rimanere estraneo ad ogni conflitto. La segnalazione di questo malumore, che va sempre più dift~Jndendosi, va fatta soprattutto con riguardo a quelli che possono essere gli sviluppi futuri. Nel frattempo si ha l'impressione che le correnti a favore dell'applicazione dell'atto di neutralità diventino sempre più deboli, mentre in questi ultimi tempi solo alcune organizzazioni di

alla risoluzione adottata il giorno precedente dal Comitato consultivo della S.d.N., ribadiva di conside rare qualsiasi bombardamento di zone abitate come <<ingiustificabile e contrario ai principi del diritto dclìe genti». 384 3 Nota inviata dal governo nipponico al governo degli Stati Uniti il 30 settembre (testo in FRUS, Japan 1931-1941, vol. I. p. 507) di risposta alla nota di protesta per il bombardamento di Nanchino inviata dal governo degli Stati Uniti il 22 settembre precedente (testo ihid .. p. 504).

carattere pacifista hanno elevato la loro voce in favore di un'immediata applicazione dell'atto. Si confessa poi apertamene che la mancata applicazione deriva dal desiderio di non danneggiare la Cina.

Anche in alcune visite che ho fatto in questi giorni dopo il mio ritorno ai più importanti funzionari del Dipartimento di Stato, fra l'altro al consigliere per gli Affari dell'Estremo Oriente, signor Hornbeck, ho tratto l'impressione che in quel dicastero l'ostilità contro il Giappone si sia accentuata.

Nell'impotenza in cui si trova il Dipartimento di Stato di agire, data la sopraddetta ostilità del Paese per ogni manifestazione che possa portare a degli incidenti, esso si accontenta di andare alla ricerca degli argomenti che possano far sperare in una soluzione che non sia del tutto favorevole al Giappone. Si mette in particolare rilievo che la situazione del Giappone presenta alcuni punti deboli. Oltre al noto argomento della difficile situazione finanziaria giapponese, si osserva che il Giappone si trova impegnato su molto più larga scala di quello che avesse preveduto da principio e che la resistenza cinese è più valida di quanto si potesse supporre; anche se i cinesi devono cedere nelle singole azioni di fronte alla superiorità di armamenti dell'avversario, nessuno può dire quanto a lungo tale resistenza possa durare; d'altra parte, la Cina ha una sua forma di organizzazione del disordine per cui la sua resistenza può continuare oltre quello che sarebbe prevedibile per un Paese meglio organizzato all'occidentale come il Giappone. Inoltre, al Dipartimento di Stato si dà grande importanza all'unanimità o quasi dell'opinione pubblica mondiale contraria al Giappone. Alla mia osservazione che questa forma di solidarietà morale data da molti Paesi alla Cina non potrà costituire un serio ostacolo per il Giappone deciso a proseguire la propria azione, mi si è risposto che ciò è esatto, ma che tuttavia questa solidarietà morale crea un'atmosfera da cui in avvenire possono sorgere nuovi sviluppi.

Altro argomento su cui il Dipartimento di Stato pare fondare qualche speranza è l'atteggiamento più deciso da parte della Russia la quale ha dichiarato di tenere responsabile il Giappone, ad onta dell'avvertimento avuto, per ogni danno recato alla sua rappresentanza in Cina, dichiarazione accompagnata da un presunto ammassamento di truppe sulla linea deii'Armur. A questo accenno ho ribattuto che non pareva possibile che la Russia nelle attuali sue condizioni interne, con le inimicizie che si era creata un po' in tutto il mondo, potesse pensare seriamente a mettersi in un conflitto. Mi è stato risposto che effettivamente neanche qui si pensa che la Russia almeno per ora possa muoversi ma che d'altronde non bisognava neanche esagerare sulla debolezza interna della Russia. Ho sentito farmi per la seconda volta, in pochi giorni, al Dipartimento di Stato il paragone della Russia con un ammalato che abbia subìto un'operazione per cui, anche se momentaneamente indebolito, esso potrà presto ristabilirsi ed essere più efficiente di prima, quando era minata dal male.

Ad ogni modo, a quanto ho capito, qui si ritiene che la Russia possa avere una doppia funzione in questo conflitto dando aiuto di materiale e forse di organizzatori alla Cina e costituendo una minaccia potenziale per il Giappone, minaccia che potrebbe indurlo a non spingere le cose oltre certi limiti.

A proposito della Russia, ho avuto già occasione di segnalare come la Russia, dopo un periodo di quasi popolarità avuta in America al momento della pubblica

zione della cosidetta costituzione democratica di Stalin, sia caduta completamente in ribasso durante l'epoca dell'epurazione staliniana. Va tuttavia notato che negli ultimi tempi la Russia ha riguadagnato qualche punto per questo atteggiamento di una certa fermezza assunto nei riguardi del Giappone.

Quello poi che non mi è stato detto al Dipartimento di Stato ma che certamente è intimo desiderio un po' di tutti in questo Paese, sarebbe che l'Inghilterra prendesse una posizione più recisa contro il Giappone. Si parla qui della possibilità di iniziare in America il boicottaggio delle merci giapponesi, ma la proposta è commentata con un entusiasmo molto relativo, perché si pensa alle possibili ripercussioni di ordine commerciale da cui l'America ne soffrirebbe; viceversa è accolta con grande compiacimento la notizia che l'Inghilterra pensa pure di attuare un simile boicottaggio.

Naturalmente si ripone anche qualche speranza, in verità non molto accreditata, in una possibile azione promossa dalla Lega o fondata sul Patto delle Nove Potenze, a cui l'America si potrebbe associare sempre che tutto rimanga nel campo delle affermazioni di principio e delle manifestazioni platoniche e non implichi un pericolo di complicazioni.

In complesso il Paese si dibatte nel dilemma che per ora non ha via di uscita: da un lato il desiderio alimentato dall'evidente interesse del Paese e da un residuo senso di orgoglio nazionale, di fare qualche cosa a favore della Cina e contro il Giappone che tratta con disinvoltura quasi brutale gli ammonimenti del governo americano, rendendo leggermente ridicolo il tono di superiorità paternale adottato dal Dipartimento di Stato, dall'altro la generale e per ora irremovibile volontà del Paese di non essere implicato, né direttamente, né indirettamente nel conflitto.

Se domani altre Potenze e particolarmente l'Inghilterra uscissero dall'attuale riserbo per prendere decisamente posizione contro il Giappone, anche il sopraddetto atteggiamento dello spirito pubblico americano dovrebbe essere sottoposto a revisione. Per ora comunque non si vedono i sintomi di un tale mutamento 4 .

383 4 Il documento ha il visto di Mussolini. 384 l Non rintracciato.

384 2 Il Dipartimento di Stato aveva diramato il 28 settembre un comunicato in cui, con riferimento

385

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 6887/378 R. Shanghai, l" ottobre 1937, ore 16 (per. ore 2,37 del 2).

Questa ambasciata del Giappone è assai preoccupata per l'improvvisa partenza di questo ambasciatore dell'U.R.S.S.' per Mosca e teme ogni giorno imminente inizio cooperazione cino-sovietica sulla quale tuttavia nulla risulta di concreto.

A proposito viaggio dell'ambasciatore U.R.S.S. è interessante notare che è stato effettuato a mezzo di un apparecchio appartenente alla Eurasia, società cinese pilotato da tedesco. Come noto detta società aerea cerca di istituire linea diretta Berlino-Mosca-Cina senza ottenere autorizzazione dall'U.R.S.S. Società da parte sua non poteva assicurare passaggio Sin Kiang dove non ha scalo. Sembra invece che sia stata seguita proprio quella via. Tuttociò può dare da riflettere soprattutto in relazione a quanto ho ripetutamente riferito sulla attitudine degli ufficiali tedeschi in missione presso governo cinese i quali continuano partecipare attivamente nei riguardi operazioni conflitto malgrado ogni dichiarazione in contrario di vari rappresentanti loro governo. Sarà curioso vedere se continueranno loro collaborazione se e quando arriveranno ufficiali sovietici.

Comunicato Roma e Tokio 2 .

384 4 Il documento ha il visto di Mussolini .. 385 1 Aleksander Bogomolov.

386

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3782/1743. Mosca, r ottobre 1937 (per. l'll).

Le periodiche comunicazioni settimanali che da qualche tempo vado facendo per segnalare all'E.V. gli episodi principali della repressione esercitata dal regime staliniano hanno già mostrato come la cosiddetta «epurazione» si sia gradualmente estesa dal centro alla periferia, raggiungendo le regioni anche più remote dell'Unione.

Un altro fenomeno che si è accentuato specialmente negli ultimi tempi è quello dell'allargamento della epurazione dai posti di comando a quelli di sott'ordine. Si è incominciato coll'eliminare i capi di un reale o supposto movimento di opposizione, le personalità più in vista di certi gruppi sospettati di una qualsiasi forma di eterodossia. Poi si è venuti a colpire anche i personaggi di secondo piano ed i semplici gregari.

Dopo la fucilazione del maresciallo Tucacevski e di sette altri ufficiali generali dell'Armata Rossa 1 , e dopo gli arresti di Radek, Bucharin, Karakan, Rosenberg, Krestinki, ecc., avvenuti circa tre mesi fa, non vi è più stato nella capitale alcun arresto sensazionale. Evidentemente il Cremlino pensa di aver sufficientemente epurato le alte sfere del governo centrale. Si sono invece fatte più numerose le scomparse dalla circolazione di funzionari subalterni delle diverse amministrazioni

ponici era stata attratta dall'improvvisa partenza per Mosca dell'ambasciatore dell'U.R.S.S. in Cina e dell'addetto militare sovietico a Tokio. Era, però, opinione di Auriti che per il momento Mosca si sarebbe limitata ad osservare l'evolversi della situazione militare in Cina per poi intervenire, verso la fine dell'anno, se la posizione dei cinesi fosse stata buona o limitarsi, in caso contrario, ad inviare rifornimenti all'esercito cinese per ottenere un maggiore indebolimento del Giappone (T. 6867/417 R. del l" ottobre). 386 1 Vedi D. 7, nota 5.

governative, di capi di organizzazioni industriali o commerciali, di direttori di fabbrica, di tecnici di tale o talaltra branca della produzione. Al tempo stesso le notizie pubblicate dai giornali circa i frequenti processi che hanno luogo nelle diverse parti dell'Unione contro gruppi accusati di complotto contro la sicurezza dello Stato, di sabotaggio, spionaggio, diversionismo, trotzkismo ecc. comprendono nomi che sono apparentemente quelli di piccoli funzionari, di operai e contadini. L'epurazione si fa cioè anche nella grossa massa della popolazione.

Poichè la presunzione più fondata è che questi atti di repressione siano determinati nella grande maggioranza dei casi da semplici sospetti o da accuse infondate e che comunque le sanzioni siano sproporzionate alle colpe, viene naturale di chiedersi quale sia la ragione e quali i fini di simile forma di terrorismo poliziesco.

Una delle spiegazioni comunemente accettate è che l'attuale commissario del popolo per l'Interno 2 , succeduto circa un anno fa al famigerato Jagoda nella direzione della ex-Ghepeù, abbia voluto mostrare la sua lealtà al capo Stalin ed al tempo stesso crearsi una forte posizione nel partito, col dar prova di uno zelo e di una severità tali da scoraggiare qualsiasi velleità di opposizione. A loro volta, gli organi inferiori della polizia, già naturalmente portati ad interpretare con rigidezza le direttive dall'alto, intensificano le repressioni per crearsi dei meriti, inventando all'occorrenza dei pericoli per poter mostrare la propria efficienza ed utilità.

Un'altra spiegazione è che alla vigilia della elezioni generali sulla base democratica del suffragio universale segreto, il governo centrale trovi opportuno di far sentire il peso della propria autorità con una azione intimidatoria di carattere poliziesco.

Si pensa, finalmente, che per giustificare gli sforzi enormi che si stanno facendo pel potenziamento militare del Paese, con sacrifizio del benessere materiale della popolazione, i dirigenti del Cremlino sentano il bisogno di galvanizzare il popolo con lo spettro del pericolo esterno, e che a tal fine ritengano necessario fornire giornalmente le supposte prove di questa minaccia mediante i processi per spionaggio e sabotaggio, le rivelazioni di complotti organizzati da agenti di Potenze estere, gli arresti e le espulsioni di stranieri e le condanne dei «traditori della patria».

Tutte queste spiegazioni sono abbastanza plausibili e contengono forse ciascuna una parte di verità. Esse non spiegano però in modo del tutto convincente il dilagare delle persecuzioni nel campo economico, cioè nelle amministrazioni tecniche, nelle direzioni delle fabbriche, delle miniere, delle aziende agricole collettive, delle cooperative, dei trusts commerciali ecc.

Per spiegare questo fenomeno occorre forse risalire a cause più generali, e di queste la principale, a mio avviso, è la seguente.

L'adozione del programma marxista, sul quale si fonda oggi il regime sovietico, ha fatto concentrare nelle mani dello Stato l'intera economia del Paese. Ciò ha provocato la creazione di una enorme pesantissima macchina burocratica che viene fatta funzionare con un complicato congegno di controlli e di sopracon

trolli, sorvegliato a sua volta da un esercito di delatori e di spie. Esiste cwe, accanto agli agenti attivi della produzione e della distribuzione, tutta una generazione parassitaria che pesa sull'economia del Paese ed è responsabile almeno in parte degli alti prezzi. Ove si aggiunga a ciò la scarsa iniziativa individuale, già propria del vecchio regime russo ma aggravata ora dalla assenza dell'incentivo personale, non può sorprendere se l'economia sovietica sia affetta dai tre mali rappresentati da:

l) produzione bassa e di cattiva qualità;

2) distribuzione caotica;

3) salari relativamente molto bassi.

Senonchè la malattia non è nel sistema, ma è del sistema; è inerente cioè alla stessa concezione fondamentale del socialismo comunista che ha abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione e di distribuzione e distrutto così la forte leva dell'interesse individuale. Gli attuali dirigenti dell'U.R.S.S. non possono non rendersi conto della natura vera del male. Ne è prova il fatto che Stalin ha già fatto delle concessioni notevoli alla politica realista contro l'ideologia pura, come quando ha ammesso le differenziazioni di salario secondo la capacità ed il rendimento del lavoratore e quando ha concesso ai contadini collettivizzati il diritto di proprietà su una modesta porzione di terra per uso e sfruttamento personale.

Più in là non sarebbe però possibile di andare senza rinunciare alle concezioni basilari sulle quali è stato costruito il regime. Lo stesso Stalin, pur guidato da uno spirito indubbiamente realistico, non potrebbe impunemente violare i postulati fondamentali di Marx, che sono il «credo» dei soviet.

Ora, di fronte a questa situazione che non sembra lasciare via di uscita, i dirigenti del Cremlino non hanno trovato altro sistema per cercare di migliorare il funzionamento della macchina economica che quello dei metodi polizieschi. E stato instaurato cioè anche nel campo della produzione e della distribuzione un regime di terrore per stimolare l'attività dei lavoratori e l'iniziativa dei capi responsabili con la minaccia delle sanzioni punitive applicate all'incompetenza ed agli errori come alle frodi ed agli abusi. In altre parole, essendo scomparso l'incentivo dell'interesse individuale e non essendosi ancora sviluppato il senso dell'interesse sociale, la polizia interviene per imporre ciò che in altri regimi è il risultato naturale dell'iniziativa individuale e della libertà personale.

Questa è, a mio avviso, la spiegazione -o per lo meno una della spiegazioni -dell'estendersi del processo di cosiddetta «epurazione».

Se ed in quale misura la procedura riesca efficace, e quali saranno i suoi risultati ultimi, non è facile dire. Intanto l'effetto immediato sembra essere quello di un accresciuto disordine nella vita economica del Paese. Grandi impianti industriali che hanno visto arrestare o destituire i loro direttori ed i loro tecnici, sono guidati oggi da persone di minore esperienza le quali si mostrano restie, più ancora dei loro predecessori, a prendere delle iniziative ed assumersi delle responsabilità. Un importante bacino minerario, i cui amministratori sono stati recentemente arrestati sotto la consueta accusa di sabotaggio e di trotzkismo, è stato posto sotto gli ordini di un giovane ex-minatore di trent'anni. La direzione di una linea ferroviaria, debitamente epurata, è stata affidata ad un ferroviere stakanovista. La parola d'ordine sembra essere di «fare posto ai giovani»! Ma i giovani raramente posseggono l'esperienza tecnica delle persone eliminate, le quali spesso avevano fatto il loro tirocinio sotto la guida di tecnici stranieri. Inoltre, il regime di intimidazione poliziesca, alimentata da una fitta rete di spie e delatori, non può certo giovare al buon andamento ed all'efficace rendimento di una azienda industriale.

Che l'epurazione politica e la promozione di giovani operai «attivisti» e «stakanovisti» ai posti di comando nelle imprese industriali e commerciali non abbiano sinora migliorato l'organizzazione economica del Paese, viene ammesso anche dalla stampa ufficiale. Recentemente le Jsvestia, in un attacco a fondo contro il «burocratismo» dell'apparato statale sovietico, hanno constatato che i nuovi dirigenti non hanno saputo estirpare la mala erba seminata in molte amministrazioni dai «nemici del popolo». Il giornale ripone quindi la propria fiducia negli elettori i quali «esercitando il diritto di voto, estirperanno definitivamente questa gramigna con l'eliminazione di coloro che con formalismo di cancelleria vorrebbero paralizzare l'iniziativa creatrice delle masse» (sic).

Dire che le prossime elezioni generali avranno l'effetto di rimettere dell'ordine nell'amministrazione delle fabbriche, dei trusts industriali e commerciali, delle cooperative ecc. è evidentemente una assurdità, così come il contare sulla «iniziativa creatrice delle masse» non è che una vuota frase demagogica.

Sta di fatto che la socializzazione comunista mostra oggi, in uno stadio che vorrebbe essere di normalizzazione, i suoi difetti fondamentali e le sue congenite debolezze. Cercare di sanarli con semplici mezzi di polizia non può che peggiorare il male; ragione per la quale io sono portato a concludere che l'economia sovietica ~e particolarmente la produzione industriale ~vanno incontro ad una crisi che chiamerei di disordine tecnico ed amministrativo, la quale non può mancare di causare serie difficoltà ai governanti dell'U.R.S.S ..

Sulle possibili ripercussioni politiche di tale crisi mi propongo di esporre le mie idee con un rapporto a parte 3 .

385 2 Contemporaneamente, l'ambasciatore Auriti rilevava da Tokio che l'attenzione dei militari nip

386 2 Nikolaj Ivanovié Jcshov.

387

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, PERTH

APPUNTO. Roma, 2 ottobre 1937.

L'Ambasciatore Sir Eric Drummond, rimasto solo con me dopo che si è ritirato l'Incaricato d'Affari di Francia2 , mi ha detto che durante la sua assenza da Roma aveva visto con vivo rammarico il peggioramento progressivo delle relazioni

387 1 Ed. in L"Eurvpa verso la catastrofe, pp. 210-211. 387 2 Lord Perth e l'incaricato d'affari di Francia, Blondel, avevano consegnato a Ciano la nota con giunta qui pubblicata come D. 388.

italo-britanniche che nell'estate scorsa sembravano avviate a così favorevole soluzione. Osservando la situazione dell'Inghilterra, egli aveva potuto rendersi conto che due fatti sopratutto avevano determinato la nuova crisi nei repporti italo-britannici: l) il telegramma di congratulazione mandato dal Duce a Franco dopo la conquista di SantanderJ; 2) il rifiuto dell'Italia a partecipare alla conferenza di Nyon4 ove un contatto diretto coi Ministri degli Affari Esteri di Francia e d'Inghilterra avrebbe permesso di chiarire molti punti oscuri della situazione e di determinare una détente nei rapporti internazionali.

Comunque, essendo il Governo inglese vivamente desideroso di riportare le relazioni italo-britanniche su un piano di cordialità, egli mi lasciava il qui unito promemona.

Mi sono limitato, al fine di evitare ogni inizio di discussione, a prendere atto della consegna del promemoria e a dirgli che non avrei mancato di esaminarlo con attenzione e di trasmetterlo, per gli ordini, al Duce 5 .

ALLEGATO.

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 2 ottobre 1937.

The desire of His Majesty's Government to hold conversations with the Italian Government was made plain by the Prime Minister in his letter to Signor Mussolini6 at the end of July and again by Mr. Ingram in the Aie/e Memoire which he left on instructions with the Minister for Foreign Affairs on September 9th (copy attached) 7 ·

His Majesty's Government in the United Kingdom are stili anxious for a successful issue to such conversations, and the position in the Mediterranean, which had naturally militated against the early discussion of Anglo-ltalian differences and misunderstandings, is now, it is to be hoped. in the course of being cleared up as a result of Italian participation in the Nyon arrangements. Meanwhile the situation in Spain is stili casting a cloud over western Europe and, unti! this great problem with ali its implications is in a fair way to settlement, it seems doubtful if any measures of generai appeasement in Europe are feasible. His Majesty's Government in the United Kingdom are hopeful that as a result of their present démarche with the French Government discussions may ensue which will result in an agreement on the problem of foreign intervention in Spain. The success of such discussions would of course have a great effect on public opinion in the United Kingdom. Nor would the effect be confined to the United Kingdom. Success in these negotiations would impress opinion throughout the world and would certainly lead to a more sympathetic attitude towards Italy than has lately been exhibited at Geneva. We hope therefore to be able to count upon the fruitful cooperation of Italy in this field.

Nevertheless, His Majesty's Government in the United Kingdom would not wish to delay an attempt to improve their relations with the Italian Government while awaiting the

387 4 Vedi D. 312. 387 5 Il documento ha il visto di Mussolini. 387 6 Vedi D. 136. allegato. 387 7 Vedi D. 313.

outcome of any tripartite discussions on the Spanish question. It is true, as indeed they ha ve already pointed out in Mr. Ingram's Aide Memoire of September 9th, that they are unable to give at present any undertaking as regards a declaration by the League in the sense that Abyssinia has ceased to be an independent state. The Italian Government will probably agree with His Majesty's Government that it would be premature to attempt to discuss any of the East African questions which remain to be settled between them, e.g., questions affecting the boundaries of British Somaliland, Kenya and the Sudan and British rights and interests in Abyssinia. Nevertheless there are. in the view of His Majesty's Government certain questions of mutuai intcrest which might be discussed between us with advantage in the near future.

Apart from the effect which such conversations might be expected to have in the psychological sphere -an effect which His Majesty's Government presume would be as welcome to the Italian Government as to themselvcs --Count Grandi towards the end of July made certain generai proposals rcgarding the exchangc of military (using the term in its widest sense) information between the two Governments in the Mediterranean area. This proposal is one which His Majesty's Governmcnt in the United Kingdom would, within certain limits, be prepared to entertain. On their side there are certain questions which His Majesty's Government in the United Kingdom would be glad to discuss with the ltalian Government. Thesc would include ltalian propaganda in the Near and Middle East, the position in the Red Sea and adjoining territories, and possibly recent reinforccment of the Italian garrison in Libya. His Majesty's Government in the United Kingdom consider that preliminary conversations, limited though they would be to the above subjects, might nevertheless serve a very useful purpose in the clarification of certain aspects of the Mediterranean and Red Sea situations, and in eliminating suspicions and misunderstandings.

His Majesty's Government in the United Kingdom would therefore be glad to know whether the Italian Government share the views put forward in the preceedings paragraphs and, if so, whether they would be prepared to start conversations on this basis a t an early date 8 .

386 3 Il documento ha il visto di Mussolini. Si veda per il seguito il D. 390.

387 3 Vedi D. 270. nota l.

388

L'AMBASCIATA DI FRANCIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA VERBALE 295. Roma, 2 ottobre 1937.

Les gouvernements français et britannique ont constaté avec plaisir qu'à la suite des conversations qui ont eu lieu à Paris entre leurs experts navals et ceux du gouvernement italien, il est maintenant possible d'envisager la modification de l'ar

rangement signé à Nyon le 14 septembre 1 , de manière à assurer la participation de l'ltalie aux mesures d'exécution convenues. Des conditions favorables se trouvent ainsi créées pour que !es trois gouvernements puissent procéder, dans un esprit de parfaite franchise, à l'examen de la situation provoquée par la prolongation du conflit espagnol.

De plus, !es deux gouvernements ont enregistré avec satisfaction !es assurances données par Son Excellence le comte Ciano au chargé d'affaires de Grande-Bretagne à Rome, assurances suivant lesquelles le gouvernement italien n'a pas actuellement l'intention d'autoriser l'envoi de nouveaux volontaires en Espagne 2 . Ils ont pris également acte de la déclaration faite à M. Yvon Delbos par le délégué italien à Genève 3 que l'Italie n'entendait apporter aucun changement, si minime soit-il, à l'état territorial de l'Espagne, qu'elle ne nourrissait aucune visée sur !es ìles Baléares et que l'intégrité du territoire espagnol ainsi que des ìles qui s'y rattachent serait strictement respectée.

En ce qui !es concerne, !es deux gouvernements renouvellent volontiers au gouvernment italien !es mèmes assurances. Ils tiennent en outre à déclarer que, conformément à l'essence mème des accords de non-intervention, ils se considèrent comme tenus de respecter !es dépendances politiques de l'Espagne.

Les gouvernements français et britannique souhaitent ardemment que !es luttes intérieures de l'Espagne cessent d'ètre une cause de soupçon et de trouble parmi !es autres nations et que, dans cette partie de l'Europe, la situation évolue de telle manière que des progrès puissent ètre par ailleurs réalisés en vue de l'apaisement général. Mais ils sont convaincus qu'aucune amélioration sérieuse de la situation n'est possible tant que des mesures n'auront pas été prises pour rendre effective la politique de non-intervention par le retrait des ressortissants non-espagnols qui prennent actuellement part au conflit. Aussi longtemps que des étrangers en nombre considérable continueront d'apporter leur appui aux deux partis, le risque de grave perturbation international subsistera, il tendra inévitablement à s'accroìtre tant qu'au moins un nombre substantiel de ces étrangers n'auront pas été rapatriés.

Sans doute, le comité de Londres est déjà saisi de ce programme, mais !es difficultés auxquelles il s'est heurté ont pratiquement paralysé son action et un accord préalable des trois gouvernements paraìt nécessaire pour que ces obstacles puissent ètre surmontés. L'élaboration de cet accord devrait, dans l'esprit des deux gouvernements, constituer un des éléments essentiels de la conversation franche et cordiale à laquelle ils conviennent le gouvernement italien.

De plus, si ardemment que les gouvernements de France et du Royaume-Uni désirent s'en tenir aux engagements qu'ils ont pris à la suite des accords internationaux concernant l'interdiction d'envoi de matériel et de volontaires en Espagne, ils ne peuvent se dissimuler la difficulté de maintenir cet état de choses à moins que ne soient prises certaines mesures de nature à rendre la politique de non-intervention réellement effective.

Pour attejndre ce but, !es gouvernements français et britannique ont l'honneur d'inviter le gouvernment italien à engager avec eux des conversations destinées à réaliser si possible un accord sur les mesures propres à assurer l'application de cette politique. Dans leur opinion, un te! arrangement n'aurait pas seulement pour effet d'apporter une contribution importante à l'amélioration de la situation politique, mais, une fois ce rapatriement effectué, la question de la reconnaissance sous certaines conditions des droits de belligérance aux. deux parties devrait ètre susceptible d'une solution. Les deux gouvernements désirent vivement que ces conversations, auxquelles ils attachent la plus grande importance, aient lieu le plus tòt possible 4 .

387 8 L'ambasciatore Grandi, una volta avuta copia del promemoria britannico, telegrafava smentendo di avere mai accennato ad un possibile scambio di informazioni tra i due governi circa i loro apprestamenti militari nel Mediterraneo (T. 7151/737 R. del 15 ottobre) e ne parlava poi anche con Eden. il quale. dopo aver riconosciuto che la notizia era incerta. incaricava l'ambasciatore di comunicare a Ciano di non tenere conto dell'accenno in proposito contenuto nel promemoria. Eden chiedeva però se la smentita doveva essere considerata «come una indicazione di un rifiuto da parte del governo fascista di esaminare possibilità scambio informazioni militari», al che Grandi rispondeva di non conoscere il punto di vista del suo governo e che il passo da lui compiuto «doveva essere considerato esclusivamente come semplice chiarimento di un dato di fatto» (T. 7171/741 R. del 15 ottobre).

388 1 Vedi D. 326, nota 3. 388 2 Vedi D. 370, nota 4. 388 3 Vedi D. 362.

389

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1657/187 R. 1 Roma, 3 ottobre 19372 .

Dopo i colloqui che ebbi con l'ambasciatore Hotta3 e dei quali V.E. fu tenuto al corrente, vidi solo una volta il rappresentante giapponese il quale mi disse che il suo governo stava preparando qualcosa di concreto per addivenire all'accordo anti-bolscevico tra Italia e Giappone.

Per parte nostra, saremmo adesso pronti a stringere. Il programma sarebbe il seguente: l) un accordo a carattere anti-bolscevico pubblico, analogo a quello concluso tra Tokio e Berlino; 2) un accordo segreto di favorevole neutralità in ogni contingenza con una clausola di consultazione per eventuale più attiva solidarierà in casi specifici.

Quanto precede fu da me a suo tempo detto a Hotta. Adesso gradirei che V.E., nella forma e con la prudenza del caso, saggiasse il terreno per conoscere le intenzioni esatte di codesto governo, che in materia ha preso l'iniziativa, ed eventualmente per fare costì conoscere che a mio avviso converrebbe adesso dare un leggero colpo di acceleratore ai negoziati.

p. 365, nota l.

Il testo di questa nota fu inviato all'ambasciata a Berlino con l'incarico di darne comunicazione al governo tedesco, precisando che l'Italia avrebbe rifiutato di partecipare a qualsiasi conferenza alla quale non fosse stata invitata anche la Germania. (Telespr. 7783 del 2 ottobre). Il 5 ottobre, Attolico telegrafava (T. 6957/372 R.) che von Neurath, dopo aver ringraziato per la comunicazione, aveva aggiunto «come sua opinione personale» che nella risposta sarebbe stato opportuno «costatare ancora una volta l'impossibilità di discutere questione volontari senza prima conoscere disposizione in proposito di Salamanca e di Valencia». 389 l Minuta autografa. 389 2 Manca l'indicazione dell'ora di partenza. 389 3 Vedi D. 154. Non è stata trovata documentazione di altri colloqui tra Ciano e l'ambasciatore Hotta.

388 4 Identica nota fu presentata contemporaneamente dall'ambasciatore di Gran Bretagna, lord Perth. Sul colloquio avvenuto in questa circostanza, si veda DDF, vol. VI, p. 19, nota l e BD, vol. XIX,

390

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3783/1744. Mosca, 3 ottobre 1937 (per. l'll).

Mio rapporto n. 3782/1743 del lo corrente1•

Col rapporto del l o corrente sopraccitato ho cercato di analizzare le cause e gli effetti della epurazione politica quale si è estesa in tutti i campi della vita economica sovietica ed ho concluso parlando di una «crisi di disordine tecnico ed amministrativo».

Mi pongo ora nuovamente la domanda: quali potranno essere le ripercussioni di tale crisi sul regime al potere?

Come già in occasione del rapporto che ho indirizzato a V.E. dopo la fucilazione di Tucacevski e compagni 2 , io credo di dover escludere senz'altro qualsiasi possibilità -almeno in un avvenire prossimo -di cambiamenti sostanziali nel presente assetto politico dell'U.R.S.S. Escludo cioè l'ipotesi di un movimento rivoluzionario anti-bolscevico.

Perchè un movimento del genere potesse aver luogo con una anche minima probabilità di successo, dovrebbero anzitutto esistere due condizioni essenziali: l) che l'Armata Rossa fosse animata da uno spirito di rivolta; 2) che esistesse una personalità capace di porsi alla testa del movimento e di raccogliere un numero adeguato di seguaci.

Ora, nonostante la condanna capitale del maresciallo Tucacevski e di altri sette ufficiali generali, l'Armata Rossa sembra mantenersi fedelissima a Stalin. Inoltre essa è oggi completamente sotto il controllo del partito comunista, e ciò in seguito alla riforma effettuatasi lo scorso maggio, quando tutti i comandi militari vennero riorganizzati con la partecipazione di commissari politici, cioè di creature di Stalin. Del resto l'epurazione è stata già molto larga e continua ad essere applicata con intensità negli alti gradi delle Forze Armate.

Neanche si intravede la personalità che potrebbe eventualmente capeggiare un colpo di Stato, vuoi anti-bolscevico, vuoi in seno allo stesso partito, l'epurazione di questi ultimi anni avendo tolto di mezzo, oltre i resti dell'antico regime, anche tutti quei vecchi rivoluzionari il cui nome godeva ancora presso la massa di un certo prestigio.

Non v'ha dubbio che esiste oggi nell'U.R.S.S. del malcontento e questo malcontento è forse molto diffuso. Ma non è articolato. La tradizionale apatia, il fatalismo, la stolida pazienza del russo lasciano prevedere che questa popolazione è pronta a sopportare senza proteste una discreta nuova dose di oppressione politica e di malessere materiale.

A ciò si aggiunga che la giovane generazione, cresciuta già in clima comunista, imbevuta delle idee che gli propina giornalmente la propaganda sovietica,

390 I Vedi D. 386. 390 2 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 786.

ignara del mondo che vive fuori dei confini dell'U.R.S.S. e quindi priva di qualsiasi termine di paragone, nella sua grandissima maggioranza crede con sincera convinzione nel verbo marxista. Ritengo anche che essa sia in massima fedele a Stalin, il quale ne solletica l'amor proprio e le ambizioni offrendo ai giovani molti posti di comando.

Finalmente, è doveroso riconoscere che il regime ha procurato alle grandi masse dei lavoratori un certo numero di vantaggi e che, se anche il livello della vita sovietica è ancora molto al di sotto di quello di quasi tutti gli altri Paesi europei, le condizioni materiali della popolazione sono andate in questi ultimi anni lentamente migliorando.

Rimane, è vero, l'opposizione irriducibile dei vecchi ideologhi i quali accusano Stalin di aver tradito la rivoluzione, ma oramai le loro voci non riescono più a farsi sen t ire.

Da tutto quanto precede io sono portato a trarre la conclusione che la posizione di Stalin è sempre molto salda e che neanche una crisi di disorganizzazione economica ed amministrativa (a meno che essa raggiunga il grado di un vero e proprio fallimento generale, ciò che ritengo da escludere) sia destinata a provocare cambiamenti radicali nel campo politico od in quello economico.

Si può quindi prevedere, a mio avviso, che la vita sovietica continuerà per molto tempo ancora a svolgersi nel clima attuale, caratterizzato dal contrasto fra il programma ideologico e le difficoltà della sua realizzazione pratica e che nei suoi sforzi di «normalizzazione» Stalin si dibatterà sempre nel circolo vizioso dal quale egli cerca in questo momento di uscire con la campagna poliziesca di epurazione. Per questo io credo che l'epurazione finirà per diventare una istituzione permanente del regime 3 .

391

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6934/387 R. Shanghai, 4 ottobre 1937, ore 13,30 (per. ore 4,30 del 5).

Una personalità giapponese mi ha confermato preoccupazioni esistenti, anche negli ambienti militari operanti in Cina, circa possibilità porre termine all'attuale conflitto, sul quale egli mi ha confessato che da parte del Giappone è stato commesso grave errore psicologico di non essersi reso conto del cambiamento intervenuto nello spirito cinese per opera del governo nazionale cinese.

Giapponesi hanno continuato a credere a mancanza patriottismo nelle masse e impossibilità di una guerra nazionale, facendo affidamento sulle tradizionali e note debolezze carattere cinesi delle quali si sono visti gli effetti nel Nord nelle lotte fra quei capi, che hanno certamente contribuito facilitare prevedibile successo Giappone.

Con ciò non si teme vittoria cinese, anche con aiuto indiretto o diretto sovietico ma si teme che permanga spirito di resistenza oggi prevalente e che lotta possa prolungarsi oltre quanto desiderava e prevedeva Tokio.

Al mio interlocutore, stesso comandante forze militari giapponesi attorno a Shanghai avrebbe detto: «Non mi preoccupo della situazione militare ma del come porre termine rapidamente al conflitto cino-giapponese».

Comunicato Roma e Tokio.

390 3 Sul documento vi è il timbro: «visto dal Duce».

392

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. 1668/21 O. Roma, 4 ottobre 1937, ore 22.

Suo rapporto n. 1491 del 29 settembre1 .

Ringrazi Stojadinovic delle comunicazioni fattele. Gli dica che simpatizzo pienamente con lui e che gli rivolgo i miei migliori auguri di successo. Credo anch'io che Stojadinovic sia convinto dell'utilità per la Jugoslavia di una decisa politica di amicizia con l'Italia. Lo incoraggi a continuare su questa strada che egli ha finora lealmente seguito come sono lieto e soddisfatto di riconoscere.

Quanto al suo viaggio a Roma gli rivolga invito ufficiale a nome del R. governo, dicendogli che visita potrebbe avere luogo nella prima decade di dicembre, ad esempio tra il 6 o il 9 o il 10 di detto mese. Nel programma del viaggio potrebbero rientrare visita ad un centro industriale ed esercitazioni militari.

Mi telegrafi in proposito affinchè d'accordo con codesto governo possano essere stabiliti i particolari del programma2 .

393

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL RE IMPERATORE, VITTORIO EMANUELE

T. S.N. Forlì, 4 ottobre 1937.

Mi faccio premura di ragguagliare V.M. sulla situazione. Primo, mio viaggio a Monaco e Berlino ha avuto il carattere dimostrativo che si voleva. Unico colloquio di carattere politico quello nella casa privata del Fiihrer durante il quale il Fiihrer mi confermò che avrebbe continuato ad aiutare la Spagna coll'invio di mezzi. Goe

392 2 Con T. 7048/170 R. del 1 O ottobre, Indelli riferiva di avere fatto la comunicazione a Stojadinovié, il quale si era mostrato «fermissimo nelle sue direttive». 393 l Da A.C.S. Autografi del Duce. Ed. in MussoLINI, Opera omnia, Vol. XLII, pp. 194-195.

481 ring viceversa mi parlò dell'Austria per assicurarmi che nessuna mossa sarebbe stata fatta in quella direzione senza una previa intesa coll'Italia. Mia impressione è che Reich non ha rinunciato all' Anschluss; attende solo che gli eventi maturino. La preparazione militare segue un ritmo molto accelerato ma allo stato degli atti non abbiamo nulla o poco da imparare. Nella stessa rivista militare di Berlino non mancarono gli sfasamenti e gli incidenti di tutte le riviste. Ho notato in tutti un atteggiamento di antipatia verso l'Inghilterra. Il popolo germanico ha avuto un contegno molto simpatico. Nell'A.O. le cose vanno meglio e si può oramai considerare stroncata la rivolta capitanata da Ailu Chebbedè, che è stato catturato e fucilato. Ad ogni buon fine ho mandato 6 battaglioni già arrivati ed altri 4 sono in partenza. Nell'A.[frica] Sett.[entrionale] stanno sbarcando gli effettivi dei Corpi d'Armata 20° e 21°, effettivi che col richiamo di elementi della classe del 1909 saranno portati sul piede di guerra, con btg. di l 000 uomini e 9 battaglioni per divisione. Con questi 2 C.d'A. pronti entro prima quindicina di ottobre possiamo guardare con una certa tranquillità lo svolgersi della politica inglese nel Mediterraneo e nei Paesi arabi. L'accordo antipiratesco di Parigi è soddisfacente per l'Italia, secondo le affermazioni del nostro Ammiragliato e del Ministero degli Esteri e tale sono portato a ritenerlo anch'io quantunque non abbia ancora preso visione delle carte. La situazione spagnola si presenta sempre con sviluppi favorevoli per Franco. Noi abbiamo rinforzato la nostra aviazione alle Baleari per rendere difficile il traffico nei porti mediterranei della Spagna rossa, abbiamo mandato qualche migliaio di specialisti, mentre da un mese stanno allenandosi l O battaglioni di CC. NN., la cui partenza però è subordinata alla situazione spagnola e europea, cioè a quello che può essere il risultato delle conversazioni tripartite. Franco ha chiesto rimpatrio di Bastico e sua sostituzione con generale Berti a causa di un conflitto di direttive determinatosi prima della vittoria italiana di Santander. Credo che Berti farà bene. Malgrado gli strilli ginevrini e londinesi, nonché americani, il Giappone tira dritto e metterà in ginocchio la Cina. A noi conviene questo rafforzamento del Giappone, che indebolisce le posizioni inglesi nell'Estremo Oriente, così come ci è utile la sorda rivolta degli arabi, che ha provocato le gravi recenti misure repressive di Londra in Palestina. Per quanto concerne l'interno niente di specialmente importante e si può prevedere, malgrado l'aumento notevole del costo della vita, un inverno meno gramo di altri passati.

392 l Vedi D. 378.

394

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 6965/561 R. Ginevra, 4 ottobre 1937 (per. il 6).

La XVIII sessione dell'Assemblea si è chiusa con un bilancio attivo per la politica italiana.

All'inizio della sessione Ginevra aveva mobilitato tutte le sue forze antifasciste. La stampa estera aveva inviato qui un numero di giornalisti quale non si era visto neppure all'epoca del conflitto etiopico. Il Segretariato che, attraverso Sokolin manteneva strettissimi contatti con Litvinov, e attraverso Azcarate-ex Segretario Generale aggiunto spagnolo-ne manteneva altrettanto stretti con la delegazione di Valencia, aveva ideato un piano che doveva costituire una specie di rivincita morale della Lega contro il governo fascista, principale responsabile dell'universale discredito in cui è caduta la Società delle Nazioni.

Si cominciò con Nyon. Per quanto tenuta di nome fuori Ginevra -come segnalai a suo tempo --il Segretariato prese parte attiva all'organizzazione e al funzionamento della Conferenza.

Il primo tentativo, formulato in combutta tra Segretariato e Soviet, per far entrare la flotta sovietica nel Mediterraneo attraverso una macchinosa ripartizione di zone nel Mediterraneo, fallì clamorosamente per l'atteggiamento assunto dagli Stati balcanici ai quali non si era mancato di far rilevare tempestivamente l'estrema gravità della misura che si minacciava con tanta leggerezza di prendere. In ventiquattro ore il conclamato trionfo dei nostri avversari si risolse in uno scacco, e quindi in un nostro primo successo.

Seguì la manovra per la rielezione della Spagna in Consiglio. Manovra che fu inscenata col chiaro disegno di dare a tale rielezione il significato di una manifestazione collettiva in favore della Spagna Rossa. Come segnalai con successivi telegrammi, questa delegazione, pur non avendo facilità di contatti -dato che i vari delegati erano sempre presi in riunioni cui l'Italia non partecipa --si adoperò in ogni modo per contrastare la rielezione della Spagna. Malgrado la propaganda attivissima delle due internazionali presenti a Ginevra con tutti i loro grossi calibri -Jouhaux, Longuet, Citrine, de Brouckère, etc. -malgrado l'ardore del Segretariato, malgrado l'attività dei giornalisti e della stampa antifascista che hanno fatto di Ginevra un ambiente in cui anche le coscienze più candide finiscono per tingersi di rosso, la Spagna fu bocciata. E fu questo un secondo successo.

Incassato lo scacco, tutte le forze a noi ostili concentrarono la loro attività nel pretendere che dall'Assemblea uscisse una condanna morale dell'Italia e della Germania sulla questione spagnola. Inghilterra e Francia non seppero opporsi a questa pretesa assurda che i bolscevichi russi e spagnoli volevano codificare in tutte lettere nella cosiddetta «storia quotidiana» che si scrive a Ginevra. Una nuova condanna per l'Italia, Stato aggressore oltre che dell'Etiopia anche della Spagna, quale aubaine per tutta questa canea di italofobi e antifascisti che non ha se non una preoccupazione: studiare con quale mezzo si può, se non arrestare la marcia sempre più gloriosa del fascismo e del suo capo, almeno far lanciare su essi un solenne anatema da parte della Lega con conseguenti risonanze sull'opinione pubblica dei Paesi che ancora -beati loro -credono in questa nobile istituzione!

La battaglia quest'ultima volta è stata più difficile, perché, mentre sulla questione della rielezione della Spagna, Francia e Inghilterra non avevano spiegato una attività molto intensa, esse mostrarono invece di voler ottenere dall'Assemblea l'adozione di una mozione che, se pur non conteneva un'esplicita designazione dell'aggressore da parte dell'Italia e della Germania, era comunque un documento categorico di accusa; e per Francia e Inghilterra doveva in modo particolare servire come mezzo di pressione su Roma nel momento in cui veniva presentata la nota franco-inglese sulle conversazioni tripartite 1•

Non ho voluto telegrafare negli ultimi giorni, per tema di prolissità, delle vivaci resistenze che furono incontrare da questa delegazione per ottenere che il progetto, così come redatto, andasse a monte.

Suggerii alle delegazioni ungherese ed austriaca -secondo quanto comunicai con telegramma n. 558 2 -di presentare i due noti emendamenti che suscitarono per la loro fondatezza la perplessità di molti delegati.

Fino all'ultimo momento le pressioni anglo-francesi furono vivissime. Al momento stesso dell'elezione i delegati Frasheri dell'Albania e da Matta del Portogallo furono avvicinati in forma manifesta e sfacciata da segretari inglesi, in piena seduta, e fu loro dichiarato che anche l'Austria e l'Ungheria si «erano pentite e non avrebbero votato contro». Frasheri rispose quanto aveva già detto a me la sera prima che «gli albanesi sono amici in tutte le circostanze e non tradiscono tale amicizia». Da Matta, al quale avevo detto anche la sera prima che V.E. si attendeva la continuazione di quella stretta solidarietà di cui avevamo avuto tante prove a Londra, rispose seccamente che avrebbe votato contro.

Il primo «no» dell'Albania mise il gelo fra i nostri nemici. Le quattordici astensioni e il secondo «no» del Portogallo seppellirono il progetto: riconfermarono la condanna morale della Spagna Rossa e possono considerarsi un successo concreto della politica italiana nel pieno campo avversario.

Le ragioni di questo successo vanno ricercate, secondo me, nell'impressione profonda che il discorso del Duce a Berlino 3 ha fatto tra tutte le delegazioni qui nella sensazione di potenza che si è irradiata da Berlino a seguito dell'incontro del Duce e del Fiihrer, nella certezza che davanti alla forza sempre crescente del blocco autoritario vi è un cedimento nel campo avverso con successiva costante e sensibile perdita di posizioni e di prestigio. La «sovietizzazione» del Segretariato non ha impedito che per la prima volta in questi ultimi anni la clientela franco-inglese abbia dato a Ginevra segni concreti di disfacimento. I beati tempi «etiopici» in cui Londra ordinava e tutti obbedivano, anche a costo di scatenare un conflitto nel Mediterraneo, mi sembrano superati.

Più che nella piccola secessione di Nyon da parte dei Balcanici che forse l'Inghilterra ha anche essa desiderato; più che nella mancata rielezione della Spagna, è nella fallita votazione della mozione contro l'asse Roma-Berlino, votazione che Francia e Inghilterra volevano, che si è rivelata in forma aperta e tangibile questa evoluzione societaria.

La banca franco-inglese non ha guadagnato nulla dell'apporto del capitale sovietico. Le azioni scendono. Tra gli azionisti comincia ad agitarsi il vento di fronda. È ora grave di crisi per Ginevra. Essa non ritroverà speranza di salvezza se non con una trasformazione profonda dei suoi metodi e con un epuramento

394 I Vedi D. 388. 394 2 T. 6845/558 R. del 30 settembre. Bova Scappa aveva riferito di aver suggerito ai delegati un gherese ed austriaco di presentare due emendamenti al progetto di risoluzione su la questione spagnola, laddove vi si accennava alla presenza di «corpi d'armata stranieri>> e alla prospettiva di prendere in esame la fine della politica di non intervento qualora non si fosse pervenuti al ritiro dei volontari. 394 3 Vedi D. 381, nota 2.

radicale delle nefaste ideologie che la dominano. È questa una verità universalmente sentita qui da tutte le persone non viziate da odi di parte e da partigianerie settarie.

Risolta la questione spagnola, Francia e Inghilterra dovranno abbandonare ogni resistenza sulla questione etiopica che per ragioni tattiche hanno voluto legare alla prima e allora forse Roma e Berlino potranno finalmente decidersi a cacciare dal tempio «gli dèi falsi e bugiardi» e permettere all'istituzione di vivere e di agire efficacemente nel quadro non universalistico delle sue assurde premesse, ma nel campo limitato e definitivo delle sue vere possibilità.

Ginevra potrà insomma sussistere e continuare inserita anch'essa nel secolo del fascismo.

395

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 6941/425, Tokio, 5 ottobre 1937, ore 20,10 6942/426 e 6943/427 R. (per. ore 14,50).

Telegramma segreto di V.E. N. 187 1 .

Permettomi far presente che non avevo avuto finora altre notizie dei negoziati in corso oltre brevi accenni verbali fattimi pervenire da codesto R. ministero per mezzo nostro addetto militare quando fu a Roma nella primav~a scorsa. Qualche informazione mi era stata data però da parte giapponese.

Situazione interna ed estera è qui parecchio mutata da quando Hirota... 2 Sviluppo guerra Cina ha fatto da reagente sulle correnti anglofile e anglofobe.

Da una parte aiuto inglese alla Cina e nostro amichevole contegno verso il Giappone hanno straordinariamente accresciuto simpatia dei militari e dell'opinione pubblica nonché loro avversione fattasi odio per l'Inghilterra di cui appare tra altro segno nei più recenti insoliti articoli di questi maggiori giornali.

Dall'altra, noti gruppi anglofili, con a capo marchese Matsudaira sono corsi ai ripari ed hanno accresciuto loro intrighi a favore dell'Inghilterra (di cui vantano peso pro o contro Giappone nella presente situazione internazionale di questo) e a danno più che della Germania dell'Italia, per la sua più forte politica contro Gran Bretagna. Ne sono riprova più che il rinviato riconoscimento Franco, mancata visita principe Chichibu per la quale però ho fatto pervenire mio risentimento anche in altissimo luogo ove mi si è data ragione.

Se notizie, che ho avuto qui da fonte diversa dal ministero degli Affari Esteri sono esatte, Hotta avrebbe ricevuto settimana scorsa nuove istruzioni telegrafiche.

395 I Vedi D. 389. 395 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «manca».

Suppongo Hirota, il quale è uomo di titubanze e compromessi, non volendo rinnegare sua professione 3 e non osando allargare accordo, ci proponga un accordo basato per ora soltanto sul primo punto da estendersi in seguito. In tal modo non scontenterebbe troppo, né militari, né anglofili.

Crederei opportuno recarmi da Hirota solo dopo che Hotta avesse fatto a

V.E. comunicazioni di cui sopra e che V.E. mi avesse rinnovato istruzioni, sia confermando, sia modificando.

Ove comunicazione di Hotta non fosse soddisfacente, potrei nel parlarne con Hirota, fargli balenare pericolo, come una idea personale, che il R. governo non dia seguito ai negoziati. Farne poi dare comunicazione ai militari che si mostrano desiderosi della conclusione di un accordo anche se per ora in forma ridotta ed esaminare poi reazione deiruno e degli altri.

396

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7069/045 R. Varsavia, 6 ottobre 1937 (per. 1'11).

Questo ambasciatore di Germania è venuto ieri a trovarmi. Egli si è mostrato piuttosto preoccupato della piega che vanno prendendo da un anno in qua i rapporti fra la Polonia e la Germania. Le continue frizioni provocate dal trattamento delle minoranze in,.Slesia ed in Danzica sono -a suo dire -~ la ragione precipua dell'attuale situazione. Incidenti di per se stessi di non eccessiva gravità, alcuni dei quali anche evitabili come ad esempio gli ultimi di Danzica, dovuti forse ad iniziative poco felici di funzionari su ba! terni (mio telespresso n. 26 I 8/818 del 24 settembre u.s.) 1 , hanno finito per creare un'atmosfera di disagio nei rapporti dei due Paesi. D'altra parte, von Moltke ha rilevato che malgrado le buone disposizioni di Beck, i tedeschi in Alta Slesia sono trattati molto duramente, mentre l'opinione pubblica polacca mostra una sensibilità veramente morbosa per tutto quanto riguarda le minoranze polacche in Germania.

È mia impressione che questa situazione dei rapporti fra la Polonia e la Germania non possa farsi risalire esclusivamente alla questione delle minoranze. Alcuni atteggiamenti del governo tedesco sono qui dispiaciuti. Le ripetute asserzioni che il Trattato di Versailles deve essere ormai considerato come inesistente vengono accolte con perplessità. Infine, l'attitudine della Germania se non negativa, certamente molto fredda, nei riguardi della partecipazione polacca ad un eventuale patto occidentale non giova alle relazioni fra i due Paesi. Evidentemente per il momento non si tratta che di stati di animo non cristallizzati che peraltro vanno tenuti presenti.

396 1 Non pubblicato.

395 3 Sic.

397

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7086/059 R. Praga, 6 ottobre 1937 (per. il 12).

Miei telegrammi n. 80 e n. 83 del 26 e 27 settembre u.s. 1

Non mi è riuscito saper nulla da questo ministro di Jugoslavia di ciò che fu esattamente oggetto delle conversazioni di Stojadinovié qui, durante la sua breve permanenza per funerali di Masaryk 2• (In parentesi, non potrei affermare che questo collega jugoslavo, per quanto fatto da me segno a ripetute attenzioni, senta il nuovo clima sopraggiunto nei rapporti fra Roma e Belgrado, pur essendo il signor Protié ritenuto un fidato interprete del pensiero del suo capo).

Ne ho chiesto perciò a Krofta, il quale, se non altro, chiara e netta essendogli la via tracciatasi dal governo fascista, mi parla senza ambagi e senza la preoccupazione di dir cose che dovrebbero sembrare amichevoli. Egli mi ha informato che la sera stessa del suo arrivo a Praga Stojadinovié ebbe un colloquio con Bend; durato quattro ore. Scopo principale fu quello di chiarire la situazione di innegabile disagio venuta a determinarsi fra Praga e Belgrado. Benes avrebbe fatto presente «con franchezza» a Stojadinovié tutto ciò che nella linea politica di Belgrado aveva contraddetto e contraddiva con gli impegni della Jugoslavia verso la Piccola Intesa e cioè la procedura seguita nella conclusione dei patti con la Bulgaria e con l'Italia, stipulati pressoché di sorpresa e presentati ai soci a fatti compiuti e così anche l'inadempienza degli impegni stessi di informazione e di consultazione in atti politici come le visite di Neurath, Goring, Beck, ecc. Gli avrebbe fatto rilevare che, tutto ciò indebolendo ovviamente la Piccola Intesa, tale indebolimento non avrebbe in definitiva giovato alla Jugoslavia a cui peraltro non si intendeva impedire di coltivare le amicizie di suo speciale interesse, ciò che del resto era ammesso per la Cecoslovacchia e la Romania, purché e fin dove ciò non dovesse sfaldare l'aggruppamento che per diciassette anni aveva arrecato rilevanti benefici ai tre interessati e alla causa della pace. Benes avrebbe cercato di convincere Stojadinovié che, ciononostante, non vi era alcuna animosità contro di lui e che era falso si fosse da Praga manovrato a suo danno che, se rapporti personali vi erano con uomini quali Jeftié, Nincié, Davidovié e compagni, ciò non era dovuto alla loro qualità di oppositori del governo ma ai passati lunghi rapporti di amicizia e collaborazione da essi avuti con lui Benes ed altri uomini politici di questo Paese, ove del resto non pochi di detti elementi jugoslavi avevano compiuto i loro studi e qualcuno si era anche sposato.

397 I T. 6737/80 R. del 26 settembre. Riferiva che in occasione del loro soggiorno a Praga per i funerali di Masaryk, Blum, Stojadinovié e Tatarescu aveva avuto con i dirigenti cecoslovacchi delle conversazioni che peraltro sembrava non avessero approdato a niente di concreto.

T. 6766/83 R. del 27 settembre. Comunicava di avere appreso che poco prima della sua partenza da Praga Stojadinovié aveva avuto un colloquio con Blum e Tatarescu centrato sul progettato accordo per creare rapporti più stretti tra la Piccola Intesa e la Francia. Stojadinovié aveva ripetuto di essere contrario ad un accordo che appariva ostile alla Germania e all'Italia e Tatarescu aveva condiviso il suo modo di vedere. 397 2 Il 21 settembre.

Quanto le anzidette ormai viete rimostranze abbiano commosso e le susseguenti assicurazioni abbiano convinto Stojadinovié è presumibile pensare. Comunque Krofta dice che il Capo del governo jugoslavo avrebbe riconosciuto l'irregolarità addebitatagli nella sua condotta di alleato e nel farvi onorevole ammenda avrebbe promesso un più diritto procedere in avvenire facendo, a conferma, notare fra l'altro che pur potendo egli agevolmente raggiungere un diretto accordo con l'Ungheria rimarrà fedele all'impegno assunto di non trattare in nessun caso separatamente con Budapest.

Ho chiesto a Krofta se era esatto che Blum aveva tentato nuove pressioni su Stojadinovié per il famoso patto di mutua assistenza (mio telegramma n. 83 del 27 settembre u.s.). Il ministro mi ha assicurato che non ne era al corrente giacché il giorno stesso del colloquio Blum-Stojadinovié egli ripartiva per Ginevra; che del resto, ne avessero o no parlato, rimaneva assodato che la Cecoslovacchia, dato il rifiuto della Jugoslavia ed anche della Romania, non intendeva insistervi ulteriormente sentendosi dopo tutto abbastanza assicurata dall'esistente sistema di sue alleanze ed amicizie. Già a Sinaia la questione ancora all'ordine del giorno era stata «accantonata» come inattuale.

398

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7085/060 R. Praga, 6 ottobre 1937 (per. il 12).

Krofta mi ha messo al corrente di quanto è avvenuto a Ginevra in relazione alle note trattative fra l'Ungheria e la Piccola Intesa 1• Non vi si è concluso nulla perché la Romania, almeno per ora, non ha voh.tto concludere nulla, nonostante le buone disposizioni della Cecoslovacchia, della Jugoslavia e della stessa Ungheria.

Come è noto a V.E., doveva essere presentata una controproposta all'Ungheria circa il trattamento delle minoranze. La formula relativa suggerita da Praga, dopo modificazioni ed attenuazioni volute da Antonescu, era stata finalmente portata in porto; senonché, al momento di deciderne la consegna a Kanya, mentre Krofta e Purié erano d'accordo, Antonescu vi si opponeva trovando impossibile fare concessioni alle minoranze nelle attuali condizioni e mettono anche avanti che un accordo con l'Ungheria indebolirebbe i vincoli della Piccola Intesa sorta precisamente contro l'Ungheria. Krofta nel dimostrargli i vantaggi di una distensione con Budapest gli opponeva che, se la Piccola Intesa era sorta con un programma negativo, quello di opporsi alle rivendicazioni magiare, aveva evoluto anche in senso positivo e costruttivo non facilmente sopprimibile; senza contare poi che un accordo con l'Ungheria e relativa dichiarazione di non aggressione da parte di essa, avendo un significato più che altro morale, non troncavano certo le aspirazioni revisionistiche dei magiari. Krofta, d'altra parte, e a giustificazione del suo collega, mi faceva allo stesso tempo

considerare la delicata situazione di Antonescu, il quale nell'incertezza della sua sorte vede dietro a sé l'ombra ostile di Titulescu, campione dell'intransigenza contro le minoranze, il quale va spiando ogni movimento di debolezza del governo di Bucarest per attaccare gridando al tradimento.

Insomma, Kanya che aveva mostrato buone disposizioni e che, messe da parte le specifiche richieste presentate a Sinaia dct Bardossy, si era mostrato con Krofta non contrario ad accettare una formula di assicurazione generica circa le minoranze, lasciava Ginevra senza nulla definire e con l'intesa che si sarebbe continuato a trattare per via diplomatica.

A Ginevra intanto si verificava un incidente che contribuiva ad irritare Antonescu e a dare maggiore pretesto alla sua opposizione. Le autorità romene hanno recentemente emanato un decreto per imporre ai datori di lavoro un limite nell'impiego di mano d'opera non nazionalmente romena la quale non deve sorpassare la proporzione del 20 per cento. Contro tale misura è stato fatto ricorso alla S.d.N. il cui Segretariato attribuiva al ricorso il carattere d'urgenza per la relativa discussione.

Antonescu, che non era stato né informato e tanto meno interpellato dal Segretariato, dava in escandescenze a mala pena calmate dalle scuse del signor Avenol. Ciò serviva al ministro romeno per avvalorare il suo sfavorevole atteggiamento verso Budapest, evidentemente e soprattutto ispirato da ragioni di politica interna.

398 1 Si vedano in proposito i DD. 350. 367 e 372.

399

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7087/061 R. Praga, 6 ottobre 1937 (per. il 12).

Mio telegramma n. 86 del l o corrente1 .

Da quanto mi ha detto questo ministro degli Esteri circa l'incontro Hodza-Schuschnigg a Baden risulta che i comunicati in proposito messi fuori a Vienna non rispondevano a verità come non era esatto ciò che questo ministro d'Austria 2 mi aveva detto e che egli mi assicurava essergli stato telefonato da Vienna che cioè Hodza era andato a Baden per ragioni private, che Schuschnigg ne aveva approfittato per restituirgli una visita, che non si erano occupati di politica ma di questioni economiche.

Krofta mi ha dichiarato che Schuschnigg non aveva nessuna visita da restituire a Hodza e che trovava pressoché puerile il modo con cui era stata condotta la cosa dicendo e non dicendo, affermando e smentendo. Mi ha poi informato che a Ginevra, e già al principio dei lavori, Schmidt gli aveva detto che Schuschnigg desiderava incontrarsi con Hodza, che egli Krofta aveva fatto suggerire al Cancelliere di venire a Praga per partecipare alle prossime cerimonie in onore di Mozart, cerimonie a cui l'Austria prenderà parte in forma solenne, inviando il ministro per

l'incontro tra Hodza e Schuschnigg del 27 settembre a Baden. Le dichiarazioni del ministro d'Austria sono qui riassunte. 399 2 Ferdinand Marek.

l'Istruzione e magari di più, che Schuschnigg aveva risposto che a Praga non poteva venire per non creare apprensioni; di qui il viaggio di Hodza.

Circa il contenuto dell'intervista, Krofta, tornato appena ieri da Ginevra, mi ha detto che non ne aveva potuto parlare ancora direttamente col Presidente del Consiglio, il quale peraltro lo aveva tenuto al corrente per telefono a Ginevra. I due Capi di governo, che si erano occupati anche di questioni economiche, avevano scambiato le loro idee circa le questioni politiche del giorno. Schuschnigg avrebbe lamentato la sempre più invadente penetrazione germanica a cui egli si proporrebbe di resistere energicamente, essendosi la sua situazione considerevolmente rafforzata in questi ultimi tempi. Egli sarebbe ben poco disposto a chiamare al governo elementi nazisti, che ad ogni modo ove si decidesse a fare qualche concessione la scelta delle persone dovrebbe essere sua e non impostagli da nessuno.

Si potrebbe dubitare che Krofta, in conformità di quanto è stato fatto altrove, abbia tenuto a sopravalutare l'incontro Hodza-Schuschnigg pur escludendo che vi si abbia voluto dare uno speciale significato o si sia mirato a speciali obiettivi. Non può, credo, tuttavia negarsi che l'incontro, a quanto sembra oramai voluto da Schuschnigg, appaia, pel momento e per le circostanze in cui si è svolto, un altro di quegli atteggiamenti indipendenti e con punte ad Occidente che il Cancelliere austriaco è andato non di rado assumendo a cominciare dal gennaio '36 e cioè dalla sua visita a Praga nel momento più critico del conflitto itala-etiopico.

Chiari accenni al riguardo vi sono stati in questa stampa e il Grenzbote ad esempio ha detto: «Quando il Duce prima di partire per Berlino ha parlato della comunanza di interessi itala-tedeschi atta a rimuovere qualsiasi contrasto, l'Austria ha creduto di scorgervi la decisione di Roma di non considerare più l'Anschluss come cosa pericolosa. Il Cancelliere austriaco ha fatto perciò quanto ebbe a fare nel '36, ha cercato contatti con la Piccola Intesa. Non sappiamo se il passo di Schuschnigg stia realmente in rapporto con la recente visita di H erri o t a Vienna3 e col nuovo tentativo della Francia di rimettere in discussione, con l'aiuto di Praga, i suoi vecchi piani danubiani. Certo è però che questi piani francesi sono diretti contro l'asse Roma-Berlino e se Schuschnigg aderisse ad una tale politica contro Roma e Berlino potrebbe provocare ben maggiori complicazioni».

Ho chiesto a Krofta cosa ne pensasse della polemica di stampa fra Berlino e Vienna a proposito di questo perfin troppo strombazzato incontro di Baden. Krofta mi ha risposto che gli attacchi tedeschi sono ingiustificati in quanto a Baden non si è complottato niente; che se poi tutta la preoccupazione si riduce a vedere nel cosiddetto piano Hodza una camuffata resurrezione del piano Tardieu, la preoccupazione è fuor di luogo, prima di tutto perché il piano Hodza, se mai, comporterebbe l'indispensabile collaborazione dell'Italia e della Germania e poi perché il piano Hodza non si realizzerà mai. Il signor Benes ed io -ha aggiunto Krofta -ne siamo stati e ne siamo sempre scettici; se ne parla perché Hodza ci tiene a questa sua trovata, ma quando sarà al dunque s'accorgerà egli stesso che il suo progetto è praticamente inattuabile. Ma come potrebbe Hodza consentire per esempio un sistema preferenziale all'Ungheria se proprio il suo partito, l'agrario, vi si oppone decisamente? Il piano Hodza -ha concluso Krofta -non sta in piedi e la Germania non ha ragione di preoccuparsene.

399 l T. 6868/86 R. del lo ottobre. Riferiva su quanto gli era stato detto dal suo collega austriaco circa

399 3 Vedi D. 354.

400

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 6999/393 R. Shanghai, 7 ottobre 1937, ore 15,30 (per. ore 6 del/'8).

Mio telegramma n. 378 1 e mio telegramma stampa 392. 2

Consigliere ambasciata Giappone ha detto ad Alessandrini essere profondamente sorpreso per improvviso atteggiamento favore Cina assunto da ambasciata di Germania e da corrispondente stampa tedesca. Ciò avviene proprio nel momento in cui si sta tendenziosamente montando in tutto il mondo violenta campagna anti-giapponese basata soprattutto su interpretazioni e informazioni false. Grave pregiudizio può derivare Giappone da tale atteggiamento supposti amici tedeschi.

Consigliere Hidaka attribuisce ciò a personali sentimenti filocinesi dell'ambasciatore di Germania e di tutto il personale questa ambasciata di Germania che basano loro locali lavori quasi esclusivamente su penetrazione commerciale e che sono influenzati dal fatto di essere in Cina da moltissimi anni. Egli si è dichiarato persuaso del fatto che governo tedesco non si renda conto portata atteggiamento questa sua ambasciata.

Hidaka ha approfittato circostanze per esprimere vivissime espressioni gratitudine per nostro atteggiamento. Comunicato Roma e Tokio. 3

401

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, E A TOKIO, AURITI

T. 15674/373 (Berlino) 194 (Tokio) P.R. Roma, 7 ottobre 1937, ore 21,30.

(Per tutti). In relazione alla risoluzione dell'Assemblea della S.d.N. per la convocazione di una riunione dei membri della Lega firmatari del Patto delle Nove Potenze prego V.E. farmi conoscere quali siano punto di vista ed eventuali desideri di codesto governo.

(Solo per Berlino). Nel telegrafare quanto precede anche a Tokio ho disposto quanto segue:

(Solo per Tokio ). Ho telegrafato quanto precede anche a Berlino.

(Per tutti). V.E. aggiunga costà che per parte nostra, pur essendo eventuale attività limitata dalla nostra situazione nei confronti della Lega, intendiamo ispirare nostra azione al desiderio di far cosa grata e di appoggiare il Giappone. 1

400 l Vedi D. 385. 400 2 T. 6977/392 R. del 6 ottobre. Riferiva che la stampa di Shanghai stava mettendo in grande rilievo il discorso pronunciato dall'ambasciatore di Germania in occasione della festa tedesca del raccolto, nel quale Trautmann aveva espresso profonda simpatia «per la prodezza manifestata dai cinesi nella lotta contro il Giappone» ed affermato che il loro coraggio aveva «suscitato alta ammirazione in Germania». Questo telegramma era ritrasmesso da Ciano ad Attolico con la richiesta di «appurare se le dichiarazioni attribuite al rappresentante tedesco corrispondano alla realtà e se e fino a qual punto siano state autorizzate» (Telespr. 235041 del 9 ottobre). 400 3 L'ambasciatore Cora telegrafava successivamente (T. 7112/406 R. dell2 ottobre): «Console generale germanico a Shanghai ha pronunciato discorso analogo a quello del suo ambasciatore a Nanchino intonandolo a netti sentimenti di simpatia per causa cinese».

402

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

LETTERA PERSONALE 7895. Roma, 7 ottobre 1937.

Il Duce ha letto il rapporto che il Generale Visconti-Prasca ha mandato al Comando del Corpo di Stato Maggiore (tuo telespresso n. 6697/2407 del 29 settembre u.s.) 1 sulle recenti manovre dell'esercito francese.

Egli consiglia al generale Visconti-Prasca di leggere, dopo le manovre, il libro di Pau! Allard Les dessous de la guerre 2 dal quale risulta in modo evidente quali realtà politiche, militari e morali l'esercito francese ha rivelato, in molte circostanze.

403

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4692/1529. Berlino, 7 ottobre 1937 (per. il 9 ).

Alla cerimonia di ringraziamento per il raccolto, avvenuta sul Bi.ickenberg il Filhrer ha posto improvvisamente di nuovo sul tappeto la questione delle colonie. È vero che egli si è valso di tale argomento come spunto per magnificare l'operosità del popolo germanico, che vivendo in un Paese così denso di popolazione e povero di materie prime, compie uno sforzo prodigioso, ma le frasi del Fi.ihrer sono state anche questa volta categoriche: «La Germania ha bisogno di colonie per poter vivere, non ha i mezzi per comprarle perché spogliata dalle ingiuste riparazioni. Vi sono statisti esteri che per consolare la Germania dicono che le colonie sono un peso, e che non hanno valore (forse il Fi.ihrer si è voluto principalmente riferire ad Eden), ma perché allora non acconsentono a liberarsi da tale peso, cedendo le proprie colonie, se esse non hanno valore, alla Germania?».

Le parole del Fi.ihrer non hanno mancato di essere poste in rilievo, con critica alquanto aspra, dalla stampa estera, il che evidentemente ha spinto i giornali ger

402 l Con il telespresso citato, l'ambasciatore Cerruti aveva trasmesso al ministero un rapporto del generale Visconti Prasca. datato 24 settembre, in cui il generale, dopo aver assistito alle manovre in Normandia, dava un giudizio altamente positivo dell'addestramento e dell'armamento dell'esercito francese che, a sua opinione, doveva essere considerato come «uno strumento di guerra tra i più pode rosi d'Europa». 402 2 PAUL ALLARO, Les dessous de la guerre, Parigi, Les Editions de France, 1932.

manici a rispondere con veemenza. Si osserva qui che la questione della restituzione delle colonie alla Germania deve essere considerata sotto due punti di vista, uno morale ed uno economico.

La Germania è stata «derubata» delle sue colonie col pretesto di maltrattamenti verso gli indigeni e di cattiva amministrazione. Ciò colpisce profondamente l'onore germanico e si chiede una riparazione.

Quanto poi al punto di vista economico, si ricorda che lo Stato germanico aveva investito nelle proprie colonie 1,5 miliardi di marchi, e che ad oltre 25 miliardi viene stimato il valore degli investimenti fatti dai privati. Tutto ciò è stato confiscato, e nemmeno calcolato in conto delle ingiuste riparazioni, perché le ex-colonie germaniche non sono state cedute a terzi Paesi ma date in amministrazione alla Società delle Nazioni.

I giornali ricordano che Eden ha detto a Ginevra che la questione delle colonie non ha nessun rapporto con quella della distribuzione delle materie prime, perché queste provengono solo per il 3 per cento dalle colonie e per il 97 per cento da Stati liberi. Ora la Germania copriva prima della guerra il suo fabbisogno dalle proprie colonie in ragione di un quarto per i grassi vegetali, di un terzo per il cacao e per le banane, di tre quarti per i fosfati, di un terzo per i legni esotici, di un decimo per il caffè e del doppio per il Sisal. Ciò ben inteso si riferisce alla situazione di prima della guerra. Ma la Germania, a differenza di quei Paesi che amministrano oggi per mandato le antiche colonie germaniche, e che non hanno quindi nessun interesse a svilupparle, avrebbe potuto intensificare in esse la produzione di quelle materie prime di cui ha bisogno, rendendosi così meno dipendente dagli altri Paesi per il rifornimento di tali materie prime. Si calcola quindi che, date le possibilità attuali di sfruttamento, la Germania potrebbe avere dalle sue colonie circa 500 milioni annui di marchi oro di materie prime.

Passando ad esaminare poi anche il lato delle esportazioni si osserva che l'Inghilterra colloca sui mercati dell'Impero il 50 per cento della propria esportazione e la Francia colloca nelle proprie colonie il 30 per cento della sua esportazione. Le colonie germaniche potrebbero quindi rappresentare un notevole aiuto all'economia germanica anche come assorbimento dei prodotti tedeschi.

Si fa rilevare, infine, che è vero che esiste la politica della porta libera per le colonie di tutti i Paesi, ma in pratica succede che ogni colonia si rifornisce di prevalenza dalla madrepatria ed a questa invia principalmente i propri prodotti.

La ripresa della campagna per le colonie pare sia da attribuirsi al fatto che i tentativi della Germania per una pacifica penetrazione nelle sue ex-colonie si considerano destinati ad un insuccesso. Come è noto gli sforzi della Germania sono stati diretti principalmente verso il Camerun, verso il T o go, verso l'Africa Orientale. Mentre verso il Togo la penetrazione si stava tentando con missioni di carattere scientifico, nel Camerun la Germania aveva intravisto la possibilità di larghe coltivazioni specie per rifornirei di fibre vegetali, allestendo a tal uopo anche una flotta speciale. I risultati non pare che siano stati molto soddisfacenti.

È da ritenere, comunque, che la campagna testé iniziata non sia destinata ad esaurirsi tanto presto. Quali ne siano peraltro gli obiettivi immediati non è ben chiaro. Si sa soltanto ch'essa trae il suo motto d'ordine direttamente dal Fiihrer. 1

403 I Il documento ha il visto di M ussolini.

401 1 Si veda per la risposta da Berlino il D. 428 e per la risposta da Tokio il D. 442.

404

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. CIANO

TELESPR. 6256/170 l . Washington, 7 ottobre 1937 (per. il 18).

Il discorso tenuto dal Presidente Roosevelt a Chicago il giorno 5 corrente, 1 oltre che all'estero, ha suscitato una grande emozione anche in questo Paese.

Il Dipartimento di Stato avendo comunicato ufficialmente tale discorso a tutti i rappresentanti degli Stati Uniti all'estero. ha voluto dare ad esso il carattere netto e preciso di dichiarazione dell'attuale posizione del governo americano di fronte ai problemi che agitano in questo momento il mondo e particolarmente di fronte alla questione dell'Estremo Oriente.

Sebbene il discorso si riattacchi direttamente ad una situazione di politica estera e internazionale, si deve ritenere che allo stesso non siano state estranee considerazioni di politica interna. Fra queste l'interesse del Presidente di trovare un diversivo per distrarre l'attenzione dalla nomina del senatore Black quale giudice della Suprema Corte. nomina che, per i precedenti del Black stesso (particolarmente la sua appartenenza al Ku Klux Klan) stava assumendo le proporzioni di uno scandalo nazionale. Tali elementi di politica interna non vanno però sopravvalutati; è certo che il Presidente ha avuto la sensazione che le sue affermazioni rispondevano al momentaneo stato d'animo dello spirito pubblico in America. Altro elemento che può avere influenzato il Presidente a tenere un tono così reciso va molto probabilmente ascritto alla sua visita nel West dove c'è indubbiamente una maggiore sensibilità per le questioni che riguardano l'Estremo Oriente.

Non c'è nessun dubbio che l'obiettivo a cui mirava il Presidente col suo discorso era principalmente quello di colpire il Giappone, ma egli per evidenti ragioni d'impostazione ha preferito far entrare la questione giapponese in un quadro più vasto di deplorazione generale della mancanza di rispetto alle norme e alle convenzioni internazionali e delle interferenze negli affari interni di altri Paesi. Con ciò egli ha voluto tracciare una linea divisoria fra i Paesi amanti della pace e desiderosi di conservarla e quelli che si preparavano alla guerra costituendo un pericolo per il resto del mondo e che quindi dovevano essere resi innocui isolandoli con un cordone sanitario. Non è chiaro fino a che punto il Presidente voleva coinvolgere gli altri Paesi nella sua deplorazione che aveva, come ho detto, per obiettivo principale il Giappone, ma certamente l'interpretazione generale che è stata data al suo discorso è stata quella che le sue frasi si fossero riferite anche all'Italia ed alla Germania. Quello che ha destato un certo stupore anche in questo Paese è stato il fatto che negli attacchi presidenziali non ci fosse alcun accenno specifico che potesse far ritenere che anche la Russia era stata presa di mira.

Sebbene il Presidente anche in occasioni precedenti abbia usato un tono molto vivace nel trattare il suo argomento favorito di critica delle dittature e dei sistemi

totalitari e dei pericoli che questi rappresentano per il mantenimento della pace (bisogna ricordare che egli stesso è accusato di tendenze dittatoriali e che perciò in , tale riguardo è sulla difensiva) egli mai aveva raggiunto il diapason del discorso di Chicago; il che è tanto più notevole quando si pensi che in occasioni precedenti le sue affermazioni potevano avere un valore puramente platonico ed accademico, mentre nell'occasione attuale egli interviene in pieno in una della più spinose questioni ed in uno dei più delicati momenti della politica internazionale.

Ma il discorso del Presidente, oltre che per l'importanza che ha come indice del suo stato d'animo, va messo in particolare rilievo ____:__ e questo è il lato più significativo -per il favore con cui è stato accolto dall'opinione pubblica amencana.

Già nei rapporti precedenti avevo messo in luce la tendenza da parte del Dipartimento di Stato ed i diversi strati dell'opinione pubblica a prendere una ,posizione più decisa contro il Giappone; l'accoglienza che ha trovato qui, nei circoli politici e giornalistici il discorso di Chicago conferma che tale stato d'animo è molto più diffuso nel Paese di quello che si potesse pensare. Se si tiene conto che lo spirito pubblico americano nella fase antecedente, culminata con l'approvazione del Neutrality Act era orientata decisamente verso la neutralità più assoluta, senza discriminazione fra aggressore e aggredito, con l'unico intento di tenersi al difuori di tutto quanto anche lontanamente potesse coinvolgere il Paese in un conflitto o solo in un incidente internazionale, si deve riconoscere che oggi noi siamo di fronte ad uno scivolamento dell'opinione pubblica verso una fase di, almeno limitato e sia pur cauto, interventismo.Tale tendenza all'interventismo si manifesta da una parte nel discorso presidenziale, dall'altra nelle recenti manifestazioni del governo americano che ha aderito alla condanna pronunciata a Ginevra contro i metodi di guerra del Giappone, e che ha già fatto intendere di essere disposto a partecipare ad una riunione delle nove Potenze indetta allo scopo di porre fine al conflitto cmo-g1apponese.

Questo interventismo, quindi, prenderebbe due forme: la prima di carattere più generico e problematico, cioè una collaborazione con le Potenze amanti della pace per tenere a freno le Potenze che minacciano la guerra; la seconda più specifica e attuale, quella cioè di collaborare con le altre Potenze per fermare il Giappone nella sua azione in Cina. Va rilevato che è questo secondo punto che più interessa ed appassiona l'opinione pubblica americana, mentre il primo punto, se pure ha dato adito a qualcuno dei soliti commenti maligni, non è riuscito tuttavia a trattenere l'attenzione del pubblico americano.

I possibili riferimenti all'Italia ed alla Germania sono oggi posti decisamente in seconda linea, dopo una prima curiosità su quelle che erano state le reazioni del discorso nei Paesi che si supponevano colpiti. Oggi, quindi, l'attenzione è concentrata unicamente sulla questione giapponese, al quale proposito ci si domanda se le manifestazioni del Presidente e l'atteggiamento del Dipartimento di Stato vogliano rappresentare una forma più pronunciata di pressione morale o se veramente nel programma del governo americano ci sia l'intenzione di intervenire con qualche atto positivo, quando il Comitato delle nove Potenze o altra riunione internazionale a cui il governo americano partecipasse o aderisse, dovessero decidere delle misure economiche, per non parlare di quelle militari.

Non c'è dubbio che nel Paese vi sia un certo orientamento, rappresentato da esponenti autorevoli come l'ex-Segretario di Stato Stimson e il Presidente della Commissione degli Affari Esteri del Senato, Pittman, ad applicare delle misure economiche contro il Giappone che, oltre al resto, si ritengono molto efficaci data la vulnerabilità del Giappone a tale riguardo 2 .

Questa è per ora una tendenza di minoranza, ma può diffondersi ed affermarsi con una certa rapidità. Si parla anche, per ora vagamente, della necessità di modificare la legge sulla neutralità in modo da poter fare una discriminazione fra aggressore e aggredito.

Tra le due forze fra cui si dibatte l'opinione pubblica americana, quella che spinge a frenare le ambizioni giapponesi, e l'altra che tende a mantenere la più assoluta neutralità e il disinteresse di fronte a conflitti esteriori, questa seconda è ad onta di tutto ancora oggi prevalente, ma essa è statica ed è forse in periodo di affievolimento, mentre la prima sta affermandosi e guadagnando terreno.

La risultante, sulla quale oggi sarebbe azzardato fare delle previsioni, dipenderà dalla situazione politica generale che verrà a determinarsi nel prossimo futuro e dall'atteggiamento dell'Inghilterra, che si deve ritenere non estranea all'attuale presa di posizione americana 3 .

404 1 Testo in FRUS, Japan !931-1941, vol. I, pp. 379-383.

405

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7010/435 R. Tokio, 8 ottobre 1937, ore 8,25 (per. ore 16,30).

Militari sono sempre più stupiti e rammaricati per contegno della Germania in Cina e specialmente per perdurante partecipazione ufficiali tedeschi alle operazioni. Stessa ... 1 mostra questa ambasciata di Germania.

Si attribuisce molta colpa a sentimenti personali di quell'ambasciatore di Germania e dei nazisti ivi residenti. Sembra che loro piano fosse rafforzare posizione Chiang Kai-shek per suo antibolscevismo per valersi anche di lui nella loro lotta contro soviet e che rimproverino quindi al Giappone di indebolire con questa guerra Chiang Kai-shek e di spingerlo verso Russia.

Per cercare rimedio, quest'addetto militare tedesco 2 partirà a giorni per Shanghai accompagnato da alto ufficiale giapponese.

Ad ogni modo discorso ambasciatore di Germania 3 non è stato pubblicato da questa stampa. Sembra che governo giapponese si proponga mostrare di non dare alcuna importanza alla cosa.

British National Council of Labor, ha decretato il boicottaggio delle merci di produzione giapponese». 404 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 405 I Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile». 405 2 Eugen Ott. 405 3 Vedi D. 400, nota 2.

404 2 Nota del documento: «Ora giunge notizia che la American Federation of Lahor, su invito del

406

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7014/439 R. Tokio, 8 ottobre 1937, ore 8,30 (per. ore 16,30).

Articolo del Duce 1 diffuso dalla stampa in tutto il Giappone ha provocato enorme impressione sull'opinione pubblica. Nel momento presente essa è unica grande voce amica. Militari ne sono giubilanti.

Ministero Affari Esteri che non ha voluto commentare articolo con i corrispondenti stranieri è una volta di più titubante e, mentre se ne rallegra per un verso, teme dall'altro che articolo gli attragga maggiori ostilità delle grandi Potenze democratiche in questo particolare momento. Così si spiega come, mentre tutti i giornali hanno dato grande rilievo tipografico all'articolo, nessuno lo commenti.

Comunicato Roma e Shanghai.

407

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6260/1702. Washington, 8 ottobre 1937 (per. il 19).

Per opportuna conoscenza di codesto R. ministero ho l'onore d'inviare qui unita copia del rapporto n. 465, in data 7 corrente, diretto da questo R. addetto navale al R. ministero della Marina sull'argomento in oggetto.

ALLEGATO

L'ADDETTO NAVALE A WASHINGTON, CUGIA, AL MINISTERO DELLA MARINA

FOGLIO 465. Washington, 7 ottobre 1937.

Prosecuzione foglio n. 451 R. in data 24 settembre 1937. 1

omnia, vol. XXIX, pp. l-2.

l. Dal 24 settembre ad oggi, alcuni fatti sono andati succedendosi che confermerebbero come gli Stati Uniti stiano effettivamente considerando con minor riluttanza un positivo intervento. politico in Estremo Oriente. Siffatta tendenza, già accennata nel mio precedente rapporto, può in primo luogo ritrovarsi nell'ordine del giorno con il quale l'ammiraglio Yarnell, comandante dell'Asiatic Fleet, dichiarava che le Forze navali da lui dipendenti «sarebbero rimaste nelle località dove lo richiedesse la protezione dei connazionali e per tutto il tempo necessario» (25 settembre) 2 . La stampa, nell'accogliere con estremo favore la presa di posizione della Marina americana, giunse sino a scorgere nel documento il medesimo stile che rese famosi gli ammiragli Decatur e Perry; ma, più particolarmente, essa non lesinava consenso in quanto che le dichiarazioni del comandante della flotta asiatica significavano la fine di un contegno passivo di fronte alla prepotenza nipponica e sembravano additare finalmente una via alla vacillante attitudine del governo centrale.

2. Superato così il punto critico, la politica estera degli S.U. veniva in modo ancor più energico e fermo formulata dal Presidente Roosevelt nel suo discorso tenuto a Chicago il 5 ottobre3 , quando egli invocava «misure profilattiche per salvare il mondo dall'anarchia provocata dai cosidetti violatori dei trattati». Senonché, la forma piuttosto sibillina di alcune frasi pronunciate dall' Executive, pone i commentatori quotidiani in qualche disorientamento. Se alcuni giornali a fisionomia pacifista, societaria, e quindi bellicosa, salutano nel gesto di Roosevelt la bandiera di una crociata democratica contro gli Stati totalitari, la comunanza dei destini anglosassoni, l'accostamento alla filosofia ginevrina, altri invece, pur non palesemente, avanzano guardinghe riserve sottolineate da dubbiosi interrogativi. Le dichiarazioni del Presidente rappresentano cioè -si domandano -una reiterata e sterile affermazione del vangelo che depreca l'uso delle armi per risolvere contese internazionali? Ovvero indicano esse che gli Stati Uniti, abbandonata la politica isolazionista, sono pronti ad intraprendere «concertati sforzi», come li denominava il Presidente, per cingere di un cordone sanitario i disturbatori della pace mondiale?

La prossima settimana diranno se la pubblica opinione degli Stati Uniti, costretta dalla parola presidenziale a prendere netta posizione, sia anche preparata, con i fatti ed aldilà di entusiasmi puramente accademici, ad accettare impegni internazionali sino ad ora invisi, ed a farvi onore anche a prezzo di danaro e forse di sangue.

3. Quasi ad eco del discorso di Chicago, mentre il signor Hull, ministro degli Esteri, proclamava (6 ottobre) una perfetta identità di vedute con Ginevra4 , l'ex ministro degli Esteri Stimson, in una lettera largamente riprodotta (7 ottobre), metteva in rilievo la minaccia giapponese contro tutte le Potenze rivierasche del Pacifico e proponeva che Stati Uniti ed Impero britannico adottassero le seguenti misure per contenerla:

-riconoscimento e condanna dell'aggressione nipponica in Cina; -embargo sul ferro, petrolio, cotone diretti in Giappone; -divieto di importare dal Giappone seta naturale.

Il signor Stimson esprimeva la certezza che simili provvedimenti ferirebbero sì profondamente la struttura economica del Giappone -già in precarie condizioni finanziarie

sino a farlo desistere dalla presente campagna in Cina, con il risultato di assicurare il trionfo del diritto e di consolidare l'opera fiancheggiante della Società delle Nazioni 5 .

Resterebbe da vedere, ad ogni modo, se i produttori americani potranno o vorranno fare buon viso al programma del signor Stimson. Ciò dipenderà soprattutto dall'influenza esercitata dai vari strati della popolazione. Molti attenti osservatori, poiché giudicano il Presidente Roosevelt un fedele e sensibile barometro delle correnti che si agitano nelle masse, affermano che il discorso di Chicago non può che rappresentare un sintomo della mutata tendenza popolare. Questa ora sarebbe, infatti, la diretta risultante di una tenace ed abile propaganda condotta dalla Gran Bretagna sui facili canali della lingua, della religione, degli interessi finanziari: propinata a frasi fatte, mentre da una parte con stanchi ma efficaci argomenti raffigura l'ideale democratico anglo-americano quale guardiano austero della probità privata ed internazionale, dall'altra esalta l'intimo ed ambito legame con i cugini di oltre Atlantico, richiamando persino motivi romantici del nostalgico periodo coloniale.

Così il popolo americano, raggiunta l'artificiosa e necessaria mobilitazione spirituale, si appresterebbe oggi a dimenticare il disgusto della passata guerra, gli incubi wilsoniani, per gettarsi, con il fanaticismo ingenuo e pericoloso dei neofiti, nel campo delle controversie asiatiche ed europee.

406 l Con il titolo Europa e Fascismo, Mussolini aveva pubblicato su Il Popolo d'Italia del 6 ottobre un articolo in cui affermava che nuovi Stati, non soltanto europei, si erano uniti al movimento di riscossa avviato dal fascismo e tra essi il Giappone che «si sta liberando dai paludamenti parlamentaristici che adottò poche diecine di anni or sono e che oggi ne arresterebbero lo slancio vitale. Slancio che noi pienamente comprendiamo e giustifichiamo». Ed aveva poi aggiunto: «Il Giappone non è formalmente fascista ma il suo atteggiamento antibolscevico, l'indirizzo della sua politica, lo stile del suo popolo lo portano nel numero degli Stati fascisti». L'articolo è riprodotto in MussOLJNI, Opera

407 l Non rintracciato.

407 2 Vedi D. 384. 407 3 Vedi D. 404. 407 4 Si riferisce alla dichiarazione resa pubblica dal Dipartimento di Stato in seguito all'approvazione da parte dell'Assemblea della S.d.N. della risoluzione (5 ottobre) con cui si chiedeva la riunione dei firmatari del Trattato delle Nove Potenze. Nella dichiarazione si costatava che l'azione del Giappone era incompatibile con i principi che dovevano reggere i rapporti tra le Nazioni ed in contrasto con le stipulazioni del Trattato delle Nove Potenze e del Patto Briand-Kellogg, per cui le conclusioni del governo degli Stati Uniti coincidevano con quelle raggiunte dalla S.d.N. Per il testo si veda FRUS, 1937, vol. IV, pp. 62-63.

408

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 3980(1984. Vienna, 8 ottobre 1937 (per. l'Il).

L'articolo Europa e Fascismo, pubblicato su Il Popolo d'Italia 1 del 6 corrente, noto dapprima attraverso riassunti discordanti della Agenzia Stefani e di altre agenzie internazionali, ha prodotto qui viva impressione: di assenso nei circoli del Fronte Patriottico per la linea generale, di sorpresa e di preoccupazione per l'accenno -tra coloro che sarebbero contro il fascismo -anche a «un certo ondeggiante cattolicismo». Prima che giungesse qui il testo dell'articolo, si temette in alcuni circoli, e affiorò anche in qualche giornale, che quell'accenno rivelasse un impensato conflitto tra fascismo e cattolicismo in genere e volesse colpire più precisamente l'ideologia cristiano-sociale che qui è tanta parte del regime al potere. Qualche maligno volle anche ravvisare nell'accomunamento del cattolicismo col comunismo, ecc. una concessione del fascismo al nazionalsocialismo germanico.

Non mancai, in conversazioni alla Cancelleria federale e al suo ufficio stampa, di togliere ogni base a tali supposizioni. Il fatto stesso che, evidentemente per ritardi o disguidi ferroviari e postali, Il Popolo d'Italia non era stato qui in vendita, né mercoledì sera, né giovedì, diede credito alla voce che questo governo aves

S.U. in percentuali riferite al proprio fabbisogno nazionale, il 75 per cento del petrolio, il 50 per cento del ferro e 1'80 per cento del cotone, mentre avrebbe venduto agli S.U. ed all'Impero britannico la quasi totalità della seta naturale (81 per cento e 15 per cento rispettivamente)». 408 l In MussoLINI, Opera omnia, vol. XXIX, pp. 1-2.

se sequestrato il giornale proprio per quell'articolo. Arrivato già ieri sera agli abbonati, il numero di mercoledì fu messo in vendita liberamente stamane insieme a quello di ieri. Così il testo dell'articolo poté aver ragione di ogni arbitraria interpretazione.

Molto opportuna la nota pubblicata stamane dall'ufficiosa cattolica Reichspost per stabilire che il preannunzio che il fascismo avrebbe fatto, un giorno o l'altro, i conti, secondo il suo stile, con quel «certo ondeggiante cattolicismo», era diretto contro gruppi cattolici democratici di sinistra in Francia e in Belgio; per rilevare le precisazioni pubblicate al riguardo dalla Stampa di Torino; per annunziare che, secondo informazioni assunte a buona fonte, il Vaticano non sentiva alcun motivo di reazione all'articolo del Popolo d'Italia.

Ho saputo che, per incarico della Cancelleria Federale, l'addetto stampa della legazione d'Austria presso il Quirinale2 aveva nella giornata di ieri attinto al nostro ministero della Cultura Popolare e nella Città del Vaticano elementi di giudizio sull'articolo. Su tali elementi era stata, per desiderio del Cancelliere, redatta appunto la nota della Reichspost di stamane di cui trasmetto separatamente il testo (telespresso n. 1986)3 .

Resta viva l'impressione di quella documentata, autorevole glossa ad una delle affermazioni più significative del discorso berlinese del Duce. Rispondono in modo particolare all'opinione gui prevalente due principii fondamentali dello scritto, che è universalmente attribuito al Duce:

primo, la caratteristica data alla nuova società nazionale fascista, di «democrazia organizzata, accentrata, autoritaria su basi nazionali»;

secondo, la distinzione nettamente contraria all'esportazione di un tipo unico, standardizzato di fascismo, con prevalenza, invece, a forme diverse adattate alle varie situazioni dei singoli Paesi, nonché alle realizzazioni che impongono dottrine e metodi anche ai recalcitranti.

Sono principii che riproducono formulazioni ricorrenti anche nel pensiero e nei discorsi di Schuschnigg e rendono qui più largamente accessibili le esperienze, prima ancora che le teorie, del fascismo come concezione della vita nazionale4 .

407 5 Nota del documento: «Secondo il signor Stimson, il Giappone nel 1936 avrebbe importato dagli

409

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO URGENTE 7024/376 R. Berlino, 9 ottobre 1937, ore 1,30 (per. ore 4,50).

Ogni possibilità di un nuovo Locarno sembra, almeno per il momento, tramontata, ed in presenza della situazione internazionale sempre più delicata, go

408 3 Non pubblicato. 408 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

verno belga ha recentemente deciso propria posizione nei confronti ed agli effetti della Germania così come essa era stata già definita in quelli della Francia e dell'Inghilterra.

Ogni mezzo più solenne (patti, ecc.) essendo risultato inattuabile o inopportuno, i due governi, dopo negoziati durati circa due settimane, si sono ora messi d'accordo per scambiarsi una «dichiarazione», sostanzialmente simile a quella già fatta dalla Francia e dall'Inghilterra 1 e il cui progetto definitivo è stato portato oggi dal ministro Davignon alla Wilhelmstrasse. In tale dichiarazione la Germania riconosce indipendenza e neutralità belga e si obbliga a rispettarle in ogni momento.

Dichiarazione, già approvata in massima da Hitler, è destinata a divenire di pubblica ragione nella settimana entrante (mercoledì o giovedì), e ci sarà dal Belgio comunicata ufficialmente lunedì. Germania ce ne dà comunicazioni subito onde noi possiamo decidere linea di condotta che possa eventualmente convenirci.

Ho ragione di ritenere che, mentre negoziati in materia sono stati affrettati da parte belga anche nell'intento di rioccupare il proprio seggio nel Consiglio della

S.d.N. in condizioni di perfetta indipendenza e parità con gli altri Paesi, da parte tedesca non è stato estraneo il desiderio di fare un dispettuccio a Londra. Si raccomanda anzi a riguardo il segreto più assoluto, onde evitare interferenze e pressioni franco-inglesi.

Progetto di dichiarazione non è stato ancora approvato da von Neurath. Io ne mando comunque le linee con telecorriere che prego far ritirare all'aeroporto da pilota. Spero domani poter inviare testo definitivo.

408 2 Kurt Friedberger.

410

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 7027/440 R. Tokio, 9 ottobre 1937, ore 6,20 (per. ore 13).

Telegramma di V.E. 187 1 .

Ho consegnato Hirota messaggio di V.E. giunto ieri 2 ed egli mi ha pregato farle pervenire suoi vivi ringraziamenti. Ha anche, ma molto timidamente, mostrato sua riconoscenza per articolo del Duce 3 . È del pari grato al R. governo per la richiesta di cui al telegramma di V.E. n. 1944 . Mi darà una risposta dopo che Giappone avrà deciso in proposito.

Mi ha detto spontaneamente che una diecina di giorni fa aveva inviato a Hotta istruzioni per ripresa nota conversazione. A vendo gli Hotta telegrafato per chi e

410 1 Vedi D. 389. 410 2 Vedi D. 192. 410 3 Vedi D. 406, nota l. 410 4 Non rintracciato.

dergli chiarimenti su alcuni punti glieli ha mandati e crede quindi che in uno dei prossimi giorni Hotta tornerà da V.E. Mi ha chiesto infine che cosa pensassi dei rapporti dell'Inghilterra con i sovieti. Gli ho risposto a lungo e non ho bisogno di riferire in che maniera.

409 1 Del 24 aprile 1937 (testo in DDF, vol. V, D. 337).

411

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 7033/726 R. Londra, 9 ottobre 1937, ore 16,14 (per. ore 20,30).

V.E. avrà rilevato dai miei fonogrammi stampa degli ultimi due giorni la viva attesa dell'opinione pubblica inglese per le annunziate dichiarazioni di Chamberlain al congresso del partito conservatore in materia di politica estera 1• Il discorso di Roosevelt a Chicago 2 e il passo anglo-francese a Roma3 avrebbero naturalmente determinato l'aspettativa di qualche importante dichiarazione di politica estera, dichiarazione che nella speranza non solo delle sinistre ma anche della maggioranza degli stessi conservatori, avrebbe dovuto assumere il carattere di una ferma presa di posizione nei confronti dell'Italia circa questione Spagna.

Chamberlain ha certo deluso queste speranze le quali erano state formulate in questi ultimi giorni dall'offensiva anti-italiana condotta con significativa unanimità dalla stampa inglese inspirata direttamente dall'ufficio stampa del Foreign Office. Chamberlain è stato misurato e guardingo evitando accuratamente qualsiasi accenno che potesse avvalorare l'impressione di un carattere perentorio che circoli politici e giornalistici assai vicini al Foreign Office avevano attribuito recenti passi del governo britannico a Roma.

Altrettanto misurato e guardingo Chamberlain è stato circa dichiarazioni Roosevelt e guerra Estremo Oriente. Stamane stampa registra sensibilmente effetto sedativo delle dichiarazioni del Primo Ministro.

Tono moderato dei giornali di destra (Times ad esempio) ha... 4 l'intenzione dell'Inghilterra mantenere in ogni caso politica non intervento mentre Daily Express pubblica le parole di Chamberlain relative Italia sotto il titolo a grandi lettere «Primo Ministro rivolge un gesto amichevole all'Italia», è messo ancora più in rilievo dalla palese irritazione mostrata dalla stampa socialista e liberale.

Questa accusa Chamberlain di debolezza di fronte Mussolini e Italia fascista, e cerca magro conforto nel sottolineare elogio che il Primo Ministro, dopo le espressioni laudative usate avantieri da Churchill, si è sentito obbligato di far alla persona di Eden.

411 2 Vedi D. 404. 411 3 Vedi D. 388. 411 4 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile».

411 1 L'8 ottobre, a Scarborough. Testo in Relazioni Interna:::iona/i, p. 763.

412

IL SEGRETARIO GENERALE AGGIUNTO DELLA DELEGAZIONE ALLA S.D.N., BOVA SCOPPA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7066/574 R. Ginevra, 9 ottobre 1937 (per. 1'11).

L'opinione corrente dei delegati rimasti a Ginevra dopo la fine dell'assemblea è:

l) che discorso di Roosevelt 1 è servito alla Francia a all'Inghilterra per irrigidire la loro posizione diplomatica di fronte all'Italia nella questione spagnola;

2) che malgrado il tono delle dichiarazioni, malgrado il passo fatto presso la Lega per solidarizzarsi con essa, Roosevelt si guarderà bene dal tradurre in manifestazioni pratiche e concrete le sue posizioni dottrinali e di principio;

3) che il discorso di Roosevelt servirà invece utilmente a far boicottare le merci giapponesi;

4) che la conferenza delle Nove Potenze non avrà alcun peso nella condotta della guerra in Estremo Oriente e che tale riunione di ispirazione societaria avrà la sola conseguenza di prolungare l'asse Roma-Berlino fino a Tokio;

5) che mentre la Francia si mostra decisa a riaprire la frontiera dei Pirenei ed ha ottenuto l'adesione di principio dell'Inghilterra, a Londra si nutrono preoccupazioni serie per la conseguenza d'una tale misura.

In ogni caso, qui si ritiene che, qualora la frontiera dei Pirenei venisse aperta, la situazione non cambierebbe grandemente per quanto riguarda l'afflusso eventuale di uomini, mentre incontestabilmente ne deriverebbe apporto considerevole di armi e di mezzi per i Rossi di Valencia.

Ieri sera circolava qui la voce che gli Stati Maggiori navali francese ed inglese avrebbero ripreso in esame l'idea dell'occupazione militare di Minorca. Negli ambienti inglesi si affermava invece che Londra avrebbe fatto il possibile per non rompere i ponti con Roma2 .

413

IL MINISTERO DEGLI ESTERI ALL'AMBASCIATA DI FRANCIA A ROMA

NOTA VERBALE 7976. Roma, 9 ottobre 1937.

Il R. Ministero degli Affari Esteri ha l'onore di riferirsi alla Nota Verbale dell'Ambasciata di Francia n. 295 in data 2 corrente 1•

412 2 Al documento è allegato un foglio su cui è scritto: «Inviato alla Segreteria particolare del Duce». 413 1 Vedi D. 388.

2) Il Governo Fascista prende volentieri atto delle assicurazioni fornite da parte del Governo Francese relativamente all'indipendenza politica della Spagna. Per quanto lo riguarda, non ha bisogno di ricordare le assicurazioni fornite, anche in modo solenne, in ripetute circostanze circa la indipendenza politica e di conseguenza l'integrità territoriale della Spagna, metropolitana, insulare e coloniale.

3) Il Governo Fascista condivide pienamente l'augurio del Governo Francese che le lotte interne della Spagna cessino di essere causa di sospetto e di attrito fra le altre Nazioni e che la situazione evolva in maniera che possano essere realizzati, anche in altri campi, dei progressi in vista di una distensione generale. Esso è pronto con tutta la migliore volontà possibile ad esaminare come ha sempre fatto in passato, tutti i mezzi che saranno ritenuti idonei per rendere efficace la politica di non intervento.

4) Il Governo Francese dà particolare rilievo, tra gli elementi di tale politica alla questione dei volontari ed al loro ritiro.

Per la precisazione delle singole posizioni politiche e conseguenti responsabilità e non per intempestivi motivi polemici è tuttavia opportuno ricordare come sia stata proprio l'Italia insieme con la Germania a far presente per prima e ad insistere perché si facesse divieto all'invio dei volontari e successivamente perché fosse provveduto al loro ritiro. Il Governo Italiano rivendica a sé e al Governo Tedesco l'iniziativa intesa a far considerare tale questione come uno degli elementi indispensabili di qualsiasi politica di non intervento. Esso si richiama nei suoi particolari riguardi, alle esplicite dichiarazioni fatte all'Ambasciatore di Francia dal Ministro degli Esteri d'Italia fin dall'agosto 19362 , alle dichiarazioni contenute nella Nota Verbale del 7 gennaio u.s. diretta alle Ambasciate di Francia e di Gran Bretagna3 ed a quella del 25 gennaio u.s. diretta solamente a quest'ultima 4 ed infine alle ripetute dichiarazioni fatte dal Rappresentante italiano in seno al Comitato di non Intervento di Londra, in occasione dell'ultima discussione di tale questione 5 .

Il Governo Fascista ha l'onore di confermare che in tutta la questione del non intervento, nei suoi vari aspetti ed elementi, esso si mantiene nello stesso ordine di idee, quale risulta da tutte le surriferite dichiarazioni.

5) Nella sua Nota Verbale del 2 corrente il Governo Francese suggerisce che si inizino, fra i tre Governi francese, inglese ed italiano, delle conversazioni allo scopo di giungere possibilmente ad un accordo sulle misure atte ad assicurare l'applicazione della politica di non intervento. ·

Il Governo Francese suggerisce tale procedura nell'intento di ovviare alle difficoltà che si sono avute in seno al Comitato di Londra. Il Governo Fascista apprezza al suo giusto valore il suggerimento francese ma dubita che le difficoltà di cui si tratta possano essere vinte per via di accorgimenti

o risorse.procedurali e soprattutto con quello proposto. Esso attira l'attenzione del Governo Francese sul fatto che la materia in discussione non riguarda alcuni Stati soltanto ma, al contrario, interessa direttamente altri Stati, oltre la Francia, la

413 3 Vedi serie ottava, vol. VI. D. 22. 413 4 lbid., D. 87. 413 5 La posizione del governo italiano nei riguardi del problema dei volontari era stata esposta dal l'ambasciatore Grandi nella seduta pknaria del Comitato di non intervento del 9 luglio (vedi Rela::.ioni lnterna::iona/i, pp. 568-572) e ribadita, in modo più sintetico, nella seduta del 26 luglio del Sottocomita to presidenziale (ibid., pp. 601-602).

Gran Bretagna e l'Italia. Né bisogna trascurare il fatto che senza l'adesione di Burgos e di Valencia ogni decisione in materia non potrebbe condurre a pratici risultati. Tanto più, quando si ricordi l'atteggiamento del Rappresentante di Valencia che con uno specioso pretesto ha escluso nel suo discorso a Ginevra6 ogni possibilità di evacuazione dei volontari arruolati nelle forze armate del suo Governo. La discussione proposta, nell'assenza degli altri Stati, mancherebbe degli elementi indispensabili per giungere ad un accordo. È convinzione del Governo Fascista che l'adozione di procedure anche preliminari, al di fuori del Comitato di Londra e dei suoi organi, porterebbe nell'attuale situazione, non già a diminuire ma ad accrescere invece di diminuire, la possibilità di malintesi e di complicazioni ed a ritardare, invece di affrettare, il conseguimento di un accordo generale, accordo che il Governo Fascista ritiene sommamente necessario.

Il Governo Fascista è quindi d'avviso che sia conveniente di continuare a trattare la questione del non intervento in seno al Comitato di Londra.

6) Il Governo Fascista ha da ultimo l'onore di informare che non parteciperà, in ogni caso, a conversazioni, riunioni o conferenze alle quali non sia formalmente invitato e non sia partecipe anche il Governo Tedesco 7 .

412 1 Vedi D. 404.

413 2 Vedi serie ottava, vol. IV, D. 711.

414

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 4738/1551. Berlino, 9 ottobre 1937 (per. l'Il).

Sono stato ieri informato che questo ambasciatore di Gran Bretagna, sir Nevile Henderson, è stato per tre giorni ospite del generale Goring nella tenuta di caccia di Rominten, nella Prussia orientale. Rientrato per brevi ore a Berlino ne è poi ripartito direttamente per Londra per rimanervi, a guanto sembra, in congedo, per circa un mese. Poiché egli aveva già goduto di un lungo congedo, questa sua nuova partenza dimostra che da parte di Henderson non si ritiene per il momento di aver nulla da fare di interessante a Berlino.

Durante le partite di caccia al cervo si sono svolti, naturalmente, fra il generale e l'ambasciatore alcuni colloqui di carattere politico. Essi, come lo stesso generale Goring, ieri ritornato egli pure alla sua tenuta berlinese della Schorfheide, ha confermato stamane anche al conte Magistrati, si sono svolti particolarmente sui due punti seguenti: l) visita del Duce e sue conversazioni con Hitler; 2) aspirazioni coloniali della Germania.

Circa il primo punto, l'ambasciatore, il quale, a detta di Goring, è un «aristocratico intimamente e sinceramente antibolscevico», ha insistito nel dichiarare che l'esistenza dell'asse Roma-Berlino non costituisce affatto un ostacolo per il riavvicinamento anglo-tedesco del quale egli è convinto fautore.

Goring avrebbe svolto il tema che evidentemente l'Asse, dato il suo carattere di non aggressività nei confronti di terzi Paesi, non costituisce un ostacolo. Ma l'Inghilterra non deve disconoscere che oggi il solo Paese che segua in Europa nettamente una linea di azione anticomunista parallela a quella della Germania è l'Italia fascista. Londra quindi dovrà necessariamente, se vuole avvicinarsi a Berlino, tener conto di un tale fatto e in certo modo «passare per Roma». Dinnanzi all'ambiguità inglese ed al suo contegno nella questione spagnola, la Germania è ben lieta che si sia solidamente costituito il fronte anticomunista italo-tedesco.

Circa la questione della restituzione di colonie alla Germania, l'ambasciatore Henderson ha mostrato chiaramente che il governo di Londra non ha alcun programma specifico e pratico sul quale possano iniziarsi conversazioni o trattative. In altre parole, gli inglesi restano fedeli al principio che «chi ha colonie, se le tiene e non le cede». Tuttociò naturalmente detto in bella forma ed esprimendo la speranza che in avvenire possa verificarsi un'evoluzione tale da contentare talune aspirazioni economiche germaniche, nel campo delle materie prime coloniali, etc., etc.

Una tale constatazione non è piaciuta evidentemente molto al generale Goring il quale, per parte sua però, come del resto tutti i tedeschi, manca di netti e precisi programmi coloniali e si limita a formule vaghe di «diritti a restituzione», etc. Su quest'ultimo punto aggiungo che, da taluni giorni, circola qui la voce che il Cancelliere Hitler si preparerebbe, secondo il suo noto sistema, a «interpellare» il popolo tedesco, a mezzo di una votazione plebiscitaria, circa la legittimità delle aspirazioni coloniali presentate oggi quale programma del governo nazionalsocialista. Queste voci possono anche essere confermate dai fatti. Non si vede però cosa avverrebbe all'indomani di un tale plebiscito dato che il governo tedesco si vedrebbe obbligato evidentemente a fare pure qualcosa e quindi a formulare, ai detentori delle proprie colonie, domande precise, senza sapere come e soprattutto fino a qual punto farle valere 1•

413 6 Riferimento al discorso di Negrin all'Assemblea della S.d.N. del 18 settembre precedente. 413 7 Una nota di contenuto identico (n. 7977) fu consegnata lo stesso giorno all'ambasciata di Gran Bretagna.

415

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO URGENTE 4780/1555. Berlino, 9 ottobre 1937 (per. l'li).

Miei telegrammi n. 376 1 e n. 0104 2 dell'8 corrente.

Come V.E. ha a suo tempo saputo -in occasione della visita del Duce in Germania-dal barone Neurath, il Belgio aveva, subito dopo Niirnberg, ripreso le trattative -prima avviate e successivamente interrotte -con la Germania per

415 l Vedi D. 409. 415 2 T. 7029/0104 R. dell'8 ottobre. Preannunciava il prossimo invio al Belgio di una nota del governo tedesco ricalcata, nelle sue linee generali, su la dichiarazione francese e britannica del 24 aprile prece dente.

la definizione della propria situazione internazionale. Ma, questa volta, sopra nuove basi. Era stato, cioè, dal governo belga realizzata così la impossibilità di «patti plurilaterali» di non aggressione completati da successive «dichiarazioni» di inviolabilità, etc., come quella di comprendere nel negoziato, e nella conseguente garanzia, anche l'Olanda.

Le trattative erano state questa volta riallacciate tramite il signor Mule, del ministero degli Esteri belga, il quale ne aveva parlato, senza impegno e a titolo personale, con Gaus deli'Auswartiges Amt, riportando con sé una bozza di dichiarazione da parte della Germania, congegnata bensì sul precedente anglofrancese del 24 aprile 3 ma adattata alle speciali esigenze del caso. Questo adattamento -date talune posizioni per la Germania inderogabili -presentava difficoltà non lievi. Tutto faceva quindi ritenere che le cose sarebbero andate per le lunghe, tantoché, da parte belga, si era dichiarato che si sarebbero riprese le trattative solo a fine ottobre. Questa la situazione al momento dell'arrivo dell'E.V. in Germania.

In un secondo momento e per motivi non bene precisati, ch'io ho tuttavia ricostruito nel mio telegramma di ieri il governo belga ha creduto di accelerare i tempi e forzare una conclusione. Il ministro Davignon veniva quindi, il 5 corrente, chiamato improvvisamente a Bruxelles e incaricato di dichiarare che il Belgio accettava senz'altro gli adattamenti suggeriti dalla Germania e che in un primo tempo sembravano costituire per il Belgio un ostacolo quasi insormontabile. Ciò avveniva ieri mattina all'una ed io ne venivo informato da Mackensen nel pomengg1o.

Come V.E. vedrà dal testo accluso 4 , la dichiarazione, ormai approvata anche da Neurath e quindi considerata come definitiva, mentre segue nelle sue linee il precedente anglo-francese del 24 aprile, se ne differenzia tuttavia in alcuni punti essenziali. Quella franco-inglese diceva al n. III:

«Les deux Gouvernements ont pris acte des vues qu'il appartenait au Governement beige d'exprimer lui-mème touchant !es intérèts de la Belgique et plus particulièrement:

l) de sa détermination, à plusieurs reprises et publiquement affirmée, a) de défendre avec toutes ses forces !es frontières de la Belgique contre tonte agression ou invasion et d'empècher que le territoire beige ne soit utilisé, en vue d'une agression contre un autre Etat, comme passage ou comme base d'opération par terre, par mer ou dans !es aires; b) d'organiser à cet effet de manière efficace la défense de la Belgique;

2) de l'assurance renouvelée par lui de la fidélité de la Belgique au Pacte de la

S.d.N. et aux obligations qu'il comporle pour ses membres».

Questa riaffermazione della fedeltà al patto della S.d.N. era per la Germania inammissibile. Non solo il Belgio ha accettato di ometterla, ma l'ha sostituita con una riaffermazione -per giunta collocata al posto d'onore (n. l) -della sua «politica d'indipendenza ch'esso intende perseguire in piena sovranità». La concessio

ne da parte belga è apprezzabilissima e costerà al governo di Bruxelles delle critiche indubbie, specie da parte francese. Rimane invece intatto l'altro paragrafo riguardante la determinazione del Belgio di difendere con tutte le sue forze le proprie frontiere, impedendo che il territorio belga venga utilizzato, etc., etc.

Altro punto importante sul quale la dichiarazione tedesca si differenzia da quella franco belga è quello dei limiti al rispetto dell'integrità belga. In miei rapporti precedenti io avevo fatto già rilevare come il Belgio potesse trovarsi costretto dalla sua qualità di membro della S.d.N. a consentire anche -suo malgrado-il passaggio di truppe altrui. È bensì vero che il Belgio ha fatto in più occasioni delle dichiarazioni -completamente soddisfacenti -sulla interpretazione ch'esso dà agli obblighi derivanti dall'articolo 16, ma è anche vero che queste interpretazioni non sono state accettate, né dalla Francia, né dall'Inghilterra. La Germania ha quindi voluto chiarire che se il Belgio, pur contro la volontà propria, concorresse, comunque, a operazioni militari contro la Germania, questa non sarebbe tenuta a rispettare la sua integrità. Donde l'aggiunta:

« sauf, cela va sans dire, au cas où la Belgique, dans un conflit armé où l'Allemagne se trouverait engagée, concourrait à une action militaire contre elle».

Questo pure non mancherà di essere acerbamente criticato dalla Francia e dall'Inghilterra anche per l'impegno che vi è implicito da parte belga a opporsi con la forza a qualunque misura che le venisse imposta contro la Germania dalla S.d.N.

Il documento termina con una promessa di assistenza al Belgio, in caso di aggressione uguale a quella della Francia e dell'Inghilterra. Pertanto, la Germania viene a mettersi per quanto riguarda il Belgio sopra un piano di parità assoluta giuridica e morale -colla Francia e con l'Inghilterra.

Bisogna riconoscere che, con ciò e tenuto conto del complesso delle dichiarazioni di cui sopra, l'indipendenza belga viene consolidata in maniera inequivoca ed erga omnes e lo sganciamento del Belgio da Londra e da Parigi viene riaffermato nella maniera più lampante.

Veniamo ora a quanto può interessare l'Italia. In primo luogo, l'atto germano-belga si mantiene completamente al di fuori del quadro locarniano.

Anche a prescindere da Locarno, il sistema adottato non implica patti -di aggressione o non -a carattere plurilaterale e quindi suscettibili di mettere in gioco l'interesse immediato dell'Italia.

In terzo luogo, la dichiarazione riconosce che l'inviolabilità e l'integrità del Belgio sono di un interesse comune a tutte le Potenze occidentali. L'Italia non è quindi né esclusa né comunque pregiudicata. Potenza non confinante, essa rimane tuttavia libera di fare quello che meglio crede.

L'atto, che prenderà la forma di una lettera a Davignon e a cui questi replicherà prendendo atto e ringraziando 5 , è destinato ad essere firmato il 13. Non il 12, perché Neurath non sarà di ritorno prima, non il 14 che è il giorno anniversario delle dichiarazioni del Monarca belga sulla «indipendenza» della sua politica, data per la quale S.M. vorrebbe constatare -e festeggiare -il fortunato compimento dell'opera propria.

414 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

415 3 Vedi D. 409, nota l. 415 4 Non pubblicato.

415 5 Testo in DDT. serie D. Vol. V, DD. 475 e 476.

416

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6889/2476. Parigi, 9 ottobre 1937 (per. l'il).

Mio telespresso n. 6839/2460 del 6 corrente 1•

Il Sottosegretario all'Aeronautica tedesco prima di lasciare la Francia ha ricevuto a questa ambasciata germanica i giornalisti francesi, facendo loro le «dichiarazioni» delle quali invio, qui unito, il testo a V.E. (Temps, 9 ottobre).

Il tono caloroso delle parole del generale Milch non richiede commenti e conferma quella tendenza al riavvicinamento franco-tedesco della quale feci cenno a

V.E. col mio telespresso indicato in riferimento.

Tre punti nelle dichiarazioni del Sottosegretario tedesco mi paiono degni di particolare rilievo, e cioè l'affermazione della lunga collaborazione amichevole fra Air-France e Lu(thansa, quella che le accoglienze riservategli dall'aviazione francese «si sono impresse nella sua memoria come il migliore tra i ricordi di soggiorni compiuti fuori dalla Germania» (sic), e l'invito molto amichevole rivolto agli aviatori francesi affinché restituiscano in Germania la visita loro fatta 2•

417

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA. Berlino, 10 ottobre 1937 1

Ieri, alla Schorfheide, ho avuto una conversazione con il generale Goring, reduce dalla Prussia Orientale, dove si era recato per la caccia al cervo nella riserva di Rominten. Caccia alla quale ha anche partecipato, quale ospite del Ministro

dell'addetto aeronautico, colonnello Ercole, su la visita del generale Milch a Parigi. Cerruti osserva che di per sé la visita di Milch non sembrava rivestire molta importanza ma appariva sintomatica della tendenza a migliorare i rapporti tra i due Paesi che si manifestava da parte francese come da parte tedesca. A questo proposito, l'ambasciatore ricordava che già sul finire di agosto l'incaricato d'affari, Scaduto, aveva rilevato la cordialità delle manifestazioni a cui aveva dato luogo la visita a Parigi di una rappresentanza ufficiale delle organizzazioni giovanili tedesche (Telespr. 6000/2123 del 28 agosto) e che, qualche giorno più tardi, Scaduto aveva attirato l'attenzione sulla visita del sottosegretario alla Propa ganda tedesco, Funk, venuto ad inaugurare la Settimana Artistica Tedesca di Parigi, avvenimento an che questo, che andava visto nel quadro dell'insistente azione condotta dai tedeschi per influenzare favorevolmente l'opinione pubblica francese nei riguardi della Germania (Telespr. 6242/2224 dell'8 set tembre). 416 2 Il documento ha il visto di Mussolini. Da Berlino, l'ambasciatore Attolico -al quale Ciano aveva chiesto notizie circa la natura c gli scopi della visita di Milch in Francia (T. 1700/377 R. del 9 ottobre) rispondeva, invece, che il viaggio andava semplicemente visto nel quadro dei contatti che l'aviazione tedesca intendeva avere, in uno spirito di cameratismo militare, con l'aviazione di altri Paesi (lettera 480 l del 12 ottobre). 417 1 Manca l'indicazione della data d'arrivo.

Presidente, l'ambasciatore di Gran Bretagna, sir Nevile Henderson, qui circondato da grande fama, se non di geniale diplomatico, di appassionato amatore di ludi venatori; qualità, questa, tenuta in Germania in altissimo onore.

Goring, come sai, aveva molto insistito per prendere conoscenza di quei due documenti a me trasmessi 2 . Il suo interesse si era raddoppiato a seguito dei suoi nuovi contatti con Henderson. Ho quindi desiderato non tardare oltre a soddisfare quella sua richiesta. Riassumo qui appresso le impressioni.

Il documento Henderson non lo ha in fondo molto colpito. Effettivamente, rileggendolo con attenzione, non contiene alcun elemento nuovo e personale. Naturalmente, dato il noto e vivo desiderio dell'Ambasciatore di facilitare a qualunque costo il riavvicinamento anglo-tedesco, la conversazione del luglio venne presentata a Londra in tinte ottimistiche per quanto riguarda il preteso intimo convincimento tedesco dell'opportunità di una intesa con l'Inghilterra. L'accenno al Mein Kampf, in proposito, era esatto. Goering quindi, che non ha certamente antipatia per il nuovo rappresentante britannico (da lui a me definito, come Ti è stato riferito con il telespresso ufficiale n. 4738/1551 di ieri\ un «aristocratico intimamente e sinceramente antibolscevico» il quale, tra l'altro, «ha capito ed approvato l'azione italiana in Abissinia»), si è limitato a con tradire con ironia le affermazioni contenute nel rapporto.

Viceversa, molto più dura e vivace è stata la sua reazione nei confronti della lettera del Consigliere Forbes, nella quale viene riferita una sua frase dispregiativa nei riguardi della consistenza dell'amicizia italiana. Qui egli ha accusato il Consigliere britannico, con il quale «ha avuto una sola conversazione» (per quanto Forbes, usando anch'egli delle sue qualità venatorie, lavori insistentemente per avvicinarsi al Ministro Presidente) di essere profondamente antiitaliano, e di avere quindi senz'altro inventato quel giudizio. Fu proprio Forbes, mi ha aggiunto, a parlargli male delle qualità militari degli italiani, i quali, secondo le parole dell'inglese, avevano vinto in Abissinia, non per valore o capacità combattiva, ma unicamente per forza di organizzazione logistica ed avevano in seguito, a Guadalajara, dimostrato di non poter costituire in Europa un elemento militare di decisiva importanza. Al che Goering aveva risposto che tutto l'atteggiamento prudenziale dell'Inghilterra nel Mediterraneo, durante e dopo il conflitto abissino, stava a dimostrare come non tutti gli inglesi condividessero le idee e le impressioni dell'antico incaricato d'affari di Sua Maestà Britannica a Madrid e a Valencia.

Tanto allora a Forbes, quanto ora a Henderson, a Rominten, Goering aveva fatto comprendere come per l'Inghilterra la via del riavvicinamento a Berlino doveva passare per Roma.

Ma su questa seconda parte della conversazione relativa alle domande Henderson circa i colloqui Hitler-Mussolini ed all'atteggiamento britannico nei confronti delle aspirazioni coloniali tedeschi, ti ho già riassunto i giudizi e le impressioni di GoerirÌg nel telespresso n. 4738/1551, al quale ho sopra accennato. Egli, aggiungo, Ti sarebbe molto grato se in avvenire gli si potesse, sul punto delle colonie, far conoscere qualche cosa circa i rapporti di Henderson da Berlino.

tore Henderson del 20 luglio precedente pubblicato in BD, vol. XIX, D. 52. 417 3 Vedi D. 414.

In un secondo momento, Goering, tenendo spiegata dinanzi a sé una grande carta della Spagna, sulla quale erano segnate le posizioni e le dislocazioni delle forze nazionaliste, ha espresso le sue idee sulla situazione e ha confermato esattamente quanto l'Ambasciatore marchese di Magaz aveva detto all'Ambasciatore Attolico (telespresso della R. Ambasciata n. 472911542 dell'8 u.s.) 4 .

La situazione delle Asturie non soddisfa i militari tedeschi ed il Ministro Presidente. Questi ha, in proposito, usato parole fortissime circa l'atteggiamento di inoperosità del generale Aranda, il quale, dalla sacca di Oviedo, potrebbe molto più utilmente e opportunamente agire nella direzione di Gijon che non le truppe dislocate nel settore orientale asturiano, oggi alle prese con notevoli difficoltà di terreno. Sembra che Aranda chieda artiglierie. In proposito Goering domanda se, data l'attuale situazione di riposo delle Divisioni italiane, oggi adunate nel retrofronte aragonese, non sarebbe possibile inviare provvisoriamente le batterie italiane nella zona di Oviedo, per cercare di risolvere al più presto la situazione asturiana e rendere libere le Truppe di Franco del settore Nord allo scopo di permettere il loro concentramento per la futura grande azione diretta a cercare di disgiungere Valencia dalla Catalogna. Altrimenti, egli aggiunge, perché non lasciare verso Gijon un velo protettivo, sufficiente per fermare qualsiasi velleità offensiva degli Asturiani, oggi totalmente privi, tra l'altro, di forze aeree, e concentrare lo stesso tutte le forze nazionaliste per quella nuova operazione verso il mare?

Oggi la situazione asturiana comincia a divenire preoccupante per l'indecisione che sembra regnare in seno ai Comandi, indecisione che minaccia di far rinviare alle calende greche, e cioè a primavera, ogni altra iniziativa. Per tale motivo -ha concluso-egli si era deciso ad avere un colloquio con il Marchese di Magaz, nel quale aveva usato termini (sono le parole di Goering) che, se non fossero stati ispirati all'alto fine di facilitare la vittoria di Franco, potevano «essere apparsi quasi scorretti», tanto essi erano stati duri nei confronti dell'inazione di taluni generali spagnoli.

P.S. Troverai qui uniti i documenti, dei quali non resta traccia presso la R. Ambasciata. Unisco anche l'altro precedente documento che i Tedeschi non conoscono, per il motivo che ricordi (allusione all'Ambasciata d'Italia). Anche di questo non resta traccia 5 .

416 1 Con quel telespresso, l'ambasciatore Cerruti aveva trasmesso un rapporto (n. 1136 in pari data)

417 2 I documenti non sono stati ritrovati ma il primo di essi è sicuramente il rapporto dell'ambascia

418

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7073/147 R. Varsavia, Il ottobre 1937, ore 13,56 (per. ore 17,30).

Ho avuto ieri una conversazione con Beck, che ho voluto rivedere prima di recarmi in congedo.

417 5 Il documento ha il visto di Mussolini. Dell'altro documento a cui si fa riferimento nel post scrip tum non si è trovata traccia.

Dopo avermi ripetuto quanto aveva detto a Ginevra a Bova Scoppa (telegramma per corriere di codesto ministero n. 14220) 1 , mi ha accennato alle ragioni che lo avevano indotto a fermarsi a Parigi 2 nel recarsi in Svizzera.

In sostanza, egli mi ha detto che la sua visita aveva mirato a frustrare le manovre sovversive che sfruttando «la fobia dell'isolamento» da cui è affetta la Francia, cercavano di legarla più completamente alla politica sovietica. Egli ha voluto così dare l'impressione a Parigi che oltre il suo Patto di mutua assistenza con Mosca vi è sempre la vecchia Intesa con Varsavia. D'altra parte, a questo riguardo credo utile riferire che il nunzio apostolico monsignor Cortesi mi ha a sua volta informato che aveva chiesto in questi giorni al signor Beck quale fosse lo stato dei rapporti franco-polacchi. Al che questo ministero Affari Esteri aveva risposto che dette relazioni «sono esattamente quelle che risultano dal Trattato di alleanza difensiva e che oltre di queste nulla vi è né vi sarà mai».

Tuttavia è ben possibile che nelle intenzioni del signor Beck il viaggio di Parigi dovesse servire anche come richiamo dimostrativo alla Germania per farle considerare l'opportunità di non alterare, per le contingenti questioni relative al trattamento delle minoranze, la base dei rapporti ufficiali fra Berlino e Varsavia, costituita dal noto Patto di non aggressione polacco-tedesco 3 .

Comunque, il viaggio di Beck a Parigi costituisce recente prova della politica di cauto equilibrio dalla quale la Polonia, stretta nella morsa della propria situazione geo-politica, sembra non volersi discostare.

417 4 Non rintracciato.

419

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7083/685 R. Salamanca, 11 ottobre 1937, ore 22,40 (per. ore 7 del 12).

Mio telegramma n. 680 1•

Secondo informazioni avute da questo Gabinetto diplomatico, a giorni avrà luogo scambio di note che accreditano un incaricato commerciale britannico presso il governo di Burgos. In pratica questi avrà funzioni incaricato d'affari, ed avrà alle sue dipendenze alcuni funzionari aventi funzioni consolari. Verrà subito trattato un modus vivendi commerciale. La Spagna offre inoltre all'Inghilterra, oltre al

modus vivendi, lo svincolo di alcuni vapori britannici attualmente in potere dei Nazionali e la liberazione di prigionieri. Tanto il modus vivendi, quanto le altre questioni citate verranno trattate a parte, e le note non ne faranno cenno.

418 1 T. per corriere 14220/c. P. R. del 15 settembre. Ritrasmetteva il D. 331. 418 2 Beck aveva sostato dal 7 al 9 settembre a Parigi dove aveva avuto alcuni colloqui con Delbos che, secondo quanto riferiva l'incaricato d'affari Scaduto. avevano contribuito a migliorare i rapporti franco-polacchi, turbati dalle preoccupazioni suscitate nei dirigenti francesi dalla stretta amicizia polacco-romena (T. per corriere 6374/0313 R. dell'Il settembre). 418 3 Trattato tra Germania e Polonia del 26 gennaio 1934 (testo in DDT, serie C. vol. II, D. 219). 419 1 T. 7021/680 R. dell'8 ottobre. L'ambasciatore Viola aveva comunicato di avere appreso «da fonte quasi ufficiale» che, come risultato dei laboriosi negoziati condotti a Saint Jean de Luz dal capo del Gabinetto diplomatico, Sangroniz, con l'ambasciatore di Gran Bretagna, era imminente la nomina di «un rappresentante ufficioso britannico con qualifica di incaricato d'affari>> presso il governo del generale Franco. «Le evidenti riserve con cui Franco ha ultimamente accolto le nostre proposte di ulteriori aiuti militari e navali>>-osservava l'ambasciatore Viola «nonché le sue ripetute raccomandazioni di prudenza e discrezione nell'attuarli onde evitare complicazioni internazionali mi sembrano doversi porre anzitutto in relazione con l'esistenza dei predetti negoziati e con la sua preoccupazione di condurli a buon fine>>.

420

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

PROMEMORIA 1 . Roma, 11 ottobre J.937.

Ieri l'altro, nel pomeriggio, ho visitato l'ambasciatore di Turchia. Il colloquio è caduto sulla Convenzione di Montreux. Mi ha chiesto se e quando avremmo aderito.

Gli ho detto che egli conosceva la situazione. Avevamo aderito in fatto dopo le dichiarazioni di V.E. a Milano ad Aras. Per la adesione di diritto oltre la accettazione delle due riserve a suo tempo formulate 2 , occorreva attendere che maturasse la situazione internazionale che egli conosceva. Egli ha replicato che riteneva essere errore per noi tardare la adesione di diritto.

Egli riteneva potesse presentarsi un momento in cui i firmatari della Convenzione potessero essere convocati per una impreveduta situazione. Allo stato presente tale convocazione non avrebbe potuto estendersi a noi. Era tratto ad immaginare tale futura eventualità in rapporto alla situazione mediterranea che avrebbe potuto presentare inimmaginabili sviluppi, posto che, secondo quanto Aras gli aveva detto, Francia ed Inghilterra erano decise ad arrivare rapidamente ad una soluzione nella questione spagnola e forse esercitare su di noi una pressione per arrivarvi. In questo caso, se si fossero prodotti nuovi incidenti, la questione degli Stretti avrebbe potuto ripresentarsi e perciò la eventualità della convocazione dei firmatari di Montreux.

Ho risposto che non avevamo partecipato a Montreux per motivi di carattere generale c per premesse adottate dalla nostra politica che doveva essere consequenziale. Prevedere incidenti tanto gravi da determinare la convocazione accennata era far mostra di un pessimismo che non trovava oggi fondamento. Certo non sarebbe stata la politica italiana a provocare ed affrettare simili congiunture. Minaccie di pressioni non avrebbero davvero modificato le nostre decisioni. La sua ipotesi per altro non poteva non essere tenuta presente, ed aveva un valore che non potevasi trascurare. La avrei perciò fatta mia.

Ritengo che l'ambasciatore di Turchia nel formularla sia stato spinto anzitutto dal desiderio di vederci aderire al più presto a Montreux ed averne merito. Ma non c'è dubbio che la eventualità cui egli ha accennato non va messa in disparte. Già appena si verificarono i siluramenti di due navi spagnole 3 all'im

420 2 Vedi D. 121, nota 3. 420 3 Si riferisce all'affondamento di due mercantili spagnoli avvenuto il 17 e il 19 agosto a largo dell'isola di Tenedo.

bocco dei Dardanelli la proposta di eventuale convocazione dei firmatari di Montreux fu avanzata da qualche giornale turco. Tale proposta si rinnoverebbe certo per un qualsiasi aggravarsi della situazione mediterranea od il prodursi di un inatteso incidente.

Credo quindi doveroso esporre per ogni buon fine quanto precede all'E.V. che può valutare sino a qual punto siano giustificate ipotesi pessimiste quali quelle di Husseyin Ragip.

Vero è che Aras a Milano mi disse che alla Conferenza di Nyon Francia ed Inghilterra erano arrivate col deliberato proposito di ottenere una rapida soluzione della questione spagnola, che era la prima volta che una conferenza si riuniva a Ginevra o comunque sotto l'egida anche indiretta di Ginevra con le armi affilate alla porta. Però simili oscure previsioni di Aras debbono essere valutate in rapporto all'uomo che'le ha pronunciate e sono in parte voluta manovra diretta ad impressionarci. È questo il motivo che mi ha trattenuto dal comunicarle finora all'E.V.

Per la nostra adesione a Montreux, naturale in occasione della visita di V.E. ad Ankara, non ho elementi per dire se, circostanze future giustificandola anche indipendentemente dalla predetta visita, a quale occasione potrebbe oggi essere riannodata.

Ho chiesto ad Husseyin Ragip sulla situazione interna. Mi ha risposto che i segni di benevolenza di Ataturk verso Ismet Inonii si sono più volte ripetuti, che Ismet dà ogni consenso a Cela! Bayar. Si farà per il novembre un nuovo Gabinetto. Non sa se e quali mutamenti si faranno. Non crede però che Aras sia toccato e conclude: sarà un ministero Ismet senza Ismet ma con l'appoggio ed il consiglio di Ismet.

420 l L'ambasciatore Galli si trovava in congedo in Italia.

421

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 4293. Londra, 11 ottobre 1937. 1

Ricevo stamane il Tuo telegramma 2 in relazione a quanto mi hai riservatamente comunicato con lettera personale del 18 settembre 3 . Come ricordi, questa tua lettera giunse a Londra il mattino del 20 settembre, quando la situazione creata dall'Accordo franco-britannico di Nyon aveva già superato il suo momento acuto e una relativa distensione si era già determinata in seguito all'offerta franco-inglese e alla nostra accettazione di partecipare al Convegno di Parigi per la revisione delle decisioni prese a Nyon e a Ginevra una settimana prima. Quella stessa mattina comunicandoti per telefono le mie impressioni feci presente l'opportunità, per un esame complessivo della situazione, di attendere il ritorno del Duce

421 2 Ciano, non essendo giunto alcun riscontro alla sua lettera, aveva sollecitato una risposta con T.

s.n.d. 15892/350 P.R. del l O ottobre. 421 3 Vedi D. 355.

dall'imminente viaggio in Germania dato che tale storico avvenimento avrebbe

avuto, come ha avuto di fatto, delle ripercussioni profonde, delle quali occorreva

evidentemente tenere il massimo conto.

La precipitazione con cui i Governi di Parigi e di Londra hanno fatto a Roma il passo di sabato 2 corrente 4 , quando ambedue i Governi già conoscevano, per averla noi comunicata in precedenza, l'accoglienza negativa che noi a tale passo avremmo riserbato, e la campagna giornalistica d'intimidazione e di minacce con cui tale passo è stato accompagnato, sono in gran parte il frutto del dispetto franco-inglese per le trionfali giornate del Duce a Monaco e a Berlino, e rappresentano un grottesco tentativo inteso a distogliere l'attenzione e l'interesse dell'Europa dal superbo spettacolo di solidarietà offerto la settimana scorsa dai due Regimi Fascisti. Il diversivo, meschino e grottesco, al momento in cui scrivo, ha già avuto il destino che meritava, ed ha fornito una nuova solenne prova della solidità dell' Asse Roma-Berlino. Il Duce ha fatto molto bene a lasciare per una settimana intera francesi e inglesi a cuocersi nel loro brodo acido e infine a scegliere il mezzogiorno di sabato per la consegna della risposta 5 . Non v'è nulla che scombussoli di più gli Inglesi che il vedersi improvvisamente obbligati, nella giornata di sabato, a occuparsi di una cosa importante, quando cioè lo spirito britannico è in vacanza come un motore senza magnete e privo per le 48 ore successive di qualsiasi capacità di una seria e meditata reazione. Il documento che Tu hai consegnato a Drummond e all'Incaricato d'Affari francese è un documento di una fermezza e di una abilità che tutti, compresi i nostri nemici, non hanno potuto fare a meno di mettere in rilievo. Se la direttiva è evidentemente del Capo, la redazione e la costruzione del documento è Tua. Ne riconosco la tecnica e lo stile. Desidero di farti i miei complimenti sinceri. La nostra risposta, come Tu del resto avrai potuto vedere dalla lettura del mio fonogramma stampa di ieri e di oggi, che è lo specchio fedele della situazione, ha «decantato» o meglio «sgonfiato» di colpo la montatura artificiosa che la stampa ufficiosa britannica aveva creato attorno al passo franco-britannico. Tale campagna intimidatoria e provocatoria è stata, come ho già scritto, ispirata dallo stesso Foreign Office allo scopo di «non lasciare soli di fronte all'Italia i nostri alleati francesi». Non intendo dire che la situazione sia risolta. No affatto. La ferma e abile risposta italiana ha tuttavia arrestato. disorientato il nemico, e ristabilito l'equilibrio. Da ieri vi è una battuta di attesa e, nei circoli inglesi, la sensazione diffusa che Eden e il Foreign Office erano andati troppo in là nel fare .causa comune col Fronte Popolare e collo Stato Maggiore francesi. I giornali ufficiosi ripetono oggi che Chamberlain arriverà stasera a Londra e che Eden il quale si trova in Scozia a caccia col Re non sarà qui prima di domani sera. Il Gabinetto non si riunirà se non nella giornata di mercoledì secondo il previsto. Le persone che ho visto stamane e i miei informatori nella City e in Fleet Street mi riferiscono concordemente che mentre venerdì e sabato mattina il discorso misurato e guardingo pronunciato da Chamberlain a Scarborough6 aveva avuto un'accoglienza piuttosto fredda per non dire gelida da parte non solo delle sinistre ma anche delle

421 5 Vedi D. 413. 421 6 Vedi D. 411.

destre, stamane tutti facevano l'elogio di Chamberlain per essere stato l'unico a rendersi tempestivamente conto della delicata situazione e per essersi rifiutato di lasciarsi trascinare, come certamente avrebbe fatto Baldwin, dall'atmosfera eccitata del Congresso del Partito Conservatore e dalla manifestazione di simpatia e solidarietà fatta dal Congresso all'indirizzo di Eden, e di aver lasciato invece a quest'ultimo il peso e la responsabilità dell'azione nei confronti dell'Italia.

La situazione è dunque oggi riportata, dopo la risposta italiana, al suo punto di partenza. Questo, date le circostanze, costituisce già un notevole successo, sia pure soltanto di valore tattico, da parte nostra.

È probabile che nelle giornate prossime, a meno che avvenimenti improvvisi modifichino di nuovo inaspettatamente la situazione, assisteremo alla solita altalena alla quale stiamo assistendo periodicamente da molti mesi a questa parte. Ogni qualvolta si è registrato un peggioramento nelle relazioni italo-britanniche, il Governo Francese (nelle sue tre espressioni fondamentali: Fronte Popolare, Stato Maggiore e Quai d'Orsay) ha cercato immediatamente di profittarne e di trascinare l'Inghilterra a posizioni così avanzate contro l'Italia da rendere poscia difficile se non impossibile per l'Inghilterra di ritrarsi decentemente. Costituire finalmente il blocco armato delle due democrazie obbligando l'Italia a scegliere fra l'umiliazione e la guerra: questo lo scopo dell'azione francese, e questo è accaduto dopo Malaga e Guadalajara, dopo l'Incoronazione, dopo Bilbao, dopo Santander, dopo gli incidenti nel Mediterraneo e Nyon. L'Inghilterra ha sempre da principio aderito e si è poscia sempre -almeno sino ad oggi -rifiutata all'ultimo momento di seguire la Francia nel gioco pericoloso. Ma di questo parlerò più avanti, a proposito di uno dei quesiti che Tu mi poni nella tua lettera del 18 settembre, e cioè che cosa vi è dietro le quinte di Nyon.

Vengo precisamente ora ad esaminare i punti della tua lettera, di cui Ti sono grato perché essa mi fornisce alcuni dati necessari per comprendere i prossimi avvenimenti. È impossibile fare un esame di una situazione se manca il punto di partenza fondamentale, e cioè la conoscenza del limite e dell'estensione presumibile della nostra azione. I quesiti posti nella lettera del 18 settembre sono i seguenti: «Il Capo vuol conoscere da Te ciò che è l'effettivo stato d'animo inglese, e quanto c'è dietro le quinte da Nyon in poi. Occorre sapere per tempo quali sono le intenzioni britanniche, e ciò per fissare alcuni provvedimenti per i quali è indispensabile avere tempo e vantaggioso prendere l'iniziativa».

Per quello che riguarda il primo quesito, non mi è difficile rispondere. Io non ho la presunzione che il Capo abbia avuto il tempo e la pazienza di leggere i miei numerosi rapporti su questo argomento. Ho voluto, per scrupolo, rileggere attentamente tutto quello che ho scritto da un anno a questa parte da Londra sulla questione spagnola e sul maturarsi progressivo di quello che è, per effetto della nostra necessaria azione militare in !spagna, lo stato d'animo inglese nei nostri riguardi. L'ho fatto per vedere se, esaminando la situazione a ritroso, io avevo detto tutto e anche se avevo colto nel segno in quelli che sono stati man mano i miei giudizi, le mie interpretazioni e anche le mie previsioni di osservatore pacato e attento. Mi pare veramente di aver detto tutto, e di avere corso in pieno il rischio di cui parla il noto aforisma toscano: «l'unico modo per annoiare la gente è di dire tutto». Né avrò adesso certamente il cattivo gusto di ricalcare quello che ho scritto in materia di questione spagnola durante dodici mesi. Non ve n'è d'altra parte alcun bisogno: la situazione. è di un'ovvia chiarezza, e a tre settimane da Nyon essa non è certamente mutata da quella che ho esposto al Capo nell'udienza che Egli mi ha concesso, Te presente, l'Il settembre u.s.

All'inizio del 1937 mentre il capitolo «Abissinia» stava per chiudersi fra noi e l'Inghilterra, un altro capitolo «Spagna» si è aperto, e l'Italia non poteva fare a meno di aprirlo: questo secondo non certo meno drammatico del precedente. Tu ricordi esattamente la svolta improvvisa che si è verificata nei rapporti italo-inglesi quando le nostre truppe legionarie, subito dopo sbarcate in suolo iberico, hanno conquistato Malaga. Dal febbraio a oggi vi è stata tutta una serie di congelamenti, sgelamenti e ricongelamenti. Ogni vittoria italiana in Spagna è stata un colpo sempre più duro per gli Inglesi. Nella questione spagnola lo stato d'animo inglese è decisamente ostile all'Italia. Le differenze o meglio le gradazioni in questo sentimento di ostilità sono dovute piuttosto al modo di esprimersi delle diversi correnti politiche, ma tali differenze sono, nella sostanza, appena apprezzabili. Durante i diciotto mesi del conflitto italo-abissino o meglio, per essere più esatti, del conflitto italo-britannico, vi sono stati sempre in Inghilterra dei gruppi politici a noi favorevoli. Questi gruppi politici, nei momenti più delicati, hanno con il loro intervento, neutralizzato efficacemente, in seno al Parlamento, nello stesso Gabinetto e nella pubblica opinione, la campagna di eccitazione anti-italiana e anti-fascista delle sinistre. Questi gruppi politici che noi abbiamo allora denominato per semplificazione «i'anti-sanzionismo britannico», sono andati man mano ingrossando fino al punto di guadagnare il membro più influente del Gabinetto Baldwin, Neville Chamberlain, alla cui pressione dentro ma soprattutto fuori del Gabinetto si dovette nel giugno 1936 la decisione del Governo Britannico di abolire le sanzioni. In materia di Spagna sono invece tutti d'accordo, dai Die-hards dell'estrema destra fino ai radicali dell'estrema sinistra, nel considerare l'azione italiana in !spagna come un pericolo in atto per quelli che gli Inglesi chiamano «gli interessi vitali». Questi, e non certo le ideologie, sono stati sempre gli stimoli che hanno mosso con moto lento ma uniformemente accelerato la riluttante pacifistica anima del popolo britannico.

Anche lo spirito popolare ha subìto durante quest'anno un cambiamento sensibile. Durante il conflitto abissino le manifestazioni anti-italiane, organizzate dalle frazioni pacifiste societarie c anti-fasciste, erano frequenti e rumorose, ma il grosso pubblico britannico non si è mai lasciato prendere dalla propaganda anti-italiana. Oggi queste manifestazioni rumorose dell'antifascismo si sono fatte assai rare, ma lo spirito pubblico (sopratutto dall'Incoronazione in poi) è divenuto freddamente ostile, per non dire francamente nemico. Nel 1935 e 1936 Mussolini era o applaudito o fischiato nei cinematografi inglesi. Oggi l'apparire del Duce è salutato da un silenzio freddo e ostile. Gli Inglesi, nel popolo come nella classe dirigente, considerano ormai l'Italia come il nemico potenziale n. l. Tutto quello che era il peso ragguardevole di odio, di rancore e di timore nutrito fino a qualche tempo fa dagli Inglesi verso la Germania nazista si è spostato sull'Italia fascista.

Durante le sanzioni, eccezione fatta per una scarsa minoranza, l'ipotesi di una guerra fra l'Inghilterra e l'Italia non era considerata come un'eventualità possibile. Uno dei tanti motivi del nostro successo è stato appunto quello di costringere gli Inglesi a considerare la guerra come una conseguenza quasi fatale della loro politica. Ciò è bastato per vedere immediatamente gli Inglesi ritrarsi preoccupati e fare di tutto onde allontanare questa eventualità. Oggi la situazione è diversa. L'ipotesi di una guerra fra Italia e Inghilterra è considerata fra le eventualità probabili. Il pubblico pur mostrando di rendersi conto delle difficoltà e dei pericoli per l'Inghilterra di un conflitto coll'Italia, ne discute nondimeno come di una calamità che può diventare necessario di affrontare.

In questa situazione politica e psicologica non vi è da meravigliarsi se l'onesto e coraggioso tentativo fatto da Chamberlain alla fine di luglio, diretto a superare una volta per sempre il punto morto delle relazioni italo-britanniche sia, almeno per il momento, fallito.

Chamberlain è uomo duro, tenace, con un programma preciso, esattamente l'opposto di Baldwin. Non si darà per vinto, e se l'occasione si presenterà, egli, ne sono certo, ritenterà quello che ha fatto alla fine del luglio scorso: la riconciliazione coll'Italia è per Chamberlain un successo di politica estera, ma soprattutto di politica interna. La riconciliazione coll'Italia significa per Chamberlain la sconfitta di Eden. Quest'ultimo ormai non gioca più a successore bensì a concorrente di Chamberlain. Ma Chamberlain deve stare guardingo. La posizione sua, del Gabinetto, della maggioranza conservatrice è tutta basata su un equivoco politico. Il paese, o meglio !'«elettorato» (l'Inghilterra è ancora una democrazia, schifosa, ma democrazia) non è nella maggioranza conservatore, bensì liberale, radicale e socialista. Questo elettorato ha votato per Baldwin e per Eden perché questi due leaders conservatori si sono presentati alle masse elettorali travestiti da liberali, da societari, da sanzionisti e da antifascisti. Con questo trucco i conservatori hanno riguadagnato il potere nel novembre 1935. Alla frazione dei conservatori di destra che rimproveravano a Baldwin e a Eden di avere, colla loro stolta politica, contribuito alla creazione dell'Impero Fascista in Africa, Baldwin ha cinicamente risposto: «Il Partito conservatore non ha diritto di rimproverarmi. L'Etiopia a Mussolini era il prezzo che noi conservatori dovevamo pagare per guadagnare le elezioni». l laburisti sono stati giocati, ma l'equivoco politico è rimasto. Su questo equivoco si basa tutta la forza di Eden, la cui posizione di prestigio personale è indubbiamente cresciuta, invece di diminuire, durante quest'ultimo anno di conflitto spagnolo, e su questo equivoco si basa anche la debolezza di Chamberlain, il quale è il Capo di un Governo conservatore eletto da elettori, liberali-socialisti, i quali alla loro volta considerano Eden come il capo della futura coalizione di sinistra. Tutto questo, per noi fascisti, sembra romanzo giallo, ma è l'Inghilterra, e di tutto ciò non si può fare a meno di tener conto per valutare i motivi e quindi gli scopi e anche i limiti di quelle che appaiono a prima vista le inspiegabili mosse a zig-zag della politica inglese.

Tu ricordi con quanta sorda contrarietà Eden e il Foreign Office abbiano accolto, o meglio, abbiano subito l'iniziativa di Chamberlain del luglio scorso e lo scambio di lettere fra Chamberlain e il Duce7 . Il F oreign Office ha cercato di prendere il sopravvento su Downing Street non appena che esso ha potuto: pretesto sono stati gli incidenti nel Mediterraneo, e particolarmente quello alla nave da guerra britannica Havoc 8• Se non vi fossero stati questi incidenti, il pretesto sarebbe stato, assai probabilmente, un altro, o quanto meno Eden, Vansittart e soci avrebbero fatto certamente tutto il possibile per determinarli.

Tu mi domandi quanto c'è dietro le quinte di Nyon. Nyon altro non è se non il tentativo, questa volta riuscito, da parte di Eden e del Foreign Office, di riprendere il controllo e l'iniziativa della politica estera britannica che Chamberlain era riuscito alla fine di luglio ad avocare esclusivamente a sé. Essi hanno ripetuto, sia pure in misura limitata, in margine agli incidenti mediterranei dell'agosto, il gioco torbido fatto, su scala ben più vasta, in margine alle sanzioni. L'inquietudine e l'allarme determinatisi in Inghilterra dai cosidetti incidenti mediterranei, accuratamente esagerati e artificiosamente ingranditi dagli Uffici Stampa del Foreign Office, hanno servito all'antifascismo di Eden ed ai fanatici dell'alleanza militare colla Francia per rappresentare l'iniziativa di Chamberlain del luglio per una riconciliazione coll'Italia come intempestiva, fino a tanto che perdura la crisi spagnola, e per perfezionare nello stesso tempo nel campo navale e mediterraneo quegli accordi militari tra Francia e Inghilterra che furono iniziati da Hoare-Laval il 10 dicembre 1935 e sviluppati in seguito negli accordi fra gli Stati Maggiori francese e britannico dopo l'occupazione tedesca della Renania e la denuncia del Trattato di Locarno.

Da un'inchiesta da me fatta personalmente mi è risultato che tutte le false notizie, e i titoli sensazionali nei giornali inglesi relativamente al mancato siluramento (è mai effettivamente avvenuto?) del Havoc, e le pretese responsabilità italiane, sono venuti proprio dal Foreign Office, il quale invece di calmare ha artificiosamente durante quei giorni eccitato la campagna contro l'Italia. È lo stesso Vansittart il quale ha accompagnato, cosa assolutamente per lui insolita, Eden a Nyon, e a Nyon ha premuto e spinto Eden ad accedere alla richiesta francese di firmare senz'altro l'accordo che mettesse l'Italia davanti al fatto compiuto dell'alleanza navale in atto tra Francia e Inghilterra nel Mediterraneo, alleanza che è stata subito presentata al pubblico britannico come determinata dalla necessità di difendere la bandiera commerciale inglese dall'attività piratesca dell'Italia. Una volta realizzato questo, è lo stesso Vansittart il quale ha poscia premuto a Parigi perché i Francesi, imbaldanziti dall'inatteso appoggio inglese, non facessero difficoltà ad accogliere la richiesta italiana di parità e a dare soddisfazione all'Italia, promettendo in compenso l'appoggio a fondo, richiesto a sua volta dal Governo francese, nella questione del ritiro dei volontari. Tutta questa attività di Vansittart, complicata, paradossale, confusionaria, fuori della realtà e della ragione, contribuisce ad aumentare la confusione in quello che è già di per se stesso il gioco confuso, delicato e complicato dei rapporti italo-britannici.

In questa situazione psicologica e politica anormale, tutti i giorni sono buoni, per così dire, perché noi e gli Inglesi veniamo seriamente alle mani nel Mediterraneo, anche senza averne, né noi, né gli Inglesi la premeditata intenzione. Il Duce ha fatto molto bene a mandare tre Divisioni in Libia e a fissare tutti i provvedimenti necessari per fronteggiare qualsiasi eventualità.

Quando giungono qui le notizie che partono nostre truppe per la Libia, ossia per la frontiera dell'Egitto, gli orecchi si fanno attenti e gli spiriti si calmano. Sopratutto se ciò avviene, come il Duce ha ordinato, in silenzio e colla pacata metodicità di provvedimenti che appartengono all'ordinaria amministrazione. Ciò è soprattutto quello che fa più impressione agli Inglesi, i quali non rispettano se non quello che temono, ossia la forza dura, diretta e silenziosa. Quando cinque giorni or sono un giornale ha qui pubblicato la notizia della chiamata alle armi in Italia di tre Classi, io, richiesto da molte parti, non ho, né confermato, né smentito la notlZla. Più noi mostriamo che crediamo alla possibilità di una aggressione franco-inglese contro di noi, e che siamo freddamente decisi e pronti a fronteggiare la guerra. provocata dagli altri, più gli inglesi faranno il possibile per allontanare questa eventualità, la quale tuttavia nel momento presente e per ragioni obbiettive, non è, ripeto, un'eventualità da escludersi senz'altro.

Quanto ho detto sopra risponde in buona parte anche al secondo quesito posto dalla tua lettera, circa le effettive intenzioni inglesi e la necessità di conoscere queste intenzioni per tempo. A questa ultima domanda, come Tu ben capisci, è difficile se non impossibile di dare una risposta. L'Inghilterra non è, come fortunatamente lo è l'Italia, un Regime totalitario, un esercito in marcia il quale altro non attende se non gli ordini di un Capo, solo a comandare c prendere le Sue decisioni secondo un piano strategico di cui Egli ha calcolato da tempo i particolari e l'insieme. L'esperienza del Luglio 1914 è ancora troppo recente: il Gabinetto Inglese ha nel breve termine di 48 ore deciso per la neutralità e, dopo averlo annunziato al mondo ha, prima che 48 ore fossero trascorse, deciso per la guerra. Questo Paese non ha mai, almeno nella sua storia recente, dominato gli avvenimenti. Sono, al contrario, gli avvenimenti i quali lo hanno dominato e lo hanno portato a decisioni precipitose dell'ultima ora, fuori di ogni disegno calcolato o previsto. Sono quindi gli avvenimenti che bisogna controllare, possibilmente, e in ciò, senza dubbio sta la pericolosità della situazione attuale. Vi sono inoltre dei fattori, per il momento fluidi che indubbiamente potranno diventare determinanti nel momento decisivo, nel dare all'azione britannica una certa direzione, ovvero la direzione nettamente opposta: questi fattori sono rappresentati dall'estensione dei nostri futuri impegni militari in !spagna; da quella che potrà essere un'eventuale azione francese diretta a neutralizzare il nostro intervento o a contrastarlo; da quella che sarà al momento decisivo la solidità degli impegni fra Londra e Parigi; e infine sino a che punto l'Inghilterra sentirà di poter contare --come oggi crede di poter contare sulla riluttanza della Germania a partecipare ad un conflitto che dovrebbe essere prevalentemente mediterraneo.

Nel momento in cui scrivo, 11 ottobre, io ritengo di poter escludere che il Gabinetto inglese, sinedrio composto di una ventina di persone le quali decidono collegialmente o per voto di maggioranza, abbia l'intenzione di fare la guerra all'Italia. Ritengo di poter escludere che Chamberlain abbia la più lontana intenzione di farlo. Al contrario sono convinto che egli non lascerà cadere (Chamberlain che ho incontrato qualche giorno fa ha tenuto ancora una volta a ripeterlo personalmente) l'iniziativa già presa lo scorso luglio per giungere ad una riconciliazione coll'Italia che egli ha riaffermato essere e rimanere un caposaldo della sua politica. Ritengo di poter escludere parimenti che l'Ammiragliato abbia la volontà o il piano, almeno in questo momento, di una guerra coll'Italia. Al contrario l'Ammiragliato continua oggi ad agire, come già nel 1935 e 1936, quale forza moderatrice del Foreign Office, intervenendo quasi sempre perché il Foreign Office agisca a sua volta come moderatore a Parigi. Mi risulta che, subito dopo Nyon, l'Ammiragliato ha esplicato un'azione decisiva in questo senso. [J comunicato dell'altro giorno di secca smentita all'asserita aggressione di un sottomarino pirata, e naturalmente italiano, contro la nave Basilisk è stato diramato dall'Ammiragliato direttamente, previa autorizzazione del Primo Ministro e contro la volontà del Foreign Office, il quale ha fatto di tutto per fermare questa pubblicazione, definendola inutile e intempestiva, ma sulla quale l'Ammiragliato ha insistito per tagliar corto ad una seconda speculazione anti-italiana che già cominciava ad inscenarsi sul tipo di quella a seguito del preteso mancato siluramento del Havoc.

Malgrado tutto ciò, un avvenimento qualsiasi potrebbe tuttavia precipitare la situazione. l margini sono andati restingendosi e le resistenze diminuendo: non vi sarebbe da stupirsi se uno stato di tensione effettivamente acuta provocasse un'accensione automatica.

Verificandosi queste eventualità è mia convinzione che l'Inghilterra si batterebbe fino in fondo. L'Inghilterra è ancora ben !ungi dall'essere preparata e armata quale essa si ripromette e come sarà, ma è certo che questi due anni di febbrile preparazione industriale, meccanica e anche morale 9 , hanno dato agli Inglesi una confidenza e una fiducia in se stessi, confidenza e fiducia che essi certamente non avevano nell'agosto del 1935 quando all'apparire delle due Divisioni italiane alla frontiera egiziana, l'Inghilterra, per la prima volta dopo Trafalgar, si è trovata improvvisamente nell'alternativa di scegliere tra il pericolo di una guerra mediterranea a cui non era preparata nelle armi e negli spiriti, e l'umiliazione, scegliendo alla fine quest'ultima. Non mancano tra gli stessi conservatori coloro i quali ritengono che bisogna profittare di questo momento in cui la Francia sembra voler prendere l'iniziativa di una politica di forza, in cui la Germania non è militarmente pronta e la solidarietà fra l'Italia e la Germania, a loro avviso, non ancora perfezionata, per risolvere !'«incubo Mediterraneo». Costoro sono pochi e la loro voce priva, in questo momento, di autorità: ma ci sono.

Questi sono in sostanza gli elementi della situazione, che soltanto il Duce, nel Suo istinto divinatore, può pesare e valutare, alla luce di altri e certo più importanti e decisivi elementi che Egli solo conosce.

Il fallimento del grottesco ultimatum franco-britannico, fallimento determinato dalla nostra risposta di avantieri, ha rimesso di colpo nelle mani dell'Italia l'iniziativa dell'azione internazionale.

Le guerre più dure a vincersi sono quelle che bisogna vincere giorno per giorno.

Continuerò a riferirti tutte le novità, che siano di qualche effettiva importanza, e che potranno scaturire nei prossimi giorni i quali si annunciano certamente non privi di interesse 10 .

421 1 Manca l'inditazione della data d'arrivo.

421 4 Vedi D. 388.

421 7 Vedi D. 136, allegato e D. 155, allegato. 421 8 Vedi D. 274 e D. 278, nota 2.

422

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7091/89 e 7093/90 R. Bruxelles, 12 ottobre 1937, ore 1,50 (per. ore 6).

Mio telegramma n. 86 1 .

421 IO Il documento ha il visto di Mussolini. 422 I T. 7434/86 R. del 9 ottobre. Riferiva su un colloquio con Spaak che aveva preannunciato una dichiarazione del governo tedesco relativa all'intangibilità territoriale del Belgio.

Spaak mi ha riassunto dichiarazione tedeschi intenderebbero fare giovedì prossimo ed alla quale governo belga risponderebbe negli identici termini che usò in replica alla nota franco-inglese del 24 aprile2•

Non riassumo nota tedesca che a V.E. sarà pervenuta già da Berlino 3 .

Spaak mi ha informato che nelle ultime settimane Berlino si era offerto di procedere alla riassuntami dichiarazione, presentandone pure il preciso testo, che egli aveva accettato senza osservazione.

Ho chiesto a Spaak perché avesse rinunziato al progetto di carattere collettivo espostomi prima del mio congedo e di cui al mio telegramma per corriere 067 del 18 giugno4 . Spaak ha replicato:

l) che quel suo progetto, della cui importanza si rendeva tuttora conto, non aveva potuto realizzarsi a causa dell'opposizione da parte della Francia, timorosa di diminuire così le probabilità di successo del Patto Occidentale;

2) che inoltre era apparso che l'ultima nota locarnista francese ed inglese non aveva fatto progredire in alcunché la questione generale, mentre al Belgio, anche in vista della situazione internazionale, premeva di definire al più presto il suo statuto;

3) che nel frattempo il Reich aveva manifestato la decisione formale di procedere alla dichiarazione suesposta, alla quale egli aveva creduto aderire senz'altro. La ragione della sua adesione era poi la convinzipne che l'atto della Germania rappresenta un assai importante passo verso quella auspicata integrale sistemazione dell'equilibrio del Belgio, di cui un analogo passo italiano sarebbe eventualmente il desiderabile coronamento.

Ho notato che Spaak parlando delle dichiarazioni unilaterali di cui sopra ha tenuto, con evidente riferimento ad una eventuale similare azione dell'Italia, a far apparire: l) che tali dichiarazioni non costituirebbero patti bilaterali; 2) che essi sarebbero «spontanee» manifestazioni di Londra, Parigi e Berlino in obbedienza ai diretti loro rispettivi interessi di salvaguardare intangibilità frontiere del Belgio.

421 9 Qui Mussolini ha segnato a lato un punto interrogativo.

423

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1706/380 R. Roma, 12 ottobre 1937, ore 12,45.

Suo telegramma n. 376 1 .

422 3 Vedi D. 415, nota 5. 422 4 T. per corriere 4207/067 R. del 18 giugno, non pubblicato. Spaak aveva espresso la sua preferenza per un patto sottoscritto da Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia per il rispetto dell'indipendenza e dell'integrità del Belgio. 423 ' Vedi D. 409.

Ringrazi Neurath della sua cortese comunicazione e gli dica che ho esaminato subito il testo della dichiarazione per il Belgio trasmessami da V.E. con il rapporto

n. 4780 del 9 corrente 2 .

In conformità della posizione da noi assunta in materia, delle assicurazioni date dal Belgio e delle intese che esistono tra i nostri due governi, sono pronto, qualora il Belgio ne esprima il desiderio, a considerare la possibilità di una nostra dichiarazione identica a quella tedesca. Questo soprattutto per mantenere il parallelismo nell'azione dei nostri due governi, per questa come per le altre questioni che interessano la sicurezza dell'Europa Occidentale.

Dovrei ritenere che il governo tedesco sia in tale ordine di idee, considerato anche quanto è detto al paragrafo 2 della nota tedesca e cioè che l'inviolabilità e integrità del Belgio sono un comune interesse per le Potenze occidentali.

In ogni modo, nel ringraziare Neurath, lo preghi anche di farmi conoscere se una nostra dichiarazione al Belgio identica a quella tedesca sarebbe di gradimento della Germania 3 .

422 2 Vedi D. 409, nota l.

424

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, VENTURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 7118/86 R. Roma, 12 ottobre 1937 (per. i/13).

Quando si va in Segreteria di Stato è quasi impossibile evitare il tasto Germania. È il chiodo fisso della Santa Sede. Anche ieri, nella conversazione avuta con monsignor Pizzardo, dopo aver parlato di tutto un po', si è venuti a discorrere della Germania.

Il Segretario per gli Affari Ecclesiastici Straordinari mi ha fatto l'ormai solito nerissimo quadro Jella situazione dei cattolici tedeschi e dei mali che si abbatteranno sulla Germania in seguito all'affermarsi delle teorie di Rosenberg. Il Pontefice, mi ha detto monsignor Pizzardo, è sfiduciato, non vede come uscire dalla presente situazione. Hitler e i dirigenti nazionalsocialisti si son messi in testa che i cattolici vogliono fare della politica. Non è vero. La Chiesa, per dimostrare la sua buona fede, è pronta a discutere su qualsiasi onesta base. Ma col Fiihrer è praticamente impossibile trattare. Il cardinale Faulhaber, nel noto colloquio che ebbe con lui 1 , non fu in grado di svolgere la tesi della Chiesa perché Hitler lo interrqmpeva continuamente e non lasciava all'altro modo di esporre le sue ragioni.

Il Papa, sono sempre parole di monsignor Pizzardo, è un vecchio uomo che nella sua grande esperienza sa giudicare situazione e persone e difficilmente sbaglia. Di Mussolini ha grandissima, quasi cieca fiducia, di Hitler nessuna. Egli è

423 3 Per la risposta si veda il D. 429. 424 I Si riferisce all'incontro avvenuto tra il vescovo di Monaco e Hitler il 4 novembre 1936 a Berchtes gaden, sul quale si veda serie ottava, vol. V, DD. 406 e 506.

pessimista nei confronti della Germania appunto a causa della personalità del Fiihrer, che considera «un esaltato». Ad esempio, il Pontefice si rende perfettamente conto delle necessità politiche che hanno creato l'asse Roma-Berlino. Gli assurdi atteggiamenti ideologici del nazionalsocialismo, indebolendo moralmente la Germania e quindi di rimbalzo la forza dell'Asse stesso, fanno però il gioco degli avversari del fascismo, i quali ci piantano sopra la solita campagna di principi.

Quello che monsignor Pizzardo non mi ha detto, ma traspariva dal suo discorso, è che la Santa Sede, potenza spiritualmente mondiale, si trova in una posizione imbarazzante.

Essa non può prescindere, nei suoi orientamenti, dall'opinione della grande massa dei cattolici del mondo. Se il cattolicismo, anzi il cristianesimo, fossero in Germania rispettati come lo sono in Italia, le possibilità di manovra del Vaticano sarebbero assai facilitate. Così invece le correnti contrarie al fascismo, esistenti in seno alla Chiesa, vengono rafforzate, malgrado la indubbia buona volontà degli attuali dirigenti della politica vaticana. Tutto ciò ho ritenuto opportuno di dire, pensando anche al futuro. Se a breve scadenza dovesse esserci un conclave, l'Italia corre il rischio di vedere eletto un Papa di sentimenti ben diversi da quelli di Papa Ratti.

423 2 Vedi D. 415.

425

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE SEGRETO 7130/0) 08 R. Berlino, 12 ottobre 1937 (per. il 14).

Ho trasmesso subito al signor von Weizsiicker la richiesta di cui a comunicazione telefonica ministro Buti (menzionare nel comunicato relativo alla dichiarazione germano-belga che l'Italia è stata tenuta al corrente). Weizsacker mi ha obiettato che comunicato risultavagli ormai concordato tra i due governi in maniera definitiva.

Ho insistito perché: l) occorrendo fosse consultato anche governo belga; 2) che, ove impossibile nel comunicato principale, si provvedesse mediante comunicato separato.

Weizsiicker mi comunica oggi Auswartiges Amt essersi decisa per seconda alternativa, tanto più che data scambio note è stata -per evidenti ragioni opportunità e soprattutto dato prematuro serpeggiare indiscrezioni -riportata nuovamente a giorno 13, vale a dire domani mattina. Che anzi, Neurath arrivando solo domani sera, scambio note -pur figurando come fatto dal ministro -sarà materialmente (prego considerare questa notizia segreta) eseguito da Mackensen 1•

425 1 Da un appunto di Gabinetto in pari data risulta che Attolico aveva comunicato subito per telefono il contenuto di questo documento aggiungendo il suggerimento «che la stampa italiana metta in rilievo come la dichiarazione tedesca vale a marcare lo sganciamento del Belgio dalla Francia e dall'Inghilterra». Questa frase è stata sottolineata da Mussolini che ha posto il suo visto sul documento.

426

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4805/1563. Berlino, 12 ottobre 1937 (per. il 14).

Ho chiesto stamane al signor Weizsiicker se sapesse qualche cosa delle dichiarazioni dell'ambasciatore di Germania a Nanchino di cui al telespresso di V.E. del 9 ottobre n. 235041 1•

Il signor Weizsiicker mi ha detto di non saperne assolutamente nulla, e che anzi, dato l'interesse portato alla cosa da V.E. -che ne aveva parlato anche a von Hassell2 -egli si proponeva di chiedere in proposito dei chiarimenti all'ambasciatore. Egli faceva comunque osservare che le frasi attribuite a quel diplomatico e cioè: «profonda simpatia per la prodezza dimostrata dai cinesi nella lotta contro il Giappone»; «commossi sentimenti per le perdite subite dal popolo cinese durante lepresenti ostilità»; «ammirazione per il coraggio e la bravura dei soldati cinesi»; «speranza che la Cina supererà la crisi avviandosi sulla via della pace e della prosperità», possono benissimo essere l'amplificazione di qualche espressione di cortesia evidentemente naturale per un rappresentante della Germania in Cina.

In ogni modo, ripeto, egli si riservava di assumere ulteriori informazioni in merito. Comunque egli poteva assicurare non trattarsi di alcuna dichiarazione da Berlino.

Ciò premesso, reputo però opportuno chiarire nell'occasione all'E.V. che effettivamente la situazione della Germania vis-à-vis del conflitto sino-giapponese non è esattamente coincidente con la nostra. Il governo di Berlino si sforza di mantenere nella questione un'attitudine di neutralità che, da principio quasi apertamente benevola per la Cina, è poi circondata da un maggiore riserbo in seguito alla conclusione del Trattato di non aggressione fra la Cina e l'U.R.S.S. 3 . Questo stato formale di neutralità è qualificato dal punto di vista puramente politico da un indubbio desiderio della Germania di non aiutare, né direttamente, né indirettamente la Russia; da quello economico dal desiderio di non compromettere i grandi investimenti e i grandi interessi tedeschi in Cina. Per quanto riguarda le missioni militari, poi, mentre sta in fatto che il governo centrale ha dato istruzioni di astenersi dal prestare concorso di sorta all'azione militare, non è d'altra parte negabile che questo concorso continua in fatto egualmente.

La situazione, quindi, tedesca in Cina si aggira in un circolo alquanto contraddittorio.

Appunto in considerazione di questo stato di relativa incertezza della propria politica, l'Auswartiges Amt si è trovato un poco imbarazzato a rispondere alla nostra domanda se e guaii desideri avesse da esprimere in relazione all'invito da noi ricevuto di partecipare ad una conferenza delle nove Potenze, e ciò tanto più in quanto nella specie il governo tedesco si rendeva ben conto che l'Italia si trovava in una situazione diversa da quella della Germania e quindi poteva avere interesse

426 2 Non è stata trovata documentazione in proposito. 426 3 Vedi D. 254, nota l.

a non pregiudicare le posizioni derìvantìle dalla sua qualità dì partecipante al Trattato delle Nove Potenze.

Il signor Weizsacker quindi era lieto dì apprendere dai giornali di stamane che in fondo noi avevamo già preso posizione.

Interrogato se, per parte sua, la Germania ove fosse invitata ad intervenire alla conferenza accetterebbe, il signor Weizsacker mi ha detto di non potermi ancora dare una risposta formale, ma di ritenere che, quasi certamente, la Germania rifiuterebbe anch'essa 4 .

426 l Vedi D. 400. nota 2.

427

IL COMANDANTE DEL C.T.V., BERTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

N. l. Salamanca, 13 ottohre 1937 1•

Ho avuto questa sera un lungo e cordialissimo colloquio con Franco su varì argomenti rit1ettenti l'impiego delle truppe. Incidentalmente ho accennato anche alle questioni del ritiro dei volontarì; ciò ha dato occasione a Franco di parlarmi delle trattative intercorse qualche mese fa con gli inglesi: trattative che non avevano avuto alcun esito di fronte alle condizioni poste dai Nazionali del ritiro dei volontari nei due campi.

Continuando nella conversazione, Franco ha aggiunto dì avere ieri parlato con un suo emissario che a Parigi, in questi giorni, aveva avuto vari colloqui con personalità francesi: prima con Blum e poi con Blum assieme a Delbos.

Blum nel primo colloquio che fu vivacissimo, ebbe ad accusare la Spagna Nazionale di ricevere notevolissimi aiuti in materiali ed uomini da tedeschi ed italiani ed annunciare l'apertura della frontiera franco-spagnola. L'emissario rispose riservandosi di portare esatta documentazione degli aiuti dati ai Rossi, aggiungendo che l'apertura della frontiera non avrebbe portato alcuna conseguenza dannosa ai Nazionali.

Fu due giorni fa, che nel colloquio in cui l'emissario avrebbe dovuto presentare a Blum la documentazione degli aiuti dati ai Rossi, questi trovò Blum assieme a Delbos.

La discussione si incanalò presto sui volontari. Delbos fu molto cortese: disse che situazione internazionale era gravissima, che egli era molto ben disposto verso i Nazionali, anzi ne era amico e che faceva appello al generale Franco per risolvere tale questione. Alle varie obiezioni rispose che era disposto a dare tutte le garanzie richieste dai Nazionali.

ceanici, Grazzi, in data 21 ottobre, risulta che l'ambasciatore von Hassell aveva fatto presente che nel discorso dell'ambasciatore di Germania in Cina non era contenuto «alcun accenno politico ma solo un voto generico perché la Cina esca onorevolmente dalla sua presente grave situazione ed una constata zione dell'energia con cui il popolo cinese resiste nelle attuali avverse circostanze e che è riconosciuta anche dagli avversari». 427 l Manca l'indicazione della data di arrivo.

Blum intervenne spesso violentemente ed anzi una volta disse con tono rabbioso che ogni qual volta Mussolini parlava gli produceva un senso di irritazione irrefrenabile. Delbos, di fronte alle escandescenze del collega, pregò l'emissario di scusarlo, dicendo che Blum non sapeva dominare il suo carattere impulsivo; aggiunse che essendo egli l'unico responsabile di ogni cosa nel governo, a lui solo doveva essere prestata fede.

Le cose stanno a questo punto, ma è da notare che l'emissario è ripartito per Parigi. Nella narrazione di Franco ho notato qualche contraddizione, il che lascia supporre come -forse -non tutta l'esposizione sia vera.

Facile però è arguire come siano in corso pour-parlers ufficiosi riflettenti il ritiro dei volontari: ritiro al quale Franco non sarebbe del tutto contrario purché si verifichino determinate condizioni.

Dal complesso del discorso ho riportato l'impressione che egli volentieri mercanteggerebbe la sparizione della nostra organizzazione militare quale essa è pur conservando l'aviazione, l'artiglieria ed il genio. '

Tanto comunico in quanto che il generalissimo mi ha detto di non aver ancora potuto parlare coll'ambasciatore.

426 4 Il documento ha il visto di Mussolini. Da un appunto del direttore generale degli Affari Transo

428

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7158/0 Il 0 R. Berlino, 14 ottobre 1937 (per. il 15).

Ho posto oggi a Neurath anche la questione di cui al telegramma di V.E. relativo ad una eventuale partecipazione dell'Italia ad una conferenza delle nove Potenze (n. 373 del 7 corrente) 1•

Neurath ha premesso che, quanto alla Germania -Paese il quale mentre non appartiene alla Società delle Nazioni non fa parte neanche delle nove Potenze almeno in questo stadio essa non accetterebbe l'invito che le fosse eventualmente rivolto. Dico almeno in questo stadio, perché la Germania non intenderebbe d'altra parte precludersi definitivamente la via alla partecipazione, in un secondo stadio, ad una eventuale opera di conciliazione fra le due parti.

Ciò premesso per quanto riguarda la Germania, Neurath osserva che, invece, l'Italia mentre, almeno formalmente, è ancora membro della Società delle Nazioni, fa sopratutto anche parte del gruppo delle nove Potenze, e si trova quindi in una situazione assolutamente diversa da quella della Germania. Egli ritiene perciò che -pur con qualche riserva atta a coprire il carattere societario ed anti-nipponico dell'iniziativa -possa convenire all'Italia di intervenire e ciò nell'interesse dello stesso Giappone che -secondo Neurath -avrebbe tutto da guadagnare ad avere nella conferenza una nazione amica.

428 l Vedi D. 401.

429

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7159/0111 R. Berlino, 14 ottobre 1937 (per. il 15).

Faccio seguito alla mia comunicazione telefonica odierna.

Ho visto oggi Neurath il quale, in risposta al quesito di cui al telegramma dell'E.V. n. 380 del 12 corrente 1 mi ha dichiarato essere suo parere che all'Italia convenga di procedere nei riguardi del Belgio ad una dichiarazione analoga a quella già fatta dalla Germania. Egli crede tuttavia:

l) Che, nel suo stesso interesse, giovi all'Italia di agire su espresso desiderio del governo di Bruxelles. Altrimenti, egli dice, l'atto assumerebbe un carattere pedissequo che ne sminuirebbe grandemente il valore e la portata.

Ho fatto subito osservare a Neurath che, fin dal giorno 11 il ministro Spaak nel dare comunicazione della cosa a S.E. Preziosi aveva aggiunto (telegramma di

V.E. n. 382 del 12 corrente)2 : «che l'atto della Germania rappresenta un passo assai importante verso quell'auspicato integrale sistema dell'equilibrio del Belgio, di cui un analogo passo italiano sarebbe eventualmente il desiderabile coronamento».

Neurath ha osservato che indubbiamente questo è già un buon principio, ma che non sarebbe difficile al nostro ambasciatore nel dare una risposta affermativa -ma di massima -alla avance del signor Spaak, indurre questi ad una dichiarazione più esplicita e concreta del desiderio belga.

2) Ottenuto ciò, Neurath si raccomanderebbe poi che, nel formulare la dichiarazione propria l'Italia non indebolisse in nessuna maniera le posizioni tedesche. Egli gradirebbe quindi essere informato in antecedenza del progetto di dichiarazione italiana 3 .

430

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 4848/1579. Berlino, 14 ottobre 1937 (per. i/15).

Ho preso nota della comunicazione della R. ambasciata a Shanghai in data 4 corrent~, riportata nel telegramma per corriere di V.E. in data del 9 1•

429 2 T. 16019/382 P.R. del 12 ottobre. Ritrasmetteva il D. 422. 429 3 Con T. 1729/391 R. del 16 ottobre, Ciano comunicava all'ambasciatore Attolico di avere chiesto al governo belga di precisare il suo pensiero e che un'eventuale dichiarazione italiana si sarebbe fondata su la nota tedesca e sarebbe stata prima comunicata a Berlino. 430 l Il telegramma da Roma qui in riferimento non è stato rintracciato. È da ritenere ritrasmettesse il D. 391.

Debbo dire che gli apprezzamenti contenuti nella comunicazione della R. ambasciata trovano qui una viva rispondenza. In sostanza, negli ambienti ufficiali tedeschi si è bensì convinti della vittoria nipponica, ma si stima non solo che essa richiederà più tempo e mezzi di quanto i giapponesi si attendessero ma che, anche a guerra conchiusa, la vittoria lascerà dietro di sé una situazione piena di incertezze. In altri termini, qui si ritiene che la partita che si gioca adesso non sarà né decisiva né risolutiva e che anche dopo la vittoria giapponese la Cina, a distanza più o meno breve, tornerà a dare prova della sua insofferenza e della sua crescente forza di resistenza.

Siffatti giudizi non mancano naturalmente di avere una certa influenza anche sull'attitudine politica della Germania e fanno considerare come degni di speciale tutela gli interessi e gli investimenti tedeschi in Cina. Ciò del resto mi è stato apertamente confermato dallo stesso barone Neurath 2•

429 l Vedi D. 423.

431

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7155/738 R. Londra, 15 ottobre 1937, ore 0,11 (per. ore 8,55).

Telegramma di V.E. 351 1 . Testo nota tedesca2 relativa assicurazione al Belgio viene oggi pubblicata e largamente commentata da tutti giornali. Sin da ieri del resto erano apparse nella stampa prime notizie circa esito trattative fra Berlino e Bruxelles.

Questi circoli politici dànno grande rilievo a questa nuova mossa della Germania ed osservano che essa costituisce sviluppo logico della situazione determinatasi dopo le dichiarazioni Re del Belgio marzo anno scorso 3 e discorso di Hitler del gennaio scorso4 e dichiarazione anglo-francese dell'aprile scorso 5 . Il Belgio, si dice, ha avuto quello che voleva e sotto tale aspetto l'Inghilterra amica del Belgio non può che rallegrarsene. Ma dietro questi commenti specifici, improntati ad una forzata o rassegnata correttezza traspare un sentimento di autentica inquietudine. Non sfugge a nessuno contraddizione tra fedeltà al patto S.d.N., ripetutamente riaffermato dal governo belga, e le condizioni alle quali Germania ha acconsentito garantire frontiere del Belgio. Questi circoli ne traggo

431 l T. 1705/351 R. del 12 ottobre. Ciano aveva chiesto notizie su quanto risultava a Londra circa le trattative in corso per la conclusione di un patto di non aggressione tra Germania e Belgio. 431 2 Vedi D. 415, nota 2. 431 3 Si riferisce alle notizie da lui raccolte (vedi serie ottava, vol. VI, D. 362) circa le dichiarazioni di Re Leopoldo del Belgio durante la visita a Londra del 22-24 marzo precedenti. 431 4 Nel suo discorso del 30 gennaio al Reichstag, Hitler aveva ribadito che il governo tedesco era disposto a riconoscere il Belgio e l'Olanda come territori neutrali e inviolabili ed a garantire la loro integrità e la loro neutralità. 431 5 Vedi D. 409, nota l.

529 no conclusione che il Belgio rimane libero comportarsi secondo le circostanze del momento e che migliore politica rimane per l'Inghilterra quella di attrarre sempre più Belgio nell'orbita di Ginevra.

È appunto in vista di questo scopo che l'Inghilterra ha appoggiato e predisposto candidatura Belgio al Consiglio della S.d.N., sacrificando Spagna Rossa e persino ... 6. Ciò che è confermato da questo incaricato d'affari Germania che nell'informarmi dell'esito conversazione tra Berlino e Bruxelles mi ha detto che governo britannico cerca evidentemente di fare buon viso a cattivo gioco.

Mi aggiunse che vi è qui viva curiosità di conoscere atteggiamento governo italiano e precisamente se governo italiano darà al Belgio analoghe assicurazioni.

430 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

432

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, DE ASTIS

T. 1716/103 R. Roma, 15 ottobre 1937, ore 2.

Mi riferisco alle notizie stampa relative al mio presunto viaggio ad Ankara nel prossimo mese a cui da ultimo fa cenno, tra l'altro, il Suo telespresso n. 933 del 7 corrente1 . A parte ogni altra considerazione sull'atteggiamento tenuto dalla Turchia specialmente a Ginevra in questioni interessanti l'Italia (atteggiamento che non è stato certo sempre dettato dallo spirito che ha presieduto all'incontro di Milano della primavera scorsa) sta in fatto che, fino a quando permanga insoluta la questione del riconoscimento dell'Impero da parte della Turchia, un mio viaggio ad Ankara mancherebbe di un elemento indispensabile e non conviene quindi che vi si insista.

D'altra parte, un viaggio ad Ankara richiederebbe un'assenza da Roma non breve e quindi non facilmente compatibile col lavoro che esige la presente situazione internazionale. Della quistione ho parlato anche con l'ambasciatore Galli che sarà costì tra giorni. Intanto le faccio presente quanto precede perché eventualmente· ella se ne possa valere in modo opportuno presso codesto governo e codesti circoli politici in guisa da non rendere necessarie maggiori precisazioni formali, o smentite nei riguardi del viaggio stesso, del quale si potrà riparlare in altro momento 2•

432 1 Telespr. 1773/933 del 7 ottobre. L'incaricato d'affari De Astis aveva riferito che, per mettere in evidenza le iniziative prese da Aras, i giornali favorevoli al ministro ripetevano «quasi quotidianamen te» la notizia di una prossima visita di Ciano in Turchia. 432 2 Ciano telegrafava successivamente: «Mio telegramma n. 103 del 15 corrente. Mi faccia sapere se si è espresso con i turchi nel senso indicatole. La stampa parla ancora e spesso di questa visita. Il governo turco fa -secondo quanto mi risulta -preparativi ed è ancora in contatto col suo ambascia tore a Roma su questo argomento. Credo che bisogna far capire ancora più chiaramente che la mia visita deve essere rimandata a tempi migliori e comunque non prima della primavera prossima». Per il seguito, si veda il D. 524.

431 6 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile».

433

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. PERSONALE 1717/153 R. Roma, 15 ottobre 1937, ore 2.

Mi riferisco alle informazioni stampa di codesta legazione circa la questione dell'Alto Adige.

Dica a Schuschnigg nel modo più preciso che è indispensabile che la stampa austriaca smetta il tono che ha assunto nei riguardi dell'Alto Adige. Se si crede in tal guisa di intorbidare i rapporti fra Germania e Italia, si è completamente fuori strada. La continuazione di pubblicazioni e commenti di tal genere non potrebbe avere che un effetto solo, quello di ripercuotersi sfavorevolmente sulla politica italiana nei riguardi dell'Austria.

434

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 7150/734 R. Londra, 15 ottobre 1937, ore 4,19 (per. ore 8,25).

Eden mi ha chiesto di passare da lui e mi ha detto che desiderava avere uno scambio di idee sulla situazione.

Governo inglese -Eden ha continuato -è venuto nella determinazione di accettare la proposta fatta dal governo italiano nella sua nota di risposta del 9 corrente1 ed il presidente del Comitato di non intervento è stato già invitato a convocare la riunione del Comitato. La legittimità della proposta italiana non poteva essere contestata, e pertanto il governo inglese ha aderito al metodo suggerito dall'Italia, considerandolo ultimo tentativo.

Eden desiderava informarmi, onde io potessi subito comunicartela, circa la linea di condotta che governo britannico seguirà nella seduta di domani. Il rappresentante britannico sottoporrà la seguente proposta:

l) Che sia ripresa in esame proposta del 14 luglio scorso 2 e che tutti governi siano richiesti di una sollecita risposta, sia per quanto riguarda il ritiro dei volontari, sia per quanto riguarda il riconoscimento del diritto di belligeranza, nonché il metodo indicato nel piano medesimo per la sua immediata applicazione.

2) Che in attesa dell'accettazione generale del trattato, i governi si mettano d'accordo al più presto su di un metodo provvisorio per iniziare il ritiro di un numero determinato di volontari dalle due parti.

3) Che i governi dichiarino di impegnarsi solennemente ancora una volta di non (dico non) inviare più nella Spagna volontari di alcuna specie.

4) In linea di diritto governi dichiarino di accettare un rafforzamento del sistema attuale di controllo.

5) Che governi si impegnino di appoggiare presso le due parti in conflitto le decisioni del Comitato ed Eden ha aggiunto che il governo britannico aveva ricevuto da Parigi promessa che il governo francese non avrebbe sollevato difficoltà e confidava anche che il governo italiano avrebbe inviato al suo rappresentante a Londra istruzioni in senso analogo.

Eden si è quindi dilungato a rappresentarmi la sua viva preoccupazione (che mi ha detto essere condivisa dal Primo Ministro e dal Gabinetto) sui pericoli sempre più gravi che correrebbe la pace europea ove non si giungesse a mettersi d'accordo nelle prossime sedute del Comitato di Londra, su misure che si ritengono efficaci per rendere effettiva veramente la politica del non intervento. Eden ha insistito sugli sforzi che il governo inglese sta facendo per persuadere governo, ma soprattutto Stato Maggiore francese, a non lasciarsi prendere da quel che ormai sembra diventare, a causa delle proporzioni sempre crescenti della partecipazione nùlitare italiana alla guerra spagnola, l'ossessione che l'Italia minacci anche la sicurezza della Francia.

Eden ha concluso dicendomi che egli non dubitava sulla cooperazione dell'Italia, specialmente in questo momento così vitale e delicato. Ho risposto che ti avrei comunicato quanto egli mi aveva detto 3 .

434 l Vedi D. 413. 434 2 Vedi D. 69, nota 2.

435

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1718/387 R. 1 Roma, 15 ottobre 1937, ore 19.

L'ambasciatore Valentino mi ha detto2 che la Polonia, dopo le marcate attestazioni di solidarietà date all'Italia in questi ultimi tempi e che vanno dall'abolizione individuale delle sanzioni all'iniziativa presa a Ginevra per il riconoscimento dell'Impero, si attende un gesto italiano nei suoi riguardi. Questo potrebbe praticamente concretarsi in un invito a Beck per un viaggio a Roma.

Prima di compiere qualsiasi gesto in tal senso, in considerazione della particolare e delicata natura dei rapporti esistenti tra Berlino e Varsavia, desidero conoscere il parere del governo nazista. A mio avviso, qualsiasi avvicinamento della Polonia a noi deve essere considerato come un avvicinamento all'asse Roma-Berli

no, tanto più se si tiene conto che i nostri rapporti con Varsavia sono da considerarsi soltanto secondarì rispetto a quelli fondamentali con Berlino. Ciò premesso credo che anche alla Germania convenga legare sempre più la Polonia al comune sistema politico, facendo agire da elemento di attrazione l'Italia. Comunque prima di fare qualsiasi invito voglio conoscere l'avviso tedesco. V.E. potrà aggiungere che, qualora l'avviso fosse contrario, noi lasceremmo cadere l'idea senza nessun particolare rincrescimento. Quindi mi attendo una risposta in piena lealtà 3 .

434 3 Lo stesso giorno, l'ambasciatore di Gran Bretagna a Roma, lord Perth, ebbe un colloquio con Ciano al quale sottopose i primi tre punti indicati da Eden a Grandi. Di questo colloquio non è stata trovata documentazione ma si veda in BD, vol. XIX, D. 251 il resoconto di lord Perth, dal quale risulta che Ciano dichiarò di ritenere vi fossero delle difficoltà di attuazione soltanto per il secondo punto. Ciano assicurò poi che l'Italia non aveva mire «territoriali, politiche, strategiche o economiche» nei riguardi della Spagna e che il suo solo obiettivo era di evitare che in Spagna si istallasse un regime bolscevico. Queste dichiarazioni di Ciano furono rese pubbliche da Chamberlain nel suo discorso ai Comuni del 21 ottobre (vedi D. 481, nota 1). 435 I Minuta autografa. 435 2 L'ambasciatore Arone di Valentino si trovava in congedo in Italia.

436

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7164/740 R. Londra, 15 ottobre 1937, ore 19 (per. ore 20,30).

Stamane ho convocato qui all'ambasciata ambasciatore Portogallo e incaricato di affari Germania per esaminare situazione e concordare azione comune da adottarsi prossima seduta Consiglio, salvo beninteso istruzioni dei nostri governi.

Ho messo al corrente Monteiro e Woermann comunicazioni fattemi ieri da Eden1 e dopo un approfondito esame siamo giunti seguenti conclusioni circa quella che, a nostro personale avviso, potrebbe essere nostra attitudine circa proposte che il governo britannico presenterà domani mattina.

È evidente interesse da parte italiana, tedesca e portoghese mantenere più a lungo possibile situazione psicologica favorevole quale si è determinata a seguito risposta italiana2 . Conviene pertanto mostrare in questo momento che noi siamo animati da maggiore buon volere cooperazione. Ciò per non fornire a Francia e Inghilterra pretesto rigettare su tre Potenze fasciste responsabilità nuovo insuccesso prossime discussioni e conferma tesi sostenuta nella nota franco-inglese 3 che il Comitato non è più in grado di risolvere problemi politici non intervento.

È chiaro che Francia e Inghilterra attendono fallimento prossime discussioni per giustificare pubblicamente asserita necessità provvedere isolatamente e direttamente loro sicurezza. In considerazione di questo ovvio interesse da parte nostra, ci siamo domandati se non convenga accettare, in linea di principio, schema proposte britanniche riservandoci nelle discussioni ulteriori di sollevare tutte le difficoltà che evidentemente si frappongono all'applicazione delle medesime.

Per quanto riguarda punto primo proposta inglese (mio telegramma 734 di ieri sera) nostra risposta è facile. Si tratta semplicemente riprendere discussione interrotta luglio causa ostruzionismo soviets.

(T. s.n.d. 7185/387 R. del 16 ottobre). Sul colloquio con von Neurath si veda la lettera di Attolico del 19 ottobre, qui pubblicata come D. 457. 436 l Vedi D. 434. 436 2 Vedi D. 413. 436 3 Vedi D. 388.

Circa punto secondo, ci siamo trovati d'accordo nel ritenere che si potrebbe in linea di principio accettare ritiro «simbolico» di un numero tot volontari da una parte e dall'altra. È chiaro che esecuzione tale misura è di competenza esclusiva due parti conflitto alle quali occorre rivolgersi perché esse dicano parola definitiva merito tale proposta. Ciò potrebbe fornire buona occasione di sollevare nuovamente e questa volta direttamente col Comitato questione riconoscimento belligeranza come condizione preliminare qualsiasi discussione.

In quanto ai punti terzo, quarto e quinto potrebbero essere accettati senza difficoltà mettendo bene in chiaro che tutto è subordinato all'adozione di un piano generale di rafforzamento del controllo sul quale si è insistito sempre inutilmente sino ad oggi e che devesi soprattutto provvedere all'inesistenza controllo della frontiera dei Pirenei.

Ultima riserva tassativa è che cinque punti proposta britannica siano accettati all'unanimità in primo luogo dalla Russia la cui attitudine netta e decisamente ostruzionistica, non ha per il momento alcuna probabilità di essere modificata come prova ultima nota sovietica (mio telegramma n. 716) 4 che Comitato dovrà discutere.

Queste le linee principali di quella che, a parere mio, di Monteiro e di Woermann, potrebbe essere per il momento nostra attitudine. Ci siamo riservati sottoporre tutto ciò nostri governi per le loro decisioni ed istruzioni 5 .

435 3 Attolico rispondeva il giorno successivo: «in massima nessuna obiezione. Comunque, von Neurath si riserva intrattenersi con me di tutta la situazione polacca lunedì mattina. Ritelegraferò»

437

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7266/064 R. Praga, 15 ottobre 1937 (per. il 21).

Mio telegramma per corriere n. 062 del 6 corrente 1•

Mi si conferma che una delle principali ragioni del viaggio di Krofta a Parigi sarebbe stata di modificare l'atteggiamento del governo francese nei riguardi dell'atteso accordo fra Ungheria e Piccola Intesa.

La Romania dal fare l'alfiere di tale accordo, per le note ragioni vi si è opposta per sé e per i soci e allo scopo di rafforzare la sua opposizione mi si assicura abbia insinuato a Parigi l'inopportunità delle trattative, asserendo -come a Gi

no sovietico che con una sua nota del 29 settembre aveva preso una posizione negativa rispetto ai progetti di ricostruzione del sistema di controllo e sembrava voler sabotare la politica di non intervento, probabilmente per preparare la riapertura della frontiera dei Pirenei. 436 5 Su le istruzioni inviate a Grandi non è stata trovata documentazione ma nel Diario di Ciano vi è, alla data del 15 ottobre, la seguente annotazione: «Ho comunicato a Grandi le istruzioni per il Comita to di non intervento. Bisogna concedere qualche cosa. Quindi segnare tre punti: pronti a discutere il piano di evacuazione volontari: chiedere alle parti in conflitto le loro intenzioni in merito e se queste sono positive allora fissare un piano di evacuazione; contemporaneamente avere il riconoscimento della belligeranza». 437 1 T. per corriere 7089/062 R. del 6 ottobre. Riferiva circa le dichiarazioni fattegli da Krofta sul suo viaggio a Parigi del 30 settembre-3 ottobre. Krofta si era soffermato sulla mutata posizione del governo francese che, prima contrario ad un accordo tra Ungheria e Piccola Intesa, aveva ora mutato atteggia mento in proposito.

nevra (mio telegramma per corriere n. 060 del 6 corrente) 2 -che l'accordo con Budapest avrebbe indebolito ancora più i vincoli della Piccola Intesa già messi a prova dall'emancipazione di Stojadinovié. Parigi condividendo il pensiero di Bucarest avrebbe cercato convincerne anche Praga. Senonché la Cecoslovacchia, dopo aver smentito l'irriducibilità antimagiara attribuitale -e non solamente perché è quella che più teme complicazioni centro-europee-sapendo che è soprattutto alla Cecoslovacchia che Budapest non perdona, si è fatta antesignana dell'accordo con l'Ungheria fino a concepire, mi si dice, la possibilità di arrivarci anche senza la Romania. Era però indispensabile convertire Parigi e Krofta vi è riuscito con le note sue argomentazioni circa la permanenza, anche ad accordo concluso, delle aspirazioni magiare e le non sopprimibili differenti finalità della Piccola Intesa. Né devono esservi mancati accenni ad altri obiettivi. Da una parte infatti la denunzia dei Protocolli di Roma 3 alimenta la speranza di un rilassamento dei rapporti fra Roma, Vienna e Budapest, dall'altra la pressione germanica verso l'Austria e la propaganda nazista verso l'Ungheria fanno sperare che l'una e l'altra saranno un giorno costrette a cercare appoggi altrove. Si pensa perciò che un accordo fra Ungheria e Piccola Intesa servirebbe anche per una tale eventualità.

In proposito riesce superfluo tornare sulle note tergiversazioni di Schuschnigg e quanto all'Ungheria sembra che le preoccupazioni, in presenza dell'attività tedesca, aumentino colà di giorno in giorno. Me ne parlava proprio oggi e con seria apprensione il collega ungherese facendomi presenti le proporzioni pericolose che andrebbe assumendo nel suo Paese la propaganda nazista che investirebbe non solo le minoranze germaniche bensì sfere più larghe della popolazione del Regno. Anzi egli, Wettstein, a titolo personale, mi chiedeva se non sarebbe utile che Roma spendesse una cortese parola a Berlino per moderarne l'azione verso l'Ungheria.

Praga, al servizio di Parigi, non ha mai cessato dal macchinare per attrarre Vienna e Budapest a diverso orientamento e Krofta non deve aver faticato troppo per convincere ora la Francia dell'opportunità dell'accordo fra Ungheria e Piccola Intesa.

436 4 Con T. 6875/716 R. del l o ottobre Grandi aveva attirato l'attenzione sull'atteggiamento del gover

438

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 4389. Londra, 15 ottobre 1937 1•

Nella Tua lettera del 18 settembre2 Tu accenni di avere ragione di ritenere che i nostri cifrari non siano sicuri. Ho anch'io, da molto tempo, la stessa impressione e non ho mancato a suo tempo di segnalarla. A conferma di ciò credo opportuno informarti di un episodio.

In queste due settimane io ho incontrato due volte Chamberlain e quattro volte un suo fiduciario (che mi viene a trovare, dietro istruzioni personali di

437 3 Si riferisce alla parte economica degli accordi. In proposito si vesano i DD. 146, 187 e 231. 438 I Manca l'indicazione della data d'arrivo. 438 2 Vedi D. 355.

Chamberlain, non all'Ambasciata per non destare sospetti) col quale ho avuto lunghe conversazioni, sulle quali Ti riferirò non appena e se il tutto prenderà un carattere sostanzioso. Per ora si tratta di «planate» e di evoluzioni a cerchio assai largo. Una cosa per ora è certa: Chamberlain vuole, di nascosto a Eden, tenere i contatti con me per una possibile eventuale ripresa di quella che è stata da parte sua l'iniziativa della fine di luglio.

È superfluo io Ti dica che non solo io curo questi contatti, per ogni possibile evenienza, ma che quel «servizio di pattuglia» che io ho stabilito attorno a Chamberlain e di cui mi sono così efficacemente servito nei mesi di giugno e di luglio, è di nuovo in pieno funzionamento.

Non Ti riferisco tutti questi dettagli del mio lavoro perché altrimenti, invece di lavorare, impiegherei tutto il mio tempo a scrivere. Preferisco comunicarTi le conclusioni del mio lavoro, se conclusioni vi saranno.

La persona che mi viene a trovare per incarico di Chamberlain è un suo amico e collaboratore di fiducia, certo Sir Joseph Bali, che ricopre la carica importante di manager del Partito Conservatore. Il manager del Partito Conservatore è una specie di Marinelli, cioè di Segretario amministrativo del Partito, che risponde della sua attività e dell'amministrazione dei fondi del Partito esclusivamente al Primo Ministro, che è il Capo del Partito. Oltre a ciò il manager ha l'incarico: dell'organizzazione e della direzione del servizio propaganda del Partito Conservatore (propaganda in duplice senso e cioè come proselitismo al di fuori del Partito e come polizia dentro le file stesse del Partito); egli ha inoltre l'ufficio di collegamento tra il Primo Ministro e la City. Come Tu vedi un personaggio abbastanza importante di cui Chamberlain si serve per incarichi di stretta fiducia, anche perché egli, per le sue funzioni, non è destinato a dare troppo nell'occhio.

Ora, Sir Joseph Bali, che ho riveduto ieri sera in casa di un amico fidato, ha cominciato col dirmi: «Chamberlain desidera innanzitutto essere certo che tutto quanto è materia dei nostri incontri confìdenziali non sia trasmesso a Roma per telegramma cifrato. ma faccia oggetto eventualmente soltanto di lettere o rapporti».

Ho pensato che valesse la pena di stralciare subito, da quello che sarà un mio futuro rapporto su queste conversazioni, questo punto lasciando a Te di apprezzarne l'importanza e l'interesse.

437 2 Vedi D. 398.

439

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI

T. 1720/79 R. Roma, 16 ottobre 1937, ore l.

Telegramma di V.E. n. 89 1•

Ho esaminato testo nota tedesca relativa alla garanzia delle frontiere del Belgio, che è stata rimessa a codesto governo 2 . Nello stesso tempo ho preso atto della comunicazione che Spaak ha fatto a V.E. circa una nostra eventuale dichiarazione

che il governo belga considererebbe come il desiderabile coronamento delle assicurazioni che esso ha già ricevuto dalle altre tre Potenze di Locarno.

Nei mesi scorsi il Belgio ha più volte sollecitato la nostra partecipazione alle garanzie delle sue frontiere e noi, nella nota del 12 marzo scorso per la questione di Locarno3 ed in altre occasioni successive, ci siamo dichiarati pronti ad assumerci un impegno corrispondente a quello che la Gran Bretagna, la Francia e la Germania si sarebbero assunti.

Noi ci rendiamo conto dell'interesse del Belgio a completare nei riguardi di tutte le Potenze di Locamo il suo sistema di garanzia, ma prima di prendere qualunque decisione mi interessa conoscere se il signor Spaak con la sua comunicazione del 12 corrente a V.E. ha inteso di chiedere effettivamente una dichiarazione da parte nostra che noi saremmo disposti a fare in termini analoghi alla nota tedesca. Telegrafi 4 .

439 l Vedi D. 422. 439 2 Vedi D. 415, nota 5.

440

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. 1723/741 R.I. Roma, 16 ottobre 1937, ore 1,20.

Nella fase attuale dei negoziati per la questione dei volontari in Spagna, urge conoscere il preciso punto di vista di Franco per poter meglio decidere la nostra linea di condotta.

V.E. prenda quindi immediato contatto col Generalissimo ai fini di accertare quanto sopra. Particolarmente interessa conoscere: l 0 ) se egli è disposto ad accedere in linea di massima ad una proposta di evacuazione sia pure parziale dei volontari; 2°) quale percentuale quantitativa di volontari è disposto a lasciar partire; 3°) eventualmente in quanto tempo dovrebbe aver luogo l'evacuazione e a quali condizioni. Naturalmente gradirò conoscere qualsiasi altra cosa il Generalissimo voglia aggiungere in proposito2 .

441

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1724/241 R. Roma, 16 ottobre 1937, ore l.

Prego V.E. precisarmi telegraficamente in quale misura Chiang Kai-shek subisce attualmente influenza dei comunisti. Interessa soprattutto conoscere se e fino a che punto egli ha libertà d'azione e possibilità di imporre le sue decisioni I.

439 4 Per la risposta si veda il D. 444. 440 l Minuta autografa. 440 2 Si veda, per la risposta, il D. 451. 441 l Per la risposta. si veda il D. 472.

439 3 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 268.

442

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7186/455 R. Tokio, 16 ottobre 1937, ore 9,35 (per. ore 17).

Telegramma di V.E. n. 200 1• Risposta finale datami: l) Governo giapponese non ha ricevuto alcun invito a partecipare ma se anche lo ricevesse non vi è probabilità che accetterebbe. 2) Se Italia non avesse ancora deciso sua partecipazione governo giapponese preferirebbe che esso non (dico non) ... 2 .

3) Se tuttavia Italia intervenisse. governo giapponese desidererebbe si opponesse non solo ad eventuali sanzioni, ciò che non sembra verosimile, ma anche a qualsiasi proposta di mediazione e in generale a qualsiasi formula contrastante con il principio sostenuto dal Giappone che il conflitto con la Cina deve essere risolto direttamente dai due Stati senza intervento di terzi.

4) Governo giapponese gradirebbe ogni possibile informazione in proposito così nel presente come nell'avvenire. 5) Governo giapponese è gratissimo all'Italia per questa sua nuova prova di

amiCIZia.

443

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 7187/92 R. Bruxelles, 16 ottobre 1937, ore 14,02 (per. ore 18).

Spaak mi ha pregato stamane di passare da lui. Mi ha detto che V.E. riceverà da codesta ambasciata del Belgio 1 invito di Conferenza Bruxelles, il quale sarà diramato ai governi delle nove Potenze firmatarie del Trattato di Washington ed a quelle aderenti, ma che egli desiderava segnalare in particolar modo i seguenti punti:

l) che Conferenza di Bruxelles non è in relazione alcuna con Ginevra ed ultime decisioni che sono state colà prese circa conflitto cino-giapponese e che pertanto essa viene a costituire alcunché di completamente nuovo ed indipendente;

2) che Conferenza di Bruxelles non è chiamata a dar alcun giudizio o ad emettere alcuna sentenza (aggressione o meno) ma soltanto a fare tutto il possibile per facilitare una conciliazione fra i due contendenti;

3) che invito al Reich, non firmatario né aderente, sarà deciso nella prima riunione della Conferenza.

chiesto all'ambasciatore Auriti con T. 1715/200 R. del 15 ottobre (e ancora con T. 17211204 R. del 16 ottobre) di sollecitare Hirota a far conoscere gli intendimenti del governo giapponese. 442 2 Nota dell'Ufficio Cifra: <<gruppo mancante». 443 1 Il relativo passo fu compiuto dall'incaricato d'affari del Belgio il 18 ottobre (appunto De Peppo, stessa data).

442 1 Tardando una risposta da Tokio al suo telegramma del 7 ottobre (vedi D. 401), Ciano aveva

444

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7196/93 R. Bruxelles, 16 ottobre 1937, ore 20,35 (per. ore 0,15 del 17).

Telegramma di V.E. 79 1•

Non posso dire che istruzioni date da Spaak (che ho riferito testualmente) fossero una vera e propria richiesta. Vollero piuttosto essere una segnalazione, un suggerimento. Tuttociò trova del resto riscontro con il concetto fondamentale di Spaak, già noto a V.E., che le dichiarazioni delle Grandi Potenze in favore del Belgio devono essere manifestazioni del tutto unilaterali e spontanee, in diretta dipendenza dell'interesse di ciascuna di esse all'inviolabilità del Belgio quale uno dei vari aspetti della pace europea.

Tale intenzione è conforme anche nel modo con cui Spaak mi ha riassunto le dichiarazioni tedesche e nel lingvaggio di questa stampa e di quella della Germania stessa.

445

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATISSIMO 7213/0337 R. Parigi, 16 ottobre 1937 (per. il 18).

Mentre nei giorni scorsi mi sono astenuto dall'avere contatti con circoli ufficiali francesi, onde evitare ogni commento che potesse essere interpretato come esistenza di preoccupazione da parte dell'Italia, ho naturalmente cercato, soprattutto indirettamente, di controllare quali fossero le ripercussioni del momento 1 nelle sfere politiche ed in quelle giornalistiche francesi. Non ho constatato che esse differissero granché da quanto veniva reso pubblico attraverso i maggiori organi francesi di grande informazione. Peraltro ho limitato al minimo le mie comunicazioni al riguardo alla E. V. poco potendo aggiungere a quanto risultava dal resoconto della stampa.

Mentre hanno inizio a Londra le discussioni circa il problema spagnolo dinanzi al Comitato apposito, il che costituisce una grande vittoria per il fascismo la cui tesi dovette essere integralmente accolta da Francia e Inghilterra, devo peraltro

segnalare a V.E. due mie constatazioni che mi sembrano entrambe della più grande importanza e tali quindi da essere considerate con ponderazione.

La prima è che, mentre durante la guerra in Etiopia l'opinione pubblica francese era nettamente divisa in due con la parte nazionale ed intellettualmente superiore favorevole all'Italia e fautrice di una politica che potesse portare ad una collaborazione fra le due Nazioni latine, oggidì l'unanimità è concorde nel ritenere che la politica italiana è antitetica a quella della Francia e mira a tagliarla dal vasto impero africano, che è la sua riserva d'armati in caso di guerra. Pertanto, sia pure con una certa moderazione, anche sinceri amici dell'Italia ed ammiratori del fascismo come Léon Bailby proclamano ogni giorno la necessità di costituire un fronte nazionale che non lasci sussistere dubbi sopra la decisione della Francia di difendere quelli che vengono proclamati i suoi interessi vitali. Lavai, che ho avuto occasione di incontrare recentemente, pur esprimendosi meco in termini che confermavano la sua costante e sincera ammirazione per il Duce e la sua ferma intenzione, il giorno in cui potesse farlo, di mutare rotta alla politica estera francese dandole il carattere di amicizia per l'Italia e di avvicinamento a Berlino attraverso Roma, aggiunse che doveva constatare con rincrescimento profondo che il suo Paese considerava ormai l'Italia come il «nemico n. l» e la Germania invece una Nazione che poteva esercitare funzione moderatrice nell'asse Roma-Berlino.

La seconda constatazione, di molto minore importanza, riguarda il problema del riconoscimento della belligeranza al partito nazionale spagnolo. Questa a mio giudizio, e contrariamente ad ogni logica, non potrà essere ammessa dall'attuale governo francese sino a che non abbia avuto luogo un ritiro «sostanziale» di volontari. Tutte le parole spese per mostrare a vari miei interlocutori l'assurdità di voler far precedere eventuali trattative per il ritiro dei volontari al riconoscimento della qualità di belligerante ai due partiti che stanno combattendosi in Spagna si urtano contro una muraglia costituita dalla proclamazione dell'impossibilità per il Fronte Popolare di consentire a quella che sarebbe stata una perdita di prestigio per la Francia.

La tesi francese è del resto esposta alla fine dell'editoriale del Temps del 15 ottobre con le stesse parole che sentii pronunciare da uno dei più autorevoli giornalisti francesi il quale aveva veduto poco prima Chautemps, Delbos ed altri membri del governo.

444 l Nelle carte di Gabinetto vi è la minuta di una «Nota dell'Informazione Diplomatica n. 3». poi non pubblicata, in cui si affermava che la dichiarazione della Germania nei riguardi del Belgio era stata accolta colla più grande approvazione nei circoli italiani ma si aggiungeva: «non è detto che l'Italia adotterà un atteggiamento analogo, pur non rifiutandosi a priori di considerarne l'eventualità. Taluni ambienti italiani non hanno dimenticato il discorso di van Zeeland favorevole alle sanzioni sino in fondo, cioè sino alla guerra con l'Italia, né l'atteggiamento dei circoli responsabili della politica belga nei confronti del nuovo Impero italiano. Nessuno troverà esagerato che l'Italia prima di garantire le frontiere del Belgio stimi necessaria una chiarificazione dei rapporti tra i due Paesi». 445 1 Si riferisce alle ripercussioni provocate in Francia dal conflitto spagnolo.

446

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 2731/357 R. 1 . Roma, 17 ottobre 1937, ore 14,30.

Il Duce mi incarica di comunicarti quanto segue:

l) il Duce elogia il tuo discorso di ieri 2;

446 I Minuta autografa. 446 2 Si riferisce al discorso pronunciato da Grandi al Comitato di non intervento nella seduta del 16 ottobre. Grandi aveva dichiarato. seguendo le istruzioni inviategli da Ciano (vedi D. 436, nota 5), che

2) non perdere occasiOne per attaccare Eden a proposito del suo recente discorso3 ;

3) assumere atteggiamento di marcata durezza nei confronti della Francia;

4) respingere il principio di rimpatrio proporzionale dei volontari;

5) sostenere il riconoscimento completo della belligeranza.

Queste sono le linee strategiche. A te rimane naturalmente completa libertà di manovra nel campo tattico.

447

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO URGENTE 7203/417 R. Parigi, 17 ottobre 1937, ore 23 (per. ore 4 del 18).

Da fonte sicura che ebbe contatti diretti con Chautemps mi viene riferito quanto segue: l) Presidente del Consiglio ha svolto negli ultimi giorni nota azione moderatrice perché nutre tuttora speranza giungere a migliorare rapporti con Italia.

2) Ha pertanto fatto accettare punto di vista italiano circa discussione problema spagnolo a Londra ed ottenuto che governo francese ammettesse di poter riconoscere qualità di belligerante a Franco, anche senza ritiro «in massa» dei volontari. Chautemps avrebbe giudicato che così agendo consentiva governo fascista ottenere due grandi successi morali e poteva sperare m sua arrendevolezza sopra altri punti del problema spagnolo.

3) Chautemps sarebbe disposto compiere altro passo avanti, riconoscendo belligeranza a Franco non appena fosse realizzato ritiro anche solo «simbolico» di

l'Italia accettava la proposta di evacuare un certo numero di volontari, in quantità uguale dalle due parti, come inizio di esecuzione del piano britannico del 14 luglio, aveva proposto che i due governi spagnoli fossero interpellati in modo da poter dare pratica esecuzione a tale progetto, aveva chiesto il riconoscimento della qualità di belligerante alle due parti in lotta e infine aveva ribadito che occorreva ricostituire subito un rigoroso sistema di controllo onde impedire che i volontari allontanati dalla Spagna vi potessero fare ritorno. Il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 776-777. 446 3 Nel discorso pronunciato il 15 ottobre a Llandudno, Eden aveva sottolineato che, pur intendendo proseguire nella politica di non intevento, la Gran Bretagna non era indifferente al mantenimento dell'integrità territoriale della Spagna, così come non era indifferente alla politica estera del futuro governo spagnolo e alle complicazioni che potevano derivare nel Mediterraneo dalle iniziative di altri Paesi. Eden aveva poi deplorato il rifiuto opposto dall'Italia alla proposta franco-britannica di riunire una conferenza !ripartita ed aveva aggiunto: «Una caratteristica della presente situazione è il proclamato intervento, la glorificazione della rottura degli impegni assunti. In tali condizioni nessuno può lagnarsi se la pazienza di coloro che hanno cercato di tenere sempre innanzi agli occhi le loro responsabilità verso l'Europa si sarà esaurita. Io per primo non sarò certo disposto a criticare se altre Nazioni, qualora tali condizioni continuino, si sentiranno spinte a riprendere la loro libertà d'azione».

Nel discorso pronunciato il 16 ottobre al Comitato di Londra, Grandi aveva criticato le dichiarazioni di Eden come dannose per la politica di non intervento ed aveva ribadito che il Comitato andava considerato come l'unica sede per discutere e risolvere i problemi nati dal conflitto spagnolo. Su l'importanza che, secondo Grandi, si doveva assegnare al discorso di Eden si veda il D. 450.

volontari. Attiro particolare attenzione di V.E. sopra importanza di questa nuova buona disposizione francese che potrà essere controllata martedì a Londra.

4) Egli si augura che l'Italia non opponga rifiuto all'invito partecipare Conferenza dei nove di Bruxelles per Cina. Si contenterebbe della presenza di un osservatore ed anche di pura e semplice adesione dell'Italia.

5) In tal caso sarebbe disposto fare risolvere questione Etiopia dall'Assemblea della S.d.N. che dovrebbe essere convocata per prendere conoscenza risultati Conferenza di Bruxelles.

6) Ciò gli consentirebbe inviare ambasciatore a Roma.

Riferirò più ampiamente per corriere 1•

448

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

LETTERA PERSONALE SEGRETA 8202. Roma, 17 ottobre 1937.

Le accludo in via strettamente personale e confidenziale, copia di due documenti che riportano una conversazione del Generale Goering con l'ambasciatore Henderson1 ed un colloquio di Sir Robert Vansittart con S.E. Guido Schmidt 2•

Ella vorrà comunicare al Cancelliere i due documenti attirando la sua attenzione sugli atteggiamenti del Ministro Schmidt tanto nei nostri quanto nei suoi riguardi.

Le sarò grato se vorrà quindi restituirmeli, senza che presso codesta Legazione ne resti traccia alcuna, riferendomi sulle impressioni riportate dal suo colloquio col Cancelliere3 .

447 1 Non è stata rintracciata nessuna ulteriore comunicazione in proposito. 448 1 Si trattava di un dispaccio dell'ambasciatore Henderson del 12 settembre relativo ad un colloquio avvenuto il giorno precedente a Norimberga. Giiring aveva raccontato di avere detto pochi giorni prima al ministro degli Esteri austriaco, Schmidt, che l'Anschluss era inevitabile e che Vienna avrebbe fatto bene ad accettarlo, al che Schmidt aveva risposto che «Schuschnigg non sarebbe stato abbastanza forte per varare la questione». 448 2 Questo secondo documento era costituito da un dispaccio in data 15 settembre del delegato permanente britannico alla Societa delle Nazioni, Edmond, nel quale erano riportate alcune dichiarazioni di Schmidt. Secondo quanto vi si riferiva, il ministro degli Esteri austriaco aveva espresso preoccupazione per le difficoltà sollevate dagli italiani nelle conversazioni con la Gran Bretagna e aveva aggiunto a questo riguardo che «gli italiani si erano comportati molto stupidamente dopo che il Primo Ministro aveva inviato la sua lettera a Mussolini». Schmidt aveva poi manifestato il desiderio che, al momento opportuno, il governo britannico facesse presente a Roma il suo interesse per il mantenimento dell'indipendenza austriaca, cosa tanto più opportuna -aveva detto -in quanto il viaggio di Mussolini in Germania suscitava preoccupazione. Nelle carte di Gabinetto, i due documenti britannici sono contenuti in un fascicolo sul quale Mussolini ha scritto: «importantissimo». 448 3 Il ministro Salata portava a conoscenza di Schuschnigg i due documenti, dapprima in forma riassuntiva per non svelare l'origine dell'informazione (rapporto senza numero del 28 ottobre), poi, su precise istruzioni di Ciano (lettera personale 8694 del l o novembre), nel loro testo integrale. Ne seguiva una serie di messe a punto da parte di Schmidt, che negava di avere fatto le dichiarazioni attribuitegli, e da parte di Schuschnigg, che sosteneva la tesi del malinteso e confermava la sua fiducia nel ministro degli Esteri (rapporto senza numero di Salata del 6 novembre; lettera di Schuschnigg a Ciano dell'8 novembre). Il vice capo di Gabinetto, Anfuso fu quindi inviato a Vienna con l'incarico di porre termine ad ogni discussione in proposito (su tale missione non è stata trovata documentazione ma si veda il Diario di Ciano alla data dell'Il novembre).

449

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. 1733/206 R. Roma, 18 ottobre 1937, ore 15,20.

Telegramma di V.E. n. 455 1 .

Oltre ad invito della S.d.N. di cui a mio telegramma n. 2042 è pervenuto invito del governo belga 3 a partecipare a riunione Bruxelles. Poiché invito stesso non, ripeto non, fa menzione della S.d.N. ma si porta unicamente al Trattato di Washington, viene a mancare base per nostro rifiuto aderire, tanto più in quanto ministro Esteri belga, insistendo per nostro intervento, ha assicurato R. ambasciatore Bruxelles che Conferenza non è in relazione alcuna con Ginevra; che essa non è chiamata a emettere giudizi circa aggressione ma solo a facilitare conciliazione delle due parti; che invito alla Germania sarà deciso nella prima riunione della Conferenza. In tali condizioni ritengo che dovremmo accettare invito, tanto più che ciò ci darebbe modo difendere punto di vista giapponese secondo linee di cui al n. 3 del citato telegramma di V.E.

Prego comunicare quanto precede a codesto governo, che confido condividerà nostro punto di vista. Comunque, sono disposto a prendere in considerazione con spirito assolutamente amichevole qualsiasi suggerimento giapponese.

Faccia il passo subito e telegrafi con la massima urgenza 4 .

450

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 7238/748 R. Londra, 18 ottobre 1937, ore 17,11 (per. ore 21).

Invio con telegramma in chiaro 746 1 largo riassunto discorso perfido e provocatorio pronunziato ieri sera sabato da Lloyd George in esaltazione di Eden e del discorso fatto da Eden venerdì 2 .

Di tuttociò Ciano parlò direttamente con Schuschnigg il IO gennaio 1938 a Budapest in occasione della conferenza dei firmatari dei Protocolli di Roma (CIANO, Diario, alla data corrispondente), dopo di che il 16 gennaio scrisse una lettera personale a Schuschnigg per comunicargli che Mussolini considerava la questione «completamente chiusa». 449 l Vedi D. 442. 449 2 Vedi D. 442, nota l. 449 3 Vedi D. 443. 449 4 Vedi D. 453. 450 1 T. 7199/746 R. del!? ottobre. Riferiva che, in un discorso tenuto i116 ottobre a Carnavon, Lloyd George aveva esortato Eden ad agire senza ascoltare gli uomini che gli stavano intorno e aveva affermato che, constatato come ormai il non intervento fosse diventato una farsa, era giunto il momento «di costituire una società di vigilanza tra le Nazioni». 450 2 Vedi D. 446, nota 3.

Che Lloyd George, il quale è il maggiore nemico personale di Chamberlain e dell'attuale Gabinetto, nonché capo opposizione sinistra liberale, esalti pubblicamente Eden nello stesso momento in cui Lloyd George attacca direttamente Chamberlain e la sua politica, è un fatto più che sintomatico ed illustra quanto ebbi occasione di scriverti nella mia lettera-rapporto dell'Il ottobre3 .

Ti segnalo a questo proposito, come elemento di giudizio sulla situazione, parte del mio fonogramma stampa di stamane n. 297 4 che si riferisce ripercussione che discorso di Eden di venerdì ha avuto e sta avendo nella stampa inglese, non solo in quella di sinistra, bensì in quella ufficiosa conservatrice (Sunday Times) cui articolo di fondo di oggi merita una attenzione tutta particolare.

Questo discorso di Eden alla vigilia della ripresa Comitato di non intervento è, a mio avviso, un documento importante, in quanto che esso conferma pubblicamente la direttrice anti-italiana della sua azione di ministro Affari Esteri e la sua intenzione di giocare grosso in politica estera e politica interna. Vi sono così oggi sulla stessa linea Eden-Churchili-Lloyd George.

Io ho creduto necessario nelle mie dichiarazioni di ieri 5 di uscire dalla cosiddetta tradizione del cosiddetto riserbo diplomatico e di sottolineare in pieno la responsabilità assunta dal ministro degli Affari Esteri britannico con le sue dichiarazioni di venerdì. Ribbentrop (col quale avevo preso preventivo accordo) mi ha seguito facendo altrettanto.

448 3 Nel Diario di Ciano alle date del 25 e 29 novembre si fa altresì riferimento ad un documento cecoslovacco venuto in possesso del S.l.M. in cui erano riportate delle dichiarazioni ostili all'Asse del direttore generale degli Affari Politici del ministero degli Esteri austriaco, Hombostel. Il documento -che fu consegnato da Anfuso a Schuschnigg il 26 novembre -non è stato ritrovato nelle carte di Gabinetto.

451

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7242/696 e 7243/697 R. Salamanca, 18 ottohre 1937, ore 21,30 (per. ore 8,30 del 19).

Telegramma di V.E. 741 1 . Ho interpellato Franco nel senso prescrittomi e riferisco suo punto di vista nell'ordine dei quesiti posti da V.E.

l) Franco è disposto non senza sacrificio a consentire in massima ritiro volontari a solo scopo facilitare ai suoi alleati e soprattutto a noi la condotta dei negoziati circa non intervento e di contribuire a una chiarificazione dell'atmosfera internazionale con speciale riguardo ai problemi politici italiani ed al mantenimento della pace. Persistendo nella sua certezza che tale misura si risolverà in un vantaggio per avversari egli prospetta assoluta necessità di non addivenire al ritiro senza fare le maggiori resistenze, senza esigere e predisporre le più rigorose garan

zie di leale esecuzione da parte di Valencia e senza ottenere la massima possibile contropartita di vantaggi politici. Per quanto riguarda la Spagna Nazionale si deve per lo meno ottenere il riconoscimento completo della belligeranza. Riconoscimento, parziale o limitato, arrecherebbe in pratica più danni che vantaggi, attribuendo a Franco doveri che ora non ha. In ogni caso deve rimanere fuori discussione il ritiro dei marocchini e delle legioni del Tercio che formano parte integrante dell'esercito nazionale anche in tempo di pace.

2) Circa fissazione del quantitativo di volontari da ritirare, Franco si rimette alle esigenze della efficienza dei contingenti, rimanendo inteso doversi stabilire eguale aliquota per numero e qualità da ciascuna parte. Criterio percentuale riferito al totale dei volontari non può essere accettato perché, mentre computo del totale dei volontari è facilissimo nel campo nazionale, è invece quasi impossibile, e risulterebbe certamente inferiore alla realtà, nel campo nemico nel quale i volontari sono coperti sotto le più svariate forme e camuffamenti e in gran parte frammischiati ai contingenti spagnoli.

Generalissimo ritiene superfluo ricordare a V.E. che egli verrebbe messo in condizioni di assoluta inferiorità qualora fossero ritirate nostre unità legionarie di artiglieria, genio, aviazione e carri armati. Ritiro pertanto dovrebbe praticamente incidere soltanto su fanteria in tutto o in parte e senza armamento.

3) La decisione definitiva del ritiro, nell'interesse dei Nazionali e del corso delle operazioni militari, dovrebbe essere ritardata quanto più possibile ma una volta presa, l'evacuazione sarebbe iniziata con relativa rapidita. Ciò con riguardo agli effetti della decisione stessa sulla psicologia delle truppe legionarie il cui impiego e rendimento potrebbero diventare problematici quando essi avessero la certezza del rimpatrio (previsione che è anche condivisa dal nostro C.T.V.). Tuttavia evacuazione dovrebbe effettuarsi cominciando da un primo scaglione di un migliaio o tutt'al più due di uomini allo scopo di saggiare funzionamento del sistema convenuto ed aver modo cautelarsi contro inganni o inadempienza dell'avversario.

Franco giudica inoltre indispensabili le seguenti misure per la cui attuazione prega di insistere; identificazione dei volontari stranieri non sarà fatta in base alla lingua -secondo il desiderio di Valencia --né alla documentazione personale spesso falsificata ma mediante interrogatori assunti congiuntamente da Commissari delle due parti.

Ritiro sarà preceduto da completa ed effettiva chiusura frontiera terrestre e marittima con sorveglianza esercitata non da controllori neutri compiacenti ma da italiani e tedeschi per Spagna Rossa e da inglesi e francesi per Spagna Nazionale. A tale proposito occorre considerare come la contiguità del territorio francese si presti ad agevolare il ritorno o la sostituzione dei volontari rossi rendendo illusorio il provvedimento.

Evacuazione avverrà esclusivamente per via di mare sotto scorta. Saranno scelti porti d'imbarco di secondaria importanza e distanti da grandi centri urbani; ciò per ovvie ragioni sicurezza e ordine pubblico. Controllo volontari sarà effettuato all'atto imbarco da commissari designati nel modo più sopra detto. Scelta dei porti di destinazione sarà retta dal criterio di rendere improbabile un eventuale ritorno degli evacuati in Spagna.

Ciò nonostante il Generalissimo mi ha dichiarato che considera quasi insuperabili le difficoltà pratiche del ritiro dei volontari ed è convinto trattarsi di una montatura francese per creare una atmosfera di crisi europea e poter renderne responsabili Italia e Germania. Notizie ricevute ieri da Lisbona gli confermano che Salazar è dello stesso parere e che ha impartito istruzioni a Monteiro di tenersi in stretto contatto con Grandi e Ribbentrop per controbattere queste nuove manovre francesi dirette a sollevare le precarie sorti del governo di Valencia.

Di fronte all'odierno tentativo francese di disorganizzare le forze nazionali, Franco mi prega di far rilevare a V.E. che nel novembre u.s. decine di migliaia di combattenti internazionali e molte decine di aviatori e di apparecchi francesi poterono impedire la disfatta ormai certa dei Rossi nonostante governo nazionale avesse ripetutamente denunziato alle Potenze tale intervento.

450 3 Vedi D. 421. 450 4 Non pubblicato. 450 5 Vedi D. 446, nota 3. 451 t Vedi D. 440.

452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI

T. RISERVATO 1737/203 R. Roma, 19 ottobre 1937, ore 1,35.

Veda Daranyi e Kanya e, a nome del Duce e mio, richiami la loro attenzione sull'atteggiamento antipatico che sta assumendo codesta stampa. Dica loro che tale atteggiamento non potrà non ripercuotersi sfavorevolmente sull'opinione pubblica e sul governo 1•

453

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 7244/460 R. Tokio, 19 ottobre 1937, ore 6,25 (per. ore 12,15).

Telegramma di V.E. n. 206 1 .

Governo giapponese ringraziando comprende nostra situazione ed intervento. Ci ha già fatto conoscere suoi desideri (mio telegramma n. 455 punto terzo)2 ma se altri ne avrà in relazione ai prossimi avvenimenti si affretterà a comunicarli. Non ha ancora ricevuto alcun invito ma se anche lo ricevesse non è probabile lo accetterebbe malgrado il carattere di indipendenza da Ginevra dato ad esso.

453 l Vedi D. 449. 453 2 Vedi D. 442.

452 l Per la risposta, si veda il D. 456.

454

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. PER CORRIERE SEGRETO 1742 R. Roma, 19 ottobre 1937.

A Belgrado sono un po' preoccupati dell'organizzazione della gioventù albanese. Allo stato degli atti, desidero che ogni sospetto tra noi e la Jugoslavia sia dissipato dal suo primo sorgere. Quindi mettere in secondo piano ed in secondo tempo, l'organizzazione della gioventù.

455

L'INCARICATO D'AFFARI PRESSO LA SANTA SEDE, VENTURINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATISSIMO 7246/89 R. Roma, 19 ottobre 1937 (per. stesso giorno).

Pizzardo mi ha personalmente telefonato, pregandomi di andarlo e vedere. Premetto fin d'ora che, in politica almeno, da tempo ritengo Pizzardo un po' troppo impressionabile e catastrofico.

Il Segretario per gli Affari Straordinari mi ha chiesto se avevo notizie circa la questione di Spagna e la riunione del Comitato di Londra. Gli ho risposto che certamente ne sapevo meno di lui, i giornali ed i fonogrammi stampa essendo le mie sole fonti d'informazioni. Mi sono mostrato genericamente ottimista, sia sull'esito bellico che su quello politico dell'affare spagnolo.

Monsignor Pizzardo mi ha allora confidato che, in seguito alle notizie ricevute da più parti, era alquanto preoccupato per l'andamento delle cose. Dalla Svizzera gli era stato scritto da persona degna di fede che negli ambienti politici e diplomatici nutrivano serie apprensioni sugli sviluppi della situazione internazionale. A vendo domandato se tali notizie allarmistiche gli fossero state inviate dal cardinale Pacelli, me lo ha nettamente escluso.

Ma ciò che maggiormente preoccupava il Segretario per gli Affari Straordinari, erano le notizie ricevute da Washington, da fonte sicura e bene informata. Gli Stati Uniti, contrariamente a quanto si era verificato durante il conflitto etiopico, si stavano, questa volta, decisamente orientando verso una solidarietà attiva con l'Inghilterra, in caso di complicazioni. Per Pizzardo la Gran Bretagna è attualmente molto influente presso la Casa Bianca e in certo qual modo arbitra dell'immediato futuro, perché Roosevelt, e con lui la maggioranza dell'opinione pubblica americana, si sono persuasi che la sola maniera di conservare, se non la pace, di salvare almeno le democrazie plutocratiche è un fronte unico dei due Paesi anglosassoni. Insomma, l'America sarebbe disposta ad intervenire di nuovo negli affari europei, spalleggiando a fondo la politica inglese.

Monsignor Pizzardo aveva ritenuto di parlarmi della situazione, perché, se le informazioni ricevute sulla solidarietà anglo-americana erano esatte, l'Italia si trovava ad una svolta assai delicata della sua politica estera. Non stava certamente alla Santa Sede dare suggerimenti e consigli, ma essa aveva l'impressione che all'Italia convenga procedere in maniera molto guardinga. Irrigidendosi, sarà difficilmente possibile giungere ad un onorevole compromesso.

Il Segretario per gli Affari Straordinari ha concluso dicendo che il Duce è «un grande ingegno», calmamente soppesa i pro ed i contro, sa quel che vuole e quel che fa, non è come Hitler (la puntata contro il nazionalsocialismo e il suo capo è ormai diventata di prammatica in ogni discorso di un prelato vaticano), sperava quindi che, magari all'ultimo momento, si sarebbe trovata una base d'intesa.

Ho assicurato monsignor Pizzardo che avrei riferito a V.E. il contenuto della conversazione.

456

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7277/0200 e 7280/0201 R. Budapest, 19 ottobre 1937 (per. il 21 ). Mio telegramma n. O198 in data odierna 1•

Subito dopo il colloquio con Daranyi sono stato ricevuto dal ministro degli Affari Esteri, col quale mi sono ~presso in termini analoghi, in conformità delle istruzioni ricevute 2 .

Mostrandosi concitato e risentito al punto da frenarsi a stento, Kanya mi ha detto che trovava del tutto ingiustificato il mio passo tanto più nella forma che il

R. governo gli aveva dato ed ha ribattùto le mie dichiarazioni affermando che nulla vi era di cambiato nell'opinione pubblica e nella stampa ungherese nei nostri riguardi; che critiche ed attacchi contro i «sistemi politici autoritari» vi erano sempre stati da parte degli organi liberali ed erano dovuti al noto punto di vista antitotalitario e costituzionale di molta parte dell'opinione pubblica ungherese; essi erano apparsi sulla stampa d'opposizione, su cui il governo non aveva potere, e comunque mai vi erano stati attacchi diretti all'Italia (gli ho detto che avevo parlato solo di «tono»); si trattava di polemiche riguardanti la politica interna dell'Ungheria e lo stesso Capo del governo italiano aveva sempre dichiarato d'altra parte non essere il fascismo materia d'esportazione; le notizie «non controllate» sulla presunta malattia del Duce erano state subito smentite dalla stessa agenzia Dunaposta; lo stesso Magyarsàg che effettivamente aveva avuto un contegno antipatico nei nostri riguardi aveva però pubblicato anche articoli favorevoli, mentre i segnalati articoli antitotalitari erano scritti con spirito antigermanico piuttosto che antitaliano; il ministro di Germania 3 aveva fatto una volta un passo (ma solo presso

presidente del Consiglio, Daranyi, il quale gli aveva assicurato che le critiche ai sistemi dittatoriali pubblicate in alcuni giornali ungheresi avevano soltanto finalità interne e che comunque l'opinione pubblica ungherese non era «per nulla cambiata nella sua profonda e generale amicizia per l'Italia». 456 2 Vedi D. 452. 456 3 Otto von Erdmannsdorff.

548 di lui), ciò poteva giustificarsi, dato che in un sol giorno ben 14 giornali ungheresi avevano pubblicato articoli contro il Reich e il nazismo; nei nostri riguardi la stampa aveva anche recentemente pubblicato numerosi articoli molto ben intonati e favorevolissimi; secondo lui anche nella stampa tedesca era apparso qualche articolo poco simpatico verso di noi.

Gli ho, a un certo punto, detto che avendo fatto un passo ufficiale, desideravo sapere che cosa dovevo in definitiva far conoscere ufficialmente all'E.V. Kanya mi ha dichiarato: l) egli era molto sorpreso del mio passo che riteneva non giustificato, dato che si trattava solo di qualche articolo della stampa di opposizione; 2) egli mi assicurava tuttavia che, per far cosa gradita al governo italiano, poiché effettivamente il Magyarsàg aveva avuto degli articoli non simpatici per l'Italia egli avrebbe subito convocato il direttore del giornale richiedendogli di richiamare il redattore Frey, ebreo, minacciandolo di provvedimenti diretti.

Prima di queste esplicite dichiarazioni da me provocate e nel corso della conversazione (che ha avuto spunti di sgradevole asprezza), Kanya, che affermava di non potersi spiegare il mio passo, mi ha domandato-(e l'ho prontamente richiamato) se si trattava di un pretesto: ripreso si subito, mi ha detto che non vedeva come il governo italiano potesse fare dei rimarchi quando anche recentementesenza parlare del passato -egli aveva sostenuto a Ginevra il punto di vista italiano4, esponendosi apertamente e seriamente e quando egli aveva anche rifiutato un seggio offerto all'Ungheria dalla S.d.N., per non fare cosa sgradita al governo italiano. Egli non voleva assolutamente fare osservazioni al governo italiano, ma quest'ultimo aveva firmato l'Accordo con la Jugoslavia; gli dava l'impressione da circa due mesi a questa parte di volersi disinteressare dell'Ungheria e in genere del Bacino Danubiano: e da ultimo aveva denunciato gli accordi economici contenuti nei Protocolli di Roma.

Ritornando sulle obbiezioni già fatte, Kanya mi ha detto ancora, alla fine della conversazione: «voi date troppa importanza a giornali che non ne hanno alcuna».

Mi occorre rilevare che durante tutto il colloquio, e particolarmente all'inizio, Kanya mi è apparso dominato da una viva irritazione che non riusciva a celare. Ad un certo punto, egli mi ha detto di aver ragioni di credere che (mentre io non conoscevo l'ungherese), l'addetto stampa della R. legazione traducesse male e mi segnalasse soprattutto le cose a noi meno favorevoli. Ho risposto che avrebbe dovuto provarmi quanto affermava: che non potevo ammettere tali insinuazioni sul conto di un mio funzionario, mentre prendevo sopra di me la responsabilità intera di tutto quanto partiva dalla R. legazione per informare l'E.V.

Kanya mi ha anche detto aver l'impressione che io personalmente cercassi ogni occasione per trovare il male dove non ce n'era. Ho risposto che ho riferito e riferisco all'E.V. solo quello che la mia coscienza mi detta e che del resto certa stampa parlava da sé.

Accortosi di essersi lasciato trasportare, Kanya ha soggiunto che desiderava parlarmi francamente a costo di apparire sgradevole. Era tuttavia talmente poco padrone di se stesso che, avendogli io detto che nella precedente conversazione, di tono come era naturale assai diverso, avevo avuto poco prima tutt'altra risposta

dal Presidente del Consiglio, egli ha esclamato: «Ma Daranyi non conosce affatto come me, come stanno le cose».

Ho riferito all'E.V. il più fedelmente possibile la conversazione con Kanya, raggruppando insieme quanto egli mi ha detto, mentre, come V.E. ben comprenderà, ho per parte mia ribattutto punto per punto le sue obbiezioni; il mio atteggiamento ha contribuito a riportare subito la conversazione in un tono di fredda correttezza non appena il mio interlocutore mostrava di non sapersi dominare abbastanza.

Mi riservo col prossimo corriere dare il quadro più esatto possibile dei sentimenti dell'opinione pubblica (che nella grande maggioranza confermo finora sempre a noi intimamente e sinceramente amichevoli, seppure per vari motivi essa dia indubbi segni di perplessità, di incertezza, di delusione); dell'atteggiamento della stampa e dei partiti; mentre occorre tener conto che al disopra di essi sta principalmente l'autorità e il prestigio del Reggente 5 .

456 1 T. per corriere 7279/0198 R. del 19 ottobre. Il ministro Vinci riferiva di essere stato ricevuto dal

456 4 Nella questione sollevata dall'appello del governo di Valencia alla Società delle Nazioni del 23 agosto precedenti.

457

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 4924. Berlino, 19 ottobre 1937 (per. il 22).

Come ti ho già telegrafato in via ufficiale, Neurath ti ringrazia di averlo informato del desiderio di Beck di venire a Roma e trova che una visita siffatta sarebbe più che naturale 1 . Nessunissima, quindi, abbiezione da parte sua. Che anzi-ed è per questo che egli mi aveva pregato di passare da lui -Neurath desidererebbe molto che tu, vedendo Beck, gli facessi amichevolmente comprendere che, se veramente egli vuole mettere i rapporti germano-polacchi sopra una base stabile e solida, bisogna pure che faccia «qualche cosa per Danzica».

I punti di frizione fra la Germania e la Polonia sono due: l) trattamento delle minoranze tedesche; 2) Danzica.

Sul primo punto, Berlino e Varsavia hanno già concretato una serie di provvedimenti atti, se applicati da entrambe le parti con lealtà, a scongestionare la questione. Essi saranno annunziati in una prossima «dichiarazione» (da me preannunciata in data lo ottobre) che, già pienamente concordata, sarà resa pubblica soltanto dopo il ritorno del Fiihrer alla capitale (egli sta riposandosi a Obersalzberg), probabilmente la settimana entrante 2 .

Ma, rimane Danzica. Il «qualche cosa» che pure, secondo Neurath, sarebbe necessario fare per Danzica, Neurath stesso non ha saputo specificarmelo. È chiaro tuttavia che l'obbiettivo ultimo di tutti i tedeschi è la riunione di Danzica alla Germania. Danzica è una città tedesca, godente dello statuto di Città Libera. Ora

457 I Vedi D. 435, nota 3. 457 2 La dichiarazione tedesco-polacca sulle minoranze fu sottoscritta il 5 novembre 1937 (testo in DDT, serie D, vol. V, D. 18).

che, gradatamente, tutti i partiti di opposizione sono stati eliminati e anzi debellati, nulla, in principio, vieterebbe che la libera Città di Danzica, in una occasione più o meno prossima, si proclamasse, liberamente, città del Reich.

Neurath non mi ha detto tutto questo. Però, a un certo punto, mi ha pur parlato di «riunione». Ma come e quando? ho interrotto subito io. In che maniera, ha replicato Neurath riprendendosi, non so e quando neanche; comunque non adesso.

Ho rammentato a Neurath che poche persone potevano parlare di Danzica più spregiudicatamente di me che, inviato a Danzica nel 1921 ad instaurare il sistema degli Alti Commissari societari, presi, fin da allora posizione in senso favorevole alla Germania. Però ~«dissi» ~pensate in quale situazione vi trovereste di fronte al mondo, se pur prescindendo da qualunque considerazione e reazione societaria, voi poteste anche soltanto «apparire» come violatori dal vostro accordo con la Polonia3? Questo accordo ~il primo, che Hitler abbia concluso costituisce la pietra di paragone della lealtà politica del 3° Reich. Ed ecco perché ogni volta che la temperatura dei rapporti germano-polacchi sale, ho sempre visto che il Fiihrer interviene all'ultimo momento personalmente per evitare ch'essa raggiunga il grado di ebollizione.

-Verissimo, m'ha confermato Neurath, ma forse è per questo che la Polonia ne abusa e ci specula. Essa non pensa alla situazione in cui verrebbe a trovarsi il giorno in cui fosse lasciata sola alle prese con la Russia Sovietica.

-D'accordo, osservai ma insomma è evidente che anche voi avete interesse a non accelerare i tempi. È chiaro che un giorno o l'altro tutta la questione del corridoio dovrà pure essere regolata. Ma non è certo questo il momento.

-Indubbiamente, ed io sono lieto, aggiungeva scherzando Neurath, che, alla fine dei 10 anni (durata dell'accordo polacco-tedesco), io non sarò più Ministro degli Affari Esteri del Reich. Comunque, per Danzica, la Polonia ~e qui tornava a ripeter la stessa frase ~una qualche cosa sarà necessario che la faccia. lo stesso non ho ancora pensato che cosa si potrebbe fare ma bisogna pure che la Polonia comprenda che è suo interesse di venirci incontro. I due paesi dovrebbero sulla questione venire fra di loro ad un accordo speciale e diretto, il cui contenuto sarebbe da studiare.

Ce n'è abbastanza per comprendere in quale senso stia soffiando il vento4 .

456 5 Si veda per il seguito il D. 459.

458

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4930/1597. Berlino, 19 ottobre 1937 (per. il 21).

Tutta la stampa tedesca riproduce oggi il testo di una dichiarazione redatta dall'onorevole Chautemps e pubblicata dall'organo della Gioventù Hitleriana

Volontà e Potenza rilevando con compiacimento come il Presidente del Consiglio francese si pronunci in termini cordiali per una collaborazione fra la gioventù dei due Paesi.

La notizia di cui sopra, mentre non ha importanza di per se stessa, tuttavia ne acquista quando sia messa nel quadro di tutti i piccoli ma continui, tentativi reciproci di approccio che hanno luogo in questi ultimi tempi fra la Germania e la Francia, approcci di cui fanno anche parte le numerose visite di rappresentanti tedeschi in Francia. Questi approcci si sono andati di recente intensificando, e ciò in relazione:

l) all'avvenuta dichiarazione germano-belga del 13 corrente1 , e ciò quasi per far comprendere alla Francia che se anche essa, come il Belgio, si volesse fidare della Germania, questa sarebbe pronta a stenderle ancora la mano, dandole, secondo la nota promessa del Fiihrer, ogni garanzia di rispetto della sua integrità;

2) ai risultati delle ultime elezioni francesi 2 , interpretate come una vittoria, dei radical-socialisti in confronto dei socialisti e dei comunisti, vittoria certo relativa ma per lo meno, da permettere al governo Chautemps di non subire passivamente la tirannia comunista 3 .

457 3 Riferimento al trattato tra Germania e Polonia del 26 gennaio 1934 (vedi D. 418, nota 3). 457 4 H documento ha il visto di Mussolini.

459

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7285/0206 R. Budapest, 20 ottobre 1937 (per. il 21 ).

Mio telegramma n. 0205 per corriere 1 .

Esaurita questa parte ufficiale della conversazione, Bessenyei, che è legato con me da vincoli di antica amicizia, parlandomi in via del tutto confidenziale ha cercato di scusare le intemperanze isteriche di Kanya mostrando di essere visibilmente impressionato e seccato, avendo già saputo come si era svolto ieri il colloquio. Sempre in via strettamente confidenziale, mi ha detto che Kanya sarebbe nervoso e vivamente preoccupato perché teme che l'Italia si disinteressi dell'Ungheria e «cerchi un pretesto». Mentre io ho, nello stesso tono amichevole ma deciso, ribattuto queste sue affermazioni, egli mi ha detto che l'origine prima di questa diffidenza di

Kanya sta nel fatto dell'Accordo itala-jugoslavo, non avendo egli, fin dai tempi della Ballhausplaz, nessuna simpatia e fiducia negli jugoslavi; che ultimamente gli era sembrato che queste apprensioni fossero avvalorate da alcuni fatti (mancata udienza del ministro d'Ungheria da parte del Duce a Berlino; mancata pubblicazione in Italia del discorso pronunciato dal Maresciallo Badoglio all'inaugurazione della lapide al colonnello D'Aste (mio telespresso numero l 0028/1848) 2 ; mancata pubblicazione dell'intervista di Kanya al Corriere della Sera (mio rapporto numero l o192/0202)3.

Ho risposto opportunamente a ciascun argomento, escludendo il fondamento di tali apprensioni e citando a riprova vari fatti: che V.E. aveva di buon grado accettato di fare una dichiarazione pubblica, salvo questioni di dettaglio, a proposito degli accordi economici 4 (Bessenyei mi ha detto che Kanya aveva incaricato l'incaricato d'affari d'Ungheria a Roma di ringraziare l'E.V. e di mettersi d'accordo per una formula, trovando pienamente fondata l'abbiezione dell'E. V.); la pubblicazione in tutti i giornali italiani del recente discorso del Reggente; l'odierna pubblicazione del Messaggero delle dichiarazioni di Kanya al Kurier Warszawski.

Egli mi ha confidato di aver suggerito a Kanya di richiamare dal congedo Villani «che riuscirà a convincere e calmare il ministro» e sarà poi mandato a Roma.

Bessenyei ha finito col dirmi che era a mia disposizione per fare tutto il possibile perché queste nubi svanissero data la necessità di mantenere sempre i migliori rapporti tra l'Italia e l'Ungheria.

458 l Vedi D. 415. nota 5. 458 2 Elezioni cantonali del IO e 17 ottobre. Nel riferire in proposito, l'ambasciatore Cerruti osservava che, allontanata la minaccia di preponderanza comunista, il Fronte popolare «veniva a perdere quell'aspetto di movimento estremista che lo teneva lontano dai gruppi di centro e moderati» ed il partito radical-socialista, che era uscito notevolmente rafforzato dalla prova elettorale, poteva, senza liquidare formalmente il Fronte Popolare, manovrare in modo da «modificarne spirito e metodi allontanandolo dalle sue posizione estreme e facilitandone la trasformazione in una maggioranza di concentrazione repubblicana» (Telespr. 7178/2571 del 20 ottobre. Il documento ha il visto di Mussolini che ha sottolineato le frasi qui riportate). 458 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 459 1 T. per corriere 7284/0205 R. del 20 ottobre. Riferiva sul colloquio avuto con il direttore generale degli Affari Politici, Bessenyei, al quale il ministro Vinci. facendo seguito al passo compiuto presso Kanya (vedi D. 456). aveva consegnato alcuni articoli contro l'Italia e il fascismo apparsi nella stampa ungherese.

460

COLLOQUI DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, HOTTA, E L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, VON HASSELU

APPUNTO. Roma, 20 ottobre 1937.

L'Ambasciatore del Giappone, dopo essersi scusato per il lungo ritardo, mi ha messo al corrente di quanto si è passato tra lui ed il suo Governo a proposito del progettato accordo anticomunista tra l'Italia ed il Giappone. Mi ha detto che in un primo tempo egli aveva ricevuto istruzioni dal suo Governo di procedere ad un accordo anticomunista con l'Italia, aggiungendo verbalmente l'impegno di onore del Giappone di neutralità favorevole e di eventuale consultazione in caso di conflitto. Stava continuando il carteggio con Tokio ai fini di trasformare questo impegno verbale in un accordo scritto o in qualche cosa comunque più precisa, secondo

459 3 Del 20 ottobre, non pubblicato. 459 4 Il governo ungherese aveva chiesto, tramite l'incaricato d'affari a Roma, che in vista di un muta mento nel regime degli accordi economici italo-ungheresi, dovuto soprattutto alla carente disponibilità di divise da parte dell'Italia, si fosse pronti a controbattere qualsiasi interpretazione tendente ad attri buire motivazioni politiche all'avvenimento. Ciano aveva fatto rispondere di essere pronto a concordare una dichiarazione nel senso desiderato nella quale però non si sarebbe dovuto accennare alla questione della disponibilità di divise (Ciano a Vinci, T. per corriere 1707 R. del 12 ottobre). 460 l Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 213-214.

i desideri che io gli avevo esposti, quando è stato informato dal suo Governo che la situazione si presentava sotto un nuovo aspetto dato che il Governo tedesco propendeva per la stipulazione di un Patto a tre. A tal fine egli mi preannunciava la visita di von Ribbentrop e m'informava che domani giungerà a Roma anche l'Ambasciatore del Giappone a Berlino. Altro non poteva aggiungere non essendo egli a conoscenza di maggiori dettagli. Ma mi pregava di volere riprendere contatti con lui dopo essermi incontrato con von Ribbentrop.

Il colloquio tra l'Ambasciatore del Giappone e me è quindi proseguito su altri argomenti relativi alla situazione in Estremo Oriente ed egli si è mostrato sicuro dell'immancabile successo militare dei suoi compatrioti.

Per quanto concerne la Conferenza delle Nove Potenze, mi ha detto che si rendeva ben conto della opportunità della partecipazione italiana attraverso la quale sarebbe stato a noi facile di rendere utili servigi alla causa giapponese.

Ho quindi ricevuto l'Ambasciatore di Germania che accompagnava il signor Raumer, Capo di Gabinetto di Ribbentrop, col quale avevo già avuto un rapido contatto lo scorso anno 2 a proposito dell'azione anticomunista. Il signor Raumer mi ha rimesso lo schema di Protocollo nonché quello di Protocollo supplementare, qui uniti. Ho domandato al signor Raumer, dato che si trattava di dare la nostra adesione ad un patto già esistente tra altre due Potenze, se fosse in grado di farmi conoscere quali altri accordi di carattere confidenziale esistessero fra Germania e Giappone, dato che di tali accordi mi si è più volte parlato anche da personalità ufficiali germaniche.

Il signor Raumer non è stato in grado o non ha voluto rispondere, riservando a von Ribbentrop di entrare nella discussione di merito. Per parte mia ho ringraziato della comunicazione ed ho riservato ogni risposta dopo aver preso gli ordini dal Duce 3 .

ALLEGATO

PROTOCOLE

Vu le fait que I'Internationale Communiste continue sans interruption de mettre en danger le monde civilisé de I'Occident et de I'Orient en troublant et meme détruisant la paix et l'ordre de ces pays.

Convaincue que seulement une collaboration étroite de tous !es peuples et nations intéressées au maintien de la paix et de l'ordre peut restreindre ou écarter ce danger.

L'Italie qui après avoir été le premier Etat civilisé tirant la conséquence de cette connaissance a extirpé I'lnternationale Communiste dans son pays s'est décidée de se défendre con tre J'ennemi com m un cote à cote avec le Japon et l' Allemagne qui de leur part so n t

veda serie ottava, vol. VI, p. 220, nota 2). 460 3 Su questo colloquio si veda anche il più circostanziato resoconto dell'ambasciatore von Hassell in DDT, serie D, vol. I, D. IO.

animés de la méme volonté de se défendre contre l'Internationale Communiste comme l'Italie elle-méme.

Par conséquence !es Plénipotentiaires soussignés du Gouvernement Royal et Imperia! d'Italie, du Gouvernement Impérial du Japon et du Gouvernement du Reich allemand sont convenus de ce qui suit:

Artide I.

Le Gouvernement Royal et Impérial d'Italie dédare son intention de procéder en qualitè de signataire originaire à la signature de l'Accord contre l'Internationale Communiste condu le 25 novembre 1936 entre l' Allemagne et le Japon le texte duquel est ci-joint dans l'annexe.

Artide II.

La signature de ce Protocole effectuée sur la base de l'Artide I. précédent sera donc valable sous la date de la mise en vigueur de l' Accord susmentionné.

Artide III.

Le présent Protocole sera mis en vigueur dès le jour de la signature.

Fait à Berlin en triple exemplaire allemand, italien et japonais

Berlin, le

PROTOCOLE SUPPLÉMENTAIRE

Les soussignés ayant signé au nom de leurs Gouvernements respectifs le Protocole de ce jour relatif à la signature de l'Italie de l'Accord du 25 Novembre 1936 En égard de la difficulté de signer !es textes originaires de l' Accord dont un exemplaire se trouve à Tokio, l'autre à Berlin sont tombés d'accord sur le suivant:

Artide I.

La signature du Protocole du équivaut à la signature du texte originaire de l'Accord du 25 Novembre 1935.

Artide Il.

Le présent Protocole sera annexé au texte originaire de l'Accord du 25 Novembre comme partie intégrante de cet Accord.

459 2 Non rintracciato.

460 2 Un «rapido contatto» di Ciano con Raumer risulta avvenuto, in realtà, nel marzo precedente (si

461

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 4963/1611. Berlino, 20 ottobre 1937 (per. il 21).

Neurath mi comunica di avere avuto ieri una conversazione con l'ambasciatore di Francia ritornato da Parigi lunedì mattina. François-Poncet ha intrattenuto Neurath soprattutto sui punti seguenti.

Rapporti italo-francesi. L'opinione pubblica francese si va sempre più «montando» nei riguardi dell'Italia, ed ha raggiunto un diapason che François-Poncet non esita a definire come cntlco. La Francia farebbe colpa alla Germania di prestare man forte all'Italia nella politica di progressivo accaparramento del Mediterraneo. A Parigi si ritiene che Hitler avrebbe fatto delle promesse in questo senso a Mussolini.

Neurath ha smentito: a) che l'Italia abbia delle mire territoriali sulle Baleari; b) che la Germania inciti l'Italia ad una politica mediterranea aggressiva. Per maggiori dettagli sull'argomento rinvio all'accluso allegato in cui è riferita una analoga conversazione tra François-Poncet e Magistrati.

François-Poncet avrebbe confermato anche a Neurath la sua nota ottimistica sulla situazione politica della Francia. Neurath però ha aggiunto che, anche se le constatazioni di François-Poncet fossero vere, ciò non implicherebbe un mutamento sensibile di rotta nella politica estera della Francia. (Debbo però aggiungere risultarmi da parecchie parti che in questo momento in Germania si sta facendo strada l'idea che effettivamente la Francia abbia superato ogni possibilità di pericoli comunisti interni e che i suoi amori con Mosca siano pro tanto, raffreddati. Questa persuasione si risolve automaticamente in un aumento di simpatie tedesche per la Francia). François-Poncet ha quindi parlato della dichiarazione germano-belga 1 , dicendo che la Francia ne era lietissima, ma che il momento era stato male scelto.

Neurath ha risposto che in qualunque momento la dichiarazione fosse stata fatta, la Francia avrebbe trovato sempre qualcosa da ridire.

L'ambasciatore di Francia si è quindi mostrato preoccupato dell'asprezza della campagna di stampa tedesca contro la Cecoslovacchia domandando se preludesse a «qualche cosa». Neurath lo ha rassicurato, aggiungendo anche di avere già dato disposizioni perché la stampa diminuisse la propria virulenza.

ALLEGATO

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI. ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

APPUNTO. Berlino, 19 ottohre 1937.

Ho visto ieri sera l'ambasciatore di Francia, François-Poncet, rientrato nella mattinata a Berlino da Parigi. Riassumo qui appresso le idee e le impressioni del mio interlocutore il quale, come è noto, è grande amico dell'attuale presidente del Consiglio, Chautemps.

La Francia attraversa un quarto d'ora di vivo risentimento contro l'Italia. Se per anni, e durante tutto il conflitto etiopico, il 60 per cento dei francesi poteva dirsi formato di simpatizzanti per l'Italia e di ammiratori di Mussolini, oggi quella cifra è scesa al 30 per cento. Un tale cambiamento, verificatosi negli ambienti meno estremisti del Paese, è dovuto alla persuasione che si va facendo strada «di un programma italiano nettamente antifrancese». Le fotografie aeree rivelano che le fortificazioni di Maiorca procedono a ritmo accelerato, allo scopo evidente di creare una base ai danni del collegamento tra la Francia ed i suoi possedimenti nordafricani. Contro questi potranno agire anche le divisioni che l'Italia continua a concentrare in Libia. La Francia deve pensare alla sua difesa. Gli elementi maggiormente antiitaliani del Gabinetto e non sono pochi, vorrebbero quindi forzare la mano a Chautemps, imponendo l'occupazione di Minorca ed una politica maggiormente attiva e sostenendo in proposito la tesi che le numerose dichiarazioni italiane circa l'integrità del

territorio spagnolo non sono sincere. Ma Chautemps e gli elementi più calmi resistono perché vedrebbero invece più volentieri una chiarificazione.

Ad un tale scopo sembrerebbe del tutto opportuno promuovere e favorire scambi diretti di vedute e contatti personali. Anche senza parlare di riunioni di firmatari del Patto a Quattro per non suscitare troppe sensibilità in Europa, è evidente che oggi i contatti tra l'asse Roma-Berlino e l'asse Parigi-Londra sono praticamente nulli e tutto si svolge in un'atmosfera di diffidenza e di ostilità con risultati e con'seguenze imprevedibili. La Conferenza di Nyon avrebbe avuto appunto anche lo scopo di permettere questa presa di contatto. L'ambasciatore ha in proposito però convenuto con me nel riconoscere che luogo, momento ed ambiente di Nyon non erano certo adatti allo scopo stesso. Chissà che a Bruxelles non si possa rompere l'incanto. ·

La situazione interna francese tende ad un qualche miglioramento. «Il Fronte Popolare non dovrebbe avere lunga vita» come ha dimostrato lo svolgimento della campagna per le elezioni cantonali. Il Paese, pur non volgendo a destra, ha fermato la spinta a sinistra. Chautemps ha riportato un notevole successo. È male che gli italiani continuino a considerarlo un signor Negrin. Egli invece è animato da sentimenti di simpatia verso l'Italia, con la quale vorrebbe un qualche riavvicinamento. Il Signor Bonnet continua efficacemente a far vedere agli occhi dei Radicali come il connubio con gli elementi estremisti sia assurdo e dannoso. Non dovrebbe quindi escludersi ad un certo momento una presa di posizione dei Radicali ed un loro consolidamento al potere. Quel momento non dovrebbe andare perduto per una chiarificazione tra Italia e Francia.

Il signor François-Poncet ha avuto ieri una conversazione con il Barone von Neurath2 .

461 l Vedi D. 415, nota 5.

462

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA URGENTISSIMA 4965/1613. Berlino, 20 ottobre 1937 1•

Ritorno adesso da Neurath, il quale mi ha messo al corrente del «volo a Roma», che Ribbentrop è riuscito a strappare al Fiihrer prima che a lui fosse possibile intervenire per impedirlo.

Si tratta dell'antico piano di estensione all'Italia del famoso accordo nippo-tedesco sul comunismo. Ribbentrop, che già ha visto frustrato questo suo desiderio nel passato, cercherebbe riuscirei adesso e ciò soltanto per ottenere un successo (?!) personale ...

Neurath ritiene intanto che, se l'Italia -che è stata la prima Nazione a combattere il comunismo -volesse fare un accordo simile, lo farebbe direttamente col Giappone, e non aderirebbe mai ad un accordo altrui. A parte questo, la proposta Ribbentrop non potrebbe non essere considerata in Inghilterra che come una provocazione. Questo è evidente agli effetti tedeschi ma è anche evidente a quegli italiani. La cosa riuscirebbe già ostica all'Inghilterra di per se stessa ma, quando risultasse dovuta all'iniziativa dell'Ambasciatore tedesco a Londra, renderebbe gli

inglesi semplicemente furiosi e non mancherebbe, all'indomani della visita Mussolini-Hitler, di essere male interpretata, pregiudicando comunque anche la possibilità di conversazioni itala-inglesi.

Insomma, Neurath si augura vivamente che tu respinga la proposta. Il consenso del Fiihrer non rappresenterebbe che un atto di «condiscendenza» ... Né è escluso da parte di Ribbentrop il desiderio, visto che il terreno a Londra gli viene sempre più a mancare, di cercare di cadere da eroe.

Per parte mia, ho domandato a Neurath come fosse possibile conciliare il piano Ribbentrop con la politica di «equilibrio» fra il Giappone e la Cina che la Germania mostra di voler seguire (mio telespresso del 12 corrente n. 4805/1563?. Neurath ha dovuto ricoscere che le due cose fanno evidentemente a pugni. Ho quindi domandato se la politica di «equilibrio» fosse approvata dal Fiihrer. Neurath mi ha assicurato di si. Allora, ho detto: «non ci capisco più niente». «E neanche io», ha concluso Neurath.

Come puoi ben capire, tutto questo è assolutamente e rigorosamente personale. Ti sarò grato di qualche informazione, che pregherei peraltro mandarmi per corriere. Ve ne sono in partenza due: uno venerdì mattina; l'altro domenica 3 .

461 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 462 1 Manca l'indicazione della data d'arrivo.

463

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 7273/755 R. Londra, 21 ottobre 1937, ore 12,06 (per. ore 18,35).

Atmosfera di pessimismo e di tensione che ha caratterizzato giornata ieri e stamane si è dileguata a seguito dei risultati positivi che seduta Comitato ha oggi 1 finalmente se pure formalmente raggiunti. Questi risultati sono dovuti esclusivamente alle istruzioni che tu mi hai telefonato 2 , istruzioni che, ad ogni buon fine, ho ritenuto opportuno comunicare a Eden prima dell'inizio seduta. Da informazioni confidenziali mi risultava infatti che rappresentanti inglese e francese, previo accordo fra Londra e Parigi, avevano preparato dichiarazioni da farsi inizio seduta nelle quali si constatava impossibilità raggiungimento compromesso per asserita intransigenza italiana, e si cercava con ciò di dimostrare fallimento pro

462 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 463 I Si riferisce alla 66• seduta del Sottocomitato di non intervento avvenuta nel pomeriggio del 20 ottobre. 463 2 Di queste istruzioni non è stata trovata traccia scritta. Al Sottocomitato di non intervento Gran di dichiarò, evidentemente basandosi su tali istruzioni, che il governo italiano accettava integralmente il piano britannico del 14 luglio ed in particolare accettava: a) che fosse inviata in Spagna una commis sione internazionale incaricata di accertare l'esatto numero dei volontari e di organizzare e controllare il loro ritiro; b) che il riconoscimento dei diritti di belligerante alle due parti avvenisse dopo che fosse stato ricevuto il rapporto della commissione.

cedura suggerita dall'Italia dopo il rifiuto partecipare Conferenza tripartita3 .

Analogo discorso Eden aveva già preparato per oggi riapertura Camera dei Comuni. Eden ha accolto dapprima mia comunicazione con un senso di sorpresa e subito dopo mi ha dichiarato che governi inglese e francese non potevano prendere atto se non con viva soddisfazione dell' ... 4 concreta e costruttiva del governo italiano la quale evidentemente era destinata a modificare interamente le prospettive della seduta.

Avendo io messo in chiaro che evidentemente atteggiamento italiano era condizionato all'atteggiamento che rappresentanti inglese e francese avrebbero adottato, Eden mi ha risposto che avrebbe subito chiamato Corbin ed esaminato in un nuovo spirito di collaborazione amichevole la nuova situazione.

Questi i preliminari della seduta.

Eden e Corbin hanno quindi rinunziato alle loro concordate dichiarazioni e io ho preso subito parola, in modo da impostare sulle nostre dichiarazioni la discussione e mettendo altri rappresentanti nella necessità di rispondere alle nuove proposte italiane che tuttavia sono nuove solo per modo di dire.

Così infatti è avvenuto. La discussione ha preso di colpo un andamento curioso, una gara apparente fra chi si mostrava più arrendevole.

Ciò ha disorientato interamente gioco sovietico. Maisky, il quale confidava in un contrasto irriducibile fra noi e inglesi e francesi è stato colto alla sprovvista e si è limitato a dichiarare che riferirà al suo governo. È da prevedersi che nella prossima seduta assisteremo a un tentativo di siluramento sovietico. Ma ciò ha ormai importanza relativa. Alla prossima seduta varie Potenze sono decise sposare nostra causa. L'antagonismo fra due gruppi anglo-franco-russo da una parte e italo-tedesco-portoghese dall'altra si è modificato nel. senso orientamento generale al quale la sola Russia ha dichiarato non poter partecipare.

Come tu hai veduto dalle mie dichiarazioni, ho riaperto ancora una volta l'ombrello del cosiddetto piano britannico che i francesi volevano col volenteroso concorso inglese seppellire una volta per sempre, e che soltanto ieri sera dopo due ore di discussione Corbin, premuto dall'atmosfera generale, si è deciso con grande sforzo a ingoiare integralmente e senza riserve.

Esaminerò con telegramma successivo bilancio di fatto 5 , ossia quello che alla data di oggi noi e gli altri abbiamo in sostanza abolito e che abbiamo ottenuto, e che essa sarà prevedibilmente il seguito, se alla prossima seduta venerdì si raggiungerà accordo definitivo e generale sul piano britannico. L'atmosfera è indubbiamente migliorata. Per ora mi pare che dobbiamo !imitarci a questa constatazione di natura politica generale senza andare più in là.

Eden alla fine della seduta mi ha preso da parte dicendomi che egli desiderava parlarmi tranquillamente per discutere possibilità accordo quattro Potenze: Italia, Germania, Francia, Inghilterra.

463 4 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile». 463 5 Su !"argomento non è stato trovato nessun telegramma. Si veda in proposito il quadro' riassunti vo di questa fase delle trattative al Comitato di non intervento tracciato da Grandi nel D. 517.

Gli ho risposto che sono sempre sua disposizione.

Questo come puro elemento di cronaca informativa. Tu conosci quello che penso di queste cose e di questi uomini.

462 2 Vedi D. 426.

463 3 Vedi D. 413.

464

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 12970/88 P.R. Praga, 21 ottobre 1937, ore 14,40 (per. ore 17).

La normale tensione esistente fra governo cecoslovacco e minoranze tedesche ha subito in questi giorni serio inasprimento in seguito ripetuti incidenti verificatisi fra locali Autorità Boemia settentrionale e dirigenti partito sudeti. Più attiva propaganda messa in azione da Henlein all'interno e all'estero alla vigilia elezioni amministrative suscita animosità in questi ambienti governativi e circoli cechi donde tensione e reazione.

Stampa germanica assumendo difesa queste minoranze tedesche ha scatenato nuova violenta campagna contro governo cecoslovacco ammonendolo che, ove dovesse continuare ingiusto trattamento tedeschi di Cecoslovacchia, pace europea potrebbe esserne compromessa.

Ministro cecoslovacco a Berlino 1 è stato incaricato di protestare energicamente presso il governo del Reich per ingerenza affari interni Cecoslovacchia da parte della stampa germanica e suo tono violento e minaccioso. Ministro degli Affari Esteri germanico avrebbe risposto con altrettanta energia dichiarando infondata la protesta cecoslovacca e giustificata l'esasperazione opinione pubblica tedesca di fronte eccesso queste Autorità statali.

465

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 7292/400 R. Berlino, 21 ottobre 1937, ore.23,47 (per. ore 0,50 del 22).

Qui si ritiene che, dopo quanto è stato fatto ieri 1 , non converrebbe andare troppo oltre sulla via delle concessioni e soprattutto non lasciare libertà d'azione ai russi, sotto apparenza farne a meno. Si inviano quindi istruzioni a Woermann di richiedere domani, per approvazione di quelle qualunque proposte concluse, concordate e presentate, la unanimità, compresa Russia sovietica. Ove questa rifiutasse proprio voto, rappresentante tedesco dovrebbe rifiutare ugualmente. Analogamente anche

nel caso Inghilterra proponesse procedere senza Russia e ciò perché mancanza con

corso russo praticamente frustrerebbe ogni serio tentativo rimpatrio volontari.

Quanto alla rinnovazione promessa rinunzia ulteriore invio volontari e materiali bel

lici, si dovrebbe fare osservare che essa è in fondo inutile, essendo già stata fatta.

Per diritto belligeranza insistere ma soltanto quanto basti per suscitare resi

stenza ed opposizione sovietica.

464 l Vojtech Mastny. 465 1 Vedi D. 463.

466

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA URGENTISSIMA 4989. Berlino, 21 ottobre 1937 1•

Chiamatovi dal Fiihrer, Neurath è stato stamane in volo a Berchtesgaden insieme con Mackensen e Ribbentrop, ritornandone questa sera alle 8,30 p.m. Oggetto della conversazione: a) lavori Comitato Londra, in merito ai quali (mio telegramma odierno

n. 400) 2 è evidente un subitaneo cambiamento di rotta in senso nettamente anticonciliativo;

b) proposta Ribbentrop per adesione italiana all'accordo anticomunista

Germania-Giappone.

Su questo ultimo punto (il quale però ha una certa connessione col primo) e a

mia precisa richiesta, Neurath mi ha dichiarato -autorizzandomi anche a telefo

narlo -trattarsi di una proposta Ribbentrop e non del Fiihrer. È sempre la stessa

antica idea di Ribbentrop, la quale ha, da parte del Fiihrer, solo un assenso generi

co e di principio (unione di tutti contro il bolscevismo, etc.).

A parte questa approvazione di principio, non c'è altro. Che anzi il Fiihrer, in

presenza delle obbiezioni di Neurath, ha riconosciuto non essere questo il momento

opportuno per dar seguito alla cosa tanto che oggi, in un primo tempo, aveva

persino invitato Ribbentrop a rinunziare al viaggio a Roma.

Ribbentrop ha resistito, rifacendo la storia del primo accordo ed invocando la

imprescindibile necessità-per la salvazione della civiltà europea-di una vera e

propria crociata contro il bolscevismo. Ha aggiunto poi che, oramai, egli era anda

to troppo oltre per potersi ritirare senza compromettere irrimediabilmente il suo pre

stigio. Ha quindi chiesto e, solo su questa base personale, ottenuto di poter andare

a Roma ugualmente.

Ma, nonostante questo nuovo atto di condiscendenza del Fiihrer, rimane il fatto: a) che la proposta è di Ribbentrop e non del Fiihrer; b) che il Fiihrer ritiene egli stesso non essere questo il momento opportuno . (Conferenza Nove Potenze; ripercussioni oltreché sull'Inghilterra anche sull'America, etc.) per tradurla in atto e non potrà quindi maravigliarsi di un nostro eventuale non dico rifiuto, ma rinvio.

466 2 Vedi D. 465.

Ho osservato a Neurath che tutto andava bene ma che, comunque, Raumer si era presentato al ministro degli Esteri d'Italia, accompagnato dall'ambasciatore Hassell. Neurath mi ha risposto che la presenza di Hassell si giustificava con l'opportunità di seguire l'opera di Raumer, ma non implicava approvazione e tanto meno appoggio, la libertà di azione dell'Italia non risultando quindi limitata neanche da considerazioni di carattere personale.

Ho preso atto, ma ho anche chiesto a Neurath di far chiarire questo dallo stesso Hassell.

Quanto sopra mi è stato detto da Neurath in camera charitatis.

Poiché vi sono momenti in cui un ambasciatore ha il dovere di prendere le sue responsabilità, io non esito a dichiarare essere mia netta impressione (vedi anche improvviso cambiamento di rotta in senso anticonciliativo nei riguardi del Comitato di Londra) che Ribbentrop, vedendo ormai fallita la propria missione a Londra e compromesso lo sperato riavvicinamento anglo-tedesco, intenda, nella sua inevitabile caduta, trascinare con sé anche l'Italia, compromettendone le possibilità di intesa con l'Inghilterra. Non sta a me di giudicare se questo sia o no desiderabile 3 .

466 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

467

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE URGENTISSIMO Berlino, 22 <;ttobre 1937, ore 13,15 7303/401 R. (per. ore 16,05).

Stamane è stato chiarito a Hassell che passo Ribbentrop a Roma è fatto sulla sua personale iniziativa. Visita Ribbentrop è ormai di pubblica ragione. Mi viene pure segnalata presenza Roma ambasciatore del Giappone a Berlino.

468

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A LONDRA, VON RIBBENTROP

APPUNTO. Roma, 22 ottobre 1937.

Nel colloquio avuto quest'oggi con von Ribbentrop abbiamo discusso la proposta tedesca di adesione dell'Italia al Patto anti-bolscevico nippo-germanico, che si trasformerebbe in seguito a ciò in Patto Tripartito. Ho detto a Ribbentrop, dopo

Il documento ha il visto di Mussolini. 468 1 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 214-215.

avergli fatto il punto delle nostre relazioni col Giappone, che il Duce avendo preso visione della formula propostaci da Raumer2 era di massima favorevole all'accettazione. D'altra parte, venendo noi ad immetterci in un sistema politico esistente, io ritenevo opportuno che Ribbentrop ci chiarisse quali altri rapporti di carattere riservato esistono tra Tokio e Berlino. Gli ho detto anche che, all'inizio dei nostri colloqui col Giappone, avevamo fatto conoscere che per parte nostra saremmo stati favorevoli a completare il patto anti-comunista con un accordo segreto di neutralità favorevole in ogni caso e di consultazione in alcune evenienze speciali. L'Ambasciatore del Giappone nel comunicarmi che per il momento il suo Governo non pensava di mettere tale formula per iscritto, mi diceva però che era autorizzato ad assumere verbalmente impegno di onore del popolo giapponese in tal senso.

Ribbentrop ha confermato esistere tra la Germania ed il Giappone anche una specie di gentlemen's agreement che, mentre ha le sue basi nelle identità ideologiche dei due Paesi, trova poi il suo sviluppo nei continui contatti e sotto l'impulso delle circostanze.

In questi giorni è stata decisa la creazione di una linea aerea Tokio-Berlino. Vi sono dei contatti tecnici tra i militari dei due Stati Maggiori. I rapporti tra i due Paesi si intensificano in ogni settore. Perciò sorge una collaborazione che si concreta sul piano politico. Carattere generale del gentlemen's agreement: antirusso. Ribbentrop mi ha detto che per il momento non era in grado di dirmi se il Governo giapponese fosse pronto ad assumere un impegno di carattere politico verso la Germania e l'Italia. Egli comunque aveva telegrafato a Tokio raccomandando una tale proposta. Però, anche qualora essa non dovesse venire accettata immediatamente, Ribbentrop non se ne preoccupa oltre misura dato che egli vede in un eventuale Patto Tripartito anticomunista le basi di una ben più larga e profonda intesa fra i tre popoli. .

Abbiamo convenuto con Ribbentrop di ritrovarci alle ore 18,30 nella stanza del Duce.

466 3 Il documento reca in calce il seguente post scriptum autografo di Attolico: «Non mi risulta che Rib. -il quale crçde in buona fede di avere scoperto ed iniziato l'anticomunismo -abbia d'altra parte domandato al F. di proibire che le missioni militari tedesche cessino di aiutare-apertamentela Cina contro il Giappone. Eppure si domanda adesso a noi un atto di solidarietà ... al Giappone!».

469

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A LONDRA, VON RIBBENTROP

Roma, 22 ottobre 1937.

Ribbentrop, dopo aver portato al Duce i saluti personali del Fiihrer, ha narrato la genesi del Patto tra la Germania ed il Giappone. Ha detto come egli abbia voluto conoscere, attraverso la sua missione a Londra, fino a qual punto l'Inghilterra sarebbe stata disposta ad andare incontro ai desideri della Germania ed a riconoscerne gli interessi vitali.

469 l Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 216-217. 469 2 Al colloquio era presente Ciano che ha redatto il verbale.

Oggi deve francamente ammettere che la sua missione è andata perduta. Anche alcune recenti manifestazioni britanniche, quali il voto del partito conservatore contro la cessione delle colonie alla Germania\ hanno provato la non conciliabilità di interessi dei due Paesi. In un certo momento aveva anche pensato di attrarre l'Inghilterra nell'orbita dei Paesi anticomunisti. Ciò non è stato possibile dato che in Inghilterra il pericolo comunista non è sentito, né compreso nel suo pieno valore.

Ha quindi esposto le ragioni che militano a favore di una trasformazione del patto nippo-germanico in un patto tripartito mediante l'adesione dell'Italia.

Il Duce ha detto che per parte sua era disposto e lieto di accettare la proposta tedesca. Ha anche aggiunto come, in· un primo momento, sarebbe stato suo desiderio di completare tale Patto anticomunista con una clausola politica di neutralità e consultazione. Si rendeva però conto che non conveniva insistere adesso col Giappone anche per non dare l'impressione che volevamo approfittare della situazione particolarissima in cui tale Paese si trova a causa del conflitto con la Cina per estorcergli alcune speciali condizioni.

Von Ribbentrop ha approvato tale decisione del Duce, ripetendo quanto aveva già detto a me circa gli immancabili sviluppi di un patto quale quello che ci apprestiamo a concludere. Quando cominciarono le trattative tra la Germania ed il Giappone fu detto che si trattava di costruire un piccolo ponte di legno per poter fare poi il grande e definitivo ponte di ferro tra i due Paesi. Tale formula può essere ancora utilmente ripetuta.

Per quanto concerne la firma, è stato deciso che essa avrà luogo nei prossimi giorni, probabilmente a Monaco dato che Ribbentrop, per la sua posizione di ambasciatore a Londra, non potrebbe firmare un patto del genere in Italia. In linea di massima è stato deciso che verr.à pubblicato il testo integrale del protocollo. Su queste due ultime questioni von Ribbentrop si è però riservata l'approvazione del Fuhrer.

468 2 Vedi D. 460, allegato.

470

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI

LETTERA PERSONALE SEGRETA 8397. Roma. 22 ottobre 1937.

Il Duce ha deciso di richiamare l'Ambasciatore a Parigi alla scadenza di un anno dalla data in cui l'Ambasciata di Francia a Roma è priva del titolare, non essendo più a lungo tollerabile una tale situazione di disparità nelle rispettive rap

presentanze. E poiché questa Ambasciata di Francia è retta da un Incaricato di Affari dal 31 ottobre 1936, mentre il gradimento per il Conte di Saint Quentin fu concesso fin dal 25 settembre 1936, tu dovrai, salvo ordini contrari, partire da Parigi il 31 ottobre corrente informando il giorno prima codesto Governo delle ragioni per le quali lasci la sede.

469 3 Il congresso del partito conservatore, che si era aperto il 7 ottobre a Scarborough, aveva approvato una mozione che impegnava il partito «a fare dell'integrità e dell'unità dell'Impero uno dei suoi articoli di fede». L'ambasciatore Grandi aveva rilevato a tale proposito che la mozione era da considerarsi in realtà come una presa di posizione del governo britannico di fronte alla campagna per la restituzione delle colonie condotta dalla Germania con crescente intensità (Telespr. 4328/2513 del 10 ottobre).

471

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PÀVERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 7317/ll4 R. Gedda, 23 ottobre 1937, ore 11,45 (per. ore 15,05).

Mio telegramma n. 111 1 e da ultimo n. 1132 .

Riassumo punti principali conversazioni del 21 corrente con il ministro delle Forze Armate. Prima di informarmi della situazione ho insistito, secondo le istruzioni di V.E., sulla simpatia del governo fascista verso il Re Ibn Saud e su politica amichevole dell'Italia nei riguardi Saudia e mondo islamico.

Signor Suleiman mi ha detto che indirizzo amichevole che il Duce ha impresso alla politica italiana verso il mondo mussulmano e particolarmente verso il Re Ibn Saud «è cosa che ogni giorno si tocca con mano» ed ha aggiunto che personalmente crede che il governo saudiano si prepari dare a suo tempo al R. ministro una risposta a comunicazione di cui al telegramma di V.E. n. 903 .

Signor Suleiman, pur non garantendo di potermi dare notizie precise, perché lontano da Riad e per difficoltà comunicazione con il nord della Saudia, mi ha detto poi che situazione è delicata, che il malcontento delle popolazioni del Regno arabo saudiano è arrivato al massimo, e che non bisogna escludere possibilità che tribù di confine compiano «atti individuali estranei alla volontà del governo».

Ho accennato a notizie stampa estera circa trattative in corso per l'adesione della Siria -Paese che non ha la piena sovranità e indipendenza -al Patto Arabo. Suleiman mi disse che Sottosegretario di Stato Yussuf Yassin sta trattando a Damasco e che si prevede prossimo esito favorevole negoziati.

Ha aggiunto che il Re lbn Saud, in pieno accordo con i Sovrani Irak e Yemen, trattava per adesione Siria al Patto arabo nello stesso spirito di fratellanza e con stesso unico scopo unità araba che lo ha ispirato per stipulazione del Patto con Iraq e con Yemen. Segue rapporto4 .

471 I T. 7250/111 R. del 19 ottobre. Riferiva circa i preparativi militari in corso nell'Arabia Saudita, ai quali, peraltro, sembrava doversi attribuire soltanto uno scopo precauzionale. 471 2 T. 13009/113 P.R. del22 ottobre. L'incaricato d'affari, Pàveri, riferiva che il ministro della Guerra saudiano gli aveva confermato il desiderio del suo governo di effettuare degli acquisti di armi dall'Ita lia, nonostante che altre armi fossero state acquistate dalla Gran Bretagna. Era però impressione di Pàveri che vi fossero delle difficoltà a causa dell'esigenza di adottare un tipo unico di fucili. 471 3 Vedi D. 257. 471 4 Rapporto 982/346 del 23 ottobre, non pubblicato.

472

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7332/425 R. Shanghai, 23 ottobre 1937, ore 15 (per. ore 6 del 24 ).

Telegramma di V.E. n. 241 1 .

Circa relazioni Chiang Kai-shek con comunismo, mi riferisco tra l'altro a miei telegrammi n. 350 2,413 3 e 418 4 e mio rapporto n. 1240/390 bis del 22 agosto u.s. 5 da Nanchino che confermo.

Ritengo che Chiang Kai-shek sia preoccupato da indebolimento sua posizione dopo il colpo di Hsian 6 e da impegni dovuti subire per fare la guerra al Giappone con l'aiuto dei russi, ma che egli sia tuttora contrario al comunismo.

Pur avendo ricevuto dall'inizio delle ostilità cino-giapponesi pieni poteri dittatoriali civili e militari, Chiang Kai-shek, secondo sua abitudine, non ha preso atteggiamento autoritario ma di manovra tra le varie tendenze che esistono qui, urtando il partito e urtando il governo, tanto più che tutti i suoi principali collaboratori militari sono suoi accaniti ex nemici del governo, tra i quali non manca che Chang Hsueh-liang misteriosamente lasciato in disparte.

Ciò nondimeno, Chiang Kai-shek, se la salute lo assiste, potrà essere ancorà in grado di imporre sue decisioni poiché il grosso delle sue truppe non è stato impegnato che sul fronte di Shanghai con lo scopo evidente cercare mantenere situazione di famiglia preponderante in ogni evenienza nelle provincie centrali, dove già maggiormente si è esplicata attività del governo nazionale cinese.

Le truppe cinesi cosiddette rosse sono state duramente battute nello Shansi dai giapponesi senza ricevere aiuti sufficienti, mentre alcuni successi locali degli ex-rossi sono stati passati sotto silenzio a Nanchino dimostrando l'esistenza di un programma stabilito. Come ho riferito, certamente gli ambienti giapponesi politico-diplomatici sarebbero desiderosi concludere con Chiang Kai-shek futura pace.

Ad ogni modo, Chiang Kai-shek può manovrare tra la tendenza di destra e di sinistra nella sua stessa famiglia in vista di un cambiamento di governo che non

472 2 Vedi D. 361. 472 3 T. 7174/413 R. dell5 ottobre: trasmetteva a Roma il telegramma inviato da Cora all'ambasciato re Auriti che gli aveva chiesto in quale misura gli elementi filocomunisti avevano guadagnato terreno nel governo cinese. Secondo Cora, i membri del gabinetto di Nanchino erano ostili al comunismo come ideologia ma l'atteggiamento dei dirigenti cinesi era influenzato soprattutto dalla necessità di ricevere degli aiuti. Tra i giovani ufficiali in particolare si andavano diffondendo, perciò, «sentimenti di ricono scenza e di simpatia» per l'Unione Sovietica. 472 4 T. 7263/418 R. del 20 ottobre. Riferiva che erano partiti per Roma due esponenti cinesi legati al gruppo di Wang Ching-wei che era favorevole ad una politica di resistenza verso il Giappone ma non ad un conflitto armato. I due inviati dovevano prendere contatto con il Vaticano ed accertare la posi zione del governo italiano nell'ipotesi di un intervento pacificatore dei Paesi anticomunisti imperniato su la richiesta di Tokio che la Cina aderisse ad una politica anticomunista. 472 5 Telespr. 1290/390 bis del 22 agosto. L'ambasciatore Cora riferiva che da un complesso di indizi sembrava che Chiang Kai-shek avesse modificato sensibilmente il suo atteggiamento nei riguardi dei comunisti, spinto dall'esigenza di realizzare un fronte unico contro la minaccia giapponese. 472 6 Vedi D. 233, nota 3.

potrà non avvenire dopo questo conflitto: infatti, mentre Chiang Kai-shek può essere considerato al centro, Kung è moderato, Soong T.V. di sinistra e la signora Sun Yat Sen di estrema sinistra.

472 l Vedi D. 441.

473

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE, HOTTA

APPUNTO. Roma, 23 ottobre 1937.

Mi ha chiesto udienza l'Ambasciatore del Giappone il quale desiderava conferma di quanto gli era stato detto da fonte tedesca circa l'accettazione di massima del Duce del Patto Tripartito anti-comunista.

Gli ho detto che in realtà il Duce si era espresso in tal senso con Ribbentrop e che ormai restava alle Cancellerie di mettersi d'accordo su alcune questioni secondarie e formali, nell'attesa di un benestare da Tokio, non ancora pervenuto.

L'Ambasciatore ha ripetuto che Tokio è d'accordo in linea di principio e che si riserva alcune piccole modifiche del testo che ci verranno comunicate quanto prima. Egli frattanto intendeva ripetere che anche se il Patto diretto italo-giapponese stava per essere sostituito da un Patto tripartito, l'impegno verbalmente preso per una favorevole neutralità e una eventuale collaborazione in caso di difficoltà internazionali, era completamente mantenuto. Aveva istruzioni di dire che il popolo giapponese non potrà mai dimenticare la prova di solidarietà che l'Italia sta dandogli in questo momento della sua storia nazionale e che non lascerà sfuggirsi l'occasione per dimostrare coi fatti che è pronto ad assolvere totalmente nei nostri confronti il suo debito di riconoscenza. L'Ambasciatore aggiungeva che era spiacente che per ora non fosse possibile mettere per iscritto un siffatto impegno. L'Italia deve però credere che la parola giapponese vale quanto qualsiasi documento formale.

Ho ringraziato l'Ambasciatore di tale comunicazione, della quale ho preso atto, aggiungendo che, a mio avviso, le circostanze e gli avvenimenti suggeriranno e determineranno i futuri immancabili sviluppi dell'amicizia fra i due Paesi 2 .

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, PERTH

LETTERA 236896/129. Roma, 23 ottobre 1937.

In relazione alla lettera dell9 corrente n. 2511173/37 1 , con la quale V.E. mi ha comunicato il suggerimento del Suo Governo affinché allo scopo di evitare ritardi,

il Governo belga dirami sin d'ora ai Governi germanico e sovietico l'invito ad inviare delegati alla Conferenza di Bruxelles, ho l'onore di comunicare all'E.V. che il Governo italiano è favorevole all'invio dell'invito alla Germania e non ha obiezioni a che venga invitata l'Unione Sovietica.

473 l Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 217-218. 473 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 474 l Non pubblicata. Il suo contenuto è qui indicato.

475

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1857/979. Ankara, 23 ottobre 1937 (per. il 2 novembre).

Telegramma per corriere n. 035 del 15 settembre1 .

Il 18 c.m., il Presidente del Consiglio greco è arrivato a lstanbul a bordo delf'incrociatore Averof, accompagnato dall'ammiraglio comandante la flotta ellenica, Ekonomu, dal direttore generale della Stampa e Propaganda, Papadakis, dal capo della Sezione Turca, Romanos (attualmente destinato come consigliere a Roma), dal capo della Sezione Intesa Balcanica, Konstas, dal proprio capo di Gabinetto particolare, Andraklis, dal suo aiutante di campo, Nobelis, dal segretario Papadopoulos, dal direttore dell'Agenzia di Atene, Vekiarellis, dal relatore al sottosegretariato della Stampa, Matanos, e da otto giornalisti greci. La sera dello stesso giorno il generale Metaxas con il suo seguito, ad eccezione dell'ammiraglio Ekonomu rimasto a Istanbul ospite del suo collega turco, ammiraglio Okan, ha proseguito per Ankara, dove si è trattenuto in visita ufficiale nei giorni 19, 20, 21. La sera del 21 il generale Metaxas ha fatto ritorno a Istanbul, dove ha sostato tutta la giornata di venerdì 22 partecipando, insieme all'ammiraglio Ekonomu, alla cerimonia della deposizione di corone ai piedi del monumento della Repubblica, rendendo visita al Patriarca ortodosso, e ripartendo la sera stessa per Atene.

La cronaca formale della visita ha consistito nel solito, se pur intenso, seguito di visite e ricevimenti ufficiali. Allego, a titolo documentario: l) testo del brindisi pronunciato dal Presidente del Consiglio a.i. Celai Bayar, al banchetto da questi offerto in onore dell'ospite; 2) testo del discorso di risposta del generale Metaxas; 3) dichiarazioni di Celai Bayar alla stampa greca; 4) dichiarazioni di Metaxas alla stampa turca; 5) testo dei brindisi scambiati a Istanbul fra l'ammiraglio Siikrii Okan e l'ammiraglio Ekonomu; 6) testo del comunicato ufficiale; 7) testo di altre dichiarazioni fatte alla stampa dal Presidente del Consiglio greco al momento di lasciare lstanbul 2•

Mi astengo dal trasmettere il testo dei brindisi pronunciati al banchetto offerto in onore dei giornalisti greci ed i numerosi articoli con i quali la stampa

taxas a Istanbul. 475 2 Non pubblicati.

568 locale ha inteso dar rilievo alla visita, non presentando essi alcun elemento degno di nota. Va rilevato invece che la numerosa delegazione militare greca» (9 ufficiali), con alla testa il capo di Stato Maggiore dell'esercito 3 , assisteva alla partenza di Metaxas essendo arrivata con notevole anticipo sulle altre due delegazioni jugoslava e romena per le riunioni dei capi di Stato Maggiore dell'Intesa Balcanica, che avranno inizio ad Ankara dal successivo giorno 27. Forse si è inteso così dare alla visita di Metaxas un significato direi quasi totalitario, per la contemporanea presenza dei massimi esponenti della Marina e dell'Esercito. Questa mia ipotesi è avvalorata dalla circostanza dello scambio di visite avvenuto col capo di Stato Maggiore turco e delle particolari ed intenzionali cortesie da quest'ultimo usate al generale Metaxas ad Ankara. Infine, la presenza dell'ammiraglio Ekonomu a Istanbul ha dato luogo ad una serie di manifestazioni di solidarietà delle marine dei due Paesi amici ed alleati, di cui degne di particolare menzione sono le parole di Ekonomu nel brindisi pronunciato al banchetto offerto in suo onore («le due Nazioni sono pronte a fare il loro dovere come un tutto unico») ed il grande apparato col quale si è svolta la cerimonia al monumento della Repubblica.

Oltre gli elementi da me più sopra citati, altri ve ne sono che vanno messi in luce e che stanno a dimostrare che il viaggio è andato al di là di una pura manifestazione formale: innanzi tutto la durata e la cordialità del colloquio con questo Presidente della Repubblica, durato due ore e mezza; le dichiarazioni fatte alla stampa dai due Presidenti del Consiglio, in cui si parla del «dinamismo dell'amicizia turco-ellenica» (vedi allegato); l 'intervista concessa prima di partire nella quale Metaxas ha detto che i due eserciti riuniti possono assicurare la pace in questo settore (vedi allegato); infine l'accenno contenuto nell'allocuzione pronunciata dal Presidente del Consiglio ellenico alla colonia greca di Istanbul e che suona testualmente così: «c'est avec la conviction que nous sommes plus étroitement unis encore que par le passé avec nos amis tures que je retourne en Grèce. Vive Atati.irk! Vive le roi des Hellènes! Vive !es Tures et !es Grecs unis ».

Con miei precedenti rapporti (da ultimo telespresso n. 1583/8 del 1° settembre sulle manovre turche in Tracia4 e n. l 022/505 del l o giugno sull'Intesa Balcanica e la Bulgaria 5 ) ho avuto occasione di esporre all'E.V. le ragioni di questa sempre maggiore intimità dei rapporti greco-turchi e cioè riavvicinamento bulgaro-jugoslavo e italo-jugoslavo, riarmo della Bulgaria e necessità della comune difesa in Tracia. Dalla visita fatta da Aras ad Atene alla fine di dicembre 1936, va registrato un crescendo di manifestazioni di solidarietà greco-turca, che dimostrano chiaramente il graduale incremento delle relazioni nel campo politico-militare e giustificano l'espressione «dinamismo» pronunciata da Celai Bayar. Ricorderò il viaggio di Ismet ad Atene (25/5/37), le visite di Aras (5/9/37) e del maresciallo Fevzi Cakmak (2/10/37) nella capitale greca. V.E. ricorderà lo scalpore destato dallo scambio dei messaggi Atati.irk-Metaxas nel

475 4 Non pubblicato. 475 5 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 672.

maggio scorso 6 , in cui si è parlato del'unità delle frontiere greco-turca e delle forze che le difendono; cui ha fatto seguito l'accenno alle manovre turche in Tracia e !'.esaltazione da parte di Metaxas del valore militare dell'esercito turco (citata visita di Fevzi ad Atene); nonché le successive dichiarazioni dello stesso Metaxas alla stampa turca dopo le manovre in Grecia e cioè che «gli eserciti greco e turco formano un tutto indivisibile».

Mi è sembrato opportuno ricordare e riassumere tutti questi elementi per far risultare la chiara intenzione dei due governi di proclamare e far intendere a tutti l'unità delle frontiere, degli Eserciti e delle Marine dei due Paesi. E in questo quadro che va posta la visita di Metaxas ad Ankara, la quale porta un nuovo ed importante elemento all'edificio dell'amicizia greco-turca che, basata sulla reale solidarietà degli interessi contro comuni pericoli, tende sempre più a costituire una specie di linea di maggior resistenza nell'ambito dell'Intesa Balcanica. Tutto ciò è distintamente sentito nell'ambiente di questa legazione di Jugoslavia e non sfugge certo agli stessi romeni. A quest'ultimo proposito segnalo che, durante la visita di Metaxas, è stata notata la presenza qui del Segretario Generale del ministero degli Esteri romeno, signor Paraschivescu. Si è voluta spiegare la sua presenza come del tutto casuale e dovuta ad una visita da lui fatta a questo ministro di Romania, signor Télémaque, che sarebbe un suo vecchio amico. Non si spiega però come, se la presenza era effettivamente a titolo privato, il signor Paraschivescu sia stato invitato a tutte indistintamente le manifestazioni ufficiali, e perché egli non abbia approfittato invece della imminente visita ad Ankara del signor Tatarescu, attesa per la festa della Repubblica. La R. legazione a Bucarest potrà forse raccogliere eventuali elementi di controllo al riguardo.

Concludendo, non credo che la visita di Metaxas si sia concretata in qualche nuovo atto formale, ma certamente essa ha dato luogo, oltre che al solito giro di orizzonte, allo sviluppo di particolari conversazioni a carattere politico-militare nei due settori di comune interesse, mediterraneo e tracico, con particolare riguardo alla difesa dei due Paesi contro il pericolo slavo. Mi riservo fare prossimamente il punto della situazione politica sulla base degli ulteriori elementi che potrò raccogliere e dopo che avrà avuto luogo la riunione dei capi di Stato Maggiore e la citata visita di Tatarescu.

Metaxas, partendo da Ankara, ha invitato Celai Bayar ad Atene e la visita viene preannunciata per il maggio prossimo.

Allego lo scambio di telegrammi avvenuto, dopo la partenza, fra Metaxas e Celai Bayar, in cui si dà espressione in termini calorosi all'amicizia ed alla fratellanza dei popoli greco e turco 7 .

475 7 Il documento ha il visto di Mussolini.

Da Atene il ministro Boscarelli confermava che. a parte le esagerazioni contenute nelle dichiarazioni degli uomini responsabili greci e turchi, restava il fatto che Grecia e Turchia si sentivano più vicine, spinte dal timore che nutrivano verso la Bulgaria e l'amica Jugoslavia e unite nella diffidenza verso la politica delle grandi Potenze nel Mediterraneo (Telespr. 822/980 del 25 ottobre). Il documento ha il visto di Mussolini.

475 1 T. per corriere 6639/035 R. del 15 settembre. Confermava la notizia dell'imminente visita di Me

475 3 Alexander Papagos.

475 6 Vedi ihid.. D. 647.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA 261 7. Parigi, 23 ottobre 1937 (per. il 2 novembre).

Ho ricevuto la tua lettera segreta n. 8397 del 22 corr. 1•

Per essere in grado di fornire al Governo francese i chiarimenti che esso con ogni probabilità mi richiederà quando gli farò la comunicazione prescrittami, e che allo stato delle cose non sarei in grado di dargli, ti sarei grato di volermi precisare se il «richiamo» dell'Ambasciatore a Parigi vada inteso nel senso che l'attuale Ambasciatore cessa di essere accreditato presso il Governo della Repubblica francese, cosicché nella lista del Corpo Diplomatico di Parigi la rappresentanza italiana dovrà essere indicata come appresso:

N.N-......... Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire M. -le Chevalier Don Renato Prunas, Chargé d'Affaires; oppure se il «richiamo» vada inteso nel senso che l'attuale ambasciatore non sarà in sede per tempo indeterminato, pur continuando ad essere accreditato presso il Governo francese, nel qual caso la suddetta indicazione dovrà suonare così: S. -Exc. M. Vittorio Cerruti, Ambassadeur Extraordinaire et Plénipotentiaire (absent) M. -le Chevalier Don Renato Prunas, Chargé d'Affaires p.i.

La differenza è importante inquantoché nel primo caso il Governo fascista mostrerebbe di volersi far rappresentare, date le contingenze, non più da un Ambasciatore ma soltanto da un Incaricato d'Affari. Nel secondo caso, indicherebbe unicamente, ancorché in modo manifesto, il proprio malcontento per il fatto che il Conte de Saint Quentin, Ambasciatore di Francia gradito sino al 25 settembre scorso, non ha raggiunto sino ad ora il suo posto, cosicché il Governo fascista ha stabilito di ordinare al proprio Ambasciatore di assentarsi da Parigi per ristabilire la parità nelle rispettive rappresentanze, considerando non corrispondente alla propria dignità di tollerare il prolungarsi di una situazione di disparità durata un intiero anno. Basterà che tu mi telegrafi indicando se debba ritenere esatta la prima o la seconda delle due ipotesi sopra esposte, affinché io ne abbia norma anche nei miei riguardi personali.

Nella prima ipotesi infatti, partendo io il 31 ottobre, dovrebbe rimanere per alcune settimane a Parigi mia moglie per sorvegliare le operazioni relative all'imballaggio della nostra roba e procedere alla smobilitazione della casa, congedando il personale di servizio, ecc. Dovrebbe pure in data lo novembre, essere disdetto a datare dal lo dicembre, l'affitto dell'appartamento da noi occupato alla Rue de Lille 80.

Nella seconda ipotesi, ti sarei grato di indicarmi se io debba lasciare a Parigi, in vista di un eventuale ritorno, la parte assai numerosa di oggetti d'arredamento e personali che non mi occorresse nei prossimi mesi e che cosa debba fare dell'appartamento. È infatti stato da me precisato, alla rinnovazione del contratto dopo il

476 I Vedi D. 470.

primo anno, che mi riservavo il diritto di denunciarlo con un mese di preavviso, nel caso in cui fossi «trasferito» da Parigi. Il contratto medesimo, poiché l'affitto fu fatto a me personalmente, non mi riconosce il diritto di trasferirlo o di subaffittare l'alloggio. Se peraltro tu ritenessi che il Cav. Prunas avesse ad occuparlo, si dovrebbero iniziare trattative col proprietario. Esse sarebbero agevolate dalla circostanza che l'immobile della Rue de Lille, 80, è stato recentemente acquistato dal Governo del Reich per aggregarlo all'adiacente sua Ambasciata, cosicché dovrà essere in ogni caso sgomberato entro il prossimo mese di luglio, in epoca cioè in cui. dovrebbe essere pronta l'abitazione privata per il R. Ambasciatore nella nuova Ambasciata2 .

477

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 1774/375 R. l Roma, 24 ottobre 1937, ore 19,20.

Tuo 7622 .

Presi gli ordini dal Duce, ti comunico le seguenti direttive in relazione allo schema finale proposto dalla segreteria del Comitato. Ferma restando la pregiudiziale dell'accettazione unanime del progetto da parte di tutti gli Stati, Russia compresa, noi possiamo aderire ad un immedito ritiro simbolico di volontari non spagnoli nella misura ed alle condizioni indicate. Non possiamo invece ammettere che le condizioni designate dal Comitato di Londra abbiano senz'altro poteri esecutivi anche per la evacuazione successiva delle rimanenti forze volontarie. Riteniamo invece che le Commissioni debbano preparare un rapporto, in base al quale il Comitato di non intervento stabilirà le fasi successive del rimpatrio dei volontari. Le decisioni non possono che spettare al Comitato di Londra. Le Commissioni dovranno invece curare l'esecuzione di tali decisioni. Per quanto concerne poi la questione della proporzionalità dell'evacuazione delle forze, confermo il nostro punto di vista e cioè che

nessuna decisione potrà venire adottata in merito sino a quando il Comitato di Londra non sia venuto a conoscenza, in base al rapporto delle Commissioni, dell'esatta efficienza numerica delle forze volontarie militanti nelle due Spagne.

Ritengo infine che conviene stabilire fin d'ora, per chiarezza e a scanso di equivoci futuri, che cosa si intende dire allorché si parla di «sostanziali progressi nel ritiro dei volontari» ai fini del riconoscimento della belligeranza.

Noi pensiamo che essa potrebbe venire accordata all'atto del ritiro simbolico

o quanto meno non appena la successiva evacuazione sia stata deliberata e cominciata ad effettuare. Comunque questo è un punto da chiarire»3 .

476 2 Non è stata trovata una risposta scritta alle domande poste qui dall'ambasciatore Cerruti. In proposito si veda quanto lo stesso ambasciatore Cerruti dichiarava il 30 ottobre a Léger (D. 496). 477 l Minuta autografa. Il testo di questo telegramma fu modificato con T. 1776/376 R. del 24 ottobre, ore 21,30. Qui si pubblica il testo modificato. 477 2 Nella seduta del 22 ottobre del Sottocomitato di non intervento, il rappresentante sovietico aveva dichiarato di non poter accettare che fosse esaminata la questione del riconoscimento dello status di belligerante alle due parti che si combattevano in Spagna fino a quando non fossero stati ritirati tutti i volontari. I delegati sovietico e francese si erano poi dichiarati contrari alla proposta britannica di un ritiro simbolico di volontari in ugual numero dalle due parti. sostenendo che i volontari dalla parte dei Nazionali erano molto più numerosi di quelli che combattevano dalla parte dei Governativi. Altre divergenze si erano manifestate circa i poteri da attribuire alle commissioni incaricate di accertare il numero dei volontari le cui conclusioni dovevano essere, secondo i delegati francese, sovietico, cecoslovacco e svedese, impegnative per il Comitato, mentre i rappresentanti tedesco, italiano e portoghese si erano opposti all'attribuzione di poteri così ampi a quelle commissioni, la cui composizione, tra l'altro, non era stata ancora fissata. Nell'impossibilità di raggiungere un accordo, era stato deciso che i delegati trasmettessero al proprio governo un progetto di risoluzione preparato dalla segreteria del Comitato e chiedessero istruzioni per la successiva seduta. Con il T. 7320/762 R. del 23 ottobre qui in riferimento, l'ambasciatore Grandi aveva trasmesso a Roma il progetto di risoluzione suddetto e altri due progetti presentati da Eden e da lui stesso.

478

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7411/068 R. Praga, 25 ottobre 1937 (per. il 28).

Telegramma per corriere n. 15431 in data 5 ottobre corr. 1 e telespresso in data 8 ottobre n. 235101 2 .

In relazione alle notizie da Vienna di fonte francese circa piani di prossime azioni della Germania contro la Cecoslovacchia mi viene riferito che questi dirigenti ne sarebbero seriamente preoccupati. Pare infatti confermato che di tali piani si sia parlato a Praga in occasione della venuta di Blum nel settembre scorso 3 . Gli sarebbe stata proposta la questione se, in caso di invasione da parte di formazioni speciali quale le S.A. e le S.S. e non dell'esercito regolare, la Francia darebbe seguito ai suoi impegni di assistenza militare. Blum avrebbe risposto in modo non perfettamente rassicurante con tendenza a limitare gli obblighi derivanti alla Francia dal trattato di alleanza con la Cecoslovacchia. Il linguaggio di Blum pare avesse destato qui apprensioni e Krofta a Parigi 4 avrebbe perorato la causa cecoslovacca sostenendo che quali che potrebbero essere i mezzi adoperati dalla Germania, la Francia non dovrebbe esimersi dal difendere la Cecoslovacchia da una aggressione non provocata. Ma si assicura che Parigi avrebbe finito per accogliere il punto di vista di Praga 5 .

Attolico rispondeva (T. 7351/406 R. del 25 ottobre) che da parte tedesca si era d'accordo, ma si insisteva perché non si richiedesse l'unanimità per il ritiro simbolico dei volontari, in quanto il gesto, mentre sarebbe stato accolto molto positivamente dall'opinione pubblica mondiale, avrebbe fatto guadagnare tempo, utile per consentire a Franco di migliorare la situazione militare. 478 I Ritrasmetteva il D. 377. 478 2 Non rintracciato. 478 l In occasione dei funerali di Masaryck, il 21 settembre. 478 4 Vedi D. 437. 478 5 Da Vienna, il ministro Salata telegrafava che queste notizie trovavano conferma in ciò che gli aveva dichiarato il suo collega francese: a Krofta era stato assicurato che la Francia sarebbe intervenuta in aiuto della Cecoslovacchia anche nel caso di un'invasione effettuata da forze tedesche non appartenenti all'esercito regolare. Invece, non avrebbero determinato un obbligo d'intervento dei «moti tra i tedeschi dei Sudeti senza diretta partecipazione di forze armate germaniche>> (T. per corriere 7669/0252

R. del 6 novembre).

477 3 Questo telegramma fu inviato anche a Berlino (T. 1774/406 R. del 24 ottobre, modificato con T. 1776/407 R., stessa data) con l'aggiunta: «Di quanto precede informi codesto governo>>.

479

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7387/252 R. Lisbona, 26 ottobre 1937, ore 23,05 (per. ore 7,30 del 27).

Telegramma Stefani speciale 290 odierno 1•

Da primi accertamenti eseguiti risulta quanto segue: è falso che speciali trattative siano state iniziate in occasione incontro missione militare portoghese con ministro della Guerra britannico alle manovre francesi, visto che nessuna missione portoghese assisteva alle manovre predette. Trattative sono tuttavia in corso e in un commento del El Diario de Noticias ammissione è stata ispirata da questo governo.

In conversazione con Sostituto Segretario Generale del ministero Affari Esteri, questi mi ha sostanzialmente confermato affermazioni del commento predetto e cioè: iniziativa da parte inglese, conversazioni in corso, nessuna decisione finora raggiunta. Ha con molta premura sottolineato che trattasi normale scambio di vedute fra i due Paesi in base alleanza e che sarebbe assurdo metterle comunque in relazione con situazione spagnola e mediterranea.

Ho fatto osservare che qualunque sia l'interpretazione, sarà inevitabile che altri Paesi si domandino perché tale precisazione militare [sic] viene ventilata e perché proprio in questo momento.

Conversazioni di cui si tratta si svolgono a Londra tramite quell'ambasciata portoghese. Mio interlocutore ha precisato che governo portoghese ha domandato a quello inglese come siano avvenute indiscrezioni e che risposta è stata che inchiesta è in corso.

È sintomatico che solo giornale portoghese che ha pubblicato notizia è El Diario de Noticias. Mi riferisco al mio rapporto 761 del 24 settembre u.s. 2 .

Non è da escludere che Inghilterra abbia profittato favorevole occasione causata da diffidenza che, costantemente e nonostante ogni assicurazione, destano nei portoghesi accentuate rivendicazioni coloniali tedesche. Va anche ricordata recente visita von Blomberg alle Azzorre che non ha mancato di destare commenti specie in questi ambienti militari.

480

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. SEGRETO 1804/773 R. Roma, 26 ottobre 1937 1•

Suo telegramma 6392 e precedenti.

479 2 Non rintracciato. 480 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza. 480 2 Vedi D. 353.

Continuano a giungermi appelli circa trattamento personalità basche e capi militari arresisi alle truppe legionarie dopo presa Bilbao.

Prego V.E. riferirmi stato attuale questione e quale seguito è stato dato in pratica alle assicurazioni che generalissimo Franco mi ha fatto pervenire per tramite E.V. 3 .

Al telespresso era allegata una comunicazione di Gambara del 7 novembre (n. 335), in cui erano così riportate le ultime vicende dei prigionieri baschi:

«La Commissione nominata in seguito alla presa dei baschi, composta dal colonnello spagnolo Martin Penillos e dal maggiore dei CC.RR. Luca Ugo, come da incarico ricevuto, ha provveduto alla classificazione del contingente prigionieri, suddividendo lo come segue:

-Blocco n. l -11.000 individui posti in libertà, siccome giudicati immuni (o quasi) da colpa o responsabilità;

-Blocco n. 2 -5.400 individui destinati a formare battaglioni di lavoratori, perché non meritevoli della libertà incondizionata per essersi posti volontariamente a disposizione delle autorità basche, sebbene non vincolati da obblighi di leva.

-Blocco n. 3 -5.600 individui tuttora in istato di detenzione per delitti vari e la maggior parte condannabili a morte.

Ultimati i lavori di classifica, che furono difficili e penosi, durante i quali il rappresentante italiano pose ogni impegno per ottenere che ai blocchi n. l e 2 fosse aggiudicato il maggior numero possibile di baschi, ottenendo risultati che a prima vista sembravano impossibili, d'ordine di questo Comando, il rappresentante italiano stesso si interpose presso i componenti il Corpo Giudicante, onde far sì che a favore dei componenti il blocco n. 3, venisse usata ogni clemenza e che non fossero considerati come responsabili di reati comuni, per fatti loro addebitati e non chiaramente e inequivocabilmente da definirsi come tali.

Inoltre ne seguì per il rappresentante italiano una attribuzione assai complessa e sommamente delicata quando si è dovuto definire per molti la responsabilità per il reato di ribellione militare (per il quale è comminata la pena di morte, e che, secondo il codice comune spagnolo, si identifica con il reato della presa delle armi a vantaggio del nemico) poiché dalla parte della Commissione vi era la tendenza a classificare rei di detto reato tutti coloro che, oltre ad essersi posti volontariamente alle dipendenze del governo militare basco, si erano distinti nella lotta contro i Nazionali spagnoli.

Il buon senso di comprensione del Corpo Giudicante, ma soprattutto le continue pressioni del nostro incaricato maggiore Luca, valsero a far superare la mentalità ed il preconcetto di una rigorosa applicazione della legge succitata nei confronti di molti dei componenti il 3" blocco, cosicché, di tale ultimo gruppo di 5.600 individui, ne furono condannati a morte solo 510 per le concrete prove di reità emerse a loro carico e perché inconfutabilmente responsabili anche di crimini comuni, per i quali è comminata tale pena.

I rimanenti 5.090, sebbene seriamente indiziati per reati o soggetti ad accuse gravissime ma non suffragate con dati di fatto, che peraltro sarebbe stato facile comprovare, vennero rinviati a giudizio per imputazioni che comportano pene restrittive della libertà personale anziché quella di morte, come da sommaria imputazione dapprima loro fatta.

Per gli individui detti, il nostro incaricato, molto opportunamente, non credette giusto perorare ulteriormente la sorte al fine di non pregiudicare la susseguente opera da svolgere a pro dei condannati a morte, ed anche perché si tratta di individui che, lasciati comunque in vita, potranno, a fine guerra, beneficiare di un eventuale indulto.

Infatti, il nostro rappresentante pose ogni cura ed attenzione per venire in aiuto dei 510 condannati a morte, e, con i suoi buoni uffici, ottenne che per detti condannati fosse fatta prima della esecuzione la revisione del procedimento ed inoltrata domanda di grazia al Generalissimo.

In dipendenza di ciò, sebbene da tutti, a Santofia e Santander, si attendesse l'immediata e totalitaria esecuzione, fino alla data di oggi, soltanto 57 sono stati passati per le armi, dei quali solo i tre sottonotati appartengono al contingente dei prigionieri che fu fatto scendere dal piroscafo, da noi bloccato a Santofia, e per i quali individui in un certo qual modo erano stati da noi assunti a suo tempo impegni, sia pure formali. Essi sono:

lo Manuel Eguidazu Gary: responsabile di moltissimi omicidi comuni;

2° -Felipe Marcaida Maurica: responsabile di aver assassinato anche due donne e un bambino;

3° -Felix Fomos Lopez Ofamedi: criminale di professione, responsabile di atroci delitti comuni.

Gli altri 54 fucilati sono ... (seguono i nomi). Tutti sepolti nel cimitero di Santofia.

Rimangono perciò 453 individui in vita, sui quali incombe la pena di morte già decretata.

Il nostro incaricato riferisce che se ancora non sono stati giustiziati ciò è dovuto al fatto che indirettamente è riuscito a farne procrastinare l'esecuzione, ma che, per salvarli con certezza, occorre

479 1 Rassegna stampa 3069/290. Non pubblicato.

480 3 L'ambasciatore Viola rispondeva (Telespr. 3853/1452 del 15 novembre) che su 22.000 prigionieri vi erano state 510 condanne a morte per delitti comuni e anche per queste condanne era in corso una domanda di grazia. E tenninava: «In conclusione, credo poter rilevare che, grazie all'encomiabile azione in seno alla commissione del maggiore dei CC.RR. Luca ed ai miei ripetuti interessamenti personali presso il Generalissimo, l'impegno preso da questi di fronte al Duce è stato, per quanto possibile, mantenuto».

481

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 7362/766 R. Londra, 27 ottobre 1937, ore 1,57 (per. ore 4,52).

Chamberlain, che ho visto stasera, mi incarica del seguente messaggio per il Duce:

l) Chamberlain desidera confermare le parole da lui dette ai Comuni 1• Egli ha assoluta fede nel Duce e nella sua sincera e leale volontà di accordo. Chamberlain prega il Duce di credere che da parte sua esiste oggi lo stesso sentimento, e la stessa sincera e leale volontà d'accordo quale esisteva nel luglio u.s. Chamberlain domanda di voler contraccambiare tale fiducia. Obiettivo della sua azione è quello di ristabilire al più presto possibile situazione favorevole che scambio di lettere 2 aveva determinato alla fine luglio fra i due Paesi come punto di partenza per un chiarimento concreto e definitivo.

L'accordo con l'Italia è tuttora come nel luglio alla base della sua azione politica di Primo Ministro;

2) Chamberlain è vivamente riconoscente al Duce per l'iniziativa presa mercoledì scorso nel Comitato non intervento 3 ed iniziativa del Duce ha avuto una ripercussione profonda e tale che perdura nei suoi effettivi benefici, anche se i comuni avversari cercano inutilmente di svalutarne la portata e il significato.

Chamberlain desidera che il Duce sappia che egli è stato vivamente dispiacente per quello che alcuni giornali inglesi, in buona o cattiva fede, hanno pubblicato avanti ieri circa seduta di venerdì4 alterando la verità e tentando di addossare responsabilità anche soltanto in parte sull'Italia, responsabilità che spetta interamente e soltanto alla Russia sovietica.

rebbe ottenere la commutazione della pena mediante un intervento diretto dell'Autorità diplomatica presso il generalissimo Franco.

In tal caso almeno 300 di essi potrebbero essere salvati, perché. per la maggior parte sono responsabili di reati comuni, a fine politico, e nei loro confronti potrebbe sussistere la attenuante che non avrebbero commesso né potuto commettere il reato se la rivoluzione non avesse creato nel loro animo incentivi al delitto poiché sono elementi che, anteguerra, erano di ottimi precedenti. sotto ogni riguardo.

In conclusione il nostro rappresentante che nella questione basca, seguendo le direttive di questo Comando, si è comportato in modo encomiabile. riuscendo ad ottenere risultati davvero insperati. non ultimo quello di aver fatto scagionare i noti parlamentari che favorirono la resa, dal reato di ribellione, riferisce che tanto le Autorità militari spagnole quanto i componenti il Corpo Giudicante, si sono nel complesso dimostrati ossequienti alle direttive, per quanto di carattere generale, impartite in proposito da S.E. Franco.

Non appena sarà definita del tutto la posizione dei restanti del contingente n. 3 cosa che avverrà entro il mese. si ritornerà in argomento». 481 1 Nel discorso pronunciato ai Comuni il 21 ottobre. Chamberlain aveva espresso la sua convinzione che fosse del tutto infondata la tesi, espressa dai laburisti. che gli italiani sarebbero rimasti in Spagna --e in primo luogo nelle Baleari -anche dopo la fine della guerra civile. Chamberlain aveva ricordato le molte assicurazioni ricevute in proposito dal governo italiano ed aveva poi reso noto che il 15 ottobre precedente quelle assicurazioni erano state ripetute ancora una volta da Ciano a lord Perth (vedi D. 434, nota 3). 481 2 Vedi D. 136, allegato e D. 155, allegato. 481 3 Vedi D. 463, nota 2. 481 4 Seduta del Sottocomitato di non intervento del 22 ottobre, su la quale si veda il D. 477, nota 2.

Egli personalmente è intervenuto attraverso stampa di ieri e desidera che il Duce sappia che egli ha deplorato vivamente indulgenza colpevole verso Russia sovietica e attitudine ingiusta nei riguardi dell'Italia di cui Chamberlain ha valutato e valuterà il contributo decisivo portato per una realizzazione dell'accordo.

482

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 7403/773 R. Londra, 27 ottobre 1937, ore 17,49 (per. ore 22,35).

Qualche preliminare impressionante su seduta di ieri 1:

1°) Gruppo tre Potenze fasciste ha marciato con una intesa perfetta e ciò è messo in rilievo stamane con dispetto dai giornali di sinistra. In previsione difficoltà seduta io, Monteiro e Ribbentrop (tornato avantieri) avevamo in precedenza fissato compiti rispettivi e concertato dettagli nostra azione.

2°) Eden si è mostrato nella seduta ieri meno irritante, per non dire abbastanza conciliante, decidendosi finalmente: a) ad indirizzare discussione sulla responsabilità sovietica; h) ad accettare testo schema italiano, vale a dire impegno su tutti i nove punti del piano britannico integralmente e senza riserva.

3°) Rappresentante francese non ha avuto altra alternativa se non seguire, sia pure a malincuore, rappresentante britannico.

Francia e Inghilterra si sono decise abbandonare proposta che Commissione internazionale da inviare Spagna fosse composta esclusivamente di membri segreteria Comitato, vale a dire impiegati inglesi. Essi hanno accettato invece che Commissione internazionale debba comprendere rappresentanti governi interessati. È superfluo che io sottolinei a V.E. importanza questo punto e sviluppo che tale principio potrà avere in seguito.

4°) Comitato ha accettato iniziare senz'altro studio questione che giustamente

V.E. fa rilevare nel telegramma n. 3752 come di importanza pregiudiziale, cioè modalità e momento del riconoscimento diritti belligeranza.

Mia continua insistenza su interdipendenza nove punti piano britannico è sempre stata fondata su necessità di chiarire che qualora riconoscimento belligeranza non fosse dato in determinato momento da fissare preventivamente, impegno evacuazione volontari cadrebbe automaticamente.

Avendo ciò in mente abbiamo ieri chiesto, contro opposizione francese e sovietica, ed ottenuto che nell'avvicinare le parti in conflitto presidente non debba limitarsi domandare esclusivamente cooperazione per evacuazione volontari bensì anche

tore Grandi aveva chiesto che tutti i governi dichiarassero di accettare il piano britannico del 14 luglio nel suo complesso prima di passare alla discussione dei singoli punti. Il rappresentante sovietico si era rifiutato di fare tale dichiarazione. 482 2 Vedi D. 477.

trattare riconoscimento belligeranti. Ciò darà possibilità governo Salamanca discutere due problemi contemporaneamente, sullo stesso piano, e mettere sue condizioni.

5°) Accordo di principio è subordinato all'accettazione sovietica e all'esame della seria situazione in cui, per eventuale persistenza rifiuto sovietico, verrebbe a trovarsi accordo medesimo.

Ho creduto necessario mettere su questo punto quesito preciso ai rappresentanti inglese e francese per togliere fin d'ora qualsiasi illusione che l'Italia possa accontentarsi del cosiddetto «isolamento diplomatico» della Russia sovietica. Staremo quindi a vedere che cosa Francia e Inghilterra risponderanno, e fino a quale punto sarebbero disposte eventualmente marciare contro governo sovietico.

6°) Attiro da ultimo attenzione V.E. sull'ironia del fatto che Francia e Inghilterra hanno lasciato cadere nostra proposta ritiro simbolico, anche dopo aver io dichiarato essere governo italiano disposto ritirare cinque mila volontari qualora, beninteso, tale ritiro importasse riconoscimento belligeranza. Imbarazzo generale seguito a questa mia dichiarazione è riprova evidente di molte cose che potranno essere opportunamente riprese per dimostrare buona fede degli zelatori della politica non intervento .

482 1 Nella seduta del 26 ottobre del Comitato di non intervento (Sottocomitato dei nove), l'ambascia

483

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 7396/471 R. Tokio, 27 ottobre 1937, ore 21,10 (per. ore 16 del 28).

Vice ministro mi ha detto che Giappone sarebbe grato R. governo se credesse suggerire a Nanchino di iniziare diretti negoziati con Tokio e se cercasse preavvisarvelo1.

484

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. 1788/130 R. Roma, 28 ottobre 1937, ore 3.

Secondo Daily Telegraph del 26 ottobre governo britannico si accingerebbe inviare in Portogallo missione militare allo scopo coordinare intese difensive fra i due Paesi. Prego V.S. accertare fondamento notizia e telegrafarmi 1•

gato. Intendeva effettivamente proporci che suggerissimo a Nanchino iniziare direttamente negoziati ma non subito bensì quando ce ne apparisse opportunità. Eguale richiesta è stata fatta a questa ambasciata di Germania» (T. 7575/488 R. del 4 novembre). 484 l Con T. per corriere 7611/034 R. del 28 ottobre, il ministro Mameli rispondeva confermando quanto già comunicato in proposito con i telegrammi n. 252 (D. 479) e 255-256 (D. 485) che, osservava, evidentemente si erano incrociati con il telegramma inviatogli da Roma.

483 1 Successivamente, l'ambasciatore Auriti telegrafava: «Vice ministro mi ha detto essersi male spie

485

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7428/255 e 7429/256 R. Lisbona, 28 ottobre 1937, ore 13,25 (per. ore 18).

Mi riferisco al mio telegramma n. 252 1 .

In conversazione odierna, fra l'altro questo Segretario Generale del ministero Affari Esteri mi ha fornito informazioni a sua volta sulle indiscrezioni dei giornali inglesi circa trattative per invio missione militare britannica in Portogallo.

Riassumo punti più importanti:

l) Evidente tentativo da parte Segretario Generale inquadrare trattative in più vasto e vago accordo politico fra i due Paesi ma anche precisa conferma che occorreva dissipare tentativi di creare atmosfera tale che questione spagnola avesse a distruggere alleanza secolare.

2) Conferma che vi è stata iniziativa inglese e che trattative sono in corso senza aver raggiunto per ora risultati positivi. Insiste che indiscrezione è avvenuta da parte britannica.

3) Da elementi della conversazione come da altre fonti può essere dedotto che almeno il primo scopo della missione dovrebbe essere accordo per stabilimento basi solo per Inghilterra lungo coste metropolitane e coloniali dell'Atlantico; in altri termini, garanzia di non aver interrotte le linee comunicazione dell'Impero britannico nel caso che linea Mediterraneo venisse minacciata. Contropartita sarebbe protezione coloniale al Portogallo.

Sempre con voluta mancanza di precisioni Segretario Generale mi ha informato che Portogallo deve preoccuparsi sicurezza sue colonie di fronte dilagare campagna rivendicazioni coloniali. Segretario Generale mi ha ricordato, in termini accorti e moderati ma non meno chiari, speculazione stampa internazionale dopo recente colloquio di S.E. il Capo del governo con Ribbentrop2 aggiungendo che tali speculazioni non erano state è vero in alcun modo confermate, ma neppure smentite. Durante la lunga conversazione ho avuto netta impressione che pubblicazioni predette hanno francamente offeso questo governo di cui è ben nota la viva sensibilità in materia coloniale che eventuali precisazioni che noi credessimo fare pervenire in proposito giungerebbero qui estremamente gradite.

Circa trattative con Inghilterra, è anche da rilevare che da indagini eseguite in questi ambienti militari dai rispettivi addetti risulta che ministro della Marina 3 ignora o afferma ignorare ogni cosa, mentre ministro della Guerra arriva a classificarle manovre di ditte inglesi interessate forniture. È legittimo dedurre che a indiscrezione avvenuta si cerchi ora di sfruttarla per ottenere se possibile assicurazioni nel campo coloniale di cui Portogallo nella sua debolezza è e sarà sempre avido.

485 2 Del 22 ottobre. Vedi D. 469. 485 3 M. Ortins de Bettencourt.

Mi risulta che questo ministro di Germania 4 ha avuto analoga conversazione presso il ministero degli Affari Esteri e che impressione prodotta in questi ambienti tedeschi da notizie stampa inglese è stata considerevolissima5 .

485 1 Vedi D. 479.

486

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. 1795/254 R. l Roma, 28 ottobre 1937, ore 22,30.

Tokio telegrafa 2 quanto segue:

«Vice ministro mi ha detto che Giappone sarebbe grato R. governo se credesse suggerire a Nanchino di iniziare diretti negoziati con Tokio e se credesse preavvisarvelo».

In colloquio avuto oggi con generale Chang Pei-li 3 ho insinuato tale eventualità ed ho trovato nell'interlocutore una favorevole reazione, almeno a titolo personale. Non ho mancato di illustrare la convenienza che avrebbe Nanchino ad entrare in contatto diretto con Tokio e ad arrivare ad un compromesso prima che il peso degli armamenti giapponesi non abbia compiuto la sua fatale opera. La Cina non può e non deve contare che sulle sue forze nella lotta che conduce. Qualunque speranza di aiuto esterno è destinata a rivelarsi fallace. Le democrazie ginevrine daranno alla Cina molte parole ma soltanto parole di solidarietà. La migliore prova di amicizia è quella invece di consigliarla disinteressatamente e onestamente per un accordo col Giappone, cercando di aiutare a che esso venga realizzato col minor sacrificio possibile ed in uno spirito di equità.

In tal senso, e nella forma che riterrà del caso, V.E. potrà costì esprimersi a farmi conoscere i risultati dei suoi sondaggi che comunque dovranno essere molto prudenti4 . Ritelegrafi quanto precede a Tokio.

487

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 5142/1674. Berlino, 28 ottobre 1937 (per. il 29).

Riproduco qui appresso un appunto di questo R. addetto stampa, marchese Antinori, sopra le impressioni da lui riportate in un recente viaggio a Parigi:

485 5 Sì veda per il seguito il D. 492. 486 1 Minuta autografa. 486 2 Vedi D. 483. 486 3 Sulla missione del generale Chang Pei-li, si veda D. 472, nota 4. 486 4 L'ambasciatore Cora rispondeva che da un primo sondaggio era emerso un forte scetticismo nei dirigenti cinesi, i quali pensavano che Tokio potesse proporre l'avvio di conversazioni al solo scopo di affermare poi che, dati questi contatti diretti, la conferenza di Bruxelles era inutile (T. 7603/459 R. del 4 novembre).

«Essendomi recato, come V.E. sa, per alcuni giorni a Parigi, ho avuto occasione di avvicinare persone di vari ambienti, italiani e francesi che, per ragioni professionali, sono in grado di seguire gli umori e le oscillazioni di quell'opinione pubblica.

Dalle conversazioni avute, ho potuto rendermi conto che, attualmente, lo spirito pubblico francese si sta rapidamente «montando» contro di noi, soprattutto sulla base di una nuova parola d'ordine, che è stata coniata e posta in circolazione: la sicurezza-cioè-delle comunicazioni fra la Francia e l'Africa Settentrionale, che si vuoi fare apparire minacciata dall'Italia, la cui azione a favore della Spagna Nazionale non avrebbe in realtà altro scopo che quello di impadronirsi, in una forma o nell'altra, di importanti posizioni nelle Baleari e mettersi in grado di paralizzare così in ogni momento quelle comunicazioni.

A quanto mi è stato assicurato, è già visibile un'oscillazione in questo senso anche in quella parte della stampa francese che finora si era mostrata a noi favorevole, ma, quello che è più importante, anche quella parte del pubblico francese che finora si era mostrata contraria ad ogni avventura, nel senso voluto dagli elementi più di sinistra del Fronte Popolare, ora va gradatamente evolvendo e non si mostra più così ostile come prima all'eventualità di doversi «difendere» da un pericolo che, col tempo, potrebbe aumentare e diventare più difficile a scongiurarsi.

Sembra che il presidente del Consiglio Chautemps resista ancora contro le correnti che, anche in seno al suo Gabinetto, premono sempre più in senso a noi ostile; ma sembra pure non esser affatto certo che Chautemps sia in grado di resistere a quelle pressioni indefinitamente».

Posso poi aggiungere che, secondo informazioni mie, la Francia si considererebbe sicura di potere per un'azione contro l'Italia contare, in un secondo momento, anche sull'Inghilterra, la quale pur avendo fatto capire alla Francia di non essere disposta a seguirla ora, e cioè a conflitto spagnolo ancora aperto, si sarebbe dichiarata pronta a seguirla dopo e cioè quando, a conflitto spagnolo terminato, l'Italia non si mostrasse disposta ad evacuare senz'altro le Baleari1•

485 4 Oswald Hoyningen-Huene.

488

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. STRETTAMENTE CONFIDENZIALE L'Aja, 28 ottobre 1937 1673/589. (per. il l o novembre).

Mio telespresso del 14 ottobre corrente, n. 1582/544 1 .

Di un secondo incontro con questo ministro degli Esteri, ho approfittato per continuare presso di lui la mia azione intesa a persuaderlo della opportunità per i

Paesi Bassi di risolvere senza inutili dubbi e tergiversazioni una questione che era di per se stessa risolta: quella del riconoscimento dell'Impero italiano d'Etiopia. Gli ho dimostrato che un tale riconoscimento che avvenisse al di fuori delle aggrovigliate e infinite discussioni ginevrine, non solo renderebbe più fiduciosi e fecondi i rapporti dell'Olanda con la grande Nazione italiana, ma darebbe all'Olanda il merito grandissimo di aver contribuito a riportare ad una fiduciosa collaborazione europea, forsanco sul terreno di Ginevra, le Potenze che se ne erano allontanate.

Patijn mi ha detto esplicitamente che le sue idee in politica estera si basavano, come quelle del presidente Colijn, sulla realtà dei fatti e mi prometteva che a sanare la incresciosa situazione attuale nei riguardi dell'Etiopia italiana avrebbe lavorato con amichevole impegno.

Avantieri intrattenendomi con uno dei suoi diretti collaboratori, venni informato a titolo strettamente confidenziale che il signor Patijn aveva concretato un piano d'azione per il riconoscimento dell'Etiopia italiana, e ne aveva già iniziato l'attuazione. Sempre a titolo strettamente confidenziale, il funzionario mi informò che il ministro degli Esteri si era reso conto delle difficoltà insormontabili (provenienti dall'estero e dall'interno) che si opponevano ad una iniziativa isolata dei Paesi Bassi. Perciò aveva pensato che l'iniziativa di sanare la situazione dovesse esser presa da un gruppo di piccoli Stati e precisamente dagli Stati del gruppo di Osio. Scambi di vedute erano già in corso. Contando sul senso pratico di alcuni suoi colleghi di Stati nordici, Patijn non disperava di un risultato soddisfacente. Come modus procedendi si proponeva di raggiungere un accordo di massima su una formula, e questa sottomettere poi al governo di Parigi a titolo di informazione cortese. In caso di opposizione del Quai d'Orsay il gruppo dei piccoli Stati avrebbe dovuto procedere per proprio conto.

Sul lavoro di consultazione che si stava svolgendo, il ministro degli Esteri voleva si serbasse il segreto per evitare eventuali manovre di sabotaggio.

Il funzionario che mi parlava, considerava con la massima simpatia l'iniziativa del suo capo; non si nascondeva però gli ostacoli che essa avrebbe incontrato e le difficoltà derivanti dal fatto che tra gli Stati di Osio, tutti controllati da una maggioranza socialista, l'Olanda era la sola ad avere un governo e un programma nettamente di destra 2 .

487 l Il documento ha il visto di Mussolini. 488 l Riferiva su un colloquio avuto con il ministro degli Esteri, Patijn. circa il futuro dei rapporti italo-olandesi sui quali pesava il problema delle lettere credenziali del nuovo rappresentante olandese a Roma, che il governo italiano chiedeva fossero intestate al Re d'Italia Imperatore d'Etiopia. Il ministro Patijn aveva assicurato «che la questione gli stava molto a cuore e che avrebbe fatto di tutto per risolverla». Il documento ha il visto di Mussolini.

489

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7507/0282 R. Londra, 29 ottobre 1937 (per. il JO novembre).

Dopo una breve parentesi coincisa col viaggio del Duce in Germania (il travolgente entusiasmo delle accoglienze fatte al Duce ha tappato per un po' la bocca ai nostri avversari) ha ripreso, con ritmo crescente, la ormai ben nota e trasparente manovra di questi circoli politici per tentare uno scardinamento di quell'asse Ro

ma-Berlino che così profondamente turba i calcoli di politica estera dell'Inghilterra. I sistemi sono sempre gli stessi e ricordano quelli usati durante il cosiddetto periodo della incoronazione. Una azione generale di screditamento della identità di vedute e di interessi tra Italia e Germania, e, dopo un certo periodo di questa «preparazione psicologica», un attacco a base di blandizie ed allettamenti diretto contro una delle teste dell'«Asse»; oggi, come scorso aprile, la testa prescelta è quella di Berlino.

La recentissima visita in Inghilterra del ministro tedesco dell'Aeronautica, generale Milch 1 , ha reso se del caso ancor più calzante il raffronto con la situazione dello scorso aprile e il periodo relativo alla visita del Maresciallo Blomberg2 . Nessuno sforzo è stato risparmiato per impressionare il generale Milch sui progressi del riarmo britannico ed allo stesso tempo per circondarlo di quell'atmosfera di cordiale fiducia che aveva caratterizzato le accoglienze fatte a Blomberg. Sono state infatti aperte al Milch le officine, le scuole d'aviazione, gli aerodromi; gli sono stati mostrati reparti dei quali è altrimenti vietato l'accesso ad estranei, gli è stato permesso seguire esercitazioni di ogni sorta.

Tra i ritagli che trasmetto per illustrare questa ed analoghe forme di «massaggio» dell'opinione pubblica tedesca, segnalo gli articoli laudativi di Temperley sulle grandi manovre tedesche, pubblicati con grande rilievo dall'ufficioso Daily Telegraph nonché la nota editoriale dello stesso giornale sugli elogi tributati dall'Aga Khan alla Germania, che egli ha definito «pietra angolare della pace mondiale» (non sarà inopportuno ricordare a questo riguardo che l'Aga Khan è l'attuale Presidente dell'Assemblea della S.d.N.).

Ma la manovra inglese non si ferma a queste forme più o meno abili di ammansimento. Tralascio dall'insistere sui ricorrenti accenni in ogni corrispondenza o nota che ne offra lo spunto ad una pretesa divergenza di vedute sulla questione spagnola tra Roma e Berlino: quest'ultima raffigurata sempre come l'elemento moderatore dell'Asse e tutt'altro che soddisfatta di una situazione nella quale la Germania è chiamata a tutto rischiare nell'interesse principale se non esclusivo dell'Italia. Questo concetto, certo non nuovo nelle colonne della stampa inglese, trova tuttavia stamane in un articolo del Times che mi risulta di diretta ispirazione del Foreign Office, uno sviluppo che merita essere segnalato e seguito. Non solo la Germania, si cerca cioè di dimostrare, si è lasciata trascinare in Spagna ad un compito gratuitamente pericoloso, ma essa va compromettendo l'altrimenti facile raggiungimento dei suoi più vasti e ben vitali obbiettivi politici. La conclusione è una sfacciata offerta da parte dell'Inghilterra di mercanteggiare la richiesta tedesca di colonie e financo di mano libera ad oriente, contro un abbandono della causa nazionalista spagnola, e, magari, anche dell'Italia.

«La Germania~ insinua intanto il Times come incoraggiamento a Berlino a mettersi su questa strada~ ha prudentemente rifiutato di lasciarsi coinvolgere nel

583 conflitto spagnolo in maniera paragonabile a quella di qualche altra Nazione» (sono le parole con le quali qualche settimana fa, Eden spiegava a questo incaricato d'affari tedesco i motivi per i quali l'invito alla progettata conferenza tripartita era stato rivolto solamente all'Italia e non anche alla Germania).

Trascrivo qui di seguito, testualmente, alcuni dei passi più significativi dell'articolo in parola: «Non vi è in Inghilterra adesione alla semplicista credenza che la sistemazione fatta a Versailles debba persistere in eterno in ogni suo dettaglio e non debba essere suscettibile di quella revisione prevista dalle stesse clausole del Trattato. Noi abbiamo tutti il diritto di essere fieri, in fatto di amministrazione coloniale, del lungo e glorioso passato dell'Impero britannico, ma sarebbe una completa ipocrisia pretendere che nessun'altra razza europea non sia adatta a compiere una simile missione. Specialmente nel caso dell'Africa militano forti ragioni perché si debba richiedere alla migliore esperienza europea di collaborare per la soluzione di quei grandi problemi che sono connessi con il destino delle razze indigene. ·

Ciò non significa la restituzione del Tanganika, che presenterebbe insuperabili ostacoli di carattere amministrativo, economico e strategico, né deve necessariamente significare l'estensione dell'attuale sistema mandatario a tutti i territori africani. Ma ciò significa che si deve fare un sincero tentativo per trovare alla Germania un adeguato campo di sviluppo. Il riconoscimento che la Germania è capax imperii sarebbe tanto più soddisfacente se un tale campo potesse essere aperto a mezzo dell'azione comune di tre o quattro grandi Potenze colonizzatrici che controllano territori africani contigui.

La verità è che la pubblica opinione britannica è probabilmente convinta molto più di quanto non sia il governo, che una chiara intesa con la Germania sarebbe destinata ad avere conseguenze più profonde, e produttive di una pace durevole, che non ogni altro obiettivo della nostra politica estera. In Inghilterra si nutre scarsa simpatia per la tesi che è sembrata qualche volta prevalere sul continente, che il modo più adatto di trattare la Germania consiste nel circondarla di Stati alleati in agguato (talvolta sotto l'aspetto della S.d.N.) per impedirle l'espansione in qualsiasi direzione oltre i limiti che le furono imposti vent'anni or sono. Essa ha già infranto questi limiti qua e là, con metodi che non ridondano né a suo credito né a quello del resto del mondo e la più ovvia saggezza politica suggerisce che venga arrestato un processo destinato altrimenti a condurre in modo inevitabile a una guerra e al crollo della civiltà occidentale. Bisogna chiarire a quale punto tale arresto deve essere effettuato e bisogna fare un supremo sforzo, almeno per quanto concerne la Gran Bretagna, per raggiungere una pacificazione prima che quel limite venga toccato. Il desiderio tedesco di espansione non può essere soddisfatto da un gesto isolato, e la restituzione delle colonie può anche non essere tutto ciò che la Germania desidera. Gli altri suoi noti desideri non interessano direttamente la Gran Bretagna: per il momento la questione coloniale ha il primo posto nella lista delle aspirazioni tedesche e non è assolutamente il caso di rifiutarsi di prenderla in esame, come parte di una sistemazione generale, in uno spirito franco e amichevole. È essenziale che la discussione debba avere in vista una sistemazione generale, ma vi sono due condizioni, cui si deve ottemperare prima che tale discussione possa avere inizio. In primo luogo è necessario abbandonare il sistema degli scambi di critiche e di polemiche a lunga distanza da parte dei politicanti e tornare ai normali metodi diplomatici. In secondo luogo, prima di potere affrontare qualsiasi altro problema in una atmosfera tollerabile deve essere posto fine al problema spagnolo. Questa piaga aperta impedìsce qualsiasi progresso. Ma la Germania, a differenza di qualche altra Nazione, ha prudentemente rifiutato di essere coinvolta nel conflitto spagnolo in misura eccessiva e la Gran Bretagna non è coinvolta affatto se non nella sua qualità di mediatrice.

Non vi è alcuna ragione perché la Spagna debba essere un permanente ostacolo nella via delle migliori relazioni fra i due popoli» 3 .

488 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

489 l L'ambasciatore Grandi aveva già riferito sulla visita che una missione dell'aeronautica tedesca guidata dal generale Milch aveva effettuato in Gran Bretagna dal 14 al 24 ottobre ed in particolare aveva attirato l'attenzione sulle dichiarazioni estremamente positive che Milch aveva fatto alla stampa circa «gli immensi passi avanti» dell'Aeronautica britannica e «la grande innovazione» delle industrie complementari (T. 13150/765 P.R. del 25 ottobre). Su l'argomento aveva riferito anche Attolico, al quale il generale Milch aveva dichiarato «di essere rimasto molto colpito dalla serietà dell'organizzazione della tecnica britannica», tanto da ritenere che, continuando a quel ritmo, la Gran Bretagna poteva essere considerata «dal punto di vista aereo pronta in due anni» (Telespr. 5062/1644 del 26 ottobre). 489 2 Vedi serie ottava, vol. VI, DD. 622 e 648.

490

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 5160jl675. Berlino, 29 ottobre 1937 (per. il 30).

Ho riferito già all'E.V. col mio teleareo di ieri n. 5142/16741 che, secondo informazioni mie, «la Francia si considererebbe sicura di potere, per un'azione contro l'Italia, contare, in un secondo momento, anche sull'Inghilterra, la quale pur avendo fatto capire alla Francia di non essere disposta a seguirla ora, e cioè a conflitto spagnolo ancora aperto, si sarebbe dichiarata pronta a seguirla dopo e cioè quando, a conflitto spagnolo terminato, l'Italia non si mostrasse disposta ad evacuare senz'altro le Baleari».

L'informazione di cui sopra mi è stata in sostanza confermata oggi anche da Neurath, il quale mi ha detto essere sua decisa impressione che ormai l'Inghilterra metta la questione spagnola «attuale» al secondo piano, concentrando invece tutte le sue preoccupazioni solo sulla situazione spagnola «prospettiva», quella cioè che si potrà determinare alla fine della guerra civile e in conseguenza della disposizione italiana a voler o no ritenere pegni territoriali nelle Baleari.

A proposito appunto di questo, il barone von Neurath mi ha anche informato che l'Inghilterra ha già incominciato a rinnovare i suoi approcci alla Germania. Eden ha già fatto sapere a Neurath che sarebbe venuto il momento per riprendere il tentativo, già fallito nel mese di agosto, per un incontro con lui.

«Non passa guasi giorno», mi ha detto testualmente il barone von Neurath, «che io non riceva sollecitazioni dagli inglesi. Intanto, essi, speravano di vedermi a Bruxelles. L'occasione è mancata. Ma è evidente che, con o senza Bruxelles, questo non sarebbe il momento più adatto per una ripresa di contatti anglo-tedeschi.

Se questa, mi ha detto, deve avvenire, dovrà avvenire nel momento in cui convenga alla Germania e quindi non certo per ora»2 .

489 3 Con T. 7602/0290 R. del l" novembre, Grandi attirava ancora «la particolare attenzione» di Ciano sull'«attivo corteggiamento della Germania da parte dell'Inghilterra», prendendo spunto da un articolo di Scruta/or sul Sunday Times-che gli risultava essere stato ispirato direttamente del Foreign Officc --nel quale si tornava ad affermare che il mantenimento dello statu.1· quo nell'Europa Orientale non era affatto uno dei capisaldi della politica britannica. Il suggerimento implicito contenuto nell'articolo -osservava l'ambasciatore --era che la richiesta di mano libera ad Oriente poteva essere oggetto di trattative se avesse offerto la possibilità di una solida intesa anglo-tedesca. 490 l Vedi D. 487. 490 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

491

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5161/1676. Berlino, 29 ottobre 1937 (per. il 30).

Come ho telegrafato a V.E. stamane ed è in questo pomeriggio divenuto di pubblica ragione, la Germania ha rifiutato l'invito a partecipare alla Conferenza delle Nove Potenze. Mentre la situazione era in bilico si sono verificate due circostanze nuove che hanno influito sull'animo del Fiihrer:

l) il rifiuto del Giappone;

2) il contemporaneo invito alla Russia.

Ove l'invito alla Germania fosse stato fatto indipendentemente da quello alla Russia e subito, quando cioè ancora il Giappone non si era deciso per la negativa, forse le cose sarebbero andate diversamente. Data invece la situazione di fatto è prevalso il concetto che la Germania, non essendo dopo tutto firmataria del Trattato delle Nove Potenze, non ha nessuna ragione per impegnarsi in azioni diplomatiche probabilmente senza uscita e che quindi non potrebbero portarle alcun vantaggio.

La motivazione della risposta è quella già indicata nel mio teleaereo di ieri n. 5137 1• Come V.E. vedrà, la risposta tedesca termina dicendo che, in ogni caso, il governo del Reich è sempre disposto a cooperare ad un'azione per la soluzione pacifica del conflitto non appena si verifichino le premesse indispensabili a tale effetto.

Ho domandato a Neurath se queste righe di chiusa avessero un effettivo significato, oppure fossero soltanto una forma cortese per coprire il rifiuto. Il barone von Neurath mi ha risposto che, mentre la Germania ritiene che un'azione conciliativa sia per ora impossibile, essa potrebbe invece trovar luogo in un secondo momento e cioè quando (ciò che secondo i tedeschi non è da escludere) il Giappone, dopo un qualche serio successo militare e di fronte alle crescenti difficoltà dell'impresa vedesse di buon occhio ed eventualmente chiedesse esso stesso un intervento conciliativo.

In questo caso, si dice ali'Auswartiges Amt, la Germania potrebbe ancora intervenire2 .

492

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. PERSONALE 180 l/131 R. l. Roma, 30 ottobre 1937, ore 2.

Suoi telegrammi n. 2522 e 255-256 3 .

491 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 492 l La minuta è autografa di Ciano. 492 2 Vedi D. 479. 492 3 Vedi D. 485.

Ho parlato con questo mmtstro del Portogallo e gli ho detto che qualsiasi allarme in relazione alle colonie portoghesi è assolutamente ingiustificato. I colloqui con Ribbentrop hanno avuto per oggetto argomenti che sono, anche geograficamente, molto lontani dalle colonie del Portogallo.

V.S. potrà confidenzialmente parlarne a chi di ragione e far comprendere che è inutile e talvolta dannoso dar corpo alle ombre4 .

491 1 Non rintracciato.

493

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PAVERI

T. 1805/112 R. Roma, 30 ottobre 1937, ore 1,30.

Suo telegramma n. 113 1 .

Prendo atto desiderio manifestatole da codesto ministro della Guerra circa intenzione governo saudiano di fornirsi di armi in Italia.

V.S. vorrà cogliere propizia occasione per riconfermare nostra buona disposizione a venire incontro per quanto possibile ai desideri di codesto governo in merito a forniture armi ed apprestamenti bellici in genere.

494

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 7495/446 R. 1 . Shanghai, 30 ottobre 1937, ore 14 (per. ore 6,05 del 31 ).

Mi risulta da fonte giapponese che addetto militare a Tokio avrebbe qui detto che il Maresciallo von Blomberg avrebbe dato ordine generale Falkenhausen lasciare servizio in Cina, ma che egli avrebbe rifiutato essendo (ì$SUnto a titolo privato.

Secondo quanto mi ha detto in proposito, e anche recentemente, ambasciatore di Germania, ritiro ufficiali tedeschi non sarebbe stato mai contemplato, anzi attitudine assai amichevole assunta dai rappresentanti e dagli ufficiali germanici in Cina, dovuta alla iniziativa del mio collega germanico, avrebbe incontrato approvazione Wilhelmstrasse.

Sampaio, che accoglieva con soddisfazione le assicurazioni del governo italiano ma confermava l'esi stenza di un diffuso allarme nell'opinione pubblica portoghese per le rivendicazioni coloniali della Ger mania (T. 7511/259 R. del lo novembre). 493 l Vedi D. 471, nota 2. 494 l Il contenuto di questcr telegramma fu ritrasmesso all'ambasciata a Berlino (T. 17234/416 P.R. del 1° novembre) con l'invito a riferire quanto risultasse in merito. Per la risposta di Attolico si veda il D. 511.

492 4 Il ministro Mameli compiva il passo prescrittogli in un colloquio con il Segretario Generale,

495

L'INCARICATO D'AFFARI A GEDDA, PAVERI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 7498/116 R. Gedda, 30 ottobre 1937, ore 17 (per. ore 21,15).

Mio telegramma n. 114 1•

Suleiman è venuto a vedermi improvvisamente ieri nel pomeriggio con istruzioni scritte del Re, e pregarmi trasmettere a V.E. replica del governo saudiano a comunicazioni a suo tempo fattegli da R. ministro 2 in conformità telegramma di

V.E. n. 903 .

Ministro della Guerra mi ha letto comunicazione, che l'interprete ha trascritto sotto dettatura e che trasmetto col prossimo corriere. Essa può essere riassunta nei seguenti tre punti:

l) Governo del Re Ibn Saud ha preso in considerazione nostre dichiarazioni relative alla prima e seconda delle quattro domande presentate da Yussuf Yassin, ma ha osservato che il R. governo non ha creduto scambiare col governo saudiano opinioni specifiche sulla grave questione che preoccupa gli arabi nel momento attuale.

2) Governo del Re Ibn Saud vuole mantenersi in buoni rapporti con l'Inghilterra e tutti gli altri Paesi e non vuole la guerra, ma ciò non gli impedirà di chiedere all'Inghilterra, con insistenza e fermezza, riconoscimento dei diritti degli arabi e di adottare ogni misura per giungere (attraverso vie legali) a una soluzione soddisfacente.

3) Per arrivare a tale risultato il governo saudiano si è rivolto al governo italiano, che è amico e desideroso di aiutare gli arabi secondo le ripetute dichiarazioni già fatte dal Duce, onde assicurarsi fino a che punto poteva contare sull'appoggio del governo fascista in caso di bisogno.

Ho assicurato trasmissione della comunicazione a V.E., ho detto a Suleiman che tenevo intanto subito a chiarire che le osservazioni del governo saudiano (punto primo) non potevano che derivare da una errata interpretazione delle precise dichiarazioni fatte dal R. ministro il 15 settembre u.s. (telegramma di questa legazi~ne n. l 02) 4 e che per provare la politica favorevole agli arabi che il governo fascista intende seguire anche nella questione della Palestina, bastava gli ripetessi esattamente quanto il R. ministro aveva comunicato.

Ho quindi ripetuto argomenti di cui al telegramma di V.E. n. 90, particolarmente per quanto riguarda questione Palestina. Sempre mantenendomi nei limiti indicati da V.E. ho anche fatto notare che quanto comunicato dal governo fascista non solo non esclude, ma anzi è punto di partenza di scambi di «opinioni specifiche» sulla questione che possano mettere ognuno di noi in grado di esprimere ulteriormente suo punto di vista.

Suleiman ha preso nota e ringraziato dei chiarimenti e, riferendosi alle dichiarazioni sopra riassunte nei punti due e tre, mi ha detto essere sempre a disposizione per la comunicazione a suo tempo della risposta del R. governo.

495 l Vedi D. 47!. 495 2 Vedi D. 345. 495 3 Vedi D. 257. 495 4 Si veda il D. 345, dove ne è riportato il testo.

496

L'AMBASCIATORE A PARIGI, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE URGENTE Parigi, 30 ottobre 1937, ore 20,40 7489/437 R. (per. ore 23,05).

Lettera personale di V.E. 8397 1 .

In assenza di Delbos e Chautemps trattenuti fuori Parigi da lavori al congresso partito radicale, ho fatto stamane comunicazione prescrittami a Léger. Egli reagì energicamente dichiarando che provvedimento avrebbe gravemente influito sulle relazioni italo-francesi ed avrebbe dato luogo non solo in Francia ma in tutto il mondo a commenti sgradevoli. Doveva respingere tentativo che gli sembrava scorgere nel passo compiuto di fare ricadere sopra la Francia responsabilità di una situazione che Francia era la prima a deplorare e che essa non aveva menomamente voluta. Richiamo di Chambrun era stato provvedimento di indole generale e Quai d'Orsay era dolente che Duce --giusta notizie pervenutegli da fonte indiretta -avesse potuto credere che fosse stato motivato da mancanza di riguardo verso sua persona. Concessione gradimento a Saint Quentin non era stata accompagnata da alcuna riserva circa compilazione sue credenziali e poiché quelle dell'ambasciatore degli Stati Uniti dirette al Re d'Italia non avevano dato luogo ad obiezioni, Francia si era gravemente risentita del diverso trattamento fattole. Ora si tentava di riversare sulla Francia colpa di uno stato di cose che è unica conseguenza dell'essere essa membro della Società delle Nazioni. Non spetta alla Francia decidere quando debba essere ritenuto estinto l'Impero etiopico, tanto è vero che molti Stati si trovano nelle identiche sue condizioni data la loro fedeltà all'ambiente ginevrino. Governo italiano sapeva che, agendo in perfetta armonia con Inghilterra, Francia aveva per ben due volte tutto predisposto per giungere a Ginevra alla soluzione del problema etiopico. Circostanze spiacevoli, alle quali non erano estranei taluni atteggiamenti del governo fascista, avevano peraltro impedito risolvere la cosa. Conseguenza era irrigidimento delle posizioni perché opinione pubblica si sarebbe scatenata contro provvedimento giudicandolo non amichevole per la Francia.

Léger mi chiese poi ed ottenne da me precisazioni circa portata di esso, trattarsi cioè di una partenza in congedo dell'ambasciatore e non già di un richiamo con vacanza di sede. Egli ebbe parole estremamente lusinghiere per mia persona ed aggiunse che si sarebbe particolarmente e personalmente risentito il presidente del Consiglio Chautemps che nutriva sincera amicizia per me e che rievocandola~ era riuscito recentemente a fare prevalere in tre Consigli dei ministri atteggiamen

to favorevole all'Italia contro sene opposizioni dei suoi colleghi socialisti e di tendenze radicali dell'estrema.

Mi pregò infine chiarire la esatta portata del provvedimento a tutti i giornalisti che mi avrebbero assediato con richieste di spiegazioni, in modo da eliminare impressione-che egli temeva sopra ogni cosa--che si potesse cioè scorgere nel provvedimento del governo italiano il suo intendimento di rimpiazzare a Parigi un rappresentante che, anche nei momenti politici più difficili aveva sempre cercato di mantenere i nervi a posto ricercando soluzioni concilianti, con altri che avessero tendenze diametralmente opposte.

Ho assicurato Léger che la scelta di Prunas alla reggenza avrebbe potuto costituire una assoluta prova per governo francese, dato che questo consigliere di legazione educato alla scuola di un diplomatico espertissimo come il compianto ambasciatore Bordonaro non avrebbe «infranto alcuna porcellana».

Léger mi ringraziò assicurandomi che Prunas sarebbe stato ricevuto con ogni cortesia c che certamente, né Delbos, né lui medesimo sarebbero usciti dall'atteggiamento di quella rigida correttezza che la presente situazione comportava. Non poteva essere questione che il Presidente del Consiglio-la cui influenza nella politica estera è cresciuta di giorno in giorno ----non ricevesse e non esprimesse con l'incaricato d'affari come avrebbe fatto con l'ambasciatore d'Italia, e ciò nonostante le molte difficoltà derivanti dal riavvicinamento italo-tedesco che rimane l'idea fissa di Chautemps.

Ho detto a Léger che mi attribuivo la qualità di non perdere mai la calma, cosicché furono avocati spesso preconcetti di lui [sic] e mi domandavo se l'atteggiamento del governo fascista, a causa della sua grande ripercussione, non avrebbe prodotto nella crisi delle relazioni italo-francesi quel movimento febbrile che è sovente foriero di risoluzioni a causa2 di un male. Il male era quello che due Stati come l'Italia e la Francia dovessero avere rappresentanze paritetiche a Parigi ed a Roma. Si finisse pertanto una buona volta di fare della procedura e si facesse della politica, decidendo di riconoscere l'Tm pero e di mandare l'ambasciatore di Francia a Roma.

Léger, congedandosi da me mi assicurò che questo è sempre stato --ed è tuttora -il desiderio della Francia che considerò deplorevole, ma sino ad ora insolubile, il problema relativo.

496 1 Vedi D. 470.

497

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7490/782 R. Londra, 30 ottobre 1937, ore 20,53 (per. ore 2,30 del 3/ ).

Telegramma di V.E. n. 382 1 .

496 " Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo di dubbia interpretazione». 497 l T. 1789/382 R. del 28 ottobre con il quale era stato chiesto all'ambasciatore Grandi di accertare quale fondamento aveva la notizia dell'invio in Portogallo di una missione militare britannica. Su ciò si veda anche il D. 484.

Ho già risposto con telegramma per corriere 0281 2 a quanto V.E. mi domanda circa notizie e pressioni che Foreign Office avrebbe esercitato e continuerebbe ad eserCitare sul Portogallo. Con il prossimo corriere invio resoconto altre conversazioni da me avute ieri con Monteiro su tale argomento 3 .

Atteggiamento Portogallo nel Comitato non intervento si mantiene di leale solidarietà con Italia e Germania ma era tuttavia evidente durante quest'ultima seduta lo sforzo di Monteiro (il quale è un fascista sul serio) per nascondere preoccupazione suo governo di fronte alle, nuove e più forti minaccie dell'Inghilterra.

Attitudine del Portogallo si è fatta più prudente durante ultime sedute e non (dico non) credo che noi possiamo contare che Portogallo spinga più oltre la sua linea d'azione. Ho al contrario l'impressione che governo portoghese abbia raccomandato moderazione al suo rappresentante dandogli istruzioni favorire formale conciliazione, assumendo posizione indipendente fra opposti due gruppi itala-tedesco e franco-inglese.

Azione portoghese merita essere seguita con molta attenzione qui a Londra ed anche a Lisbona4 .

498

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5209/1690. Berlino, 30 ottobre 1937 (per. il ] 0 novembre).

Il discorso pronunciato dal Capo del Governo italiano il 28 ottobre 1 è stato accolto a Berlino con la più grande soddisfazione, non solo perché esso sostiene e ribadisce le rivendicazioni coloniali tedesche, ma anche perché esso coincide con l'inizio della rinnovata campagna della stampa a sostegno dei diritti della Germania. Il discorso è stato riportato per intero da tutti i giornali tedeschi che ne hanno

zione su una serie di articoli -sicuramente ispirati dal Foreign Office -apparsi nella stampa bri tannica a proposito del prossimo invio in Portogallo di una missione militare incaricata di coordinare la difesa dei due Paesi e di aggiornare l'alleanza anglo-portoghese in vista dei possibili sviluppi della situazione in Spagna e nel Mediterraneo. Grandi ne aveva parlato anche con l'ambasciatore Montei ro, il quale gli aveva dichiarato che l'inziativa risaliva a diversi mesi prima e andava inquadrata nell'azione intimidatoria che da qualche tempo la Gran Bretagna andava esercitando sul Portogallo per indurlo a recedere dagli atteggiamenti troppo indipendenti assunti nei confronti della politica britannica. 497 3 Vedi D. 505. 497 4 Si veda sull'argomento il D. 505. 498 l Nel discorso pronunciato a Roma ai gerarchi del partito, Mussolini aveva detto che era suo desiderio iniziare il XVI anno dell'era fascista nel segno della pace ma perché la pace fosse duratura e feconda era necessario eliminare il bolscevismo dall'Europa, a cominciare dalla Spagna, e aveva aggiun to: «È necessario che talune stridenti ed assurde clausole dei trattati di pace siano rivedute. È necessa rio che un gran popolo come il popolo germanico riabbia il suo posto che gli spetta e che aveva al sole africano». Il testo del discorso è in MussoLJNI, Opera omnia. vol. XXIX, pp. 16-18.

sottolineato, anche con apposito rilievo tipografico, i punti principali e soprattutto quelli relativi alla revisione delle assurde clausole del Trattato di Versailles ed alla comune lotta contro il bolscevismo. È significativo, si osserva qui, che Mussolini, persuaso della giustizia della causa tedesca, abbia gettato sulla bilancia internazionale anche nella questione coloniale tutto il peso della solidarietà fra l'Italia e la Germania.

I giornali di ieri e di oggi recano lunghissimi commenti al discorso, i quali non sono comparsi il giorno stesso, sia per un ritardo sopravvenuto nella trasmissione, sia pel fatto che il testo delle dichiarazioni non era stato in un primo momento riprodotto con tutta esattezza.

La Corrispondenza politica e diplomatica osserva che, in presenza dell'inquietudine e dell'incertezza da cui il mondo è oggi pervaso, le parole di Mussolini, che dimostrano una tranquilla sicurezza e sono state pronunciate in un'ora solenne per la Nazione italiana, assumono un'importanza particolare. Esse dimostrano che la politica italiana, che si sente in pieno accordo con quella della Germania, non desidera se non le necessarie garanzie di pace. Con ciò l'Italia non si nasconde le condizioni indispensabili per raggiungere ed assicurare la pace, condizioni che si riassumono nelle parole: sicurezza, giustizia e morale.

Il collaboratore diplomatico della Berliner Boersen Zeitung afferma che le rivendicazioni coloniali della Germania corrispondono ad un diritto che non può formare oggetto di bassi mercanteggiamenti o venire limitato da qualsiasi condizione. Nota che invece l'eco della stampa francese ed inglese dimostra come purtroppo questa sia ancora l'opinione all'estero. Osserva poi che l'aperta sincerità con cui i diritti della Germania in materia coloniale sono stati proclamati dal Fiihrer ed appoggiati da Mussolini dovrebbe venire accolta con soddisfazione proprio da coloro i quali accusano gli Stati autoritari di seguire una politica di sorprese e di fatti compiuti.

Il Voelkischer Beobachter dichiara essere difficile per quei Paesi ancora imprigionati nelle ideologie democratiche rendersi conto che le richieste di Mussolini non sono dettate da uno spirito di gretta speculazione o dal desiderio di raggiungere vantaggi tattici, ma dalla piena coscienza della responsabilità di fronte all'avvenire dell'Europa. L'eco che il discorso del Duce ha trovato all'estero dimostra, dice il giornale, come sia necessario esporre il problema con la maggiore chiarezza, per indicare quale sia l'unica soluzione possibile.

Il merito del discorso di Mussolini, scrive il Berliner Tagehlatt, è quello di aver posto le condizioni fondamentali per una collaborazione fra le quattro grandi Potenze europee indicando la base su cui dovrà svolgersi in avvenire l'azione politica in Europa.

La D. A.Z. saluta con soddisfazione l'energico atteggiamento del Duce a sostegno delle rivendicazioni coloniali tedesche, che, dice, è una nuova prova della solidità e dell'efficacia dell'asse Roma-Berlino.

Il Lokal Anzeiger afferma che l'effetto delle parole di Mussolini sarà duraturo. Le rivendicazioni tedesche, dice, manterranno il loro valore e guadagneranno in forza, poiché esse sono sostenute dal diritto all'esistenza di un popolo di 70 milioni di abitanti. La prima eco del discorso non deve quindi venire considerata come una conclusione, ma piuttosto come l'inizio di una nuova tappa sul cammino di una discussione che vi è da sperare sia feconda. La riconoscenza che la cavalleresca difesa dei diritti tedeschi assunta da Mussolini ha sollevato in Germania è dimostrata dalle ripercussioni che si sono manifestate concordemente nel Reich.

La Germania rileva con soddisfazione come Mussolini nel suo discorso abbia dichiarato che la soluzione della questione coloniale sia una delle condizioni essenziali e decisive per il raggiungimento della pace e che l'Europa non potrà fare a meno di occuparsene seriamente. Come tedeschi, dice, noi constatiamo con compiacimento che in questo punto capitale il Capo del fascismo dimostra la più grande comprensione per le necessità imprescindibili della Germania.

In generale, poi, la stampa tedesca si pronuncia contro l'interpretazione delle richieste tedesche che si manifesta in alcuni ambienti inglesi, tendente ad inglobare la questione coloniale nel quadro di un regolamento generale. Si osserva, contro tale interpretazione, che il Fiihrer ha indicato chiaramente nel suo ultimo discorso2 che la Germania sollevava rivendicazioni soltanto su quei territori coloniali che le sono stati tolti dopo la guerra. Ciò indica la direzione in cui deve essere cercata la soluzione del problema, il quale è di per sé abbastanza difficile per non essere complicato mediante l'aggiunta di elementi estranei. In modo deciso la stampa tedesca si pronuncia contro l'eventualità di concessioni da parte della Germania come compenso del riconoscimento del principio delle sue rivendicazioni. Infine si precisa che queste si rivolgono anzitutto verso l'Inghilterra la quale essendo responsabile in prima linea delle ingiustizie compiute a Versailles, deve in prima linea prestarsi a riparare quelle ingistizie. Essa non può addossare ad altri i suoi obblighi, ed escludere se stessa ed i suoi dominii dalla responsabilità di una restituzione.

Oltre questa manifestazione di stampa, segnalo che ieri sera, parlando a Berlino in una manifestazione, alla quale assisteva, fra gli altri, il ministro dell'Interno, Frick, il borgomastro di Berlino dottor Lippert, ed un uditorio di oltre trentamila persone. il dottor Ley, capo del Fronte del Lavoro ha accennato al problema coloniale tedesco che ha detto dover essere ricordato ogni giorno da nazionali e stranieri ed ha rievocato le parole pronunciate da Mussolini, suscitando grandissimo entusiasmo. Alla manifestazione era pure presente l'onorevole Del Giudice.

Aggiungo, circa tale argomento, che il ministro e commissario del Reich per la Giustizia, Hans Frank, rientrato stamane dall'Italia, ha oggi a Monaco, nella seduta inaugurale della sessione dell'Accademia del diritto tedesco, inviato al Duce, a nome dell'Accademia stessa, un vivo ringraziamento per la posizione presa dall'Italia nella questione della restituzione delle colonie alla Germania. Le

parole del ministro sono state accolte da vivi applausi dell'Assemblea all'indirizzo del Duce e dell'Italia fascista. Nella stessa seduta hanno preso la parola il nostro ministro della Giustizia, S.E. Solmi, ed il ministro degli Affari Esteri, von Neurath3 .

497 2 Con T. per corriere 7452/0281 R. del 27 ottobre, l'ambasciatore Grandi aveva attirato l'atten

498 2 Nel discorso pronunciato il 15 ottobre a Coburgo ad una riunione della «vecchia guardia», Hitler aveva invitato il popolo tedesco a presentarsi come un blocco unico di fronte al mondo per sostenere quelle rivendicazioni che costituivano «delle esigenze irriducibili poiché il loro riconoscimento è necessario per assicurare la vita del popolo tedesco». L'ambasciatore Attolico aveva attirato l'attenzione sul tono deciso di questa dichiarazione che evidentemente si riferiva al problema delle colonie (Telcspr. 481211589 del! 18 ottobre. Il documento ha il visto di M ussolini).

499

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7493/783 R. Londra, 31 ottobre 1937, ore 1,12 (per. ore 5,30).

Ho avuto stamane colloquio con Ribbentrop. Abbiamo esaminato insieme situazione e convenuto inviare ai nostri governi identico rapporto onde permettere consultazione Roma-Berlino circa linea azione comune da adottare.

l) Ci troviamo di fronte due alternative: o bloccare ogni ulteriore discussione fino a che non risultino chiarificate questioni derivanti dall'atteggiamento sovietico; o accettare con alcuni aggiustamenti proposta Plymouth consistente avvicinare subito le due parti in Spagna, mentre Comitato prosegue esame altre questioni tra cui misure da adottare nel caso non possa raggiungersi accordo sui metodi per applicazione piano britannico (con ciò si intende riferirsi alle difficoltà sorte per rifiuto sovietico).

2) Nell'ipotesi che i nostri governi scelgano la prima alternativa, Ribbentrop ed io abbiamo convenuto che sarebbe preferibile non (dico non) !asciarci trascinare nelle discussioni che si svolgeranno nella prossima seduta di martedì. In quella seduta, infatti, noi non potremmo che assumere atteggiamento di opposizione che verrebbe immediatamente sfruttato a scopo propaganda antifascista.

Dopo ciò, converrebbe rifiutare senz'altro di prendere parte alla seduta di martedì inviando il giorno prima una lettera al presidente per comunicargli questa decisione dei nostri governi. In questa comunicazione i rappresentanti Italia e Germania dovrebbero a) confermare nostra integrale accettazione del progetto di risoluzione; b) avvertire che la nostra accettazione è subordinata alla accettazione della risoluzione da parte tutti gli altri governi interessati; c) in vista del rifiuto sovietico di accettare punti essenziali risoluzione, noi riteniamo che una discussione ulteriore per la applicazione della risoluzione stessa non può portare ad alcun pratico risultato fino a che non siano stati chiarificati problemi derivanti dall'atteggiamento sovietico; d) allo scopo di giungere ad una rapida applicazione della risoluzione o corimnque di trovare in qualche modo una pronta soluzione alle presenti difficoÌtà, riteniamo che dovrebbe iniziarsi immediatamente scambio di vedute per via diplomatica fra i governi maggiormente interessati.

Ribbentrop ed io ci siamo trovati d'accordo nel rilevare che, ove questa alternativa venisse adottata, converrebbe mantenere assoluta unità di atteggiamento fino in fondo, preparandoci a resistere a qualsiasi pressione dei governi britannico e francese.

3) Qualora venisse scelta seconda alternativa (cioè accettazione proposta Plymouth con alcune sostanziali modifiche), Ribbentrop ed io abbiamo convenuto che nella seduta di martedì potremmo insistere sui punti seguenti:

a) che nell'indirizzarsi ai due partiti in Spagna il presidente del Comitato deve bene mettere in chiaro che risoluzione non è stata accettata dal governo sovietico;

b) che esecuzione della risoluzione non può pertanto aver luogo fino a che tutti i governi non l'abbiano effettivamente e integralmente accettata e non siano state concordate misure adeguate per provvedere alla lacuna risultante dalla presente attitudine del governo sovietico circa situazione;

c) che noi riteniamo che l'invio di commissioni in Spagna costituirebbe di fatto un atto di esecuzione e non potrebbe perciò aver luogo fino a che non siano stati risolti soddisfacentemente i problemi derivanti dall'atteggiamento sovietico;

d) che allo scopo di giungere ad una rapida soluzione delle predette difficoltà un immediato scambio di vedute dovrebbe intanto iniziarsi fra i governi maggiormente interessati.

Converrebbe naturalmente domandare approvazione del Comitato sui punti predetti, ma ciò non sarà evidentemente possibile ottenere. In questo caso, noi dovremmo insistere che punto di vista nostro governo venga comunicato alle due parti in Spagna. Questa seconda alternativa consentirebbe al generale Franco di intervenire sin da ora direttamente in quelle che saranno le ulteriori decisioni del Comitato in tutte le questioni compreso atteggiamento sovietico, ma presupponendo naturalmente che il generale Franco adotti a suo tempo nella risposta da dare al presidente linea di condotta concordata con Italia.

498 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

500

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1817/4]5 R. Roma, 31 ottobre 1937, ore 21,30.

Eden mi ha fatto sapere a mezzo di questo ambasciatore d'Inghilterra che, ove io mi fossi recato a Bruxelles per la Conferenza, egli avrebbe avuto piacere d'incontrarmi1 .

Ho detto a Perth 2 che in questi giorni sono trattenuto a Roma da precedenti impegni. Inoltre un mio incontro con Eden per essere di una qualche utilità avrebbe dovuto essere preparato. D'altronde, la Conferenza di Bruxelles, anche se destinata all'insuccesso, durerà presumibilmente un qualche tempo, sicché, se mai, avremmo potuto incontrarci più tardi. Ho aggiunto che la proposta di Eden era già trapelata sulla stampa e che da taluna parte (Havas) si era già incominciato a svalutare la portata di un nostro eventuale incontro.

Informi Neurath a mio nome.

500 l Il messaggio di Eden era stato comunicato da lord Perth per lettera, data la difficoltà di incontrare Ciano, impegnato nelle celebrazioni per il XV annuale della marcia su Roma (si veda BD, vol. XIX, D. 278).

501

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7567/070 R. Praga, 31 ottobre 1937 (per. il 4 novembre).

Mio telegramma per corriere n. 068 del 25 corr. 1•

Ho chiesto a Krofta schiarimenti circa il preteso piano germanico di invasione della Cecoslovacchia di cui si sarebbe parlato a Praga con Blum 2 . Krofta si è mostrato piuttosto contrariato del rumore che si sarebbe fatto al riguardo e poi, con la solita punta di critica al Presidente del Consiglio, mi ha detto che il tutto rimontava ad iniziativa di Hodza e al suo scarso tatto diplomatico. Secondo Krofta, dunque, sarebbe stato Hodza a venire in possesso di informazioni circa progetti di movimenti combinati fra tedeschi di Boemia e formazioni germaniche per camuffare una possibile aggressione del Reich contro la Cecoslovacchia. Hodza ne avrebbe parlato a Blum ed avrebbe chiesto che la Francia confermasse con un nuovo esplicito documento l'impegno di assistere militarmente la Cecoslovacchia quale che fosse la forma diretta o indiretta di un'eventuale azione ostile della Germania. Blum non bene al corrente del valore degli impegni esistenti e non potendo pronunziarsi all'infuori del suo governo, si sarebbe mostrato esitante, ciò che avrebbe destato preoccupazioni, fuori di luogo -dice Krofta --in Hodza.

Krofta che, affettando la solita calma, non vuole mostrare paure e pessimismi, ha tuttavia ammesso di aver trattato a Parigi3 questa questione; e poiché sia lui che Benes, contrariamente alla richiesta di Hodza, non vedrebbero nessuna necessità di un nuovo atto impegnativo della Francia, sarebbe stato messo in chiaro nelle sue conversazioni con Chautemps e Delbos che gli impegni esistenti sono sufficienti a determinare l'assistenza militare della Francia in qualsiasi caso di aggressione aperta o dissimulata della Germania verso la Cecoslovacchia.

Perth ihid. 501 l Vedi D. 478. 501 2 In occasione dci funerali di Masaryk. il 21 settembre. 501 3 Durante la sua visita del 30 scttembre-3 ottobre (vedi D. 437).

Tuttociò del resto ~ ha concluso Krofta ~ ha un valore relativo, la mia pratica convinzione è questa: che in caso di conflitto armato fra noi e i vicini del Nord se la Francia vedrà e sentirà il suo interesse ad assisterci lo farà con o senza i pezzi di carta, e che se un tale interesse essa non dovesse riscontrarvi farà quello che più le converrà di fare.

500 2 Del colloquio non è stata trovata documentazione. Si veda il resoconto dell'ambasciatore lord

502

L'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANlNI

APPUNTO. Roma, ... ottobre 1937.

Si è riacutizzata in questi ultimi tempi in America la campagna contro quelle collettività di naturalizzati della Confederazione che mantengono più vivi e stretti legami con la Patria di origine. Il 4 settembre u.s., il Segretario di Stato, parlando pubblicamente alla stampa e prendendo lo spunto da alcune dichiarazioni del ministro tedesco degli Affari Esteri e di quello dell'Istruzione, circa le relazioni tra il Reich e le genti di sangue tedesco che vivono oltre frontiera, ebbe occasione di ricordare a tutti i naturalizzati il loro giuramento di fedeltà alla Costituzione americana e la rinunzia solenne che essi debbono fare in tribunale a qualsiasi forma di sudditanza e di fedeltà a Stati esteri, e in particolare allo Stato di cui avessero avuto in precedenza la nazionalità.

A pochi giorni di distanza dalle dichiarazioni del sig. Cordell Hull, si iniziava sui giornali americani, e principalmente sul Daily Tùnes una violenta campagna contro le organizzazioni social-nazionaliste che inquadrano sul territorio degli Stati Uniti sudditi ex-tedeschi. Tale campagna, sia per seguire i canoni tradizionali del giornalismo americano, sia per tentare di maggiormente commuovere quell' opinione pubblica, doveva forzatamente essere sensazionale. Il Daily Times, infatti, annunziava che tre dei suoi redattori erano riusciti ad entrare a far parte delle organizzazioni naziste di America e prometteva ai suoi lettori di denunziarne le attività.

Il motivo dominante, che ritorna in tutti gli articoli che il Daily Tinzes ha pubblicato e viene pubblicando, è che lo Amerikandeutscher Volkshund si sforza di riunire tutti gli «elementi fascisti di America, in un solo, grande movimento inspirato e guidato dall'ideologia hitleriana». Dal tono delle notizie che questo giornale mette maggiormente in evidenza, anche il lettore meno avvertito comprende che si vuole ad ogni costo mostrare come i gruppi ex-tedeschi inquadrati dal nazismo nel territorio degli Stati Uniti seguano le parole d'ordine che il Reich darebbe periodicamente loro per farsene strumento nella sua politica internazionale, e dimentichino pertanto di essere ormai dei cittadini americani.

Questa grande campagna di stampa, che non potrà non trovare un fertile terreno nell'opinione pubblica americana, non mira, in conclusione, che a creare uno stato d'animo tale da condurre il Governo Federale ad ordinare quanto esso stesso auspica, e cioè provvedimenti legislativi in seguito all'inchiesta parlamentare già in corso sull'attività dei social-nazionalisti di America. Tale inchiesta, con ogni probabilità, sboccherà nel divieto di associazione ai fini suaccennati o almeno in un severo controllo sugli aggruppamenti esistenti. Divieto e controllo che non potranno non colpire anche le associazioni italiane della Confederazione stellata, cosicché sembra opportuno che sin d'ora il problema venga prospettato nella sua indubbia gravità e si studi come ovviare all'incombente pericolo ad evitare che con un tratto di penna il Governo Federale possa da un momento all'altro distruggere un paziente lavoro di anni svolto a fini patriottici fra i nostri emigrati transoceanici.

503

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. I 821/385 R. Roma, 1° novembre 1937. ore 21,54.

Attolico ha informato' che il «punto di vista» tedesco circa la seduta di domani del Comitato di non intervento è il seguente:

l) niente astensione dai lavori di domani;

2) prendere parte e costringere il Comitato al chiarimento dei diritti e delle obbligazioni future dei russi;

3) rimettere gli approcci alle due parti in Spagna solo a dopo chiarimento avvenuto;

4) ove si creda opportuno di avere ricorso alle conversazioni diplomatiche tra le Potenze, accettare, ma parallelamente, e non in sostituzione dei lavori del Comitato;

5) continuare a pagare fino a decisioni ulteriori.

Ho osservato ad Attolico che, in massima, eravamo favorevoli alla seconda alternativa Grandi-Ribbentrop (telegramma di V.E. n. 783 2 ). Invece di «costringere il Comitato al chiarimento dei diritti e delle obbligazioni future dei russi», V.E. e Ribentrop avrebbero potuto così «richiamare» il Comitato sulla necessità di procedere a tale chiarimento, senza in definitiva farne però una condizione sine qua non. Analogamente per quanto riguarda gli approcci alle due parti in Spagna, non saremmo stati contrari ad autorizzare gli approcci anche «prima» del chiarimento, naturalmente colle più ampie riserve.

Attolico ha parlato, in base a queste mie indicazioni, con la Wilhelmstrasse e siamo rimasti d'accordo che «punto di vista tedesco» avrebbe potuto costituire la base di partenza per la discussione di domani, per poi giungere, se necessario, ai vari punti dell'alternativa n. 2 dell'anzidetto telegramma n. 783 deli'E.V.

503 1 Di questa comunicazione dell'ambasciatore Attolico non è stata trovata documentazione. 503 2 Vedi D. 499.

504

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7565/072 R. Praga, ] 0 novembre 1937 (per. il 4).

Questi ambienti politici hanno seguito con interesse la visita di Schuschnigg a Budapest1 , mettendola in relazione con voci diffuse in Germania secondo cui Vienna e Budapest tenterebbero di creare un blocco antinazista nell'Europa Centrale.

È naturale che Praga si compiaccia delle crescenti preoccupazioni che la pressione nazista va destando nell'Europa Centrale. «Tutti gli Stati centro-europei dicono i Lidove Noviny -nei cui affari interni il nazismo interviene in modo inaudito debbono prendere misure difensive contro simile influenza straniera».

Le tendenze amichevoli di Schuschnigg verso Praga sono note ed oggi ciò che desta più interesse in questi circoli dirigenti sono le preoccupazioni antinaziste ungheresi che dovrebbero alla lunga attenuare l'avversione di Budapest verso la Piccola Intesa come le trattative già in corso e per ora sospese dimostrerebbero.

L'ultimo discorso di Daranyi 2 , che a base della politica estera ungherese ha messo i Protocolli di Roma ma anche i buoni rapporti con gli Stati vicini senza altre rivendicazioni che quella di un giusto trattamento delle minoranze magiare, ha destato qui favorevole impressione.

505

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7599/0287 R. Londra, l" novembre 1937 (per. il5).

Mio telegramma per corriere n. 0281 del 27 ottobre u.s. 1•

Nel corso di un colloquio che ho avuto con Monteiro ho nuovamente portato la conversazione su annunciato invio di una missione militare britannica a Lisbona. Monteiro ha precisato che il progetto di questa visita risale allo scorso giugno quando il governo britannico ha preso l'iniziativa di suggerire l'utilità di contatti diretti tra organi militari competenti di Londra e di Lisbona nel quadro dell'antica alleanza anglo-portoghese ed in relazione con i «progressi e l'esecuzione del pro

va di avere appreso da Schuschnigg che i due governi avevano confermato la volontà di mantenere stretti contatti fra loro: «Questa di una sempre maggiore e più intima solidarietà fra Austria e Unghe ria -osservava Salata -è la nota che, come ho già segnalato altra volta, caratterizza negli ultimi tempi sempre più manifestamente i rapporti tra i due Stati. In rapporto alle varie tendenze in lotta nell'Europa Centrale Vienna e Budapest si considerano quasi il centro e la base da cui non può prescin dere ogni sistemazione danubiana. 504 2 Il 26 ottobre, ad una riunione del Partito dell'Unità Nazionale. 505 1 Vedi D. 497, nota 2.

gramma britannico di riarmo». Lisbona avrebbe risposto in termini in via di massima favorevoli ma generici, facendo anzitutto presente l'opportunità di preparare e concordare previamente uno schema dei lavori cui il governo britannico aveva idea di procedere. Questo schema, preparato dal governo britannico, è tuttora all'esame del governo portoghese, che non ha ancora fatto conoscere le sue osservazioni al riguardo. Tanto più sorprendenti -ha dichiarato Monteiro-sono pertanto le notizie date dalla stampa circa una prossima partenza della famosa missione. Quello che inoltre avrebbe -secondo Monteiro -sorpreso soprattutto il governo portoghese è la connessione che le pubblicazioni nei giornali cercano tendenziosamente di stabilire tra le progettate conversazioni anglo-portoghesi ed il pericolo di un conflitto mediterraneo. Il governo portoghese non ha alcuna intenzione di lasciar slittare le conversazioni in parola su questo piano ed è deciso a mantenere la più completa indipendenza d'azione nei confronti dell'Inghilterra dentro e fuori il Comitato di non intervento, per quanto riguarda il proprio atteggiamento nei confronti del conflitto spagnolo.

Queste in breve le dichiarazioni di Monteiro. Per conto mio debbo tuttavia aggiungere che, nonostante l'indubbia sincera volontà di Monteiro di mantenere intatto il fronte comune italo-tedesco-portoghese in seno al Comitato di non intervento, si notano negli ultimi tempi, e particolarmente nelle ultime sedute, delle lievi differenze tra l'atteggiamento italo-tedesco e quello portoghese, quest'ultimo indubbiamente più prudente e tendente a non esasperare l'antagonismo fra gli opposti punti di vista. L'impressione che si riporta è quella di uno sforzo personale di Monteiro di armonizzare i probabili consigli di moderazione del proprio governo con quelli che sono i suoi ben noti sentimenti filo-fascisti e sostanzialmente anti-inglesi. La risultante è un atteggiamento prudente in cui la chiara simpatia per il gruppo italo-tedesco è temperata da un altrettanto chiaro tentativo di favorire formule di conciliazione con il gruppo anglo-francese. Ritengo quindi che l'azione del Portogallo meriti di essere seguita attentamente tanto a Londra quanto a Lisbona.

Con telegramma per corriere a parte n. 02842 segnalo a questo riguardo una nuova significativa corrispondenza da Lisbona pubblicata dal Manchcster Guardian in cui si vuole dimostrare che, nonostante le divergenze attuali fra i due Paesi provocate dal conflitto spagnolo, il Portogallo rimane sempre fondamentalmente attaccato ai principi della sua antica alleanza con l'Inghilterra, nonchè un articolo di fondo del conservatore Daily Exprcss che proferisce minacciosi prognostici circa l'avvenire dell'Impero coloniale portoghese in vista del fatto che «ormai il dittatore Salazar ha dichiarato di non voler mantenere un'alleanza esclusiva con l'Inghilterra». Ambedue le pubblicazioni chiaramente indicano quella che è la tattica inglese. E cioè un'azione intirnidatrice imperniata sul duplice argomento che da un lato l'alleanza con l'Inghilterra -leggi: la rispettosa acquiescenza di Lisbona alla politica di Londra -è il prezzo che il Portogallo è chiamato a pagare per la garanzia dell'integrità dei propri dominì d'oltremare; dall'altro, che il Portogallo, buttandosi nelle braccia della Germania e dell'Italia, si pone alla mercè proprio di quelle due Potenze «territorialmente non soddisfatte» che rappresentano la più diretta minaccia al suo impero coloniale.

504 1 Il 22-23 ottobre. Circa la visita del Cancelliere austriaco in Ungheria, il ministro Salata telegrafa

505 2 T. per corriere 7597/0284 R. del lo novembre. Non pubblicato.

506

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL PRESIDENTE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA ALLA CONFERENZA DI BRUXELLES, ALDROVANDI

LETTERA 8700. Roma, l" novembre 1937.

Le rimetto il testo delle dichiarazioni che Ella dovrà fare alla Conferenza.

Esso è sostanzialmente quello compilato da V.E. Sono stati aggiunti soltanto due periodi segnati a margine e sono state soppresse alcune espressioni.

ALLEGATO

L'Italie, comme signataire du Traité de Washington du 6 février 1922, a accepté l'invitation du Gouvernement beige à la Conférence qui vient de s'ouvrir. Je tiens à exprimer au Gouvernement du Roi !es meilleurs sentiments de reconnaissance pour son aimable hospitalité.

Le Traité de Washington, à l'art. 7, prévoit qu'en certaines circonstances, «les Puissances contractantes échangeront, à l'égard des stipulations du Traité des franches et complètes communications».

D'autre part l'invitation du Gouvernement beige déclare que «la réunion aura lieu à l'effet d'examiner, conformément à l'art. 7 de ce Traité, la situation en Extrème-Orient et d'étudier !es moyens amiables de hàter la fin du contlit regrettable qui y sévit».

L'invitation de l'Italie à cette Conférence est partant occasionnée et limitée par ces deux textes.

Il est donc clair qu'il ne peut ètre question d'aucune mesure directement ou indirectement coactive dans le genre de celles qui ont été reclamées par certains éléments irresponsables, ni mème parler de «quarantaine» plus ou moins morale envers l'une ou l'autre des parties en conflit.

Pour ce qui concerne l'état des choses actuel en Extrème-Orient l'Italie plus que personne, le déplore. L'Italie déplore cette lutte acharnée entre deux peuples qui lui sont amis et qui ont tous !es deux bien merité de la civilisation du monde. Le Gouvernement fasciste serait heureux de voir cesser cette lutte cruelle le plus vite possible, mais dans des conditions qu'elle ne puisse plus renouveler. Pour ce qui concerne le cas spécial, nous ne sommes pas appelés à rechercher quand et comment !es faits ont commencé à se produire. Cette recherche -l'expérience le prouve -est impossible à se réaliser d'une façon certaine et définitive.

Les faits de la Mandchourie en donnent un exemple. Après des mois d'études une Commission expressement envoyée sur !es lieux, nonobstant la bonne volonté, la bonne foi. la sagacité de ses membres, ne parvint qu'à un jugement transactionnel qui se prétait à des interprétations opposées et qui eut comme résultat siìr une seule chose: le retrait, d'une des parties en cause, de la Société des Nations.

Les faits du Chaco donnent un autre exemple. Une autre Commission, envoyée sur piace par la S.D.N., non seulement ne réussit pas à arrèter le contlit, mais n'aborda mème pas la question de chercher le responsable dans la crainte qu"un autre retrait ne reduisit encore les membres de la S.d.N.

La preuve absolue de quel còté soit parti le premier coup de fusi! est presque impossible à atteindre. Mais mème si on pouvait l'atteindre, ce n'est pas sur cet incident occasionnel qu'on pourrait baser un jugement équitable sur !es causes plus profondes de redoutables conflits.

Ce ne sont que !es parties directement intéressées qui pourront éliminer !es causes vraies et profondes. Partant quel pourrait ètre le ròle pratique de notre Conférence si une de ces parties, comme dans le cas actuel n'est pas présente?

Nos «franches et complètes communications» n'auront de signification que pour nous et entre nous, et n'arrèteront pas le conflit, si nous ne réaliserons le but principal de conduire à une paix, et à une paix durable, le deux parties en conflit; en !es avoisinant entre elles et en !es persuadant à regarder directement et tout droit, et à éliminer, !es causes !es plus cachées et !es plus profondes de leurs dissentions.

Ces causes profondcs et cachées peuvent ètre intérieures et extérieures. Entre !es causes intérieures il faut compter celles qui ne sont pas autochtones, qui ne correspondent pas aux traditions millenaires d'un Pays qui, comme la Chine, a toujours eu ses bases solides sur deux institutions «la famille et la propriété», ou qui cherchent pour des fins cachés de troubler !es relations intérnationales des populations qui dévraient au contraire s'entendre et se comprendre.

Ceci dit, avec la plus grande franchise, le Gouvernement fasciste doit formuler toute réserve sur !es résultats d'une Conférence qui n'importe quels soient !es moyens !es plus amiables adoptés, ne pourra aboutir qu'à des «résolutions» platoniques, en donnant une nouvelle preuve d'impuissance, si elle ne tient pas compte de la réalité que j'ai indiquée.

Puisque nous sommes réunis. la seule chose utile que nous pouvons envisager est d'inviter !es deux parties à prendre contact direct entre elles, après quoi nous n'avons plus rien à faire.

Je ne m'attends pas de vous !es signes extérieurs d'approbation qui ont salué !es communications des précédents orateurs, mais je crois de ne pas me tromper en pensant que beaucoup d'entre vous reconnaìtront que mes quelques paroles correspondent à une dure réalité.

507

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 7520/788 R. Londra, 2 novembre 1937, ore 14,03 (per. ore 18).

Attiro tua attenzione sul mio fonogramma stampa 315 1 stamane che riproduce accoglienza fatta dalla Camera dei Comuni e dalla stampa al discorso Eden iersera2 . Mio fonogramma stamane può costituire elemento assai utile per giudizio situazione.

507 I Non rintracciato. 507 2 Nel suo intervento del 1° novembre alla Camera dei Comuni, Eden aveva detto, con evidente riferimento al discorso pronunciato il 28 ottobre precedente da Mussolini: «La Camera avrà certamente osservato che recentemente un Paese, il quale ha ottenuto come risultato della Grande Guerra degli aumenti di territorio molto considerevoli in Europa e ha anche ricevuto certe concessioni territoriali in Africa da Nazioni che erano sue alleate durante la Grande Guerra si fa ora paladino della richiesta della Germania di possessi africani. Io non desidero, in questo momento, aggiungere nulla circa tale richiesta per quanto concerne la Germania e noi stessi ma devo ora affermare nel modo più chiaro che non riconosciamo a nessun governo il diritto di chiederci un contributo quando non vi è segno alcuno che quel governo sia preparato a dare esso pure un contributo».

Mi riservo (non appena lavoro Comitato non intervento' mi renderà ciò materialmente possibile) ritornare in un prossimo rapporto su questo argomento ed esaminare particolarmente connessione fra discorso Lloyd George Camera dei Comuni del 28 ottobre3 e quello fatto da Eden iersera.

Tono discorso Eden enormemente aggressivo nei riguardi dell'Italia, cortese nel giudizio nei riguardi Germania. Ciò rileva fin troppo quale è direttiva azione Foreign Office in questo momento 4 .

Vanno inoltre particolarmente rilevate nelle dichiarazioni Eden parti nelle quali egli dimostra come Accordi di Nyon si sono risolti in un aiuto effettivo a favore governo Valencia, nonché annunzio che il governo Londra e quello Parigi stanno in questo momento trattando accordo aereo per estendere nel campo aereo accordi Nyon. Da mie informazioni confidenziali, mi risulta che questa iniziativa è francese e che qualche giorno fa questo ambasciatore di Francia ha avanzato in tal senso proposte al Foreign Office il quale le ha subito naturalmente accettate.

508

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7521/440 R. Parigi, 2 novembre 1937, ore 14,35 (per. ore 18,40).

Ambasciatore Cerruti è partito sera 31 u.s. Nessun funzionario Quai d'Orsay era alla stazione. Quantunque parola d'ordine fosse «partenza in congedo» sarebbe stato certamente facile atto di cortesia farsi comunque rappresentare.

La partenza dell'ambasciatore ha provocato impressione profonda su tutta l'opinione pubblica francese. Credo che il nostro gesto fosse previsto, almeno negli ambienti del Quai d'Orsay, ma non a brevissima scadenza. Che cosa poi si dovesse da parte nostra ancora attendere per attuarlo, non si può sapere. Previsto o meno, il fatto ha, ripeto, provocato vivissima impressione dappertutto.

Le reazioni della stampa sono state meno vivaci di quanto da alcuni si prevedesse. Si è tenuto in generale a marcare che il gesto costituisce un atto di meditata

e deliberata ostilità contro la Francia, ma molti giornali hanno ammesso, esplicitamente o implicitamente, che la sola grande Potenza che abbia ritenuto di poter mantenere per oltre dodici mesi scoperta la sua ambasciata a Roma, non poteva in fine dei conti attendersi che vi fosse da parte nostra disposizione a tollerare indefinitivamente uno stato di cose siffatto. Ho tuttavia l'impressione che la relativa moderazione di questa stampa debba almeno in parte attribuirsi ad una parola d'ordine del Quai d'Orsay: svalutare l'avvenimento per non accusare il colpo.

Léger ha tenuto immediatamente a sottolineare nel suo ultimo colloquio con

S.E. Cerruti 1 che i rapporti del Quai d'Orsay con questa ambasciata non saranno d'ora innanzi particolarmente cordiali. Ciò che mi pare ovvio quantunque non cortesemente espresso. È chiaro che le relazioni diplomatiche fra i due Paesi a Parigi dovranno essere poste sullo stesso piano in cui sono da oltre un anno a Roma.

Tutti i giornali hanno posto ieri e oggi in particolare rilievo articolo di Gayda2, che qualificano come inizio di una violenta campagna giornalistica antifrancese, e le parole pronunciate da Eden ieri ai Comuni nei confronti del problema coloniale tedesco 3 .

507 3 Il 28 ottobre, in sede di dibattito sul discorso della Corona, Lloyd George aveva attaccato duramente il governo per la sua politica di non intervento nel conflitto spagnolo ed aveva sostenuto la tesi che Mussolini voleva la vittoria del generale Franco non per combattere il comunismo ma come parte di un piano ambizioso tendente a rafforzare la posizione strategica dell'Italia, ciò che era dimostrato da tutta una serie di iniziative: conquista dell'Etiopia, invio di truppe in Libia. interventi nella questione palestinesc, fortificazioni sul Mar Rosso, costruzione di basi nelle Baleari c nelle Canarie e fortificazioni tedesche sullo Stretto di Gibilterra. 507 4 Come risposta veniva diffusa il 3 novembre a Roma la Nota 5 dell'fnjòrma~ione Diplomatica in cui si sottolineava che al termine della Grande Guerra, mentre la Francia e la Gran Bretagna si spartivano l'impero coloniale tedesco. l'Italia aveva ottenuto dei compensi irrisori e si era poi conquistata un impero «contro tutti e in prima linea contro gli alleati del passato». «L'Italia-concludeva la notapuò liberamente esprimere un disinteressato giudizio sulle giuste aspirazioni coloniali del Reich proprio perchè non ha sottratto niente alla Germania». La minuta della nota è autografa di Ciano. Il testo è in Rc/a~ioni lntcrna~ionali, p. 825.

509

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7600/0288 R. Londra, 2 novembre 1937 (per. il 5 ).

Winston Churchill ha fatto ieri, a persona che me le ha riferite stamane, le seguenti dichiarazioni:

«L'Italia fino a tempo fa era in condizioni da far pencolare la bilancia in favore di quel gruppo di Potenze a cui avesse deciso di aderire. Ciò dava forza alla politica italiana ed al tempo stesso lasciava credere alla Gran Bretagna che l'Italia un giorno o l'altro avrebbe potuto accostarsi al gruppo franco-inglese. Ma recenti avvenimenti hanno fatto comprendere che ormai l'Italia si è buttata definitivamente dalla parte della Germania. Così stando le cose, la Gran Bretagna non ha alcuna intenzione di trovarsi in un conflitto con l'Italia e la Germania al tempo stesso. Essa quindi farà di tutto per staccare la Germania dalla Italia, che considera in questo momento costituire il maggior pericolo. Il governo inglese potrebbe a questo scopo andar fino al punto di fare avere alla Germania

508 2 Virginio Gayda aveva pubblicato sul Giornale d'Italia del l o novembre un articolo dal titolo Gli insopportabili atteggiamenti della stampa parigina nei rilievi interna::ionali in cui attaccava la stampa radical-socialista per le notizie che diffondeva circa la presenza di militari italiani a Maiorca, indicata come una minaccia alle comunicazioni della Francia nel Mediterraneo. Gayda aveva concluso che quel «sistema di menzogne», per l'influenza che esercitava sulla condotta del governo di Fronte Popolare. costituiva «un problema fondamentale della pace europea oltre che dei rapporti italo-francesi». 508 3 Vedi D. 507, nota 2.

qualche colonia e !asciarle mano libera in Cecoslovacchia e in Austria. La Germania così allettata abbandonerebbe l'Italia contro la quale la Gran Bretagna concentrerebbe il suo sforzo per eliminarla dal novero dei probabili nemici. Senza contare -ha aggiunto Churchill -che mentre la guerra contro la Germania troverebbe nella opinione pubblica inglese degli oppositori, una guerra contro l'Italia sarebbe accolta con quasi unanime approvazione anche perché gli inglesi sanno che per combattere la Germania sarebbe necessario adottare la coscrizione obbligatoria e «marciar tutti per quattro» -cosa che gli inglesi detestano mentre contro l'Italia basterebbero i gentlemen della gallant jleet. Riconosco che questa possa essere considerata come una politica di corta visuale ma sta di fatto che è verso questa politica che il Foreign Office si sta orientando. Del resto, in vista di una simile eventualità tutti gli approntamenti nel Mediterraneo sono già in via di completamento, mentre così non è per quel che si riferisce al Mare del Nord».

Churchill è venuto poi a parlare della questione spagnola. «Il governo inglese, ha detto, desidera la vittoria di Franco, tutti gli interessi economici e finanziari del Paese lo richiedono, ma non vuole che Franco salga al governo di una Spagna unita ed al tempo stesso alleata degli italiani. Quanto a me, ero fino a qualche tempo fa per Franco per questa ragione: la vittoria dei Rossi manderebbe al governo in Spagna senza dubbio degli estremisti le cui inevitabili sopraffazioni e violenze desterebbero lo sdegno della opinione pubblica inglese. Gli inglesi, di fronte ad un bolscevismo applicato in prossimità della loro porte di casa, reagirebbero gettandosi verso destra. Sarebbe allora impossibile per un governo inglese stringer troppo stretti legami con la Francia radical-socialista. Di questo allentamento di legami fra le due Potenze certamente approfitterebbe la Germania e questo deve impedirsi a tutti i costi. Oggi però, ha aggiunto Churchill, di fronte alla collusione fra Franco e gli italiani ed il pericolo di basi navali ed aree italiane in Spagna, comincio a nutrire molti dubbi sulla opportunità di lasciar vincere Franco» 1 .

508 l Vedi D. 496.

510

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7538/485 R. Tokio, 3 novembre 1937, ore 2,10 (per. ore 8,50 ).

Si va sempre più precisando in questi circoli politici, militari ed economici tendenza studiare fin da ora organizzazione per sfruttamento del Nord Cina.

È interessante notare che per la prima volta si ammette qui aperta utilità e necessità consentire partecipazione capitale società straniere. Sembra che esponenti

509 I Il documento ha il visto di Mussolini.

del genere di Luther 1 in Manciuria e in Nord Cina abbiano relazione con questo progetto. Ritengo perciò opportuno attirare l'attenzione di V.E. su progetto perchè fin da ora si studi da parte nostra modo di non stare assenti; mi sembrerebbe a tal fine assai utile invio di qualche personalità eminente e competente che possa studiare la situazione prendendo necessari contatti con giapponesi.

Anche da un punto di vista più generale mi parrebbe opportuno che dopo la visita tedesca di Luther anche una personalità italiana si facesse qui vedere 2 .

511

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATISSIMO 7576/117 R. Berlino, 3 novembre 1937 (per. il 4).

Già precedentemente, e particolarmente con i telegrammi per corriere n. 086 del 2 settembre u.s. e n. 094 del l O settembre u.s. 1 , questa R. ambasciata ebbe a riferire nei riguardi degli ufficiali tedeschi che formano il gruppo dei «consiglieri» militari del governo di Nanchino.

Evidentemente, il generale von Falkenhausen, ed i suoi collaboratori continuano a sostenere la tesi, già appoggiata del resto dal comunicato ufficiale del governo del Reich del IO settembre u.s. (riprodotto nel telegramma per corriere suindicato

n. 094), che i contratti che li legano al governo cinese sono di natura assolutamente privata e che la loro azione avviene sotto la loro sola personale responsabilità, senza che in nulla entri l'autorità del governo germanico.

Del resto, tutte le informazioni raccolte presso gli elementi responsabili del Reich e comunicati all'E.V., fanno ritenere che i tedeschi, pur legati in linea generale al Giappone, intendano non rinunziare a quelle posizioni che l'antica Reichswehr e particolarmente il generale von Seeckt, avevano potuto creare in Cina. Mi sembra in proposito significativo aggiungere che, proprio in questi giorni, in una conversazione con il barone Neurath, questi, nell'udire e nel commentare l'azione che taluni elementi tedeschi, e particolarmente von Ribbentrop, compiono a favore del Giappone, diceva «purchè non lo senta von Blomberg!».

P.S. -Vedrà V.E. se non sia il caso di accennare alla questione anche con Ribbentrop.

(T. 7659/72 R. del 7 novembre). 511 l DD. 271 e 319.

510 1 L'ex-Cancelliere tedesco e ambasciatore a Washington Hans Luther aveva visitato in ottobre il Manciukuò in vista di una collaborazione tra Germania e Giappone per lo sviluppo economico della Manciuria e della Cina settentrionale. 510 2 Anche il console Cortese prendeva spunto dalla visita di Luther per suggerire, da Mukden, l'invio di qualche personalità che studiasse le possibilità per l'Italia di fornire prodotti industriali e tecnici specializzati, visto che la collaborazione della Germania avrebbe trovato dci limiti dettati dai suoi bisogni interni, mentre la presenza britannica e americana incontrava ostacoli di carattere politico

512

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE 5283/1710. Berlino, 3 novembre 1937 1•

A sua richiesta, ho visto oggi Ribbentrop. Delle cose che mi ha detto credo opportuno menzionare le seguenti, come quelle che possono interessare di più V.E.

l) Per quanto riguarda il Patto Anti-Comintern, Ribbentrop ritiene che, dopo il patto tripartito italo-nippo-tedesco, si dovrebbe cercare, a conflitto sino-giapponese ultimato, di assicurare l'adesione anche della Cina. Ciò mi sembra interessante, anche perchè potrebbe indirettamente spiegare come e perchè la Germania tenga a non guastare le proprie relazioni con la Cina ed a conservarvi invece una certa influenza.

2) Per quanto riguarda i lavori di Londra, Ribbentrop sembrerebbe divenuto fautore di una politica relativamente conciliante. Sempre a proposito della questione spagnola, Ribbentrop sembra porsi il quesito dei mezzi necessari ad assicurarsi l'amicizia di Franco anche a guerra finita.

Ritengo che di tutti questi problemi Ribbentrop parlerà direttamente all'E.V. Ribbentrop giungerà a Roma alle 11,25 a.m. del 5 corrente tenendosi pronto per la firma sabato 6.

513

IL MINISTRO A STOCCOLMA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7621/34 R. Stoccolma, 5 novembre 1937, ore 20 (per. ore 21,50).

Mio telegramma n. 33 1 . Ieri Gabinetto ha esaminato proposta olandese contro cui specialmente due ministri sarebbero insorti mostrando altresì pericolo gravi critiche in seno al partito socialista e altri elementi borghesia antifascisti del Paese .. Sandler che è invece personalmente favorevole ha quindi preparato seguente risposta dilatoria: governo svedese concorda con governo olandese ritenere che non esistano per governo neutro ragioni di procrastinare riconoscimento diplomatico della sovranità di S.M. il Re d'Italia in Etiopia e che anzi tale riconoscimento sarebbe utile. Governo svedese continua però opinare che sarebbe meglio riconoscimento fosse preceduto da qualche atto ginevrino. Ciò nonostante governo sve

513 l T. 7531/33 R. del2 novembre. Riferiva di avere appreso che il governo olandese aveva proposto a Stoccolma di procedere al riconoscimento dell'Impero italiano, onde evitare di essere ancora coinvolti in un conflitto tra le grandi Potenze al quale i piccoli Stati desideravano restare totalmente estranei.

dese prega governo olandese tenerlo al corrente delle risposte che gli perverranno da altre parti specie Belgio e Finlandia per esaminarle prima prendere decisione definitiva.

Questo ministro olandese 2 avrebbe inoltre comunicato possibilità che Olanda, ove altri non si associno, proceda anche da sola; avrebbe detto altresì credere che Londra è stata già presentita dal suo governo con esito non contrario.

Sandler e ministro degli Affari Esteri sperano valersi risposta favorevole Belgio e Finlandia per far prevalere decisione riconoscimento.

Quanto precede da fonte strettamente confidenziale.

512 l Manca l'indicazione della data di arrivo.

514

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7627/802 R. Londra, 5 novembre 1937, ore 20,25 (per. ore 5,50 del 6).

V.E. avrà rilevato dai miei fonogrammi stampa degli ultimi tre giorni i commenti e le ripercussioni in questi circoli politici della decisione dell'Inghilterra di dare un qualche riconoscimento di fatto al governo nazionale spagnolo. Ieri Chamberlain ha fatto ai Comuni dichiarazioni in proposito (vedi mio telegramma di ieri) 1• Opposizione laburista ha tentato un vero e proprio attacco alla persona di Chamberlain chiamandolo traditore delle democrazie e accusandolo di capitolazione britannica di fronte al fascismo spagnolo. Mi risulta che attacco laburista alla Camera dei Comuni è stato fatto in conseguenza di un passo urgentemente fatto da emissari del Fronte Popolare francese venuti nella giornata avantieri appositamente a Londra. Stampa liberale e laburista riproduce per esteso proteste e malcontento dei giornali e dei circoli socialisti francesi per questa decisione del governo.

Per parte loro partiti e gruppi sinistra britannici si preparano inscenare solita agitazione contro il governo. Circoli governativi e del partito conservatore cercano giustificare decisione presa dal Gabinetto come determinata dalla necessità arginare una maggiore influenza italiana nella Spagna. Ormai --essi dicono -che i tentativi fatti per impedire vittoria di Franco sono falliti, occorre trattare senza indugio direttamente con governo Franco per convincere quest'ultimo a rinunziare all'appoggio italiano in cambio della promessa dell'appoggio inglese.

Mi risulta Foreign Office ha fatto in questi giorni passi presso il governo di Parigi allo scopo indurre Francia ad abbandonare, o quanto meno moderare, le sue pregiudiziali ideologiche nei riguardi dei Nazionali spagnoli in vista necessità

514 1 Con T. 7584/796 his R .• Grandi aveva riferito che Chamberlain aveva confermato in una dichia razione alla Camera dei Comuni che erano in corso delle trattative per la nomina di un agente presso il governo del generale Franco allo scopo di tutelare gli interessi britannici ma che ciò non avrebbe costituito un riconoscimento de facto.

per la Gran Bretagna e Francia, ormai che vittoria letteralmente [sic] non può essere impedita, di mercanteggiare direttamente con governo nazionale spagnolo un possibile accordo avente scopo neutralizzare attuale influenza militare e politica dell'Italia nella Spagna.

513 2 J. E.H. van Nagell.

515

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7633/726 R. Salamanca, 5 novembre 1937, ore 22 (per. ore 8 del 6 ). Mio telegramma n. 721 1•

Pubblicazione scambio di note ispano-britanniche avrà luogo probabilmente lunedì prossimo.

Agente politico britannico sarà ministro plenipotenziario sir Robert Hodgson; agente spagnolo non è stato ancora designato, ma non sarebbe duca d'Alba. Agenti godranno reciprocità privilegi diplomatici e saranno in relazione diretta con rispettivi ministeri degli Esteri. Missione britannica sarà numerosa e, come annunziai con mio telegramma n. 694 2 , avrà sede in San Sebastiano.

Sangroniz mi ha detto che il governo francese è stato informato da quello britannico soltanto pochi giorni fa della conclusione dell'accordo e che governo nazionale comunicherà testo nota. Egli mi ha detto che accordo costituisce un duro colpo per Valencia e modifica radicalmente l'orizzonte internazionale del governo di Franco, tanto più che è prevedibile che molti altri governi, ad esempio Stati Uniti, Romania, Paesi Bassi, Jugoslavia, seguiranno esempio Gran Bretagna.

516

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7705/0292 R. Londra, 5 novembre 1937 (per. il 9 ).

Ieri, come di consueto ho convocato all'ambasciata d'Italia l'ambasciatore del Portogallo Monteiro e l'incaricato d'affari di Germania, Woermann, per esa

minare insieme la situazione dopo l'approvazione da parte del Comitato plenario delle due risoluzioni 1 , e l'invio, da parte del presidente del Comitato, Plymouth, al governo di Salamanca e alle autorità di Barcellona 2 della lettera prevista nelle risoluzioni adottate ieri 3 .

Ho già trasmesso per corriere aereo sin dalla mattinata di ieri a V.E. i relativi documenti. Monteiro, Woermann ed io abbiamo cominciato col constatare che, coll'approvazione da parte del Comitato plenario delle due note risoluzioni, una fase dei lavori del Comitato di non intervento è terminata. Nella prossima settimana, con tutta probabilità, lord Plymouth convocherà di nuovo il Comitato dei nove per intraprendere l'esame delle questioni concrete, tutt'ora in sospeso. Un accordo su di esse, secondo le risoluzioni approvate ieri, è condizione pregiudiziale perchè possa avere inizio l'esecuzione del piano britannico e, come primo passo, le due commissioni previste dal piano britannico possano recarsi in Spagna.

Tali questioni «concrete» sono, come V.E. sa, piuttosto numerose e abbastanza complesse. Un accordo su di esse non è prevedibile nelle attuali circostanze se non dopo discussioni non meno prolungate, laboriose e difficili di quelle precedenti. Si tratta, anzitutto, di mettersi d'accordo sulla composizione delle due commissioni e sulla nomina delle singole persone che le costituiranno; dopo di che si passerà ad esaminare il «mandato» di tali commissioni, i limiti delle loro attribuzioni e competenze, i metodi del loro lavoro e le istruzioni generali da impartire alle medesime.

Dopo di che si passerà probabilmente all'esame del rapporto della sottocomissione tecnica sulla «definizione delle persone che devono considerarsi come volontari stranieri in Spagna». Anche su tale argomento si prevedono dibattiti laboriosi, insistendo la Russia a considerare le truppe marocchine come volontari stranieri e insistendo d'altra parte la Francia e l'Inghilterra a considerare la legione straniera spagnola, agli ordini del generale Franco, come una formazione di volontari stranieri la quale cadrebbe, in questo caso, sotto le clausole e le disposizioni dell'accordo sull'evacuazione dei volontari. La prima obiezione russa così come la seconda obiezione franco-inglese è già stata da noi respinta e anche l'esame di questo argomento, non c'è dubbio, darà luogo a lunghe discussioni. È chiaro che noi non possiamo accettare nessun compromesso su questo punto, sul quale del resto il generale Franco ha già dichiarato il suo netto rifiuto.

Dopo di che il Comitato dovrà passare ad esaminare la questione «pregiudiziale» circa le misure da adottarsi per fronteggiare la situazione determinata dal rifiuto sovietico a riconoscere i diritti di belligeranza al generale Franco. Questa sarà, evidentemente, la questione di più difficile soluzione, su questo scoglio tutti gli accordi precedenti rischieranno nuovamente, con molta probabilità, di fare naufragio.

Ma supposto per un momento che tutte queste questioni possano essere risolte in un ragionevole limite di tempo e che le due commissioni possano partire per la

516 I Vedi D. 517, nota l. 516 2 Il 31 ottobre era stato annunciato che il governo di Valencia trasferiva la sua sede a Barcellona. 516 3 Si tratta della lettera che trasmetteva il testo delle due risoluzioni votate il 4 novembre con l'invito ai due governi spagnoli a darvi la loro adesione. Si chiedeva una risposta entro otto giorni.

Spagna, il comitato dovrà, mentre le commissioni lavoreranno in Spagna ad accertare il numero dei volontari stranieri, affrontare la discussione per stabilire un nuovo sistema di controllo su basi diverse dal precedente che praticamente ha cessato di funzionare. Anche questo problema è pieno di difficoltà per il contrasto d'idee fra il gruppo itala-tedesco-portoghese che insiste per il controllo delle frontiere terrestri e il gruppo anglo-franco-russo che insiste esclusivamente per il controllo marittimo e aereo.

Supposto che un accordo possa essere raggiunto anche sul controllo, il Comitato dovrà quindi passare ad esaminare i risultati delle indagini compiute dalle due commissioni in Spagna. Questo sarà evidentemente un altro momento difficile. Comincerà infatti da questo la discussione del problema centrale e fondamentale: quale dovrà essere il momento in cui i diritti di belligeranza dovranno essere concessi. Come V.E. avrà rimarcato, io ho ad ogni seduta insistito su questo punto preciso: l'Italia non consentirà che un solo volontario sia evacuato sino a che non sia preventivamente raggiunto un accordo sul «momento» in cui, secondo quanto è stabilito nel paragrafo 8 del piano britannico, le Potenze concederanno i diritti di belligeranza al generale Franco.

Supposto che anche su questo punto centrale si finisca per metterei d'accordo, rimangono da esaminarsi, da ultimo, le garanzie materiali concernenti, sia l'esodo dei volontari, sia le misure da prendersi per impedire il loro ritorno.

Come V.E. vede, il Comitato ha davanti a sé un lavoro lungo, complicato e difficile, che ciascuna Potenza può rendere, a seconda di quelle che sono le direttive della propria azione politica, ancora più lungo e difficile. Non vi è dubbio tuttavia che la nuova fase e il lavoro futuro del Comitato di non intervento saranno influenzati in un modo decisivo dalla risposta e dall'attitudine in genere che adotteranno i governi di Salamanca e di Barcellona. L'intervento diretto, da oggi in avanti, delle due parti in conflitto nei lavori del Comitato di non intervento è il «fatto nuovo» che introduce degli elementi imprevisti su quello che sarà il corso delle future discussioni.

Ecco perchè la risposta che il generale Franco darà alla lettera del presidente del Comitato di non intervento, nella presente situazione, avrà un'influenza decisiva sulle discussioni prossime e in particolare sull'azione che noi dovremo svolgere. È difficile infatti prevedere che il gruppo itala-tedesco-portoghese possa nelle future discussioni svolgere un'attività in contrasto con quella che sarà l'attitudine manifestata dal generale Franco. Né, d'altra parte, è prevedibile che il gruppo franco-russo possa differenziare di molto la sua azione da quella che sarà l'attitudine delle autorità di Barcellona.

Queste sono le constatazioni di carattere pregiudiziale che sono state fatte nella nostra riunione di stamane tra me, Monteiro, e Woermann.

Woermann ci ha informati di aver ricevuto dal suo governo la richiesta di indicare quelle che, a suo giudizio, dovrebbero essere le linee della risposta da darsi da parte del generale Franco al presidente del Comitato di non intervento,

o meglio, al rappresentante britannico per il cui tramite la richiesta di Plymouth è stata fatta ieri sera. Ciò allo scopo di avere ulteriori elementi di giudizio per le istruzioni da inviarsi al rappresentante del Reich a Salamanca, il quale sarà incaricato di concordare col governo del generale Franco la risposta da darsi al Comitato di Londra.

Ho osservato a Woermann, (e Monteiro è stato d'accordo con me), che è assai difficile, per non dire impossibile, dare ai nostri governi delle indicazioni precise su quella che dovrebbe essere, a nostro personale avviso, la risposta del governo di Salamanca in quanto che tale risposta deve tener conto soprattutto di elementi e di situazioni che sfuggono completamente, oltre che alla nostra competenza specifica, anche al nostro giudizio. La risposta di Franco -ho aggiunto -dovrà tener conto soprattutto di calcoli e fattori militari che noi non conosciamo e che soltanto i nostri governi insieme al governo di Salamanca possono valutare. Il problema dei volontari in rapporto col riconoscimento dei diritti di belligeranza è un problema il cui esame non può essere evidentemente limitato al campo della dialettica diplomatica.

Esso investe in pieno la situazione militare in Spagna, l'azione politica dei nostri governi e le intese militari e politiche tra i nostri governi e quello di Salamanca. Vi è inoltre il riflesso che, sempre nella valutazione dei nostri governi e del governo di Salamanca, sarà dato al fatto nuovo rappresentato dalla decisione inglese di stabilire rapporti semi-diplomatici col generale Franco, il che costituisce indirettamente un semi riconoscimento politico e diplomatico della nuova Spagna Nazionalista.

Fatte queste premesse é queste riserve da Woermann pienamente condivise, abbiamo fatto, come di consueto, due ipotesi:

l) che l'obiettivo dei nostri governi e del governo di Salamanca continui ad essere quello che è stato sin'ora e cioè «guadagnar tempo». In questo caso le direttive alla nostra azione rimarrebbero immutate.

2) che i nostri governi ed il governo di Salamanca giudichino utile e opportuno, sulla base di nuovi elementi, di esaminare la possibilità di risolvere, parzialmente o totalmente, attraverso un negoziato diplomatico, e secondo direttive determinate, alcuni problemi del non intervento in Spagna.

Tanto nella prima quanto nella seconda ipotesi è chiaro che la risposta di Franco al Comitato è destinata ad avere un'importanza e un'influenza assai notevoli, per non dire determinanti. Qualora la prima ipotesi dovesse avverarsi, è chiaro che il governo di Salamanca dovrebbe, a nostro avviso, seguire più o meno la tattica da noi seguita da luglio ad oggi, e cioè cominciare col rispondere al presidente Plymouth dichiarando di accettare «in linea di principio» il piano britannico. Un'accettazione di carattere vago e generico permetterebbe a Franco di stabilire un'atmosfera inizialmente favorevole e gli consentirebbe subito, immediatamente dopo la dichiarazione generica d'accettazione, di sollevare una dopo l'altra tutte le difficoltà che sono state sollevate dal mese di luglio a quest'oggi in seno al Comitato dai rappresentanti dell'Italia, della Germania e del Portogallo. Il governo di Salamanca dovrebbe subito impostare, in linea di principio, la questione del riconoscimento dei diritti di belligeranza come pregiudiziale all'evacuazione dei volontari stranieri dalla Spagna. Questo del resto il Comitato si attende e sarebbe per lo meno strano che il governo di Salamanca rinunciasse all'opportunità e all'occasione fornitagli per riaffermare le sue prerogative di Stato sovrano, il quale non pu.ò accettare alcuna condizione al riconoscimento della sua posizione di belligerante.

Ciò· permetterebbe di nuovo al gruppo delle Potenze fasciste di riprendere in pieno, in seno al Comitato, tutta la discussione sulla necessità del riconoscimento dei diritti di belligeranza.

Affermato questo punto di carattere generale, il governo di Salamanca dovrebbe, a nostro concorde avviso, dichiarare che in linea di massima esso non è contrario all'accettazione dell'invio delle due commissioni internazionali in Spagna ma, prima di esprimersi in un modo definitivo e cioè sull'accettazione definitiva di questo punto che implica di per se stesso una limitazione dei diritti sovrani di uno Stato, il governo di Salamanca desidera avere dei ragguagli precisi:

l) su quello che il Comitato avrà deciso per risolvere il grave quesito contenuto nella risoluzione n. 2, concernente cioè il rifiuto, ovvero l'astensione sovietica al riconoscimento della belligeranza;

2) sulla composizione delle commissioni, le persone che saranno nominate, il mandato, i metodi di lavoro, ecc., ecc.;

3) sull'effettiva portata e significato delle disposizioni contenute nel rapporto della sottocommissione tecnica concernente la «definizione delle persone da considerarsi come volontari stranieri»: a questo punto il generale Franco potrebbe senz'altro indicare il suo netto rifiuto ad accettare qualsiasi compromesso sulla questione delle truppe marocchine e della legione straniera;

4) il governo di Salamanca dovrebbe inoltre domandare delucidazioni precise sul significato che la portata del paragrafo 3 del piano britannico, e cioè sull'effettiva estensione dei diritti di belligeranza da concedersi da parte delle Potenze, e soprattutto sul paragrafo 8 che si riferisce al momento in cui i diritti di belligeranza saranno riconosciuti.

Il governo di Salamanca dovrebbe dare insomma una risposta la quale, cominciando con un'accettazione di massima, contenesse in sostanza una serie di quesiti specifici allo stesso presidente del comitato, quesiti ai quali il Comitato non può, nelle presenti condizioni, rispondere fin tanto che non abbia raggiunto un accordo sulle numerose questioni tuttora in sospeso.

Una volta che il presidente del Comitato fosse in grado di rispondere a Franco sui vari quesiti da lui posti, rimarebbero a Franco nuovamente almeno il doppio di nuovi quesiti da porre al Comitato. Occorre tuttavia da parte del goven:w di Salamanca una grande accortezza e senso di tempestività nelle risposte e nelle domande che dovranno essere successivamente scambiate fra Salamanca e Londra.

Tuttociò, ripeto, se l'obiettivo rimane esclusivamente quello di «guadagnare tempo» senza risolvere alcuno dei problemi indicati nel piano britannico, e cioè l'evacuazione dei volontari, il riconoscimento dei diritti di belligeranza e il controllo.

Qualora invece i nostri governi e quello di Salamanca valutassero l'opportunità militare e politica di risolvere in tutto o in parte i problemi suddetti, allora è evidente che le trattative tra Franco e i suoi alleati da una parte, il Comitato di Londra e più particolarmente Francia e Inghilterra dall'altra, potrebbero assumere un carattere di negoziato diplomatico vero e proprio, basato sull'esclusivo calcolo del dare e dell'avere, e nell'ambito più complesso e generale di quelli che sono i rapporti generali tra le Potenze.

Queste sono in sostanza le considerazioni che Monteiro, Woermann ed io ci siamo trovati d'accordo di sottoporre ai nostri governi per il caso che i nostri governi potessero scovare in esse qualche elemento utile per le loro conversazioni dirette col governo di Salamanca4 .

515 l T. per corriere 7613/721 R. del 2 novembre. Riferiva che era ormai imminente la conclusione dell'accordo tra governo britannico e governo nazionale spagnolo per lo scambio di rappresentanti ufficiosi che avrebbero assunto la denominazione di «agente» anziché di «agente commerciale», ciò che si riteneva equivalente ad un riconoscimento de jàcto dei governo di Franco. 515 2 T. 7198/694 R. del 16 ottobre. Riferiva circa un eventuale trasferimento dell'ambasciata a San Sebastian, dove si erano istallati gli uffici più importanti del Gabinetto diplomatico del governo nazionale spagnolo, che avrebbe avuto anche il vantaggio di essere più vicini al Quartier Generale di Franco e al comando delle truppe italiane.

517

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

TELESPR. 4753/2745. Londra, 5 novembre 1937 (per. !'8).

Con la seduta di ieri del Comitato Plenario (durante la quale sono state approvate due risoluzioni 1 , entrambe prodotte dalla fusione di un testo italiano con un testo britannico) si è chiusa una fase dei lavori del «non-intervento». Il presidente è stato autorizzato a mettersi in contatto con le due parti in Spagna (mio rapporto n. 4732/2734) 2 . Intanto, nell'attesa di ricevere la risposta delle due parti, il Comitato dei nove inizierà la prossima settimana l'esame «delle questioni concrete derivanti dall'esecuzione dei diversi punti della risoluzione», fermo restando che, prima di procedere ad un qualsiasi atto esecutivo, come per esempio l'invio delle commissioni in Spagna, dovranno essere state concordate le «misure pratiche necessarie per fronteggiare la situazione» creata dall'atteggiamento negativo del governo sovietico.

Conviene quindi, in questo momento, fare il punto della situazione, fissare le linee generali secondo le quali si è sviluppata in questi ultimi tempi la politica del governo britannico, ed esaminare quale sarà presumibilmente lo svolgimento dei futuri lavori del Comitato.

La nota anglo-francese a Roma del 2 ottobre 3 rappresenta, dopo il tentativo di Nyon, un secondo tentativo di Londra c di Parigi per isolare la Germania dall'Italia nella questione spagnola ed in genere nelle questioni mediterranee, portare su di un piano diverso dal Comitato di non intervento la discussione del problema spagnolo e ripresentare il problema del ritiro dei volontari italiani fuori dall'ambito del Piano britannico del 14 luglio. La connessione fra belligeranza e volontari è stata sempre infatti respinta dal governo socialista francese, il quale ha costantemente cercato dal luglio ad oggi di svincolarsi dal piano britannico e di rimettere sul tappeto il «ritiro dei volontari» nell'impostazione iniziale che era stata data a questo problema nel marzo u.s.

IO novembre e con la seguente aggiunta: «Ho già telegrafato a V.E. le mie istruzioni con altro tele gramma di oggi n. 788 [vedi D. 543]. Direttive R. governo essendo sempre quelle di guadagnare tempo, osservazioni Grandi, Woermann, Monteiro potrebbero costituire utile base per risposta Franco». 517 1 Si riferisce alle due risoluzioni approvate -con l'astensione del rappresentante sovietico -dal Comitato di non intervento in seduta plenaria il 4 novembre che avviavano le procedure per l'attuazio ne del piano britannico del 14 luglio. Per il testo si veda BD, vol. XIX. D. 277. 517 2 Non pubblicato. 517 3 Vedi D. 388.

Ove il Foreign Office e il Quai d'Orsay fossero riusciti a trascinare l'Italia ad una conferenza tripartita, senza la Germania, per esaminare le questioni mediterranee, ciò sarebbe stato un precedente che Francia e Inghilterra avrebbero invocato sicuramente per escludere l'Italia quando fossero state riprese le conversazioni anglo-franco-tedesche per risolvere le questioni connesse colle frontiere occidentali. La manovra di Londra e di Parigi, con tutto l'accompagnamento rumoroso del perentorio «limite di tempo», della minacciata «apertura delle frontiere» e della «ripresa di libertà d'azione», andava dunque ancor più in là della stessa questione spagnola. È interessante ricordare a questo proposito quello che Vansittart disse a Wormann, incaricato d'affari di Germania, al momento della consegna della nota anglo-francese del 2 ottobre: «Se noi abbiamo diretto questa nota a Roma e non anche a Berlino, è perchè il problema dei volontari e il problema spagnolo in genere sorgono esclusivamente per effetto dell'atteggiamento italiano. Voi tedeschi siete innocenti a questo riguardo, e non vi è ragione di sollevare con voi discussioni spiacevoli. È dunque un complimento che vi abbiamo fatto di non indirizzare la nota anche a voi».

La nota di risposta del governo fascista del 9 ottobre 4 ha nettamente sventato queste manovre, e ha riportato le discussioni nell'ambito del Comitato di non intervento. Il quale aveva sospeso le sue sedute nell'agosto scorso, sulla base del piano britannico, e doveva perciò logicamente riprenderle al punto in cui esse erano state lasciate: e cioè all'esame del medesimo piano britannico.

Eppure è stato tutt'altro che facile ottenere dal Comitato che il piano britannico venisse ripreso e discusso. Il governo francese ha messo sul tavolo immediatamente alla ripresa dei lavori il 16 ottobre, delle «nuove proposte» che hanno ricevuto naturalmente il pieno appoggio del governo britannico. Ambedue i governi hanno ostentatamente ignorato il piano britannico del 14 luglio e concluso le loro dichiarazioni con parole volutamente intimidatorie.

La ripresa dei lavori del Comitato si è dunque iniziata, il 16 ottobre, con un'Inghilterra ed una Francia decise a dimostrare-contrariamente alla tesi sostenuta dalla nota di risposta del governo fascista -che un accordo nel Comitato era impossibile. Questa dimostrazione era intesa a vendicare il grave smacco subito dalla Francia e dall'Inghilterra colla loro nota del 2 ottobre, e a rappresentare dinanzi al mondo l'Italia come unica colpevole e responsabile della tensione europea, tensione che nel frattempo il Foreign Office e il Quai d'Orsay si adoperavano a creare con un'insidiosa campagna di artificiale allarmismo, come se fossimo alla vigilia di un vero e proprio conflitto europeo. La stampa antifascista di Parigi e di Londra già parlava, con torbido compiacimento, di una «seconda guerra di successione di Spagna».

Che questa insistente, artificiosa e velenosa campagna avesse finito col far presa nell'opinione pubblica di certi Paesi, coll'entrare in profondità e determinare una vera «psicosi di guerra», lo dimostrano fra l'altro le isteriche fluttuazioni di borsa, a Londra, a New York, a Parigi, che nelle ultime settimane hanno seguito ora per ora gli alti e i bassi delle discussioni nel Comitato di non intervento.

Le prime sedute del Comitato, nell'ottobre scorso, sono state infatti caratterizzate da un'atmosfera aspra e tesa che il Comitato non aveva mai conosciuta finora. Francia e Inghilterra, abbandonando le posizioni dei mesi passati, visibilmente ricercavano più il fallimento che l'accordo. I dibattiti erano duri, gli atteggiamenti ostentatamente rigidi, la sfiducia apertamente manifestata e propagata.

Anche questa manovra è stata sventata. Le istruzioni che V.E. mi ha impartite, a nome del Duce, in data del 20 ottobre5 , hanno nuovamente smascherato i veri sabotatori di un accordo. L'integrale accettazione dei nove punti del piano britannico, da parte del governo fascista, ha eliminato l'ostacolo fittizio, che Inghilterra e Francia si sforzavano di individuare nell'atteggiamento italiano, e portato la discussione in seno al Comitato ad urtarsi contro il vero ostacolo, creato dall'ostruzionismo sovietico.

Insieme al governo sovietico, sono stati smascherati pure i suoi complici, e cioè i governi francese e britannico che avevano tentato di coprirne o ignorarne le responsabilità per poter gettare, dinanzi all'opinione pubblica, tutta la colpa sull'Italia.

In conclusione, l'Italia, dopo aver rifiutato la conferenza tripartita e costretto Francia e Inghilterra a ritornare al Comitato di non intervento:

l) Ha, con una diversione tattica dovuta alle istruzioni del Duce del 20 ottobre, bucato e sgonfiato di colpo il pallone dell'allarmismo artificioso provocato dall'azione del Foreign Office e del Quai d'Orsay;

2) Ha costretto il governo francese a «rimangiarsi» le sue «nuove proposte», ad accettare finalmente il piano britannico e in particolare quel famoso paragrafo 3 concernente il riconoscimento dei diritti di belligeranza al quale dal luglio ad oggi il Fronte Popolare francese si era ostinatamente opposto e pel rifiuto del quale aveva preso impegni precisi col famigerato Senòr Negrin durante la visita di quest'ultimo a Parigi il 5 luglio;

3) Ha costretto Francia e Inghilterra a decidersi ad accettare un accordo secondo le linee volute dall'Italia: un accordo di «puri principi» al di fuori cioè di alcun impegno preciso e determinato e che lascia aperti a future discussioni tutti, nessuno escluso, i problemi dell'intervento e non intervento in Spagna. Il che era quello che soprattutto a noi premeva di raggiungere;

4) Ha costretto da ultimo Francia e Inghilterra ad accettare degli impegni, sia pure per ora soltanto di carattere generico, diretti all'isolamento politico e militare della Russia ed accettare nello stesso tempo che dall'attuazione di questi impegni dipenda interamente l'esistenza dall'accordo raggiunto.

Che cosa l'Italia ha dato in cambio di tutto ciò? Niente. Perché questa è la verità. Le nostre «famose concessioni» del 20 ottobre non sono state se non concessioni di parole, e nulla più: è una zavorra di parole, non di cose concrete, che noi abbiamo quel giorno gettato. Che una semplice zavorra di parole sia stata sufficiente a rischiarare l'atmosfera e a rimettere di nuovo tutta l'iniziativa nelle mani dell'Italia, dimostra quanto artificiosa e irreale fosse la situazione che si era determinata. In sostanza noi siamo tornati esattamente alle posizioni del 20 luglio,

quando nell'accettare il piano britannico abbiamo osservato e suggerito che il Comitato si mettesse in diretta comunicazione colle due parti in Spagna alle quali spetta l'ultima parola.

Taluno ha giudicato «incomprensibile» questa azione di difesa da parte dell'Italia del piano britannico e questa nostra insistenza per la sua integrale e testuale applicazione. In realtà, questo cosiddetto piano britannico, che noi abbiamo strappato all'Inghilterra in uno dei suoi brevi e rari intervalli di resipiscenza, salvo immediatatemente pentirsene dopo, e al quale la Francia ha sempre cercato ostinatamente di opporsi, offre al governo fascista il miglior terreno di manovra per la sua azione. In questo piano il ritiro dei volontari è indissolubilmente legato con il riconoscimento della belligeranza e con la ricostruzione del controllo. Con ciò esso offre perciò al governo fascista il vantaggio di poter negoziare un parziale ritiro dei volontari contro quei diritti di belligeranza che il governo britannico, e particolarmente il governo francese, si sono ostinatamente rifiutati di accordare, e che rappresentano un vantaggio considerevole nel campo della guerra navale, per Salamanca. Il piano britannico inoltre, per la complicata interdipendenza delle sue parti, consente al governo fascista di poter -secondo i suoi interessi -regolare, ritardare o legittimamente fermare, il processo del ritiro dei volontari, avvalendosi di una sempre dimostrabile inadempienza di qualche altro governo, riguardo ad uno qualunque dei nove punti del piano.

Attraverso il piano britannico noi manteniamo fermamente subordinata e ancorata la questione del ritiro dei volontari alla questione dei diritti di belligeranza e del controllo. Ecco perché la situazione del luglio ed a maggior ragione la situazione di oggi rappresenta in seno al Comitato un progresso in confronto alla situazione del marzo u.s. quando la questione dei volontari fu posta, a se stante, e senza correlazione con nessun'altra questione, dalla Francia e dall'Inghilterra. Ecco anche perché Francia e Inghilterra hanno tenacemente cercato, dal luglio ad oggi, di svincolarsi dal piano britannico del 14 luglio e rimettere la questione dei volontari sul terreno politico e diplomatico del marzo u.s. all'indomani della battaglia di Guadalajara.

Accettando dunque nella sua integrità il piano britannico, l'Italia si è pbsta nella condizione di non poter essere attaccata, e di poter invece richiamare gli altri alla scrupolosa esecuzione del piano stesso.

Come corrispettivo di questo vantaggio, l'Italia -ripeto -non ha finora ceduto nulla. Sono passati oltre otto mesi da quando il problema del ritiro dei volontari è stato impostato dai governi di Londra e di Parigi nel Comitato di non intervento e l'Italia ha potuto protrarre per tutto questo periodo la discussione di questo problema, sottraendosi a qualunque atto concreto e mantenendo i suoi impegni sull'esclusivo quanto innocuo terreno delle questioni di principio.

Leggendo le due risoluzioni approvate ieri dal Comitato Plenario V.E. vedrà che non uno solo dei problemi discussi è stato risolto, e che -come ho detto più sopra -tutti rimangono aperti a future discussioni. Nulla è stato deciso né per il controllo, né per il ritiro dei volontari, né per la belligeranza.

La «risoluzione» votata ieri non dice altro che questo: «tutti sono d'accordo nel constatare che un accordo non è stato ancora raggiunto», così un ministro di spirito di una piccola Potenza ha commentato la seduta di ieri.

La fase attuale dei lavori del Comitato di non intervento si chiude dunque, esattamente cogli identici interrogativi di otto mesi fa. Francia e Inghilterra non sono riuscite a prenderei dentro il loro ingranaggio e per di più hanno dovuto constatare il fallimento clamoroso dell'ultimo tentativo intimidatorio sull'Italia. Da ultimo, quasi come beffa finale, non hanno potuto fare a meno di prendere atto delle intenzioni concilianti dell'Italia attraverso un accordo che lascia impregiudicati tutti i problemi fondamentali dell'intervento italiano in Spagna.

Mentre a Londra si discuteva di ritiro di volontari, i nostri legionari conquistavano Malaga, Bilbao, Santander, Gijon, senza parlare delle altre non meno decisive e gloriose vittorie delle forze legionarie italiane nel mare e sul cielo di Spagna. Dum Romae consulitur Saguntum magna vi expugnata est.

Ecco perché dopo tanto chiasso, la stampa francese e inglese di questi giorni si limita a dare due righe alla seduta di ieri, e non commenta se non di sfuggita e con imbarazzo l'accordo raggiunto.

Il concorde e concertato silenzio della stampa di Parigi e di Londra sulle risoluzione votate ieri, fa pensare al silenzio con cui vengono seppelliti, alla chetichella, certi morti di famiglia, dei quali ci si vergogna e dei quali si cerca che il pubblico dimentichi al più presto la passata esistenza.

516 4 Questo telegramma fu ritrasmesso all'ambasciata a Salamanca con T. per corriere 17815 P.R. del

517 4 Vedi D. 413.

517 5 Vedi D. 463, nota 2.

518

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6886/1902. Washington, 5 novembre 1937 (per. il 17).

Dopo lo scoppio di ostilità antigiapponese che ha seguito il discorso del Presidente Roosevelt a Chicago 1 , l'atteggiamento della stampa e dell'opinione pubblica si è calmato.

Fra le varie ragioni che hanno contribuito a questo atteggiamento più tranquillo la principale e più interessante mi pare la seguente: con la convocazione della conferenza di Bruxelles si è passati dalla fase delle manifestazioni verbose a quella di una possibile azione. Di fronte all'eventualità di una tale azione, che potrebbe immischiare il Paese nel conflitto dell'Estremo Oriente, il pubblico e la stampa americana hanno ritrovato tutta la loro tradizionale prudenza. Il signor Norman Davis è partito sotto auspici tali-provocati dalla pressione di quest'opinione pubblica -che era veramente il caso di domandarsi a che scopo si fosse riunita la conferenza. Infatti il governo ha cercato di fare macchina indietro sulla sua condanna del Giappone come aggressore -che risultava esplicita per le dichiarazioni del Segretario di Stato2 -sostenendo che la sua posizione non era pregiudicata nei riguardi di nessuno dei due contenenti, e il signor Norman Davis ha fatto delle dichiarazioni per dire che i suoi propositi erano soltanto quelli di ottenere una mediazione ma che non era neanche questione di usare dei mezzi di forza contro il Giappone. La questione della mediazione è stata in questo momento accolta con un certo scetticismo, non sembrando che il Giappone potesse accettare una soluzione che Io privasse delle sue conquiste in Cina, né d'altra parte

518 2 Vedi D. 407, allegato, nota 4.

sembrando ammissibile che l'America e gli altri Stati interessati nella Cina potessero riconoscere le conquiste giapponesi. Da qualche parte, poi, anche in questo Paese si faceva presente che all'America non s.arebbe convenuto prendere posizione troppo precisa contro il Giappone perchè i suoi futuri interessi commerciali ne sarebbero stati turbati. Tutto ciò al momento della partenza della delegazione aveva dato l'impressione che l'America, di fronte alle responsabilità che potevano venirle quando si fosse imbarcata in questa avventura, cercava di fare macchina indietro su tutta la linea.

Negli ultimi giorni, dopo l'inizio della conferenza, la posizione è in parte modificata. Dopo il palleggiamento di responsabilità fra l'America e l'Inghilterra per l'iniziativa della conferenza -questione che qui aveva suscitato un certo clamore ma che è terminata con la constatazione della perfetta identità di vedute fra i due governi -l'azione della delegazione americana, sebbene proceda con tutte le misure prudenziali richieste dalle condizioni dello spirito pubblico di questo Paese, non pare così insignificante come si riteneva da principio; viene dato un certo rilievo alle dichiarazioni del signor Norman Davis che l'America non avrebbe accettato una soluzione che non tenesse conto del principio dell'integrità territoriale cinese e all'azione svolta dalla delegazione americana, d'accordo con le altre Potenze democratiche, per intervenire nel conflitto prendendo contatti col Giappone, e ciò in contrasto col punto di vista sostenuto dalla delegazione italiana.

Tuttavia da questo atteggiamento non si devono trarre eccessive e precipitate illazioni. Non pare che per ora la linea americana possa scostarsi da quella seguita nella prima fase della conferenza, di insistere, cioè, per una mediazione delle Potenze, diretta a una soluzione che tenga conto dell'integrità della Cina (si capisce che questo concetto è molto elastico). Nel frattempo è probabile che questo Paese sia disposto a continuare in tutte le forme di aiuti indiretti alla Cina, favorendo ad esempio, una vendita di armi ai soviet che siano destinate a rafforzare la resistenza cinese.

Oggi sarebbe azzardato andare più in là nelle previsioni però non è escluso che, se durante le discussioni di Bruxelles la tensione nei riguardi del Giappone si aggravasse, questo Paese, sempre quando sia spalleggiato da altre fra le maggiori Potenze interessate in Cina, accetti di partecipare anche a qualche misura diretta di ordine economico.

L'elemento però a cui si dà qui importanza determinante è la resistenza cinese. Mentre da principio nei circoli politici e militari si riteneva una vittoria del Giappone sicura e rapida, la resistenza cinese e sopratutto lo spirito combattivo ed il valore del soldato cinese hanno costituito una sorpresa che ha fatto rivedere i primitivi giudizi. Pur considerando sempre la superiorità militare del Giappone, oggi si ritiene che esso sia impegnato in Cina in modo molto più serio e per un tempo più lungo di quanto non avesse pensato all'inizio. Si ritiene perciò che il Giappone, sebbene mostri un atteggiamento intransigente per valorizzare al massimo la sua attuale posizione di superiorità, non sia in fondo alieno dall'accettare una mediazione che gli dia anche parziale soddisfazione.

Un cambiamento della situazione militare in Cina potrà naturalmente modificare radicalmente la situazione e lo stato d'animo delle due parti in causa: tale incertezza della situazione militare si riflette quindi anche sull'atteggiamento di questo governo.

Oggi è giunta la notizia della mediazione offerta e accettata da Hitler, il che ha portato la maggiore confusione nel campo di Agramante.

Riferirò successivamente sui commenti su questa nuova fase, per ora va osservato che, sempre che la notizia si confermi, c'è un diffuso senso di gelosia e di delusione, perchè si voleva far fare la bella figura all'America e alle Potenze democratiche.

Naturalmente si dice di augurarsi che la fatica del Fiihrer abbia successo.

518 l Vedi D. 404.

519

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 13612/193 P .R. Rio de Janeiro, 6 novembre 1937, ore 21,12 (per. ore 5 del 7 ).

Dopo manifestazione del lo novembre nella quale cinquantamila integralisti perfettamente inquadrati sfilarono dinanzi Presidente della Repubblica, movimento integralista marcia in linea retta con evidente solidarietà Forze Armate e Presidente. Iscrizioni al partito crescono ogni giorno di più e si diffonde convinzione che si avvicina momento cruciale.

Avuto conferenza con nota personalità e felicitandomi successo gli ho detto che il ferro va battuto mentre è caldo. Ho aggiunto che siccome permanenza Vargas è desiderio generale, una iniziativa di un colpo di stato in questo senso può essere presa in tre modi diversi:

l) O da Camera dei Deputati prorogando poteri Presidente nel quale caso nuovo governo sarebbe filiazione della democrazia.

2) Ovvero da Presidente stesso, nel qual caso egli rimarrebbe indipendente da ogni partito bilanciando democrazia con integralismo e viceversa.

3) Ovvero, infine, da integralisti che in questo caso dominerebbero situazione.

Il primo dei tre che prenderà iniziativa batterà gli altri due.

Mi è stato assicurato che movimento procede in tale senso. Intanto già si parla di una prima immissione di capi integralisti nel governo, come anche di un avvertimento anti-integralista venuto da Washington che porterebbe integralisti all' esasperazione.

520

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A VIENNA, SALATA

T. PER CORRIERE RISERVATO 1883 R. Roma, 6 novembre 1937.

Suo rapporto n. 2178 del 3 novembre 1•

Nel ringraziare Schmidt sua comunicazione, gli dica che precedenti impegni non mi consentono di incontrarlo vero il 15 novembre come da lui indicato. Potremo pertanto rimandare nostro incontro a più tardi, ad epoca da fissare.

520 1 Il ministro Salata aveva riferito che il Segretario di Stato Schmidt lo aveva incaricato di chiedere a Roma se era possibile fissare intorno al 25 novembre il previsto incontro con Ciano. Salata osservava

521

IL MINISTRO A VIE NNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7671/0251 R. Vienna, 6 novembre 1937 (per. !'8).

Mio telegramma n. 180 del 4 corrente 1 .

Il Segretario di Stato per gli Esteri dott. Guido Schmidt si è deciso improvvisamente al viaggio «privato» a Berlino in seguito a nuova letter:a personale di Goering che lo invitava con molta insistenza a visitare l'Esposizione internazionale della caccia durante la permanenza colà del comitato organizzatore della molto importante sezione austriaca. Goring accennava anche all'opportunità di uno scambio di idee preliminare sul viaggio di Goring in Tirolo. Schmidt, avuta l'autorizzazione del Cancelliere, è partito ieri nel pomeriggio e sarà di ritorno già domenica sera o lunedì mattina.

Nel corso di una conversazione svoltasi l'altro ieri, il Cancelliere Federale mi ha accennato al desiderio di Goring di incontrarsi anche con lui. E/t si proponeva di corrispondere al desiderio e di recarsi nel luogo di caccia in Tirolo dove Goring sarà ospite del governo austriaco. Schuschnigg voleva non solo evitare, per le ovvie ragioni già più volte segnalate, un'eventuale insistenza di Goring in una visita ufficiale a Vienna, ma desiderava cogliere l'occasione per un diretto e aperto scambio di idee con presidente del Consiglio prussiano, a controllo anche dei ripetuti colloqui tra Goring e Schmidt.

Non è escluso che Goring ripeta a Schuschnigg la proposta già fatta a Schmidt di un incontro tra il Fiihrer e il Cancelliere. Questi è pronto ad aderirvi però alla duplice condizione che esso si volga sulle basi fondamentali dell'Accordo 11 luglio, cioè che non sia messa in discussione, né l'indipendenza statale dell' Austria e la sua libertà interna, né il problema del nazismo austriaco, il cui trattamento lo stesso accordo ha riconosciuto affare interno dell'Austria.

Nell'ultimo colloquio con Schmidt, Goring avrebbe assicurato che Hitler avrebbe senz'altro accettato la prima condizione, ma non avrebbe potuto escludere che il Fiihrer rimettesse in discussione il secondo punto, cioè il divieto del nazionalsocialismo austriaco. Su questo punto Schuschnigg si mostra sempre irremovibile, non solo per ragioni della Weltanschauung ma anche per non toccare il principio totalitario del regime, che implica il divieto di ogni partito e di ogni attività

che «in tutta questa conversazione Schmidt non ha mostrato alcuna preoccupazione che le informazioni su i suoi colloqui con Vansittart e con Giiring (lettera segreta personale di V.E. n. 8202 del 17 corrente) [vedi D. 448] possano determinare un mutamento nelle decisioni dell'E.V. circa l'incontro». Il docu mento ha il visto di Mussolini. 521 l T. 7586/180 R. del 4 novembre. Comunicava che Schmidt si sarebbe recato il giorno seguente a Berlino in visita privata per concordare il prossimo viaggio di Giiring in Tirolo.

politica fuori del Fronte Patriottico ed è il caposaldo del programma politico ereditato da Dollfuss.

Pertanto, la visita di Goring in Tirolo, della quale Schmidt concorderà a Berlino la data e le modalità. acquista più larga portata, sia per la presenza di Schuschnigg (che ha veduto una volta sola e fuggevolmente Goring a Budapest in occasione dei funerali di Gombos), sia in vista della possibile iniziativa di un incontro tra Hitler e Schuschnigg che non si sono mai veduti e che, di lontano. non hanno vicendevolmente mostrato, né di amarsi, né di comprendersi.

Il Cancelliere crede però che tale incontro debba essere molto prudentemente preparato e che sarebbe preferibile di rinunziarvi qualora non si riuscisse di assicurarne, nelle linee generali, uno svolgimento conforme al comune interesse.

522

PROTOCOLLO TRA ITALIA, GERMANIA E GIAPPONE

Roma. 6 nol'emhre 1937.

Il Governo italiano, il Governo del Rcich germanico e il Governo imperiale del Giappone.

ConsiderifrdO che l'lnternazionale Comunista continua a mettere costantemente in pericolo il mondo civile in Occidente e in Oriente turbandovi e distruggendovi la pace e l'ordine;

Convinti che soltanto una stretta collaborazione fra tutti gli Stati interessati al mantenimento della pace e dell'ordine può limitare e rimuovere tale pericolo:

Considerando che l'Italia -che coll'avvento del Regime Fascista ha combattuto con inflessibile determinazione tale pericolo ed ha eliminato l'Internazionale Comunista dal suo territorio -ha deciso di schierarsi contro il nemico comune insieme con la Germania e col Giappone, che da parte loro sono animati dalla stessa volontà di difendersi contro l'Internazionale Comunista;

Hanno, in conformità dell'articolo 2 dell'Accordo contro l'Internazionale Comunista concluso a Berlino il 25 novembre 1936 fra la Germania ed il Giappone, convenuto quando segue:

Art. l

L'Italia entra a far parte dell'Accordo contro l'lnternazionale Comunista e del Protocollo supplementare conclusi il 25 novembre 1936 fra la Germania ed il Giappone, il cui testo è allegato nell'annesso al presente Protocollo 1•

Art. 2

Le tre Potenze firmatarie del presente Protocollo convengono che l'Italia sarà considerata come firmataria originaria dell'Accordo e del Protocollo supplementa

re menzionati all'articolo precedente, la firma del presente Protocollo essendo equivalente alla firma del testo originale dell'Accordo e del Protocollo supplementare predetti.

Art. 3

Il presente Protocollo costituirà parte integrante dell'Accordo e del Protocollo supplementare sopra menzionati.

Art. 4

Il presente Protocollo è redatto in italiano, giapponese e tedesco, ciascun testo essendo considerato come autentico. Esso entrerà in vigore il giorno della firma. In fede di che, i sottoscritti, debitamente autorizzati dai loro rispettivi Gover

ni, hanno firmato il presente Protocollo e vi hanno apposto i loro sigilli. Fatto in triplice esemplare a Roma, lì 6 novembre 1937 ~Anno XVI dell'Era Fascista, che corrisponde al 6 novembre del 12° anno di Syowa.

Ciano von Ribbentrop Rotta

522 1 Non pubblicato. Si veda il testo in DDT. serie C, vol. VI, D. 57.

523

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A LONDRA, VON RIBBENTROP

Roma, 6 novembre 1937.

Il Duce, dopo avere rilevato la grande importanza del Patto a Tre anti-comunista concluso in mattinata, ha affermato che a suo avviso esso costituisce il primo fondamentale gesto che condurrà ad un'intesa ben più stretta di ordine politico e militare fra le tre Potenze. Nel frattempo, poichè ormai siamo così strettamente interessati alle vicende dell'Estremo Oriente, conviene esaminare con attenzione quanto si sta svolgendo colà. Dato che la Conferenza di Bruxelles è destinata a sicuro insuccesso, il Duce si domanda se non sarebbe conveniente per la Germania e per noi di esaminare la possibilità di una nostra mediazione per porre fine al conflitto. Una pacificazione dell'Estremo Oriente è utile ai fini di mantenere integra la forza militare giapponese per un'eventuale futura azione anti-russa. D'altra parte, ciò deve tornare gradito anche alla Cina, la quale, dopo avere opposto delle resistenze rese possibili dal periodo caratterizzato «dalla crisi di sbarco» delle forze giapponesi, non ha alcuna facoltà di arrestare l'avanzata nipponica.

Ribbentrop dice di essere d'accordo col Duce sulla opportunità di una pacificazione in Estremo Oriente. In un colloquio da lui recentemente avuto col rappresentante del principe Kanin, capo di Stato Maggiore giapponese, e che praticamen

523 I Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 218-224. 523 2 Al colloquio era presente Ciano, che ha redatto il verbale.

te è l'uomo che ha imposto queste operazioni militari contro il volere del ministero degli Affari Esteri anglofilo e liberale, ha saputo che anche l'esercito desidera finire al più presto le operazioni, però dopo essere arrivato a battere in forma definitiva le forze cinesi.

La pace col governo di Chiang Kai-shek è impossibile. Bisogna quindi che a Nanchino si stabilisca un nuovo governo. Anche presso l'ambasciata tedesca in Giappone sono stati compiuti dei passi diretti ad ottenere un'eventuale mediazione. Ma di questi passi lo Stato Maggiore giapponese era completamente all'oscuro. Il Fuhrer sarebbe favorevole alla mediazione, la quale dovrebbe basarsi su due elementi: l'adesione della Cina al Patto Tripartito Anticomunista e l'impegno del Giappone a rispettare tutti gli interessi stranieri in territorio cinese.

Il Duce concorda su tale punto di vista e dice che eventuali trattative in tale senso dovranno essere condotte nel più assoluto segreto, salvo a rendere pubblica la mediazione una volta conseguito lo scopo. Qualsiasi indiscrezione sarebbe pregiudizievole.

Ciano fa presente che tra giorni giungerà a Roma il ministro della Propaganda cinese Chen Kung-po, uomo molto influente negli ambienti del Kuomintang, appartenente alla fazione nettamente ostile a Chiang Kai-shek ed amico di Wang Ching-wei. Eventualmente il signor Chen Kung-po potrebbe venire presentito e potremmo valerci di lui per conversazioni confidenziali.

Il Duce e Ribbentrop aderiscono. Si passa quindi a parlare delle ripercussioni che il Patto Anticomunista avrà negli altri Stati.

Ribbentrop ritiene che la reazione inglese sarà più viva di quanto non sia previsto, dato che questo Patto sarà giudicato l'alleanza delle Nazioni aggressive contro i Paesi soddisfatti. L'Inghilterra moltiplicherà i suoi sforzi per avvicinarsi all'America. Ma ciò probabilmente sarebbe avvenuto anche senza l'Accordo Tripartito.

Il Duce concorda nel ritenere che i cattivi umori americani saranno esasperati da un'intesa col Giappone, che è considerato, senza ragioni evidenti, il nemico tradizionale e potenziale degli Stati Uniti. Comunque anche questa volta gli americani non faranno niente. In Italia abbiamo una lunga esperienza in merito. Quando fu soppressa la massoneria, si minacciarono violente reazioni. Esse sono invece totalmente mancate. Così come mancano adesso, mentre noi stiamo conducendo una campagna antisemita assai decisa e sempre più intensa guidata da un uomo abbastanza popolare in Italia, l'an. Farinacci, e che già ha in Roma due organi di stampa, il Tevere ed il Quadrivio e molti aderenti specialmente nel mondo universitario. Le minacce americane sono sempre inconsistenti: sembrano montagne e sono vesciche.

Si passa quindi a discutere la situazione spagnola.

Il Duce riassume l'attuale stato delle nostre forze e dichiara che, salvo imprevedibili novità, non manderà più uomini in Spagna, dato che Franco non ne ha bisogno avendo recentemente congedato la classe del 1908. Il nostro Corpo Volontario verrà ancora impiegato in Aragona nella prossima battaglia, che potrà essere decisiva. Dopo di che, noi siamo disposti a cominciare l'evacuazione delle forze di fanteria, lasciando invece in Spagna gli specialisti del Genio, delle Artiglierie, dei Carri Armati e l'Aviazione. Ormai Franco ha la vittoria in pugno e dovrebbe conseguirla rapidamente, anche perchè da notizie precise e da molti indizi risulta che i Rossi sono demoralizzati e la resistenza nell'interno della Spagna bolscevica è ridotta al minimo. Se però un fatto nuovo dovesse ancora minacciare le posizioni di Franco e se il conseguimento della vittoria richiedesse uno sforzo ulteriore, il Duce è disposto a farlo, sia pure mediante l'invio di nuove forze regolari. Intanto concorriamo efficacemente al blocco navale avendo ceduto a Franco sei sottomarini e quattro navi di superficie.

Adesso merita attenzione l'atteggiamento dell'Inghilterra nei confronti di Franco. Non vi è dubbio che Londra si è accorta di avere giuocato sul cavallo perdente e cerca adesso di compiere una rapida conversione verso la Spagna Nazionale. L'Italia e la Germania debbono essere estremamente guardinghe perchè il problema si presenta per noi di particolare interesse sotto un duplice aspetto: finanziario e politico. In primo luogo abbiamo speso in Spagna circa quattro miliardi e mezzo. Le spese tedesche, secondo quanto ha detto Goring, si avvicinano ai tre miliardi e mezzo di lire. Vogliamo e dobbiamo essere pagati. Ma vi è anche e soprattutto un aspetto politico. Vogliamo che la Spagna Nazionale, salvata in virtù degli aiuti di ogni natura italiani e tedeschi, rimanga strettamente legata al nostro giuoco. D'altra parte, anche l'aspetto finanziario del problema è legato a quello politico: soltanto se la Spagna rimarrà nel nostro sistema, potremo contare su un completo indennizzo.

Bisogna quindi che Roma e Berlino si mantengano in stretto contatto per agire in modo che Franco faccia sempre, e sempre più, la nostra politica. Franco ha dato prova di possedere delle qualità singolari in uno spagnolo. È calmo, discreto, di poche parole. Nei nostri confronti, specialmente in questi tempi, ha mantenuto un atteggiamento di viva simpatia. Però è innegabile che egli senta già alcune influenze negative, come quella dei grandi proprietari terrieri e dell'alto clero. Né bisogna dimenticare che il capo del suo Gabinetto diplomatico, signor Sangroniz, si è rivelato anglofilo e di tendenze liberali.

Ribbentrop vorrebbe conoscere quale è l'esatta nostra situazione a Maiorca e quali sono le intese al riguardo.

Il Duce risponde che Franco concentrando tutta la flotta a Palma ha voluto dare una pubblica prova della sua sovranità sull'isola. Sta di fatto che noi abbiamo costituito a Palma una base navale ed una base aerea: vi teniamo delle navi in permanenza ed abbiamo tre campi di aviazione. Intendiamo restare in questa situazione il più a lungo possibile. Ad ogni modo, bisogna che Franco si persuada che Maiorca deve rimanere, anche dopo una nostra eventuale evacuazione, una base italiana in caso di guerra con la Francia: intendiamo, cioè, tenervi pronte tutte le attrezzature per potere in poche ore fare entrare l'isola di Maiorca nel giuoco effettivo delle nostre basi mediterranee. Valendoci della base di Maiorca, di quella di Pantelleria e delle altre già esistenti ed agguerrite, non un solo negro potrà venire dall'Africa in Francia attraverso il Mediterraneo.

D'altro lato, già 50 mila uomini adesso, e il doppio nel futuro, impegneranno ai confini libici le forze francesi ed inglesi. Si può prevedere che la parte più importante della prossima guerra sarà giocata in Africa. Gli inglesi non amano la guerra terrestre perchè detestano la circoscrizione ed odiano la caserma. Proprio per queste ragioni bisogna imporre loro la guerra terrestre. Quando la Home Fleet è venuta nel Mediterraneo furono subito inviate sette divisioni in Libia. In tal modo si era certi che la tlotta non avrebbe agito. Tale nostro gesto fu giudicato da taluni una provocazione: era invece una garanzia. Bisogna anche aggiungere che le forze terrestri inglesi non possono vivere a lungo in Egitto e soprattutto non vi potrebbero operare. Quelle che furono spostate verso le nostre frontiere in occasione del conflitto etiopico, furono ben presto colpite dalla dissenteria ed ebbero gravissime perdite.

Tornando all'atteggiamento di Franco, il Duce afferma che questi dovrà ne

cessariamente restare legato al nostro sistema politico perché, in primo luogo, la

nostra congiunta pressione ne impedirà il distacco e anche poiché, la sua ideologia

essendo vicina alla nostra, egli si è avviato su una strada dalla quale non gli sarà

permesso retrocedere.

Adesso Franco darà battaglia in Aragona. Anche in questa occasione, che

può essere risolutiva, Franco può contare appieno sul nostro appoggio. Subito

dopo prenderemo contatto per definire nettamente i suoi rapporti politici con noi.

In primo luogo, dovrà aderire al Patto Anticomunista. In secondo luogo, faremo

un patto a tre col quale Franco si ingaggerà ad armonizzare la politica spagnola

con quella dell'asse Roma-Berlino.

Ribbentrop, che in questi ultimi tempi ha avuto frequenti contatti con la Tur

chia; narra come negli ambienti turchi si sia ancora preoccupati dell'atteggiamento

italiano nei confronti di questo Stato. Egli dice che la Turchia sarebbe una buona

carta nel nostro gioco e, a suo avviso, esisterebbe ancora la possibilità di guada

gnarvela. Domanda al Duce spiegazioni circa lo stato attuale dei nostri rapporti

con la Turchia.

Il Duce, dopo avere riassunto l'andamento delle relazioni italo-turche in que

sti ultimi anni, ripete che la Turchia non ha la minima ragione di preoccuparsi

dell'Italia ed autorizza Ribbentrop a far sapere ai circoli responsabili di Ankara

che egli è disposto a dare ancora una volta la garanzia ed a rinnovare la dichiara

zione che l'Italia non ha mire anti-turche, una prova di ciò è data dal fatto che

abbiamo rinnovato il trattato alla sua scadenza3 . Eventualmente saremo anche di

sposti a rafforzarlo.

Ribbentrop parla infine della questione austriaca.

Premettendo che quanto egli dice è a titolo puramente personale, fa presente al

Duce che nel grande gioco della politica di Roma e di Berlino, l'Austria rappresenta

ormai un elemento di secondaria importanza e ritiene che ad un certo momento

converrà risolvere in forma definitiva tale questione, sulla quale ancora speculano i

nemici della politica comune italo-tedesca. Il Duce risponde che l'Austria è un Paese

tedesco di razza, di lingua e di cultura. La questione austriaca non deve venire consi

derata come un problema tra l'Italia e la Germania ma invece come un problema di

ordine internazionale. Per parte sua ha dichiarato, ed ora ripete, che è stanco di fare

la sentinella all'indipendenza austriaca, specialmente se gli austriaci non vogliono più

la loro indipendenza. Il Duce vede così la situazione: l'Austria è lo Stato tedesco

n. 2. Non potrà mai fare niente senza la Germania e tanto meno contro la Germania. L'interesse italiano non è oggi più così vivo come lo era alcuni anni fa e ciò anche per lo sviluppo imperiale dell'Italia che ora ne ha fatto convergere l'interesse sul Mediterraneo e sulle colonie. La Sicilia è il centro geografico dell'Impero. Biso

. gna poi anche aggiungere che a far diminuire l'interesse italiano in favore dell' Austria ha contribuito il fatto che gli austriaci non hanno minimamente modificato il loro stato d'animo freddo e negativo nei nostri confronti. Secondo il Duce, il miglio

re metodo è quello di lasciare agli eventi il loro naturale sviluppo. Non conviene bruscare la situazione per evitare crisi di ordine internazionale. D'altra parte, i francesi sanno che se una crisi si dovesse verificare in Austria, l'Italia non farebbe niente. Questo è stato detto anche a Schuschnigg in occasione del colloquio di Venezia. Noi non possiamo imporre l'indipendenza dell'Austria, che per il fatto stesso di una tale imposizione cesserebbe di essere indipendente. Conviene quindi in materia austriaca rimanere sulla formula che fu enunciata nel colloquio avuto con Goring a Karinal 4 : niente sarà fatto senza reciproca preventiva informazione.

Il colloquio iniziatosi alle 17,30 ha avuto termine alle ore 19.

523 3 Trattato di neutralità e di regolamento giudiziario fra Italia e Turchia del 30 maggio 1928 (testo in Trattati e Conven:::ioni, vol. XXXVIII, pp. 111-118); prorogato di tre anni con Protocollo del 25 maggio 1932 (ihid, vol. XLIV, pp. 335-336); prorogato al 29 aprile 1942 con scambio di note del 31 maggio 1934 (ihid, vol. XL VIII, pp. 150-151 ).

524

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 1933/1026. Ankara, 6 novembre 1937 1•

Ripresa la mia attività dal 2 corrente dopo l'attacco di influenza che mi aveva costretto a letto dal secondo giorno del mio ritorno in Turchia, sono stato ricevuto ieri l'altro da Aras.

Intanto, come ho riferito all'E.V. con telegramma n. 214 del 23 ottobre u.s. 2 , lo avevo già fatto informare sommariamente delle ragioni che rendevano impossibile che la sperata visita di V.E. avesse luogo nel presente periodo. Ma egli era impaziente di sentirne più ampia esposizione, che gli ho fatto appunto il 4 corrente.

Non ho mancato di fargli sentire come l'E.V. fosse scarsamente soddisfatta dell'atteggiamento da lui tenuto a Nyon. Le molte notizie che erano pervenute avevano determinato l'impressione nell'E.V. che egli, almeno in un primo tempo, !ungi dall'ostacolare una eventuale partecipazione attiva dei soviet nel controllo mediterraneo, la aveva incoraggiata, sospinta, giustificata. Se poi in secondo tempo la Turchia, insieme all'Intesa Balcanica, aveva adottato altro atteggiamento che aveva riportato la situazione fuori di ogni pericoloso scoglio, poichè in Mediterraneo non v'è posto per i soviet, ciò non sminuiva la sorpresa determinata dal suo primo indipendente atteggiamento. Del resto, ho aggiunto, vi erano ragioni per supporre che anche il governo turco fosse stato colpito della parte che egli aveva recitata a Nyon nella riunione di apertura.

Si è difeso Aras energicamente negando in pieno di avere tenuto atteggiamento comunque favorevole ai soviet. Solo a non volerli nel Mediterraneo, con la Francia decisa a sostenere Litvinov ed Eden incerto, la sua era stata una manovra tattica che volendo apparentemente spingere ad un massimo la azione sovietica nel Mediterraneo tendeva a mostrare all'Inghilterra quale enorme pericolo ciò rappresentava. Ha citato poi le sue riserve costanti (anche in sede di accordi definitivi quando ha esclu

524 I Manca l'indicazione della data d'arrivo. 524 2 T. 7314/214 R. del 23 ottobre. L'ambasciatore Galli aveva comunicato che, in attesa di avere un colloquio con Aras, aveva già informato il ministero degli Esteri turco che la visita di Ciano doveva essere rinviata.

so che la Turchia potesse lasciarsi trarre a qualsiasi complicazione derivante dalla vigilanza franco-inglese, mentre essa intendeva invece rispettare tutti i suoi accordi con diretta allusione a quelli con l'Italia) e mi ha incoraggiato a leggere verbali ed accordi ora pubblicati dalla S.d.N. verbali ed accordi non finora pervenuti a questa ambasciata. Ha poi ricordato la esclusione delle acque territoriali dovuta a sua iniziativa, la riserva da lui fatta per l'Italia guanto alla zona del Dodecanneso, infine la azione svolta con l'Intesa Balcanica per giungere alla conclusione che la sua azione era nettamente concorde con gli impegni presi con l'E.V. a Milano.

La sua difesa è abile, ed ingegnosa. Ho mostrato di non credervi troppo. Ma subordinatamente e rispettosamente, mi consenta l'E. V. di dissentire almeno in qualche sfumatura dal giudizio che l'E.V. mi ha espresso3 . Non ho alcun tenero per la Turchia, ed ancora meno per Aras, ma in sostanza i soviet sono stati giocati a Nyon, ed a questa canzonatura ha contribuito la Turchia. Aras è quello che è, cioè una scaltra finissima volpe impastata di bugie che si intrecciano si intersecano e si moltiplicano in proporzione astronomica.

Ma è la politica della Turchia, che egli interpreta ed esegue, che ha da eSsere forzatamente ambigua e contradittoria perchè costretta a servire tante diverse ed opposte necessità per mantenersi in equilibrio e continuare ad adoperare la possente arma di ricatto che sono gli Stretti. Ma a Nyon non è tutto male quello che ha fatto Aras. Se vi sono i due aspetti della sua attività, per lo meno si neutralizzano.

Quanto agli appunti che gli furono mossi da Ankara in quel momento e che partirono da Atatiirk (per tutta una notte le comunicazioni telefoniche Ginevra-Ankara furono occupate da conversazioni animate fra Aras ed lsmet e fra Aras ed Atatiirk) se una versione attribuisce il dissenso alla troppa condiscendenza mostrata da Aras verso i soviet, altra ipotesi li attribuisce invece al fatto che Atatiirk, spinto da un malposto amor proprio e da una esagerata fiducia nelle possibilità della sua flotta, avrebbe voluto che le navi turche avessero, almeno in Egeo, un settore di sorveglianza. Avrebbe egli ceduto solo di fronte alla prova dell'ammiraglio Sùkrii Okan (v. rapporto n. 1720/904 del 29 settembre u.s.) 4 che la f1otta turca non aveva mezzi suffìcientì e poi di fronte all'avvertimento di Aras che ciò avrebbe condotto inevitabilmente i soviet in Mediterraneo.

L'amor proprio turco si è allora gettato sulla speranza che l'Italia non partecipasse mai più a Nyon e di qui gli articoli di Yunus Nadi violenti ed insolenti contro di noi (v. proteste fatte dall'incaricato d'affari telespressi nn. 1726/907 e 1761/923 rispettivamente del 29 settembre e 6 ottobre u.s.) 5 alla quale seguì un preciso disappunto allorché l'Italia partecipò al controllo mediterraneo in condizione di parità con Francia ed Inghilterra. Sicché quelle disposizioni di cui ha ora data notizia la stampa e che precisano inattese misure di vigilanza nelle acque turche (v. telespresso n. 1919/1016 del2 corrente)6 devono essere interpretate come un contentino che Atati)rk ha voluto darsi per supplire alla mancata partecipazione turca al controllo mediterraneo, contentino che non potrà essere attuato per deficienza di mezzi.

524 4 Non pubblicato. 524 5 Non pubblicati. 524 6 Non pubblicato.

Nel colloquio con Aras ho poi indicato il secondo motivo del rinvio a tempo indeterminato della visita di V.E., mancato riconoscimento dell'Impero, e il terzo, difficoltà di allontanarsi da Roma nelle contingenze internazionali presenti.

Aras si è reso conto pienamente dell'una e dell'altra ragione. Ha riconosciuto che il mancato riconoscimento dell'Impero (per quanto di fatto la Turchia Io abbia riconosciuto, etc., etc.) avrebbe creato qualche momento imbarazzante se I'E.V. fosse venuta in questo momento. Era perciò riconoscente a V.E. di avere preso questa decisione e la considerava prova di amicizia perché toglieva da possibili difficoltà la Turchia. In tal senso egli si era espresso col governo, dopo la prima comunicazione che gli avevo fatto il 23 ottobre.

Ancora più comprendeva la difficoltà di assentarsi da Roma in questo momento, e si rendeva conto appieno della complessa situazione internazionale.

Ciò non escludeva da parte sua e da parte del governo turco ~nde rammarico per il forzato rinvio, e si nutriva speranza cessasse presto ogni difficoltà sicché la sperata visita potesse realizzarsi. «Le relazioni italo-turche debbono svilupparsi in armonia con Io sviluppo della situazione generale verso uno stabile miglioramento europeo». Questa è stata la sua inequivoca conclusione, che poi conferma il giudizio che ho costantemente espresso all'E.V. La Turchia vuole si uno sviluppo dei suoi rapporti con noi, ma subordinatamente a quello dei rapporti italo-britannici.

Comunque I'E.V. vede subito con quanta finezza egli abbia girato il vero motivo del rinvio della visita e come, apparentemente, abbia accolto di buon grado ogni mia ragione. Ad un collega, con la consueta sua abilità menzognera, che gliene chiedeva, aveva risposto già il 25 ottobre che era necessità turca che la visita fosse rinviata e che egli aveva trovato maniera di fare insinuare al Capo del governo la opportunità che l'Italia prendesse l'iniziativa del rinvio (!!!) Ciò che fa il paio con le affermazioni, fatte a suo tempo, essere stato proprio lui ad incoraggiare quel riavvicinamento bulgaro-jugoslavo che poi invece turba tanto i sonni turchi. Ad altro collega ha detto che si era parlato molto genericamente di tale visita, nulla era stato mai deciso di preciso circa epoca e momento, ed ha ostentato indifferenza.

Aras mi ha poi chiesto se non credevo utile un comunicato alla stampa che chiarisse il rinvio. Gli ho risposto che non ne vedevo la necessità, che anzi un comunicato di tal genere avrebbe potuto suscitare commenti nettamente contrari alle nostre intenzioni. Comunque non potevo consentirvi senza espressa autorizzazione di

V.E. Era però indispensabile che la sua stampa non ne parlasse più. Mentre proprio il giorno prima il Cumhuriyet con la consueta imprudenza ne aveva riparlato. Ha promesso agire sulla stampa turca, rinunciando per ora al comunicato.

«Il tempo che poi trascorrerà da oggi al momento in cui la visita si ripresenterà possibile -ho ripreso --non sarà inutile poiché potremo adoperarci perché dei buoni rapporti attuali fra i due governi e della convinzione di un loro necessario costante progresso ed incremento possano essere convinti, con l'opinione pubblica, anche i molti organi periferici che non ne sono ancora bene persuasi».

Anzitutto la stampa. Gli articoli del Cumhuriyet-Répub!ique del noto Yunus Nadi e contro i quali il R. incaricato d'affari aveva con tanto fondamento protestato avevano suscitato molto sdegno nell'E.V. L'E.V. non riusciva poi a rendersi conto come (proprio avvicinandosi il momento della creduta visita) a quelle note non si fosse in alcun modo risposto. L 'uso è almeno di dichiarare che il giornalista non interpreta il pensiero del governo e che le espressioni ed insinuazioni da lui adoperate e fatte erano riprovate. Non una parola di tal genere era stata detta dal ministro degli Esteri. In più, se all'infuori degli articoli di quel signore intangibile (è arcinoto che egli scrive costantemente sotto ispirazione di Atatiirk) non dovevo lamentarmi del resto della stampa turca. dovevo per altro notare che la intonazione era però negativa. Occorreva si passasse alla positiva. In tal modo la persuasione e la convinzione, cui egli certo teneva al pari di me, sarebbe penetrata in quelle autorità periferiche che mostravano ignorare convenzioni esistenti fra Italia e Turchia, e disposizioni turche stesse per applicare sempre agli italiani il trattamento più favorevole. Si era arrivati al punto di rinviare un processo affinché i due italiani imputati non si recassero al tribunale di convocazione (Kusadasi nella zona di Aydin) poiché in quel territorio si svolgevano le grandi manovre. «Grandi manovre, ho aggiunto, che tutti i modelli di Smirne dicevano immaginassero ~difesa turca di fronte ad uno sbarco in forza di una grande Potenza mediterranea che non poteva essere che l'Italia». Ciò non poteva non avere ripercussioni sulle autorità locali turche e perciò anche questo fatto poteva forse influire sui rapporti italo-turchi proprio alla vigilia di un momento in cui si credeva che I'E.V. sarebbe venuta in Turchia, così come gli articoli villani di Yunus Nadi.

Aras ha subito interrotto· smentendo nella forma più recisa e forzatamente sincera che le manovre avessero il significato dettogli. ed a prova ha aggiunto che di iniziativa di Atatiirk il console generale d'Italia era stato invitato alla rivista, che, sia pure in ritardo, ma ciò. era colpa dello Stato Maggiore, anche gli addetti militari erano stati invitati alla rivista mentre sarebbe stato desiderio di Atatiirk che assistessero a tutto lo svolgersi delle manovre.

Ho subito dichiarato, voluta ironia, ad Aras che gliene parlavo appunto perchè ero sicuro che le manovre potessero avere il significato che tutti i monelli di Smirne dicevano. Disgraziatamente la interpretazione non era mia, ma di altri. E pensavo in quel momento che la decisione presa all'ultimo momento di invitare consoli ed addetti militari, quindi anche rappresentanti consolari e militari italiani, era appunto in rapporto al non equivoco significato che le manovre avevano preso.

Leggo ora nel giornale di Aleppo At Takaddone (rassegna stampa del R. console di Aleppo del 21 ottobre)7 che nel numero del 17 ottobre le manovre di Aydin erano interpretate così come ho voluto espressamente sottolineare ad Aras. E ciò perchè egli potesse pensare che anche tale motivo poteva essere intervenuto, sia pure come causa occasionale ed accessoria, nella determinazione del rinvio della visita, e sentire quindi quanta colpa turca era nella decisione di V.E.

Aras mi ha assicurato (per quello che valgono le sue assicurazioni!) che la stampa entrerebbe nella fase attiva di cui gli avevo espresso il desiderio, appunto per influire nel miglior modo sulla opinione pubblica, e che i servizi del ministero avrebbero ordine di risolvere nel modo più rapido e soddisfacente le questioni in corso cui gli avevo accennato. Che egli abbia dato tali ordini dovrei trovarne prova nella pronta premurosa esecuzione delle varie raccomandazioni rivolte stamani a Numan per alcuni affari e reclami in corso.

Come me e gli altri colleghi che hanno chiesto notizia sulla visita di V.E. Aras ha mostrato, pur con rammarico, una certa indifferenza al rinvio. In realtà,

ciò ha recato infinito disappunto. La stagione politica ad Ankara si era aperta con la visita del ministro degli Affari Esteri dell'Irak, cui erano seguite quella del ministro degli Esteri dell'Iran, del presidente del Consiglio greco, poi del presidente del Consiglio rumeno e dei capi di Stato Maggiore dell'Intesa Balcanica. La Turchia era apparsa luminoso centro attivo ed operante dell'Intesa Balcanica, mentre la fase attuale della sua politica si disegnava chiara e determinata. Dai rapporti di dettaglio con i quali ho riferito all'E.V. nelle ultime due settimane risulta che, se l'amicizia turco-sovietica è in grande affievolimento, l'Intesa Balcanica dava l'illusione di funzionare in pieno (visita di Tatarescu) anche se la Jugoslavia nel suo seno sia un poco in sordina, la amicizia greco-turca «a fini particolari» brillava di rinnovato splendore quasi a contrappreso e difesa dalla amicizia perpetua bulgaro-jugoslava formando quasi parte a sé e forse con intese od approcci militari armonici con i politici. Il Patto di Saadabad 8 garantiva in pari tempo dal Bosforo alla frontiera indiana e dal Caspio al Golfo Persico una aura di pace societaria ed una garanzia militare (il che ha del grottesco) che dovrebbe concretarsi prossimamente in una riunione di capi di Stato Maggiore a Kabul.

Il colmo della stagione politica l'apice trionfale del successo mondiale della politica turca era la visita di V.E., ministro degli Esteri di una Grande Potenza mediterranea!! Ciò compensava, e quanto!!, della assenza dei soviet e per tale occasione le misere e tristi acacie che, con energia da non disconoscersi, ma crescono tuttavia molto a stento su questo altipiano desertico si sarebbero mutate in floride e fronzute quercie. Il sonoro finale cui con crescendo rossiniano si sarebbe arrivati nella stagione autunnale del 1937 è mancato e si sente ben chiaro anche per le burattinesche dichiarazioni di Aras che il disappunto c'è stato e perdura.

Non credo sia per noi il caso di preoccuparsene granché. Se la Turchia occupa e deve certo occupare un grande e decisivo posto nelle nostre finalità storiche, le quali per una migliore nostra posizione nel Mediterraneo orientale debbono tendere come minimo a togliere di mano a questo Stato asiatico l'arma ricattatoria degli Stretti ed a completare strategicamente il possesso delle isole dell'Egeo (baia di Marmarizza), dal punto di vista politico e nel gioco quotidiano del grande scacchiere della nostra azione europea non occupa che una parte secondaria e di riflesso. Le relazioni con essa potranno essere di volta in volta migliori o peggiori, e certo ai tini complementari della nostra azione politica è mio dovere non cessare ogni sforzo e non perdere occasione perchè abbiano magari solo una apparenza migliore e diamo anche solo l'impressione di essere tali. Ma a schietta e durevole sincerità non potranno essere improntate mai 9 .

Mi adopererò perciò, come sempre, ad ottenere quei risultati di apparenza e di superficie che credo soli per ora possibili qui, e spero che l'E.V. non voglia muovermi appunto se non si potrà fare di più, in attesa maturi altra situazione che renda possibile in avvenire ma con sicura nostra utilità e pieno reale significato, la visita dell'E. V. che ormai costituisce un fatale debito nei rapporti italo-turchi 10•

524 s Trattato tra Afghanistan, Iran, Iraq e Turchia dell'8 luglio 1937, in MARTENS, vol. XXXVI, pp. 714-717. 524 9 A fianco di questa frase, Mussolini ha tracciato una grossa freccia. 524 IO Il documento ha il visto di Mussolini.

523 4 Vedi D. 383, nota l.

524 1 Presumibilmcntc durante il recente soggiorno a Roma dell'ambasciatore.

524 7 Non pubblicata.

525

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5387 j1728 R. Berlino, 6 novembre 1937 (per. !'8).

Telegramma per corriere di V.E. n. 17275 P.R. del 2 corrente 1 .

· Le segnalazioni della R. ambasciata di Londra comunicatemi con telecorriere del 2 novembre, mi sono state oggi qui pienamente confermate da Neurath, il quale mi ha anzi aggiunto che le recenti manifestazioni del governo britannico nei riguardi del Portogallo avevano richiamato l'attenzione di quello tedesco al punto da spingerlo a domandare delle spiegazioni a Lisbona. Le spiegazioni ricevute sono formalmente rassicuranti, ma nulla tolgono alla realtà della situazione, e cioè al movimento «aggirante» iniziato effettivamente dall'Inghilterra nei riguardi del Portogallo allo scopo di allontanarlo da una cooperazione con la Germania e con l'Italia.

Il ministro von Neurath trova anzi nella preoccupazione di alienarsi il Portogallo uno dei motivi che hanno indotto l'Inghilterra a venire finalmente incontro al generale Franco. Su questo punto il barone von Neurath ha pure precisato ritenere che la nuova attitudine inglese non, dico non, sia destinata ad esaurirsi nella prima concessione relativa alla istituzione di agenti pseudo commerciali2 .

526

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5390/1731 R. Berlino, 6 novembre 1937 (per. 1'8).

Do in un telespresso a parte 1 il resoconto del discorso tenuto ieri sera dal dottor Goebbels, discorso che mentre tutti si attendevano, dopo la campagna di stampa che l'ha preceduto. fosse principalmente dedicato alla questione coloniale, di colonie non ha neppure trattato, il ministro essendosi limitato a sfiorare l'argomento e anche questo in una maniera indiretta.

Ciò mi ha dato occasione ad una richiesta di precisioni a Neurath, tanto più in vista delle persistenti voci di una prossima presa di posizione del Fuhrer in materia coloniale, che anzi taluni credevano avrebbe assunto la solennità di una decisione del Reichstag.

Il barone von Neurath mi ha detto che effettivamente il dottor Goebbels si è astenuto dal trattare la questione per ordine superiore e ciò in vista della situazione internazionale generale. Noi non abbiamo alcuna intenzione, ha aggiunto von Neurath, di spingere la questione delle colonie all'estremo. Essa sarà tenuta tuttavia sempre «viva» e ciò nella misura necessaria perché l'Inghilterra possa, volendo, compiere un gesto «spontaneo» in materia.

La Germania non si fa peraltro grandi illusioni. Probabilmente, diceva Neurath, l'esperienza dimostrerà che la retrocessione delle colonie alla Germania non potrà essere ottenuta se non con la guerra. Ma appunto una tale prospettiva induce la Germania a non spingere la questione oltre i limiti del pratico e dell'opportuno.

Questo linguaggio di Neurath (del resto coincidente con alcuni accenni fattimi appena due giorni or sono dall'ambasciatore d'Inghilterra) mi sembra indicare un certo cambiamento di tono. Esso è sintomatico tanto più trattandosi di questione che, ancora di recente, aveva ricevuto, sia dal Fiihrer, sia dai principali suoi luogotenenti, il crisma dell'attualità, e, forse, va posto anch'esso in relazione al nuovo apprezzamento che il Fiihrer è stato indotto a fare della situazione economico-finanziaria della Germania (vedasi mio telespresso odierno 2 sulla Restitutio in integrum del dottor Schactht)3 .

525 l Non rintracciato. Ritrasmcttcva probabilmente il T. per corriere 7452/0281 R. del 27 ottobre di cui alla nota 2 del D. 497. 525 1 Il documento ha il visto di Mussolini. 526 l Con Tclcspr. 5374/172 l del 6 no\embrc. l'ambasciatore Attolico aveva riportato ampiamente il contenuto del discorso pronunciato il giorno prima da Goebbcls, osservando che. contrariamente a tutte le previsioni. il ministro non aveva detto niente di sensazionale. tanto da far ritenere che all'ultimo momento il testo del discorso fosse stato modificato per ordini superiori.

527

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4781/2767 R. Londra, 6 novembre 1937 1 .

Telespresso di V.E. n. 230932/371 del 6 settembre u.s. 2

Conformemente alle direttive di V.E. mi sono astenuto dal presentare al Foreign Office una comunicazione ufficiale scritta sul punto di vista del governo fascista riguardo alla questione della penetrazione inglese in Arabia.

Crolla, al quale ho dato istruzioni d'intrattenersi con Rende! nel senso indicatomi da V.E., mi riferisce quanto segue: «Ho detto a Rende! che il governo italiano si propone di trattare la questione della penetrazione inglese in Arabia quando verranno prese in esame -nelle

526 è Telespr. 5368/1716 del 6 novembre. L'ambasciatore riferiva di avere avuto conferma definitiva da von Neurath che il dottor Schacht non avrebbe lasciato, né la Reichsbank, né il ministero dell'Economia Nazionale. Le sue dimissioni erano state respinte da Hitler, presumibilmente a causa della di!fi'cilissima situazione finanziaria della Germania. D'altra parte, osservava Attolico, «per chi conosce Schacht è facile capire che egli non si sarebbe adattato a restare senza almeno un minimo di garanzie circa il rispetto della sua autonomia e soprattutto delle linee finanziarie a cui l'opera sua è costantemente ispirata». Il documento ha il visto di Mussolini.

In un altro documento fTelespr. 5376/1723, in pari data) l'ambasciatore si soffermava sui retroscena dci contrasti avvenuti tra Schacht e Giiring per giungere alla conclusione che, anche se tra i due personaggi si era giunti ad un accordo, «data tuttavia la profondità delle divergenze esistenti, che non sono di persone ma di sistemi e di principii, può sembrare dubbio che l'accordo raggiunto abbia ad avere una sicura consistenza». Al documento è allegato un foglio che dice: «Richiesto dalla Segreteria del Duce lO/XI/XVI». 526 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 527 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 527 2 Non rintracciato.

prossime conversazioni italo-britanniche-le questioni relative appunto all'Arabia e al Mar Rosso. Ho aggiunto che per questo motivo il governo fascista non presentava una comunicazione ufficiale scritta allo scopo di evitare una corrispondenza prima delle previste conversazioni. Ho detto infine che il governo italiano aveva ritenuto opportuno richiamare fin d'ora sull'argomento l'attenzione del governo britannico, sia come indicazione della sua volontà di discuterlo, sia anche perché, esistendo un divario di opinioni fra i due governi sulla portata degli Accordi del 1927 3 , e date le ragioni solide che suffragano il proprio punto di vista, il governo italiano si attende che il governo britannico non proceda oltre nell'azione iniziata, · in omaggio a quello spirito di intesa e di collaborazione che è alla base degli anzidetti Accordi del 1927. A questo punto, ho accennato a Rende! alle informazioni comunicate dal R. consolato in Aden 4 , e di cui al telegramma del predetto R. consolato allegato in copia al telespresso ministeriale n. 230932/371. Ho infine chiesto a Rende! una risposta sulla questione del cosidetto «Amministratore Civile» di Camaran di cui avevo intrattenuto il Foreign Office tempo addietro 5 .

Rende! ha preso nota della mia comunicazione e si è riservato darmi appena possibile una risposta sui punti da me sollevati. Questa risposta, che egli mi ha comunicato in un nostro successivo colloquio, può riassumersi come segue:

l) Penetra::ione inglese in Arabia. Rende! si rende conto della posizione assunta dal governo italiano e dell'opportunità di un mutamento dello statu quo dell'isola di Camaran. Quanto però al titolo di «Amministratore Civile» che viene aggiunto a quello di «Direttore della stazione quarantenaria di Camaran», Rende! sostiene che tale titolo non è una novità. Esso infatti figurerebbe negli atti dei Reggenti la stazione quarantenaria nel corso degli anni passati, e comunque risalirebbe a prima del 1926. I negoziatori degli Accordi di Roma -ha continuato Rende! -non risultano aver mosso obiezioni al riguardo, né aver trovato in tale titolo una incompatibilità con il paragrafo 4 degli Accordi da essi firmati. D'altra parte -ha aggiunto Rende! ·~ non si può dire che fra il titolo e la sostanza vi sia contraddizione, perché dato lo stato primitivo dell'isola Camaran ed il gran numero di pellegrini musulmani sudditi britannici che vi sbarcano, il Reggente la stazione quarantenaria non può fare a meno di esercitare funzioni amministrative o poliziesche, oltre a quelle di carattere puramente igienico e profilattico. Tralascio le mie ovvie repliche a Rendel».

In sostanza, è chiaro che il governo britannico, attraverso sottili distinzioni, ha stabilito di fatto una amministrazione britannica a Camaran e non ha intenzione per ora di recedere da queste sue posizioni. Come non mostra nemmeno di voler recedere da tutta la sua nuova politica nell'Arabia meridionale, tanto più in previsione di prossime eventuali conversazioni italo-britanniche alle quali il Foreign Office vuole giungere, se vi si giungerà, senza aver per nulla compromesso le sue note tesi.

527 4 Si trattava forse del T. 59931136 R. del 31 agosto in cui il console Campini riferiva sull'azione svolta dalla Gran Bretagna nell'Arabia meridionale per ottenere dai sultani e capi locali «una dichiara zione di assoluta fedeltà al Sovrano inglese ed un eventuale concorso militare in caso di necessità dell'Impero britannico». 527 5 Vedi D. 222.

527 3 Vedi D. 23, nota 5.

528

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 4344/2190 R. Vienna, 6 novembre 1937 (per. 1'8).

Perdura, facendo sempre capo a circoli giudaici e a gruppi di emigrati germanici, una certa inquietudine, che diffonde voci, oltre che di concentramenti nazionalsocialisti ai confini, anche di una prossima ripresa di attività violente, o, addirittura terroristiche di gruppi illegali all'interno. Giorni or sono, bastò l'arresto, nei pressi del Ballhaus, di due giovani jugoslavi che poi risultarono innocui, per far parlare di un attentato a Schuschnigg e la stolta voce, attraverso un'agenzia internazionale, la Reuter, varcò i confini, procurando una severa inchiesta di polizia al corrispondente che è austriaco e non alle prime armi con simili invenzioni e imprudenze.

Come ho già riferito (mio telegramma per corriere n. 0246 del 27 ottobre scorso) 1 , nessuna conferma si ha, per il tramite dei vari servizi d'informazione del governo e del Fronte Patriottico, circa propositi aggressivi dall'estero.

Il Cancelliere mi ha detto anche ieri, che le voci di moti violenti all'interno, pervenute anche a lui e fatte individuare nei circoli che ho indicato più sopra, non gli risultano fondate. Le sempre più gravi dissensioni tra i vari gruppi dei nazisti e degli illegali d'altro nome potrebbero dar luogo a qualche conflitto isolato, non ad azioni di qualche portata. Ad ogni modo, la Polizia di Stato e gli altri organi del regime vigilano ed hanno i mezzi per prevenire e reprimere, in sul nascere, ogni tentativo di tal natura. Anche la conferenza mensile dei direttori provinciali di pubblica sicurezza non ha segnalato piani terroristici, ma invece la sempre più energica azione preventiva e respressiva, diretta, disse Schuschnigg, egregiamente da Skubl.

Come ho già rilevato (mio telegramma per corriere n. 0247 del 29 u.sV, il concentramento della politica germanica verso il problema coloniale, determinato dal discorso del Duce, è qui ancora sempre considerato come un diversivo da ogni altra azione violenta che possa turbare, con aperto o tacito assenso di Berlino, la decisa azione del nazionalsocialismo per questo capitale suo postulato.

Tra gli elementi favorevoli della situazione interna in questo momento sono da tenersi presenti, pur senza abbandonarsi ad eccessivi ottimismi e senza rallentare il più vigile controllo:

il risultato delle iscrizioni al Fronte Patriottico prima della serrata del l o novembre;

che si slava manifestando in Austria come conseguenza anche della crescente tensione tedesco-ce coslovacca. 528 2 Con T. per corriere 7473/0247 R. del 29 ottobre, Salata aveva comunicato che a Vienna la solidarietà espressa da Mussolini nei riguardi delle rivendicazioni coloniali della Germania era stata accolta con favore perché si sperava che contribuisse a spingere Berlino a concentrare la sua attenzio ne sul problema coloniale, ponendo in seconda linea il problema austriaco.

l'iniziativa attività dei «referati» provinciali per la pacificazione nazionale in seno al Fronte Patriottico, confermata anche da una riunione dei neonominati «referenti» che ha avuto luogo a Vienna giovedì scorso;

l'accordo intervenuto, dopo sup.erate molte gravi difficoltà, fra il Fronte Patriottico e il cardinale arcivescovo di Vienna per la collaborazione, sotto un'unica direttiva, della Gioventù Cattolica (Concordataria) e la Gioventù del Fronte, accordo che non fallirà di esercitare i suoi effetti anche sul vescovo di Linz che resta il solo a non aver aderito ad un coordinamento della gioventù cattolica nel campo del Fronte Patriottico;

l'accordo tra le comunità protestanti (sinora di larvata tendenza nazista) e il Fronte Patriottico, accordo sancito da un comunicato pubblicato ieri, e dal quale si attende l'eliminazione di «cellule» di propaganda nazista in alcuni distretti della Carinzia e della Stiria, dove sono forti gruppi delle varie confessioni protestanti.

Anche la situazione economica, il cui miglioramento è messo in nuova evidenza dalla discussione molto interessante, ora in corso innanzi al Bundestag, sul preventivo dello Stato per il 1938 e sul programma di opere pubbliche, contribuisce a rafforzare il senso di un progressivo consolidamento di una situazione, che pur essendo ancora, come più volte s'è detto, di equilibrio instabile, non presenta pericoli per il futuro imminente, purché siano evitate scosse violente d'oltre i confini.

L'annunzio prossimo di nuovi convegni internazionali, e specialmente di quello tra Goring e Schuschnigg (su cui riferisco con telegramma per cornere

n. 0251) 3 , sarà atto a chiarire e tranguillare l'atmosfera 4 .

528 1 T. per corriere 7419/0246 R. del 27 ottobre. Il ministro Salata aveva riferito sul nervosismo

529

IL MINISTRO A VIENNA, SALATA, AL MlNISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 4367/2204 R. Vienna, 6 novembre 1937 (per. !'8).

Il Cancelliere Federale mi ha confidato che, durante le solennità in onore della Polizia a Roma, il capo della delegazione germanica, Himmler, avrebbe tenuto ad alcuni membri della delegazione austriaca dei discorsi non solo privi di tatto, ma di una certa gravità come indice di uno stato d'animo che egli ritiene pericoloso.

Al capo della delegazione austriaca, ispettore generale Manda, che gli sedeva vicino a talvola ad un pranzo, Himmler avrebbe rimproverato come un delitto di lesa patria tedesca il fatto che l'Austria aveva condannato a morte nel 1935 alcune guardie di polizia che, venendo meno al loro dovere giurato, avevano partecipato alla congiura che aveva costato la vita al Cancelliere Dollfuss. L'austriaco avrebbe risposto energicamente ma Himmler avrebbe insistito nel suo punto di vista.

528 Il documento ha il visto di Mussolini.

Ad altro delegato austriaco, Himmler, dopo aver chiesto informazioni sulla situazione dell'ordine pubblico in Austria, avrebbe osservato che l'ordine pubblico in Austria dipendeva effettivamente da lui. Egli, essendo capo supremo delle S.S., aveva a disposizione anche i gruppi delle S.S. dell'Austria. Il funzionario austriaco, avendo finto di credere trattarsi dei pochi gruppi di cittadini germanici residenti in Austria, si sarebbe sentito rispondere che egli, Himmler, è capo riconosciuto anche di tutti i gruppi illegali e clandestini nazisti austriaci, più o meno armati, e che basterebbe una sua parola d'ordine per farli insorgere. Il vostro ordine pubblicoavrebbe concluso Himmler -dura finché voglio io!

Il Cancelliere si riserva di esporre a Goring nel prossimo incontro nel Tirolo queste ed altre affermazioni di Himmler. Per essere questi anche capo supremo della Polizia di Stato, le di lui parole, implicano, secondo il Cancelliere, una diretta responsabilità del governo del Reich. A meno che non si tratti di vanterie, le ultime ammissioni di Himmler costituirebbero, sempre secondo il Cancelliere, nuova conferma delle già accertate illecite e pericolose ingerenze del partito nazionalsocialista germanico in Austria, in aperto contrasto con gli Accordi dell'Il luglio e con le ripetute assicurazioni ufficiali.

Il Cancelliere Federale sarebbe grato a V.E. se di guanto precede, potesse essere data notizia a S.E. il Duce 1 .

528 3 Vedi D. 521.

530

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. 1836/228 R.I Roma, 7 novembre 1937, ore 12,40.

V.E. si rechi subito dal ministro degli Esteri e gli comunichi, anche a nome personale del Duce, quanto segue:

l) se il governo fascista fosse stato tempestivamente informato del progetto della Conferenza di Bruxelles di rivolgere un nuovo invito al Giappone 2 , avrebbe dato ordine al suo delegato di opporsi a tale progetto;

2) allo stato degli atti, noi consigliamo il Giappone di opporre un rifiuto a tale invito che, se accettato, farebbe sempre più slittare la questione su un terreno sostanzialmente societario di azione collettiva;

3) se il Giappone rifiuterà l'invito, l'Italia farà nuovamene dichiarare dal suo delegato la sterilità della Conferenza di Bruxelles. Dopo di ciò, intende ritirare la sua delegazione, il che rappresenterà il colpo di grazia alla Conferenza stessa.

Attendo urgentissima risposta 3 .

530 l Minuta autografa. 530 2 Il secondo invito di partecipare ai lavori era stato rivolto al Giappone il 6 novembre. 530 3 L'ambasciatore Auriti rispondeva con T. 1660/503 R. dell'8 novembre che Hirota gli aveva dichiarato di essere contrario ad accettare l'invito alla Conferenza di Bruxelles ma di non poter dare una risposta ufficiale fino a quando il Consiglio dei ministri non avesse preso una decisione in propo

529 l Il documento ha il visto di Mussolini.

531

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7647/499 R. Tokio, 7 novembre 1937, ore 13,55 (per. ore 10,20).

Questo ambasciatore di Germania mi ha smentito notizia stampa circa mediazione Hitler nel conflitto cino-giapponese ma mi ha detto che bisognerebbe adoperarsi affinché esso non si prolungasse ancora.

Andrò sentire domani ministero Affari Esteri perché oggi domenica non vi è nessuno. Noto intanto che notizia è apparsa subito dopo tornato qui questo addetto militare tedesco il quale si era recato Shanghai e che vi potrebbe essere qualche nesso tra tale viaggio e contenuto notizia stessa. I tedeschi, che si sono sempre mostrati assai malcontenti di questo conflitto di cui essi hanno attribuito responsabilità soltanto ai giapponesi, sono sempre apparsi desiderosi del suo pronto termine. D'altra parte, è probabile che gruppo anglofilo giapponese preferirebbe mediazione della sola Germania perché meno invisa di noi all'Inghilterra e perché pensa che farebbe piacere a questa che Italia non vi partecipasse.

In ogni caso, rimane però il fatto che da quanto riferisce R. ambasciatore Shanghai1 momento sembra prematuro e che, quale sia animo dei cinesi, una mediazione è sempre difficile con i giapponesi e sarebbe più che mai difficile oggi, perché più che mai questi sarebbero restii a concessioni durante le operazioni militari le quali, sia pure con loro grave sacrificio, procedono in loro favore 2 .

532

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DEL GIAPPONE A ROMA, HOTTA

APPUNTO. Roma, 7 novembre 1937.

Ho convocato subito l'Ambasciatore del Giappone col quale mi sono espresso secondo gli ordini ricevuti dal Duce e cui ho mostrato copia del telegramma inviato all'Ambasciatore Auriti 2•

L'Ambasciatore del Giappone mi ha detto che già le prime reazioni giapponesi erano contrarie all'accettazione dell'invito. Ha ripetuto che il Governo di Tokio

sito. Si veda, per il seguito, il D. 552. 531 l Vedi D. 486, nota 4. 531 2 Il giorno successivo, l'ambasciatore Auriti telegrafava di essere stato ricevuto da Hirota, il quale gli aveva confermato di ritenere che il governo tedesco stesse sondando Nanchino per sapere a quali condizioni sarebbe stata disposta a negoziare con Tokio. Hirota aveva sottolineato che natural mente ora le richieste dal Giappone erano cresciute e che comunque non gli sembrava ancora giunto il momento per trattare (T. 7675/505 R. dell'S novembre.) 532 l Ed. in L'Europa verso la catastrofe, p. 225. 532 2 Vedi D. 530.

è pronto ad entrare in eventuali conversazioni con la Cina, ma dirette ed assolutamente al di fuori di ogni ambiente di conferenza. È rimasto sinceramente commosso dalla prova di solidarientà datagli dal Duce in questa occasione e mi ha detto che, a suo avviso, il Governo di Tokio gradirà molto che l'Italia svolga un'azione come quella indicata nel qui unito telegramma ad Auriti 3 .

533

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7694/730. Salamanca, 8 novembre 1937, ore 17 (per. ore 20,15 ).

Telegramma di V.E. 782 1•

Questo governo ha ricevuto iersera lettera Plymouth con allegati come indicato da Grandi. Sangroniz me ne ha dato visione iersera stessa aggiungendo che governo nazionale era desideroso rispondere nel termine richiesto ma che comunque non avrebbe risposto prima che fosse nota la risposta di Valencia. Sangroniz personalmente ritiene che risposta di Valencia sarà negativa. Egli è partito stamane per raggiungere Generalissimo in ricognizione fronte Aragona e prendere sue direttive.

Ho provveduto a fargli avere messaggio per Franco nel quale ho sottolineato opportunità che nell'esame dei quesiti e nella preparazione della risposta del governo nazionale tenga presenti le dichiarazioni Grandi del 4 novembre.

Ho inoltre preannunziato le nostre osservazioni alla lettera Plymouth, riservandomi di esporle personalmente al Generalissimo non appena ne sarò in possesso.

534

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7686/447 R. Parigi, 8 novembre 1937, ore 20,05 (per. ore22,25).

Firma del Patto anticomunista e m questi giorni avvenimento politico più commentato da questa stampa. Conferenza di Bruxelles, lavori Comitato di Londra, ecc. passano per il momento in secondo piano.

l) La nuova triplice rappresenta formidabile coalizione dei tre Stati autoritari contro il comunismo ed accentua per conseguenza divisione del mondo su blocchi antagonisti.

2) Patto non avrebbe tuttavia come unico obiettivo creazione di una barriera contro il comunismo ma persegue altro obiettivo più concreto. Esso rappresenta indubbiamente una estensione ed un rafforzamento dell'asse Roma-Berlino nel Pacifico e nell'Estremo Oriente.

3) Molti commentatori si sforzano mettere in rilievo soprattutto presunto carattere antibritannico de: Patto, il quale in caso di conflitto trasferirebbe sul piano mondiale la controversia mediterranea e implicherebbe la rinunzia da parte dell'Italia ad intendersi con la Gran Bretagna o almeno la sua decisione aumentare contrasto itala-inglese.

Sugimura, con cui ho parlato ieri, si mostra soprattutto soddisfatto che firma del Patto abbia svuotata di ogni interesse Conferenza di Bruxelles. Questo ambasciatore di Polonia 1 mi dice essergli stato chiesto da molte parti con evidente apprensione se il suo Paese intendesse aderire all'accordo. Al Quai d'Orsay dove mi sono state richieste notizie sul Patto di Roma, ho risposto in conformità delle istruzioni di V.E. di cui telegramma di V.E.

n. 1830/c.2

532 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 533 l T. 1841/782 R. del 7 novembre. Comunicava che il presidente del Comitato di non intervento aveva inviato ai due governi spagnoli la lettera di cui al D. 516, nota 3 e, in vista della risposta che Franco doveva dare, incaricava l'ambasciatore Viola di attirare l'attenzione del Generalissimo sulle dichiarazioni fatte da Grandi nella seduta del Comitato del 4 novembre (per le quali si veda Relazioni Internazionali, pp. 826-827). Ciano si riservava di far per pervenire a Franco alcune osservazioni allo scopo di armonizzare la risposta del governo di Salamanca con l'azione svolta dall'Italia al Comitato di non intervento.

535

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DEL BRASILE A ROMA, GUERRA DUVAL

APPUNTO. Roma, 8 novembre 1937.

Ho ricevuto questa mattina l'Ambasciatore del Brasile il quale è venuto a parlarmi per la questione delle forniture dei sottomarini, argomento sul quale sono già in corso trattative col Ministero della Marina.

Nel corso del colloquio, l'Ambasciatore brasiliano ha tenuto a felicitarsi per la stipulazione del Patto Tripartito anticomunista e mi ha detto che egli spera, e in tal senso ha già lavorato presso il suo Governo, che il Brasile, molto interessato alla lotta contro il bolscevismo, possa aderire al Patto. Mi ha chiesto in via personale se una tale adesione riuscirebbe gradita. Gli ho risposto che, pur riser

534 2 T. 1830/c. del 5 novembre. Informava che il giorno successivo l'Italia avrebbe sottoscritto l'a desione al Patto Anticomintern ed aggiungeva per norma di linguaggio: «Ne risulta così un patto tripartito anticomunista avente carattere difensivo contro azione disgregatrice del Comintern. Patto non è diretto contro alcuno Stato ed è aperto all'adesione di tutte le Potenze civili. Esso ha un solo obiettivo: difendere comuni ideali di civiltà e ordine contro tentativi di sovvertimento da parte Inter nazionale Comunista». 535 l Ed. in L'Europa verso la catastrofe. p. 226.

vandomi una risposta ufficiale ad una domanda ufficiale, ritenevo che certamente l'adesione del Brasile, maggiore Stato del Sud-America, sarebbe stata bene accetta ai tre firmatari 2 .

534 1 Jules Lukasiewicz.

536

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DELL'U.R.S.S. A ROMA, STEIN

APPUNTO. Roma, 8 novembre 1937.

Questa mattina ho ricevuto l'ambasciatore dei Soviet, signor Stein, il quale mi ha fatto la seguente comunicazione: «D'ordine del mio Governo vi comunico che l'U.R.S.S. considera la stipulazione del Patto Tripartito italo-tedesco-giapponese come contrario al Patto di amicizia non aggressione e neutralità esistente tra i nostri due Paesi. Considera inoltre la vostra adesione al Patto antibolscevico come un gesto inamichevole verso Mosca. Non ho altro da dire».

Ho risposto testualmente: «Prendo atto della vostra comunicazione della quale informerò il Duce. Neppure io ho altro da dire». Dopo di che mi sono levato in piedi e l'ho accompagnato alla porta.

537

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI UNGHERIA A ROMA, VILLANI

APPUNTO. Roma, 8 novembre 1937.

Ho avuto questa mattina un colloquio con il Ministro Villani, il quale, d'ordine di Kanya, ha tenuto a scusarsi per l'atteggiamento di alcuni giornali ungheresi nei nostri confronti 2 , mettendo contemporaneamente in chiaro la nessuna responsabilità del Governo in tale questione dato che mancano, almeno per ora, al Governo stesso i mezzi per frenare la stampa in gran parte di proprietà ebraica.

Il Ministro Kanya propone, soprattutto ai fini di far cessare le insinuazioni francesi ed inglesi circa una minore compattezza nel gruppo degli Stati firmatarì

Il testo di questo appunto fu telegrafato (T. 1850/c. R. dell'8 novembre) all'ambasciatore a Rio de Janeiro «per sua informazione personale>> e agli ambasciatori a Berlino e a Tokio perché ne dessero notizia riservata a quei governi. Successivamente, Ciano telegrafava all'ambasciatore Lojacono: «Conviene cominciare a far sollevare questione adesione al Patto tripartito di codesto Stato da parte di qualche giornale amicm> (T. 18561187 R. del IO novembre. La minuta del telegramma è autografa di Ciano). Ma qualche giorno dopo Attolico riferiva che era opinione dell'ambasciatore del Brasile a Berlino che il passo compiuto dal suo collega presso Ciano fosse dovuto ad una iniziativa personale. L'ambasciatore Moniz de Aragao riteneva che il Brasile non avrebbe potuto aderire al Patto tripartito prima di un certo tempo per non dare «inutile esca a coloro che in Inghilterra, e specialmente in Francia, insinuano che il colpo di Stato di Vargas sia dovuto ad intrighi itala-tedeschi>> (Telespr. 5579/1890 del 13 novembre). 536 1 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 225-226. 537 l Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 227-228. 537 2 Si vedano i DD. 452, 456 e 459.

641 dei Protocolli di Roma, di indire al più presto una delle riunioni periodiche dei tre Ministri degli Esteri, dato che l'ultima ebbe luogo a Vienna esattamente un anno fa. Questa volta la riunione dovrebbe aver luogo a Budapest, ma il Ministro Kanya sarebbe disposto a venire a Roma qualora ciò apparisse a noi più conveniente. Suggerirebbe per tale riunione, alla quale annette molta importanza, il prossimo dicembre o il gennaio.

Ho risposto a Villani, riservando ogni decisione definitiva al Duce, che in linea di massima non vedevo obiezioni alla riunione, ma che comunque non ritenevo possibile farla in dicembre in considerazione degli impegni già assunti.

Il Ministro Villani mi ha detto che il suo Governo gradirebbe una risposta in merito non appena possibile 3 .

535 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

538

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6978/1922 R. Washington, 8 novembre 1937 (per. il 22).

Le ripercussioni del Patto tripartito italo-germanico-giapponese sono state vaste in questo Paese. Sebbene l'accoglienza sia stata, com'era da prevedersi, ostile, il linguaggio adoperato non è stato eccessivamente vivace, ciò che va ascritto a due ragioni: in primo luogo la cosa era in parte già scontata perché di questo patto se ne parlava da lungo tempo; in' secondo luogo la preoccupazione suscitata da tale fatto è stata così forte che non si sono volute ancora caricare le tinte, secondo l'abitudine di questa stampa.

Per rendersi conto di tale preoccupazione bisogna considerare che qui si ritiene che l'obiettivo della lotta contro il comunismo sia un semplice pretesto, ma che gli scopi del patto vadano molto più in là. A questo scetticismo dà motivo il fatto che l'opinione generalmente prevalente in America è che la lotta che il Giappone combatte in Cina sia dettata soltanto da suoi interessi espansionistici e che non abbia nulla a che fare col comunismo; anzi, si fa colpa al Giappone di spingere la Cina nelle braccia del comunismo in quanto essa, di fronte alla minaccia giapponese, deve andare a cercare l'aiuto da qualunque parte venga senza possibilità di discriminazione.

Si interpretano poi alcune frasi del Patto e del Protocollo addizionale nel senso che scopo dell'accordo è di non limitare l'attività ai tre Paesi in questione ma di estendere la propria cerchia di azione anche al resto del campo internazionale, venendo così ad interferire nella politica interna degli altri Paesi. Inoltre, come prova di questo scopo più vasto dell'accordo tripartito, stanno alcune dichiarazioni ufficiose fatte a Roma che ammetterebbero tale allargamento ed alcuni articoli, come quello della Voce d'Italia, dove si fanno i calcoli delle forze militari a disposizione del nuovo blocco. Anche il fatto che tale accordo sia stato firmato in piena

guerra cino-giapponese dà allo stesso, secondo l'opinione qui prevalente, un carattere di politica eminentemente positiva piuttosto che di tendenza ideologica.

Si osserva anche che, se ci fosse stato soltanto lo scopo di combattere il propagarsi dell'idea comunista, l'Italia avrebbe potuto aderirvi fin da principio, comunque non ci sarebbe nessuna ragione specifica perché quest'adesione sia avvenuta appunto nel momento attuale. Si vanno a cercare quindi altre ragioni per spiegare la scelta del momento, ragioni che tutte più o meno si possono ricondurre a queste due principali:

Da una parte, si dice che il discorso del Presidente Roosevelt di Chicago 1 con la minaccia della quarantena, l'accoglienza fatta a tale discorso negli Stati democratici, la Conferenza di Bruxelles che è stata un po' una conseguenza di tale atteggiamento delle democrazie tutti questi fatti abbiano spinto l'Italia a passare il Rubicone e dare la sua adesione negata antecedentemente; d'altra parte, si dice che l'accordo è stato firmato sotto una forte pressione da parte della Germania e, secondo qualche commento, dopo che la Germania si è dichiarata disposta ad una alleanza militare alla quale non voleva dapprima legarsi per non disgustare la Gran Bretagna. In genere, si vede in questo patto una più profonda scissione fra i due gruppi di Potenze mondiali ed un nuovo ostacolo per un'intesa italo-inglese, su cui qui molto si sperava e che oggi, secondo le impressioni di qui, anche se raggiunta (e si pensa che sarà raggiunta), non potrebbe più avere lo stesso carattere di sincerità e le stesse prospettive di durata.

Il Dipartimento di Stato ed i circoli ufficiali e di ispirazione ufficiale mantengono il più grande riserbo tricerandosi dietro la dichiarazione che non hanno alcun commento da fare a tale riguardo.

Per informazioni indirette e per mie impressioni dirette devo tuttavia ritenere che tanto i circoli politici che quelli militari siano grandemente allarmati per l'avvenuto accordo tripartito. C'è particolarmente un punto che interessa l'America ed è messo in rilievo in quasi tutti i commenti della stampa; quello, cioè, che alcuni Stati dell'America meridionale che, per le difficoltà interne potrebbero essere indotti a ricorrere a regimi dittatoriali, vogliano aderire al patto anticomunista venendo così a rompere quella unità degli Stati americani (certamente più formale che sostanziale) che era stata la particolare fatica del Segretario di Stato e che aveva dato occasione a così magniloquenti affermazioni del Presidente Roosevelt sulla politica di buon vicinato da essere additata come esempio all'Europa riottosa. Quanto avviene in questi giorni in Brasile dà corpo a tale presunzione.

Quale sarà la conseguenza di tanti commenti e di tanti allarmi? Per ora, credo si possa affermare: nessuna. Siamo ancora in fase di involuzione dopo la posizione quasi di punta presa dal Presidente Roosevelt col suo discorso di Chicago che, sebbene da noi non possa essere giudicato favorevolmente, si potrebbe tuttavia chiamare, dal punto di vista democratico, un atto di coraggio. Il Presidente ha preso successivamente paura di questo suo coraggio, e più ancora il governo federale; ed oggi lo si sta scontando. Quindi, come conseguenza diretta dell'accordo tripartito non ritengo siano da attendersi delle manifestazioni esteriori denotanti un ulteriore avvicinamento dell'America agli Stati democratici per non urtare maggiormente i Paesi dittatoriali.

Come conseguenza più lontana va tenuto conto di due elementi:

l) che l'accessione dell'Italia all'accordo tedesco-giapponese, in quanto tale accordo si manifesti vitale ed operativo, mette definitivamente l'Italia nel campo degli interessi politici contrari a quelli americani;

2) il carattere aggressivo che si vuoi trovare per forza nell'intesa italo-tedesco-giapponese, accompagnato da una opportuna propaganda, di cui si vedono già i sintomi, può portare il Paese a delle forme più attive di difesa e di resistenza. Per spiegare meglio questo secondo punto dirò che, mentre in un primo tempo è probabile che gli Stati Uniti, di fronte al pericolo di essere coinvolti nella politica di un blocco contro un altro blocco, si tirino indietro, in un secondo tempo, sulla base del preconcetto che il gruppo delle Potenze fasciste abbia dei fini aggressivi a danno delle Potenze democratiche (idea che viene largamente sfruttata anche dagli scrittori più accreditati come Walter Lippmann e la Dorothy Thompson), è da attendersi che gli Stati Uniti si sentano direttamente minacciati e vada a crearsi una maggiore solidarietà d'interessi fra le cosidette grandi Potenze democratiche. Naturalmente molto dipenderà dagli sviluppi futuri dell'accordo tripartito e soprattutto dall'adesione che allo stesso potranno dare altri Paesi. Se tale accordo potesse avere largo seguito nei Paesi europei di tendenze più o meno totalitarie e nei Paesi dell'America del Sud che seguono le stesse tendenze, forse qui ci penserebbero due volte prima di stringere legami più stretti con un gruppo dÌ Potenze che fosse avver!;iato da un blocco così considerevole.

Comunque, l'impressione che si ha in America -almeno per ora -è che l'accordo non sia una delle tante intese transeunti che lasciano il tempo che trovano, ma che stabilisca una precisa nuova fase nella politica mondiale.

Non escludo poi che quest'accordo abbia sulla politica americana una portata più vasta di quello che si possa a prima vista pensare: in America, con l'ingenuità e la presunzione proprie di questo Paese, si era abituati a considerare che la ribellione delle Potenze fasciste contro l'ordine costituito a favore delle grandi democrazie, fosse un movimento preoccupante e pericoloso ma che infine dovesse essere domato dalla preponderanza numerica e dalla prevalenza finanziaria delle democrazie stesse e dei Paesi che agiscono nella loro orbita.

Un così potente raggruppamento di forze come quello costituito delle Nazioni aderenti al Patto tripartito comincia a far dubitare gli americani che l'equilibrio da loro preconizzato possa essere sconvolto e rovesciato.

537 3 Il documento ha il visto di Mussolini. Il 13 novembre, Ciano telegrafava alla legazione a Budapest di avere informato il ministro Villani che non aveva obiezioni «a che la riunione potesse aver luogo a Budapest nella prima quindicina di gennaio, salvo a stabilire la data precisa» (T. 1888/219 R. del 13 novembre).

538 l Vedi D. 404.

539

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, E A SALAMANCA, VIOLA

T. PER CORRIERE 1855/424 (Berlino) Roma, 9 novembre 1937, ore 17,30. 783 (Salamanca) R.

(Per Berlino). Ho telegrafato a Salamanca quanto segue: (Per tutti). Per Viola. Segreto. Ritengo che meriti particolare attenzione l'attuale nuovo atteggiamento dell'Inghilterra nei riguardi del generale Franco. Men

tre mi riservo in proposito ulteriori istruzioni e più precise comunicazioni. La interesso fin d'ora a seguire con ogni cura le ripercussioni che esso provoca presso il Generalissimo e specialmente in taluni ambienti della Spagna Nazionale. Ella vorrà adoperarsi in modo che i suoi contatti con Franco siano d'ora in poi sempre più intensi, concordando con codesto rappresentante tedesco una vigile azione parallela che risponda allo scopo di far sì che la politica del Generalissimo sia sempre in stretta armonia con sistema dell'asse Roma-Berlino, in conformità alle comuni ideologie, evitando qualsiasi possibilità di sbandamento.

(Per Berlino). Informi Neurath di quanto precede prospettandogli l'opportunità che analoghe istruzioni siano impartite a Salamanca dal governo tedesco 1•

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 4782. Londra, 9 novembre 1937 1•

Ti mando intanto, con questo primo corriere che parte stasera, il «documento fotografico» delle ripercussioni nella stampa britannica del Patto italo-tedesco-giapponese. Come Tu avrai rilevato, questo è l'avvenimento che, dopo la costituzione dell'Asse Roma-Berlino esattamente un anno fa, ha più richiamato l'attenzione e l'interesse degli Inglesi. Questi giornali ti dànno la misura della vastità, in senso dirò così «orizzontale» delle ripercussioni. Rimangono naturalmente da esaminare le ripercussioni «in profondità», e questo mi riservo di farlo dopo aver controllato scrupolosamente le mie informazioni e dopo che mi sarò fatto un'idea netta e precisa della situazione.

Ti posso dire sin d'ora, dopo un primo esame sommario, che l'avvenimento è stato inteso in tutta la sua importanza, tanto negli ambienti del Governo, quanto del Partito Conservatore e delle sinistre. Ho l'impressione che il colpo abbia colpito il centro del bersaglio, sotto ogni punto di vista.

Alcuni episodi verificatisi nella giornata di avant'ieri, di ieri e di stamani possono dare un quadro pittoresco della situazione.

Il Fronte Popolare da tre giorni sta battendo e suonando tutti i campanelli di allarme per «sollevare», come dicono i francesi, l'opinione pubblica britannica e portarla ad una specie di contropatto di difesa delle democrazie. I messaggeri del Fronte Popolare stanno volando da tre giorni fra Croydon e Le Bourget sperando di persuadere gli Inglesi a concludere un'intesa franco-anglo-sovietica.

I Conservatori, allarmati dal Patto di Roma, e anche da questo andare-vieni di calabroni da Parigi, si stanno ritirando come le lumache, e intanto hanno di

chiarato che un contropatto franco-anglo-sovietico in questo momento è fuori questione. Ne è venuto fuori ieri sera una chiassata ai Comuni in tema di riconoscimento o non riconoscimento dei Nazionalisti spagnoli. Non ho mai, in questi ultimi mesi, registrato una seduta più tempestosa di quella di ieri sera ai Comuni. La Spagna era il falso bersaglio polemico e dialettico. In realtà il Patto di Roma era il solo vero incubo presente all'Assemblea.

I laburisti, montati dai messaggi di Blum, si sono scagliati contro Eden tacciandolo di traditore. Eden, preso alla sprovvista, ha reagito con una frase poco parlamentare di cui si è subito tuttavia pentito domandando scusa al Presidente dell'Assemblea. Il pandemonio è durato venti buoni minuti. Chamberlain ha assistito alla scena imperturbabile, come fingendo di non acorgersi di tutto quello che stava accadendo.

Delbos, nella giornata di ieri, ha cercato di ripresentare a Londra la proposta fatta à Bruxelles, per un patto franco-anglo-americano per la difesa delle democrazie, lasciando cioè da parte la Russia e sostituendo quest'ultima cogli Stati Uniti. Eden ha detto di «si» a Bruxelles, poi ha dovuto dire di «no» a Londra per la semplice ragione che, né gli Stati Uniti d'America, né il Gabinetto britannico intendono mettersi per questa strada.

Ieri mattina Eden è rimasto per due ore in conferenza con Vansittart e colla banda dei suoi fidati funzionari al Foreign Office. Problema: che cosa si può fare per neutralizzare il Patto di Roma. Non vi sono -ha concluso la banda ~--che tre strade: o, come vorrebbero i francesi, un patto di difesa delle democrazie, ovvero intensificare l'azione di ravvicinamento con la Germania, ovvero quella di avvicinare finalmente l'Italia lasciando mano libera a Chamberlain. La riunione si è sciolta senza alcun risultato.

Stamani, tuttavia, ho ricevuto la curiosa ed inaspettata visita all'Ambasciata di Leeper 2 , Capo dell'Ufficio Stampa al Foreign Office, consigliere di assoluta fiducia di Eden, all'influenza del quale si fa risalire gran parte dell'attitudine anti-italiana e anti-fascista di Eden. Leeper è venuto con la scusa di parlarmi dei nuovi impianti radio stabiliti a Londra allo scopo di controbbattere la propaganda italiana in lingua araba e per dare un'assicurazione che questo servizio di propaganda recentemente istituito non intende svolgere azione contro l'Italia?!! In realtà Leeper è venuto, come egli stesso ha finito col dire, per avere una seria discussione di politica generale, e tastare il terreno. Sarebbe troppo lungo riprodurre questa conversazione, durante la quale io non ho trascurato, naturalmente, di dire tutto quello che possa suonare il più possibile sgradevole agli orecchi del suo padrone.

Ieri sera dopo pranzo mi sono incontrato anche col fiduciario di Chamberlain 3 , il quale mi ha dato invece una sensazione alquanto çliversa da quella del

risulta che l'incontro era avvenuto -il 6 novembre -su richiesta di Grandi e che Grandi aveva insistito per una rapida ripresa delle conversazioni itala-britanniche come mezzo per bloccare la ma novra in atto da Berlino per realizzare un'alleanza tra Italia e Germania. Sempre secondo il resocon to di Leeper, Grandi aveva anche dichiarato di ritenere che in un accordo generale tra Roma e Londra avrebbe certo potuto trovare posto l'impegno dell'Italia alla completa evacuazione di Maiorca. 540 3 L'avvocato Adrian Dingli.

fiduciario di Eden. Chamberlain, tutto sommato, non ha sgradito che le cose siano andate così. Non vi è dubbio che per Chamberlain il Patto di Roma è uno strumento per dimostrare il fallimento della politica estera di Eden.

Altro episodio abbastanza interessante. Nel pomeriggio di ieri ha avuto luogo la periodica riunione del Comitato di Difesa Imperiale (che corrisponde più o meno alla nostra Commissione Suprema per la Difesa). L'Ammiraglio Chatfield, che è il Capo di S.M. Generale della Marina Britannica, prendendo lo spunto dalla conclusione del Patto italo-tedesco-giapponese, ha vivacemente deplorato che la politica estera inglese non sia riuscita a impedire questo avvenimento che egli ha definito non di buon augurio per la Gran Bretagna ed ha insistito perché si finisca una buona volta con questa politica di ostilità all'Italia. L'Ammiraglio Chatfield ha continuato dicendo che l'Inghilterra non può resistere colle sue attuali forze navali ad una minaccia in atto contemporaneamente in Estremo Oriente, nel Mare del Nord e nel Mediterraneo. Il Mediterraneo, pur rimanendo la grande arteria del traffico imperiale, diventa praticamente un «cui di sacco» per la difesa navale delle comunicazioni imperiali.

Tuttociò soltanto per darti la sensazione del <<movimento» suscitato in questi giorni dal Patto di Roma.

È troppo presto per esprimere un giudizio meditato e pesato. Mi limito per il momento a registrare la confusione e il disorientamento che l'avvenimento ha determinato nel campo avversario. Questa confusione e questo disorientamento sono soprattutto la conseguenza di un turbamento improvviso in quelli che sono stati sino a tre giorni fa i calcoli precisi delle politica inglese, e particolarmente dell'azione di Eden e di Vansittart. La tesi di Eden e di Vansittart, specialmente durante questi ultimi mesi, è stata, ed è la seguente: «L'asse Roma-Berlino non ha dietro di sé se non una solidarietà di carattere ideologico la quale non resisterà alla prova di quelli che sono e rimarranno gli interessi divergenti della politica italiana e della politica tedesca. L'Asse Roma-Berlino è un bluff; il quale non andrà oltre ad un'azione puramente dimostrativa, e a un vicendevole e limitato appoggio diplomatico. L'attitudine tedesca nei confronti della questione spagnola lo dimostra. Di fronte all'improvviso pericolo di un serio impegno nel Mediterraneo la Germania si è affrettata a ritirare le sue navi limitando la sua solidarietà coll'Italia ad un appoggio nella stampa nazista e nel Comitato di non intervento. Nell'eventualità di un conflitto nel Mediterraneo, l'Italia rimarrà dunque sola di fronte alla Francia e all'Inghilterra. Tanto più rimarrà sola -dicono sempre Eden e Vansittart-se, al momento opportuno, potrà essere data alla Germania, come premio della sua buona condotta, qualche soddisfazione nella questione coloniale. Quindi, politica intransigente nei confronti di Roma e politica di lusinga e di intesa nei confronti di Berlino. Bisogna portare la Germania al punto di dover scegliere tra Londra e Roma. La Germania sceglierà Londra».

Questa è stata sinora la base dei calcoli della politica estera ufficiale del Foreign Office.

Non vi è dubbio che la firma del Patto itala-tedesco-giapponese ha introdotto in questi calcoli, tutto d'un colpo, un forte turbamento. Per questa gente, negata a comprendere la vita e la Storia come potenza, il Patto di Roma è stato come una

rivelazione improvvisa di una realtà che essi negavano soltanto perché non era stata ancora consacrata in un Atto solenne e formale. Adesso vediamo se e che cosa nascerà. Per il momento va registrato con grande soddisfazione che i nostri nemici hanno accusato il colpo. Poi vedremo.

539 l L'ambasciatore Attolico rispondeva, con T. per corriere 7765/0118 R. dell'Il novembre: «Ho comunicato a Neurath il contenuto del telegramma di V.E. n. 1855/424 del 9 corrente. Egli mi ha detto di essere perfettamente d'accordo e di avere anzi verbalmente già dato istruzioni a Stohrer in senso analogo». 540 l Manca l'indicazione della data d'arrivo.

540 2 Su questo colloquio si veda il resoconto dello stesso Leeper (in BD, vol. XIX, D. 297) dal quale

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 7728/807 R. Londra, 10 novembre 1937, ore 17,36 (per. ore 22).

Vansittart mi ha ieri sera pregato passare da lui per dirmi che governo inglese avrebbe assai apprezzato se il ministro Ciano volesse recarsi Bruxelles e fosse così possibile incontro Ciano-Eden per esaminare situazione generale fra i nostri due Paesi e creare atmosfera favorevole graduale inizio conversazione di carattere concreto fra i due governi. Eden si tratterrà pochi giorni a Bruxelles, ragione per cui Vansittart mi pregava di far conoscere con cortese urgenza a V.E. quanto sopra.

Ho fatto presente che, allo scopo non creare aspettative sproporzionate alla realtà e possibili susseguenti delusioni, era opportuno preparare tale incontro facendolo precedere da conversazioni di carattere concreto per il normale tramite diplomatico.

Vansittart mi ha risposto che effettivamente questo era stato il tenore delle conversazioni fra Perth e V.E. 1 , ma che tanto Chamberlain quanto Eden si permettono di insistere nuovamente sull'invito e sulla proposta per un incontro fra Eden e V.E. a Bruxelles in quanto che governo inglese ritiene che ciò non mancherebbe ..... 2

Vansittart ha continuato insistendo essere vivo desiderio tanto di Chamberlain quanto di Eden che si «sgelasse» finalmente situazione e che mezzo migliore sarebbe cominciare con contatti di carattere generale fra Eden e Ciano a Bruxelles.

Ho risposto a Vansittart che non avrei mancato naturalmente di trasmettere a

V.E. quanto egli mi diceva. Ho osservato che una diecina di giorni fa lord Perth aveva fatto a V.E. analoga comunicazione e che V.E., pur non escludendo possibilità recarsi a Bruxelles ..... 3

Conferenza Bruxelles, d'altra parte, permetterebbe uno scambio diretto d'idee fra Eden e V.E. senza appunto correre i rischi ai quali V.E. si è riferito nella sua conversazione con Perth. Questo è tutto quanto dettomi da Vansittart4 .

541 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppi mancanti». Il testo da Londra dice: «certamente di creare la condizione favorevole per l'inizio e lo svolgimento di conversazioni ulteriori». 541 3 Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppi indecifrabili». Il testo da Londra dice: «aveva fatto presente che al fine di non creare aspettative sproporzionate alla realtà e possibili susseguenti delusioni era opportu no preparare tale incontro facendolo precedere da conversazioni di carattere concreto per il normale tramite diplomatico». 541 4 Il documento ha il visto di Mussolini e l'annotazione autografa: «No».

Successivamente l'ambasciatore Grandi telegrafava: «Mi permetto con l'occasione suggerire che risposta passo fatto iersera con me da Vansittart venga data per il tramite codesta ambasciata britannica per l'ovvio interesse da parte nostra fissare nuovamente responsabilità britannica per ingiustificato ritardo nell'inizio conversazioni Ciano-Perth prevista nello scambio lettere tra Chamberlain e il Duce nel luglio scorso» (T. 7727/807 bis R. del IO novembre).

541 l Vedi D. 500.

542

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7747/196 R. Rio de Janeiro, Il novembre 1937, ore 2,16 (per. ore 9,50).

Intero Paese risponde finora con perfetta calma e con sentimenti di adesione al colpo di Stato con cui Getulio Vargas ha infranto costituzione democratica sostituendola con nuovo Statuto che concentra prerogative del governo nel potere esecutivo e adotta principi sociali economici e di giustizia del lavoro del regime fascista corporativo. Costituzione che conserva forma federale sarà sottoposta a referendum, nell'intesa che sua approvazione significherà permanenza Vargas al potere per altri sei anni.

Gabinetto rimane per ora nella composizione attuale ove carica di ministro della Giustizia e dell'Interno è stato assunto da Francisco Campos il quale non è integralista per la semplice ragione che da molti anni si qualifica democratico. A lui devesi elaborazione della nuova costituzione, evidentemente preparata da prima.

Tranquillità assicurata da Forze Armate nel Paese nonché accurata preparazione morale per garantire successo Vargas, sono risultate ottime.

Sebbene integralisti non appaiano ancora nel governo, né vi siano allusioni esplicite all'azione decisiva da essi spiegata, prevale nelle loro gerarchie grande letizia per il fatto che il nuovo regime appare plasmato sopra loro programma. In questo momento avvertesi che non mancherà l'occasione per definire loro precisa posizione futura nel governo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T.l867/788 R. Roma, 11 novembre 1937, ore 2,30.

Hassell mi ha detto che governo tedesco dà istruzioni al suo rappresentante a Salamanca di dire a Franco di non rispondere al Comitato di non intervento di Londra se non dopo che conoscerà risposta di Valencia. Governo tedesco chiederà inoltre a Franco di far preventivamente conoscere a Berlino e a Roma testo della sua risposta per poterla armonizzare con l'azione da svolgere in seno al Comitato.

Trovo molto giusto ed opportuno questo modo di vedere. Prego V.E. di prendere contatti con suo collega tedesco ed esprimersi analogamente con Franco 1 . Telegrafato contemporaneamente a Lisbona perché governo portoghese agisca analogamente su Franco2•

543 l Per altre istruzioni inviate all'ambasciatore Viola a questo proposito, si veda il D. 516, nota 4. 543 2 Con T. 7766/269 R. del 12 novembre, il ministro Mameli comunicava di avere avuto assicurazioni che da parte portoghese si sarebbe agito nel senso desiderato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO

T. PERSONALE SEGRETO NON DIRAMARE Roma, Il novembre 1937, ore 3. 17795/192 P.R. l

Qualora in questi giorni che precedono la conclusione della loro campagna, gli integralisti abbiano bisogno di un maggior aiuto finanziario da parte nostra, sono molto favorevole a concederlo. V.E. mi farà conoscere se del caso l'eventuale misura, che potrà anche essere abbastanza larga.

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INFORMAZIONE DIPLOMATICA N. 61

II novembre 1937.

Negli ambienti responsabili romani, è stato notato il discorso pronunciato dal Primo Ministro inglese al banchetto per l'insediamento del sindaco di Londra 2• Nei suddetti ambienti si fa in primo luogo osservare che nessun Paese del mondo offre tante pubbliche proclamazioni quanto la Gran Bretagna. Si può dire che avvengono quotidianamente e non sempre opportune e qualche volta dannose, da parte di uomini che sono al Governo, o furono al Governo o torneranno al Governo, da parte di deputati e senatori, da parte di uomini responsabili o meno, in qualsiasi più o meno appropriata sede. Nel confronto la condotta italiana è ispirata alla più grande laconicità, dal momento che i capi responsabili fanno due o al massimo tre pubbliche proclamazioni durante un interno anno e in circostanze particolari e per indicare al popolo quali sono le direttive maestre della politica italiana.

Ciò precisato, negli ambienti romani si è notato che il Chamberlain ha rinunciato a credere o sperare in un indebolimento dell'asse Roma-Berlino, per cui prescindere da questo dato di fatto sarebbe inutile e assurdo quando si voglia procedere a un regolamento delle questioni in sospeso. Il Chamberlain ha ripetuto che il Governo Britannico desidera un'intesa con Roma e con Berlino indipendentemente dai loro regimi interni.

Questa dichiarazione va segnalata, anche perché avviene all'indomani delI' Accordo T ripartito di Roma che ha suscitato grandi e non sempre intonati

545 l Minuta autografa di Mussolini. 545 2 Nel discorso pronunciato in quell'occ~sione, il 9 novembre, Chamberlain aveva detto, a proposi to dei rapporti con le Potenze dell'Asse: «E sincero desiderio del governo britannico di vedere questi rapporti stabiliti su di una base di mutua amicizia ed intesa ma siccome riteniamo che tale intesa, che potrebbe avere grandi effetti nel ricreare la fiducia e la sicurezza in Europa, sarà meglio conseguita per mezzo di conversazioni diplomatiche anziché mediante pubbliche dichiarazioni, desidero trattenermi stasera dal pronunciare altre parole su questo argomento.

commentari negli ambienti delle cosidette democrazie, mentre i suoi scopi e limiti sono nettamente definiti nel testo reso pubblico, il solo, perché altri non ne esistono.

Infine, negli ambienti romani, mentre si constata una direttiva coerente e logica nelle manifestazioni politiche del Primo Ministro inglese, si pensa che non si dovrebbe più a lungo tardare per conversare e concludere attraverso le normali vie diplomatiche (metodo che ha sempre avuto le predilezioni del Governo fascista), altrimenti si potrà pensare che tutto ciò è fatto a scopo interlocutorio o cloroformizzatore.

Calcolo errato, perché nessuno si farà cloroformizzare o sorprendere.

544 l Minuta autografa.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 5493/1769. Berlino, 11 novembre 1937 (per. il 12).

Con mia lettera del 9 corrente n. 5435/1747 1 richiamavo la tua attenzione sopra gli accertamenti da me fatti all' Auswiirtiges Amt per quanto riguarda le missioni militari tedesche in Cina, aggiungendo che di accertamenti analoghi presso il Ministero della Guerra avrei incaricato il Generale Marras, testé ritornato dall'Italia. Ecco quanto, da conversazioni varie e in particolare con ufficiali dell'« Ufficio Esteri» del Ministero della Guerra, il Marras mi riferisce ora in argomento:

«Ambienti militari tedeschi non sono favorevoli a un atteggiamento ostile alla Cina; ufficiali tedeschi che prestano servizio presso Esercito cinese mantengono, come è noto, loro posto; e ciò viene giustificato da vincoli contratto privato; forniture varie vengono molto probabilmente fatte ancora alla Cina, per adempimento contratti preesistenti e soprattutto per convenienza economica;

si ritiene che dopo vittoria Shanghai, Giappone potrebbe addivenire a non lunga scadenza a un accordo con la Cina e ciò per considerazioni varie, tra le quali la necessità di ordinare e sistemare le nuove occupazioni.

Anche l'eventualità di tale non lontano accordo consiglia di non pregiudicare con un atteggiamento di decisa ostilità il mantenimento e lo sviluppo delle relazioni con la Cina».

In definitiva gli ambienti militari sono per una politica di equilibrio; non manca anzi qualche tendenza favorevole alla Cina. Di tale tendenza il Marras precisa che potrebbe essere il Generale von Reichenau, Comandante del Corpo d'Armata di Monaco, il quale svolse nello scorso anno una importante missione in Cina e che nello scorso settembre ebbe a parlare dei cinesi in termini di chiara simpatia.

A vendo nuove notizie non mancherò di comunicartele immediatamente.

546 1 Non rintracciata.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 5495/1771. Berlino, 11 novembre 193 7 (per. il 12).

Confermo il mio telegramma odierno 1 relativo alla prossima visita di Lord Halifax, il quale è atteso a Berlino quale missus di Chamberlain. Ho ragione di ritenere che Lord Halifax parlerà col Cancelliere anche di «colonie». A miei discreti accenni in proposito, Henderson mi diceva l'altro giorno: «Why not? Something must, one day or another, be done».

Alla luce di queste prospettive acquistano valore e significato, sia i corteggiamenti di Goring a Henderson (mio telespresso n. 5492/1768 del 10 corrente)2 , sia i silenzi di Goebbels e di Hitler (miei telespressi n. 5390/1731 del 6 corrente 3 e

n. 5441/1753 del 9 corrente 4 ).

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 5501/1776. Berlino, 11 novembre 1937 (per. il 12).

Ho domandato oggi a von Neurath che cosa gli avesse detto Schmidt 1 . Lo scopo della visita di Schmidt era effettivamente privato, ripromettendosi egli soprattutto oltreché di visitare la Jagd Ausstellung anche di preordinare una partita di caccia per Goring nei pressi di Salisburgo, partita di caccia durante la quale Goring si incontrebbe anche col Cancelliere Schuschnigg. La data di tutto questo però non è stata ancora fissata.

Nell'occasione, Schmidt ha tuttavia avuto, sia con von Neurath, sia con altri, conversazioni politiche. Il tasto toccato è soprattutto uno: il funzionamento dell'Accordo dell'l l luglio, il cui spirito non sarebbe secondo i tedeschi ben compreso dagli attuali governanti dell'Austria. Secondo Berlino, sta in fatto che in Austria la maggioranza è nazionalsocialista e che questa maggioranza ha continui contatti con la Germania alle cui sorti ed ai cui destini si sente intimamente legata. È chiaro che una situazione simile non può alla lunga durare ed è chiaro anche che se si vogliono impedire delle sorprese e dei colpi di mano bisogna che le cose si avviino per quel processo «evolutivo» che gli Accordi deÙ'll luglio avevano di mira e che si riassumono nel «riconoscimento del carattere tedesco dello Stato austriaco».

Questo mi ha detto von Neurath e viene in fondo ripetuto dalla Corrispondenza Politica e Diplomatica odierna (mio telespresso stampa n. 5491/17672).

Posso aggiungere che nel concetto di von Neurath e credo degli altri elementi responsabili del Reich, Schmidt è un «piccolo uomo» nelle mani di Schuschnigg, che a sua volta non ha la visione giusta delle situazione e comunque non ha saputo trovare la forza per affermare se stesso ed il Paese. _Neurath mi parlava oggi anche di «gravi difficoltà economiche» che l'Austria attraverserebbe 3 .

547 1 Si riferisce al T. 7745/425 R. dell"ll novembre con il quale comunicava di avere avuto conferma da von Neurath che lord Halifax sarebbe venuto la settimana successiva a Berlino per conferire con Hitler a nome di Chamberlain. Von Neurath aveva assicurato che l'ambasciata d'Italia sarebbe stata informata dell'andamento delle conversazioni. 547 2 Comunicava che i rapporti anglo-tedeschi sembravano essere entrati in un periodo di maggiore calma dopo le polemiche suscitate dalla questione coloniale, come era indicato dalla favorevole accoglienza riservata in Germania al discorso di Chamberlain del giorno precedente e dalla premura di Giiring nel mettere in risalto i suoi ottimi rapporti con l'ambasciatore Henderson da lui invitato anche a delle manifestazioni venatorie. Il documento ha il visto di Mussolini. 547 3 Vedi D. 526. 547 4 Riferiva sul discorso pronunciato da Hitler 1'8 novembre a Monaco. L'ambasciatore Attolico aveva rilevato «l'assoluto silenzio mantenuto dal Fi.ihrer sul problema delle rivendicazioni coloniali della Germania. Un tale atteggiamento, che contrasta con il rumoroso inizio, nello scorso mese, della campagna di stampa intesa ad ottenere la restituzione delle colonie, dimostra, come già ebbi occasione di far osservare commentando il recente discorso del ministro Goebbels allo Sportpalast di Berlino, che ci troviamo di fronte ad un tempo di arresto, dovuto probabilmente al convincimento che alla Germania conviene ancora attendere prima di fare veramente la voce grossa in tale materia». 548 1 Il Segretario di Stato austriaco, Schmidt era stato in visita privata a Berlino dal 6 dell'8 novembre. In proposito si veda anche il D. 521.

549

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 5503/1778. Berlino, Il novembre 1937 (per. il 12).

Il generale Marras, in una conversazione occasionale con il capo dell'Ufficio Esteri del ministero della Guerra, ha riportato le impressioni seguenti:

«l) Recenti solenni dichiarazioni del Duce circa restituzione colonie alla Germania1 vengono considerate anche in ambienti militari come forte contributo amicizia italiana e come elemento molto importante per il futuro.

2) Una soluzione pratica del problema non può ancora intravedersi. Qualche possibilità si era delineata in passato per il Camerun, ma essa si è ora allontanata.

3) L'azione tedesca nei riguardi delle colonie può ritenersi guidata oggi da due concetti: mantenere accesa la questione, in modo che i diritti tedeschi non cadano in prescrizione; conseguire effetti di propaganda per influenzare l'opinione mondiale.

Questa azione, la quale non spera oggi una realizzazione a breve scadenza, subisce naturalmente le alternative suggerite dalle opportunità del momento. In tal

548 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 549 1 Vedi D. 498, nota l.

modo si spiega come in recenti occasioni non sia stato fatto cenno alle rivendicazioni coloniali». Come V.E. vede, le informazioni di cui sopra coincidono esattamente con quelle avute da altra fonte 2 .

548 2 Non pubblicato.

550

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5504/1779. Berlino, 11 novembre 1937 (per. il 12 ).

In presenza delle insistenze della stampa inglese in proposito. ho domandato anche a Neurath che cosa vi fosse di vero nelle voci di una possibile mediazione tedesca nel conflitto sino-giapponese. Anche Neurath mi ha dato della cosa l'identica spiegazione datami dal visconte Mushakoji giorni fa. e cioè nulla esservi in più della dichiarazione già fatta dal vice ministro giapponese ai rappresentanti dell'Italia e della Germania 1 , nel senso che se e quando la Cina fosse preparata a negoziare, il Giappone sarebbe pronto, sotto i buoni uffici sia dell'Italia, sia della Germania, a negoziare.

Mi è parso di comprendere che, al caso, il barone von Neurath non escluderebbe una mediazione «combinata». Comunque, egli mi ha fatto osservare che non ritiene che la Cina sarebbe in questo momento disposta a trattare 2 .

551

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PERSONALE 1875/396 R. 1 Roma, 12 novembre 1937, ore l.

Tuo n. 8072 . Ho convocato lord Perth 3 e gli ho detto quanto segue: «l) Ringraziavo per il reiterato invito a recarmi a Bruxelles ma ero spiacente di dover confermare che neppure adesso ritenevo conveniente recarmi colà; 2) I motivi che mi inducono in tale convinzione sono che la Conferenza è ormai giunta in uno stadio tale che apparirebbe assurda la mia andata; che l'am

550 1 Vedi D. 483. 550 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 551 1 Minuta autografa. 551 2 Vedi D. 541. 551 3 Di questo colloquio --l'Il novembre -non è stata trovata altra documentazione. Si veda il resoconto dell'ambasciatore britannico in BD. vol. XIX, D. 314 e CIANO, Diario, alla data dell'Il no vembre.

biente, sia pure indirettamente connesso al sistema ginevrino non è quello che mi sembra più indicato per incentrarmi con Eden; che un tale nostro incontro non preparato, verrebbe a creare illusioni polemiche e delusioni, più dannose che utili ai fini cui ambedue tendiamo;

3) In questo nostro atteggiamento non si deve minimamente vedere un rifiuto di incentrarmi con Eden. Questo incontro potrebbe aver luogo in altra occasione e in altra sede. Se per esempio egli facesse una crociera in Mediterraneo ~ e non sarebbe il primo dei ministri britannici a farlo --o passasse qualche giorno in Riviera, potremmo trovare il modo di avere uno scambio di vedute. Ma sempre, a nostro avviso, sarebbe meglio che un incontro tra me e Eden avesse luogo dopo eventuali contatti diplomatici e non prima».

Tanto ti comunico per tua norma e conoscenza4 .

549 2 Vedi D. 526. TI documento ha il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7758/518 R. Tokio, 12 novembre 1937, ore 2,25 (per. ore 11,30).

Mio telegramma n. 5001•

Vice ministro mi ha detto che sarà oggi consegnata risposta a questo ambasciatore del Belgio 2 . Giappone respinge anche secondo invito adducendo tra l'altro che attuale conflitto non è certamente contemplato da Trattato delle Nove Potenze e che Tokio non può discutere di questo con Stati secondo i quali Giappone lo avrebbe violato. Oltre ciò, si riafferma volontà negoziare direttamente con la Cina, ma si assicura rispetto interessi terzi Stati.

Vice ministro ha ripetuto vivi ringraziamenti del governo per nostro efficace appoggio. Appunto perciò esso preferirebbe se nulla avessimo da obiettare a che la nostra delegazione rimanesse ancora almeno per qualche tempo e cioè fino a quando non si potranno prevedere ulteriori decisioni della Conferenza. Presenza nostra delegazione assicurerebbe al Giappone, in caso di nuove macchinazioni a suo danno, un sostegno che altrimenti verrebbe a mancargli, del che ne approfitterebbero i sovieti. Codesto ambasciatore del Giappone ha avuto istruzioni di parlare con V.E. 3

Vice ministro ha ammesso possibilità che Giappone denunzi in seguito il Trattato, ma ha detto che nessuna decisione è stata ancora presa e che essa potrà dipendere dai risultati della Conferenza stessa.

551 4 Con T. 17968/433 P.R. del 13 novembre, questo telegramma fu comunicato all'ambasciatore Ate tolico unitamente al D. 541, con l'incarico di darne comunicazione al governo tedesco. Un riassunto di questo telegramma e dei DD. 500 e 541 fu trasmesso anche all'ambasciatore Auriti con l'incarico di darne comunicazione al governo giapponese (T. 1887/244 R. del 13 novembre). Si veda, per la risposta di Auriti, il D. 569. 552 l Riferimento errato. Si tratta sicuramente del T. 1660/503 R. dell'S novembre, per il quale si veda il D. 530, nota 3. 552 2 Albert Bassompierre. 552 3 Vedi D. 561.

553

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7785/471 R. Shanghai, 12 novembre 1937, ore 13 (per. ore 3,40 del 13).

Stampa riproduce commentando con compiacenza articolo Frankfurter Zeitung e dichiarazioni Maresciallo Blomberg sull'esercito e i soldati cinesi.

Ho ripetutamente segnalato a V.E. atteggiamento ambiguo politicamente rappresentante tedesco in Cina 1 , attitudine che ha provocato favorevoli reazioni da parte cinese e che non è stato modificato dai lamenti e le proteste dei giapponesi. Devo ora aggiungere che tale attitudine mi pone talvolta in imbarazzo nei riguardi di questo governo e dell'opinione pubblica.

554

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7784/737 R. Salamanca, 12 novembre 1937, ore 23 (per. ore 9 del 13).

Telegrammi di V.E. n. 782 1 e seguenti 2 . Ho intrattenuto oggi Franco nel senso prescrittomi congiuntamente con questo incaricato di affari Germania3 che mi accompagnava.

Franco ritiene che non potrà ritardare sua risposta al presidente Comitato oltre giorno 17 anche se per allora non sarà conosciuta la risposta di Barcellona. Risposta governo nazionale sarà in massima affermativa, contenente però a sua volta vari interrogativi e richieste schiarimenti. Testo risposta sarà tempestivamente comunicato a noi e Germania come richiesto.

Ho impressione che suggerimenti inglesi non rimarranno estranei alla preparazione risposta per quanto Franco si sa dimostrato sinceramente desideroso conformare tenore risposta stessa alla nostra azione in seno al Comitato4 .

554 1 Vedi D. 533, nota l. 554 2 Vedi D. 516. nota 4 e D. 543. 554 3 E. Eberlein. 554 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

553 l Vedi D. 400 e 400, note 2 e 3.

555

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO

T. PERSONALE 1881/195 R. 1 Roma, 12 novembre 1937, ore 24.

Ho ricevuto questo ambasciatore del Brasile 2 il quale mi ha fatto alcune comunicazioni informative circa gli avvenimenti dei quali codesta Repubblica è stata teatro.

Ho colto l'occasione per dirgli che l'Italia fascista ha appreso con viva soddisfazione la notizia del nuovo ordine brasiliano e che formula i voti migliori per il successo dell'opera di Getulio Vargas. La nostra solidarietà non sarà soltanto platonica ma operante. Per quanto noi si eviti sempre di far intervenire le collettività italiane nel gioco della politica interna degli Stati ove sono ospiti, pure questa volta, nella speciale contingenza, non avremmo mancato di far conoscere agli italiani residenti in Brasile che il governo fascista vedeva con favore il nuovo stato di cose e contava sull'appoggio leale dei connazionali all'azione ricostruttiva del Presidente.

Ho parlato infine del Patto tripartito e dell'eventuale adesione brasiliana. Noi non vogliamo fare pressioni di sorta in questo momento così delicato, ma pensiamo che al Brasile converrà un giorno non lontano prendere apertamente il suo posto nel sistema degli Stati difensori dell'ordine e della civiltà. Con un tale gesto il Brasile riaffermerà la sua funzione internazionale. Fin da ora può contare su una schietta accoglienza da parte nostra.

Di tanto informo V.E. per sua norma di azione e di linguaggio.

556

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5012/1198. Bruxelles, 12 novembre 1937 (per. il 17).

Mio telespresso n. 1175 del 5 c.m. 1

Anche nel corso di questa settimana hanno avuto luogo frequenti contatti e scambi di vedute fra Eden, Delbos e Davis, per questioni completamente al di fuori nel conflitto cino-giapponese.

555 2 Non si è trovato verbale di questo colloquio.

1 556 l Telespr. 492711175 del 5 novembre. Riferiva che, ai margini della Conferenza delle Nove Potenze, Eden e Dclbos avevano avuto diversi colloqui allo scopo di concordare una linea comune di fronte al conflitto spagnolo cd al problema delle colonie tedesche. Eden aveva poi cercato di appurare, in alcuni incontri con Norman Davis, l'effettivo grado di interesse che il governo degli Stati Uniti aveva per i problemi europei cd i limiti entro i quali Washington sarebbe stata disposta a partecipare ad un'azione politica comune nei confronti del conflitto cino-giapponese. Il linguaggio tenuto dal rappresentante americano faceva «escludere una qualsiasi intenzione, da parte degli Stati Uniti, di assumere precise e dirette responsabilità».

I) Giusta informazioni di fonte di solito attendibile, la questione maggiormente dibattuta fa Eden e Delbos sarebbe stata quella del crescente pericolo rappresentato dalle agitazioni arabe sia nel Mediterraneo orientale che nell'Africa del Nord francese. Tali agitazioni sarebbero state attribuite allo sviluppo di un preteso piano italo-tedesco, secondo il quale, mentre l'Italia avrebbe riservato alla sua azione i Paesi del Mediterraneo orientale, la Germania si sarebbe invece riservata il Nord Africa francese, stabilendo un'importante centrale di propaganda a Tetuan. Delbos avrebbe insistito presso Eden per ottenere impegni atti a salvaguardare ed assicurare, in qualsiasi eventualità la piena libertà delle comunicazioni tra la Francia e le sue colonie africane ed anzi, sempre secondo l'informazione a me pervenuta, sarebbe stato stabilito di procedere ad un «vero e proprio accordo generale».

II) Per quanto concerne la questione spagnola, Delbos avrebbe finito per aderire al punto di vista inglese, decidendo in linea di massima d'inviare agenti diplomatici francesi a Salamanca, secondo la formula stessa che sarà per essere adottata da Londra.

III) Circa l'adesione italiana al Patto anticomunista, Litvinov avrebbe insistito presso Eden, Delbos e Davis perché questi si associassero, a nome dei rispettivi governi, ad una qualche dichiarazione tendente ad affermare che le Potenze cosidette democratiche deplorano la firma del Patto italo-germano-nipponico. Le suddette personalità avrebbero però nettamente rifiutato di impegnarsi in un siffatto passo; e questo sarebbe stato uno dei motivi per i quali Litvinov avrebbe deciso di abbandonare la Conferenza. L'altro motivo sarebbe da ricercarsi nel rifiuto che Delbos, su consiglio di Eden, avrebbe opposto al commissario sovietico, il quale insisteva affinché il ministro francese, in occasione del suo prossimo viaggio a Varsavia, Praga, Bucarest e Belgrado, si spingesse anche in visita ufficiale sino a Mosca.

Queste ultime voci hanno suscitato notevole impressione in questi circoli diplomatici e politici, i quali mostrano di attribuire ad esse credito e fondamento, mettendole anzi in rapporto con le contemporanee informazioni relative ad una ripresa di negoziati fra l'Italia e l'Inghilterra.

Lo stesso giornale ufficioso L'Jndépendance, commentando la brusca partenza di Litvinov, afferma che la diplomazia russa avrebbe in questi giorni subito un serio scacco nei confronti della Francia e della Inghilterra.

Tale ipotesi trova poi riscontro in una informazione pervenutami da una personalità ex-comunista qui residente, la quale sostiene che in Francia andrebbe effettivamente maturandosi un movimento di emancipazione dall'influenza sovietica, inteso sovrattutto a favorire lo sviluppo dei rapporti franco-inglesi ed una effettiva chiarificazione della situazione della situazione europea.

555 l Minuta autografa.

557

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6974/1919. Washington, 12 novembre 1937 (per. il 22).

La proclamazione della dittatura in Brasile da parte del Presidente Getulio Vargas ha fatto qui profonda impressione. La stampa prima di avere notizie più precise sul carattere di tale rivolgimento si è messa a gridare a perdifiato che il Brasile era diventato fascista e che sarebbe passato ad aumentare i ranghi degli Stati totalitari, aderendo all'asse Roma-Berlino-Tokio, ecc., ecc. Anche uomini politici, come il senatore Borah, si sono affrettati a fare delle dichiarazioni attribuendo al movimento carattere fascista. Il Dipartimento di Stato invece ha mantenuto un atteggiamento di una grande calma ed ha dato l'impressione che il colpo di stato di Vargas non lo avesse eccessivamente sorpreso.

Effettivamente anche qui si sapeva da qualche tempo che il Presidente Vargas preparava qualche cosa del genere per assicurarsi la propria rielezione e per trovare una temporanea soluzione a certe difficoltà di ordine finanziario che preoccupavano il suo governo.

Ieri il Sottosegretario di Stato Sumner Welles ha riunito i giornalisti americani, escludendo con una pratica assolutamente inconsueta i pochi stranieri che intervengono alla riunione della Casa Bianca, per fare alcune dichiarazioni. In tale intervista coi giornalisti egli ha affermato che non c'era nulla che lasciasse sospettare che il Brasile si mettesse nel rango delle Potenze fasciste, che il cambiamento di regime era determinato da ragioni di politica interna nelle quali l'America non intendeva intervenire e che non c'era nessuna ragione di ritenere che le relazioni fra l'America ed il Brasile dovessero mutare. Chiesto se il colpo di Stato non era dovuto alla propaganda tedesca e italiana, egli non ha escluso che la campagna fatta, soprattutto attraverso la radio, dall'Italia e dallà Germania in lingua portoghese abbia potuto contribuire a facilitare il colpo di Stato.

Dopo la prima sfuriata della stampa, oggi è subentrata una maggiore calma e si tende anzi da molte parti ad affermare che il movimento di Getulio Vargas non ha carattere fascista, che è uno dei soliti colpi di Stato di instauramento di dittature che avvengono con particolare frequenza nell'America del Sud, si raccoglie ogni frase del Presidente Vergas e dei suoi portavoce più o meno autorizzati per conchiudere che il Brasile non entrerà nell'orbita delle Potenze fasciste e che non aderirà al Patto italo-tedesco-nipponico. Anzi, si afferma che un passo fatto in questo senso dagli ambasciatori d'Italia e Germania avrebbe trovato contrario il nuovo governo brasiliano.

Fra le conseguenze del nuovo regime in Brasile, mentre si prevede che non verrano più consegnati i sei cacciatorpediniere che dovevano essere prestati al governo brasiliano, si ritiene che nulla sarà mutato nell'accordo finanziario per cui si è stabilito di vendere al governo del Brasile dell'oro fino alla somma di 60 milioni di dollari.

Naturalmente qui ha fatto una certa impressione la notizia della sospensione dei pagamenti all'estero, sebbene giunta non del tutto inaspettata. Il pubblico americano è impegnato con notevoli somme di fronte al Brasile: si calcolano in circa $ 360,000,000 i crediti finanziari e in circa$ 560,000,000 i crediti commerciali verso il Brasile.

Ad onta degli sforzi che ora si stanno facendo per attenuare le impressioni date in un primo momento che il Brasile fosse diventato addirittura un nuovo Stato fascista, rimangono tuttora in questo Paese delle vive preoccupazioni per quanto riguarda la situazione in Brasile. Non credo che qui molti si facciano illusioni sugli effetti della condanna morale pronunciata dalla stampa e da uomini americani contro il totalitarismo; qui invece ci si rende effettivo conto che il regime vigente in Brasile non può non avvicinare quel Paese agli Stati a reggenza totalitaria, allontanandolo dalla comunità democratica del continente americano, capeggiata dagli Stati Uniti.

Appare particolarmente curiosa la situazione di questo ambasciatore del Brasile, Aranha, il quale non più tardi di una settimana fa aveva fatto dichiarazioni molto vivaci contro la Germania ed i suoi sistemi commerciali, come da mio rapporto 6878/1897 del 5 novembre 1• L'Aranha passa per essere grande amico e sostenitore del Presidente Vargas e, nel contempo, forse il maggiore fautore della politica d'intesa fra Brasile e Stati Uniti. L'Aranha ha indubbiamente una forte posizione nel proprio Paese e si è parlato molte volte della possibilità di una sua candidatura alla presidenza della Repubblica brasiliana. Naturalmente, pure considerandosi lui stesso uno specialista in colpi di Stato, egli ha fatto sempre sperticate professioni di fede democratica.

Sebbene la posizione dell'ambasciatore Aranha in relazione ai nuovi avvenimenti del Paese non sia ancora chiarita, tuttavia l'impressione diffusa è che dai recenti avvenimenti egli sia uscito piuttosto esautorato.

558

L'ADDETTO NAVALE A WASHINGTON, CUGlA, AL MINISTERO DELLA MARINA

RAPPORTO 525. Wushington, 12 novembre 1937 (per. il 23).

L'adesione dell'Italia al Patto nippo-tedesco suscita viva apprensione nei vari strati dell'opinione pubblica americana. Questo sentimento di allarme trova notevole presa anche negli ambienti della Marina e dell'Esercito, messi nel dubbio, da abile ed interessata opera di insinuazione straniera, che l'accordo tripartito contenga clausole militari delle quali si ignora ma si paventa la portata. La stampa riflette, ed in misura assai clamorosa, la reazione pubblica, traendo motivo dall'avvenuto allineamento delle tre Grandi Potenze, per alimentare con i consueti ingredienti la campagna che da tempo si sta svolgendo negli Stati Uniti a difesa degli «assaliti» ideali democratici. Senonché, l'opinione corrente, stanca per lo sterile procedere dei lavori di Bruxelles, disillusa da ripetute e verbosamente vane per quanto solenni proclamazioni degli elementi qui responsabili, preoccupata dai recenti successi giapponesi in Cina, tende ad abbandonare ora un campo vagamente ideoì0gico per muoversi in un settore più aderente alla realtà.

La popolazione americana toccata, infatti, nelle cellule maggiormente sensibili della propria struttura psicologica, vede delinearsi nella recente intesa anti-bolscevica, oltre all'inevitabile incremento della potenza giapponese in Pacifico, il pericolo che alcune Repubbliche dell'America Latina, dove già serpeggiano vaste correnti in favore dei principi cosidetti totalitari, non tardino a schierarsi nel comune fronte italo-nippo-germanico. Ciò significherebbe nuove gravi fessure nelle fondamenta di

558 1 Il documento è tratto dall'Archivio Centrale dello Stato (Gabinetto del ministro della Marina).

quell'edificio le cui basi vennero pretenziosamente gettate dal Presidente Roosevelt a Buenos Aires nel dicembre 1936, monumento a facciata democratica, che doveva risvegliare l'assopito panamericanismo e nello stesso tempo procacciare ricchi mercati alle esportazioni degli Stati Uniti, limitate dalla instabilità europea ed asiatica.

Sotto questa luce, i giornali, nei primi commenti, interpretano la notizia del colpo di Stato avvenuto in Brasile due giorni or sono (10 novembre), e richiedono che il governo rion indugi a stabilire una politica più energica e meno oscillante.

Si presenta, pertanto, alquanto probabile che, ove non intervenga qualche fatto nuovo, la reazione, attualmente in processo di sviluppo, porti gli Stati Uniti a rinserrare, non solo in un'atmosfera puramente speculativa ma su una piattaforma politica e forse anche militare, gli auspicati vincoli con la Gran Bretagna, e nello stesso tempo ad un miglioramento generale dei rapporti con l'U.R.S.S.

557 l Non pubblicato.

559

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7788/198 R. Rio de Janeiro, 13 novembre 1937, ore 1,50 (per. ore 9).

Rapporti tra il nuovo regime ed integralisti vanno rivelandosi di penoso disagio che può dipingersi nella definizione che integralismo ha trionfato ma integralisii non hanno trionfato.

Presidente Vergas e Forze Armate hanno preso da integralismo linee fondamentali della Costituzione e consenso necessario all'applicazione di essa dopo di che bilancia pende per naturale forza di gravità dal lato dei poteri costituiti e delle insopprimibili Forze Armate piuttosto che dal lato di un partito che ha perseguito obiettivo disinteressato di affermare sue idealità e suo programma senza garantire posizione dei suoi uomini e dei suoi emblemi nel nuovo regime.

In questa situazione, Plinio Salgado in funzione di apostolo si dichiara contentissimo, suoi luogotenenti in funzione di uomini di partito si dichiarano scontentL Per mia precisa cognizione, Plinio fu consultato sopra nuova Costituzione che approvò senza porre condizione a favore suo partito mentre aveva coltello per il manico, sicché nuovo regime non nasce da matrice di camicie nere o verdi e di dogma ma sorge nella forma di Stato autoritario che balza forte ed armato dalla testa di Giove.

In questo Stato di destra esiste però ormai come pilastro inconfondibile una Costituzione di pura intenzione integralista che non permette affermazione che integralismo sia stato tradito anche se siano stati traditi gli uomini e siano stati eliminati gli emblemi italofili 1 per ragioni di misura verso alcune opinioni internazionali e specialmente americane. Posizione degli integralisti come uomini e come partito andrà definendosi secondo la loro capacità di manovra che a mio avviso

661 non dovrebbe prendere posizione di risentimento ma dovrebbe registrare successo idea e dovrebbe orientare suo movimento sopra ineluttabile necessità per il nuovo regime di poggiare sopra grande partito civile.

Per conto nostro dobbiamo tirare bilancio di questa prima fase di lavoro in cui ci prefiggemmo arrivare decisamente ad una trasformazione politica imperniata sulla persona di Vargas e sulla adozione dell'integralismo come idea con appoggio Forze Armate. Questa prima fase si chiude con conseguimento completo di questa trasformazione attraverso tre fattori sopra accennati e con creazione di uno Stato autoritario a nostra somiglianza. Tuttociò effettivamente dovuto luce che splende da Roma molto al di sopra di ogni sforzo locale.

Se superando di slancio tutte le tappe intermedie questo successo viene a ferire qualche nostro particolare sentimento predilezione per camicie verdi esso ce ne compensa ad usura attraverso risultati più ampiamente conseguiti nel terreno statale. Sembra ora a me che nostro compito imprescindibile sia di appoggiare e difendere nuovo regime contro forze interne ed esterne che cercheranno diminuirlo o deviarlo da affinità e finalità fasciste.

559 1 Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione esatta».

560

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7789/199 R. Rio de Janeiro, 13 settembre 1937. ore 1,47 (per. ore 9,05).

Aiutante di campo generale del Presidente Vargas venuto per presentarmi felicitazioni del Presidente per genetliaco di S.M. il Re, mi ha lungamente parlato dei legami che vengono a stabilirsi tra nuovo regime e regime fascista. Stesse impressioni ho raccolto presso numerose personalità anche appartenenti al ministero Affari Esteri. Alcuni colleghi, tra cui stesso ambasciatore d'Inghilterra 1 , mi hanno chiesto se sia vero che nuova costituzione abbia preso di peso interi capitoli della legislazione fascista.

Effettivamente tutto quanto riguarda legislazione sociale, lavoro, produzione, organizzazione sindacale e organizzazione corporativa, risponde concetti fascisti, come pure vi rispondono, sebbene in forma meno totale, disposizioni sopra famiglia, educazione, insegnamento, nonché quella sopra inserzione di organi particolari nel congegno legislativo e concentramento dell'autorità nel potere esecutivo.

Va riscontrandosi una certa tendenza a definire il nuovo regime sopra affinità col fascismo e ciò, sia da parte americana come segno di indipendenza dall'integralismo e sia da parte alcune Potenze democratiche per coinvolgere Brasile nel cosiddetto fronte antifascista.

Questo ambasciatore giapponese 2 mi ha parlato di una presa di posizione britannica contro il regime e di un largo fondo che verrebbe già destinato a questo

560 I Hugh Gurney. 560 2 Setsuzo Sawada.

scopo. Inghilterra e America sarebbero inoltre irritate per dichiarazioni di Vargas circa cessazione pagamento degli interessi dei debiti esteri. Sta in fatto che nella riunione dei capi missione indetta dal ministero degli Affari Esteri per spiegare motivi del colpo di stato non apparve l'ambasciatore degli Stati Uniti 3 , né altro funzionario dell'ambascia t ore.

561

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL PRESIDENTE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA ALLA CONFERENZA DI BRUXELLES, ALDROVANDI

T. 1882/95 R. 1 Roma, 13 novembre 1937, ore 2.

Questo ambasciatore del Giappone è venuto a vedermi 2 e, nel comunicarmi risposta negativa data dal Giappone al secondo invito partecipare Conferenza, mi ha vivamente ringraziato a nome del suo governo per nostro efficace appoggio e mi ha espresso desiderio del governo giapponese che nostra delegazione rimanga ancora per qualche tempo e cioè fino a quando non si potranno prevedere ulteriori decisioni della Conferenza. Presenza nostra delegazione assicurerebbe al Giappone, in caso di nuove macchinazioni a suo danno, un sostegno che altrimenti verrebbe a mancargli, del che approfitterebbero i sovieti.

V.E. pertanto vorrà astenersi dal far dichiarazione concordata3 . Rimarrà quindi a Bruxelles pur tenendo presente che sua partecipazione alla Conferenza dovrà essere sulle linee indicatele prima della partenza: cioè vigilare acché niente sia fatto contro il Giappone e manovrare in modo da accelerare il naufragio della Conferenza stessa, così come ormai è suo evidente destino ed è nei nostri desideri.

562

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO

T. 1891/197 R. Roma, 13 novembre 1937, ore 24.

V.E. potrà alla prima occasione e nel modo che riterrà più opportuno far presente a codesto governo come il riconoscimento del governo nazionale spagnolo sarebbe il gesto più significativo che Presidente Vargas potrebbe compiere a dimostrazione degli intendimenti e delle direttive del nuovo regime brasiliano.

561 l Minuta autografa. 561 2 Non si è trovata documentazione di questo colloquio avvenuto il 12 novembre. 561 3 Il conte Aldrovandi era stato incaricato di comunicare al Comitato dei nove che, dopo il secondo rifiuto del Giappone di partecipare alla conferenza, l'Italia ritirava la sua delegazione.

560 3 Jefferson Caffery.

563

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 5580/1891. Berlino, 13 novembre 1937 (per. il 15).

Il noto giornale nazionalsocialista di Essen National Zeitung, del quale sono noti i legami con l'ambiente che fa capo al generale Goring, ha oggi pubblicato, in prima pagina, una corrispondenza da Berlino con il titolo «Uomini politici di Estremo Oriente in Germania». Nell'articolo stesso si accenna alla contemporanea presenza in Germania del colonnello dello Stato Maggiore giapponese Takahashi e del generale cinese Chang Pei-li e del prossimo arrivo del ministro giapponese Godo e dell'uomo politico cinese Chen Kung Po.

Una tale pubblicazione ha naturalmente sollevato, particolarmente in questi ambienti giornalistici stranieri, una nuova ondata di voci circa la possibilità di una mediazione tedesca nel conflitto di Estremo Oriente.

In tali condizioni ho inviato questa sera stessa il consigliere della R. ambasciata presso l'ambasciatore del Giappone, visconte Mushakoji, per assumere opportune informazioni al riguardo. L'ambasciatore ha dichiarato al conte Magistrati che non si tratta affatto di incontri cino-giapponesi a Berlino. Oggi il Giappone, impressionato dai viaggi politici che la Cina fa compiere all'estero ai suoi rappresentanti ed inviati, ha ritenuto opportuno far prendere contatti diretti da suoi «portavoce» nei vari Paesi. Così in Germania viene inviato l'ex-ministro Godo, con alcuni suoi collaboratori, mentre è partito per Roma il presidente dell'Associazione italo-giapponese, per Londra il presidente del partito Sejukai, per Washington l'ex-ambasciatore del Giappone a Parigi e per la capitale francese un gruppo di giornalisti giapponesi particolarmente legati da amicizia con esponenti del giornalismo di quella Repubblica.

Tutti questi «portavoce» sono incaricati di dare opportune spiegazioni sul punto di vista giapponese nel conflitto con la Cina e sul programma futuro del governo di Tokio. Questo programma consiste principalmente nel favorire la formazione in Cina di un governo centrale capace di svolgere un'azione favorevole allo sviluppo dei rapporti tra la Cina e il Giappone, abolendo qualsiasi forma di propaganda antinipponica.

Il governo di Tokio, per raggiungere quello scopo, è disposto a continuare senza soste la sua azione militare la quale, per convincere Chiang Kai-shek potrebbe spingersi fino all'occupazione di Nanchino. Evidentemente l'attuale occupazione territoriale delle cinque Provincie del Nord è troppo vasta perché il Giappone possa pensare a rimanervi indefinitamente. Naturalmente l'atteggiamento di resistenza della Cina è dovuto praticamente all'Inghilterra con la quale però, come dimostra l'attuale contegno inglese proprio all'indomani della firma del Patto anticomunista di Roma, sembra disposta a migliori consigli [sic]. Non altrettanto importante appare l'atteggiamento sovietico, data la situazione interna dell'U.R.S.S.

Quanto alla presenza a Berlino del colonello Takahaschi, giunto in Germania via America, l'ambasciatore ha dichiarato trattarsi di uno degli ufficiali più intelligenti dello Stato Maggiore giapponese, già capo della sezione «Cina» al ministero della Guerra di Tokio. Egli si tratterrà per qualche tempo a Berlino dove, lunedì prossimo, esporra la situazione alla stampa tedesca.

L'ambasciata del Giappone segue con particolare attenzione il viaggio del generale cinese Chang Pei-li il quale è qui giunto da Roma. Secondo le informazioni da essa possedute, il generale aveva l'incarico di acquistare armi in Germania e a tale scopo si è dichiarato pronto a pagare in contanti fino alla somma, veramente eccezionale, di 120 milioni di marchi in valuta. La cosa ha fatto grande impressione ma il governo del Reich, superando non piccoli ostacoli, ha finito per obbligare l'industria tedesca a rifiutare. Naturalmente però, ha concluso il visconte Mushakoji, l'offerta è estremamente tentante nei riguardi dell'industria privata e la situazione quindi «non va perduta d'occhio». L'ambasciata giapponese è, a tale proposito, molto soddisfatta del chiaro e leale atteggiamento del Cancelliere Hitler e del generale Goring.

Il visconte Mushakoji offrirà, come è noto, un pranzo la sera del 24 p.v. per celebrare il primo anniversario della firma del Patto anticomunista nippo-tedesco. A tale pranzo interverranno appunto il Cancelliere Hitler, il generale Goring e, presenza particolarmente interessante, il Maresciallo von Blomberg, oltre naturalmente von Ribbentrop 1 .

564

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 5590/1901. Berlino, 13 novembre 1937 (per. il 15).

Anche da parte inglese viene confermata l'importanza politica del prossimo viaggio a Berlino di lord Halifax, viaggio definito anzi senz'altro una vera e propria «missione». Parlandone questa mattina ad uno dei suoi colleghi più intimi, l'ambasciatore Henderson affermava essere stato egli stesso, d'accordo con Chamberlain, l'ispiratore di questa missione. Lord Halifax è ritenuto uno dei membri più autorevoÌi del Gabinetto e gode di molto prestigio nella pubblica opinione inglese. Egli si reca qui with open mind e pronto a discutere ed a parlare di tutto. Starà però ai tedeschi, diceva Henderson, di non spaventarlo, vale a dire di non domandare troppo e soprattutto di non metterlo in presenza di «pregiudiziali». È evidente, peraltro, che l'Inghilterra concepisce un accordo con la Germania -sempre secondo Henderson -sempre nel quadro di un accomodamento «generale». Niente, quindi, «incondizionate ed isolate» retrocessioni di tutte o parte delle colonie.

In sostanza, Henderson dice che il successo della missione Halifax dipenderà dal tatto dei rappresentanti tedeschi i quali devono comportarsi in maniera da lasciare aperta la porta a continuare le conversazioni. Non si deve dimenticare, egli ha aggiunto, che se Chamberlain è disposto a fare, onestamente e lealmente, tutti gli sforzi possibili per venire ad un accordo coll'asse Roma-Berlino, egli è anche uomo capace, quando questi suoi sforzi siano resi vani dalla irragionevolezza degli altri, di affrontare le responsabilità di una guerra. E se veramente, concludeva Hen derson, non si potesse arrivare ad un accomodamento ora, l'Europa si vedrebbe esposta ad una nuova guerra in meno di due anni 1•

563 l Il documento ha il visto di Mussolini. 564 l Il documento ha il visto di Mussolini.

565

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 4864/2823. Londra, 13 novembre 1937 1•

Il padre Martindale, dell'Ordine dei Gesuiti, noto in questi ambienti universitari e favorevolmente conosciuto a questa ambasciata, mi ha scritto per chiedermi un'udienza allo scopo di intrattenermi su di un argomento «di particolare delicatezza e urgenza». Ho incaricato il consigliere di riceverlo, per rendersi intanto conto dello scopo di questa richiesta.

Crolla mi riferisce quanto segue: «Il padre Martindale mi ha detto che tempo fa il cardinale Pacelli, per incarico del governo italiano, era stato in comunicazione con Tafari allo scopo di ottenere dall'ex-Negus una dichiarazione di sottomissione a S.M. il Re Imperatore e di sistemare in tal modo la posizione sua e della sua famiglia. Queste trattative 2 , svolte attraverso un intermediario, il conte Louis de Sibour (cittadino francese), non avevano potuto allora condurre ad alcun risultato conclusivo perché Tafari si dimostrava riluttante ad accettare integralmente le condizioni comunicategli dal governo italiano.

Successivamente, Tafari aveva espresso il desiderio di mettersi in contatto con un prete che non fosse un alto dignitario della Chiesa. Fu così che padre Martindale venne designato a recarsi a Bath e ad entrare in trattative con Tafari. Ma, dopo lunghe discussioni, il padre Martindale constatò che Tafari non si decideva a fare il passo necessario, che era la premessa di qualunque sistemazione dei suoi nuovi rapporti col governo italiano. Questa incertezza di Tafari ha indotto il cardinale Pacelli a fargli comunicare che -in vista delle mutate circostanze -la Santa Sede non era più disposta a prendere ulteriori iniziative a tale riguardo.

Senonché -ha continuato padre Martindale -più recentemente, le «mutate circostanze» e in particolare le precarie, se non addirittura disperate, condizioni finanziarie di Tafari, Io hanno costretto a cambiare opinione e -non potendo più servirsi del tramite della Santa Sede-a cercare di mettersi direttamente in contatto col governo italiano attraverso l'ambasciata d'Italia in Londra. Tafari anzi vorrebbe che il conte Louis de Sibour, che abita a Londra (118, Old Broad Street, E.C.2.) fosse ricevuto dall'ambasciatore Grandi e utilizzato per stabilire i primi approcci a cui potrebbero seguire eventuali contatti diretti. Il padre Martindale mi ha aggiunto che, a suo avviso, Tafari si trova in questo momento in condizioni di spirito tale da rendere possibile anche un suo contatto diretto con l'ambasciata d'Italia, senza l'intermediario del conte de Sibour. Ma poiché Tafari insiste nel chiedere, almeno in un primo tempo, la presenza del predetto intermediario, egli, Martindale, non può fare a meno di segnalare questo suo desiderio. II padre Martindale mi ha infine rimesso l'acclusa lettera da lui diretta all'ambasciatore Grandi, aggiungendo che egli voleva evitare quanto possibile di ingerirsi in trattative di carattere politico e finanziario e che pertanto egli sperava che un suo ulteriore intervento non sarebbe stato necessario».

565 2 Su queste trattative si veda serie ottava, vol. VI, DD. 24, 44, 98, 175, 256, 676, 695 e 709.

Questo è quanto mi ha riferito Crolla sul suo colloquio col padre Martindale. Crolla mi ha aggiunto che padre Martindale gli ha dato l'impressione di avere sentimenti di simpatia per l'Italia e il fascismo. Trasmetto qui unita la lettera del padre Martindale. Sarò grato a V.E. di farmi conoscere se io debba o no mettermi in contatto col conte de Sibor; ed in caso affermativo, di impartirmi le opportune istruzioni per mia norma di linguaggio.

Non vi è dubbio che ove Tafari si decidesse effettivamente a fare una pubblica dichiarazione di sottomissione all'Italia, ciò metterebbe nel più serio imbarazzo

. quei fanatici mestatori antifascisti che si oppongono ancora rabbiosamente a un riconoscimento della nostra conquista dell'Etiopia, e per i quali l'ex-Negus rappresenta tuttora una specie di ostaggio e di strumento prezioso per ricattare il governo inglese ogni qualvolta quest'ultimo sembra mettersi sulla strada d'un riconoscimento dell'Impero italiano in Africa. Un'eventuale pubblica sottomissione dell'ex-Negus a S.M. Re Imperatore non potrebbe mancare di avere, sotto questo riguardo, una ripercussione profonda.

Qualora V.E. decidesse nel senso di non lasciare cadere questi approcci, io sarei d'avviso in un primo tempo -e cioè fino a che non sarà chiaro l'atteggiamento di Tafari-di servirmi esclusivamente di padre Martindale senza avvicinare per ora il conte di Sibour. Preferisco un padre gesuita a un francese 3 .

ALLEGATO

PADRE MARTINDALE ALL"AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

LETTERA. Londra, 4 novembre 1937.

l. Some time ago the ex-Emperor of Abyssinia and the Vatican Card. Secr. of State were in contact concerning an arrangement between thc: Kingdom of ltaly and Abyssinia, informally negotiated on the territory of the Holy See.

2. -The intermediary was Conte Louis de Sibour, my very old friend, whom I originally met long ago at the Earl of Denbigh's. 3. -Haile Selassie said he would rather communicate through a priest who was not a major official of the Church, and asked that l should come and see him. I went to Bath, where HS lives, and said what I thought. 4. -The ex-Emperor could not make up his mind; and not long ago Cardinal Pacelli wrote that -circumstances having changed -the Holy See could not any more take an initiative in the matter. Soon after, the change in circumstances altered also HS's view, and he is now very anxious to dea! directly through Your Excellency. 5. -I neither can, nor wish to, nor am asked to, enter into details as to what HS is ready to do, especially when they are financial. I have my own ideas, but they ought to, and must, remain private. The same is true for anything directly politica!. 6. -HS no w wishes Y our Excellency t o be communicated with, an d asks that I should find so m eone t o "recommend" Com te Louis to you. I ha ve sai d that I could think of two or three names, but that none of them would be fully satisfactory, and that in my opinion the fewer people knew of these negotiations, the better. This is entirely his own opinion.

Indeed he is very anxious that no one shown be aware that I so much as know him. And this is what I too prefer. Neither I, nor (I am sure) my Superiors, would wish me to be involved in anything directly politica!. Not am I..

7. What, then, I ask is that Your Excèllency should see Comte L. de S. so soon as possibile. He would relate to you ali the earlier transactions with Rome, and would add what is now to the point. Myself, I think that this intermediary communication is almost quite unnecessary: but since HS desires it, I cannot refuse to do what he suggests.

I have, while writing this, received a letter from Comte L de S, in which the following occurs ~--"HS is delighted that is possibile for you t o approach Co un t Grandi o n the matter that we discussed ... He has asked me to tell you how deeply He appreciates your kindness and your friendliness, and that, in ali confidence, He gives you full permission to take this first step on His behalf. I can make use (he says) of any knowledge I have. "That you and l should be associated in this, His most serious endeavour to make peace, pleases Him immensely and gives him confidence that the matter will be handled safely and to the bes t advantage for ali concerned ".

He writes a great dea! more which is, substantially, to the same effect. I shall have read thc originai Letter to Your Excellency; but my sole duty, so far asI can see, is to introduce Comte Louis ( 118 Old Broad St. EC 2) to Your Excellency, after which I ha ve nothing to do with whatsoever, save to pray that what is now a fcstering sore in European politics, may be healed.

And it can be healed very quickly allowing fora fortnight's howl from part of the Press which will not matter in the long run.

565 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

565 3 Il documento ha il visto di Mussolini. Si veda, per il seguito, il D. 578.

566

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL PRESIDENTE DELLA DELEGAZIONE ITALIANA ALLA CONFERENZA DI BRUXELLES, ALDROVANDI

T. 1892/8 R. 1 Roma, 14 novembre 1937, ore 16.20.

Le comunico il testo della dichiarazione che V.E. farà in sede di votazione: «L'Italia considera una tale mozione 2 come una porta aperta non verso il componimento del conflitto, bensì verso le più gravi complicazioni. L'Italia non intende di assumersi le responsabilità che ne deriverebbero e dichiara pertanto il suo voto nettamente contrario, riservando il suo atteggiamento nelle fasi successive della vertenza».

V.E., dopo avere fatto tale dichiarazione, rimarrà nella Conferenza fino a nuove disposizioni continuando a svolgere azione sulle linee di quella svolta sino ad ora. Dovrà invece ritirarsi senz'altro qualora venga compiuto un qualsiasi gesto che trasferisca la vertenza dal terreno del Patto di Washington sul terreno societario.

566 2 Si riferisce alla votazione della dichiarazione finale della Conferenza di Bruxelles, poi approvata, il 15 novembre, da tutti gli Stati partecipanti con l'astensione di Svezia, Norvegia e Danimarca e con il voto contrario dell'Italia. Per il testo della dichiarazione si veda Rela~ioni Interna~iona/i, p. 842.

566 l Minuta autografa.

567

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 14110/524 P.R. Tokio, 15 novembre 1937, ore 8,40 (per. ore 15,50).

Ho comunicato Hirota telegramma di V.E. n. 235 1 e del Re ambasciatore Shanghai n. 4722 e gli ho chiesto se potesse darmi qualche conoscenza delle condizioni del Giappone sia pure in linea generale.

Hirota ripetuto ancora una volta che qui non si hanno mire territoriali, mi ha detto che occorrerebbe regolare tutte le questioni già pendenti, dare autonomia amministrativa alla Cina del Nord e assicurare al Giappone vantaggi economici in tutta la Cina concernenti commerci, comunicazioni, dogane, finanza; oltre a ciò militari dànno speciale importanza alla costituzione per la Mongolia interna di un ordinamento particolare e tale da impedirle seguire sorti Mongolia esterna, nonché all'attuazione di misure tali da evitare l'avverarsi in futuro di nuovi conflitti con la Cina. Mi ha smentito dichiarazioni attribuite al generale Matsui circa condizioni di pace chieste da Giappone3 .

Gli ho rinnovato assicurazioni nostra migliore volontà per facilitare disinteressatamente negoziati e pace. Comunicato Roma e Shanghai.

568

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7815/526 R. Tokio, 15 novembre 1937, ore 8,40 (per. ore 15,55).

Hirota mi ha chiesto se saremmo disposti riconoscere Manciuria. Vi sono forse altri Stati fin da ora pronti a tale riconoscimento ed egli vorrebbe che l'Italia non fosse seconda a nessuno.

Credo che farebbe qui ottimo effetto se potesse annunziarsi nostro riconoscimento il 25 novembre, primo anniversario conclusione Patto anticomunista che sarà celebrato con pubbliche e importanti manifestazioni.

Ho risposto che ne avrei chiesto a V.E., ho rammentato che anno scorso avevo fatto spontaneamente qualche accenno in proposito ma che mi si era fatto comprendere come questione fosse prematura.

567 2 Con T. 7800/472 R. del 13 novembre, l'ambasciatore Cora aveva chiesto ad Auriti notizie più precise circa le condizioni che il Giappone intendeva porre alla Cina per chiudere le ostilità ora che la situazione appariva molto cambiata in seguito ai grandi successi delle armate giapponesi intorno a Shanghai. 567 3 Vedi D. 598.

Ne ha convenuto osservando che però conflitto cinese ha mutato situazione e che Giappone vuole ora ottenere riconoscimento di altre Potenze. Circa idea manifestatale in proposito da questa ambasciata di Germania rammento mio telegramma n. 515 1•

567 1 Non rintracciato.

569

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7816/527 R. Tokio, 15 novembre 1937, ore 8,35 (per. ore 16,15).

Telegramma di V.E. n. 244 1 ha suscitato vivo interesse di Hirota che me ne ha molto ringraziato.

Gaimuscio passa da una preoccupazione all'altra. Teme maggiore intimità con noi gli accresca ostilità inglese e se le nostre relazioni con l'Inghilterra paiono migliorare teme essere lasciato da noi in asso. Perciò comunicazioni come odierne di cui fo dare comunicazione anche ai militari saranno assai utili in avvenire.

570

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 7828/33 R. L'Aja, 15 novembre 1937, ore 19,10 (per. ore23,10).

Mio telespresso n. 589 del 28 ottobre scorso 1 e telegrammi di V.E. 45 e 47 del 9 e l J2. Risultati del passo olandese presso gli Stati del gruppo Osio per riconoscimento Impero italiano d'Etiopia sono fino ad oggi seguenti:

Belgio: Spaak si è dimostrato favorevole confermando intenzione già espressa Patijn due mesi fa. Ha tuttavia fatto constatare essergli impossibile impegnarsi fino a che dura crisi ministeriale.

sto di trasferire a Berlino le trattative per il riconoscimento del governo nazionale spagnolo da parte del Giappone. 569 1 Vedi D. 551, nota 4. 570 l Vedi D. 488. 570 2 T. 176665/45 P.R. dell'S novembre che ritrasmetteva il T. 7621/34 del 5 novembre da Stoccolma con cui il ministro Soragna aveva riferito che il governo svedese aveva risposto al passo compiuto dal governo dell'Aja per il riconoscimento dell'Impero italiano di essere favorevole al riconoscimento ma di ritenere che fosse opportuno attendere prima «qualche atto ginevrino».

T. 1787/47 dell'Il novembre. Ritrasmetteva il T. 7711/61 del 9 novembre da Helsinki con cui il ministro Koch comunicava di avere appreso che la Finlandia avrebbe dato la sua adesione all'iniziativa olandese per il riconoscimento dell'Impero non appena quella iniziativa avesse avuto carattere concreto.

Svezia: Sandler ha apprezzato iniziativa olandese promettendo difenderla contro ostilità che già si manifestano e più si manifesteranno nel governo e nell'opinione pubblica.

Norvegia: cauto atteggiamento di attesa.

Danimarca: atteggiamento riservato con punta di ostilità.

Finlandia: non si ha ancora risposta. Qualche sintomo farebbe tuttavia supporre che il governo finlandese finirebbe per seguire esempio Olanda 3 .

In Olanda, Patijn, in cordiale accordo con il Presidente del Consiglio, ha presentato avantieri questione al Consiglio dei ministri. Vi ha incontrato contrarietà da parte di qualche suo collega che prospettava pericolo reazione dei partiti socialisti e liberali ma anche vivo consenso da parte dei ministri cattolici specialmente da parte quello dell'Economia.

Preciso che il governo olandese non ha mai, e in nessun modo, interpellato Londra circa sua iniziativa, che non mira soltanto a ristabilire normali rapporti diplomatici, ma al pieno riconoscimento della nuova situazione in Etiopia.

Continuo senza sosta nella mia opera di persuasione specialmente presso dirigenti di questo partito cattolico.

568 1 T. 7748/515 R. dell'Il novembre. Riferiva che l'ambasciatore di Germania a Tokio aveva propo

571

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 7827/815 R. Londra, 15 novembre 1937, ore 21,55 (per. ore 3 del 16).

Giornali stamane nelle loro corrispondenze da Roma parlano di «cauto, riservato ottimismo» con cui stampa italiana seguirebbe avvenimenti questi giorni.

Se così è, è bene. Nostre riserve e cautele sono quanto mai giustificate e necessarie 1 . N o n vedo infatti, almeno a tutt'oggi, il benché minimo segno che faccia presupporre un cambiamento, in senso meno ostile all'Italia, di quelle che sono state sino ad oggi direttive politica britannica. Se una conclusione può trarsi dagli avvenimenti recenti, questa deve essere se mai in senso contrario.

l) Non è vero, anzitutto, che missione Halifax rappresenti una rettifica (taluno ha detto addirittura «sconfessione») della politica di Eden. Missione H ali fax si inquadra viceversa perfettamente in quella che è stata da un anno in qua la politica estera ufficiale del Foreign Office, del Gabinetto britannico, e i suoi ben noti obiettivi. Un anno fa, all'indomani della costituzione asse Roma-Berlino, governo britannico, ritenendo che Roma fosse il punto di minore resistenza dell'asse Roma-Berlino, concluse coll'Italia Gentlemen's Agreement allo scopo neutralizzare intesa italo-tedesca. Ad un anno di distanza e all'indomani della conclusione Patto italo-tedesco-giapponese, governo britannico ripete analogo tentativo, questa volta

dell'Olanda «riservandosi di decidere sulla questione in conformità delle risposte che sarebbero state date ali'Aja dai governi francesi e inglese» (T. 7824/64 del 15 novembre). 571 1 Su gli scopi di Grandi nell'inviare questo telegramma si veda il D. 577.

con Berlino ritenendo che in questo momento Berlino rappresenti, invece che Roma, il punto di minore resistenza.

2) È probabile che Chamberlain nel suo discorso al GuildhalP avesse effettivamente in mente una ripresa di contatti paralleli con Roma e con Berlino. Se queste erano effettivamente intenzioni e pensiero Primo Ministro, bisogna concludere che, ancora una volta, organi ufficiali politica estera inglese hanno tradotto in pratica tali intenzioni in senso assolutamente opposto.

3) Invito al ministro Ciano di recarsi a Bruxelles per un incontro con Eden e il contemporaneo rifiuto di iniziare conversazioni Ciano-Perth 3 per una preparazione concreta a tale incontro, costituiscono prova evidente del tentativo di cloroformizzare Italia fascista nello stesso momento in cui governo britannico sta attivamente svolgendo su Salamanca e su Berlino azione diretta esclusivamente a staccare dall'Italia i suoi due alleati.

4) Istruzioni date a Halifax per il suo imminente viaggio di «esplorazione politica» a Berlino sono di confermare a Hitler -(nel momento che Halifax giudicherà opportuno e se Halifax troverà terreno adatto)-le buone disposizioni del governo britannico per una concreta soluzione del problema coloniale, nonché disinteressamento inglese per aspirazioni tedesche nell'Europa centro-orientale. In contraccambio governo britannico domanda a quello tedesco analogo disinteressamento per questioni mediterranee e Spagna in particolare, nonché una specifica assicurazione e contro-assicurazione sugli attuali ed eventualmente futuri impegni della Germania coll'Italia e col Giappone.

Queste sono in sostanza, almeno sino a questo momento, le direttive della politica britannica, le quali possono così sinteticamente riassumersi: a) Irrigidimento nei confronti dell'Italia e riluttanza aprire trattative con Roma sino a che non sarà regolata con soddisfazione dell'Inghilterra questione spagnola.

b) Azione diretta su Salamanca (mediante offerta di più o meno apparenti vantaggi a Franco) per neutralizzare influenza italiana in !spagna e per indebolire solidarietà fra Salamanca e Roma.

c) Azione diretta sulla Germania per indebolire, sia l'asse Roma-Berlino, sia l'intesa Roma-Berlino-Tokio, o quanto meno arrestarne gli sviluppi futuri.

570 l Lo stesso giorno il ministro Koch telegrafava che il governo finlandese aveva declinato l'invito

572

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1898/438 R. l Roma, 15 novembre 1937, ore 23.

Questo ambasciatore del Giappone mi ha fatto presente ieri che suo governo considererebbe il momento attuale molto conveniente per un riconoscimento de

jure del Manciukuò da parte del governo fascista. In considerazione dei recenti eventi, per la possibilità che si presenta di piazzarci favorevolmente nello Stato mancese ed infine per ricambiare il leale atteggiamento nipponico nei confronti della questione etiopica, il Duce sarebbe favorevole a procedere senz'altro al riconoscimento del Manciukuò, benché l'ambasciatore abbia fatto presente ch'egli esponeva un desiderio senza fare peraltro la minima pressione.

Prima di procedere al riconoscimento, desidereremmo conoscere punto di vista di codesto governo ed eventualmente concordare linea di condotta.

571 2 Vedi D. 545, nota 2. 571 3 Vedi DD. 500 e 541. 572 l Minuta autografa.

573

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 7831/429 R. Berlino, 16 novembre 1937, ore 14,20 (per. ore 15,40 ).

Telegramma di V.E. n. 438 1• Neurath, che ho visto subito, non è, m complesso, contrario. Egli osserva però che riconoscimento:

lo -in questo momento comprometterebbe definitivamente rapporti con Cina, allo stesso tempo diminuendo (contro interessi stesso Giappone) possibilità itala-tedesche di amichevoli pressioni su Nanchino per una intesa diretta con Tokio;

2° -dovrebbe comunque avere come contropartita concessione di equo privilegio pel commercio rispettivi Paesi nel Manciukuò.

Trattasi tuttavia di questioni che dovranno essere sottoposte Cancelliere, il quale però è assente e tornerà soltanto 23 corrente (incontro con Halifax avrà luogo 19-20 corrente).

Nessun passo analogo è stato compiuto da ambasciatore del Giappone a Berlino2 .

574

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7840/819 R. Londra, 16 novembre 1937, ore 18,20 (per. ore 21,45).

Lord Halifax parte domani mattina per Berlino dove arriverà venerdì come era stato precedentemente fissato. Ragioni per cui governo inglese ha frettolosa

573 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

mente, quasi precipitosamente, anticipato partenza Halifax debbono ricercarsi nelle ripercussioni provocate dall'informazione pubblicata nell' Evening Standard di sabato sera 1 . La violenta reazione della stampa nazista alla rivelazione del giornale serale londinese ha determinato uno stato d'animo di effettiva preoccupazione ed ansietà in questi circoli governativi, timorosi che progettata visita Halifax a Berlino finisse coll'andare a monte come avvenne due anni fa per quella di Simon e recentemente per viaggio von Neurath a Londra.

Durante intere giornate di avanti ieri, ieri e stamane, tutti i giornali ufficiosi e portavoce autorizzati dal governo inglese si sono dati febbrilmente d'attorno per ristabilire atmosfera turbata e dimostrare pretesa infondatezza rivelazioni Evening Standard, e affrettare partenza Halifax prima che altre temute sorprese potessero mettere in pericolo incontro Halifax-Hitler, dal quale il governo ed il pubblico britannico sembrano attendersi chissà quali miracoli.

Mentre da un lato va rimarcata affannosa preoccupazione con cui Londra cerca di «montare» importanza decisiva incontro Hitler-Halifax, dall'altro va rilevata insistenza con cui si smentiscono voci corse di possibili aperture di conversazioni con l'Italia. Tali conversazioni -secondo parole usate dagli stessi funzionari ufficio stampa del Foreign Office --sono da considerarsi «fuori questione».

573 1 Vedi D. 572.

575

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2048/1096. Ankara, 16 novembre 1937 (per. il 23).

Nella conversazione di ieri, Aras mi ha posto il quesito se il patto anticomunista per un temibile complicarsi dei rapporti sovieto-giapponesi avrebbe condotto anche l'Italia ad una situazione ostile verso l'U.R.S.S.

Ho risposto che il Patto si riferiva all'Internazionale Comunista ed alla sua propaganda. Aveva finalità e scopi nettamente di difesa sociale. Non contemplava menomamente lo Stato sovietico, non poteva quindi avere significato ostile all'U.R.S.S. Ignoravo quale fosse il dettaglio del passo fatto costà da Stein e quale la risposta di V.E. ma dall'esame del testo del Protocollo firmato il 6 novembre appariva chiaro che l'Unione Sovietica non aveva alcun motivo di allarmarsi di tale nostro accordo con Giappone e Germania. Mosca non aveva sempre e costantemente dichiarato che nulla vi era di comune fra governo sovietico ed azione Comintern? L'anno scorso avevo avuto in proposito una discussione di

Il giorno successivo, l'agenzia Nationa/so:ialistische Parteikorresponden: aveva smentito con estrema durezza di linguaggio le affermazioni del giornale britannico (il testo della nota è in Rela:::ioni Interna:ionali, p. 841 ). Circa le origini dell'articolo pubblicato dall' Evening Standard si veda il D. 576.

due ore col defunto Karakhan (è veramente triste la sorte degli ambasciatori sovietici ad Ankara: dopo Karakhan è ora la volta di Karsky), il quale ne aveva imperturbabilmente ed ostinatamente sostenuto la netta distinzione. Egli stesso, Aras, mi aveva un paio di mesi addietro narrato di una conversazione con Salkind, incaricato d'affari sovietico, a proposito della azione dei volontari italiani in lspagna e mi aveva affermato aver sostenuto con detto signore la tesi che, dal momento che Mosca dichiarava il non intervento in !spagna e la astensione di ogni sua azione, ecc., non poteva adontarsi della azione anticomunista perseguita dall'Italia, e dell'intervento di volontari italiani. Adontarsene significava ammettere quello che invece l'U.R.S.S. voleva negare. Perciò non avevo che ripetere le sue parole. Il Patto anticomunista non poteva essere preso in mala parte da Mosca, né era per niente in contraddizione col Patto di amicizia italo-sovietico del 1922 1• Trovavo perciò che la protesta russa non aveva fondamento alcuno. La risposta che potevo dargli, beninteso a titolo personale, era quella che discendeva dal testo del Protocollo. Né altro vi era su cui basare diverse arbitrarie interpretazioni.

Aras ha insistito nel domandarmi se tale testo avrebbe condotto ad obblighi di assistenza militare, e ha avanzato ipotesi che il Giappone aveva interesse ad unire nella sua interpretazione Internazionale Comunista, Comintern e governo di Mosca per condurci alla stessa interpretazione, perciò ad ostilità politica e poi anche assistenza militare nel caso in cui nella sua attuale azione in Cina si fosse trovato dinanzi a truppe sovietiche.

Precisato che non esistono altri impegni, accordi, protocolli di nessun genere e natura diversi da quelli pubblicati, ho risposto che la interpretazione giapponese della quale egli presupponeva non potevo, sempre in via di ipotesi, escluderla. Ma occorreva che anche l'Italia facesse altrettanto, perciò la approvasse. Non vedevo oggi, né condizioni, né ragioni per credere a simile nostra interpretazione. Occorrevano a mio avviso nuove condizioni e circostanze per credere che ciò fosse possibile. Ma allora sarebbero stati necessari nuovi accordi. Il Patto anticomunista non permetteva nessuna interpretazione estensiva di tal natura.

Mi ha allora pregato vivamente di chiedere a V.E. una interpretazione autentica del Protocollo in rapporto al quesito da lui posto.

Ho quindi ripreso io, poiché l'occasione mi sembrava buona per cercare di avvicinarmi ad appurare un punto rimasto sempre nel dubbio. E gli ho detto: «Poiché la domanda che voi mi fate è in relazione al vostro Patto di neutralità ecc. con i soviet, quindi vi preoccupate delle ripercussioni eventuali di una nostra interpretazione che voi ritenete possibile e che vi potrebbe mettere in contrasto con i vostri impegni con Mosca, ditemi esattamente quali essi sono. Avete anche obbligo di assistenza militare?».

Aras mi ha risposto che con i soviet la Turchia non ha altri Patti che quello di neutralità a noi noto 2 , il quale ha anzi portata inferiore a quello con noi, perché

2 settembre 1933 (Trattati e Conven:ioni, vol. XLVI, pp. 304-306). 575 2 Patto di neutralità e di amicizia tra Turchia e U.R.S.S. del 17 dicembre 1925 (in MARTENS, vol. XVlll, pp. XVIII, pp. 658-659), prorogato per dieci anni con Protocollo del 7 novembre 1935 (testo in MARTENS, vol. XXXVII, pp. 28-29).

675 Turchia e soviet hanno reciproci impegni limitativi allorché si tratti di accordi con i Paesi confinanti. Nessuna limitazione esiste quindi nei riguardi dell'Italia, verso la quale la Turchia è totalmente libera da ogni vincolo rispetto a Mosca. Ha poi negato recisamente ogni impegno militare.

Gli ho allora replicato che avevo sempre creduto alla esistenza di obblighi militari, che mi se ne era affermata la conclusione, contenuto, etc. Dopo molte insistenze ha finito con l'ammettere che esiste una «promessa» unilaterale da parte dell'U.R.S.S. di soccorrere la Turchia nel caso in cui fosse attaccata, così come del resto Mosca aveva fatto fin dal principio della rivoluzione kemalista.

Allora gli ho detto: «Se così è non avete da preoccuparvi in caso della ipotesi che vi occupa che naturalmente respingo perché oggi non ha, né fondamento nel protocollo, né è attuale. Ma pure ammettendola in dannatissima ipotesi, i due Patti di neutralità della Turchia con Italia3 e soviet si completavano vicendevolmente in senso favorevole ad Ankara, permettendole neutralità. Tuttavia avrei chiesto all'E.V. di dirmi se e quale altra risposta poteva essergli data per tranquillizzarlo. L'E.V. vedrà se e come autorizzarmi a dirgli una sua parola.

Resta fissato in ogni modo:

a) Che vi è un obbligo militare della Russia verso la Turchia, ciò che conferma le voci relative ad accordi precisi relativi alla difesa degli Stretti.

b) Che la preoccupata insistenza di Aras di sapere se il Patto anticomunista avrebbe potuto trasformarsi in determinate circostanze in patto antisovietico e condurci ad una azione militare induce a supporre con qualche fondamento che possano esservi obblighi di assistenza militare da parte della Turchia (chiusura degli Stretti?).

c) Che se non vi siano impegni di assistenza militare, ve ne sono forse di politici che possono obbligare la Turchia a scegliere e determinare la sua condotta. Ciò che, come l'E.V. ben sa, la Turchia non vuoi fare che in estremissimo caso.

Trascrivo qui di seguito un passo dell'articolo comparso sulla République del 14 corrente a firma di Yunus Nadi, e che può ricollegarsi con la domanda di Aras: «Une politique qui viserait la Russie des Soviets sous le couvert de l'anticommunisme ne cadrerait pas avec notre tradition d'amitié avec ce pays qui est notre voisin. Nous sommes devenus amis avec les Soviets aux jours les plus sombres de notre histoire; nous le sommes toujours et cette amitié ne sera jamais ternie par notre faute. La devise principale des Tures est d'etre fidèles aux engagements et surtout à l'amitié. Nous estimons qu'il est très utile et meme nécessaire de préciser ainsi les faits en ce moment où la situation mondiale se dirige vers de grands bouleversements et surtout après avoir vu que l'alliance anticommuniste conclue par certaines puissances dépasse le cadre de la Russie et revet le caractère d'une manoeuvre d'envergure mondiale» 4 .

575 4 Con T. 18982 P.R. del 20 novembre, Ciano telegrafava a Galli il verbale del suo colloquio con l'ambasciatore sovietico, Stein (vedi D. 536), confermando che non esistevano «impegni, accordi o protocolli di nessun genere o natura oltre al testo firmato il 6 novembre u.s. ».

574 1 L'Evening Standard del 13 novembre aveva pubblicato una corrispondenza in cui si affermava che, secondo notizie in possesso del governo britannico, Hitler sarebbe stato disposto ad accantonare per dieci anni il problema coloniale se la Gran Bretagna gli avesse dato mano libera in Austria e in Cecoslovacchia.

575 1 Sic. Si riferisce al Patto di amicizia. di non aggressione e di neutralità fra l'Italia e l'U.R.S.S. del

575 3 Vedi D. 523, nota 3.

576

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 4937. Londra, 16 novembre 1937 (per. il 20).

Ho segnalato stamane alla tua personale attenzione i miei fonogrammi stampa da sabato ad oggi ed in particolare i due articoli del Sunday Times di avant'ieri e del Manchester Guardian di stamani, che ritengo opportuno inviare con rapporto a parte nella loro traduzione integrale 1 . Ti allego, a complemento dei riassunti telegrafici e telefonici giornalieri, la raccolta dei ritagli stampa di questi giorni relativi alla missione Halifax a Berlino. Fonogrammi e ritagli rappresentano quelli che io chiamo i «documentari fotografici» della situazione di questi giorni. Vi è ancora oggi qualche burocrate imbecille che considera sproporzionata l'importanza che io do a queste segnalazioni stampa. Per mio conto io considero il fonogramma quotidiano, il quale viene redatto sotto la mia direzione e che non viene spedito senza che io lo abbia riveduto da capo a fondo, il documento diplomatico più importante della giornata perché esso è destinato a dare al Duce e a Te l'impressione plastica e, ripeto, fotografica della giornata politica e il filo conduttore di quelle che sono, giorno per giorno, le «mosse» e l'azione del nemico.

Tu sei già informato come è nata questa missione Halifax a Berlino. Lord Halifax è stato invitato dal Presidente dell'Esposizione tedesca della Caccia che, se non mi sbaglio, è il generale Goring, a visitare a Berlino l'Esposizione medesima. Halifax, dopo essersi consultato con Chamberlain e col Gabinetto, ha risposto accettando l'invito di Goring ed esprimendo nello stesso tempo il desiderio e il gradimento del Governo Brittannico per un diretto e personale scambio di idee fra Halifax e il Fiihrer. Tutto ciò si è svolto a Berlino, e Ribbentrop ne è stato informato a cose fatte. La cronaca retrospettiva per esaminare a chi spetti l'iniziativa di questo incontro Hitler-Halifax ha, a mio avviso, una importanza relativa. Come sempre succede in questi casi l'iniziativa appartiene per metà a ciascuna delle parti. Quello che importa, se mai, è la constatazione di una volontà concorde da ambo le parti.

Come Tu hai visto gli Inglesi si sono «buttati» su questo avvenimento (all'indomani della firma del Patto italo-tedesco-giapponese) con un'ansia ed una frenesia così imprudenti e così sproporzionati da dare essi stessi un'altra prova rivelatrice, seppure superflua, di quelli che sono effettivamente gli obiettivi della politica brittannica. La visita di Blomberg a Londra nello scorso mese di maggio diede motivo a manifestazioni di carattere analogo ma di proporzioni assai minori 2 . Vi fu nel maggio scorso, tutto sommato, un certo ritegno. Oggi, come allora, il motivo e la speranza segreti è uno solo: l'illusione di poter indebolire l'Asse Roma-Berlino, che costituisce il grande incubo della politica brittannica dell'anno 1937. Questo illusorio tentativo è oggi ripetuto su scala più vasta e con una volontà ancora più concreta.

576 2 Per le valutazioni date da parte italiana alla visita del Maresciallo von Blomberg in Gran Breta gna in occasione delle feste per l'incoronazione di Re Giorgio VI si veda serie ottava, vol. VI, DD. 622, 648 e 661.

Durante le giornate di giovedì, venerdì e sabato vi è stato un «crescendo» di ottimismo sui possibili risultati di questa missione Halifax. Si è parlato di un ardent welcome che Berlino stava preparando a Lord Halifax (gli Inglesi non sanno ancora rassegnarsi a quelle che sono state le trionfali giornate del Duce in Germania), e via di questo passo. Poi è venuta ad un tratto la doccia fredda di sabato, l'improvvisa zizzania fra Londra e Berlino provocata dall'untimely and mischievous (?!) (come la chiamano gli inglesi) pubblicazione dell' Evening Standard3 , la violenta levata di scudi della stampa nazista a cui ha fatto seguito la grottesca ed ansiosa preoccupazione brittannica di calmare gli spiriti infuriati di Berlino, e da ultimo la decisione precipitosa di anticipare la partenza di Halifax per il timore che qualche fatto impreveduto rischiasse nuovamente di mandare per aria l'incontro di Halifax col Fiihrer tedesco.

Adesso mi sento costretto a dirti che l'autore della pubblicazione sull' Evening Standard e l'agente provocatore della conseguente zizzania tra Berlino e Londra è stato l'umile sottoscritto. Sono stato io che ho passato aii'Evening Standard l'untimely e mischievous informazione secondo la quale il Gabinetto Brittannico nel formulare le istru::ioni a Halifax per il suo incontro con Hitler aveva fissato fra l'altro di «dichiarare a Hitler che la Gran Bretagna è pronta a riconoscere alla Germania il diritto di espansione verso il centro est europeo qualora la Germania na::ista consenta a concludere un armisti::io di 10 anni nella questione coloniale sulla stessa guisa dell'armisti::io concluso dalla Germania colla Polonia per quanto riguarda le minoran::e tedesche». Nell'alternativa di una sfavorevole accoglienza da parte di Hitler, Halifax avrebbe dovuto confermare al Fiihrer le buone disposizioni del Governo Brittannico per risolvere la questione coloniale in contraccambio di concrete assicurazioni da parte tedesca circa gli impegni presenti e futuri della Germania verso l'Italia e il Giappone. Non appena in possesso di questa informazione (che, come dirò più oltre, corrispondeva alla verità, e sulla esattezza della quale non ho, in seguito a controlli successivi, il benché minimo dubbio), non ho resistito alla tentazione di farne subito regalo. attraverso interposta persona, all'Evening Standard, sicuro che il giornale «giallo» della sera non avrebbe resistito a sua volta alla tentazione di fabbricare su tale notizia uno dei soliti colpi sensazionali che gli permettono di mantenere la sua tiratura a più di un milione di copie.

La pubblicazione rivelatrice deii'Evening Standard ha fatto una profonda impressione, ma non è stata smentita. Non solo essa non è stata smentita, ma è stata ripresa e confermata il giorno dopo in un articolo ufficioso dell'ufficioso Sundav Times. È stato soltanto a 48 ore di distanza, a seguito cioè dell'impreveduta reazi;ne violenta della stampa nazista (ti raccomando a tale proposito le notizie interessanti giunte da Berlino secondo le guaii tale reazione sarebbe stata determinata dal personale intervento di Goebbles e approvata da Hitler, mentre la Wilhemstrasse avrebbe subito fatto di tutto per attenuare tale reazione antibrittannica e le sue conseguenze: il che è riprova di molte cose che Tu conosci meglio di me) che tanto Downing Street guanto il Foreign Office si sono affrettati a smentire le informazioni «intempestive» dell' Evening Standard, visibilmente preoccupati che la tempesta suscitata a Berlino finisse col mandare per aria. come per un momento è apparso, l'incontro fra Halifax e il Fuhrer.

L'attacco della stampa nazista ha fatto qui l'elTetto di una doccia fredda, per non dire gelata, su quelli che erano i bollori ottimistici, i progetti e le speranze segrete degli Inglesi intorno a questo incontro Halifax-Hitler e i suoi possibili risultati.

La stampa inglese di ieri lunedì e di oggi martedì è sotto questo riguardo di un evidente interesse. La missione di Halifax viene, tutto ad un tratto, interpretata e presentata sotto una luce nuova, quella di un innocente viaggio privato e senza programma politico determinato: la parola d'ordine fatta passare ieri mattina frettolosamente da redazione in redazione è identica: gli acidi parrucconi conservatori del Times e i filocomunisti del Daily Herald si esprimono oggi nella stessa maniera. Nessuna istruzione, nessuna offerta, nessun contratto ha in mente il Governo Brittannico di proporre a quello tedesco. Halifax non va se non per ascoltare e riportare la parola del Fiihrer, il quale, è più che naturale (aggiungono i redattori ufficiosi) terrà al corrente il Governo Fascista di Roma, così come quello di Londra terrà al corrente quello di Parigi. Ma gli uffici stampa del Foreign Office non hanno potuto fare a meno tuttavia di insinuare una nota concorde che appare stamane in tutta la stampa ufficiosa e non ufficiosa: «Conversazioni con Berlino, ma non coll'Italia».

Il solo Manchester Guardian, che senza dubbio è il più spregiudicato degli avversari del Governo conservatore e anche il più intelligentemente informato, si è rifiutato di seguire le istruzioni del Foreign Office e conferma stamani da cima a fondo la rivelazione dell' Evening Standard di sabato scorso. Ho stralciato il pezzo dedicando ad esso un rapporto che troverai nel corriere di oggi, e sul quale attiro la Tua attenzione.

Tutto ciò come sfondo panoramico della situazione la quale merita di essere seguita nei suoi aspetti pittoreschi non meno che nella sua cruda sostanza4 .

576 1 Con T. 7832/818 R. del 16 novembre, non pubblicato.

576 3 Si veda il D. 574, nota l.

577

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 4938. Londra, 16 novembre 1937 (per. il 20).

Avantieri domenica Ti ho spedito l'unito telegramma 1 nel quale ho riassunto schematicamente la situazione, come io la vedo e quale mi risulta dalle mie osservazioni di queste ultime settimane.

Ho fatto cifrare questo telegramma coi cifrari meno riservati (cifrario n. A.R. 28 e A.R. 29 senza sopracifratura) e notoriamente conosciuti dal Governo Brittannico, in modo che gli Inglesi potessero leggerlo subito e sapere così quello che io penso della situazione e di loro.

Oggi nelle prime ore del pomeriggio ho avuto una telefonata da Sir Joseph Bali, fiduciario di Chamberlain, il quale domandava di vedermi d'urgenza. Ho risposto a Bali che l'attendevo all'Ambasciata.

Bali dopo avermi fatto un lungo discorso di carattere panoramico, che Ti risparmio, ha continuato col dirmi essere vivo desiderio del Primo Ministro di chiarire alcuni punti, anche perché risultava personalmente al Primo Ministro che io mi ero espresso con «amici comuni» (!?) in un senso assai pessimistico sulle intenzioni del Governo Brittannico nei riguardi dell'Italia. Chamberlain aveva pertanto incaricato Bali di recarsi subito da me allo scopo di rettificare queste impressioni che, secondo Chamberlain, corrispondevano più all'«apparenza» della verità che alla verità medesima. «Anzitutto -ha continuato il fiduciario di Chamberlain -il Primo Ministro desidera smentire le voci corse in questi giorni e raccolte con troppa insistenza, lo ammetto, anche dalla stampa così detta ufficiosa, secondo le quali il Governo Brittannico avrebbe deciso di non iniziare le conversazioni Ciano-Perth se non dopo aver raggiunto una soluzione soddisfacente della questione spagnola. Queste non sono le intenzioni del Primo Ministro». (A questo punto Bali si è espresso in tono aspro verso «coloro» che al Foreign Office cercherebbero d'ostacolare l'azione del Primo Ministro). «Se il Primo Ministro si è trovato nella necessità di non poter in questi giorni autorizzare l'inizio di tali conversazioni, ciò è dovuto a motivi di politica interna brittannica e non come conseguenza di un programma determinato di politica estera. Chamberlain desidera anche -ha continuato il Bali -dichiarare nel modo più emphatic che le sue dichiarazioni fatte all'Ambasciatore d'Italia nel luglio scorso 2 e confermate pubblicamente nel suo discorso al GuildhalP nel senso che il Primo Ministro considera una realtà unshakeable l'Asse Roma-Berlino, devono prendersi alla lettera, e corrispondono a quello che il Primo Ministro pensa effettivamente. Chamberlain non ha avuto mai né l'intenzione né la volontà di esplicare alcuna azione per cercare di scuotere l'intesa fra la Germania nazista e l'Italia fascista. D'altra parte, Chamberlain è convinto che i Governi di Roma e di Berlino non hanno in mente di scuotere l'intesa cordiale esistente tra l'Inghilterra e la Francia. Le istruzioni date da Chamberlain a Halifax sono su questo punto precise: Halifax non deve fare o dire nulla che possa esser considerato, sia dal Fiihrer come dal Duce, come un tentativo di indebolire l'Asse Roma-Berlino. Per quanto riguarda la politica brittannica nei confronti della guerra civile spagnola e dell'intervento italiano in Spagna, Chamberlain resta fedele alle sue dichiarazioni fatte ai Comuni e confermate nel suo messaggio personale al Duce del 25 ottobre (mio telegramma n. 766)4 .

Egli crede nella parola di Mussolini e domanda a sua volta di essere creduto. Nello stesso tempo Chamberlain non può nascondere che la questione spagnola rimane l'ostacolo principale, se non l'unico, per attuare finalmente e rapidamente quel piano di conciliazione con l'Italia che rimane uno dei punti fondamentali del suo programma politico».

Ho risposto a Bali che prendevo atto di queste sue comunicazioni ma che l'esperienza mi obbligava a mantenermi estremamente guardingo, eppertanto non potevo modificare il mio giudizio sulla situazione, anche se questo giudizio era in contrasto con alcune delle dichiarazioni fatte in passato, ripetute oggi, per il tra

mite del suo fiduciario personale, dal Primo Ministro. «Le buone intenzioni del Primo Ministro, ho continuato, sono fuori questione. Ma il Governo Fascista deve considerare esclusivamente ed oggettivamente agli effetti della propria condotta e azione politica, quella che in definitiva risulta essere la condotta e l'azione ufficiale del Governo Brittannico. Sino a che non si verificheranno fatti nuovi e concreti, tali da modificare la situazione attuale, è difficile da parte mia mutare quello che è il mio attuale giudizio e le mie impressioni sulla situazione medesima. Vi prego di dire a Chamberlain che aspetto quel giorno in cui potrò dichiarare al mio Governo che la situazione è effettivamente mutata. Per il momentò non vedo nulla che mi autorizzi a farlo. Il Governo Brittannico è, Chamberlain sempre ripete, un Governo di pubblica opinione. Chamberlain non può negare che ogni giorno il Governo Brittannico esercita un'azione diretta e indiretta per indirizzare la pubblica opinione brittannica in un senso determinato. Non vi è stata dalla fine di luglio a oggi nessuna -dico nessuna -manifestazione o azione da parte del Governo Brittannico diretta a determinare nella pubblica opinione uno stato d'animo favorevole a un chiarimento e ad una conciliazione definitiva con l'Italia. Al contrario nulla è stato trascurato per aggravare la tensione e rendere di fatto questo chiarimento e questa conciliazione difficili se non impossibili».

Ho riveduto stasera Chamberlain a Buckingham Palace in occasione del pranzo offerto da Re Giorgio in onore del Re dei Belgi. Non ho potuto scambiare col Primo Ministro che qualche parola. Chamberlain mi ha detto soltanto che desiderava confermarmi a voce quanto Bali era venuto a dirmi oggi nel pomeriggio per suo incarico.

Ho risposto a Chamberlain che lo ringraziavo e che speravo Bali avesse riferito da parte sua la mia risposta. Chamberlain ha replicato che egli spera fra non molto potermi vedere e parlare a lungo per esaminare con calma l'intera situazione. Ho risposto che ero sempre a sua disposizione 5 .

576 4 Il documento ha il visto di Mussolini. 577 l Vedi D. 571.

577 2 Vedi D. 127. 577 3 Vedi D. 545. nota 2. 577 4 Vedi D. 481.

578

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. SEGRETO 1902/402 R. Roma, 17 novembre 1937, ore 3.

Suo rapporto 2823 del 13 corrente 1•

È falso che nel passato il cardinale Pacelli sia stato in comunicazione con Tafari «per incarico del governo italiano». È invece esatto che Tafari di sua iniziativa ci ha fatto pervenire comunicazioni per il tramite del cardinale Pacelli. Comunque tali comunicazioni non sortirono alcun esito concreto.

Governo fascista mantiene linea di condotta già assunta in merito. Se quindi ex-Negus intende farci pervenire chiare e precise proposte, siamo disposti ad ascoltarle, riservando come ovvio il nostro atteggiamento. V.E. è autorizzata ad esprimersi in tal senso pel tramite della persona che ella preferirà 2 .

577 5 Il documento ha il visto di Mussolini. 578 I Vedi D. 565.

579

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1906/440 R. Roma, 17 novembre 1937, ore 2,30.

Mio telegramma n. 438 1•

Ministro Affari Esteri giapponesi ha chiesto ad Auriti 2 se saremmo disposti riconoscere Manciukuò esprimendo desiderio che su tale punto Italia non sia seconda a nessun'altra Potenza. Auriti aggiunge che farebbe ottimo effetto in Giappone se riconoscimento potesse essere annunziato 25 corrente in occasione anniversario conclusione Patto anticomunista. Ho telegrafato ad Auriti3 per sua conoscenza che avevamo preso contatti su questo punto con codesto governo riservandomi inviare definitive istruzioni.

580

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1907/198 R. Roma, 17 novembre 1937, ore 2.

In dichiarazioni alla stampa nonché in una circolare in data 13 corrente diretta alle rappresentanze diplomatiche brasiliane il Presidente Vargas ha tenuto a riaffermare che nuovo regime brasiliano rimarrà fedele ai più vieti principi di democrazia pacifismo e panamericanismo. Pur tenendo nel debito conto il fatto che tali dichiarazioni e istruzioni sono in parte dovute a considerazione opportunistiche di politica interna ed internazionale di codesto Paese, è tuttavia evidente che se esse corrispondono anche parzialmente alle reali intenzioni di Vargas atteggiamento da noi assunto agli inizi del nuovo regime dovrebbe essere notevolmente riveduto. Pertanto converrà che V.E. regoli la propria attitudine a seconda delle manifestazioni concrete che dimostreranno in un prossimo avvenire se ed in

579 l Vedi D. 572. 579 2 Vedi D. 569. 579 1 Con T. 1905/254 R. del 17 novembre, non pubblicato.

qual misura il Presidente intenda collaborare effettivamente con i regimi che si ispirano alla difesa dei principi e di civiltà. Superfluo fare presente a V.E. che accenno alla circolare inviata ai rappresentanti diplomatici brasiliani è per sua esclusiva e riservatissima informazione.

578 2 Si veda. per il seguito, il D. 594.

581

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PERSONALE 7854/34 R. L'Aja, 17 novembre 1937, ore 14,15 (per. ore 18).

Ho fatto ieri nel modo più cordiale a questo ministro degli Affari Esteri comunicazione di cui al telegramma di V.E. n. 46 1 . Trovando soltanto una molle reazione, ho creduto opportuno precisare che gratitudine italiana avrebbe potuto dimostrarsi preziosa per Olanda in ogni evenienza in Estremo Oriente.

Patijn, sorpreso ma anche commosso per le parole di V.E., mi ha chiesto di far pervenire i più vivi ringraziamenti e assicurazioni che apprezzava valore presente e futuro dell'amicizia italiana. Mi ha assicurato che avrebbe continuato tenacemente nella sua azione intesa a provocare riconoscimento della sovranità italiana sulla Etiopia. Vi era stato un momento di arresto provocato da accuse di pusillanimità lanciategli subito dopo richiamo Cerruti da Parigi.

Ho spiegato che il caso dell'ambasciata francese a Roma era senza riscontro, dato che erano senza riscontro gli attuali rapporti fra Roma e Parigi e la malafede troppo spesso dimostrata nei riguardi nostri dai governanti francesi.

Patijn ha annuito. Mi ha detto che per procedere al riconoscimento gli sarebbe bastata adesione, che pareva probabile, del Belgio e della Finlandia: gli altri avrebbero certamente seguito.

Ho esortato Patijn, illustrandogli grande valore internazionale del gesto e merito che a lui ne verrebbe a procedere da solo se gli altri continuassero ad esitare.

Egli mi ha fatto presenti le enormi difficoltà per l'azione isolata di un piccolo Paese come l'Olanda, ma non l'ha esclusa in modo assoluto; mi ha detto che sondava i parlamentari, saggiando il peso delle opposizioni socialiste e liberali: sui cattolici credeva poter contare. Circa modo di procedere mi ha confermato che intervenuto accordo tra tre o più Stati del gruppo Osio, esso sarebbe stato comunicato a Londra e a Parigi ma a puro e semplice titolo di informazione. Pregandomi nuovamente di render noto a V.E. suo apprezzamento, Patijn ha concluso assicurandomi delle sue intenzioni di far il possibile per aiutare a seppellire una questione che è ancora motivo di pericolosa tensione europea 2 .

581 1 T. 1865/46 R. dell'Il novembre. Incaricava il ministro Taliani di comunicare al governo olandese che una sua iniziativa per il riconoscimento dell'Impero italiano avrebbe avuto a Roma «la più favorevole eco» e sarebbe restata «nella tenace memoria» del governo italiano. La minuta del telegramma è autografa di Ciano. 581 2 Ciano rispose con T. personale 1924/48 R. del 22 novembre: «Se Patijn non ritornerà più sulla questione dei possessi olandesi in Estremo Oriente, la lasci cadere. Se dovesse riparlarne, si riservi e riferisca».

582

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 7851/534 R. Tokio, 17 novembre 1937, ore 20,30 (per. ore 16,30).

Militari mi hanno fatto informare confidenzialmente di essere d'accordo con ministero degli Affari Esteri nel ritenere che il momento è ora propizio per iniziare trattative di pace con la Cina. Loro desiderio sarebbe che Mussolini e Hitler interponessero loro buoni uffici per indurre Chiang Kai-shek a trattare: questi, da loro notizie, vi sarebbe ora propenso. Militari dicono aver già deciso loro condizioni che assicurano essere assai moderate.

Compito Mussolini e Hitler sarebbe quello di amici dei due Paesi, i quali dovrebbero dar modo a questi di intendersi direttamente e occorrendo interporre buoni uffici per far superare difficoltà che sorgessero nel caso dei negoziati diretti.

583

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. PER CORRIERE 1908 R. Roma, 17 novembre 1937.

Ho letto il rapporto del R. addetto militare relativo al suo colloquio col Re 1 , ma non sono favorevole all'invio di altri ufficiali.

Conviene che il R. addetto militare tenga presente che, mentre ho accolto integralmente le domande rivoltemi dal Re, largheggiando nel campo finanziario ed economico2, è indispensabile, per quanto riguarda il lato militare di evitare tutto quanto possa determinare dannose preoccupazioni e timori da parte jugoslava.

584

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7908/0365 R. Parigi, 17 novembre 1937 (per. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 0362 1•

583 2 Vedi D. 268. 584 l T. per corriere 7774/0362 R. del 10 novembre. Riferiva che la prossima visita di Delbos a Varsa via e nelle capitali della Piccola Intesa, prevista per dicembre, non sembrava destinata a sboccare in nuovi atti politici concreti ma aveva piuttosto per scopo di rialzare il prestigio della Francia nell'Euro pa Orientale e di marcare la sua fedeltà ai Paesi amici.

Sono state definitivamente fissate le date per il viaggio del signor Delbos in Europa Centrale ed Orientale.

Il ministro degli Affari Esteri partirà da Parigi il 2 dicembre e si recherà prima a Varsavia. Partirà quindi per Bucarest, continuerà per Belgrado e chiuderà il suo viaggio con la visita a Praga. Il suo soggiorno in quest'ultima città coinciderà con le celebrazioni per l'anniversario dell'esercito cecoslovacco. Il ministro Delbos sarà di ritorno a Parigi qualche giorno prima di Natale.

Confermo le impressioni già segnalate nelle mie precedenti comunicazioni. La visita non pare cioè destinata a sboccare in alcunché di politicamente importante. Il momento stesso in cui essa è attuata non sembra d'altra parte particolarmente propizio. Si ignora ad esempio da quale governo e di quale tendenza l'ospite francese sarà precisamente ricevuto in Romania. Il governo francese, da cui è partita l'iniziativa della visita, ritiene comunque di dover essere più attivamente presente in Europa Centrale e Orientale in un momento in cui considera che l'influenza italiana si sia in quella zona volontariamente posta in secondo piano a vantaggio della Germania. Ritiene altresì di dover esplorare sul posto le possibilità di trarre vantaggio di quel senso di preoccupazione e di disagio che, insieme col cresciuto prestigio, il riarmo tedesco avrebbe diffuso in tutta l'E~ropa Centrale. Il viaggio Delbos ha anche precise motivazioni di ordine interno: chiedere ed ottenere cioè una tregua all'interno in un momento in cui il ministro degli Esteri è impegnato in una missione diretta a risollevare il prestigio della Francia all'estero.

Il solo Paese ove la visita abbia giustificazioni evidenti è la Cecoslovacchia, rimasta fedelissima alla vecchia alleanza. Mi si assicura a questo proposito che nella recente visita dei ministri cecoslovacchi a Parigi 2 , il governo francese avrebbe dato assicurazione di essere pronto in determinate circostanze a considerare un movimento antistatale che partisse dalle minoranze tedesche in Cecoslovacchia, come suscettibile di mettere in moto l'assistenza prevista dai trattati fra i due Paesi.

Non si parla più, per il momento, di un secondo viaggio ad Atene e ad Ankara (che avrebbe dovuto aver luogo in febbraio) e si smentisce che sia in progetto un viaggio a Mosca.

583 l Non rintracciato.

585

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 14317/0366 P.R. Parigi, 17 novembre 1937 (per. il 20).

È venuto a vedermi il signor Charles Michel-Còte, presidente del consiglio di amministrazione delle Ferrovie di Gibuti. Mi ha descritto la situazione della ferrovia Gibuti-Addis Abeba a colori foschi. Afferma che, in seguito alle nostre pressanti richieste per un sollecito aumento delle possibilità di traffico ferroviario, la

Compagnia ha, per raggiungere tale obbiettivo. fatto degli sborsi estremamente cospicui. che ammontano oggi a sessanta milioni di franchi. Il traffico che avrebbe dovuto elevarsi a 800 tonnellate giornaliere, è invece caduto al disotto del livello pre conquista etiopica. Le linee automobilistiche, nonostante il recente ritiro di qualche centinaio di automezzi appartenenti alla ditta Gondrand. continuano ad essere esercitate da altre ditte o da privati. sicché il traffico da Gibuti per l'Etiopia è oggi per oltre la met't ancora disimpegnato dagli automezzi. con conseguenze pressoché rovinose per la ferrovia.

Il signor Michel-Còte ha particolarmente insistito sulle assicurazioni che gli sono state date in parecchie occasioni dal R. governo, assicurazioni sulla base delle quali la Compagnia si è indotta ad attrezzarsi coi mezzi attuali che le condizioni presenti del traftìco non giustificano invece in nessun modo.

Il signor Michel-Còte partirù il IO dicembre prossimo per Gibuti, per rendersi personalmente conto della situazione. Conta di rientrare dopo qualche settimana in Europa e di fermarsi per qualche giorno a Roma. ove si porrà in contatto sia con codesto ministero, sia con quello dell"Africa Italiana.

È giunto stamane Lanino per prendere parte alle sedute del Consiglio di amministrazione fissate per il pomeriggio di oggi. Egli conta di ripartire oggi stesso per Roma ove riferirà direttamente al riguardo.

584 2 Vedi D. 437 e 478.

586

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 791 ()/()30] R. Londra. 17 novemhrc 193 7 (per. il 20 ).

Ribbentrop m'informa stamane di aver avuto un colloquio con Halifax ieri prima della partenza di quest"ultimo per Berlino.

Ribbentrop mi ha detto che Halifax era andato a trovarlo. e durante la conversazione egli aveva più volte insistito per chiarire il carattere della sua missione che, secondo Halifax, si limitava puramente a un contatto col Fiihrer senza alcuno scopo o programma politico determinato. <<Soprattutto--Halifax avrebbe aggiunto --desidero smentire che fra gli scopi della mia visita vi sia quello di fare o tentare alcunché che possa distrarre la Germania dalla sua intesa con l'Italia. li Primo Ministro, Eden ed io riteniamo che un chiarimento della situazione e un miglioramento dei rapporti tra Londra e Berlino non potrà non avere un'influenza decisiva nel chiarimento dei rapporti tra Londra e Roma che il governo britannico parimenti desidera e si augura poter ristabilire al più presto».

Ribbentrop mi ha confermato che la preparazione per questo viaggio di Halifax è stata fatta a Berlino tra von Neurath e Henderson e che egli Ribbentrop ne sarebbe rimasto completamente all'oscuro se il Fiihrer stesso, nel congedarlo qualche giorno fa, non gliene avesse personalmente accennato. sia pure in modo generico.

Ho domandato a Ribbentrop che cosa egli prevedeva potesse uscire da questi colloqui berlinesi. Ribbentrop mi ha risposto: «Nulla. Per la Germania nazista e per il Fiihrer non vi è che una sola realtà: l'asse Roma-Berlino. A questo nOI rimarremo fedeli sino in fondo e a tutti i costi».

Ribbentrop mi ha detto che mi terrà informato confidenzialmente su tutte le notizie che gli perverranno da Berlino circa i colloqui di Halifax. lo gli ho detto da parte mia che farò altrettanto.

Ho creduto opportuno riassumegli in breve il contenuto del passo fatto da Vansittart per invitare V.E. a recarsi a Bruxelles ad incontrarsi con Eden 1 e la risposta negativa data da parte del governo fascista al passo britannico 2 .

587

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 14495/036 P.R. Lisbona. 17 novembre 1937 (per. il 24).

Mi riferisco al telegramma per corriere di V.E. n. 17275 P.R. in data 2 corrente 1 .

Ho avuto l'onore di riferire a V.E. con successivi telegrammi 2 l'impressione generale ed i dati positivi che è stato possibile di raccogliere in Lisbona circa l'improvvisa indiscrezione della stampa inglese sulle trattative sin'allora segrete per l'invio di una missione britannica in Portogallo. La fase attuale di tali trattative è che per il momento l'invio della missione è stato sospeso, sia ciò avvenuto a domanda portoghese, come è stato dalla stampa affermato, o di comune accordo, come in maniera più generale e più prudente queste autorità responsabili si limitano ad indicare.

Frattanto tutti gli indizi, raccolti anche nei rapporti dei RR. addetti navale ed aeronautico confermano che da parte inglese nulla viene nel frattempo trascurato per la preparazione delle basi militari atlantiche sulle coste europee ed africane, eventualmente utilizzabili in caso di conflitto dall'Inghilterra.

Alla luce dei dati raccolti a Lisbona, e delle stesse precisioni fornite da questo governo, la spiegazione data dall'ambasciatore portoghese in Londra, signor Monteiro, sulle trattative stesse non può apparire completa. Può essere che le trattative rimontino a tre mesi fa. Nessuno è in grado di saperlo meglio dell'ambasciatore predetto visto che l'iniziativa britannica fu da lui trasmessa ed appoggiata presso Salazar. Che egli non se ne meravigli è anche naturale: era uno dei pochi a saper

lo. Ma che non comprenda la meraviglia degli altri lo è meno. Le trattative erano, come è noto, tenute così segrete che erano ignorate persino dagli alti gradi della Marina e dell'Esercito portoghese e furono rivelate soltanto per una indiscrezione giornalistica evidentemente voluta ma di cui sarebbe ancor oggi assai interessante poter conoscere la fonte ed il tramite precisi. Il rumore che è stato fatto attorno all'improvvisa rivelazione era giustificato, sia per il contenuto, sia per la maniera sensazionale con cui fu fatta, quanto per la scelta del tempo in cui l'indiscrezione avvenne.

Non vi è dubbio-come il R. ambasciatore in Londra così giustamente rileva -che tali trattative fanno parte della pressione britannica per ridurre il Portogallo nei suoi atteggiamenti indipendenti dalla politica inglese. Di tale pressione sono evidenti anche in Lisbona gli elementi che anche questa R. legazione ha avuto campo di segnalare. I tentativi di intimidazione inglese non si manifestano soltanto negli accenni ad un possibile conflitto nel Mediterraneo ma giocano, anche, ed ampiamente nello spaventare il Portogallo a proposito delle rivendicazioni coloniali tedesche. Punto di ipersensibilità quasi spasmodica portoghese, di cui sarebbe superfluo ripetere le recentissime vicende. Ma non è chi non veda come il problema coloniale portoghese sia quello che maggiormente lega questo Stato alla «Grande Alleata», e come sia sempre il perno di tutta la delicata e difficile posizione portoghese attuale. Va anche rilevato che l'intensificata azione britannica comprende in Lisbona oltre le pressioni crescenti anche le blandizie. Quali che siano ancora oggi le difficoltà interne di Salazar, il governo britannico ha dovuto rendersi conto da un anno a questa parte che con lo «Stato Nuovo» usare soltanto i vecchi sistemi poteva riuscire inutile e dannoso. Così, l'Il novembre l'ambasciata britannica e gli ex-combattenti inglesi hanno partecipato per la prima volta con i portoghesi alla celebrazione dell'armistizio in maniera, in verità, molto più ostentata che abile. È vero che la corona recante lo stemma britannico deposta sul monumento ai Caduti è scomparsa subito dopo, indizio non trascurabile di certi stati d'animo attuali in questo Paese. È vero anche che ogni portoghese di buon senso non può aver letto senza una certa ironica meraviglia l'enfatico discorso pronunciato quello stesso giorno al banchetto nel club inglese dall'incaricato d'affari britannico3.

Tale discorso contrastava un po' troppo con i giudizi così spesso ed apertamente dati dalla stampa, da uomini politici e privati britannici sul corpo di spedizione portoghese in Francia durante Grande Guerra. È innegabile che da un punto di vista storico-militare tale corpo di spedizione non fu esattamente un successo. Ma la «Grande Alleata» ha avuto il torto di proclamarlo troppo spesso e con una troppo marcata assenza di veli. Sarà difficile farlo dimenticare alla già così sviluppata sensibilità portoghese.

Ma nonostante tale azione britannica, come rileva il R. ambasciatore in Londra, l'atteggiamento del Portogallo in seno al Comitato di non intervento non si è mai dipartito sino ad oggi da una leale e coraggiosa solidarietà con noi e con i tedeschi. È ben noto a V.E. che ciò esattamente corrisponde a quanto è stato possibile osservare anche da Lisbona nei riguardi del governo portoghese e del suo

rappresentante in Londra. E credo che poche altre parole potrebbero essere più appropriate come quelle «sino ad oggi» adoperate dal R. ambasciatore. È !ungi da me l'idea di fare previsioni in tale campo o di gettare dubbi azzardati o fuori luogo. Ma sta di fatto che, a parte la difficile posizione portoghese che il governo fascista ha così spesso e anche in più di un'occasione così generosamente apprezzato, nonostante che in questa situazione, nel contrasto con l'alleata che ha avuto fasi in alcuni momenti poco meno che drammatiche, Salazar abbia saputo tenere una linea che per abilità come per dignità destano ammirazione, sta di fatto che vi è un altro elemento che a mio avviso deve essere registrato. È evidente già da ora che questo governo si preoccupa con crescente intensità di quella che sarà la posizione del Portogallo dopo la vittoria di Franco. Nonostante le vecchie diatribe è chiaro che il governo e la grandissima maggioranza dei portoghesi non hanno esitato di fronte alla minaccia comunista. E i portoghesi, governo e grande massa del popolo sono per Franco al cento per cento. Ma è altrettanto chiaro che questo governo comincia a domandarsi quello che sarà la Spagna dopo la vittoria. Una Spagna organizzata, forte, potente, non è probabilmente quella che possa destare le minori preoccupazioni al piccolo Portogallo, che per quanto in fase di risveglio nazionale è ancora lontano dall'aver compiuto la sua organizzazione militare, economica, politica. Non è da escludere che man mano che la vittoria finale di Franco si avvicina il Portogallo cerchi una posizione di equilibrio che può riservare sorprese non solo e non tanto nel Comitato di Londra quanto nel cerchio più vasto delle sue relazioni esterne.

Anche a questa stregua il quesito posto dal R. ambasciatore a Londra se la ferma attitudine del Portogallo a nostro fianco in seno al Comitato sia dovuta alle istruzioni del governo di Lisbona e non piuttosto ai sentimenti personali dell'ambasciatore Monteiro mi sembra di grande interesse. Sinora l'attitudine, gli intendimenti di questo governo e particolarmente del suo capo, il signor Salazar, non mi sembra che possano fare dubbio. Sin dall'inizio del conflitto spagnolo la presa di posizione fu netta e portò al primo contrasto con l'Inghilterra. È qui di dominio pubblico che si acuì anche un contrasto già esistente tra Salazar e Monteiro allora ministro degli Affari Esteri. Quest'ultimo che era sempre passato per uno dei portoghesi anglofili più militanti non era giudicato da Salazar all'altezza della situazione. Il Portogallo aveva lungamente resistito alle pressioni ed alle minaccie per farlo entrare nel Comitato di non intervento. Credo che non sia dubbio che avrebbe dovuto finire con l'entrarvi in ogni caso. Ma è sintomatico che Salazar si liberò di Monteiro come ministro degli Affari Esteri non appena questi, lontano, a Ginevra, riuscì a concludere con Eden l'adesione portoghese. La lunga diatriba tra Salazar e Monteiro per l'assegnazione di un nuovo posto a quest'ultimo rientra nella politica e anche non poco nelle beghe locali. Basterà ricordare che Monteiro avrebbe preferito essere nominato presidente del Banco del Portogallo. Ma Salazar, dopo qualche tempo di aspettativa preferì, con una di quelle sottigliezze non prive di ironia che gli sono caratteristiche, di inviarlo precisamente a Londra. Con precise istruzioni cui Monteiro, nella sua posizione non poteva sottrarsi, di continuare strettamente nella linea già iniziata nel Comitato di non intervento. È sintomatico che ogni volta -e furono numerose -che per ordine di V.E. questa R. legazione chiese ed ottenne che particolari istruzioni fossero inviate a Monteiro, questo ministero degli Affari Esteri costantemente assicurò che gli venivano anche rinnovate le direttive di massima dategli alla partenza, di mantenersi cioè sempre in stretto contatto e di agire d'accordo con gli ambasciatori d'Italia e di Germania. Se occorresse una riprova dell'atteggiamento preciso ed operante sin qui tenuto dal governo di Lisbona, basterebbe ricordare il «no» clamoroso del Portogallo nella votazione ginevrina sulla risoluzione Del Vayo giustamente considerato come una nuova vittoria della politica estera del governo fascista. Fu pronunciato per bocca di Caeiro da Matta, e, com'è ben noto all'E.V. su categoriche tempestive istruzioni di Lisbona, in seguito all'azione predisposta dall'E.Y.

In conclusione, l'atteggiamento al nostro fianco del governo portoghese e del suo rappresentante a Londra, sia nel Comitato di non intervento come anche più generalmente nella questione spagnola, a tutt'oggi non può far dubbio. Allo stesso tempo ritengo mio dovere richiamandomi anche ai miei precedenti rapporti, sottolineare il fatto che l'ambasciatore Monteiro è ancora oggi reputato in Portogallo estremamente legato alla politica inglese. Due indizi recenti hanno dato nell'occhio e preoccupato singolarmente anche questa legazione di Germania. Lo speciale servizio Reuter istituito precisamente dal giornale di Monteiro (mio telespresso n. 1533/765 del 29 settembre u.s.)4 e la parte che egli ha avuto nelle trattative per l'invio della missione militare (mio telegramma n. 260 del l o corrente). È precisa opinione di quella legazione, che io pienamente condivido, che pur compiacendoci dell"atteggiamento sempre tenuto da Monteiro sino ad oggi nel Comitato di non intervento, avremmo ogni vantaggio a seguirne con ogni cura l'attività futura.

586 1 Vedi D. 541. 586 2 Vedi D. 551. 587 1 Vedi D. 525, nota l. 587 2 TT. 7514/260 R. del l" novembre, 7545/262 R. del 3 novembre e 7714/267 R. del 9 novembre. Il ministro Mameli aveva riferito che, a quanto gli risultava, Monteiro aveva dato parere favorevole all'avvio di trattative militari con la Gran Bretagna, alle quali poi da parte britannica si tendeva a dare un carattere sensazionale che andava al di là del loro contenuto reale. L'iniziativa era stata presa dal Foreign Office ed era stata accolta da Salazar senza informare prevcntivamente i militari che ora ---osservava Mameli-potevano avere «reazioni alquanto diverse da quelle che gli inglesi si attendevano».

587 3 Charles Dodd.

588

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 2053/1100. Ankara, 17 novembre 1937 1•

Con mio rapporto n. 1933/1026 del 6 corrente 2 ho informato l'E.V. della conversazione avuta con Aras e di quanto ci siamo detti a proposito della attitudine turca a Nyon.

Nel colloquio di ieri l'altro l'argomento di Nyon è tornato fra noi, e ad un certo momento, insistendo io sulla penosa impressione in Y.E. del primo periodo della sua azione, Aras mi ha rinnovato affermazione che egli aveva riservato la esecuzione integrale degli impegni preesistenti fra Turchia ed altri Paesi (nel suo pensiero l'Italia, ed ho potuto verificare nelle comunicazioni varie inviatemi dal ministero, che tale riserva effettivamente fu fatta da Aras) ed ha poi formalmente dichiarato, dandomene sua parola d'onore, che egli aveva «per iscritto» comunica

588 l Manca l'indicazione della data di arrivo. 588 2 Vedi D. 524.

to ad Eden e Delbos che se la vigilanza navale mediterranea dei franco-inglesi avesse comunque dovuto condurre ad un conf1itto con l'Italia, né Francia, né Inghilterra potevano in nessun caso contare su alcun concorso attivo o passivo della Turchia. Mi ha poi fatto giurare che non avrei comunicato a nessuno tale contldenzialissima sua informazione, neanche a V.E.

Gli è che, così ha giustificato il silenzio che mi domandava, la Turchia ha fatto e fa ogni possibile sforzo per evitare un urto militare in Mediterraneo che teme come il peggior cataclisma che potrebbe mai capitarle. Da questo conf1itto essa desidera sottrarsi, poiché «se la casa del vicino brucia» non è assolutamente sicuro che l'incendio non si estenda. La finalità massima che la Turchia persegue con ostinazione spiega, secondo Aras, molti dei suoi atteggiamenti apparentemente contraddittori, sicché egli si è attirato critiche e malumori da ogni diversa parte; anche da soviet e da Inghilterra e ne è stato tacciato di filo-italiano e pro-fascista. Ciò non lo turba, poiché lo scopo che egli persegue è uno solo: mantenere con ogni scrupolo gli impegni presi verso di noi interpretandoli anzi estensivamente. evitare il conf1itto mediterraneo.

Una delle sue arti era ed è quella di non incoraggiare nessuna delle parti in conflitto. Ed a tal fine celare quale sia la vera attitudine della Turchia. Ne dovevo dedurre che egli voleva evitare che l'Italia sapesse per certo che la Turchia terrebbe fede ai suoi impegni di neutralità così come era obbligata a tenerli, poiché altrimenti ne trarrebbe incoraggiamento nella sua azione contrastante con l'Inghilterra e perciò si darebbe esca al conflitto.

Di qui la ragione del silenzio richiestomi. L'ho ringraziato di questa prova di fiducia che mi mostrava. lo ho assicurato che nulla avrei detto ma, ho concluso, era pur bene sapessi la dichiarazione fatta a Nyon poiché a suo momento avrei ben potuto servirmene nell'interesse comune.

Ora Aras non è certo tanto ingenuo da credere che appena uscito dal ministero degli Affari Esteri io non prenda la penna per informarne subito V.E.

Premesso che il singolare modo adottato da Aras per confidarmi la sua dichiarazione vuole forse salvaguardare impegni di silenzio eventualmente presi verso Eden e Delbos, quale è lo scopo di tale sua odierna rivelazione e della sua manovra?

Sono portato a credere alla esistenza della dichiarazione. Anzitutto la riserva generica di Aras è effettivamente contenuta nei verbali di Nyon. E di questa riserva la dichiarazione non è in fondo che una applicazione pratica, però di precisa e somma importanza. Ma vera o non vera essa sia, lo scopo di Aras è di ogni evidenza, come rE.V. potrà rilevare nelle mie conclusioni.

Se la dichiarazione è vera quale ne è il valore effettivo? Aras nel precisarmi la sua condotta tattica, nel fissare gli scopi della politica turca (del resto ben noti a l'E. V. anche senza le sue spiegazioni sottili ed ingegnose), nel chiedermi silenzio, ha fissato da sé la vera portata della dichiarazione, alla quale oggi come oggi noi non potremmo attribuire valore permanente e durevole altro che se volessimo ingannare noi stessi. Considerata nel momento presente indubbiamente è un piccolo neo nei rapporti anglo-turchi (sulla freddezza turco-sovietica è inutile mi soffermi poiché la ho tempestivamente segnalata all'E.V. e sostenuta fin che è diventata arcipalese) sicché mi induco ad esprimere timida sensazione che le relazioni fra Londra ed Ankara pur fondamentalmente immutate non sono peraltro così pienamente confidenti come un anno addietro.

Tuttavia, nel gioco quotidiano della schermaglia politica e nel contessersi ed intrecciarsi di tanti giochi, schermaglie e sviluppi, la dichiarazione ha un limitato risultato a noi utile, perché fa sorgere dubbio anche a Londra e Parigi su quello che la Turchia voglia veramente.

Ma (e tanto tengo a dire all'E.V.) non è questo il punto da cui dobbiamo metterei per considerare il valore della dichiarazione di Aras, per chiederci invece quello che potrà essere l'effettivo e deciso atteggiamento turco se davvero la crisi bellica mediterranea si aprisse o prima o poi, come è prudenziale credere sempre, poiché sopra la volontà tattica di un Premier inglese più o meno disposto a tornare alla tradizionale amicizia itala-britannica, vi sono le forze permanenti ed i grandi organismi inglesi (India Office, Ammiragliato, eccetera) che hanno ormai un obiettivo preciso e determinato e dal quale con fredda ostinazione albionica non demorderanno che se mutino sostanzialmente le condizioni politiche europee.

Ora, per questa estrema ipotesi io credo e continuo a credere ed affermare che nella situazione generale politica di oggi, dobbiamo stimare la Turchia nel campo a noi nemico, non nel neutrale, ancor meno nell'amico od alleato. Ciò che naturalmente non esclude azione e sforzo quotidiano per evitarlo.

Ben chiarita e fissata la portata permanente della dichiarazione turca, nel quadro dei rapporti fra Italia e Turchia, la confidenza personale che mi ha fatto Aras trova un suo posto ed una sua spiegazione. Essa deriva naturalmente dal rinvio della visita di V.E. e dal colloquio avuto con lui il 6 corrente.

La mancata visita ha realmente bruciato e il mio colloquio esplicativo, pur espresso nella forma e nella misura più diplomaticamente cortese, pur interpolato da continue sviscerate dichiarazioni di mia amicizia e fiducia illimitata nella grande intelligenza europea di Aras e nella dirittura e fedeltà turca, non è stato per questo meno preciso e chiaro. Ed Aras ha finito col sentire che la responsabilità turca nel rinvio della visita era impegnata del tutto. Tiene quindi oggi a riabilitarsi agli occhi dell'E.V. e perciò:

a) mi confida la dichiarazione fatta per iscritto ad Eden e Delbos, la quale dichiarazione presa in sé e per sé è indubbiamente la migliore che potessimo desiderare e non possiamo che ringraziar! o;

b) poiché avevo esplicitamente fatto rilevare lo stupore di V.E. per il silenzio turco, si affretta a dirigere una nota relativa alle proteste fatte dal R. Incaricato d'affari per gli articoli del Cumhuriyet e Répuhlique del 18 e 24 settembre u.s. La nota è quello che è, come detto nel telespresso n. 203811090 del 16 c.m. 3 che le trasmette, e sono anche sicuro che il caro Yunus Nadi continuerà domani a dire tutto il veleno che potrà contro l'Italia. Ma in tre anni da che sono a questa missione è la prima volta che mi si risponde per proteste analoghe. E non sono state, né poche, né infrequenti;

c) prende l'iniziativa di comunicarmi la venuta di Delbos (mio telespresso n. 2046/1094 del 17 c.m.)4 non tanto per evitare si possa credere avere egli sollecitato tale visita per rimediare alla mancata dell'E.V., ma per dare prova di un contatto

politico con la nazione «amica», per dire fin d'ora a V.E. che nulla sarà fatto di particolare con la Francia fuori del settore turco-siriano, ma se mai esca non sarà mai senza di noi od a nostra insaputa [sic].

Così Aras si sforza di rimediare alle impressioni non favorevoli dell'E.V. e che gli sono state così «amorosamente» specificate senza equivoco, il 6 corrente, e vuole predisporre le condizioni indispensabili perché in avvenire l'E.V. non più trovi nessuna ragione di non venire ad Ankara. Poiché molto e molto vi si tiene5 .

587 4 Non pubblicato.

588 3 Non pubblicato. 588 Non rintracciato.

589

IL CONSOLE GENERALE A MUKDEN, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 14268/79 P.R. Mukden, 18 novembre 1937, ore 16 (per. ore 5,30 del 19).

Telegramma di V.E. n. 26 1 e mio telegramma 53 2•

Condotto meco Hsin King avvocato Cavalli rappresentante Fiat per trattare vendita autocarri a olio pesante, rimorchi e vetture da turismo contro pagamento valuta. Trattative proseguono ininterrottamente da sette giorni.

Opposizione viene fatta da Germania, che lotta per evitare che industria pesante italiana metta piede Manciuria, nonché da ministero Affari Esteri che tenta negoziare concessione fornitura contro nostra accettazione progettato accordo italo-mancese.

Commercio tedesco fortissimo, perché Germania da circa mezzo secolo qui introdotta e apprezzatissima, perché movimento commerciale tedesco mancese avvicinasi a miliardo di lire italiane, perché ingegneri giapponesi sono sotto il fascino della tecnica tedesca, perché il rappresentante tedesco 3 risiede nella capitale e dispone disciplinata e ben piazzata colonia e perché riesce facile all'industria tedesca speculare su assoluta mancanza conoscenza di altri prodotti da parte mercato mancese.

Ostacolo del ministero degli Affari Esteri cerco di rimuoverlo dimostrando che forniture, determinando conoscenza nostri prodotti, costituiscono il necessario presupposto allo stabilirsi di rapporti di scambi, e per arrivare ad un regolamento per mezzo di accordi.

Lotta sarebbe impari se non avessimo potuto contare su notevole appoggio della Kuantung Army, cui relazioni coltivo sin da principio con speciale cura. In lungo colloquio con generale Tojo capo Stato Maggiore e generale lto capo Intendenza, esposi lungamente valore non solo tecnico e commerciale ma anche politico che tale fornitura avrebbe quale inizio collaborazione itala-giapponese in Manciuria, insistendo sul fatto che patto di scambi commerciali verrebbe firmato da V.E. con Giappone impegnato in guerra.

589 1 Vedi D. 371, nota 6. 589 2 T. 11858/53 P.R. del 26 settembre, non pubblicato. 589 3 Karl Knoll.

Per mia norma di condotta nei riguardi insistenze del mm1stero degli Affari Esteri per una risposta, mi permetto pregare V.E. impartirmi istruzioni circa contenuto mio telegramma n. 66 4 .

588 5 Il documento ha il visto di Mussolini.

590

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7893/754 R. Salanzonca, 18 noremhrc 1937, ore 21,40 (per. ore 18,55 del 19 ).

Mio telegramma n. 7371 .

Questo governo è stato informato (riservatamente da parte inglese) che risposta di Barcellona non sarù data prima del 21 corrente perché il governo rosso fa decorrere gli otto giorni dalla data 13 in cui lettera del presidente del Comitato risulterebbe pervenuta a Barcellona. Risposta rossa sarà anche essa affermativa pur contenendo molti interrogativi c riserve.

Governo nazionale ritarderù di qualche altro giorno a rispondere nell'intento di conoscere più preciso tenore risposta Barcellona. Inoltre. questo governo farà osservare che accettazione integrale del piano britannico da parte di Mosca 2 viene a modificare sostanzialmente situazione attuale e perciò esso si ritiene autorizzato ad attendere per la sua risposta un successivo termine decorrente dalla data in cui presidente del Comitato lo ha informato del nuovo atteggiamento sovietico.

Riterrei non temerario arguire che qui si attenda di ricevere per tramite inglese ulteriore precisazione circa risposta rossa e che per lo stesso tramite Barcellona sia tenuta al corrente della risposta che si sta preparando a Salamanca. In altre parole, Inghilterra starebbe svolgendo lavorio occulto per armonizzare atteggiamento delle due parti di tì·onte invito del Comitato. Improvviso mutamento sovietico circa riconoscimento belligeranza ne sarebbe indizio evidente.

Ieri generale Berti a richiesta Franco e previo scambio di idee con me ha rimesso al Quartiere Generale un appunto contenente sue osservazioni militari circa evacuazione volontari, belligeranza e controllo.

Franco ha desiderato sentire in proposito opinione nostro Comando ma ritengo che osservazioni di Berti, le quali riflettono questioni esecuzione e di dettaglio, non saranno inserite nella risposta e saranno piuttosto riservate ulteriore fase dei negoziati.

ziati economici. Il 21 novembre, Cortese telegrafava che. per le ragioni da lui esposte, le trattative erano giunte ad un punto morto con il pretesto della scarsa disponibilità di valute (T. 14343/83 P.R.). 590 I Vedi D. 554. 590 2 Nella seduta del Sottocomitato di non intervento del 16 novembre, il delegato sovietico aveva dichiarato che il suo governo accettava in toto la risoluzione concernente l'esecuzione del piano britan nico su la quale si era astenuto il 4 novembre precedente.

589 4 T. 7262/66 del 19 ottobre. con cui il console Cortese aveva dato notizia del progresso dei nego

591

L'ADDETTO ALL'UFFICIO DI GABINETTO, LANZA D'AJETA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 18 novembre 1937.

In relazione agli ordini ricevuti, ho rimesso all'Ambasciatore Viola, che si trovava di passaggio a San Sebastiano, il resoconto del colloquio «Mussolini-Ciano-Ribbentrop» del 6 novembre 1• Il documento, dopo letto, è stato bruciato.

L'ambasciatore Viola, presa visione del «colloquio», mi ha incaricato di ringraziare l'Eccellenza Vostra per l'importante comunicazione e mi ha pregato di assicurarLa che avrebbe fatto tutto il possibile per armonizzare la sua azione alle conclusioni raggiunte a Roma. Riferendosi ai principali argomenti relativi alla Spagna trattati nel colloquio stesso, egli mi ha fatto le osservazioni che qui di seguito riporto e su cui egli si riserva di riferire esaurientemente all'Eccellenza Vostra:

l) Rela::ioni con /'Jnr;hilterra.

Il recente atteggiamento inglese nei riguardi del Governo Nazionale non deve secondo l'Ambasciatore Viola--destare. per il momento almeno, eccessive preoccupazioni. La tendenza britannica di voler vincere diplomaticamente la pace in !spagna, è troppo manifesta al grosso dell'opinione pubblica nazionale perché trovi nell'animo dei combattenti spagnoli alcuna simpatia.

L'indubitato miglioramento dei rapporti tra Londra e Burgos è dovuto, da parte inglese, alla precisa sensazione del crescente successo militare e politico del Generalissimo ed alla necessità di tutelare i numerosi interessi britannici in !spagna, da parte nazionale, al giustificabile bisogno di «legalizzare» internazionalmente il Governo «ribelle» di Burgos.

A garanzia della solidità dell'amicizia italo-spagnola stanno e staranno la profonda e sincera venerazione del Generalissimo per il Duce e la riconoscenza dei combattenti nazionali. «La riverente amicizia che il Generalissimo prova per il Capo del Governo italiano ---ha in proposito aggiunto l'Ambasciatore-ci garantisce pienamente che, in qualsiasi momento ed in qualunque possibile situazione, un diretto e personale intervento del Duce presso Franco otterrebbe sempre l'esito desiderato».

L'Ambasciatore Viola, che ha settimanalmente dei lunghi e cordiali colloqui con il Generalissimo, mi ha chiesto di assicurare l'Eccellenza Vostra che continuerà ad intensificare i suoi rapporti con Franco in modo da controllarlo da presso con particolare riguardo alle istruzioni implicite nel «colloquio Ribbentrop».

2) Caso Sangroniz.

Sangroniz ed il Duca d'Alba, come è ben noto, sono gli esponenti della tendenza filo-inglese che trova alcune simpatie nelle classi più elevate dei Nazionali. Il primo in !spagna, il secondo a Londra, hanno attivamente facilitato la ripresa dei rapporti

591 I Vedi D. 523.

con il Governo Britannico. È ben chiaro che la loro azione non tenderà ad arrestarsi a questo primo risultato, che essi già considerano un loro successo personale.

L'Ambasciatore Viola ha, nel corso dei suoi recenti colloqui con Franco, più volte accennato con sfavore alle attività ed alle tendenze non sempre ortodosse di questi collaboratori del Generalissimo. Valendosi al riguardo anche della collaborazione dell'Ambasciatore in Gern1ania, egli si propone, al momento opportuno, di agire in modo da impedire che il Sangroniz faccia parte del costituendo Governo Nazionale.

3) Patto Anticomunista.

La settimana scorsa, in contrasto con quanto ha al riguardo pubblicato la stampa britannica e francese, il Generalissimo ha manifestato, a titolo personale, al R. Ambasciatore il suo vivo desiderio di potere in una prossima occasione aderire al Patto Anticomunista.

A subordinato suo avviso, l'Ambasciatore Viola ritiene che convenga, fino a tanto che la guerra non si sia vittoriosamente risolta per Franco, non rilevare ufficialmente le eventuali sue più precise offerte di adesione al Patto romano. Sembra al R. Ambasciatore che si possa in tal modo maggiormente valorizzare il Patto stesso agli occhi dei Governanti Spagnoli e contare su d'una più completa comprensione da parte del Generalissimo degli oneri e degli onori conseguenti da una sua adesione all'Accordo dei Grandi Stati autoritari.

4) Ritiro dei volontari.

II Generalissimo, nel suo ultimo colloquio con il R. Ambasciatore, ha manifestato l'intenzione di comunicare la sua risposta a Londra per il 17 o il 18 corrente. Riservandosi di farla conoscere preventivamente all'Ambasciatore Viola, Franco Io ha assicurato che questa sarebbe redatta nella forma e nella sostanza desiderate da Roma.

5) Crediti italiani.

Il R. Ambasciatore, a conoscenza dell'attuale esatto ammontare del contributo finanziario italiano, ritiene che vinta la guerra e riassestato l'organismo statale spagnolo, si possa, con una certa sicurezza, calcolare che il Governo di Franco faccia fronte ai suoi impegni finanziari nei nostri riguardi. Si tratterà da parte italiana di non pesare la mano. E cioè di diluire i crediti nel tempo, di rateizzare le rimesse secondo le effettive possibilità economiche e finanziarie del Paese e soprattutto di dosare questi concreti pagamenti con la moneta politica che potrà e dovrà essere richiesta al Governo Nazionale quale riconoscimento dei sacrifici italiani.

6) Situazione politica.

Internamente i consueti dissidi e la solita disparità di tendenze tra Falange e Tradizionalisti. II nuovo Partito Unificato non ha di unificato che il nome. II Generalissimo non ha al riguardo ancora preso posizione, né ha manifestato di volerlo fare. Una diecina di giorni fa ha assistito a Salamanca ad una grande manifestazione della Falange e vi si è condotto da falangista acceso. La settimana dopo a Pamplona, nel centro del Carlismo, ha passato in rivista le gloriose brigate della Navarra, reduci dal fronte nord ed ha voluto apparire a questa solenne cerimonia tradizionalista come il più convinto dei requetés.

Sebbene questi ultimi abbiano validamente sopportato tutti maggiori oneri della guerra civile, è dalla Falange che -secondo !"opinione del R. Ambasciatore --vi è più da sperare ai fini della nostra politica. È dal fermento di questo partito, a carattere progressista e fascisticamente democratico, che potranno con ogni probabilità rivelarsi gli esponenti di una Nuova Spagna, necessariamente amica dell'Italia Fascista. Sarebbe però-nell'opinione dell'Ambasciatore Viola-assolutamente prematuro il parteggiare fin da ora per l'una o l'altra parte.

7) Situazione militare.

È vista con serena calma dal Generalissimo e forse con eccessivo ottimismo dai Nazionali in genere. (Tra gli «emigrati» di San Sebastiano si brinda già con allegria all'imminente caduta di Madrid).

Elementi e sintomi favorevoli della situazione, a cui ha accennato lo stesso Franco nel suo ultimo colloquio con l'Ambasciatore sono: il fatto che i Nazionali abbiano la più completa iniziativa della guerra; la possibilità di Franco di poter manovrare a linee interne e di poter conseguentemente spostare la sua azione, secondo le circostanze, verso i più opportuni obiettivi strategici; le sicure notizie circa la mancanza di viveri nel campo rosso; una notevolmente diminuita reazione da parte dei rossi, manifestatasi in recentissimi episodi bellici; i dissidi dei partiti politici a Barcellona.

L'impressione del R. Ambasciatore è che il Governo spagnolo, e Franco in particolare, non dimostrino un eccessivo desiderio di voler tentare militarmente la definitiva liquidazione delle forze rosse. Più che da una decisiva battaglia campale, essi appaiono sperare che una risoluzione vittoriosa della guerra possa avvenire dal collasso politico dell'avversario.

L'offensiva dovrebbe iniziarsi in Aragona verso il 25 del corrente mese. Più di duecentomila uomini si stanno in questi giorni distribuendo nei punti di concentramento. Le Truppe Legionarie, perfettamente organizzate, sono pronte ad intervenire non appena si manifestassero, dopo i primi attacchi dei Battaglioni di Franco, delle crepe nel fronte rosso. Il morale dei Legionari è elevatissimo «ed essi -ha affermato l'Ambasciatore Viola -mi hanno dato ieri altro, quando li ho visitati, la sicura convinzione di sapere e volere ripetere in Aragona gli eroismi compiuti per la presa di Santander». 2

592

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7907/99 R. Roma. 19 novembre 1937 (per. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 93 dell'8 corrente 1•

592 1 T. per corriere 7699/93 R. dell'S novembre. Concerneva un colloquio con il cardinale Pacelli dal quale !"ambasciatore Pignatti aveva tratto l'impressione che i rapporti tra Germania e Vaticano fossero ora un po' meno tesi.

Ho parlato con monsignor Pizzardo e con il mio collega di Germania delle relazioni fra la Santa Sede e il Reich.

In questi ultimi tempi non vi sono stati nuovi incidenti notevoli. Si direbbe che vi sia una sosta, nel senso che da parte tedesca non si sono avuti, da qualche tempo, accenni a volere inacerbire la vertenza.

Il cardinale Segretario di Stato manifesta una visibile maggiore tranquillità nei suoi atteggiamenti. Si crede che egli temesse che il governo del Reich avrebbe colto l'occasione del raggiungimento dei limiti di età, per collocare a riposo il suo ambasciatore presso la Santa Sede, senza sostituirlo. Invece, si è avuto il prolungamento inusitato delle missione del signor von Bergen. Il cardinale, che non vuole la rottura, si è sentito sollevato.

Ho domandato al mio collega di Germania se crede alla possibilità di prossime conversazioni dirette, fra la Santa Sede e il Reich. La sua risposta è stata negativa. Il signor von Bergen spera che si arriverà alla fine a un componimento ma non lo giudica prossimo. In ogni caso, considera premature delle conversazioni. Il suo governo sarebbe ancora molto irritato per la Lettera Papale ai vescovi della Germania, della scorsa estate 2 .

L'attesa visita del Fiihrer a Roma acuirà il dissidio se, com'è logico prevedere, egli non si recherà dal Papa. Il signor von Bergen ha osservato che il Fiihrer verrà a Roma con uno scopo determinato. La visita al Pontefice non è, a suo avviso, necessaria. Sta di fatto che in Santa Sede la mancata visita del signor Hitler produrrebbe una penosa impressione. In ultima analisi, credo che ci sia da augurarsi che il Papa e Hitler non si trovino di fronte finché le relazioni fra i due potentati si mantengono tese come lo sono ora.

591 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

593

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7934/0305 R. Londra. 19 novembre 1937 (per. il 22).

Telegramma di V.E. n. 403 del 17 corrente 1•

Dalle mie recenti segnalazioni stampa, V.E. avrà rilevato le reazioni di questa opinione pubblica ai recenti avvenimenti in Brasile. La sorpresa del primo momento si è precisata in un senso di dispetto e di genuina preoccupazione (quest'ultima intensificata anche dall'eco dei timori registrati nei circoli ufficiali di Washington). Successivamente si è cercato, da un lato, di svalutare l'importanza del fatto (si è insistito sulla qualifica di «integralista» anziché «fascista» data al movimento; di differenziazioni tra la psicologia politica sudamericana e quella europea; di problemi geografici che impedirebbero in Brasile la costituzione effettiva di un regime

corporativo, eccetera), dall'altro ad ammonire paternamente il Brasile sui pericoli della nuova strada sulla quale esso si è posto. Questo quadro della stampa riflette in maniera sintomatica i vari elementi della situazione.

Vi sono tre ordini di buonissime ragioni per cui gli sviluppi degli avvenimenti in Brasile decisamente dispiacciono al governo britannico:

l) Pervenuto per così dire <<di rincalzo» alla firma del Patto !ripartito di Roma, l'annuncio del nuovo regime instaurato da Vargas ha indubbiamente rappresentato un nuovo grave colpo al castello di carte della politica internazionale britannica. Nel momento in cui a Bruxelles i delegat:i inglesi, trascinati dall'euforia che il clima dei consessi internazionali sembra sviluppare nella loro immaginazione, si accingevano a pronunciare solenni parole contro !'«aggressore fascista» in Estremo Oriente, non poteva giungere per loro più intempestiva la notizia che il principale Stato sudamericano passava anch'esso al campo nemico. A confermare questa spiacevole sensazione sono sopravvenute le notizie di conversazioni tra V.E. e l'ambasciatore del Brasile a Roma, nonché le voci di una possibile adesione del Brasile al Patto anticomunistaè.

2) La costituzione di un regime fascista in Brasile solleva per l'Inghilterra il timore di un progressivo atTermarsi in Sudamerica dell'influenza dell'asse Roma-Berlino. con conseguente parallelo indebolimento dell'influenza anglo-americana. Le preoccupazioni manifestate da Washington per questo aspetto degli sviluppi della situazione in Brasile e per le sue eventuali ripercussioni in altri Stati del Sudamerica (Perù ed Uruguay sono già tra gli «indiziati>>), ha intensificato ulteriormente questi timori.

3) L'annuncio dell'intenzione di Vargas di stabilire una moratoria dei debiti esteri brasiliani, tocca direttamente un punto particolarmente sensibile di questo popolo, che accanto agli ideali della cosiddetta «sicurezza collettiva» e della cosiddetta «democrazia», non meno gelosamente custodisce gli ideali dei propri interessi economici e della sicurezza dei propri investimenti all'estero. Nel caso particolare del Brasile, questi interessi, com'è noto, sono tutt'altro che indifferenti. A parte gli investimenti britannici in Brasile, si calcola nella City che del totale di circa l 00 milioni di sterline di prestiti brasiliani sottoscritti a Londra dal 1883 ad oggi, un buon 70 per cento è tuttora in mano inglese. Date le odierne favorevoli condizioni della bilancia dei pagamenti esteri del Brasile, l'annunciata moratoria viene qui -a torto o a ragione --considerata come non giustificata da necessità di fatto bensì come una manovra diretta ad estorcere nuove concessioni ai creditori inglesi.

Se non è il caso di parlare di vera e propria presa di posizione ufficiale contro Vargas-il che non sarebbe consono, né alla mentalità, né alla tradizione politica inglese --è certo che in questi ambienti il nuovo regime brasiliano ha incontrato una sorda ma innegabile ostilità. Una ostilità che si va già traducendo in un linguaggio di stampa e di ambienti politici, diretto chiaramente ad impressionare il governo brasiliano nella speranza di poter almeno incanalare e controllare un movimento nel quale l'Inghilterra non può non ravvisare che gravi pericoli ai propri interessi. Non è improbabile che Londra abbia a questo proposito scambiato idee

699 con Parigi e Washington. Non è neppure da escludere che in questo quadro la tradizionale «Cavalleria di San Giorgio» abbia la sua parte e la sua funzione. Ma è probabile che un'azione di quest'ultimo genere venga affidata -se mai -alle organizzazioni finanziarie più direttamente interessate (tra queste non sarà forse inutile citare in prima linea il gruppo Rothschild), che oltre tutto si trovano strategicamente, grazie cioè alle loro diramazioni in Brasile, in condizione di esercitare sul posto la forma di pressione più opportuna.

Le predette impressioni mi vengono anche confermate da una conversazione avuta con questo ambasciatore del Brasile\ il quale mi ha lasciato chiaramente intendere che le sue relazioni con gli ambienti ufficiali e ufficiosi britannici hanno marcatamente registrato in questi ultimi giorni le ripercussioni degli avvenimenti di Rio Janeiro.

592 2 Riferimento all'Epistola Enciclica Mit hrennender Sorge del 14 marzo (vedi D. 47, nota 2). 593 l Con T. 1904/403 R. del 17 novembre. Ciano aveva chiesto di segnalare quanto risultasse circa «una netta presa di posizione britannica contro il nuovo regime brasiliano e di un largo fondo che sarebbe destinato a tale scopo>>. notizia che l'ambasciatore Lojacono aveva appreso dal suo collega giapponese.

593 2 Vedi D. 555.

594

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 7935/0306 R. Londra, 19 novembre 1937 (per. il 22).

In assenza di padre Martindale, il conte de Sibour ha vivamente sollecitato un'udienza per lui personalmente. Ho fatto conoscere al Sibour che io non potevo, in questo momento, riceverlo, ma che non avevo difficoltà che egli si mettesse in contatto col consigliere commendator Crolla.

Crolla mi riferisce quanto segue:

«Secondo le istruzioni di V.E. ho ricevuto stamane il conte de Sibour. Il conte de Sibour mi ha raccontato in qual modo, attraverso amici comuni, egli avesse avuto occasione di incontrarsi con Tafari fin dall'arrivo di quest'ultimo in Inghilterra; e come Tafari lo avesse utilizzato, nella sua qualità di <<Uomo della City», per effettuare alcuni investimenti che risultarono redditizi. Ciò accrebbe la fiducia e la simpatia di Tafari verso il de Sibour; al quale J'ex-Negus confessò subito che «voleva mettersi d'accordo col governo italiano» e chiese consiglio sul tramite che convenisse scegliere. De Sibour suggerì l'arcivescovo cattolico di Londra 1 e la Santa Sede. Stabiliti i primi approcci, Tafari incaricò de Sibour di recarsi a Roma nel dicembre 1936 per intrattenere il cardinale Pacelli e, per suo tramite, mettersi in rapporto col governo italiano.

De Sibour mi ha rimesso la quì unita copia delle cosiddette «cinque clausole» che Tafari lo aveva incaricato di sottoporre al governo italiano.

Le prime due «clausole», di carattere piuttosto vago, si riferiscono al trattamento di certi «prigionieri di guerra» in Etiopia; la terza clausola concerne l'atto di abdicazione e di riconoscimento della sovranità italiana in Etiopia; la quarta clausola dice in forma involuta ma in sostanza chiarissima che l'ex-Negus ha un gran bisogno di denari; nella quinta clausola si chiede che il figlio di Tafari venga

700 ad avere «una qualche forma di partecipazione nello sviluppo dell'Etiopia per opera dell'Italia», rimanendo egli bene inteso sotto la tutela delle Autorità italiane quale suddito di S.M. il Re Imperatore.

Di queste cinque clausole, mi ha detto de Sibour, solo la quinta non è stata e con ragione -accettata dal governo italiano. Io ho cercato allora invano di persuadere Tafari a rinunciarvi; egli invece rincarava la dose, aggiungeva altre condizioni assurde e inaccettabili. Tornato in Inghilterra dopo parecchie settimane di assenza ho trovato l'ex-Negus ancora più esigente. Il solito gruppo di mestatori della League of Nations Union, e di politicanti antifascisti che hanno bjsogno di tenere sempre viva la questione etiopica, si era di nuovo impadronito dell'animo debole e credulo, e della influenzabile fantasia di Tafari e lo aveva persuaso che «tutto non era perduto» e che «la S.d.N. o il governo britannico gli avrebbero un giorno o l'altro restituito il suo Regno». Queste manovre hanno arrestato ogni ulteriore scambio di idee, finché nel maggio scorso monsignor Pizzardo, venuto a Londra per l'Incoronazione mi fece incaricare di sondare nuovamente Tafari per accertare se egli avesse mutato opinione. Nulla risultò da questi miei sondaggi; l'ex-Negus era sempre vittima dell'ambiente pericoloso che lo circondava. Due e tre settimane or sono, tuttavia, Tafari mi chiamò d'urgenza e mi disse che aveva perso ogni fede nelle promesse dei suoi amici inglesi, che si trovava finanziariamente alle strette e che non vedeva più altro da fare che mettersi subito d'accordo col governo italiano. Aggiunse che desiderava entrare per qualche indiretto tramite in rapporto con l'ambasciata d'Italia a Londra, e conoscere da questa le condizioni che il governo italiano era disposto a fargli. Ecco il motivo che ha ispirato la visita di padre Martindale e la mia di quest'oggi. I miei ultimi contatti con Tafari mi hanno dato la netta impressione che egli si trova in condizioni di spirito estremamente depresse e che è pronto a sottomettersi purché si salvino un po' le apparenze e purché gli si diano i mezzi di vivere e di far vivere la sua famiglia.

Ho risposto a de Sibour che le condizioni del governo italiano erano sempre le stesse: sottomettersi incondizionatamente, come si erano già sottomessi altri Ras e confidare nella generosità del governo italiano. Ho aggiunto che la puerile incoscienza di Tafari, i suoi atteggiamenti ondeggianti e contraddittori, la sua tortuosa mentalità semita, ampiamente documentati anche da recentissime pubblicazioni da lui provocate m questa stampa, giustificavano da parte del governo italiano la massima riserva.

De Sibour ha pienamente convenuto con me su questo punto.

Siamo rimasti d'accordo che ci saremmo riveduti per fissare la precisa risposta che egli dovrà dare a Tafari».

Questo è il resoconto del primo approccio fra Crolla e il de Sibour. Allego copia di due appunti rimessi da Sibour a Crolla: il primo contiene le cosiddette «clausole» che Tafari aveva incaricato Sibour di sottoporre al governo italiano, nell'autunno 1936; il secondo è una breve cronologia di quanto Sibour ha fatto dal 1936 ad oggi 2 .

Ho dato istruzioni a questo consigliere di procrastinare il suo nuovo incontro col Sibour, onde V.E. possa farmi pervenire le opportune istruzioni 3 .

594 3 Ciano rispondeva (con T. 18485/410 P.R. del 23 novembre) confermando le istruzioni contenute nel suo telegramma del 17 novembre (vedi D. 578) che evidentemente si era incrociato con il telegram ma da Londra.

593 3 Raul Régis de Oliveira. 594 I Monsignor A. Hinsley.

594 2 Non pubblicati.

595

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 7163/1976. Washington, 19 novembre 1937 (per. il 29 ).

Mio telespresso in data 5 corrente, n. 6886/1902 1 .

Le more della Conferenza di Bruxelles, che coincidono con l'apertura della sessione speciale del Congresso, hanno aumentato il senso di incertezza e di disorientamento che si ha in questo Paese. Nel frattempo, la stampa non ha diminuito ma se mai intensificato gli attacchi contro i Paesi fascisti, prendendo di mira specialmente l'Accordo tripartito anticomunista, che ora sta diventando l'asse Roma-Berlino-Tokio e che qui si dichiara apertamente diretto contro le democrazie ed in particolar modo contro l'Inghilterra, mentre gli affermati obiettivi anticomunisti non sarebbero che una mascheratura.

La tendenza che si è manifestata fin dai primi dibattiti nell'attuale sessione del Congresso dimostra piuttosto uno spirito isolazionista, sebbene alcune proposte fatte, sia per spingere il governo ad applicare l'attuale legge di neutralità al conflitto cino-giapponese, sia per emendare la legge stessa limitando i poteri presidenziali per rendere la neutralità più effettiva, siano state rimandate a una commissione e quindi per il momento accantonate. Si è poi reagito in modo molto vivace contro i tentativi fatti da parte delle altre Potenze interessate all'Estremo Oriente e che si ricollegano alle dichiarazioni di Eden ai Comuni 2 , qui violentemente criticate, di attribuire agli Stati Uniti una specie di leadership nelle eventuali misure da prendersi contro il Giappone. Il governo per ora si mantiene impenetrabile su quella che possa essere la sua ulteriore politica nei riguardi del Giappone dopo il voto di condanna morale della Conferenza di Bruxelles, ma è da ritenere che tale impenetrabilità, oltre che per la delicatezza dell'argomento, derivi dal fatto che fino ad ora non si è presa alcuna decisione mentre continuano le consultazioni con la Gran Bretagna e con la Francia.

È certo, d'altronde, che l'atteggiamento del Congresso non può non influire sulla politica che il governo intende seguire, legandogli le mani nel caso avesse delle velleità di assumere qualche atteggiamento di energia. D'altra parte, il chiasso che qui si fa sul metodo e sulle presunte intenzioni aggressive degli Stati fascisti male maschera il senso di disagio per le ripetute sconfitte e umiliazioni della democrazia, della quale questo Paese continua ad affermarsi il più convinto paladino.

In tale stato d'animo si spiega lo sproporzionato rilievo e l'esagerata importanza politica che qui si attribuisce all'inizio delle consultazioni aperte ora ufficialmente in vista di un trade agreement col Regno Unito e di una conseguente revisione del trade agreement col Canadà. Mentre è chiaro che i negoziati con la Gran Bretagna rappresentano un effettivo successo e si può dire il coronamento della politica del Segretario di Stato Hull, tendente a legare i Paesi fra loro con rapporti

595 2 Del 1° novembre. Vedi 507, nota 2.

commerciali più intimi, non si vede come tale avvenimento possa rappresentare tutto quanto ad esso si vuole attribuire. Di fatto, queste trattative con l'Inghilterra rappresenterebbero: un'affermazione di solidarietà attiva fra le maggiori democrazie; una risposta efficace all'accordo tripartito ed in genere alla politica dinamica degli Stati fascisti, un monito al Giappone, che a sentire quanto dicono qui, dovrebbe esserne preoccupato, un altro monito ai Paesi dell'America Latina che potrebbero esser tratti a seguire l'esempio del Brasile e via di seguito.

Non è escluso che in un Paese come questo, dove la stragrande maggioranza della gente non si occupa e non si interessa di questioni di ordine internazionale, tale tattica possa avere un certo effetto di galvanizzazione dell'opinione pubblica ma per quella parte del Paese che segue con un certo spirito critico gli avvenimenti internazionali queste gonfiature possono esercitare un'influenza molto relativa. Tale parte si rende conto della situazione d'inferiorità in cui si trovano i Paesi democratici ed ha la precisa sensazione della loro impotenza a controbattere coi metodi attuali le affermazioni sempre più significative delle Potenze fasciste. Questa parte che ha maggior senso politico e di responsabilità ritiene che si avvicini rapidamente il momento in cui bisognerà uscire dal dilemma, scegliendo una delle due vie che rimarranno aperte: o rinunziare a ogni interessamento a quello che sarà l'avvenire della democrazia nel resto del mondo, dando partita vinta alle Nazioni fasciste e trincerandosi in un isolamento sempre più circoscritto, o uscire dai sistemi della inefficaci affermazioni di principio e delle innocue condanne morali per prendere una parte più attiva alla politica mondiale sulle linee del discorso di Roosevelt a Chicaga3.

Ho già riferito col rapporto su citato come. si stia lavorando in certi ambienti per tale seconda soluzione ed ho citato alcuni dei più autorevoli giornalisti americani che seguono questa tendenza; fra altre manifestazioni sul medesimo tono avvenute in questi giorni citerò una conferenza del signor McDonald (già Commissario internazionale per i profughi tedeschi) tenuta dinanzi ad un'assemblea affollatissima della Foreign Policy Association, il quale giunge appunto alla conclusione che è venuto il momento di mettere un alt alla ritirata delle democrazie. Tale movimento non ha per ora ampiezza tale da poter esercitare un'influenza decisiva sulla politica del Paese ma ho l'impressione che vada affermandosi con delle probabilità di successo per l'avvenire. In tale presa di posizione dell'America si vorrebbe vedere non solo una questione d'interesse e di prestigio ma anche l'affermazione di una missione particolare dell'America nel campo mondiale, il che, se pure ora si faccia dello scetticismo al riguardo, tocca sempre una corda sensibile dell'animo di questo popolo.

Tuttavia è fuori di dubbio che se domani si aprisse soltanto uno spiraglio alla speranza di un accordo generale con la cessazione della divisione del mondo in due campi antagonistici, gli americani di tutte le tendenze si attaccherebbero, con ogni loro forza a tale speranza. Un tale fatto potrebbe essere, ad esempio, determinato da un accordo dell'Inghilterra con la Germania e con l'Italia. Se oggi si cerca di svalutare la visita di lord Halifax a Berlino e l'eventuale inizio delle trattative anglo-italiane, ciò risponde a un particolare e momentaneo stato d'animo di irritazio

ne, ma quando tali fatti prendessero delle forme precise e concrete non potrebbero non essere accolti col favore a cui ho accennato più sopra. Nell'attesa di tali ulteriori eventuali sviluppi non è da ritenere che la politica di questo Paese possa spostarsi sostanzialmente dalla sua posizione attuale4 .

595 l Vedi D. 518.

595 3 Vedi D. 404.

596

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Berlino, 19 novembre 1937 1•

Siamo così giunti alla visita tedesca del Visconte Halifax, che tanto interesse ha suscitato in Europa. Prime impressioni? Potrebbero riassumersi nella parola «freddezza». Si è infatti qui ancora sotto l'effetto della gelida doccia, costituita dalla nota pubblicazione della Nationalsozialistische Parteikorrespondenz della scorsa domenica 2 , personalmente voluta, come è oramai di dominio pubblico, dal Cancelliere Hitler.

Da quel momento e fino a questa sera i commenti della stampa tedesca sono stati di una riservatezza e di una parsimonia degne di particolare attenzione. La stessa cronaca dell'arrivo a Berlino del nobile visconte è stata limitata a poche righe nelle quali si racconta come, in definitiva, il Presidente del Consiglio Privato sia stato incontrato alla stazione· solamente dal Capo del Protocollo, von Biilow-Schwante, e, naturalmente, dall'Ambasciatore Sir Nevile Henderson.

Dopo una sosta di trentasei ore a Berlino, impiegate in una visita all'Esposizione della Caccia e in una prima presa di contatto, piuttosto vaga, con la Wilhelmstrasse, l'ospite è partito per Berchtesgaden, accompagnato da von Neurath. Egli, che non ha avuto altri incontri con importanti personalità tedesche, vedrà Goring solamente domani, allorché sarà trattenuto a colazione a Karinhalle.

In una parola, quindi, ripeto, fino a questo momento «freddezza e vaghezza». Nei nostri confronti i tedeschi «di Partito» tengono a dichiarare che la visita non può «intaccare» la solidità dell'Asse. Oggi ho accompagnato da Goring l'Ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi, Bullitt, qui di passaggio di ritorno da una sua breve visita a Varsavia. Nell'anticamera del Ministro Presidente ho visto il suo Capo di Gabinetto, colonnello Bodenschatz, che arrivava da Berchtesgaden, dove era stato presso il Cancelliere Hitler. Mi ha detto che questi si era espresso con lui in termini alquanto scettici circa l'imminente visita, aggiungendo esplicitamente «Non credano questi signori di scardinare quanto si è creato tra Roma e Berlino».

Ora potrebbe darsi che questo tono e queste frasi siano volutamente usate in questi giorni nei nostri confronti ed in conversazioni con Italiani. per non «impres

sionarci». Ma vari sintomi fanno viceversa ritenere che l'atmosfera di questa prima presa di contatto diretta anglo-tedesca non sia effettivamente delle più favorevoli, almeno per quanto riguarda il Cancelliere Hitler.

Questi sintomi sono:

. l) L'assenza di von Ribbentrop dalla conversazione di Berchtesgaden. È indubbio infatti, che, se fosse esistita una possibilità di vera comprensione. Hitler avrebbe tenuto ad avere presso di sé, in una forma o in un'altra, l'uomo che, oltre essere l'Ambasciatore presso la Corte di San Giacomo, ha rappresentato per molto tempo, ed in un recente passato, l'anello di congiunzione con l'Oltremanica.

2) Il rifiuto opposto dal Cancelliere a concedere interviste a giornali inglesi. Fino a questo momento il rifiuto vale per lo stesso Ward Price.

3) L'«alto là», al quale ho sopra accennato, costituito dalla pubblicazione della Nationalsozialistische Parteikorrespondenz.

4) L'assenza di qualsiasi campagna di stampa atta ad illuminare di luce favorevole la visita di Lord Halifax.

Certamente il momento scelto dal Governo britannico non è stato dei migliori. Occorre infatti ricordare che sui tedeschi il successo militare e la «soluzione di forza» producono sempre effetti maggiori che non forse su altri popoli. Ora in questa settimana i due grandi problemi internazionali nei guaii la Germania ha, bene o male, preso posizione, la guerra di Spagna e la guerra di Estremo Oriente, subiscono ambedue un'evoluzione indubbiamente favorevole. Il successo militare giapponese con lo sfondamento del fronte cinese e l'investimento della stessa Nanchino ha qui immediatamente prodotto i suoi effetti. I tedeschi che, come Ti ho scritto nella mia precedente 3 , tanti sbandamenti hanno avuto in questo campo, ammirano e lodano! Sembra di essere ritornati al tempo dei nostri netti successi militari in Etiopia che cmdussero all'occupazione di Addis Abeba. Evidentemente i tedeschi sentono in forma superlativa il fascino ed il prestigio di chi sa, innanzi tutto, vincere militarmente. Ciò spiega come, in brevi giorni, le azioni del Giappone siano gui molto salite.

Dall'altra, l'avvicinamento della Gran Bretagna a Franco ed il riconoscimento, anche se solamente «di fatto» del Governo di Salamanca da parte di alcuni altri Stati, costituiscono un nuovo elemento di successo per la politica nazionalsocialista. Quindi oggi nell'incontro di Berchtesgaden il Fiihrer non può non sentire di avere in mano parecchie carte nei confronti del suo interlocutore britannico.

L'Ambasciatore Bullitt, dalla sua conversazione con Goring ha appunto tratta l'impressione che i tedeschi, in questo momento, non intendano compiere «passi innanzi»: in altre parole non desiderino prendere iniziative nei confronti delle Democrazie occidentali e preferiscano attendere sulle proprie posizioni. Credo che l'impressione sia giusta. Se essa sarà in questi giorni confermata dai fatti ossia dalla pratica dimostrazione della poca utilità della visita di Lord Halifax, avremo ancora una volta (come ebbi occasione di accennarti al tempo della mancata visita

di von Neurath a Londra) la conferma che in definitiva, nei momenti veramente risolutivi della politica estera germanica, quelle che contano sono la volontà e la direttiva di Adolfo Hitler, al di sopra e al di fuori delle grandi ruote della «classica» diplomazia della Wilhelmstrasse.

20 novembre

L'ospite britannico è rientrato stamane a Berlino. Circa l'incontro di Berchtesgaden è stata distribuita ·una «comunicazione» ufficiosa talmente panoramica ed inspirata ad una montanina euforia da porre quasi in ridicolo la visita stessa. Te la invio qui unita perché Te ne faccia direttamente un'idea. La prima impressione negli ambienti giornalistici è stata così viva che la Wilhelmstrasse e particolarmente l'Ufficio Stampa del signor Aschmann sono corsi ai ripari. Effettivamente la sensazione della completa «inutilità» della visita era troppo spinta. Apprendo così che nel pomeriggio verrà pubblicata una seconda «comunicazione» nella quale si porrà in rilievo lo spirito di sincera comprensione che ha presieduto alla conversazione, la «buona fede» che anima le due parti, ecc., ecc., ecc. 4 .

Lord Halifax si è recato a Karinhalle, accompagnato da von Neurath e da von Mackensen 5 . •

595 4 Il documento ha il visto di Mussolini. 596 l Manca l'indicazione della data di arrivo. 596 2 Vedi D. 574, nota l.

596 3 Non rintracciata.

597

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7904/758 R. Salamanca, 20 novembre 1937, ore 1,30 (per. ore 8).

Mio telegramma n. 754 1 .

Mi perviene in questo momento testo della nota di risposta di questo governo al Comitato di non intervento. Risposta è redatta in forma di nota verbale diretta all'ambasciata d'Inghilterra a Hendaye2 . Riassumo intanto punti principali riservandomi inviare testo con prossimo mezzo.

Governo nazionale premette come pregiudiziale il quesito circa poteri del Comitato, e cioè se esso abbia autorità sufficiente per imporre inappellabilmente alle Potenze rappresentate osservanza degli impegni che esse assumerebbero verso governo di Franco. Sotto riserva ed in attesa delle garazie richieste nella premessa, il governo nazionale anticipa per conoscenza del Comitato suo punto di vista nel modo seguente:

a) accetta in massima ritiro volontari nonché nomina e collaborazione delle commissioni. Si riserva il diritto di formulare osservazioni circa loro composizione e chiede precisioni circa estensione loro mandato e metodi di lavoro;

recarsi a Londra». 596 5 Il documento ha il visto di Mussolini. 597 l Vedi D. 590. 597 2 11 testo della nota è in DP, vol. V, D. 109.

b) riferendosi alla sua nota alle Potenze in data otto giugno3 , riafferma il principio che la condizione di belligerante non dipende d~tl riconoscimento di un diritto, ma bensì è uno stato di fatto determinato a favore di Franco dagli avvenimenti stessi.

Tuttavia, salvo questo principio e allo scopo conciliare suoi diritti cogli intendimenti del Comitato, governo nazionale sarebbe disposto accettare le indicazioni di cui alla sezione B -Paragrafo 3, articoli a, b, c, d, del piano britannico del 14 luglio4 con alcune osservazioni per quanto riguarda determinate garanzie circa nomina osservatori e qualche aggiunta all'elenco merci dichiarate contrabbando guerra secondo il rapporto Van Dulm-Hemming;

c) si dichiara pienamente d'accordo circa rafforzamento controllo terrestre. Quanto all'organizzazione controllo marittimo è disposto studiare formula che soddisfaccia scopi Comitato.

Risposta chiudesi con una proposta che il governo nazionale chiede sia portata a conoscenza Comitato e che viene formulata come segue: ammesso che venga risolta questione pregiudiziale circa personalità del Comitato, rimarrebbe da risolvere per quanto concerne alcune Potenze in esso rappresentate la questione della personalità del governo di Franco il quale non essendo sino ad ora stato riconosciuto come belligerante non si ritiene in grado di trattare e concludere col Comitato circa ritiro volontari e rafforzamento controllo. Per ovviare tale difficoltà, Franco propone ritiro di cinque mila volontari di ambo le parti con simultaneo riconoscimento belligeranza. Con ciò verrebbe conferita a Franco piena personalità internazionale agli effetti delle ulteriori trattative per ritiro volontari e rafforzamento controllo secondo risoluzioni adottate dal Comitato in seduta plenaria; mentre in pari tempo sarebbe osservata la disposizione del piano britannico relativo al riconoscimento belligeranza quando fosse raggiunto un progresso sostanziale nel ritiro volontari.

596 4 Nota autografa di Magistrati: «Sarà anche annunciato il rinnovato invito a von Neurath di

598

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1914/290 R. Roma, 20 novembre 1937, ore 24.

Attiro l'attenzione di V.E. su un comunicato diramato in data odierna dall'agenzia Domei nel quale viene data una versione del colloquio di V.E. col generale Matsui sostanzialmente diversa da quella contenuta nel telegramma di V.E.

n. 484 1 .

597 4 Vedi D. 69. 598 l Con T. 7906/484 R. del 19 novembre, l'ambasciatore Cara aveva riferito su un colloquio da lui avuto con il comandante delle forze giapponesi,. generale Matsui, che si era dichiarato favorevole a delle trattative di pace ma solo dopo la conquista di Nanchino e di Hankow. Il generale aveva aggiunto che non era sua intenzione colpire troppo duramente le forze cinesi perché desiderava conservarle e inqua drarle per la futura lotta contro l'U.R.S.S.

Ignoro se e fino a qual punto comunicato agenzia Domei risponda a verità. Credo tuttavia opportuno farle presente che, pur mantenendo cordialmente gli indispensabili contatti con codeste Autorità militari giapponesi, è necessario che V.E. eviti di entrare con loro in conversazioni il cui carattere possa urtare la suscettibilità del governo cinese presso il quale V.E. è accreditata. Soprattutto nel momento attuale è necessario evitare qualsiasi dichiarazione od atteggiamento capace di disporre meno favorevolmente governo cinese nei riguardi di una nostra eventuale mediazione 2 .

597 3 Testo in DP, vol. IV, D. 1084, allegato.

599

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1916/447 R. Roma, 20 novembre 1937, ore 2.

Ho esaminato le osservazioni di Neurath 1 e resto in attesa di conoscere le decisioni del Fiihrer.

Terremmo molto a che i due governi procedessero di comune accordo. Penseremmo però di procedere anche da soli al riconoscimento, tenuto pure presente che il Giappone fu tra i primi Stati a riconoscere a suo tempo l'Impero e che facemmo allora sapere che analogo gesto sarebbe stato da noi compiuto nei confronti del Manciukuò quando il Giappone ce lo avesse richiesto. Prima di farlo (e sempre che la Germania non creda di fare altrettanto) noi desidereremmo però di sapere se il riconoscimento da parte italiana sollevi obiezioni da parte di codesto governo.

Circa il punto n. l) del suo telegramma, faccia osservare che il riconoscimento italo-tedesco del Manciukuò non dovrebbe affatto «compromettere definitivamente» i rapporti colla Cina, che si basano su elementi realisticamente assai più importanti, quali il peso politico dell'Italia e della Germania e l'importanza della loro

. .

aZione, specie se comune.

Circa il punto n. 2}, credo che negoziare il riconoscimento del Manciukuò contro specifici privilegi commerciali, toglierebbe o almeno diminuirebbe assai il valore politico e psicologico del gesto. Potremmo se mai seguire la procedura a suo tempo adottata dal Giappone stesso, che procedè a riconoscere l'Impero contentandosi di un'assicurazione italiana che gli interessi giapponesi in A.O.I. sarebbero stati oggetto di particolare attenzione da parte del governo fascista.

Faccia pure presente che gli avvenimenti (tra l'altro l'invio nel Manciukuò di missioni commerciali, l'istituzione di consolati, etc.) hanno tolto e tolgono sempre più ogni portata, anche formale, alla deliberazione ginevrina del febbraio 1933 sul riconoscimento di fatto e di diritto del Manciukuò 2 , osservando che comunque la Germania non è parte della deliberazione stessa.

esattamente come lui aveva riferito. 599 I Circa il riconoscimento del Manciukuò. Vedi D .. 573. 599 2 Risoluzione della Assemblea della Società delle Nazioni del 24 febbraio 1933 che impegnava gli Stati membri a non prendere iniziative isolate nei riguardi della situazione in Manciuria e a non ricono scere né de jure, né de fètcto il Manciukuò.

598 2 L'ambasciatore Cora assicurava con T. 7985/489 R. del 22 novembre che il colloquio si era svolto

600

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ATTOLICO, E A SHANGHAI, CORA

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1918/448 (Berlino) Roma, 20 novembre 1937. ore 3. 288 (Shanghai) R. I_

(Per Berlino) Ho telegrafato Shanghai quanto segue: (Per tutti) Nei colloqui che Chen Kung-po ha avuto col Duce e con me2 gli sono stati messi in chiaro i seguenti punti:

l) A nostro giudizio la Cina non può più a lungo misurarsi col Giappone sul terreno militare. La sua resistenza è stata vinta pure essendo valsa, attraverso la dura tenacia, a conferire prestigio alle Forze Armate cinesi.

2) Né la Società delle Nazioni, né le democrazie franco-britannico-americane faranno niente di concreto in favore della Cina. In linea politica il loro intervento vale soltanto a irritare Tokio.

3) L'Italia e la Germania, desiderose di ristabilire la pace in Estremo Oriente, possono valendosi della loro influenza amichevole sul Giappone svolgere un'azione di mediatrici assicurando alla Cina una pace alle migliori possibili condizioni.

4) Per fare ciò, o almeno per dare inizio ad una azione diretta a tale scopo, sarebbe necessario che il governo cinese desse mandato confidenziale agli ambasciatori italiano e germanico di sondare Tokio per conoscere le eventuali condizioni per un accordo o almeno per un armistizio. L'azione delle due Potenze fasciste dovrebbe, almeno in un primo tempo, svolgersi nel più assoluto segreto.

Ho rapidamente riassunto quanto sopra perché V.E. sia informato di quanto Chen Kung-po riferirà al suo governo. V.E. segua la cosa. Ed in eventuali colloqui con T.V. Soong, che in ogni circostanza ha dato prova di saper conservare l'equilibrio e un realistico giudizio, si esprima in senso analogo, anche in conformità di quanto le telegrafai col mio telegramma n. 1795 del 28 ottobre u.s. 3 .

Trasmetta integralmente il presente telegramma a Tokio.

601

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 7913/432 R. Berlino, 20 novembre 1937, ore 18,36 (per. ore 21,15).

Telegramma di V.E. 447 odierno I_

600 2 Dei colloqui avuti dal ministro della Propaganda cinese con Mussolini e con Ciano non è stato trovato il verbale. Circa gli scopi della sua missione, si veda D. 472, nota 4. 600 3 Vedi D. 486. 601 l Vedi D. 599.

In assenza Neurath e Mackensen (entrambi alla Schoerfueide, con Gèiring e Halifax) ho fatto comunicazione relativa riconoscimento Manciukuò a Weizsiicker. Non ho naturalmente mancato di sottolineare essere in noi lontana ogni intenzione forzare la mano alla Germania. Non ho tuttavia avuto impressione che mia comunicazione sia riuscita estremamente gradita. Ho capito che desiderio di questo ministero Affari Esteri sarebbe stato attendere per il riconoscimento che si fosse prima delineata possibilità, se non di un armistizio, almeno di una «presa di contatto» fra la Cina e il Giappone. Comunque ha promesso una risposta appena possibile.

Non sembra peraltro che Neurath abbia ancora potuto intrattenerne Hitler a Berchtesgaden, dato che sue conversazioni colà si sono svolte sempre in presenza Halifax.

Richiesto del giorno in cui noi intenderemmo procedere al riconoscimento, ho risposto che presumevo fosse il 25, ma che ultimo telegramma V.E. non contenendo precisazioni in proposito, ne avrei chiesto immediata conferma all'E.V.

In relazione altro telegramma n. 448 2 , cui contenuto ho pure comunicato opportunamente, informo V.E. essere quì giunto generale cinese Chang Pei-li con messaggio personale di Chiang Kai-shek a Hitler cui tenore non è noto.

600 1 Minuta autografa.

602

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE PER CORRIERE Berlino, 20 novembre 1937 RISERVATISSIMO 7921/0122 R. (per. il 21).

Ecco quanto sono finora riuscito a sapere circa contenuto e risultati incontro Halifax-Hitler.

I due uomini sono rimasti insieme circa quattro ore, conversazioni non essendo state praticamente interrotte neanche da colazione, dato che a questa hanno partecipato soltanto Hitler, Halifax, Neurath e l'interprete.

La divergenza dei punti di partenza avrebbe potuto rivelare divergenze e contrasti, se non scontri, di opinioni. Niente di tutto questo. I due interlocutori, e specialmente Halifax, hanno non solo evitato con ogni cura di scendere in troppi particolari nelle questioni trattate, ma addirittura sorvolato sulle questioni più spinose, specie su quelle più care alla Weltanschauung tedesca.

Conversazione, svoltasi in una atmosfera di cordialità, ha avuto un carattere assolutamente generale e -agli effetti dei futuri rapporti ed eventuali ulteriori conversazioni fra i due governi -nettamente preliminare. Si è trattato, in fondo, di un larghissimo giro esplorativo dell'orizzonte politico europeo, giro in cui Halifax ha tenuto a saggiare, più che ad accertare, se e quanto di veramente irriconciliabile vi fosse fra le posizioni e gli intenti fondamentali dei due governi. Da questo punto di vista si può dire che conversazione ha avuto esito, preliminare SI, ma

genericamente positivo, Halifax, e sembra anche Hitler, avendo entrambi riportato impressione che una continuazione delle conversazioni sia non solo possibile ma opportuna.

In fondo, Halifax non ha detto niente di veramente nuovo. Egli ha premesso che, se una intesa è veramente desiderata e desiderabile, essa non può limitarsi ad una questione determinata, ma deve invece abbracciarle tutte, nel quadro delle questioni da risolvere comprendendo -senza peraltro insistervi -anche le questioni economiche. Analogamente Halifax ha osservato, trovando anche su questo consenziente il Fiihrer, che se una intesa ed un regolamento ha da avvenire essa non può limitarsi a due soli Paesi, ma deve invece comprendere tutte le Nazioni maggiormente responsabili per la pace dell'Europa.

Su questo punto Halifax ha subito dichiarato non essere affatto intenzione dell'Inghilterra di rompere o comunque indebolire l'asse Roma-Berlino, così come Berlino e Roma devono comprendere essere comunque impossibile rompere o indebolire l'asse Parigi-Londra. In materia vi sono naturalmente state dichiarazioni enfaticamente concordanti da parte del Fiihrer.

Sintomatico però che, mentre si è parlato dell'asse Roma-Berlino, nulla è stato detto del cosiddetto triangolo Roma-Berlino-Tokio. Su questo punto, come sulla stessa questione del comunismo e quindi della Russia -nonostante Halifax sia notoriamente poco simpatizzante per la Russia -si è senz'altro sorvolato e da entrambe le parti, evidentemente per il desiderio, reciproco, di evitare, più che affrontare, i punti di probabile dissenso. Sintomatico pure che nella conversazione il tema giapponese non solo non abbia occupato una parte prominente, ma non sia quasi stato menzionato; sulle relazioni cino-giapponesi lo stesso Fiihrer essendosi limitato a dire che, data l'importanza degli interessi tedeschi in quella regione, la Germania per prima non desiderava di meglio che una rapida composizione del conflitto.

Halifax ha quindi abbordato, ma in una maniera molto generale, la questione delle colonie, facendo peraltro comprendere che l'Inghilterra non è aliena, sempre insieme con tutto il resto, dal contemplarne un riesame. Il Fiihrer si è tenuto, quanto alla soluzione concreta del problema, anche lui sulle generali, chiarendo peraltro che allo stato degli atti -il Trattato di Versaglia essendo ritenuto dalla Germania come inoperante -il governo tedesco non può avere che una sola tesi, quella della restituzione delle sue vecchie colonie. Halifax non si sarebbe pronunciato su questo punto, ma avrebbe peraltro fatto intendere non trovare nella tesi tedesca nulla di shocking, e quindi non considerarla tale da precludere l'adito a negoziazioni, sempre -ripeto -che queste portassero sull'insieme delle questioni e dei Paesi interessati.

La conversazione è così naturalmente scivolata sulle questioni più ardenti che agitano l'Europa Centrale ed Orientale ma anche su questo punto Halifax, che evidentemente ubbidiva ad un programma e ad una linea-quella cioè di evitare ad ogni costo ogni angolo acuto -si è limitato a dire che l'Inghilterra considera tutte queste questioni come «aperte», pur attendendosi peraltro, da parte della Germania -sempre nel quadro di un settlement generale -un impegno a non risolverle se non con mezzi pacifici. In questo complesso di problemi si è inteso naturalmente di comprendere non solo l'Austria, ma anche la questione dei Sudeti di Cecoslovacchia e tutto l'Oriente europeo. Anche su questo punto il Fiihrer avrebbe dato delle assicurazioni anch'esse, peraltro, «generiche».

Sempre per completare il quadro del global settlement a cui l'Inghilterra mira, Halifax avrebbe anche accennato, ma molto alla larga ed in connessione alle intese economiche pure adombrate nel corso della conversazione, alla desiderabilità di un accordo~ di cui tuttavia egli ha detto essere il primo a riconoscere le difficoltà-sulla limitazione degli armamenti. Anche qui nessuna obiezione di principio da parte del Fiihrer il quale ha peraltro, da questo accenno, tratto l'occasione per una ricapitolazione di tutte le offerte da lui fatte in passato -e da nessuno raccolte ~ sia in materia di armamenti, sia in generale in materia di pacificazione europea. Il Fi.ihrer però ha fatto questo a titolo «storico» senza alcun intento di «rinnovare» le offerte stesse, Halifax avendo per sua parte preso atto delle buone intenzioni già mostrate in materia dalla Germania.

Ancora più vago Halifax si sarebbe mostrato per quanto riguarda un possibile ritorno della Germania nella S.d.N. Egli ha anzi dato l'impressione di accennare alla questione più per debito di ufficio che per convinzione, e non si è mostrato affatto sorpreso di vedere che il Fi.ihrer ha scivolato su questo punto, evitando non solo di dare assicurazioni di alcuna natura ma chiaramente mostrando di non raccogliere l'accenno.

Nella conversazione nessun accenno è stato fatto alla questione del Mediterraneo, Halifax essendosi limitato a parlare del Mediterraneo soltanto a proposito della Spagna, circa la quale si è espresso in maniera da far comprendere che la fine della guerra civile in Spagna sarebbe, ai fini del genera! settlement contemplato, altamente desiderabile. Ha evitato l'impressione che l'Inghilterra ritenga la questione spagnola essere un vero e proprio «impedimento» ad una intesa, dall'altra parte facendo tuttavia comprendere che la intesa sarebbe resa necessariamente più difficile da un perdurare del conflitto.

È mancato nel colloquio un qualunque accenno ad un possibile nuovo patto occidentale. Ma, per quanto il Patto di Locarno, come il Patto a Quattro, non siano mai stati espressamente menzionati, l'idea di una intesa locarniana o per meglio dire, ormai, dei due Assi, ha servito come di sfondo a tutta la conversaziOne.

Conversazione come si vede, molto larga e ,piena di spunti ma condotta con grande «leggerezza di tocco» e a base di sfumature, se non addirittura di sottintesi, ed evidentemente ispirata al preciso desiderio di non chiudere nessuna porta lasciando l'adito aperto a conversazioni ulteriori. La riprova di questo desiderio, evidentemente reciproco, può esser trovata nell'accenno ---fatto da Halifax ~alla mancata visita di Neurath a Londra nel giugno e alla possibilità che l'idea ne venga ripresa e questa volta con successo. Anche su questo punto il Fi.ihrer si è mostrato consenziente, tuttavia facendo presente ~ e sembra questo a espressa richiesta di Neurath -la necessità che essa venga questa volta adeguatamente preparata per le ordinarie vie diplomatiche e si svolga in base ad un «programma», da stabilirsi di comune accordo. Nessuna data sarebbe stata menzionata, ma è rimasta l'impressione che essa potrebbe svolgersi nel nuovo anno e anzi non prima della fine di gennaio e anche più in là.

Da tutto quanto ho sopra riferito mi sembra risultare chiaramente che, mentre la missione Halifax può dirsi aver avuto un risultato genericamente positivo, dall'altro, e per il suo carattere assolutamente preliminare e soprattutto per lo studio posto ad evitare le questioni piuttosto che affrontarle, non può ritenersi anche lontanamente conclusiva. Le difficoltà evitate oggi, si presenteranno inevitabilmente domani. È però notevole -e su questo mi permetto richiamare l'attenzione dell'E.V. -che il Fiihrer si sia così volonterosamente prestato egli stesso, e ciò contro il suo temperamento, a quello che in fondo sembra esser stato in buona parte un gioco di schermaglia diplomatica.

Non esito a ritenere che in questo, abbiano la loro parte anche necessità tattiche contingenti (degno di nota al riguardo il riserbo fatto mantenere sulla visita Halifax all'interno), ma tuttavia il fatto che il Fiihrer si sia in questo colloquio, per quanto premuto da Henderson (mio telespresso n. 5590/1901 del 13 c.m.) 1 contentato quasi di soltanto comprare senza vendere, rinunziando perfino a toccare taluni dei temi che più gli sono cari, merita di essere rilevato. Sono sicuro che Hitler non ha inteso con ciò rinunciare a niente di quanto può considerarsi suo patrimonio ideologico e politico (per il 25 egli prepara come è noto una «dimostrazione» a favore del Patto Anticomintern), ma sono altrettanto sicuro che egli ritiene o di avere interesse, con delle battute di aspetto, a prolungare la propria partita diplomatica con l'Inghilterra, oppure di potere ancora, comunque, perseguire una intesa con l'Inghilterra. È quello che l'avvenire ci dirà.

Le informazioni di cui al presente telegramma mi sono state espressamente date per sola conoscenza personale -almeno nello stadio presente -del Duce e della E.V. 2•

601 2 Vedi D. 600.

603

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGU ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8003/079 R. Praga, 20 novembre 1937 (per. il 25 ).

Mio telegramma per corriere n. 076 del 15 corrente 1•

Il ministro degli Esteri di Francia, in seguito al noto viaggio di Krofta a Parigi2 , ha fatto recentemente dichiarazioni confermanti gli impegni della Francia per la sicurezza della Cecoslovacchia. Delbos è ora atteso perché venga a rialzare il prestigio francese in Europa Centrale e Orientale, a «rinnovare le vecchie simpatie e a ridare vita alle vecchie alleanze», evitando però, a differenza di quanto avvenne all'epoca di Barthou, di recarsi a Mosca. Tuttociò è messo qui in mostra ostentatamente ma non giunge all'intimo sentimento dell'opinione pubblica che rimane perplessa dinanzi all'impotenza manifesta della grande alleata

602 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 603 1 T. per corriere 7866/076 R. del 15 ottobre. Riferiva su le aspettative suscitate a Praga dalla prossi ma visita di Delbos, considerata come espressione della volontà da parte della Francia di conservare le sue posizioni nell'Europa Orientale. 603 2 Sul quale si vedano i DD. 437 e 478.

d'Occidente. Ho sentito più di una volta da questa gente chiedersi sommessamente se la Francia, in caso di bisogno, vorrà e potrà muoversi in aiuto della Cecoslovacchia o se non rimarrà allo sterile non possumus ripetutamente opposto alla Germania, che ha cionostante e incontrastatamente realizzate tutte le tappe del suo programma. Insomma, a parte ogni dissimulazione e tutto il bizantinismo dialettico messo al servizio della menzogna demomassonica, la situazione interna della Francia e la sua conseguente debolezza preoccupano seriamente queste sfere politiche, le quali del resto non possono ignorare la depressione morale che invade patentemente questi stessi ambienti francesi, civili e militari, e il tono minore del loro linguaggio. A questa legazione di Francia per esempio non regna certo molto giubilo né vi si elevano !audi al Fronte Popolare. Al momento del richiamo di Herbette dalla Spagna, a questo ministro di Francia, chiamato d'urgenza a Parigi, fu offerta l'ambasciata presso il governo di Valencia ma il signor De Lacroix non volle accettare una simile promozione, i suoi sentimenti contrastando, pare, con il connubio del suo Paese con i Rossi di Spagna. Né mancano preoccupazioni negli ambienti militari. Dacché la Francia si mostrò incapace di un qualsiasi gesto di forza contro il colpo della Renania le apprensioni sono andate aumentando. Mi sono state riportate frasi di serio scontento da parte di questi stessi ufficiali francesi, fra i quali aviatori venuti da Parigi lamentano il disordine esistente nella loro arma e il trattamento che viene loro fatto con l'essere lasciati inoperosi e senza ore di volo per mesi interi.

Le sensazionali notizie del giorno circa scoperte di armi e piani di attentati in Francia hanno destato in questi ambienti franco-cechi seria emozione. Si spera tuttavia che tali macchinazioni rivoluzionarie possano portare ad una reazione e ad una maniera forte capace di modificare la situazione e il prestigio della Francia, senza di che il signor Delbos con ben poche speranze di profitto si metterebbe in viaggio alla «ricerca del tempo perduto».

602 l Vedi D. 564.

604

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. SEGRETO NON DIRAMARE RISERVATO Roma, 22 novembre 1937, ore 12,30. URGENTISSIMO 1922/450 R. 1 .

Sarebbe intenzione del Duce di ritirarsi dalla Società delle Nazioni, eventualmente il 25 corrente.

V.E. interpelli subito il Fi.ihrer, se possibile direttamente, per conoscere se egli concorda sull'opportunità e sulla tempestività di un tale gesto. Attendo pronta risposta2 .

604 I Minuta autografa. 604 2 Come risulta dal D. 620, Attolico eseguì queste istruzioni inviando a Hitler una lettera. Per il seguito si veda il D. 613.

605

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 7951/436 R. Berlino, 22 novembre 1937, ore 14,52 (per. ore 15,45).

Mio telegramma 432 del 20 1• Von Neurath non è in grado ancora dare risposta precisa a V.E. sulla questione Manciukuò non avendo potuto ancora conferire con Hitler. Con questo nel suo ultimo colloquio, egli si era espresso nel senso di cui al mio telegramma del 16 corrente 4292 .

Von Neurath si riserva, appena Hitler sia tornato a Berlino (25 corrente) di riparlarne ma intanto prega V.E. di non, dico non, fare niente, un riconoscimento soltanto da parte nostra potendo, specie in questo momento, prestarsi ad interpretazioni non esatte3 .

606

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8005/081 R. Praga. 22 novembre 1937 (per. il 25 ).

La Diplomatische Korrespondenz ha commentato favorevolmente le dichiarazioni di questo ministro degli Esteri alle Commissioni parlamentari 1 ed ha accennato a possibilità di accordi fra Praga e Berlino. Questo ministro di Germania ha fatto sapere ai locali ambienti responsabili che le asserzioni dell'ufficioso germanico [sic] corrispondono al punto di vista del suo governo. La stampa del Reich ha cessato le sue invettive contro Praga. Dal violento atteggiamento di qualche settimana fa a tali concilianti disposizioni il cambiamento tedesco sembra repentino per quanto inatteso.

Pare che a Berlino si sia avuta esatta percezione di una falsa rotta nell'azione propagandistica verso la Cecoslovacchia. Il signor Eisenlohr, ministro di Germania a Praga, ha dovuto confidenzialmente ammettere che gli incidenti inscenati a Teplitz-Schonau2 sono stati un fiasco, che non è stato il governo di Praga ad averne la peggio e che l'attività piuttosto chiassosa e affrettata del partito dei tedeschi dei Sudeti non combacia per tempestività e interpretazione con le visioni politiche naziste. Eisenlohr si è recato a Berlino, ha conferito lungamente con i dirigenti e specialmente con Goebbels ed ha messo avanti le possibili basi per un modus vivendi fra i due Paesi e cioè: la Germania sarebbe disposta ad eliminare ogni forma di attacco

605 2 Vedi D. 573. 605 3 Ciano rispondeva (T. 18517/453 del 23 novembre): «D'accordo, in attesa della risposta del Fiihrer». 606 l Dell'Il novembre. Vedi Relazioni Internazionali, pp. 843-844. 606 2 Vedi D. 464.

alla Cecoslovacchia e a mantenere con essa amichevoli rapporti di buon vicinato a condizione che il governo cecoslovacco: l) sopprima la stampa dei fuorusciti tedeschi; 2) sospenda il licenziamento dei tedeschi in forza della Legge sulla difesa dello Stato; 3) modifichi i criteri in uso per la censura degli scritti e pubblicazioni tedesche; 4) riconosca ufficialmente le organizzazioni naziste.

Tali condizioni sono state discusse in quattro ore di conversazione fra Bene§ e Eisenlohr, che -sia detto in parentesi -ha una grande opinione del democratico dittatore cecoslovacco. Benes ha dichiarato di possibile attuazione i primi tre punti e si è riservato di esaminare il quarto. Le trattative continuano e da ciò la détente.

Alla quale la Germania è indotta da ragioni di opportunità del momento, dato che le conversazioni in corso fra Londra e Berlino consigliano moderazione in quella che può apparire una forte pressione germanica verso l'Europa Centrale in genere e la Cecoslovacchia in ispecie. E da ragioni d'ordine più complesso in quanto la posizione di acuto contrasto con Praga sperimentata finora non si è rivelata proficua ai fini ultimi della politica del Reich. Berlino sembra aver compreso che è ancora presto per realizzare le sue aspirazioni nei riguardi della Cecoslovacchia e che perciò l'azione di Henlein e compagni va troppo in anticipo con le possibilità e gli eventi, ciò che potrebbe provocare difficoltà dannose e complicazioni intempestive.

605 l Vedi D. 601.

607

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE RISERVATISSIMA 5781/1938. Berlino, 22 novembre 1937 (per. il 28).

Con riferimento al mio telegramma n. 435 di oggi 1 , ti invio qui unita la lettera che il Ministro von Neurath desidera farti pervenire nei riguardi della visita di Lord Halifax in Germania2 .

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON NEURATH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA. Berlino, 22 novembre 1937

In relazione agli accordi da noi presi a Berlino, non vorrei mancare di informare V.E. circa il contenuto delle conversazioni politiche che hanno avuto luogo durante la visita del visconte Halifax, Lord Presidente inglese.

tata il giorno successivo. L"ambasciatore Attolico aggiungeva di poter precisare che la visita di von Neurath a Londra si presentava «sempre più problematica e comunque espressamente condizionata alla accettabilità del suo eventuale programma». 607 2 La lettera reca la seguente aggiunta autografa di Attolico: «Il Ministro Neurath sarebbe grato se la sua lettera non venisse fatta circolare». La lettera e l'allegato hanno il visto di Mussolini.

A norma di quanto era stato precedentemente e reciprocamente previsto, le conversazioni hanno avuto un carattere di pura e generica informazione.

Nelle sue dichiarazioni Lord Halifax riconobbe che l'attuale situazione nei riguardi dei vicini orientali e sudorientali della Germania non è affatto soddisfacente per la Germania anche secondo il punto di vista britannico, e che occorre tentare di sanare un giorno questo problema in via pacifica con la partecipazione degli interessati. Nei riguardi delle richieste coloniali tedesche, il ministro britannico lasciò comprendere che questo problema può essere, secondo il punto di vista inglese, posto sul tappeto.

D'altra parte, egli riaffermò il noto punto di vista inglese che la soluzione di tutte queste questioni, legate l'una all'altra, possa avvenire solamente nel quadro di una regolamentazione generale. In correlazione a ciò egli sottolineò particolarmente il desiderio britannico per un ritorno della Germania nella S.d.N. Nessuna parola venne fatta circa il Patto occidentale e circa i problemi del Mediterraneo.

Come dalle sue dichiarazioni nel corso delle conversazioni risultò senza equivoco che il governo inglese considera l'asse Berlino-Roma come una realtà di fatto, così egli non lasciò alcun dubbio sulla circostanza che il suo governo marcia in tutte queste questioni nel più stretto contatto con il governo francese.

Partendo da questo punto di vista, il governo britannico ha verosimilmente, come obiettivo, delle conversazioni a quattro per così vararvi quella regolamentazione generale cui esso mira.

Nulla si è concordato circa la forma nella quale un tale scambio di idee potrà essere proseguito. Da parte nostra venne da noi additata. per ora, la normale via diplomatica. Circa il ripetuto suggerimento di Lord Halifax nei riguardi di una mia visita a Londra, da parte nostra ci limitammo a prenderne pura conoscenza.

Ho ritenuto opportuno di riferire in ogni dettaglio a V.E. sul corso delle conversazioni, anche per eliminare in tal modo talune preoccupazioni quali si potevano rilevare nella stampa italiana.

607 1 T. 7955/435 R. del 22 novembre. Preannunciava l'invio di questa lettera che sarebbe stata recapi

608

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 7973/459 R. Parigi, 23 novembre 1937, ore 13,10 (per. i/15).

Tutti i giornali hanno pubblicato notizia sequestro Tribuna e richiamo del suo corrispondente da Parigi 1• Ma quasi tutti persistono ciò nonostante con paziente ostinazione nel ritenere che pubblicazione non poteva in definitiva non essere autorizzata e che sequestro e richiamo rappresentano con molta probabilità una mano

·O

vra piuttosto che una sconfessione. Tale manovra potrebbe, secondo il 90 per cento di questa opinione pubblica, essere presso a poco spiegata in questi termini:

l) Ammonimento rivolto da parte nostra alla Germania al momento dei colloqui con Halifax.

2) Stabilire reazione francese di fronte possibilità prospettate dalla Tribuna.

3) Probabile indizio che il governo fascista potrebbe forse tentare una nuova via di approccio verso l'Inghilterra partendo dalla premessa che il raggiungimento di tale obiettivo può essergli facilitato da un miglioramento delle relazioni italo-francesi.

Episodio si sgonfierà nei prossimi giorni. Ma sembrano comunque degni di rilievo la vasta risonanza dell'articolo; il senso quasi di sollievo che esso ha immediatamente provocato in larga parte di questa opinione pubblica; insistenza e speranza con cui si persiste qui a credere che una porta è stata aperta, la quale non sarebbe -nonostante sequestro e richiamo -tuttora completamente richiusa2 .

608 1 La Tribuna, del 20 novembre (in edicola la sera precedente) aveva pubblicato un articolo di fondo firmato dal corrispondente a Parigi, Francesco Scardaoni. in cui, con il titolo La Francia e !Europa. Il più grave errore politico dei nostri tempi. si sosteneva, con qualche richiamo alla latinità, che tra Francia e Italia non esisteva un contrasto reale di interessi e che quindi i due Paesi potevano collaborare utilmente e sviluppare dei rapporti fecondi. Prunas aveva riferito (T. 7916/457 R. del 20 novembre) che l'articolo aveva suscitato vivo interesse a Parigi perché lo si considerava di carattere ufficioso e come un sondaggio in vista di un possibile miglioramento dei rapporti italo-francesi. In realtà, Mussolini ne era rimasto irritatissimo (si veda CIANO, Diario, alla data del 20 novembre), il giornale era stato sequestrato e Scardaoni richiamato a Roma.

609

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 5808/1945. Berlino, 23 novembre 1937 (per. il 27).

Reputo doveroso informare l'E.V. di talune conversazioni avute in questi ultimi giorni con persone di passaggio da Berlino e che si riferiscono, oltre che alla situazione internazionale generale, anche a quella dei rapporti italo-francesi.

È rimasto qui per 48 ore, reduce da una visita privata a Varsavia il signor Bullitt, ambasciatore americano a Parigi. Egli, già mio collega a Mosca, è con me in ottimi rapporti di amicizia e quindi non manca, ogni volta che passa, di venirmi a vedere. Incidentalmente, informo che egli ha visto anche Neurath e Goring i quali, sapendo che Bullitt gode delle speciali simpatie del Presidente Roosevelt, non hanno mancato di esercitare su di lui un'opera di chiarificazione tanto più necessaria in quanto, a detta dello stesso Bullitt, l'antipatia di cui gode la Germania in America è persino superiore a quella di cui gode il Giappone. L'occasione per questa opera di approccio è stata da parte tedesca colta con tanto maggior compiacimento in quanto l'ambasciatore degli Stati Uniti a Berlino signor Dodd è un accanito antinazista e presumibilmente un informatore poco sereno ed esatto.

Ecco ora quanto il Bullitt ha detto a me. Premetto che Bullitt si è trovato qui nei primi giorni della visita Halifax, di cui egli parlava come chi ne conoscesse preventivamente lo spirito ed il quadro. Egli insisteva SQprattutto nel dire che il «tentativo» Halifax era l'ultimo del genere. Vi erano ancora molti in Inghilterra sinceramente convinti essere impossibile un'intesa con la Germania. Il riconoscimento definitivo di una tale impossibilità significherebbe, in un termine più o meno breve, la guerra. Era stato quindi deciso, prima di arrivare ad una simile constatazione, di fare ancora uno sforzo. Il fallimento della missione Halifax avrebbe quindi potuto diventare, agli occhi dell'opinione pubblica inglese ed indirettamente di quella americana, l'argomento e la prova decisiva dell'ineluttabilità di una guerra. (Sintomatica la concordanza di queste dichiarazioni con quelle fatte da Henderson per preparare la visita Halifax). In questo caso, la saldatura anglo-franco-americana che ora era appena vagamente delineata non avrebbe indubbiamente mancato di prendere consistenza. L'America non desidera di cacciarsi nelle complicazioni e negli imbrogli europei, ma essa sa anche, in base all'esperienza, che volente o nolente essa finirebbe con l'esservi in definitiva fatalmente trascinata. Una nuova guerra condotta, salvo per pochi Paesi (che Bullitt naturalmente identificava con le tre democrazie), con riserve economico-finanziarie assai più povere in confronto di quelle preesistenti alla guerra del 1914 significherebbe praticamente il bolscevismo un po' dappertutto.

Ma, diceva Bullitt, ragioni vere per una guerra in fondo non ci sono. A cominciare dalla Francia, egli diceva che Chautemps desidera ardentemente un'intesa, sia con l'Italia, sia con la Germania. Alla Germania essa è senz'altro pronta a restituire le poche colonie che le ha preso. Essa lo ha già notificato a Londra, con ciò obbligando la stessa Gran Bretagna a cedere per conto proprio. Analogamente nei riguardi dell'Italia. Anzi, diceva Bullitt, Chautemps è conosciuto per essere un fautore dell'amicizia italo-francese, al punto che, in questi ultimi tempi, egli viene perfino preso in giro dai suoi colleghi di Gabinetto per i suoi «successi» con l'Italia. Ciò nonostante e nonostante che l'opinione popolare francese sia andata in questi ultimi tempi sempre più scostandosi dall'Italia, Chautemps rimane fautore del riavvicinamento franco-italiano, il quale secondo Bullitt costituisce, nel sistema delle resistenze franco-inglesi all'Italia, il punto di minor resistenza per noi. In sostanza, Bullitt faceva capire che, volendo noi riavvicinarci all'asse Parigi-Londra, sarebbe in questo momento più facile sfondare a Parigi che non a Londra. Non so se egli si illuda ma egli sembra ritenere che persino la questione del riconoscimento non sia insuperabile.

Premessa la possibilità generica di un'intesa fra la Germania e l'Italia da una parte e la Francia e l'Inghilterra dall'altra, Bullitt insisteva non potersi tuttavia arrivare ad una qualunque intesa se non sulla base di un regolamento d'insieme, il quale comprendesse anche la parte economica e cioè la conclusione di accordi permettenti la ripresa dei traffici mondiali. Bisognerebbe, d'altra parte, evitare di limitare l'accordo politico alle quattro Potenze occidentali, ciò, sia per superare le opposizioni a tutto ciò che sa di Patto a quattro, sia anche per non isolare la Polonia, che sentendosi messa da parte potrebbe assumere attitudini ed orientamenti non consoni all'interesse europeo. Al riguardo Bullitt diceva che, se c'è un momento in cui sarebbe facile escludere da ogni accordo europeo la Russia è proprio il presente, dato che l'U.R.S.S. ha da sei mesi a questa parte continuamente e sensibilmente perduto, sia nell'opinione pubblica inglese, sia persino in quella francese. Forse l'opinione pubblica francese potrebbe anzi vedere nell'inclusione della Polonia in un accordo occidentale un motivo od una scusa per fare a meno della Russia. Ad illustrare il pochissimo conto in cui l'U.R.S.S. è tenuta a Parigi, Bullitt ricordava che l'ambasciata sovietica a Parigi non è frequentata quasi da nessuno. Nello stesso anniversario dei 20 anni della rivoluzione, nessuno, dico nessun membro del governo francese è intervenuto, il Quai d'Orsay essendo stato rappresentato alla cerimonia dal solo Massigli. Tutto questo da parte di un alleato è per Bullitt estremamente sintomatico. Non dissimile è la situazione per quanto riguarda l'Inghilterra, la quale non è affatto pro-bolscevica, e si serve della Russia oppure la segue unicamente per opportunità di gioco politico contingente. Di questa situazione, diceva Bullitt, e di questo momento favorevole sarebbe errore non profittare e non profittare subito.

Notizie sulla situazione attuale dei rapporti itala-francesi mi sono state date anche dal ministro del Portogallo 1 tornato or ora da una permanenza di tre settimane in Francia. Egli è rimasto quasi sorpreso del risentimento che in questi ultimissimi tempi si è venuto sviluppando in Francia, sia contro il Portogallo, sia contro l'Italia, e ciò nelle stesse classi più basse della popolazione.

608 2 Lo stesso giorno, l'ambasciatore Grandi telegrafava: «Preannuncio del sequestro articolo della Tribuna ha fatto qui una certa impressione ed è giunto assai tempestivo ed opportuno in quanto è valso ad arrestare ed a tagliar corto a grottesche speculazioni che, di rimbalzo da Parigi, cominciavano a circolare anche in questi circoli politici e che erano dirette, naturalmente come sempre, all'illusorio tentativo di turbare i nostri rapporti con Berlino. Notizia del sequestro del giornale ha immediatamente congelato tuttociò. Nessun giornale da ieri si occupa più della cosa» (T. 7976/837 R. del 23 novembre).

610

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO URGENTE 5814/1949. Berlino, 23 novembre /937 (per. il 26).

Le ulteriori notizie avute da Neurath, che in questi giorni, dato l'accavallarsi degli avvenimenti, ho visto per quanto in fretta spessissimo, nonché le ulteriori conversazioni avute da Halifax con Goring e con lo stesso Neurath, mi permettono. per quanto riguarda la visita del ministro inglese, qualche precisione ulteriore.

Società delle Nazioni. Gli accenni fatti da Halifax alla S.d. N. risultano in definitiva meno fugaci ed indiretti di quanto a prima vista apparisse. Halifax è comunque tornato sulla questione anche in maniera più insistente nelle sue conversazioni con Goring, domandando se, almeno, la Germania sarebbe ritornata in una S.d.N. riformata. Neurath avrebbe risposto che, per conto suo, egli potrebbe immaginare una S.d.N. che si occupi di oppio, schiavitù, tratta delle bianche, statistiche economiche, convenzioni sanitarie, etc. ma nmz di politica. Rimane tuttavia l'impressione che Halifax abbia, nel parlare di S.d.N., mostrato di patrocinare una causa non propria e comunque non intimamente sentita.

Cornunismo. Così pure è ulteriormente risultato che nella conversazione di Berchtesgaden come in quelle ulteriori, di comunismo si è, per quanto non in maniera preminente, parlato e che, anzi Halifax, molto abilmente, per quanto esprimendosi a titolo personale, avrebbe detto che il mondo dovrebbe essere grato al Fuhrer di agitare il vessillo dell'anticomunismo. Non so se soltanto in base a queste dichiarazioni oppure ad altre più specifiche, ma mi risulta essersi in taluni circoli, specialmente in quelli della marina tedesca, formata la convinzione che, in

720 fondo, l'Inghilterra sia pronta a «mollare» la Russia, disinteressandosene, sia agli effetti baltici, sia, in certa misura, anche agli effetti spagnoli.

Apprezzamento generale della visita. È sintomatico il fatto che, quanto più la visita di Halifax si allontana nel tempo, tanto più in fondo se ne attenua l'impressione positiva. A questa conclusione io sono pervenuto parlando anche con i collaboratori più diretti di Neurath.

È significativo poi al riguardo l'episodio della visita di Neurath, per cui è indiscutibile che un invito sia stato rinnovato, che sia stato persino discusso delle condizioni alle quali potrebbe eventualmente aver luogo la visita e cioè preparazione diplomatica, stabilimento di un programma, eccetera, ma che, lasciata come tutto il resto della conversazione --nel vago, mentre è stata in un certo momento ammessa come un fatto probabile. in un secondo momento invece viene se non negata, per lo meno relegata nel numero delle probabilità più lontane e remote. Altrettanto significativo è apparso il contegno mantenuto nei riguardi della visita stessa dalla stampa tedesca, piuttosto larga di notizie (spesso contradittorie) all'estero, ma riservatissima e quasi muta all'interno. Gli è che, come ho già detto, effettivamente tutta la conversazione ha avuto un carattere così vago e indeterminato che l'apprezzamento dei suoi risultati può variare a seconda dei punti di vista e delle disposizioni personali e soprattutto dei momenti.

La visita in fondo ha soltanto rilevato delle possibilità, la cui traduzione nella realtà dipenderà non soltanto dalla buona volontà reciproca, ma anche dagli sviluppi delle diverse situazioni.

Impressioni inglesi. Non ho mancato di assumere informazioni -da fonte sicura -sulle impressioni inglesi. Lord Halifax che ho visto, per quanto di sfuggita, ad una colazione offerta dall'ambasciatore inglese e a cui erano presenti, oltre i rappresentanti delle grandi democrazie (ambasciatori inglese, di Francia e di America) solo l'ambasciatore d'Italia e il ministro del Belgio, si è limitato a mostrarsi con me contento dei risultati raggiunti. Egli è stato favorevolmente impressionato delle premure e della cordialità dimostratagli, sia da parte di Goring, sia da parte dello stesso Goebbels, il quale si sarebbe dichiarato pronto a cooperare «personalmente» ad un riavvicinamento.

Da tutti Halifax ha sentito ripetersi: a) che la Germania vuole la pace; b) che vuole un riavvicinamento con la Gran Bretagna.

Ciò ha molto contribuito a creare nel ministro inglese il convincimento che «valga la pena di continuare a lavorare». Egli è rimasto anche favorevolmente impressionato del fatto che i suoi accenni a «regolamenti globali» non sono stati respinti e che il Fi.ihrer, noto per le sue «tirate» se ne è con lui astenuto. Il segretario dell'ambasciata inglese che l'accompagnava, signor Kirckpatrick, ha avuto però l'impressione che questo abbia rappresentato per il Fiihrer un tale sforzo da renderlo se non di cattivo umore, comunque non completamente à son aise. Il non aver potuto parlare, come egli suole fare, in completa libertà e con la passione che gli è propria, aveva rappresentato per lui un vero tour de force.

A parte queste impressioni di insieme e di colore, le informazioni di fonte inglese -ripeto sicura --concordano nella sostanza con quelle di fonte tedesca. Senonché, quello che sembra che da parte tedesca non sia stato sufficientemente apprezzato è il carattere completamente unofjìcial ed uncmnmittal della missione Halifax. Sembra che Halifax abbia veramente inteso di parlare a titolo personale.

,,

Mi risulta anzi che questa riserva egli abbia fatto non soltanto a premessa della intera conversazione, ma anche, ed in maniera espressa, su questioni particolari come ad esempio le colonie. Non è quindi detto che quello che Halifax ha enunciato, nonostante la sua indubbia autorità nel Gabinetto, rappresenti il punto di vista del governo inglese come tale e persino dello stesso Chamberlain. Halifax ha già preparato, fin da Berlino, un rapporto scritto sulla sua visita da sottoporre ai suoi colleghi. Su questa base, il governo inglese stabilirà la propria linea di condotta.

Una siffatta libertà di movimenti, anche in una azione di semplice sondaggio quale quella confidata a Halifax, libertà concepibilissima per un inglese ed in un regime come quello inglese, è invece poco comprensibile per la mentalità tedesca, specie in un regime come l'attuale. Può quindi darsi che i tedeschi, in un primo momento, siano stati portati ad attribuire agli atteggiamenti di Halifax un valore più positivo e soprattutto più impegnativo di quello che veramente avessero. Come può anche darsi che il reciproco controllo a cui le impressioni delle due parti sono state assoggettate nell'immediato dopo visita, abbia man mano portato i tedeschi a realizzare la relatività -per così dire -delle dichiarazioni Halifax. Donde negli ultimi due giorni l'accentuazione da parte tedesca di sfumature a tinta alquanto più negativa, e il riserbo crescente sulla valutazione dei risultati effettivi dell'incontro.

Risultati effettivi dell'incontro. In fondo, se io dovessi dare un giudizio d'insieme su questo punto direi che Halifax è venuto qui per sondare se effettivamente valesse o no la pena di fare un ultimo sforzo per un riavvicinamento alla Germania. Egli deve essere ritornato con l'idea che questo sforzo è possibile e comunque opportuno. senza per questo che si siano in alcun modo non dico chiarite e fissate, ma anche soltanto delineate così le direttrici pratiche di un simile riavvicinamento come i punti di possibile incontro delle diverse concezioni.

A mio rimesso avviso, dopo la visita Halifax -ed anche riconoscendo alla visita stessa il massimo di valore positivo compatibile con la realtà quale ci è finora conosciuta -la Germania si viene, nel migliore dei casi, a trovare rispetto all'Inghilterra in una situazione analoga a quella in cui è venuta a trovarsi l'Italia dopo la lettera di Chamberlain 1 . Situazione, cioè, non scevra di possibilità, ma il cui valore dipenderà praticamente dai fatti e cioè dal seguito che effettivamente le verrà dato.

609 1 Alberto Veiga Simoès.

611

IL MINISTRO A L'AJA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO,

TELESPR. RISERVATO 1802/639. L'Aja, 23 novembre 1937 (per. il 29).

Miei telegrammi n. 33 1 e n. 342 in data del 15 e del 17 corrente.

In base ad istruzioni del suo governo, questo ministro di Francia ha chiesto ieri spiegazioni a questo ministro degli Affari Esteri in merito alle voci giunte a Parigi circa l'iniziativa olandese per il riconoscimento dell'Impero italiano d'Etiopia.

Patijn si è reso subito conto che il Quai d'Orsay era stato perfettamente informato dai suoi rappresentanti nelle capitali scandinave. Per questo, e perché è sua ferma intenzione di mantenere nella trattativa la più assoluta franchezza, Patijn non ha esitato a mettere il barone de Vitrolles perfettamente al corrente della sua iniziativa, spiegando le ragioni superiori che lo spingevano ad assumerne la responsabilità.

Il ministro di Francia si è limitato ad osservare che il passo olandese costituiva sin da ora un colpo non lieve per l'istituzione ginevrina. Patijn ha replicato che, a suo avviso, la liquidazione deiia incresciosa questione etiopica sarebbe stata, in fin dei conti, non di danno ma di vantaggio grandissimo per la Lega delle Nazioni.

Patijn ha avuto l'impressione che la Francia si prepari ad agire in senso contrario specialmente a Bruxeiies e ciò lo preoccupa perché egli vede sinora la soluzione ideale in una decisione olando-belga che dovrebbe essere facilitata daii'azione personale di Spaak3 .

610 l Vedi D. 136, allegato. 611 l Vedi D. 570. 611 2 Vedi D. 581.

612

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 7997/204 R. Rio de Janeiro, 24 novembre 1937, ore 13,44 (per. ore 19,20).

Dopo aver espresso in varie riprese a questo ministro degli Affari Esteri vive simpatie e solidarietà governo fascista per il suo Presidente Vargas e nuovo regime brasiliano, ho colto occasione molto confidenziale e discreta per dirgli che, se si dovesse tener conto di alcune dichiarazioni e manifestazioni che vanno apparendo e che tenderebbero ad aiiontare qualsiasi affinità con regime fascista si dovrebbe credere che recenti avvenimenti non costituiscano speciali e nuove ragioni di sempre maggiore avvicinamento fra i due Paesi. In realtà, governo fascista comprende difficoltà che nuovo regime può incontrare in alcuni ambienti e la necessità addolcire scossa con più o meno sinceri gesti di inclinazione verso i Paesi democratici ma è certo che alcuni strati opinione pubblica alieni da queste sfumature possono trarre deduzioni errate contro le quali non sarebbe mai inopportuno di far giungere al governo fascista qualche assicurazione, sia pure confidenziale, per controbilanciare effetti delle suddette manifestazioni.

Ministro degli Affari Esteri mi ha risposto che situazione stava perfettamente nei termini da me esposti e che nuovo regime Brasile è oggetto in questo momento di attacchi «feroci» della stampa americana da cui è naturalmente avversato. Ha dichiarato che Brasile percorre strada aperta da Italia fascista neJla ... 1 mediante

723 consolidamento autorità contro disfacimento parlamentare dietro cui sta in agguato comunismo. Mi ha detto qui si attende che esempio brasiliano scuoterà altri Paesi sudamericani e mi ha indicato situazione Cile ove si delinea movimento antiliberale. Ha affermato che mai come in questo momento Italia e Brasile si sono trovati non solo vicini ma affini.

611 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 612 I Nota dell'Ufficio Cifra: «gruppo indecifrabile».

613

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE Berlino, 24 novembre 1937. URGENTISSIMO 7988/440 R. ore 15,18 (per. ore 16,05).

Hitler tornato stamane. Affaticatissimo per le cerimonie questi ultimi giorni si è messo a letto. Prima ha tuttavia chiamato von Neurath per dirgli che, in attesa di vedermi personalmente questa sera, mi faceva intanto sapere essere egli favorevolissimo all'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni 1 . Quanto alla data egli non ritiene di poterne suggerire una anziché un'altra.

Un solo suggerimento si permetterebbe di dare e cioè quello di non, dico non, legare uscita da Ginevra con la questione dell'anticomunismo ma di motivarla invece piuttosto con la questione del riconoscimento dell'Impero. Questa la risposta, a cui von Neurath non ha saputo aggiungere chiarimento alcuno data la stessa brevità del suo incontro con Hitler. Mi permetto tuttavia esprimere il subordinato avviso che con il suo suggerimento circa la «motivazione» dell'atto, Hitler abbia inteso rispondere -per quanto implicitamente -anche alla questione della data, almeno per quanto concerne quella specificatamente indicata del 25.

Nessuna risposta ancora per la Manciuria 2• Yon Neurath spera tuttavia rivedere Hitler ed averla ancora entro oggi.

614

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 7993/441 R. Berlino, 24 novembre 1937, ore 20,04. (per. ore 21,15).

Tramite von Neurath, il Fi.ihrer mi prega di portare ulteriormente a conoscenza dell'E.Y. 1 che, ove mai il Duce addivenisse alla nota decisione, egli (Hitler), si riprometterebbe, alla distanza di qualche giorno, di fare una pubblica dichiarazione annunziando che la Germania non (dico non) rientrerebbe mai più nella S.d.N.

613 2 Vedi D. 605. 614 1 Si vedano, per i precedenti, i DD. 604 e 613.

Interrogato sulla questione del Manciukuò, Fiihrer non (dico non) ha preso ancora decisione alcuna. Mi riprometto in proposito informazioni ulteriori 2•

613 l Per il precedente della questione si veda il D. 604.

615

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8025/0126 R. Berlino, 24 novembre 1937 (per. il 26).

Della visita Chautemps e Delbos a Londra 1 il governo tedesco è stato informato dallo stesso governo inglese attraverso l'ambasciata germanica a Londra. È impressione di questi circoli politici che essa sia stata provocata per calmare le apprensioni destate in Francia dalla visita Halifax e di cui anche questo ambasciatore di Francia ha dato in questi giorni chiarissimi segni. Qui però non si crede almeno per il momento -che l'incontro anglo-francese sia destinato a imbastire piano concreto di intesa più o meno generale. Si riconosce tuttavia essere difficile che la Francia non desideri far di tutto per «inserirsi» in questa -per quanto appena lontanamente adombrata -azione di riavvicinamento anglo-germanico. Intanto, la stampa tedesca ha ripreso a reagire con estrema violenza alle insinuazioni di cui la visita Halifax continua ad essere oggetto da parte dell'estero.

616

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 5837/1951. Berlino, 24 novembre 1937 1•

Nei rapporti sulla visita di Halifax che ho già inviati 2 , ho fornito tutte le informazioni che in materia mi era stato dato di raccogliere, sia da fonte tedesca sia da fonte inglese.

V.E. avrà rilevato che entrambe queste fonti concordano nel far risultare che nelle conversazioni -se si eccettua la premessa del più assoluto rispetto all'asse Roma-Berlino -dell'Italia non si è parlato.

Se però non si è parlato dell'Italia, si è parlato di questioni talune delle quali interessano l'Italia in modo particolare. Alludo specialmente a quelle riguardanti l'Europa non solo orientale ma anche sud-occidentale.

Nonostante la vaghezza degli accenni e la leggerezza del tocco, su cui si insiste tanto, gli approcci fatti da Halifax in materia mi paiono degni di speciale rilievo.

615 l Si riferisce alle conversazioni franco-britanniche di Londra del 29-30 novembre successivo, su le quali si veda il D. 645. 616 l Manca l'indicazione della data di arrivo. 616 2 Vedi DD. 602 e 610.

Lo stesso Neurath ha riconosciuto con me e con evidente soddisfazione, esser la prima volta che da parte inglese si riconosce l'esistenza di una questione austriaca, di una questione di Danzica, di una questione dei Sudeti (delle tre, sembra che quest'ultima sia stata oggetto della maggiore attenzione). Comunque, l'aver ammesso che nei tre casi si tratta di questioni aperte e quindi suscettibili di una soluzione, per quanto pacifica, è veramente, da parte inglese, una qualche cosa.

Non so, in fondo, quanto possano esserne contenti in Cecoslovacchia e nella stessa Polonia. Ma, a parte questo, mi sembra anche che la stessa ammissione, dopo gli Accordi dell'il luglio, di una questione austriaca, possa prestarsi a interpretazioni varie.

È indubbiamente questo il punto che ha fatto più presa sull'animo dei tedeschi. Punto tuttavia il cui valore va misurato, oltreché alla stregua della vaghezza generale della intera conversazione, anche a quella della stessa sincerità degli atteggiamenti inglesi, della quale è tanto più da dubitare quanto più è ovvio che le disposizioni inglesi in materia si urterebbero fatalmente -a prescindere da ogni possibile presa di posizione italiana -in resistenze non solo cecoslovacche e polacche, ma anche francesi.

Un altro punto che ci interessa, e sul quale gli elementi in nostro possesso non gettano una luce definitiva, è il modo col quale il governo inglese si proporrebbe di continuare le conversazioni. Neurath dice che, verosimilmente, l'obiettivo inglese è di arrivare a conversazioni a quattro. Nessun dubbio. Ma arrivarci come? In altri termini, dato che, in vista del reciproco rispetto per gli Assi, sono indispensabili delle conversazioni «a coppie» e soprattutto delle conversazioni italo-inglesi, com'è che Londra si propone di arrivare finalmente a Roma? È quello che, a mio avviso, il prossimo avvenire non mancherà di rivelare.

614 2 Vedi D. 617.

617

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO N0:\1 DIRAMARE 8001/422 R. Berlino. 25 novembre 1937. ore 10,15 (per. ore l 0,30).

Ho veduto iersera il Fiihrer.

Per la S.d.N. mi ha ripetuto tutto quello che già mi aveva detto von Neurath 1 , sottolineandomi tuttavia che egli sarebbe pronto fare la dichiarazione di cui al mio telegramma 420 2 anche nelle 48 o 24 ore dall'annunzio della decisione nostra.

Quanto alla Manciuria, mi ha in un primo momento domandato di «dormirci ancora sopra una notte». Senonché, dopo una lunga conversazione con Blomberg ed una ulteriore breve consultazione con von Neurath, mi ha fatto telefonare all'una di questa notte per dirmi che Germania l) non, dico non, poteva da

617 I Vedi D. 614. 617 2 Sic. Leggasi 441, qui pubblicato al n. 614.

parte sua procedere al riconoscimento ora; 2) non aveva però obiezioni a che Italia, volendolo, procedesse al riconoscimento per conto proprio.

618

IL CONSOLE GENERALE A MUKDEN, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8027/82 R. Mukden, 25 novembre 1937, ore 13 (per. ore 6,30 del 26).

Ho avuto a Hsin King una lunga conversazione con Aikawa il quale attualmente gode fama del più abile capitano d'industria del Giappone, dove finora ha gestito il consorzio Nippon-Sangyo comprendente oltre cento società minerarie, di pesca, fabbriche automobili, tessuti, navigazione, con capitali di circa duecento milioni di yen.

Attività attualmente affidatagli quale presidente del nuovo ente Manciurian Heavy Industry Contro! Company con capitale di 450 milioni di yen elevabili ad un miliardo, ha lo scopo di farne il primo centro dell'espansione industriale giapponese sul continente asiatico.

A tale scopo verranno rilevate dalla South Manchurian, che le aveva create e finora gestite conservandone la maggioranza azionaria, ben 78 industrie varie per un capitale complessivo di oltre 500 milioni di yen, operandone la concentrazione ed integrandola con i consorzi finanziari per i nuovi impianti minerari di oro, carbone, ferro, del quale ultimo sono stati individuati recentemente grossi giacimenti ai confini della Corea, nonché per gli impianti di fabbriche di macchine utensili, aeroplani, automobili ed industrie leggere varie, per i quali sono previsti finanziamenti del governo mancese, della Banca del Giappone e di capitali esteri.

La South Manchurian Railll'ays, così alleggerita, conserverà in Manciuria solo la gestione delle ferrovie, porti e miniere di carbone di Fuschun e rivolgerà propria attività al Nord Cina per espletarvi la stessa missione tìnora attuata in Manciuria con la gestione delle ferrovie e la creazione di interessi collaterali commerciali, e industriali.

Con comunicazione 14 agosto, Aikawa ha proposto che Fiat partecipi al nuovo consorzio per una quota da cinquanta a duecento milioni di yen rappresentata da progetti totalità impianti, licenze riproduzione, assistenza tecnica, macchinari, contro pagamento azioni ovvero obbligazioni. Fiat ha risposto, data mole programma, essere disposta di massima a studiare partecipazione puramente tecnica, escludendo partecipazione finanziaria. Risposta giunta ad Aikawa a Hong Kong e trattative non ebbe seguito.

Aikawa è tornato meco sull'argomento e chiesto per iscritto a titolo informativo se Fiat ammetterebbe forma pagamento azioni con interessi garantiti da questo governo e pagabili in valute ovvero forma di pagamento integrale in valute, dilazionato di 4-5 anni.

Ho risposto che personalmente ritenevo accettabile seconda forma coperta da necessarie garanzie.

Ha aggiunto che desiderava conferire col R. ambasciatore a To.kio per conoscere intenzioni del governo italiano in proposito, nonché circa la garanzia di non ingerenza politica. A tale riguardo ha rivelata una tale assurda diffidenza da autorizzare il sospetto che possa essergli stata istillata da qualche concorrente straniero.

Le mie parole sembra non siano bastate a rassicurarlo.

Egli conta recarsi all'inizio del nuovo anno nell'America del Nord, dove ha compiuto gli studi e conserva contatti, allo scopo di assicurare finanziamento e collaborazione industriale alla costruzione nuovi impianti.

Onoromi sottoporre alla approvazione di V.E. proposta di profittare di questo suo viaggio per farlo invitare dal senatore Agnelli a visitare Fiat al ritorno dall'America.

Permettomi esprimere ·convinzione che il vasto mercato di prodotti industriali brevettati e di licenze di fabbricazione costituito dalla Manciuria e Nord Cina resterà probabilmente riservato, anche dopo completati i primi impianti, a quelle Potenze che si saranno assicurata la collaborazione in questa prima fase del programma di industrializzazione della Manciuria. Comunicato Tokio 1•

619

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8015/205-206 R. Rio de Janeiro, 25 novembre 1937, ore 21,04 (per. ore 6.30 del 26).

Capi integralisti sono stati frequentemente in contatto per intrattenermi sulla loro situazione.

Siccome vi è tendenza di aspettare a braccia incrociate l'opera di Vargas per decidere sulla collaborazione o meno, ho sostenuto che movimento giovanile rinnovatore deve vivere di esaltazione e che stasi significherebbe la condanna del movimento; che esaltazione può venire o da lotta o da vittoria.

Non essendo concepibile lotta né contro nuovo ordine che è ideale integralismo, né contro Vargas nella cui forza risiede il rinnovamento del Brasile, unica soluzione che rimane (e che del resto corrisponde al vero) è quella di dichiarare trionfo propria dottrina inserita nel nuovo Stato forte, e portare a Vargas il contributo del grande movimento dei giovani e che, solamente in questo modo, il movimento può assicurare la sua marcia, anche non penetrando subito nel governo.

Sotto questo punto di vista è stato deplorevole che nella giornata del 10 novembre, mentre la Cavalleria occupava la Camera e seduta non si interrompeva, non si sia visto legioni Camicie Verdi precipitarsi strade capitale esaltando vittoria loro movimento. Silenzio ed assenza assoluta hanno fatto credere che gli integralisti non partecipassero alla creazione del nuovo regime.

Per fortuna rimane costituzione, ineq~ivocabile nel suo spirito integralista.

Ma dato rimostranze americane avvenute, non è facile che Vargas innalzi a freddo emblemi integralisti che non furono innalzati a caldo nel momento colpo Stato.

Questi emblemi (tra cui quello delle Camicie Verdi e del saluto romano) hanno grande valore anche per noi fascisti e credo che dobbiamo accompagnare con ogni appoggio movimento per loro conservazione a condizione che ciò non ponga né integralismo né tanto meno fascismo nella posizione di oppositori di un governo amico e di un regime che ha preso tanto spirito dalla nostra concezione politica.

Mentre posso dire che la mia opera riesce persuasiva non trovo facile intravvedere se integralismo potrà sussistere come partito politico ovvero come puro movimento ideale con semplici organismi culturali educativi assistenziali.

È evidente che non bastano forze armate per sostenere governo cui è necessario ossatura di un grande partito politico nazionale.

Vecchie consorterie democratiche, comprendendo che integralismo verrebbe automaticamente a godere questo privilegio, cercano riunire un grande partito nazionale getulista per svuotare integralismo della sua nociva politica. Questa mossa può avere vantaggio di affermare possibilità di vita dei partiti politici e permetterebbe quindi all'integralismo di continuare attività di partito ma per contro gli aprirebbe una era di contrasti e forse lo butterebbe alla opposizione. Perciò integralisti cercano impedire mossa.

Altra tendenza che va manifestandosi è quella della creazione di una milizia da contrapporre all'esercito di cui Vargas non vuole rimanere prigioniero. Anche qui per non cadere nella milizia integralista si pensa, se sarà necessario, alla costituzione di legioni Kaki contro cui si è opposto esercito dicendo che se può consentire milizia proveniente dal basso come espressione di un movimento nazionalista come quello integralista non può concepire milizia costituita dall'alto con conferimento di autorità perché ne verrebbe emulato corpo poliziesco.

Intanto, integralismo non combattuto ma neppure abbracciato apertamente da governo federalista abilmente porta suo peso da oggi nei governi dei singoli Stati alcuni dei quali come Bahia e Pernambuco sono completamente nelle sue mani, mentre in altre esso lavora liberamente con evidente tolleranza di Vargas.

Questi in sostanza tiene a bada tutti compreso Roosevelt giacché, mentre cede alla pressione americana che gli vieta ammissione integralista nel governo centrale, si guarda bene dallo scardinare nei singoli Stati un movimento nazionalista che in definitiva costituisce una forza ideale 1•

618 l Da Tokio, l'ambasciatore Auriti rispondeva (con T. 8182/582 R. del 4 dicembre) di concordare pienamente sulla necessità che gli interessi italiani prendessero tempestivamente piede in Manciuria e specialmente nella Cina Settentrionale e che, in attesa di incontrarsi anche lui con Aikawa, aveva proposto a Roma di assicurare un finanziamento «sotto apparenti firme private».

620

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE Berlino. 25 novembre 1937 (per. il 26). PER CORRIERE 8024/0128 R.

Come ho comunicato all'E. V. con il mio telegramma n. 432 1 ho visto ieri sera all'ambasciata del Giappone il Cancelliere Hitler, il quale, con riferimento alle co

municazioni già fattemi da von Neurath2 , ha voluto parlarmi di quanto aveva formato oggetto della mia lettera personale a lui diretta, l'altro ieri 3 , nei riguardi del nostro progettato ritiro dalla S.d.N.

Il Cancelliere si è espresso su questo punto esattamente così:

«La lettera con la quale ella mi ha richiesto il mio pensiero circa un'eventuale decisione del Duce di annunciare il ritiro dell'Italia da Ginevra ha attirato tutta la mia attenzione. Devo dirvi che una tale decisione sarebbe da me vista con viva soddisfazione perché renderebbe netto e definitivo l'atteggiamento tedesco nei confronti della S.d.N. Oramai è troppo evidente che i nostri «motori», per parlare in termini automobilistici, non sono fatti per correre nei circuiti ginevrini. Vi dichiaro che, per mio conto, dopo 24 ore dall'annuncio della vostra decisione io proclamerei, a mia volta, quella definitiva della Germania di non voler nulla avere a che fare, in avvenire, con la S.d.N.».

Ho chiesto allora al Cancelliere cosa pensasse della data del 25 per l'annuncio stesso, ponendogli in rilievo come evidentemente a Roma si fosse pensato ad una tale data nel quadro anche di un secondo annuncio, quello del riconoscimento del Manciukuò da parte dell'Italia. A tale proposito, non ho mancato di far ancora rilevare come avevo già fatto con Neurath, che un riconoscimento contemporaneo da parte anche della Germania sarebbe stato una nuova, efficace prova dell'assoluta identità di vedute e della completa concordia di azione da parte di Roma e di Berlino in materia di politica generale.

In risposta, il Fuhrer si è espresso così:

«Qualsiasi data prescelta per l'uscita da Ginevra è naturalmente per me buona.

Quanto al problema del riconoscimento del Manciukuò non sono ancora in condizione di darvi una risposta definitiva. Vi penserò ancora durante la notte e domani mattina, prima di mezzogiorno, dopo aver visto nuovamente il barone von Neurath, conto di precisarvi esattamente il mio pensiero».

E poi, quasi a conseguenza di una improvvisa decisione, ha aggiunto: «0 forse anche questa sera stessa prima di mezzanotte».

Seguì, a mia iniziativa, un'altra breve conversazione sui rapporti economici fra l'Italia e la Germania (della quale riferisco con telegramma a parte)4 . Dopo di che il Fuhrer si è con passo svelto allontanato, senz'altro dirigendosi difilato verso il Maresciallo von Blomberg. Condottalo in un'altra sala è rimasto con lui, in animata conversazione, senza alcun altro testimone, per circa venti minuti. Ho fondata ragione di ritenere ch'egli abbia discusso con lui proprio della questione Manciukuò.

Come l'E.V. conosce dal mio telegramma, effettivamente, poi, verso l'una del mattino, il ministro von Neurath, che deve aver visto il Cancelliere o deve comunque essere stato in contatto telefonico con lui per un periodo necessariamente molto breve, e cioè tra le 12,30 (ora in cui ha avuto fine il gran ricevimento Daranyi) e le 12,45, mi faceva conoscere telefonicamente per incarico del Cancelliere, la deci

620 3 Vedi D. 604. 620 4 L'ambasciatore Attolico riferiva con T. per corriere 14586/0127 del 25 novembre che aveva approfit tato dell'occasione per rivolgere a Hitler «un appello di carattere personale>> perché le imminenti conversa zioni di carattere commerciale tra Italia e Germania fossero condotte tenendo presente la solidarietà politica che esisteva tra i due Paesi. Hitler aveva promesso di parlare immediatamente in quel senso a Gi:iring.

sione finale del governo tedesco che si riassume così: «Per ora, la Germania non può ancora riconoscere il Manciukuò; essa però nulla vede in contrario perché l'Italia, se lo voglia, proceda al riconoscimento stesso per conto proprio».

619 l Sul documento vi è la seguente annotazione: «S.E. il Ministro, il 26 novembre ha impartito istruzioni al ministro Grazzi di non rispondere per ora in attesa dello svolgersi degli avvenimenti». 620 l Sic. Si legga 422 (qui pubblicato al n. 617).

620 2 Vedi D. 614.

621

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8045/063 R. Varsavia, 25 novembre 1937 (per. il 29 ).

Mio telegramma per corriere 061 del 19 corrente 1•

Viene confermato ufficialmente che il signor Delbos giungerà il 3 dicembre prossimo a Varsavia. Qui si fermerà tre giorni partendo il 6 per Cracovia dove deporrà una corona sulla tomba del maresciallo Pilsudski. Da Cracovia si recherà direttamente a Bucarest. Il signor Beck parlandomi della visita di Delbos mi diceva avantieri che non è da prevedere che essa dia origine ad alcun atto politico concreto; tuttavia, egli ha aggiunto, l'incontro con Delbos offrirà l'opportunità di esaminare le principali questioni europee «da Varsavia», mentre il ministro degli Affari Esteri francese era troppo abituato ad esaminarle «da Parigi» o «da Ginevra» sotto l'influenza di elementi torbidi. Il fatto poi che Delbos da Varsavia si recherà a Bucarest e non a Praga, come era stato detto, e non visiterà Mosca, come era stato desiderato dai sovietici, è, secondo quanto mi ha detto questo ministro degli Affari Esteri, abbastanza significativo.

Comunque, per quanto mi fosse sembrato che il signor Beck si sforzasse di svalutare la visita di Delbos, è certo che i principali problemi che interessano i due Paesi saranno affrontati ed esaminati a fondo. È probabile così che il ministro francese non si lascerà sfuggire l'occasione per cercare di creare una migliore atmosfera tra Varsavia e Praga. Certo il momento per un tale sforzo appare piuttosto propizio. Le recenti concessioni fatte in Cecoslovacchia alle minoranze polacche sono sostanziali. Ricorderò i provvedimenti che autorizzano la trasformazione in scuole pubbliche di alcune scuole private polacche, il ritorno dei ferrovieri polacchi in Slesia da dove erano stati allontanati nel momento di maggiore pressione, ed infine le ultime decisioni della Presidenza del Consiglio cecoslovacco in virtù delle quali i polacchi saranno ammessi ai posti di pubblici funzionari nelle stesse proporzioni stabilite per le minoranze tedesche. Malgrado però tale situazione di fatto il compito del signor Delbos appare estremamente arduo.

Un altro punto sul quale Delbos cercherà di trincerarsi, sarà quello dei rapporti tra la Polonia ed i sovieti. Su tale argomento però egli troverà una resistenza ancora maggiore. Sebbene si sia ben !ungi dal potere pensare all'adesione della Polonia al patto anticomunista, l'atmosfera verso Mosca è qui sempre di prudente diffidenza e non è suscettibile di miglioramento.

621 I T. per corriere 7939/061 R. del 19 novembre. L'ambasciatore Arone aveva riferito che, in evidente contrasto con la tendenza dei francesi a valorizzare l'imminente visita di Delbos a Varsavia, la stampa polacca manteneva in proposito un atteggiamento di marcato riserbo.

Anche i rapporti con l'Austria saranno certamente esaminati. Un maggiore interessamento della Polonia, che del resto è già su questa via, ai problemi danubiani non può che riuscire grato a Parigi.

Non è infine da escludere che Delbos cerchi di indurre la Polonia ad una maggiore disciplina ai dettami della S.d.N. Ogni sforzo però in questo senso mi sembra destinato ad un insuccesso.

Beck da parte sua non mancherà di interessare Delbos ai problemi che qui maggiormente preoccupano e cioè Patto occidentale e sicurezza orientale. Non mancherò di tenere informata V.E. su quanto potrà ulteriormente risultarmi2.

622

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON NEURATH

LETTERA PERSONALE. Roma, 25 novembre 1937.

Colla sua lettera del 22 corr. 1 Ella ha voluto informarmi circa le conversazioni che hanno avuto luogo durante la visita di Lord Halifax. Ho apprezzato la cortese premura e tengo a ringraziarLa della Sua comunicazione.

Anche l'Ambasciatore von Hassell mi ha fornito delle notizie al riguardo2, e di ciò pure La ringrazio.

Avremo certamente in avvenire a trattare delle singole quistioni indicate nella Sua lettera; ma mi ha intanto interessato di conoscere il punto di vista britannico quale è stato espresso da Lord Halifax sui vari problemi toccati nei suoi colloqui.

Desidero coll'occasione di assicurarLa che l'opinione pubblica in Italia ha seguito la visita con naturale interesse ma senza apprensioni di sorta, secondo certa stampa estera ha invece cercato di far apparire.

623

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8022/557 R. Tokio, 26 novembre 1937, ore 20,05 (per. ore 13,15 ).

A chiusura conferenza Bruxelles, vice ministro ha voluto esprimermi la più profonda gratitudine governo giapponese, per l'opera della nostra delegazione'.

622 1 Vedi D. 607. allegato. 622 2 Di questo colloquio -avvenuto il 24 novembre-non si è trovato documentazione. Si veda il resoconto inviato dall'ambasciatore von Hassell in DDT, serie D; vol. I, D. 39. 623 1 La gratitudine del governo giapponese per l'atteggiamento tenuto dall'Italia era stata già espressa a più riprese da Hirota durante lo svolgimento dei lavori della Conferenza di Bruxelles (T. 14106/525

P.R. del 15 novembre e T. 7926/546 R. del 25 novembre).

621 2 Sul viaggio di Delbos in ·Polonia del 3-7 dicembre, si vedano i DD. 676. 695 c 712.

624

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Varsavia, 26 novembre 1937 1•

Nel colloquio che ho avuto con Beck il 23 corrente2 -e di cui Ella troverà traccia nella corrispondenza spedita a codesto Ministero col corriere odierno -gli ho ripetuto quanto Vostra Eccellenza mi aveva autorizzato di dirgli in Suo nome. Beck si è mostrato molto sensibile a quanto io andavo esponendogli e mi ha assicurato ancora una volta dei suoi sentimenti di sincera amicizia e di simpatia per il nostro Paese. L'atmosfera mi è sembrata allora propizia per accennargli alla convenienza di una sua visita a Roma che potevo assicurarlo sarebbe riuscita oltremodo gradita, e che gli avrebbe dato modo di prendere diretto contatto con Vostra Eccellenza. AI contempo egli avrebbe avuto la possibilità di constatare personalmente quanto felice fosse la situazione della Polonia nel nostro Paese.

Beck mi è sembrato molto compiaciuto delle mie affermazioni. Mi ha risposto che egli da un pezzo pensava all'utilità di uno scambio di vedute con l'Eccellenza Vostra. Era dolente che ciò non fosse stato possibile fare sino ad oggi, dato anche il faticoso lavoro a cui aveva dovuto sobbarcarsi in questi ultimi tempi. Egli aveva anzi incaricato Wysocki di rendersi interprete presso Vostra Eccellenza di questo suo rammarico. Quanto alla data si sarebbe potuto esaminarla più tardi. Siamo rimasti d'accordo che avremmo riparlato della cosa.

Come Vostra Eccellenza vede i primi passi oramai sono fatti. Non ho voluto in questa preliminare presa di contatto insistere per non dare l'impressione di una soverchia fretta da parte nostra. Ritornerò sull'argomento, al momento opportuno, quando gli echi della visita di Delbos saranno dileguati. Sarebbe intanto per me già utile di poter dire all'occorrenza a Beck che egli sarebbe ospite del Governo Fascista. Il suo amor proprio ne sarebbe certamente lusingato.

625

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8047/497 R. Shanghai, 27 novembre, ore 13 (per. ore 23,45).

Telegramma di V.E. n. 292 1 .

624 2 Non è stata trovata altra documentazione su questo colloquio e sul messaggio di Ciano per Beck a cui si fa qui riferimento. 625 l Nota dell'Ufficio Cifra: «Riferimento errato. Presumesi 289». Con il T. 1920/289 R. del 20 no vembre, Ciano aveva fatto presente l'opportunità di dare subito la sensazione che la futura organizza zione di Shanghai presentava «un altissimo interesse» per l'Italia, pur senza entrare in discussioni di dettaglio, così da conservare la maggiore libertà d'azione.

Non mancherò di seguire questione secondo le istruzioni di V.E.

Frattanto devo segnalare attitudine sempre più esigente ed anche minacciosa dei militari giapponesi nei riguardi del settlement e della concessione. Essi intendono non solo sostituirsi ai cinesi nelle varie amministrazioni (ciò che è comprensibile) ma prendere altri provvedimenti come la chiusura delle banche cinesi, ciò che avrebbe gravissime ripercussioni in particolare per l'assistenza ai rifugiati e per la distribuzione dei viveri alla popolazione.

Così è stata chiesta per il primo dicembre facoltà rioccupare località nel settlement a sud Creek presidiate dai giapponesi prima delle ostilità e transito anche per la concessione dei rifornimenti destinate città cinesi. Fra le prime, vi sono alcuni cotonifici giapponesi nella zona presidiata dai granatieri e dove non è accaduto alcun incidente che possa giustificare richiesta giapponese.

Comandi e consoli hanno risposto facendo presente ragioni che consigliano non accettare richiesta giapponese se non viene concessa reciprocità per la zona settlement occupato truppe giapponesi. Francesi sarebbero disposti autorizzare transito camion rifornimenti a condizione che siano scortati nella Concessione dalle sole truppe francesi.

Sarei grato V.E. farmi avere sue istruzioni circa richiesta giapponese e eventuali future esigenze prevedibili nel senso salvaguardia settlement. Vi è a mio avviso un prestigio dei bianchi da salvaguardare e comunque governo giapponese dovrebbe darci fin da ora assicurazioni sul futuro stato di Shanghai.

Giapponesi avranno, come ho riferito, loro grande concessione ma forse desiderano mantenere settlement dove potranno dominare. Militari tengono ormai a tale riguardo formale linguaggio ben diverso da quello dei diplomatici e con la sistematica distruzione in corso della grande Shanghai sembrano volerne compromettere avvenire per tutti gli stranieri 2 .

Comunicato Roma e Tokio.

624 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

626

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1944 R. Roma, 27 novembre 1937, ore 22,30.

Telegramma di V.E. n. 422 1 .

In relazione alla risposta dataLe dal Fuhrer, procederemo al riconoscimento del Manciukuò entro prossimi giorni, elevando a legazione il R. consolato a Mukden.

È stato pure deciso di uscire dalla Società Nazioni ad una data da stabilire tra il dieci e il venti dicembre. Ciò perché, essendo imminente visita di Stojadinovié,

non vogliamo metterlo in situazione che potrebbe risultare per lui imbarazzante se fossimo appena usciti da Ginevra. Di quanto precede ella dia comunicazione a von Neurath naturalmente per ora a titolo strettamente confidenziale.

625 2 Si veda, per la risposta di Ciano, il D. 634. 626 1 Vedi D. 617.

627

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BELGRADO, INDELLI

T. 1945/238 R. Roma, 27 novembre 1937, ore 24.

A proposito ricorrenza indipendenza albanese e partecipazione italiana festeggiamenti nonché aiuti economici italiani, V.S., alla prima occasione, confermi a mio nome a Stojadinovié che ci atteniamo in modo preciso alla lettera e allo spirito delle note scambiate nel marzo scorso per l'Albania. Niente è fatto o sarà fatto che non sia in armonia coll'esistenza e collo sviluppo dei rapporti amichevoli tra l'Italia e la Jugoslavia. Del resto mi propongo confermare quanto precede a Stojadinovié in occasione nostri prossimi colloqui.

628

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8054/0382 R. Parigi, 27 novembre 1937 (per. il 29).

Léger ha chiesto stamane di vedermi. Mi ha accolto con cerimoniosa freddezza. Mi ha detto che è lo stesso Delbos che avrebbe voluto parlarmi, ma che non aveva potuto farlo essendo per tutta la mattinata impegnato in Consiglio dei ministri. Come sapevo, il ministro parte d'altra parte domani per Londra. Egli mi parlava dunque a nome e per incarico di Delbos. Intuivo probabilmente la ragione della mia chiamata e cioè la violentissima campagna contro la Francia in corso da due giorni su tutta la stampa italiana in generale e gli articoli di Virginio Gayda in particolare 1 . I n tale campagna e in tali articoli, la sostanza dei quali era stata immediatamente e simultaneamente ripresa da tutti i giornali italiani, il governo francese riteneva di poter discernere -e se tale osservazione

non era esatta, tanto meglio ~ un piano preordinato non solo, ma una parola d'ordine venuta dall'alto. La campagna era d'altra parte continuata ed era tuttora in corso, nonostante la categorica e precisa smentita pubblicata dal ministro della Marina. Smentita che impegna non solo la responsabilità del signor Campinchi, ma anche quella di tutto intero il governo della Repubblica. Sicché, lui Léger, si era opposto acché la stampa francese tornasse in qualsiasi forma e modo su quella smentita. Riteneva infatti che una smentita ufficiale, così categorica e formale e che impegnava l'intero governo, dovesse non essere ulteriormente posta in discussione. D'altra parte, anche se il governo italiano non ha a sua disposizione una censura preventiva, aveva tuttavia in mano mezzi repressivi efficaci. Constatava che non erano stati usati.

Dal complesso delle circostanze enumerate il governo francese era giunto alla conclusione di dover portare, per ragioni di chiarezza, una domanda al governo fascista, che egli Léger, aveva ricevuto incarico a nome di Delbos di comunicarmi, con preghiera, a mia volta, di farla giungere a Roma. La domanda è la seguente: «Il governo francese desidera conoscere se e fino a guai punto la violentissima campagna contro la Francia in corso su tutti i giornali italiani abbia o meno l'approvazione del governo fascista e ne interpreti o meno il pensiero, per paterne trarre quella norma politica che riterrà più opportuna. La frase precisa usata da Léger è la seguente; «si et dans quels limites le gouvernement franç:ais peut en faire état». Questo era l'incarico che egli aveva ricevuto da Delbos e questo mi faceva sapere, con preghiera che io ne informassi il mio governo.

A Léger, che ha parlato per dieci minuti senza interruzione e che usa delle frasi fiorite e le sue frasi fiorite ascolta con evidente compiacimento, ho risposto che, naturalmente, non avrei mancato di portare immediatamente a conoscenza del governo fascista il suo discorso e la domanda del suo governo. Mi permettevo tuttavia, a titolo personale, alcune precise osservazioni al riguardo e cioè:

l) La stampa italiana è molto più libera di quanto in Francia si ritenga, come il recentissimo episodio Scardaoni dimostra 1 .

2) Non si tratta affatto di una campagna giornalistica campata per aria e scoppiata all'improvviso, come un fungo, senza costrutto e ragione. Il Giornale d'Italia prima, gli altri giornali italiani dopo, non hanno in sostanza fatto altra cosa che reagire violentemente a un violentissimo discorso pronunziato da un ministro francese e nella evidente persuasione che tale discorso sia stato effettivamente tenuto. Léger mi dichiarava ora che la smentita francese è formale e categorica e che impegna la responsabilità di tutto il governo della Repubblica. Ma Léger doveva comunque ammettere che tutta l'atmosfera politica francese è tale da autorizzare a priori l'opinione che discorsi siffatti siano, nei nostri riguardi, perfettamente verosimili e perfettamente probabili. Era inutile fare dei nomi e citare degli esempi.

3) La simultaneità e la presunta similarità degli attacchi non dimostrano altro che questo: che tutta la stampa italiana insorge in blocco contro qualsiasi attacco. Che la stampa italiana restituisce in blocco pan per focaccia. È perfettamente inutile ed è inesatto presupporre piani preordinati e parole d'ordine venute dall'alto.

Che Léger prendesse nota che il fenomeno è facilissimamente spiegabile in semplici termini di sensibilità nazionale, cioè di sensibilità fascista.

4) Mi permettesse ancora di dirgli che in questi 26 giorni che ho l'onore di essere incaricato d'affari, ho perso i tre quarti del mio tempo a protestare per cause e fatti francesi: ignobili articoli contro l'esercito italiano, ove è detto fra l'altro in tutte lettere senza vergogna che i 3.600 caduti italiani in terra di Francia sono morti nelle retro vie; gravissime profanazioni al cimitero di guerra di Bligny; espulsioni di giornalisti; articoli del Populaire (che è, si o no, giornale del vicepresidente del Consiglio) contro presunti complotti fascisti «organizzati in Francia, da Mussolini e dai suoi agenti»; accuse dell'Humanité (che fa parte, si o no, del Fronte Popolare) all'ambasciata d'Italia a Parigi di essere alla testa dei movimenti terroristici, eccetera. Avrei, se credeva, potuto continuare la enumerazione.

5) Era, credevo, giunto il tempo di mutare l'impostazione del problema delle polemiche di stampa nei soliti termini di licenza assoluta in favore dei giornali francesi in nome della libertà, e di assoluta moderazione a danno dei giornali italiani in nome di una presunta, inesistente, comodissima tirannia.

Impostata così la questione è insolubile. Constatavo che anche questa volta si insisteva, da parte francese, su questi binari.

La sola soluzione possibile ritenevo fosse questa: che il governo francese voglia finalmente usare di tutta la sua influenza per moderare i suoi oratori e i suoi giornali. In seguito a ciò, il governo fascista poteva, se lo avesse ritenuto opportuno, usare della sua influenza per fare altrettanto.

Léger ha colto questo ultimo accenno per dirmi che ciò sarebbe stato indubbiamente ottima cosa. Ha quindi vivamente deplorato, ma soltanto a titolo sussidiario, le affermazioni sulla Corsica apertamente fatte in questa occasione dai nostri giornali e le accuse lanciate, credo anche dal Giornale d'Italia, a proposito di forniture belliche ai Rossi spagnoli autorizzate recentemente dal ministro francese della Guerra, notizie che ha qualificato come completamente fantastiche. Il motivo principale della mia chiamata ~ha concluso ~restava comunque la violentissima e unanime campagna della nostra stampa e la domanda che il governo francese desiderava rivolgere al governo fascista, domanda che mi aveva già formulato e che mi pregava di portare a conoscenza dell'E.V .. Lo ho ancora assicurato che non avrei mancato di farlo.

Léger ha parlato con tono piuttosto preoccupato che fermo, sebbene volesse evidentemente dare alle sue parole soprattutto impressione di fermezza. Mentre uscivo, ha voluto risfoderare l'aria cerimoniosa: mi ha detto che si rammaricava che i nostri primi contatti avessero luogo per ragioni incresciose, che sperava eccetera, eccetera.

È stato pubblicato da parte francese un breve comunicato ove è semplicemente detto che, in assenza del signor Delbos, impegnato in Consiglio dei ministri, l'incaricato d'affari d'Italia è stato ricevuto dal Segretario Generale del Quai d'Orsay. Tutti i giornali riassumono largamente gli articoli della nostra stampa 3 .

628 1 Il 26 novembre, Virginio Gayda aveva pubblicato su Il Giornale d'Italia un articolo dal titolo Le scelleratefàntasie di Campinchi in cui veniva duramente attaccato il ministro della Marina francese che, secondo quanto affermava Gayda, aveva detto in un pubblico discorso a Tolone che la Corsica andava difesa a qualsiasi costo contro le mire dell'Italia, con la quale. del resto, una guerra appariva inevitabile. La circostanza era stata subito smentita ma Gayda aveva confermato il fatto in un altro articolo su Il Giornale d'Italia dei 27 novembre dal titolo Invano Campinchi il guerriero cerca di smentire.

628 2 Vedi D. 608, nota l.

628 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

629

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 5913/1971. Berlino, 27 novembre 1937 (per. il 30 ).

Il direttore generale degli Affari Politici, signor von Weizsacker, con cui ho oggi conferito sulla situazione in Cina, ritiene che questa, dal punto di vista di una possibile presa di contatto fra le due parti, sia peggiorata anziché migliorata. Lo stesso fallimento della conferenza di Bruxelles e quindi il venir meno dell'illusionismo societario non ha granché migliorato la situazione. Tanto Chiang Kai-shek da una parte, quanto Hirota o chi per lui dall'altra, sono ormai ingaggiati in una partita la cui posta è la testa di uno dei due.

Qui si ha però l'impressione -e questa impressione mi consta personalmente condivisa dal Fiihrer --che ormai Chiang Kai-shek abbia pochissime probabilità di riguadagnare il perduto. Il Generalissimo aveva bisogno, per mantenersi al potere, di successi così all'estero come all'interno: entrambi gli sono mancati. Egli finirà quindi col soccombere agli altri generali cinesi che aspettano il momento buono per saltargli addosso.

Intervenire in questa situazione sembra difficilissimo. Forse un'occasione potrà presentarsi soltanto dopo la presa di Nanchino e ciò tanto più in quanto sembra che dopo di questo -così mi diceva il Maresciallo von Blomberg l'altro giorno -gli stessi giapponesi, hanno tutto interesse a fermarsi per non complicare ulteriormente una situazione che anche militarmente si presenta piena di incognite. Sembra anzi in proposito che, mentre l'elemento militare giapponese giovane sia per una guerra ad oltranza, l'elemento vecchio incominci ad essere già preoccupato e non intenda andare troppo oltre.

630

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 4517/2040. Mosca, 27 novembre 1937 (per. il 3 dicembre).

La visita di lord Halifax ad Hitler e le conversazioni da lui avute con gli uomini di governo nazisti hanno fatto rompen~ il silenzio quasi assoluto che la stampa sovietica manteneva oramai da oltre due settimane sulla situazione internazionale. In questi ultimi tempi infatti gli avvenimenti di politica estera non avevano fatto oggetto di alcun commento editoriale ed erano stati trattati esclusivamente nelle corrispondenze dall'estero.

Stamani, tanto la Pravda quanto le Isvestia dedicano due lunghi articoli alle conversazioni anglo-germaniche e ne discutono con una tale identità di vedute e di argomentazioni da non lasciar dubbio sulla ispirazione ufficiale.

Entrambi gli articoli rivelano chiaramente quelle che molto verosimilmente sono state le prime reazioni dei circoli dirigenti di Mosca e che si possono compendiare nelle due parole: sospetto ed apprensione. È evidente che qui si sospetta l'Inghilterra di voler ad ogni costo venire a termini con la Germania attraverso compromessi che significheranno ulteriori concessioni agli «aggressori fascisti», anche se tali compromessi dovranno essere raggiunti col sacrificio degli interessi dei piccoli Paesi e con l'abbandono della politica di fedeltà alla S.d.N. ed al principio della sicurezza collettiva. Questo indirizzo della politica inglese viene spiegato --naturalmente senza giustificarlo -sia con motivi di politica interna, sia con la congenita ingenuità degli uomini di governo di Londra «i quali persistono ad accarezzare l'illusione di poter staccare un aggressore dall'altro, anche quando essi fanno di tutto per convincere l'Inghilterra del contrario». Sta di fatto però, concludono i due giornali, che le trattative di Halifax con Hitler «hanno avuto un carattere serio», e questa constatazione mostra palesemente l'apprensione di Mosca.

I giornali non vogliono ancora ammettere un successo della politica tedesca e contano, per impedirlo, sull'intervento di Chautemps e di Delbos a Londra. Non nascondono però il timore che sugli uomini di governo francese possano essere esercitate pressioni tali da indurii ad accettare il programma germanico. Nel qual caso -esclamano le Isvestia --Cecoslovacchia, Austria e Lituania saranno vittime della pressione che Berlino cerca di esercitare sulla Francia attraverso Londra.

A sua volta la Pravda conclude il suo articolo con queste parole:

«Le trattative di Hitler con H ali fax potranno condurre ad un accordo solo nel caso che l'Inghilterra sia disposta a fare serie concessioni alle pretese germaniche. Ciò significherebbe però un pieno tradimento da parte inglese dei principi della

S.d.N., degli interessi della sicurezza collettiva e della causa della pace universale. I circoli dirigenti dell'Inghilterra sono, evidentemente, pronti a tutto sacrificare, pur di intenerire l'aggressore fascista, dandogli libertà d'azione nell'Europa Centrale».

Come si vede, la Gran Bretagna non ha in questo momento nell'U.R.S.S. una buona stampa! 1

631

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURlTI, E AL CONSOLE GENERALE A MUKDEN, CORTESE

T. 1940/287 (Tokio) 30 (Mukden) R. Roma, 29 novembre 1937, ore 5,30.

(Per Tokio) Ho telegrafato al console generale a M ukden quanto segue:

(Per tutti) I) In data odierna governo fascista ha proceduto al riconoscimento formale del Manciukuò e alla istituzione di una legazione in codesto Stato. Prego darne comunicazione a nome del governo fascista a codesto governo.

2) È mia intenzione di accreditare la S.V. in qualità di ministro plenipotenziario. Pregola chiedere codesto governo suo gradimento e telegrafarmi.

3) Circa sede R. legazione, pregola presentire codesto governo e telegrafarmi Sue osservazioni. (Per Tokio) Quanto precede per sua informazione e perché V.E. ne possa informare codesto governo.

Avverto che telegrafo direttamente a codesto ministro Esteri notizia riconoscimento Manciukuò e istituzione legazione e per informarlo che R. console a Mukden è stato incaricato notifica ufficiale governo Manciukuò.

630 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

632

L'AMBASCIATORE A TOIGO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8073/559 R. Tokio, 29 novembre 1937, ore 10 (per. ore 18,35).

Hirota mi ha informato circa comunicazione fatta da V.E. a codesto ambasciatore del Giappone relativa riconoscimento della Manciuria 1 ed ha espresso viva gratitudine governo giapponese.

V.E. vorrà considerare opportunità valersi questo momento particolarmente propizio per la prova positiva e formale della nostra amicizia qui data e per l'unanime consenso popolare derivatone, al fine di chiedere qualche concreto affidamento in relazione nostra eventuale partecipazione economica in Manciuria e Nord Cina.

Telegraferò prossimamente in modo particolareggiato. Segnalo però fin da ora che Cortese ha chiesto mio appoggio per rimuovere difficoltà incontrate da lui e dal rappresentante Fiat, al fine di ottenere forniture autocarri da governo mancese e che questione non ha potuto essere trattata qui essendomisi fatto comprendere dipendere dall'armata giapponese del Kuantung che agisce con la nota autonomia.

633

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURTTT

T. SEGRETO NON DIRAMARE 18809/279 P.R. Roma, 29 novembre 1937, ore 22.

Sarà opportuno che V.E., prendendo lo spunto dal riconoscimento del Manciukuò, organizzi qualche manifestazione in favore dell'amicizia tra il Giappone e l'Italia, su di un piano politicamente più vasto dii quanto non sia l'accordo anticomunista. Utile soprattutto qualche manifestazione da parte degli ambienti militari e navali.

632 1 Del relativo colloquio non è stata trovata documentazione ma si veda in proposito il D. 631.

634

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE IN CINA, CORA

T. 1952/300 R. l Roma, 29 novembre 1937, ore 22.

Suo n. 4972 .

Si astenga da qualsiasi azione che possa riuscire sgradita ai giapponesi. Chi soffre nella situazione attuale della concessione internazionale non è certo l'Italia. Degli altri possiamo tranquillamente disinteressarci 3 .

635

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8126/082 R. Praga, 29 novembre 1937 (per. il 2 dicembre).

Da quando fu annunziata la visita di Halifax in Germania non mancarono qui apprensioni circa la possibilità che la Cecoslovacchia formasse oggetto di discussione fra Londra e Berlino. Il riserbo mantenuto finora intorno alle conversazioni anglo-tedesche e la ridda delle relative congetture pullulate ad opera dei diversi Evening Standard e Manchester Guardian han finito per far temere a questa gente il «senso pratico» inglese che potrebbe fare della Cecoslovacchia una moneta di scambio a tacitazione delle aspirazioni germaniche.

Tuttavia da diverse fonti sono giunte assicurazioni tranquillizzanti in proposito e Krofta, dopo il ritorno di Halifax a Londra, mi diceva di nulla sapere ancora di preciso ma che comunque la Cecoslovacchia non correva pericoli. Mi aggiungeva solo che a quanto gli constava l'Inghilterra era ben poco lieta dei risultati della missione Halifax e delle richieste di Hitler.

La sensazione più diffusa che si ha qui è questa: Hitler perseguendo le rivendicazioni contro Versaglia mantiene ferme le sue richieste coloniali che non baratterà con nessuna libertà di azione altrove. La realizzazione delle aspirazioni pangermaniche è rimessa a dopo, anche se nulla si tralascia per mantenerle vive. Dunque, per ora niente Austria e niente Cecoslovacchia, però si lavora sistemati

634 2 Vedi D. 625. 634 3 Questo telegramma fu trasmesso all'ambasciata a Tokio con riferimento alla comunicazione del l'ambasciatore Auriti di cui al D. 632 e con la seguente aggiunta: «V.E .. nel porre in adeguato rilievo nostro atteggiamento, vorrà adoperarsi nel modo migliore allo scopo di ottenere qualche concreto affi damento circa nostra futura partecipazione alla valorizzazione economica della Manciuria e della Cina settentrionale e circa futuro assetto di Shanghai nella quale dovranno essere tenuti in conto nostri interessi e nostro prestigio» (T. 1958/282 R. del l o dicembre).

camente perché l'Austria si decida ad assumere quel tale carattere di Stato tedesco quale è previsto dall'Accordo dell' 11 luglio '36 e come è inteso a Berlino e perché i tedeschi dei Sudeti prendano una fisionomia autonoma che possa gradualmente portarli, al momento opportuno, in seno al «grande popolo tedesco». Ciò si ritiene voglia la Germania in questo momento, sia che Neurath rimproveri a Schuschnigg di non aver mantenuto e non mantenere le promesse dell'Il luglio, sia che Hitler chieda all'Inghilterra ~-a quanto si dice -<<Una sistemazione dei tedeschi dei Sudeti».

In una delle ultime campagne della stampa tedesca contro la Cecoslovacchia sono stati presi come punto di partenza i documenti diplomatici della Conferenza della pace del 1918-19. In base a tali documenti detta stampa ha sostenuto che i fondatori della Repubblica cecoslovacca avevano ingannato le diverse delegazioni circa la reale situazione del loro Paese ed avevano preso nel 1919 impegni che non hanno mantenuto.

Si rammenta a tale proposito una nota redatta da Benes il 20 maggio 1919 nella quale fra l'altro era detto esplicitamente che la Cecoslovacchia sarebbe stata organizzata secondo un regime «estremamente liberale» e molto simile a quello federale svizzero. Siffatto programma era stato messo avanti a Parigi quale argomento tranquillizzante per i tedeschi, così come era stato adombrato agli slovacchi per portarli al Patto di Pittsburgh 1 .

La Germania chiede precisamente l'effettuazione di quello che Benes aveva promesso e cioè una specie di autonomia cantonale per i tedeschi dei Sudeti; ché, né le promesse di Parigi, né quelle di Pittsburgh sono state mantenute e Benes, invece di una Cecoslovacchia pacifica e neutrale come la Svizzera, ha preteso creare uno Stato dalla grande politica per le sue più grandi ambizioni donde son sorti Henlein da una parte e Hlinka dall'altra per dar mano dall'interno agli aspiranti successori della Cecoslovacchia.

Oggi si cerca di calmare Budapest ed anche Berlino, si fanno tentativi con Varsavia e si emettono promesse per le minoranze ma il groviglio cecoslovacco si arruffa sempre di più e poiché è troppo tardi per tornare indietro si insiste nelle posizioni assunte come ad esempio in un comunicato ufficioso di ieri dato all'Ha vas e nel quale si dice:

Malgrado tutte le ipotesi avanzate circa la Cecoslovacchia, in occasione del viaggio di Halifax a Berlino, Praga sostiene che è impossibile discutere questioni interessanti un terzo Stato senza che questo partecipi alle discussioni, anche se è un piccolo Paese.

-L'ipotesi messa avanti di una federalizzazione della Cecoslovacchia sul tipo della Svizzera viene categoricamente rigettata a Praga.

--La questione delle minoranze in Cecoslovacchia è una questione di carattere interno. Non è esclusa la possibilità di un certo decentramento ma beninteso senza pregiudizio degli interessi dello Stato e dell'integrità del potere esecutivo.

635 I Riferimento all'Accordo concluso il 30 maggio 1918 tra le organizzazioni dei cechi e degli slovacchi all'estero per la creazione di uno Stato unico con larga autonomia per gli slovacchi.

-Gli ambienti cecoslovacchi espnmono la certezza che nelle discussioni tra gli uomini di Stato francese e inglesi non si terrà conto che delle realtà e non delle ipotesi formulate dalla stampa.

E si attende Delbos per risollevare gli spiriti e gli eventi.

634 l Minuta autografa.

636

L'AMBASCIATORE A RIO DE JANEIRO, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8103/209 R. Rio de Janeiro, 30 novembre 1937, ore 10,20 (per. ore 18,20).

Alcune manifestazioni di questi ultimi tre giorni hanno fatto oscillare ampiamente la sorte degli integralisti ma per mancanza di tempestività o di energia situazione invece che migliorare è divenuta molto più grave.

Giorno 25 corrente, Plinio Salgado ha riunito giovani integralisti e dopo aver assistito allo sfilamento li ha diretti verso il Palazzo del Presidente ove hanno sfilato dinanzi a Vargas. Plinio che avrebbe potuto presentare di persona sue schiere al Presidente ed assistere allo sfilamento a fianco di lui, si è limitato a rimanere 200 metri distante senza ricevere gli stessi onori che poco più avanti ricevevano le stesse sue schiere.

Ieri, in occasione della festa della bandiera, nel corso della quale furono bruciate le bandiere dai singoli Stati Stati in omaggio a unico ideale nazionale sempre propugnato da integralisti, vedemmo sfilamento di tutte le sèuole, nonché sindacati testé riconosciuti da nuova Costituzione ed esercito, ma integralisti non si fecero vivi, mancando un'occasione per mostrare loro inquadramento tra le forze vive nazionali costituite da giovani, Forze Armate e lavoratori.

Dopo il successo personale grandissimo ottenuto in detta festa con larghissima adesione del popolo, sembra che Vargas abbia deciso eliminare qualsiasi partito con conseguente scioglimento integralisti, seguito dalla creazione dello Stato nazionale forte. Egli avrebbe annunciato ciò a Plinio Salgado per calmare una parte degli integralisti e per preparare lotta a fondo contro l'altra parte che già qualifica Vargas come agente larvato degli S.U.A. e dello stesso comunismo.

Invio per corriere memoriale consegnatomi da un luogotenente con accuse di questo genere che si vuole siano rese note a governo fascista e che naturalmente vanno accolte con molta cautela.

Sembra che Vargas abbia offerto a Plinio Salgado il ministero della Educazione Nazionale previo scioglimento integralisti, ciò che verrebbe interpretato come prezzo per compensare troppo dolorosa rinunzia.

Mentre è difficile che dinanzi alla forza morale e materiale di cui dispone il nuovo regime possa manifestarsi una pressione su Vargas da parte degli integralisti, dell'Esercito e della Marina, alcuni gruppi integralisti più risoluti dichiarano essere pronti alla lotta sia pure per salvare semplicemente l'onore ed annunziano gravi avvenimenti senza che sia possibile prevedere se e fino a quale punto essi siano pronti al sacrificio.

637

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, DE VERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8090/36 R. L'Aja, 30 novembre 1937, ore 14,42 (per. orel8,15).

Questo ministro degli Affari Esteri, con cui ho avuto occasione intrattenermi circa nota iniziativa olandese riconoscimento sovranità italiana Etiopia, mi ha detto essere in possesso risposta governo norvegese, governo svedese, governo danese che non hanno corrisposto alla sua iniziativa, come attendevasi. Detti governi hanno dichiarato non ritenere in linea di massima esservi per Stati neutri ragioni di rinviare riconoscimento sovranità italiana Etiopia ma consigliavano soprassedere giudicando soluzione prematura e preferivano tenerla nel quadro ginevrino. Governo finlandese invece ha risposto approvando iniziativa olandese ma di non essere disposto unirsi con l'Olanda per risolvere problema riconoscimento. Nessuna risposta era finora pervenuta da governo belga, per quanto Patijn ne avesse interessato, anche personalmente, Spaak.

A mia richiesta, questo ministro degli Affari Esteri mi ha inoltre assicurato che nessun passo ancora egli aveva fatto a Londra e Parigi in attesa di avere almeno uno Stato neutro disposto associarsi sua iniziativa. Ragioni per cui avrebbe atteso risposta belga e me ne avrebbe informato.

Nel frattempo, Patijn si riservava continuare suo lento lavoro di persuasione in questi circoli parlamentari di sinistra. A vendo gli chiesto se Paesi Bassi fossero stati disposti, nella peggiore ipotesi, ad agire anche da soli, questo ministro degli Esteri ha detto non sembrargli possibile un'azione isolata sia perché Olanda è piccola Potenza sia anche per le difficoltà che avrebbe facilmente incontrato da parte del suo governo.

638

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8136/0240, 8137/0242 Budapest, 30 novembre 1937 e 8138/0241 R. (per. il 2 dicembre).

Mi sono espresso con Kanya, rientrato iersera da Berlino 1 e che mi ha ricevuto stamane, secondo le istruzioni verbali dell'E.V. facendogli ben rilevare che i timori da lui a suo tempo espressimi 2 erano completamente infondati; gli ho confermato le direttive politiche italiane nei riguardi dell'Ungheria, fra l'altro facendo

638 I Dove si era recato in visita ufficiale il 21 novembre insieme al presidente del Consiglio, Daranyi. L'ambasciatore Attolico, nel riferire ampiamente in merito, concludeva: «La visita, e specie taluni aspetti esteriori di essa (permanenza di un 'intera settimana, abbondanza e calore di manifestazioni, ecc.), dimostrano che la Germania persegue nei rispetti dell'Ungheria -trovando piena rispondenza a Budapest -una politica in fondo parallela a quella perseguita, tuttavia ancora senza visibile successo, con

gli comprendere che la nostra amicizia con la Jugoslavia, che è nostra intenzione di confermare e sviluppare, non è menomamente in contraddizione ma anzi complementare con la politica italiana verso l'Ungheria e gli ho anche ripetuto che, pur essendo evidente il nostro interesse a raggiungere, soprattutto per ragioni economiche, un accordo con la Romania, l'Italia non farà mai nulla in questo senso se non previa intesa e con l'assenso dell'Ungheria. Gli ho aggiunto che V.E. aveva ben volentieri accettato di venire a Budapest per la riunione prevista dei Protocolli di Roma3 e che anzi mi aveva pregato di chiedergli fin d'ora se egli aveva qualche speciale argomento da proporre per la discussione.

Riservandosi una risposta su questo punto, ministro degli Affari Esteri mi ha vivamente ringraziato e mi ha mostrato tutta la sua viva soddisfazione per quanto, a nome dell'E. V., gli avevo esposto e per le analoghe dichiarazioni che l'E. V. aveva fatto recentemente a codesto ministro di Ungheria4 .

Kanya, che mi ha ripetutamente detto che sarebbe venuto volentieri a Roma per non disturbare la E.V. che sapeva tanto occupato, ha mostrato di gradire in modo particolare la scelta di Budapest come luogo di riunione dei tre ministri degli Affari Esteri e soprattutto la nuova visita dell'E.V.

Parlandomi della visita di Daranyi e sua a Berlino, Kanya mi ha detto che la visita stessa, motivata, come è noto, da ragioni di cortesia, come restituzione delle varie visite fatte a Budapest da von Neurath, aveva tuttavia dato luogo a importanti scambi di idee, che, come appariva dai comunicati ufficiali, erano stati pienamente soddisfacenti: ed era stata constatata la identità del punto di vista del governo tedesco e del governo ungherese sui principali punti dei problemi politici interessanti i due Paesi.

Benché non si tratti di materia di discussione internazionale, ma a titolo amichevole come si conviene fra due Nazioni amiche, era stato anche parlato della situazione delle minoranze di razza tedesca in Ungheria, ciò con soddisfazione da parte ungherese.

l tedeschi hanno mostrato di voler tenere il massimo riserbo sul contenuto delle conversazioni con Halifax5 : Kanya si è astenuto dal chiederne a von Neurath per naturale discrezione e von Neurath, senza metterlo al corrente, gli ha però detto che l'E.V. era stata informata dettagliatamente.

I vari colloqui si sono svolti, sia con Hitler, sia con i principali uomini del regime nazista, sia con von Neurath con la maggior cordialità. Nel corso della conversazione, Kanya ha tenuto a farmi rilevare le cortesie avute dal R. ambasciatore in Berlino a cui è sembrato essere stato particolarmente sensibile.

l'Austria. Se con questa e da questa la Germania intende riconoscere e far riconoscere la propria paren tela politica, con l'Ungheria intende coltivare e mantenere una specie di affinità. Ma con entrambe la Germania vuole stabilire, per quanto con gradazioni e metodi diversi, rapporti tali da poterle rendere elementi politici di sicuro riposo per ogni evenienza» (Telespr. 5930/1988 del 27 novembre). 638 2 Vedi D. 459. 638 3 Vedi D. 537, nota 3. 638 4 Di questo colloquio non è stata trovata documentazione. Il 20 novembre, era stata diramata a Roma la Nota n. 7 dell'Informazione Diplomatica che, nel dare notizia in termini particolarmente calo rosi dei nuovi accordi economici itala-ungheresi, così concludeva: «Questa è una nuova prova dei cor diali vincoli che uniscono l'Italia e l'Ungheria e della continuità della politica italiana verso un Paese al quale l'Italia è unita da inalterabile amicizia». 638 5 Si vedano in proposito DD. 602, 607 e 610.

Kanya mi ha detto che durante i colloqui di Berlino, anche gli uomini politici tedeschi gli avevano manifestato il loro interessamento ad un ravvicinamento fra Ungheria e Jugoslavia: Kanya ha loro ripetuto quanto è già noto all'E.V. circa lo stato delle relazioni coi vicini. Purtroppo, ha detto Kanya come già altre volte, è la Cecoslovacchia-contro cui vi è l'unanimità di tutti-che è la meglio disposta: con essa d'altra parte le questioni minoritarie sono meno preoccupanti. Le maggiori difficoltà concernono le minoranze in Romania nei riguardi della quale del resto occorrerà attendere ora il risultato delle imminenti elezioni.

Circa le conversazioni con il governo di Bucarest, Kanya mi ha detto che recentemente questo ministro di Romania, Bossy, gli aveva proposto che il governo romeno avrebbe per suo conto cercato di prendere delle misure effettive a favore delle minoranze ungheresi, se però Kanya avesse rinunciato a fare menzione della questione negli eventuali accordi sulle note basi. Ciò, secondo Kanya, non è accettabile soprattutto per riguardo alla opinione pubblica ungherese.

Il ministro degli Affari Esteri mi ha detto, comunque, che la questione dei rapporti coi vicini potrà fare oggetto di scambio di idee nelle conversazioni del prossimo gennaio.

Da parte di altri alti funzionari del ministero degli Affari Esteri reduci da Berlino, mi è stato anche detto che durante il recente viaggio di Daranyi e Kanya il governo tedesco avrebbe incoraggiato l'Ungheria a perseguire le trattative per un accordo non solo con la Jugoslavia ma anche con la Romania. Gli ungheresi avrebbero peraltro fatto osservare che in tale difficile compito «mancherebbe loro l'aiuto tedesco» poiché il governo del Reich, secondo il modo di vedere ungherese, anziché svolgere direttamente una politica di riavvicinamento con la Romania, come sta facendo, dovrebbe anzitutto far comprendere al governo di Bucarest che ciò potrebbe essere possibile solo in funzione di un previo fondamentale regolamento dei suoi rapporti con l'Ungheria.

639

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL DOTTOR DUBBIOSI, A SANAA

T. 1957/206 R. Roma, JU dicembre 1937, ore 2,30.

Suo telegramma 278 1•

Ringraziola per interessante informazione fornita circa nota di protesta presentata da cotesto governo a quello di Londra per la penetrazione inglese dell'Hadramaut.

Continui a seguire questione e a telegrafare ogni nuova emergenza al riguardo.

V.S. potrà confermare a cotesto governo che anche governo fascista ha reso noto al governo di Londra di non poter riconoscere il provvedimento britannico col quale i confini orientali del Protettorato di Aden sono stati estesi fino alla frontiera del Sultanato di Mascate, sottomettendo praticamente al dominio britannico tutta la costa araba meridionale e le regioni dell'interno.

639 1 T. 8039/278 R. del 26 novembre. Vi si comunicava che, secondo notizie di fonte attendibile, la Gran Bretagna stava effettuando una penetrazione neli'Hadramaut allo scopo di porre sotto controllo una zona dove sembrava ci fossero delle risorse petrolifere e che il governo yemenita aveva inviato una nota di protesta a Londra per questa azione che comportava una modifica della situazione esistente.

640

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. 1958/282 R. Roma, 1° dicembre 1937, ore 2.

Telegramma di V.E. n. 559 1• Con riferimento al telegramma da Shanghai

n. 4972 , ho telegrafato a C ora quanto segue 3 : «Si astenga da qualsiasi azione che possa riuscire sgradita ai giapponesi. Chi soffre nella situazione attuale della concessione internazionale non è certo l'Italia. Degli altri possiamo tranquillamente disinteressarci».

V.E. nel porre presso codesto governo in adeguato rilievo nostro atteggiamento vorrà adoperarsi nel modo migliore allo scopo di ottenere qualche concreto affidamento circa nostra futura part~cipazione alla valorizzazione economica della Manciuria e della Cina settentrionale e circa futuro assetto di Shanghai nella quale dovranno essere tenuti in conto nostri interessi e nostro prestigio.

641

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE SEGRETO 8140/0131 R. Berlino, lo dicembre 1937 (per. il 2).

Oggi il Fiihrer ha ricevuto in udienza di congedo l'ambasciatore del Giappone a Berlino il quale, come è noto, lascia la capitale del Reich per ritornare in patria.

Il visconte Mushakoji ha espresso la sua soddisfazione per avere potuto essere testimone, durante gli anni da lui passati a Berlino, della nuova rinascita della Germania e del riacquisto della sua antica potenza nel mondo. Ha assicurato il Fiihrer che la nuova Germania trova in Giappone una comprensione piena e larghissime simpatie.

Il Fiihrer ha a sua volta espresso al visconte Mushakoji tutta la sua ammirazione per il Giappone in proposito ricordando. come i suoi sentimenti per il Giap

pone risalgano ai tempi della guerra russo-giapponese, quando egli, ancora ragazzo, seguiva le vicende di quel conflitto quasi con ansia, conscio della parte che il Giappone avrebbe dovuto successivamente rappresentare nel mondo. Ha detto tutto questo in termini e tono che il collega mi descriveva come commoventi.

Dopo questo esordio il visconte Mushakoji ha detto che una sola nube oscurava il suo orizzonte di diplomatico in partenza ed era quella di non aver potuto ottenere, durante la sua permanenza qui, il riconoscimento del Manciukuò.

Il Fiihrer ha replicato dicendosi lieto di poter avere occasione di spiegare personalmente al rappresentate del Giappone quale era il sentimento suo sulla questione. Egli è in principio favorevole al riconoscimento, non solo, ma egli è anche deciso a farlo appena possibile. Però, egli ha detto, la Germania non può fare a meno di preoccuparsi anche della sua situazione economica e.finanziaria specie in rapporto alla sua necessità di armamenti. La Cina fornisce in questo momento alla Germania cospicue quantità di materie prime e specialmente di wolframio, indispensabile per gli armamenti tedeschi. Una Germania militarme:nte potente risponde agli interessi del Giappone, così come un Giappone forte risponde a quelli della Germania. Il Giappone doveva quindi comprendere che se la Germania si asteneva per il momento dal riconoscimento in questione, lo faceva non per ragioni che potessero in alcun modo menomare i suoi sentimenti verso di esso, ma al contrario.

Il visconte Mushakoji ha naturalmente replicato sostenendo ed illustrando ampiamente il punto di vista giapponese. Dopo di che, il Fiihrer gli ha dichiarato ancora una volta che egli si proponeva di «riflettere» ancora sulla questione, non escludendo che essa possa essere risolta anche in termini abbastanza brevi.

I due interlocutori si sono quindi intrattenuti della necessità di un accordo culturale fra i due Paesi.

Il colloquio è terminato con nuove espressioni di reciproca simpatia. Il Fiihrer ha fatto dono all'ambasciatore del Giappone di uno speciale servizio di porcellana di Meissen fabbricato appositamente per lui.

Il visconte Mushakoji si è quindi recato dal barone von Neurath col quale, chiarito in primissimo luogo l'episodio Ribbentrop, egli si è pure intrattenuto sulla questione del Manciukuò. Il barone von Neurath, tuttavia, a differenza del Fiihrer, mentre ha sorvolato sulla parte economica, ha invece insistito su quella politica, dicendo che se effettivamente il Giappone intende un giorno o l'altro di ricorrere alla Germania ed all'Italia per una mediazione, è pur necessario che i ponti con la Cina non siano definitivamente rotti.

Il collega giapponese ha osservato che nessuna mediazione sarà mai possibile fino a quando la Cina non la chieda e questo a sua volta potrà avvenire solo quando la Cina comprenderà di non avere dinanzi a sé alcun'altra alternativa. Orbene, il riconoscimento del Manciukuò avrebbe fatto capire alla Cina che essa non ha innanzi a sé altre vie di uscita che quella di un'intesa col Giappone. Una volta capito questo, la Cina, passata la prima naturale reazione, avrebbe egualmente fatto ricorso a quelli che sono i maggiori amici del Giappone e cioè alla Germania ed all'Italia. Il visconte Mushakoji ha aggiunto anche che, a lungo andare, questa esitazione della Germania non avrebbe potuto non impressionare sfavorevolmente l'uomo della strada del Giappone.

Anche Neurath ha concluso come il Fiihrer che avrebbe ancora riflettuto sulla cosa, non escludendo che essa avrebbe potuto essere risolta favorevolmente.

Il Fiihrer ha anche ricevuto, come già ieri lo aveva fatto Goring, l'ex-ministro dell'Istruzione Hatoyama, capo partito Suyukai in Giappone. Anche con lui il Fiihrer ha parlato del riconoscimento del Manciukuò ma mentre con l'ambasciatore Mushakoji aveva particolarmente insistito sulle questioni economico-militari, col Hatoyama, forse rendendosi conto che egli come capo di un partito di massa in Giappone sarebbe stato poco sensibile ad argomenti di indole economica, ha invece poggiato il pie' sopra quelli politici già invocati da Neurath.

Della parte economica invece lo stesso Fiihrer si è intrattenuto con un altro rappresentante giapponese, l'ammiraglio Godo, ex-ministro dell'Economia rappresentante delle classi industriali e bancarie giapponesi che si trova qui anch'egli in missione di propaganda.

L'ammiraglio Godo ha insistito dicendo che ormai per il Giappone non c'è altra soluzione che la disfatta definitiva della Cina, assicurando il Fiihrer che l'unanimità di proposito in questo campo esiste ormai in Giappone non soltanto in seno alle classi militari e popolari ma anche in quelle industriali e finanziarie.

Ciò premesso, l'Ammiraglio giapponese ha discusso a lungo col Fiihrer l'aspetto economico commerciale della situazione, facendo osservare al suo interlocutore che, anche nei nuovi territori conquistati il Giappone potrà trovare, sia il wolframio, sia altre materie prime interessanti la Germania.

Anche all'ammiraglio Godo il Fiihrer avrebbe in conclusione promesso di riprendere in considerazione il riconoscimento del Manciukuò.

640 l Vedi D. 632. 640 2 Vedi D. 625. 640 3 Vedi D. 634.

642

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8131/573 R. Tokio, 2 dicembre 1937, ore 20,25 (per. ore 16).

Tanto fra militari quanto fra nazionalisti, che vanno crescendo di numero, si manifesta verso l'Italia simpatia assai maggiore che non verso Germania. Si rimprovera a questa contegno alquanto ambiguo verso Giappone, anche come conseguenza delle sue eccessive preoccupazioni economiche in Cina. Germania si era forse basata su errato calcolo circa resistenza Cina, mentre è evidente fin da ora che chi vorrà in avvenire far affari in Cina dovrà passare per Tokio.

643

IL MINISTERO DEGLI ESTERI CINESE ALL'AMBASCIATA D'ITALIA IN CINA

PROMEMORIA. Hankow, 2 dicembre 1937.

The Ministry of Foreign Affairs presents its compliments to the ltalian Embassy and has the honour to call its attention to a report dated November 29 from the Chinese Embassy at Rome to the effect that the Italian Government had announced o n that day its recognition of the so-called « Manchukuo» and the establishment of a legation at Changchun.

The action of the Italian Government in this regard is in contravention of the Washington Nine-Power Treaty of February 6, 1922 to which it is a party, and inconsistent with the provisions of the Covenant of the League of Nations and the Resolutions repeatedly adopted by the League in regard to the Sino-Japanese controversy. In view of the traditional friendship between China and Italy, the Chinese Government deeply regrets that such action has been taken. The Italian Embassy is requested to inform its Government of the Chinese Government's determination to maintain the position hitherto adopted by in this matter.

644

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. 18994/121 P.R. Roma, 3 dicembre 1937, ore l.

In relazione precedenti comunicazioni fattele circa attività britannica in Hadramaut, le trasmetto a parte un telegramma del dottor Dubbiosi in data 26 novembre u.s. 1• Appare opportuno che contenuto del telegramma medesimo sia portato confidenzialmente a conoscenza di codesto governo. Con l'occasione V.S. potrà confermare costì che anche R. governo ha reso noto a governo di Londra di non poter riconoscere il provvedimento britannico col quale i confini orientali del protettorato di Aden sono stati estesi sino alla frontiera di Mascate sottomettendo praticamente al dominio inglese tutta la costa araba meridionale e regioni interno.

645

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8153/857 R. Londra, 3 dicembre 1937, ore 3 (per. ore 9,37).

Eden mi ha chiesto di passare stamane da lui e mi ha detto che desiderava mettermi al corrente, onde potessi informarne V.E., del contenuto delle recenti conversazioni anglo-francesi di lunedì 29 e martedì 30 corrente. Riassumo i punti essenziali del colloquio che è durato un'ora e mezzo.

Eden ha premesso che sul contenuto dell'incontro Hitler-Halifax il governo fascista era certamente informato da Berlino.

Ho confermato che lo era. Eden ha continuato dicendo che i ministri inglesi e francesi avevano anzitutto concordemente dichiarato che l'azione comune anglo-francese non (dico non) era e non intende assolutamente essere diretta a indebolire l'asse Roma Berlino, bensì a ricercare un accordo fra Inghilterra Francia da una parte, Germania e Italia dall'altra. Circa i metodi per raggiungere tale accordo i governi di Parigi e di Londra, pur preferendo quello di Ginevra, non rifiutano tuttavia quel qualsiasi altro metodo che Potenze dell'asse Roma-Berlino ritengano più adatto e più rispondente allo scopo.

Obiettivo da raggiungere è un accordo generale dell'Europa che possa assicurare la pace almeno per una generazione. Francia e Inghilterra sono disposte a sacrifici anche in campo territoriale (restituzione di colonie alla Germania) ma ciò all'esplicita condizione che tali sacrifici abbiano da parte della Germania una contropartita di carattere concreto e rappresentino una garanzia effettiva di pace.

Per quanto riguarda la particolare situazione dei Paesi a sud-est della Germania (Cecoslovacchia e Austria), la posizione dell'Inghilterra-ha continuato Eden -è sensibilmente diversa da quella della Francia, dato che la Francia ha per conto proprio degli impegni precisi che l'Inghilterra non ha. Gli impegni inglesi debbono intendersi, come nel passato 1 limitati alle frontiere occidentali; il che non significa che il governo britannico si disinteressi dei problemi del Centro-est europeo, ma il governo inglese si riserva di esaminarli nel quadro delle responsabilità e degli impegni collettivi della Società delle Nazioni. Non credo del resto che su questo punto -Eden ha continuato -incontreremo delle difficoltà insormontabili. Hitler ha dichiarato di essere soddisfatto del come funzionano gli Accordi del luglio 1936 coll'Austria.

Il governo inglese e lo stesso governo francese sono disposti, d'altra parte, a considerare tutte quelle possibili modificazioni nello statuto internazionale dell'Europa centro-orientale in senso favorevole alla Germania che possano attuarsi senza portare alla guerra. I ministri francesi si sono convinti e si sono mostrati assai ragionevoli anche su questo punto.

Per quanto riguarda il problema delle minoranze tedesche in Cecoslovacchia, il governo francese ha preso impegno di svolgere presso quello di Praga un'azione diretta a risolvere tale delicato problema secondo le richieste di Berlino, nel senso cioè di un riconoscimento dei diritti all'autonomia. Questo è lo scopo principale del viaggio di Delbos a Praga2.

Ho domandato a Eden quali, secondo governi inglese e francese dovranno essere le contropartite tedesche e in genere quali le basi dei futuri accordi europei.

Eden mi ha risposto che i governi di Londra e di Parigi stanno studiando sull'esperienza di quanto è stato fatto e di quanto non è stato fatto in passato, un piano generale su cui tuttavia mancano per ora delle idee precise e per il quale i governi di Londra e di Parigi contano, al momento opportuno, sulla collaborazione dei governi di Berlino e di Roma. Lo stesso Hitler ha dichiarato a Halifax che la Germania è disposta a riprendere in esame il problema degli armamenti, soprat

645 I Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione dubbia». 645 2 Effettuato poi il 16-17 dicembre. Vedi i DD. 723 e 727.

tutto nel campo aereo. Non appena saranno in grado, i governi di Londra e di Parigi sottoporranno a Berlino le loro idee concrete su questo punto.

Ho chiesto a Eden quali saranno prossimi atti concreti nel campo diplomatico.

Eden mi ha risposto dicendo che i governi francese e inglese stanno studiando insieme una proposta da fare ufficialmente al governo tedesco circa la revisione dei mandati e restituzione delle colonie tedesche. Il problema non è di facile soluzione, dati gli interessi che esso coinvolge e l'interesse dei governi dei Dominions a questo esame. Eden spera tuttavia che entro il termine di un mese accordo sarà raggiunto fra Londra e Parigi, e una comune offerta sarà allora fatta alla Germania. Da quel momento i negoziati entreranno in una fase positiva.

Eden è quindi passato a parlare dell'Italia. Le relazioni anglo-italiane sono state oggetto -ha detto Eden -del più attento esame. Tanto i ministri francesi quanto Chamberlain ed io ci siamo trovati d'accordo nel riconoscere necessario un miglioramento effettivo e positivo dei rapporti franco-italiani e anglo-italiani, e a tale scopo i due governi hanno concordemente riconosciuta l'opportunità di avviare al più presto possibile una diretta conversazione con il governo fascista per esaminare le varie questioni che sembrano dividere l'Italia dall'Inghilterra e dalla Francia. I ministri francesi hanno dichiarato essere preferibile che tali approcci vengano fatti in un primo tempo dal governo inglese. Governo inglese -ha continuato Eden -desidera entrare in conversazioni governo di Roma e vorrebbe farlo subito. Nella scorsa settimana il Gabinetto aveva già deciso -ha detto Eden che fossero date in questo senso istruzioni all'ambasciatore d'Inghilterra a Roma ma dopo la decisione di invitare i ministri francesi a Londra è stato ritenuto di attendere il risultato dell'imminente incontro anglo-francese. I ministri francesi si sono dichiarati d'accordo. Senonché -ha continuato Eden -i due governi hanno convenuto che tale conversazione con l'Italia, allo scopo di essere proficua e raggiungere un risultato concreto dovrebbe essere preceduta da un miglioramento nell'atmosfera generale delle relazioni italo-inglesi e italo-francesi. I francesi si lamentano degli attacchi della stampa ma su questo argomento io non desidero entrare. Governo britannico si lamenta invece della propaganda sempre più intensa che l'Italia sta conducendo nel Vicino Oriente contro l'Inghilterra. Prima di cominciare tali conversazioni italo-inglesi occorre chiarire questi punti delicati e importanti.

V.E. può facilmente immaginare quello che ho risposto acl Eden e che ometto per brevità.

Ho domandato alla fine se era tutto qui quanto dovevo riferire a V.E. Eden ha risposto dicendomi che il governo britannico non aveva avuto ancora risposta alla comunicazione fatta dall'ambasciata d'Inghilterra al governo italiano nell'ottobre scorso\ nella quale si suggerivano alcuni argomenti per una amichevole discussione fra i due governi, escludendo beninteso il problema del riconoscimento Etiopia, argomento che io sono certo -ha detto Eden -il governo italiano medesimo vorrà riconoscere di ben difficile soluzione in questo momento.

Ho osservato a Eden che questo è unico punto che interessa l'Italia, mentre tutti gli altri punti rappresentano positivi interessi inglesi. Non vedo -ho conti

nuato -come si possa impostare un negoziato italo-inglese sulle basi delle comunicazioni britanniche del 2 ottobre. Eden mi ha interrogato per domandarmi se questa era l'opinione ufficiale del mio governo. Ho detto che non conoscevo opinione del mio governo e che mi limitavo ad esprimere la mia personale.

Eden ha ripreso dicendo che una volta fosse chiarita atmosfera sul punto delicato della propaganda anti-britannica nel Vicino Oriente, egli riteneva si potessero iniziare senz'altro le conversazioni prendendo come punto di partenza le comunicazioni britanniche del 2 ottobre. «Tuttavia, ha concluso Eden, io sono pronto .:td esaminare attentamente con spirito amichevole tutte quelle eventuali osservazioni che il conte Ciano volesse farmi pervenire al riguardo, e le sue eventuali controproposte».

Mi sono limitato a dire che avrei riferito a V.E. quanto egli mi aveva detto.

644 1 Vedi D. 639, nota l.

645 l Promemoria del 2 ottobre (vedi D. 387, allegato).

646

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8170/512 R. Shanghai, 3 dicembre 1937, ore 14,26 (per. ore 21,27).

Governo cinese comunica oggi a corpo diplomatico che in principio ha accettato buoni uffici (ripeto buoni uffici) offerti dalla Germania 1•

647

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8257/0320 R. Londra, 3 dicembre 19 3 7 (per. il 9).

Mio telegramma n. 852 del 30 novembre u.s. 1•

È venuto ieri a trovarmi Monteiro. Mi ha dichiarato che, in relazione al recente annuncio ufficiale fatto da Cranborne ai Comuni circa l'accordo raggiunto tra Londra a Lisbona per l'invio di una missione inglese in Portogallo, egli desiderava francamente e lealmente mettermi al corrente di alcuni aspetti della cosa che rappresentavano uno sviluppo del tutto nuovo della situazione da quan

647 l T. 8092/852 R. del 30 novembre. Riferiva che il giorno precedente il sottosegretario agli Esteri, Cranborne, aveva annunciato ufficialmente alla Camera dei Comuni che nel febbraio 1938 sarebbe stata inviata in Portogallo una missione militare con a capo un ammiraglio.

do egli me ne aveva parlato in precedenza (mio telegramma per corriere n. 0287 del l o novembre u.s. )2 .

Proseguendo Monteiro mi ha spiegato, in via strettamente confidenziale, che mentre sino a una diecina di giorni or sono le istruzioni del suo governo erano state di mantenere atteggiamento evasivo e temporeggiante di fronte alle insistenze inglesi per l'invio della famosa missione, egli ha repentinamente ricevuto, il 25 novembre, ordini da Lisbona di farsi parte diligente presso il Foreign Office per riprendere le discussioni in proposito e anzi concertare senz'altro il programma della visita. Questo improvviso mutamento --ha asserito Monteiro -sarebbe dovuto a insistenti e precise notizie pervenute in questi ultimi tempi da più parti a Lisbona (presumibilmente in connessione con visita Halifax a Berlino) che la Germania si preparava a chiedere-o quanto meno a suggerire-una redistribuzione a suo favore dei possedimenti coloniali portoghesi. Così pressanti poi sarebbero state le nuove istruzioni di Lisbona, che il progetto della visita stessa è stato concretato nel giro di appena 48 ore.

Capo della missione britannica sarà un ammiraglio, accompagnato a sua volta da un ufficiale superiore rispettivamente dell'esercito e dell'aviazione. Suo çompito -secondo le direttive tracciate da Londra -dovrebbe essere quello non soltanto di avere scambi di vedute con le Autorità militari portoghesi ed esaminare con loro i problemi immediati sorgenti dall'alleanza militare anglo-portoghese, ma di stabilire una collaborazione tra gli Stati Maggiori dei due Paesi. Tra le prime misure che gli inglesi intenderebbero a questo riguardo proporre vi è un progetto per il completo rinnovamento e l'unificazione degli armamenti portoghesi sui modelli in uso nell'esercito britannico (analogamente a quanto viene fatto per l'esercito egiziano). Sono previsti inoltre lo scambio periodico di ufficiali, l'invio di ufficiali portoghesi alle scuole militari inglesi ed infine la ricostituzione di quegli organi di collegamento che già esistevano tra i vari rami delle Forze Armate dei due Paesi prima della guerra e che vennero successivamente abbandonati.

Tutto questo però, ha tenuto quindi a ripetermi con insistenza Monteiro, non significa affatto un mutamento nella politica estera portoghese e ciò soprattutto per quanto riguarda i rapporti del Portogallo con l'Italia ed il suo atteggiamento nei confronti del conflitto spagnolo. Quantunque la recente evoluzione della politica inglese nei confronti di Franco e le apparentemente oggi più benevole disposizioni di questo governo verso la causa dei Nazionalisti spagnoli-abbiano valso a facilitare le cose, pur tuttavia l'opinione pubblica in Portogallo continua a rimanere diffidente verso l'Inghilterra, che così scarsa comprensione ha dimostrato nei recenti problemi di politica estera ed interna portoghese, e che tuttora non sa nascondere la sua disapprovazione per il regime antidemocratico e corporativo del presidente Salazar.

Ho chiesto a Monteiro se egli era proprio convinto che l'allarme di Lisbona per le pretese mire tedesche sulle colonie portoghesi fosse fondato su dati di fatto o non piuttosto il risultato di tendenziose e calunniose manovre inglesi. Su questo punto Monteiro è stato alquanto evasivo, ammettendo la possibilità di qualche «malinteso», ma insistendo nel contempo sulla estrema sensibilità dell'opinione

pubblica portoghese a qualsiasi minaccia -vera, presunta o verosimile -alla integrità del proprio impero coloniale. Una minaccia di fronte alla quale -soprattutto in un momento in cui si parla di redistribuzioni coloniali e di iniziative inglesi in questo campo -il Portogallo non può rinunciare alla garanzia, se non altro negativa, che gli deriva dai suoi attuali trattati con la Gran Bretagna.

Nel riferire a V.E. quanto precede, mi sembra superfluo sottolineare come tutto ciò confermi l'impressione da me segnalata sin dalle ultime settimane di ottobre circa un certo mutamento nell'atteggiamento portoghese. È da attendersi che, incoraggiato da questo primo successo, il governo inglese non mancherà di intensificare la sua azione in tal senso, sfruttando ed alimentando le preoccupazioni che le prossime conversazioni colla Germania in materia coloniale potranno nuovamente determinare a Lisbona3 .

646 l Il documento ha il visto di Mussolini. Si veda, per il seguito, il D. 663.

647 2 Vedi D. 505.

648

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 6072/2029. Berlino, 3 dicembre 1937 1 .

Faccio seguito al mio telegramma filo di questa mane relativo all'incontro Delbos-Neurath2 .

Quest'incontro era stato preparato da una conversazione avuta nel pomeriggio di ieri con Neurath da François-Poncet. Questi si era recato da Neurath credendo di trovarlo «soddisfatto» dei risultati delle conversazioni franco-inglesi di Londra3 . Il barone von Neurath (le cui opinioni sui risultati londinesi riferisco dettagliatamente a parte) 4 ha invece colto l'occasione per dire all'ambasciatore che il suo governo, accentuando il carattere «globale» da dare all'accordo contemplato, non ha reso un servizio alla causa della pace. L'esperienza, di quest'ultimo anno in particolare, ha ampiamente dimostrato che l'insistere per questa via porta al fallimento. Così pure, egli ha detto, non valeva la pena che la Francia a Londra insistesse, come sembra abbia fatto, sul ritorno della Germania a Ginevra. Senza naturalmente entrare in particolari, Neurath ha chiarito anche a François-Poncet che il ritorno dei tedeschi nella S.d.N. è fuori di ogni concreta possibilità.

Su questo antefatto, ha avuto poi luogo stamane l'incontro con Delbos, da cui, come ha voluto farmi rilevare Neurath, egli non poteva esimersi dato che era stato avvertito del passaggio del ministro francese «ufficialmente».

648 l Manca l'indicazione della data d'arrivo. 648 2 Con T. 8157/445 R. del 3 dicembre, Attolico aveva comunicato che von Neurath, informato ufficialmente del passaggio per Berlino del ministro degli Esteri francese, Delbos, diretto in Polonia, si era recato alla stazione per salutarlo ed aveva avuto con lui una conversazione di una decina di minuti. 648 3 Si riferisce ai colloqui avuti da Chautemps e da Delbos durante la loro visita a Londra, il 29-30 novembre precedenti. 648 4 Non si è rintracciato nessun documento in proposito.

La conversazione, oltreché brevissima, è stata molto generica. Delbos ha ripetuto sugli incontri di Londra praticamente né più né meno che le informazioni ufficiali. Neurath per parte sua ha reiterato a Delbos l'osservazione sulla «globalità» già fatta ieri a François-Poncet.

A mia specifica domanda se Delbos avesse, in una qualunque maniera, adombrato anch'egli la possibilità di conversazioni a quattro (vedi lettera Neurath a

V.E. sulla visita di Halifax) 5 , il barone von Neurath mi ha risposto di no.

Delbos ha quindi voluto rassicurare Neurath sugli scopi del suo viaggio a Varsavia, Praga eccetera, dichiarando non esser'~ sua intenzione creare o incoraggiare blocchi antitedeschi. Riferendosi soprattutto alla Cecoslovacchia, Neurath ha risposto che apprezzava molto questa assicurazione ma ha osservato che la Francia sembrava non rendersi conto che quanto più si teneva, da parte sua od altrui, al mantenimento dello status quo, tanto più era opportuno insistere sulla necessità di venire incontro a quel minimo di desiderata tedeschi indispensabili appunto per permettere alla Germania di contentarsi dello status quo essa stessa. Se si vogliono evitare i «fatti compiuti» ha detto Neurath, bisogna pure che questo minimo di desiderata venga accolto. Delbos sembra aver prestato benevolo orecchio a questo ragionamento, assicurando che, specialmente a Praga, egli avrebbe insistito in questo senso.

II treno essendo di nuovo in partenza la conversazione è stata quindi interrotta6 .

647 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

649

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 6086/2032. Berlino, 3 dicembre 1937 1•

V.E. avrà notato la premura con cui Neurath mi ha messo al corrente del suo incontro con Delbos. Io ho creduto di potergli dire che ero sicuro V.E. avrebbe molto apprezzato questa premura, la quale, ho aggiunto, riusciva tanto più opportuna in quanto, proprio questa mane, avevo notato sulla stampa delle manifestazioni da parte di Baldur von Schirach (vedi mie segnalazioni telefoniche odierne al ministero della Cultura Popolare) le quali facevano strano contrasto con la contemporanea, legittima reazione italiana alle provocanti manifestazioni Campinchi-Herriot contro il governo fascista.

Neurath ne ha convenuto ed anzi mi ha, nell'occasione, messo al corrente di un episodio che merita di essere ripetuto e cioè che la Direzione della Hitlerjugend, informata anch'essa del passaggio di Delbos, aveva deciso di inviare alla stazione, ad incontrare il ministro francese, una sua larga rappresentanza con bandiere. Saputo ieri sera della cosa, Neurath vi si è energicamente opposto e anzi, di fronte

648 6 Il documento ha il visto di Mussolini. 649 l Manca l'indicazione della data d'arrivo.

alle insistenze della Hitlerjugend, egli ha dovuto provocare l'intervento del Fiihrer, che naturalmente ha confermato l'ordine dell' Auswartiges Amt. Anche Baldur von Schirach, mi ha detto Neurath, si è messo a fare della politica.

648 5 Vedi D. 607, allegato.

650

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, SUVICH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 7430/2052. Washington, 3 dicembre 1937 1•

Il Congresso ha avuto una influenza sedativa sulle velleità dello State Department d'iniziare una politica più attiva sulle linee del discorso di Chicago del Presidente Roosevelt 2 .

Con rapporto separato3 , riferisco sulle tendenze odierne del Congresso che, ad onta di qualche voce discordante, ha marcato la nota del neutralismo e dell'isolazwmsmo.

Ci sono delle proposte al Senato e alla Camera per togliere all'Esecutivo la facoltà di dichiarare una guerra, salvo nel caso d'invasione del territorio, che dovrebbe essere demandata a un plebiscito; c'è una proposta del senatore Lodge per limitare i poteri discrezionali conferiti al Presidente dalla legge sulla neutralità; ci sono delle altre proposte per sospendere la politica dei trade agreements, affermandosi che non si devono stringere altri rapporti internazionali in un momento così torbido della politica generale. Tutte queste proposte sono avversate dal governo e non sono destinate al successo ma hanno valore sintomatico per gli umori del Congresso. La grande massa del Paese si preoccupa della recovery e della depression, del corso dei titoli in Borsa, delle leggi economiche e sociali del Presidente, delle spese pubbliche e del reliej; e non vuole prendere nota di quello che avviene nel mondo, all'infuori di questo Paese. Le elezioni, totali per la Camera dei rappresentanti e parziali per il Senato, che avvengono nel 1938, concentrano fin d'ora l'attenzione dei rappresentanti e dei senatori sulla politica interna e portano un irrigidimento nel loro atteggiamento neutralista, che è quello che ha maggior seguito del Paese.

Ho segnalato in precedenti rapporti 4 la reazione in atto contro la tendenza suaccennata, un movimento cioè a favore di una politica interventista che, pur essendo espressione di una minoranza, ha tuttavia delle manifestazioni autorevoli. A quanto già segnalato nei precedenti rapporti aggiungo un discorso anti-isolazionista del signor Raymond S. Buell, presidente della Foreign Policy Association, importante sodalizio della capitale e il noto editoriale in tre colonne del New York Times, «America's Aloofness» che prospetta in modo molto drastico le necessità per l'Ame

650 I Manca l'indicazione della data di arrivo. 650 2 Vedi D. 404. 650 3 Non rintracciato. Sull'argomento si veda il D. 595. 650 4 Si veda su l'argomento il D. 595.

757 rica di unirsi alle altre Grandi Democrazie occidentali per la difesa della pace contro «gli aggressori» e che ha avuto già adeguata risposta dalla stampa italiana. Questo editoriale è stato ampiamente commentato e lo stesso Segretario di Stato alla conferenza stampa ha affermato di averlo letto con il maggiore interesse.

Nel momento attuale, però, gli zelatori di tale atteggiamento si sentono piuttosto depressi e sfiduciati per l'atteggiamento della maggioranza del Paese e del Congresso. Pare che il Segretario di Stato, notoriamente disposto ad una politica più attiva, abbia avuto delle lunghe conversazioni con i senatori più influenti per indurii ad uscire dall'isolazionismo programmatico, ma senza successo. Per tali ragioni ritengo che la tendenza verso l'attivismo debba per il momento marcare il passo ma non credo tuttavia che essa voglia smobilitare.

In tale quadro rientra la politica degli Stati Uniti nei riguardi del conflitto in Estremo Oriente.

Il fallimento della Conferenza di Bruxelles, del resto già anticipato da buona parte della stampa, è stato ampiamente ammesso e criticato e la conclusione generale a cui si arriva (esclusi naturalmente gli interventisti di cui ho parlato più sopra) è quella che ciò costituisce una lezione meritata e che l'America deve imparare a non immischiarsi negli affari degli altri. Anche nel tono della stampa c'è un certo senso di rassegnazione dinnanzi all'impotenza americana ed alla inevitabilità dei fatti che ne sono la conseguenza; tuttociò misto ad un certo ingenuo stupore che il mondo non sia disposto a seguire i consigli paternalisti che vengono da questo Paese.

Non per questo si deve ritenere che i rancori siano sopiti, né che l'antipatia e l'ostilità per il Giappone si siano attenuate. Bisogna anche riconoscere che, accanto al Giappone, lo Stato che è oggi il maggiore bersaglio dell'avversione e della critica di questo Paese è l'Italia. Se pure si ammette che la base da cui è partita l'America per la Conferenza di Bruxelles era sbagliata perché non si possono far tacere i cannoni con le chiacchiere, tuttavia si fa colpa all'Italia di aver aggravato la situazione rompendo la solidarietà fra le Potenze firmatarie del Trattato dei Nove. Qui, dove si ha ancora un residuo di fiducia sull'efficacia delle dichiarazioni di principio e delle condanne morali, si ritiene che se il Giappone si fosse trovato contro la solidarietà di tutte le Grandi Potenze si sarebbe indotto più facilmente a venire a delle trattative di pace accettabili per la Cina. Si insiste qui anche molto sulla differenza di atteggiamento fra l'Italia e la Germania, osservando che, mentre la prima ha rotto tutti i ponti mettendosi decisamente contro la Cina, la seconda ha voluto mantenersi tutte le porte aperte per tutelare i propri interessi economici e di espansione, traendo da ciò delle maligne deduzioni sul funzionamento dell'asse Roma-Berlino. Il riconoscimento, poi, del Manciukuò, fatto nel momento attuale, è stato considerato soprattutto un atto in odio all'America che è stata l'esponente della tendenza contraria al riconoscimento.

Mentre fino ad ora la contesa con l'Italia era limitata più che altro al campo ideologico, ora, dopo il nostro schieramento a favore del Giappone, si considera, come già ho osservato con un precedente rapporto 5 , che l'Italia sia passata definitivamente nel campo degli interessi politici contrari a quelli americani. Ritengo

necessari questi chiarimenti per spiegare la forma di rancore contro l'Italia che oggi è diffusa negli ambienti governativi, politici e giornalistici e di cui ho la diretta e precisa sensazione.

Allego un appunto su una conversazione avuta da persona di mia fiducia con il signor McDermott, capo dell'Ufficio Stampa del Dipartimento di Stato, che rappresenta quelle che sono le idee dominanti oggi nei sopraddetti ambienti americani.

In una conversazione che ho avuto in questi giorni col Sottosegretario di Stato, signor Sumner Welles, a proposito del trattato di commercio, egli ha accennato alla questione del nostro atteggiamento nei riguardi del conflitto in Estremo Oriente, dicendomi che il governo americano era profondamente spiacente che a Bruxelles non si fosse raggiunta l'unanimità sulla base dei principii del Trattato delle Nove Potenze.

A ciò gli ho osservato che effettivamente è spiacevole che ci siano stati dissidi ma che il risultato aveva dato ragione alla visione realistica dell'Italia.

Mi ha chiesto anche se io ritenevo che fosse nell'interesse del nostro Paese favorire la conquista della Cina da parte del Giappone, avvertendo che una volta il Giappone padrone della situazione, non avrebbe più distinto fra amici e nemici escludendo tutti da ogni possibilità di collaborazione. Mi ha chiesto pure se ritenevo che questa fosse la politica definitiva dell'Italia, di mettersi cioè assieme al Giappone contro le altre Potenze occidentali.

Ho risposto al signor Welles che non avevo nessuna informazione particolare da Roma al riguardo, che però la nostra situazione è molto chiara: non è che noi prendiamo posizione per il Giappone contro le Potenze occidentali ma il nostro sforzo è quello di combattere il bolscevismo che riteniamo la più grave minaccia per la pace e per l'avvenire della civiltà; se noi troviamo il Giappone disposto a seguire la nostra linea e non disposte invece le Democrazie occidentali, è naturale che abbia a verificarsi tale avvicinamento fra la politica italiana e quella giapponese.

La conclusione di questo rapporto è simile a quella dei precedenti, che per ora non sia da attendersi in questo Paese alcuna deviazione dalla linea di chiassosa impotenza che ha caratterizzato la politica degli Stati Uniti in questo ultimo periodo.

ALLEGATO

Il capo dell'Ufficio Stampa del Dipartimento di Stato signor McDermott, uomo che gode di molta influenza sugli ambienti giornalistici di Washington e che nel passato ha dato più volte prove di essere favorevolmente disposto verso il nostro Paese, parlando ieri con persona vicina all'ambasciata si è fatto eco dei sentimenti di vivo disappunto delle sfere del Dipartimento per il riconoscimento italiano del Manciukuò.

Secondo il signor McDermott, il gesto dell'Italia sarebbe considerato «una palese violazione del Trattato delle Nove Potenze ed è uno schiaffo dato agli altri Paesi firmatari e particolarmente all'America»: i t is an open violation of the nine powers treaty and a slap t o the other nations.

Egli ha detto che il governo non si è pronunziato in merito, p1a queste sue parole rappresentavano ciò che il Dipartimento realmente pensa della mossa italiana. Ha rilevato poi nel corso della conversazione come uno degli effetti dell'asse Roma-Berlino minacci di alienare le profonde amicizie che l'Italia fascista si era conquistate tra i cattolici americani per la sua illuminata politica verso la Chiesa. Oggi i cattolici americani, che sono l'elemento più fattivo nella lotta contro il comunismo, sono indignati per le persecuzioni del nazismo contro la Chiesa Cattolica e il Cristianesimo in genere e lamentano che l'Italia, che pure segue nei riguardi del Cattolicesimo una politica sostanzialmente diversa, dia alla Germania anche in questo campo la sua piena solidarietà.

Il signor McDermott, bisogna aggiungere, è un cattolico praticante che ha molti contatti con gli ambienti dirigenti del cattolicesimo americano.

650 5 Vedi D. 538.

651

IL CONSIGLIERE ALL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA. Berlino, 3 dicembre 1937 (per. i/6).

Ricevo la Tua 1 , relativa a certi «atteggiamenti» dell'Ambasciatore von Hassell, nei confronti del suo collega Iondinese. Provvederò nel senso indicatomi.

Quelle informazioni non hanno evidentemente sorpreso né Te, né me, che abbiamo, ambedue, avuto agio di raccogliere, in tempi lontani e vicini, una larga messe di notizie ed impressioni similari, tutte più o meno concordanti circa talune «riserve» del Rappresentante del Reich presso la Real Corte!

Del resto, per riferirei più particolarmente alla «crisi» von Hassell al momento dell'arrivo a Roma di von Ribbentrop e della firma dell'accordo a tre anticomunista, ricordiamo tutti troppo bene gli ondeggiamenti e le ostilità, in quel campo ed in quel periodo, di qualche esponente della Wilhelmstrasse, le cui idee evidentemente collimano con quelle dell'Ambasciatore a Roma. Il quale, del resto, non fece certamente mistero del disagio da lui sofferto al momento di quella trattativa. A me, ad esempio, allorché venne a Berlino il lo dicembre, per assistere all'inaugurazione della Mostra d'Arte italiana, egli ebbe precisamente a dire: «Non credo che mai e poi mai un Ambasciatore si sia trovato in una situazione più difficile e meno simpatica».

Occorre in proposito tener presente che von Hassell, con ogni probabilità, stima non finita a Roma la sua carriera. E pensa che una volta o l'altra quelle tante, ripetute notizie relative ad un ritiro di von Ribbentrop da Londra potrebbero finalmente essere confermate dalla realtà. È chiaro, infatti, che la missione londinese dell'attuale Ambasciatore del Reich non potrà prolungarsi troppo e che essa volge quindi alla fine. E perché il successore presso la Corte di San Giacomo non potrebbe essere egli stesso? E allora perché prendere atteggiamenti troppo precisi, destinati a riuscire invisi al Governo di Sua Maestà Britannica?

651 I Il 30 novembre, Ciano aveva inviato· a Magistrati una nota fiduciaria concernente l'ambasciatore von Hassell, con l'incarico di darne copia al principe d'Assia e di farne eventualmente prendere visione a Gi:iring. Dalla nota risultava che l'ambasciatore aveva espresso un'opinione negativa circa il Patto Anticomintern e soprattutto circa la sua estensione all'Italia che, a suo parere, faceva acquistare al Patto un carattere più antibritannico che antisovietico. Un atteggiamento critico -proseguiva la nota -che risultava diffuso anche nelle alte sfere militari tedesche. dove le iniziative di von Ribbentrop erano viste soltanto come «Un esperimento» e quindi come suscettibili di essere sconfessate all'occorrenza.

Già altra volta Ti ho accennato alla circostanza che anche il conflitto sino-giapponese rappresenta una nuova e severa battuta del contrasto von Ribbentrop-Wilhelmstrasse. Contrasto che viene seguito con viva attenzione, ed in ogni dettaglio, da questa Ambasciata giapponese, che vede esattamente come nelle riserve dell'Auswartiges Amt, appoggiato da alcuni esponenti dell'Esercito, sia oggi tutto l'ostacolo ad uno sviluppo più completo dei rapporti nippo-tedeschi. L'ultima battuta in materia è stata, come sai, il mancato riconoscimento del Manciukuò, riconoscimento verso il quale il Cancelliere stesso era tendenzialmente (e lo è tuttora) portato.

Non insisto quindi sull'argomento, a Te troppo noto. Desidero solamente riferirti che lunedì scorso l'Addetto Militare giapponese, Generale Oshima, che è !'«Eminenza grigia» dell'Ambasciata nipponicà ed il vero autore dell'accordo anticomunista tra Germania e Giappone del 25 novembre 1936, nonché l'esponente maggiore che il Partito Militare di Tokio conti in Europa, mi ha fatto un lungo discorso sui suoi dolori in materia di «atteggiamenti» della Wilhelmstrasse!

Il Generale, che mantiene contatti diretti e discreti (secondo quanto mi viene confermato dallo stesso Colonnello Bodenschatz, Capo di Gabinetto del Ministro Presidente) anche con il gruppo Goring, spera vivamente di vedere un giorno von Ribbentrop Ministro degli Affari Esteri del Reich! E si augura anche che le «riserve» di von Blomberg scompaiano dinanzi ai successi militari dell'Esercito imperiale.

Egli, che si esprime in termini molto soddisfatti circa l'atteggiamento pro-Giappone del Fiihrer e di Goring, vede, come del resto vedo io, un segno favorevole, in questa lotta di tendenze, nella liquidazione di Schacht e nella conseguente affermazione, nella politica economica ed interna del Paese, del gruppo nazionalsocialista «puro»,

Argomento, questo, sul quale mi riservo intrattenerti in altra mia lettera.

652

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A LISBONA, MAMELI

T. 1969/148 R. Roma, 4 dicembre 1937. ore 3.

Suoi 037 1 e 2772. Secondo informazioni confidenziali inviate da Viola3 , governo di Burgos ritiene ormai prossimo riconoscimento da parte di numerose repubbliche sudame

652 I T. per corriere 8009/037 R. del 22 novembre. Il ministro Mameli aveva riferito, di fronte al diffondersi di voci circa un riconoscimento del governo nazionale spagnolo da parte del Portogallo, che una decisione in quel senso appariva improbabile sul piano immediato perché a Lisbona si desiderava non differenziare oltre un certo limite il proprio atteggiamento da quello della Gran Bretagna. Tuttavia, secondo Mameli, la situazione era alquanto mutata dopo lo scambio di rappresentanti tra Londra e Salamanca ed ora il riconoscimento di Franco poteva diventare di attualità se i Nazionali avessero conquistato qualche città importante o una quantità considerevole di territorio. 652 2 T. 8049/277 R. del 27 novembre. Mameli riferiva di avere appreso dalla rappresentanza a Lisbona del governo nazionale spagnolo che erano in corso dei contatti sulla questione del riconoscimento del governo di Franco da parte del Portogallo. 652 3 Con T. 8114/772 R. del 27 novembre.

ricane. Sono inoltre in corso trattative con Polonia per scambio di agenti e consultazioni con vari governi europei per regolamentazione rapporti fra essi e Spagna Nazionale.

Ove governo portoghese ritardi ancora procedere riconoscimento Franco, assisteremmo a questa anomalia: che Portogallo, che sin dal primo momento ha dato sua piena solidarietà alla causa dei Nazionali spagnoli, si sarà fatto precedere da altri governi che al successo dei Nazionali non hanno un interesse così grande e diretto come lo ha invece il Portogallo.

Lo faccia presente costì, rilevando l'opportunità e convenienza che governo portoghese proceda al riconoscimento. Ad ogni buon fine la informo che, secondo segnala ambasciata Salamanca, governÒ nazionale spagnolo si attenderebbe da un momento all'altro riconoscimento da parte del Portogallo. Risulterebbe anzi al generale Franco che Salazar avrebbe già designato ambasciatore portoghese in Spagna nella persona signor Ramirez4 .

653

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PER CORRIERE 1972 R. Roma, 4 dicembre 1937.

Con telegramma a parte ho inviato a V.E. il resoconto del colloquio Grandi-Eden 1 .

È evidente che tra Londra e Berlino (quanto meno tra Londra e la Wilhelmstrasse) sta avvenendo qualcosa di più che non dei semplici approcci. Sorvegli e mi tenga informato 2 .

654

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. PER CORRIERE PERSONALE 1973 R. 1 Roma, 4 dicembre 1937.

Tuo 8572 . Ti ringrazio per il molto interessante e chiaro rapporto, del quale anche il Duce ha preso attenta visione.

653 l Vedi D. 645. 653 2 A questo proposito Ciano telegrafava chiedendo anche dettagli circa l'atmosfera in cui si era svolta la riunione tenuta il 2 agosto dall'associazione anglo-tedesca, nella quale lord Halifax aveva pronunciato un discorso intonato all'amicia tra i due Paesi (T. 1971/425 R. del 4 dicembre). 654 l Minuta autografa. 654 2 Vedi D. 645.

Per quanto direttamente ci concerne credo che tu potresti nei prossimi giorni, ma non immediatamente, prendere contatto con Eden per dirgli che quanto era contenuto nel promemoria !asciatomi da Perth il 2 ottobre 3 appare oggi, almeno in parte, sorpassato.

Tutto ciò che ha riferimento al problema spagnolo non sembra infatti che debba fare oggetto di conversazioni dirette tra noi e Londra. La questione è avviata, ed anche avviata abbastanza bene, sui binari del non intervento.

Rimangono invece tutti i problemi esistenti tra noi e la Gran Bretagna. Non c'è dubbio che la questione del riconoscimento dell'Impero è una questione puramente morale. Ma è altresì fondamentale, né se ne potrebbe prescindere in un eventuale regolamento dei nostri rapporti con Londra.

Ciò comporta che il problema delle nostre relazioni con l'Inghilterra debba venire affrontato e risolto nella sua totalità e non a segmenti. In questa linea noi siamo pronti a discutere ed a concludere, oggi, come lo eravamo nel passato. E ripetiamo come allora, che se ad una intesa si deve giungere, desideriamo che essa sia piena, completa, senza sottintesi, e riserve, quindi duratura.

Come vedi, nella nostra linea di condotta non c'è praticamente niente di nuovo e quindi niente di nuovo potrà esserci nel tuo linguaggio con Eden. Ma potrai riaffermare che siamo disposti a riprendere le conversazioni in base ai concetti che sopra ti ho indicati.

Se dovesse essere altrimenti, allora riterremmo inutile compiere dei tentativi che valgono solo a creare illusioni, delusioni e forse più accentuati contrasti.

652 4 Si veda per il seguito il D. 661.

655

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8259/0322 R. Londra, 4 dicembre 1937 (per. il 9).

Com'è noto a V.E., le voci raccolte e pubblicate da certa stampa internazionale, alla vigilia delle conversazioni anglo-francesi di Downing Street, che Schacht avesse proposto ad Halifax qualche eventuale «compenso coloniale» nel Congo Belga e nell'Angola hanno suscitato ovunque, ma soprattutto in Belgio e nel Portogallo, una profonda reazione, che a un certo momento minacciava persino di turbare l'opera di riavvicinamento anglo-tedesco. Non vi è dubbio che tanto il governo inglese quanto quello francese hanno fatto di tutto per servirsi di queste asserite proposte di Schacht per gettare diffidenza e sospetti fra Belgio e Germania da una parte, e fra Portoga!lo e Germania dall'altra.

Da qui la smentita di Berlino, di cui Ribbentrop ha avuto dal suo governo l'incarico di rendersi interprete presso il Foreign Office. Il passo di Ribbentrop presso Eden ha dato luogo a nuove interpretazioni giornalistiche, secondo le quali

Ribbentrop avrebbe sconfessato Schacht e dichiarato che l'ex-ministro delle Finanze del Reich non era autorizzato a fare proposte del genere a nome del governo tedesco. Ciò ha costretto il consigliere tedesco Woermann a recarsi al Foreign Office a protestare presso quell'Ufficio Stampa e a cercare -con limitato successo in verità -di far rettificare nei giornali le interpretazioni false date sull'ultimo colloquio di Ribbentrop con Eden.

Questa ambasciata di Germania mi ha detto che Schacht non è entrato nella discussione dei particolari che certe notizie di stampa gli attribuiscono ma si è limitato a dire ad Halifax che se l'Inghilterra, per legittimi motivi strategici od altri, non poteva restituire alla Germania tutte le sue antiche colonie, spettava all'Inghilterra stessa, e non alla Germania, escogitare quelle altre eventuali forme di compenso che avrebbero potuto soddisfare il «credito» della Germania, e il suo diritto a riavere le proprie colonie.

A questa ambasciata di Francia si asserisce invece che Schacht «ha messo i punti sugli i e ha suggerito un piano di gestione amministrativa e di sfruttamento economico del Congo Belga e dell'Angola». Al Foreign Office si tace ma si tace in modo da lasciar comprendere che la notizia non manca di qualche fondamento.

L'ambasciatore del Portogallo, Monteiro, mi ha detto ieri che Eden ha risposto alla sua domanda con la frase seguente: «Né Hitler, né Goring, né Goebbles, hanno mai menzionato ad Halifax le colonie portoghesi». Il che viene indirettamente a confermare che Schacht ne ha parlato. Monteiro ha aggiunto che Eden gli ha detto:

l) che, né l'Inghilterra, né la Francia hanno mai contemplato la possibilità di far pagare al Portogallo, o al Belgio, sia pure in minima parte, le spese d'un loro riavvicinamento alla Germania;

2) che la migliore garanzia del Portogallo consiste nella sua vecchia alleanza con l'Inghilterra, alleanza che il governo britannico desidera mantenere e rafforzare.

Monteiro mi ha sottolineato alcune osservazioni e domande di Eden (per esempio: quando pensate che Franco potrà terminare vittoriosamente la sua campagna contro Barcellona?) che confermerebbero il mutato atteggiamento del governo britannico nei confronti del generale Franco. Eden avrebbe inoltre aggiunto che, dopo il riconoscimento «di fatto» da parte inglese del governo di Salamanca, veniva a cessare fra Londra e Lisbona l'unica ragione di dissenso. Eden non vedeva pertanto che fra Portogallo e Inghilterra, antiche alleate, dovessero permanere quelle ombre di diffidenza provocate da una diversa attitudine che era stata presa da Londra e da Lisbona sulla questione spagnola.

Monteiro infine mi ha detto che il nuovo ambasciatore britannico a Lisbona, Selby, ha avuto dal suo governo il compito specifico di dissipare i malintesi sorti negli ultimi anni e di cominciare a riprendere, col mondo politico portoghese, quei contatti che l'attuale ambasciatore 1 aveva lasciato intiepidirsi se non proprio interrompersi2.

655 I Charles Wingfield. 655 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

654 3 Vedi D. 387, allegato.

656

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8266/783 R. Salamanca, 4 dicembre 1937 (per. !'8).

Mi riferisco al telegramma dell'E.V. n. 783 segreto 1 .

Mia speciale e costante sorveglianza delle reazioni dei vari ambienti spagnoli dopo il mutato atteggiamento inglese nei riguardi governo nazionale e miei frequenti contatti con Franco negli ultimi tempi mi permettono riassumere e riferire all'E.V. le seguenti osservazioni: «Ripresa rapporti con Inghilterra ha prodotto grande soddisfazione nell'ambiente tradizionalista e specialmente nel settore di questo ambiente costituito dalla vecchia aristocrazia educata nel mito della potenza inglese. Questi vedono nell'interessamento britannico alle cose della Spagna Nazionale una garanzia del ristabilimento della monarchia e della reintegrazione della Spagna secondo il vecchio stampo colla conservazione degli antichi privilegi. Ma questo gruppo che salvo lodevoli eccezioni rappresenta il maggior contingente degli imboscati di oggi non avrà ~secondo ogni previsione ~voce in capitolo nella Spagna di domani.

Una diffusa diffidenza permane invece, in varia misura, negli ambienti della Falange presso i quali il nuovo atteggiamento inglese viene interpretato e ridotto nelle sue vere proporzioni, cioè come gesto di tornaconto economico attuale e di prudenza politica in vista del futuro. Si può affermare che nella Falange e in generale negli ambienti giovani difficilmente si potrà e si vorrà dimenticare l'ostilità e la perfidia inglese e ci si rende ben conto che la Gran Bretagna tenderebbe a rifare ~magari attraverso una soluzione di compromesso ~una Spagna debole e dilaniata dai partiti con un regime monarchico prono alla sua politica. Questo è l'ambiente e questi i sentimenti che sarà nostro interesse coltivare con ogni cura.

Bisogna altresì accennare alla favorevole reazione prodotta dal nuovo atteggiamento inglese negli ambienti industriali e commerciali che, pur respingendo ogni possibilità di nuovi orientamenti sentimentali verso l'Inghilterra, ammettono la necessità di accogliere l'intervento finanziario inglese per la ricostruzione economica della nuova Spagna.

Quanto alle disposizioni verso l'Inghilterra della ufficialità delle forze militari, è da notare che nell'Esercito, in generale, non vi è mai stato motivo di speciale ammirazione, né desiderio di imitazione della potenza e della tecnica militare inglese; simili sentimenti si orientavano piuttosto verso la Germania e la Francia; ora poi nell'ambiente dell'Esercito spagnolo è vivo il risentimento per l'ostilità britannica che ha in gran parte contribuito a ostacolare e a ritardare il successo militare dei Nazionali. Uguale risentimento predomina nella ufficialità di Marina presso la quale, per di più, è sempre vivo il ricordo della dimostrazione d'impotenza data dalla Home Fleet nel Mediterraneo contro l'Italia ed è in gran parte sfatato il credito della potenza e della tecnica marinara britannica. Su questo punto delle disposizioni d'animo della Marina spagnola verso l'Inghilterra desidero insistere

perché si tratta di una osservazione maturata attraverso varie e molteplici constatazioni e contatti e che può essere di grande interesse per noi nel futuro, ove ci adoperiamo a trame il maggiore profitto [sic.]. Quanto ho detto vale soprattutto per la parte più giovane dell'ufficialità spagnola che non ha legami col passato e che dovrà necessariamente formare la base dei quadri della Marina di domani, atteso che, com'è noto, quasi tutti gli ufficiali superiori sono stati trucidati all'inizio del movimento.

Tirando le somme, è lecito concludere che la maggioranza della Spagna Nazionale non ha ceduto al fascino dei recenti allettamenti inglesi o per lo meno li ha accolti colle più ampie riserve.

Non va poi dimenticato un altro importantissimo elemento col quale non ha contatti oggi l'Inghilterra, né, forse, gli stessi attuali dirigenti della politica del governo nazionale, coi quali l'Inghilterra ha creduto aver gettato le basi per il ristabilimento della sua antica influenza: questo elemento è costituito dai combattenti che domani, reduci dalle trincee, avranno da far sentire la loro voce e probabilmente non saranno disposti a ratificare in pieno situazioni create in loro assenza dalla 1< retroguardia».

Come esponente di questo elemento si delinea già la figura e l'autorità del valorosissimo generale Yagiie, comandante del Terc·io, nazionalista integrale, anti-inglese, del quale ho avuto occasione di riferire recenti dichiarazioni (telegramma riservato n. 3969/1497 del 23 febbraio 1937 XV1) 2•

Quanto al Generalissimo, che ritengo fondamentalmente onesto e leale, credo non vi sia da temere, nei suoi personali riguardi, possibilità di «sbandamenti». Egli naturalmente cerca di acquistare ogni possibile apporto alla vittoria epperò non ha rinunciato a una ripresa di contatti con l'Inghilterra. Ma si rende ben conto che il cosiddetto riconoscimento inglese è stato dato «col contagocce» e attraverso mille difficoltà e mercanteggiamenti: ancora oggi i famosi «agenti speciali» (si è negoziato per due mesi su questo appellativo) non sono insediati in territorio nazionale: in Inghilterra i Nazionali sono ancora chiamati rebels e vaste correnti ostili di quella opinione pubblica premono sul governo perché non faccia concessioni a Franco o se le fa, le ispiri a criteri di fredda e gretta speculazione politica o mercantile: è di ieri la risposta di Eden a un interpellante laburista ai Comuni colla quale precisa che lo scambio di Agenti non implica riconoscimento di sovranità. Nelle mie ultime conversazioni col Generalissimo ho constatato che tutte queste circostanze non gli erano sfuggite per quanto abbia avuto cura di ricordargliele e di ribadirle.

Franco insiste in una sua convinzione secondo la quale l'Inghilterra sarebbe sempre più preoccupata e assorbita da situazione in Estremo Oriente e perciò -a parte il perseguimento di vantaggi economici che ha voluto sin d'ora assicurarsi in Spagna mediante recente accordo -va disinteressandosi questione spagnola. Su questo punto (che probabilmente è una trovata dell'ineffabile duca d'Alba) ho creduto doverlo disingannare: anzitutto perché Inghilterra non può far nulla di concreto per mutare a suo favore situazione in Estremo Oriente a meno di non far la guerra al Giappone; poi perché questione spagnola è legata problema sua sicurez

za Mediterraneo e soprattutto è campo per azioni anti-italiane; quindi essa continuerà interessarsi alla Spagna tanto più quanto meno le sarà possibile svolgere con successo un'azione in Estremo Oriente. Inghilterra non può desiderare una Spagna bolscevica, ma ancor meno una Spagna nazionalista a regime autoritario.

Franco è particolarmente sensibile ad ogni argomentazione che adombri la possibilità di una Spagna riaggiogata al carro inglese. Ma soprattutto egli si professa sincero amico dell'Italia che chiama pubblicamente «la hermana predilecta» e nutre una sconfinata ammirazione e riconoscenza per il Duce. Poiché, come ho detto lo ritengo uomo d'onore, dovrei andare errato su questa premessa per dubitare della lealtà di tali proclamati sentimenti. Credo invece che sulla sua personale devozione per il Duce, si potrebbe sempre, all'occorrenza, far leva con certezza di risultato.

Ciò sia detto per quanto riguarda Franco. Ma egli è circondato troppo da vicino da persone che conservano la mentalità delle vecchie classi dirigenti spagnole, in parte massonica, in parte gesuitica, sempre tendenzialmente anglofila. E poiché il Generalissimo è per certi aspetti del suo carattere un ingenuo e un debole ed è quasi interamente assorbito dalla condotta della guerra, ne consegue che egli è esposto alle influenze di dette persone, le quali hanno assunto e accentrato in loro mani quasi senza controllo la direzione delle varie attività statali all'infuori della guerra: così, per la politica estera, ogni iniziativa è presa con indipendenza pressoché assoluta dal Sangroniz, persona scaltra ma di dubbia dirittura morale e completamente preso nell'orbita inglese. Questi, come altri fra i pochi e più immediati consiglieri di Franco, vanno ritenuti temibili agli effetti di possibili sbandamenti della politica del governo nazionale e vanno attentamente sorvegliati per ora, nella speranza che lo sviluppo degli eventi e il prevalere di nuovi e freschi elementi nella compagine statale ne facciano piazza pulita.

656 1 Vedi D. 539.

656 2 Non pubblicato.

657

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI

LETTERA PERSONALE 10148. Roma, 4 dicembre 1937.

Desidero richiamare la tua attenzione su una serie di fatti 1 . Alludo ai contatti di Baldur von Schirach con le formazioni giovanili francesi ed alle visite da lui organizzate in Francia2 , alludo al mancato contemporaneo riconoscimento del Manciukuò 3 che pure sembrava così vivamente auspicato dal Fiihrer, alludo all'i

frase, successivamente cancellata da Ciano: «che per quanto non presentino nessun carattere di contin gente gravità, possono, soprattutto se dovessero ripetersi o riprodursi, determinare delle incrinature nell'asse Roma-Berlino che mi sembra nostro dovere evitare. Questi fatti li avrai, senza dubbio, osser vati e registrati anche tu». 657 2 Vedi D. 416, nota l. 657 3 Vedi DD. 617 e 620.

nutile platonico scambio di visite combattentistiche franco-tedesche 4 , ed infine al recente sia pure innocuo incontro Delbos-Neurath alla stazione di Berlino 5 . Tu sai quale lealtà noi abbiamo messo a servizio dell'Asse. Se quanto è stato fatto dai Tedeschi -di cui non voglio comunque accentuare la gravità -fosse stato fatto da noi, sono certo che, gli amici della Wilhelmstrasse non avrebbero mancato di parlare di giri di walzer. Io non lo faccio: è bene però che la correttezza di rapporti sia reciproca 6 .

Non credo che sia per ora il caso di fare dei passi veri e propri, e forse nemmeno di far capire che abbiamo notato. È bene però vigilare. E forse, a qualcuno dei più sicuri lasciar intendere che certi deragliamenti degli ambienti politici meno ortodossi, che abbiamo identificato da un pezzo, non giovano certo nel settore cui loro tenderebbero e potrebbero invece, a lungo andare, creare dei malintesi con noi.

Tutto questo è naturalmente affidato alla tua sensibilità per la scelta della forma, delle persone e del momento.

657 1 Una prima stesura di questa lettera preparata dagli uffici di Gabinetto conteneva la seguente

658

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI,

LETTERA SEGRETA 10149. Roma, 4 dicembre 1937.

Ti prego di far pervenire personalmente al Presidente Gi:iring l'unita mia lettera strettamente «segreta».

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO PRUSSIANO, GÒRING

LETTERA PERSONALE SEGRETA. Roma. 4 dicembre 1937.

Riferendomi alle conversazioni che ebbero luogo a Palazzo Venezia lo scorso gennaio 1 desidero portare a Sua conoscenza quanto. in data di ieri, è stato deciso dal Duce in materia di armamenti navali.

Verranno subito impostate due nuove corazzate da 35.000 tonnellate. Con queste, saranno otto le nostre navi di linea. È stata inoltre decisa la costruzione di altri 12 incro

tenti tedeschi e il 24 ottobre millecinquecento ex-combattenti tedeschi avevano restituito la visita a Besançon. Sia l'ambasciatore Attolico (Telespr. 3261/1082 del 6 luglio), come l'ambasciatore Cerruti (Telespr. 7348/2637 del 25 ottobre) avevano fatto presente che tuttociò sembrava doversi porre nel quadro di una precisa direttiva politica tendente a migliorare i rapporti franco-tedeschi (i documenti succitati hanno il visto di Mussolini). 657 s Vedi il D. 648. 657 6 A partire da questo punto la lettera riproduce la mmuta autografa di Ciano. 658 1 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 109.

ciatori da 3.000 tonnellate, nonché quella di 16 nuovi sottomarini. Le grandi navi saranno pronte nel 1941. Gli incrociatori nella seconda metà del 1939. I sottomarini nella prima metà del 1939.

Di quanto precede non daremo notizia alla stampa. Per quanto concerne le grandi navi e forse gli incrociatori la cosa potrà venir mantenuta riservata sino all'inizio dei lavori. Per quanto riguarda invece i sottomarini manterremo, come abbiamo fatto c facciamo, il più assoluto riserbo.

Ho deliberato portare subito quanto precede a conoscenza Vostra, anche perché il Fiihrer ne sia informato, così com'è desiderio del Duce.

657 4 Il 4 luglio, oltre mille ex-combattenti francesi si erano recati a friburgo ospiti degli ex-combat

659

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 6113/2044. Berlino, 4 dicembre 1937 (per. il 16).

Ho avuto oggi notizia confidenzialissima dall'Auswiirtiges Amt dei punti principali del colloquio Eden-Ribbentrop di avantieri che riferisco brevemente, tanto più che frattanto V.E. avrà ricevuto in proposito notizie più ampie dall'ambasciata di Londra.

Questione coloniale. -Tanto la Francia quanto l'Inghilterra sono disposte ad iniziare lo studio «concreto» della questione. l risultati di questo studio (che, data la necessità di consultare anche i Dominii e gli altri interessati, potrà prendere da uno a due mesi) l'Inghilterra si riserva di comunicarli alla Germania appena possibile. L'Inghilterra riserva inoltre a sé sola di trattare con la Germania la questione anche a nome della Francia, e ciò per maggior semplicità di negoz~azwne.

Nessuna conclusione specifica è prevista, ma la buona volontà dell'Inghilterra è formalmente riaffermata. Questa buona volontà l'Inghilterra desidera che sia riconosciuta dalla Germania e che quindi questa si astenga da manifestazioni di stampa che non potrebbero che pregiudicare l'esito delle trattative.

Ribbentrop ha preso atto, dichiarando che avrebbe fatto presente questo desiderio al proprio governo. Nell'occasione, ha domandato anche quale fondamento avessero le voci messe in giro riguardanti l'Angola e il Congo belga. Eden ha per conto suo assicurato che non ne hanno alcuno.

Sicurezza europea. -Come contropartita alle concessioni coloniali che in principio esse si mostrano pronte a fare, Francia ed Inghilterra domanderebbero che la Germania acconsentisse ad accordi e misure suscettibili di portare ad una maggiore sicurezza e stabilità europea. Ribbentrop avrebbe interrotto, dicendo che per la Germania la questione coloniale è una questione di diritto. Al che Eden avrebbe scherzosamente replicato che la Germania non può ignorare che l'Inghilterra è una Nazione di shop keepers. È passato quindi ad esporre quali sarebbero secondo l'Inghilterra e la Francia gli elementi della maggiore sicurezza e stabilità desiderate.

Non è stato espressamente parlato, né di una nuova Locarno, né di conversazioni a quattro, ma anche questa volta l'idea eli un'intesa fra le quattro Potenze occidentali è rimasta, per così dire, nello sfondo di tutta la conversazione.

Limitazione degli armamenti. -Eden ha insistito, come già Halifax, sulla necessità che un qualche cosa in materia sia fatto e mentre ha sorvolato sugli elementi generali di un possibile accordo in merito ha insistito sopra due punti specifici:

l) Accordo aereo per il quale, egli ha detto, si potrebbe arrivare a restrizioni «qualitative» simili a quelle adottate nel campo navale (non mi risulta che sia stata riaffacciata in materia l'antica idea di patti triangolari).

2) Un accordo circa l'uso di bombe incendiarie ed asfissianti, secondo un'antica idea del Fiihrer che egli avrebbe ripetuto ad Halifax nell'evocazione che egli gli ha fatto di tutte le antiche proposte già da lui avanzate in materia di pacificazione europea.

Italia. -L'Inghilterra e la Francia si propongono di riprendere senz'altro le trattative con l'Italia per una chiarificazione dei loro rapporti reciproci soprattutto sulla questione mediterranea. l delegati francesi avrebbero opposto a questo un non possumus contingente, in vista dell'attuale stato delle relazioni di stampa franco-italiane e dell'asserita aggressività nostra contro la Francia. Essi si sarebbero però fatti convincere dall'Inghilterra essere necessario non perdere tempo.

Austria. -L'Inghilterra -ha detto Eden --è pronta a riconoscere che «una più intima unione fra Germania ed Austria» va considerata come possibile, sempre nel quadro, tuttavia, di soluzioni pacifiche.

Cecoslovacchia. -Inghilterra e Francia concordano nel ritenere che la situazione delle minoranze dei Sudeti in Cecoslovacchia merita un rimedio. Anche la Francia se ne è convinta e Delbos si è incaricato di lavorare a Praga in questo senso.

Nessuna parola della Russia. Questa assenza di informazioni sopra un punto eminentemente scabroso è interpretato qui come un segno relativamente buono. In fondo qui si ritiene che in questo momento anche la Francia, sotto il colpo degli avvenimenti russi, non sia disposta a mantenere alla sua alleanza coi sovieti tutta l'importanza originariamente attribuitale. Secondo l'espressione cara a questo ambasciatore di Francia, anche il Gabinetto di Parigi, subordinatamente peraltro a determinate condizioni, sarebbe disposto a mettere la lampada russa «en veilleuse».

Estremo Oriente. -Nulla è stato detto in proposito se non che tanto l'Inghilterra quanto la Francia si aspettano che anche la Germania voglia contribuire ad un'opera di pacificazione in quella parte del mondo.

Nessuna parola sulla S. d. N. nonostante che i ministri francesi abbiano, come sembra risultare ai tedeschi, indubbiamente insistito nelle loro conversazioni londinesi, sull'argomento.

In complesso, le impressioni conversazione Eden-Ribbentrop non sono qui considerate con sfavore. Si riconosce peraltro essere necessario un estremo riserbo, in attesa di vedere se e quali proposte concrete saranno a suo tempo avanzate e se il desiderio di una soverchia «globalità» non finirà con il frustrare gli obbiettivi da raggmngere.

Pregherei considerare le informazioni di cui sopra come riservatissime anche nei confronti del mio collega di Germania.

660

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1946/984. Lisbona, 4 dicembre 19 3 7 (per. il l O).

Mio telegramma n. 279 in data 29 novembre u.s. 1 .

Anche nella pubblicazione dell'accordo concernente l'invio della missione britannica in Portogallo, il governo inglese ha in qualche modo nuovamente forzato la mano a questo governo. Mi risulta infatti dalle conversazioni da me avute in quello stesso giorno con il Segretario Generale del ministero degli Affari Esteri che, mentre un accordo di massima era già stato raggiunto circa l'epoca (e di ciò era già trapelata notizia, come ho avuto l'onore di segnalare, anche attraverso la stampa), nulla era stato ancora deciso circa la pubblicazione. Il governo portoghese non concordò dal canto suo nella decisione che dopo aver avuto notizia delle dichiarazioni Cranborne2 in argomento alla Camera dei Comuni nello stesso giorno 29 ed ignorava che stessero per avvenire.

In quello stesso giorno, ebbi anche una lunga conversazione con questo ministro di Germania. Nello scambio di notizie ed impressioni egli mi confermò le dichiarazioni fatte a lui come a me da questo governo in argomento, sin dal primo propalarsi della notizia e che successivamente ho avuto l'onore di riferire. Aggiunse risultare anche a lui in modo sicuro che non solo la prima proposta era stata fatta dal governo di Londra a Monteiro, ma che l'ambasciatore del Portogallo in Londra, nel trasmetterla con parere favorevole a Lisbona, aveva anche inviato un esame più generale delle relazioni anglo-lusitane ed un piano secondo il suo punto di vista per rialzarle al loro antico livello. Vi fu una risposta preliminare e temporeggiatrice di Lisbona, che non avvenne senza difficoltà. Il ministro di Germania ha parlato di ostilità netta che ha definito «ribellione» da parte del Segretario Generale del ministero degli Affari Esteri, ambasciatore Teixeira de Sampaio, al progetto di invio della missione militare. Londra approfittò della risposta per spingere innanzi le cose il più possibile. Ma le trattive non proseguivano con la rapidità voluta da quel governo. Avvenne allora com'è noto, l'indiscrezione sulla stampa inglese. In primo tempo questa ritardò l'invio della missione, ma ottenne l'effetto sensazionale ed il suo primo scopo di gettare sospetto sull'attitudine generale del governo portoghese. Infine questo dovette accettare la visita da lungo tempo (si era parlato di tre mesi ed ora si parla di sei) in trattativa.

Abbiamo successivamente parlato degli scopi, della composizione, e dei prevedibili risultati della missione. A parte l'esame tecnico che sarà fatto dagli esperti militari è evidente, grosso modo, che lo scopo della missione è stabilire precisi accordi militari in caso di conflitto. Il Portogallo non può dare attualmente contributo militare positivo che possa interessare veramente l'Inghilterra. Vale la pena di ricordare che durante la Grande Guerra, se l'Inghilterra fece tutto il possibile af

aveva annunciato l'arrivo --nel febbraio 1938 --di una missione militare britannica. 660 2 Vedi D. 647, nota l.

771 finché il Portogallo fosse al suo fianco, tentò anche in tutti i modi di evitare che partecipasse effettivamente con un corpo di spedizione. Anche qui ed anche allora sbagliò in tale tentativo, poiché non tenne conto del fattore morale del popolo con cui aveva a che fare, anche se nel giudicare il valore del contributo militare non poteva esservi dubbio. Sta di fatto ad ogni modo che le possibilità, militari portoghesi non sono sostanzialmente mutate da quel tempo. Ciò che l'Inghilterra voleva allora e vuoi oggi più che mai sono le magnifiche basi atlantiche che il Portogallo può offrirle nel territorio metropolitano, continente ed isole, nel territorio africano, continente ed isole, ed infine nei possedimenti in Estremo Oriente. Via alternativa per l'Impero britannico quando quella mediterranea fosse minacciata, punto importantissimo in M~cao nel conflitto in atto.

La compDsizione della missione britannica è scesa di tono. Si parla oggi ufficialmente di un contrammiraglio comandante, Norman Wodehouse, (ciò che indica chiaramente le preoccupazioni navali preponderanti in relazione agli scopi da raggiungere) e di ufficiali minori. È con ogni probabilità una concessione alle esigenze portoghesi. La composizione secondo le prime previsioni avrebbe potuto apparire una presa di possesso e di comando in Portogallo che non poteva non urtare la suscettibilità di questo Paese, la quale in questo campo può ancora riservare qualche altra sorpresa. Dal canto suo, il ministro di Germania si poneva domande precise, che sono interessanti anche rispetto l'attività tedesca intensissima in questo Paese, circa gli scopi e i risultati prevedibili della missione inglese. Vorrà essa imporre forniture britanniche? Ciò quadrerebbe male con la situazione. Tutti stiamo vendendo o tentando di vendere armi. Vuole limitare tale situazione e ristabilire il grasso monopolio di un tempo? Anche se l'Inghilterra fosse in grado di farlo con i sistemi portoghesi, nonostante la riconosciuta influenza britannica in questo Paese, avrebbe molto da fare. Restano i compiti più ampi, quelli che saranno più presumibilmente i veri scopi della missione. Potranno esservi accordi e precisazioni di collaborazione certamente utili. Ma se si vorrà arrivare ad un lavoro effettivo di preparazione di basi, ogni passo da intraprendere costerà somme ingenti. Il ministro di Germania riteneva che, né il Portogallo., né l'Inghilterra sono disposti a spenderle, Sono d'accordo per il Portogallo sino ad un certo punto, lo sono meno per l'Inghilterra. Non mi sembra sia da escludere che trattandosi di un suo interesse vitale questa, pur non intraprendendo immediatamente un programma massimo, possa essere disposta a rilevanti sacrifici finanziari pur di cominciare l'apprestamento di alcune località specialmente importanti.

Il ministro di Germania prevedeva anche la possibilità di una reazione contraria in questi ambienti militari cui io stesso ho già ripetutamente accennato. Va rilevato a questo proposito che l'anglofilia e l'influenza inglesi sono molto più sensibili nella marina che non nell'esercito portoghesi. In conclusione lo stesso ministro pensava che di fatto i risultati della missione non potranno essere di una efficacia pratica essenziale, mentre dal punto di vista dell'attitudine e degli orientamenti esterni del Portogallo non sembra prevedibile che Salazar voglia dipartirsi dalla linea tenuta sinora con abilità e dignità nella difficile situazione determinata dal conflitto tra la politica britannica e la propria nei riguardi del conflitto in Spagna.

Che almeno su quest'ultimo punto il governo tedesco non fosse così sicuro lo dimostra il passo compiuto successivamente e di cui al mio telegramma n. 283 in data 3 corrente 3 . La risposta data al governo tedesco ed a noi contemporaneamente comunicata che l'attitudine portoghese nella questione di Spagna rimane immutata mi pare che possa essere registrata come caposaldo della situazione. Credo infatti che sino a prova in contrario debba farsi fede a Salazar per la sincerità di tale dichiarazione che corrisponde alla linea politica da lui tenuta sinora. Tanto più che con l'evolversi in questi ultimi tempi dell'atteggiamento britannico verso il governo nazionale di Spagna i punti di divergenza e di attrito tendono a diminuire. È presumibile che la pressione britannica verso il Portogallo oggi così visibilmente in atto evolva anch'essa mirando ora non più tanto ad una modificazione dell'atteggiamento portoghese verso il governo di Franco, quanto ad un inquadramento ai propri fini di tale politica.

Credo che valga la pena di ricordare ancora una volta che il punto nevralgico su cui ampiamente l'Inghilterra gioca nella sua attuale azione in Portogallo è la questione coloniale. È di questi giorni la violenta reazione di questa stampa alle nuove voci accreditate specialmente dalla stampa inglese su un progetto di sfruttamento del Congo Belga e dell'Angola da parte della Germania. Mi riferisco in proposito al telegramma Stefani speciale n. 323 in data 3 corrente, ed invio separatamente i ritagli di questa stampa. Se rispondeva verità la notizia oggi pubblicata da questi giornali di un passo dell'ambasciata tedesca a Londra, per ripetere le dichiarazioni già fatte a suo tempo da Hitler che la Germania non pretende colonie dai Paesi che non detengono le antiche colonie tedesche, viene fatto di pensare che ciò possa essere in qualche modo la contropartita alle dichiarazioni Salazar circa l'atteggiamento nella questione di Spagna. Giova notare che per quanto gradita nessuna assicurazione circa le colonie varrà mai a rassicurare completamente questo governo. Ciò dipende essenzialmente dallo stato dei fatti. Il Portogallo non ha la possibilità di difendere esso stesso i suoi vasti possedimenti coloniali. Se ciò è il cardine necessario della sua alleanza con l'Inghilterra, il lato drammatico di tale situazione è che neppure dell'Inghilterra si fida completamente, ed in verità non gli mancano precedenti storici per alimentare i suoi dubbi.

È anche da notare che le conversazioni anglo-tedesche e franco-britanniche di questi giorni non sono fatte in generale per rassicurare il governo portoghese. A proposito delle prime il Segretario Generale del ministero degli Affari Esteri mi ha detto con amarezza che non aveva alcun particolare: il segreto era stato ben conservato.

Tutti questi elementi, uniti all'altro già segnalato che il Portogallo comincia a preoccuparsi di quella che sarà la situazione in Spagna dopo la vittoria di Franco, fanno prevedere che questo governo verrà a cercare sempre maggiormente una politica di equilibrio tra l'alleanza con l'Inghilterra ed i suoi interessi peninsulari. Circa l'alleanza occorre notare che nonostante le interpretazioni ed affermazioni contrarie di parte inglese, Salazar, attraverso i momenti di dissidio quasi aperto degli ultimi mesi, l'ha per primo, nella successione dei dirigenti politici portoghesi, portata ad un piede di parità reciproca, condizionandola agli inderogabili interessi

773 del suo Paese, con il linguaggio sconosciuto alle orecchie britanniche, e sottraendola infine all'asservimento assoluto portoghese, che era stato la regola di molti anni. Anche se ciò è stato fatto con gli accorgimenti e con la cautela caratteristici dell'uomo. Non è improbabile che i legami tra Inghilterra e Portogallo siano per riserrarsi ed è anzi prevedibile sulla linea che ho esposto. Ma ciò non potrà avvenire, nel quadro del risveglio nazionale voluto da Salazar, che su un piede di parità, di do ut des assolutamente nuovo nell'alleanza stessa, e lontano dal coincidere con le esatte mire della politica britannica in proposito.

D'altra parte, è evidente che nessuno sforzo sarà trascurato dall'Inghilterra per ricondurre il Portogallo alla condizione di fedele e sottomesso alleato. Occorre prevedere che all'attività dell'ambasciatore Monteiro in Londra corrisponderà tra breve quella del nuovo ambasciatore britannico in Lisbona, che è atteso per il 14 corrente. Ho già avuto l'onore di riferire a V.E. in quali condizioni è avvenuto il cambio del titolare dell'ambasciata britannica in Lisbona ed il significato che ad esso è stato generalmente attribuito: malcontento del governo britannico per le attitudini indipendenti del governo portoghese. l precedenti di sir Walford Selby sono noti. È un uomo-di indubbia abilità ed attività, ed io stesso ho avuto campo di osservarle per oltre tre anni in Londra quando Selby era Private Secretary di successivi ministri degli Affari Esteri inglesi. Quali che siano le ragioni che hanno fatto cadere su di lui la scelta del suo governo (è noto a V.E. che è stato accennato anche alle simpatie di Selby per il duca di Windsor che avrebbero determinato il suo allontanamento da Vienna: promoveatur ut amoveatur) mi sembra indubbio, per la conoscenza che ho dell'uomo che egli cercherà in Lisbona un successo quanto più rapido possibile, così come Monteiro lo cerca in Londra. Non mancherò dal canto mio di seguirne l'attività in ogni modo possibile.

Nella situazione che ho cercato di descrivere il pericolo possibile è che possa avvenire una rottura di quella specie di equilibrio che esiste nella politica esterna del Portogallo fra le difficoltà contrastanti, e specialmente nel diminuire di tali contrasti [sic].

A mio subordinato avviso uno dei nostri intenti nei riguardi di questo Paese dovrebbe quindi consistere nel sorvegliare e se necessario agire affinché esso non si presti eventualmente negli assestamenti prevedibili della politica generale ad atteggiamenti od attività, specialmente nei riguardi della Spagna, che possano contrastare con i nostri interessi.

660 1 T. 8081/279 R. del 29 novembre. Riferiva che il Segretario Generale del ministero degli Esteri gli

660 3 T. 8158/283 R. del 3 dicembre. Riferiva che il governo tedesco aveva compiuto un passo presso quello portoghese «domandando come dovesse essere considerato l'invio di una missione militare britannica in relazione all'attitudine portoghese nella questione spagnola». Salazar aveva ordinato di rispondere che l'atteggiamento del Portogallo restava immutato ed aveva disposto di dare immediata comunicazione di tale risposta anche al governo italiano.

661

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8187/285 R. Lisbona, 5 dicembre 1937, ore 0,25 (per. ore 7).

Telegramma di V.E. 148 1 .

Ho fatto oggi stesso passo presso Segretario Generale del ministero degli Affari Esteri.

Questi mi ha detto che stava egli stesso per convocarmi per comunicarmi che colloqui ministro portoghese in Tangeri 2 con Franco avevano dato buoni risultati e che un accordo poteva considerarsi raggiunto per sistemare rappresentanze fra i due Stati in modo più soddisfacente. Governo portoghese procederà alla nomina di un rappresentante presso Franco, scelto in modo che sua personalità indichi alto rango missione. Analoga nomina avverrà da parte del generale Franco nei riguardi Portogallo. Due rappresentanti non avranno titolo di ambasciatore ma di «inviati speciali» e godranno di tutti i privilegi diplomatici.

Al suggerimento preciso circa riconoscimento formale da me fatto secondo le istruzioni di V.E. e alle ragioni da cui era appoggiato, ha risposto che governo portoghese si rendeva esatto conto delle ragioni stesse e che lo scambio inviati speciali rappresenterà in sostanza qualche cosa di più che un semplice riconoscimento di fatto in quanto che pubblicazione provvedimento sarà accompagnata da motivo che «invio di speciale rappresentante corrisponde ai grandi interessi portoghesi in Spagna ed ai sentimenti amicizia governo portoghese verso quello spagnolo». Nel corso della conversazione ha aggiunto che ciò rappresentava tappa decisiva verso riconoscimento de jure (benché in verità poco manchi anche a questo, dati i termini dell'accordo cui governo portoghese aveva potuto arrivare e, che del resto, lo stesso generale Franco ne sembrava molto soddisfatto).

A mia domanda circa persona inviato speciale, ha risposto che vi era soltanto una lista di candidati. In relazione segnalazione da Salamanca, ritengo che non sia da escludersi che Ramirez, ex-ministro Commercio e personalmente molto legato a Salazar, possa essere uno dei più quotati candidati. Infine, in via confidenziale mi ha detto che pubblicazione accordo avverrà a breve scadenza, probabilmente fra due o tre giorni.

661 l Vedi D. 652.

662

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8193/516 R. Shanghai. 5 dicembre 1937, ore 2,10 (per. ore 4.40 del 6).

Prevedendo che governo di Nanchino si sciolga e che Chiang Kai-shek non voglia o non possa negoziare la pace con Giappone, composizione governo autonomo cinese settentrionale 1 potrebbe essere modificato nel senso escludere preponderante partito nordista e influenza dinastia mancese chiamandone a farne parte uomini di Stato ben accetti provenienti anche da Province della Cina centrale e meridionale. Si avrebbe così a Pechino governo non esclusivamente nordista che potrebbe prendere successione di quello di Nanchino. Sembra che Giappone sia

662 l Costituito ufficialmente a Pechino il 14 dicembre successivo.

disposto a seguire questo nuovo orientamento purché governo dia assoluta garanzia di cooperazione economica col Giappone e cooperazione anticomintern. Questo atteggiamento nipponico verrebbe anche a confermare che Giappone non ha alcuna ambizione territoriale su Cina settentrionale.

661 2 Gastào de Santiago Barjona de Freitas.

663

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 1980/470 R. Roma, 5 dicembre 1937, ore 1,30 ..

Cora telegrafa quanto segue 1: «Governo cinese comunica oggi a corpo diplomatico che in principio accettato buoni uffici (ripeto buoni uffici) offerti dalla Germania».

V.E. si informi per conoscere quanto c'è di esatto nella sopracitata comunicazione. Se la cosa risponde a verità, faccia conoscere a codesto governo che naturalmente noi desideriamo partecipare alla mediazione così com'è stato inizialmente inteso2 .

664

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8194/515 R. Shanghai, 5 dicembre 1937, ore 10 (per. ore 5 del 6 ).

Scaroni ha ricevuto ieri lettera con la quale Commissione aeronautica cinese, dopo aver ringraziato per servizi resi dalla missione italiana al governo cinese, conclude che è impossibile avvalersi più oltre della cooperazione missione aeronautica italiana nelle attuali circostanze e che è non consigliabile personale missione stessa esporsi ai rischi e disagi che «dovremmo affrontare». Pertanto Commissione ritiene che sia migliore cosa che missione aeronautica italiana parta ritornando in Italia e «ci adopreremo per facilitare viaggio e liquidare spese inerenti».

Generale Scaroni salvo ordini contrari di V.E. partirà per Italia con tutto personale missione aeronautica col primo mezzo. Latore lettera a nome Commissione ha espresso profondo rammarico per allontanamento missione aeronautica1•

663 2 Questo telegramma fu ritrasmesso a Tokio con la seguente aggiunta: «V.E. si adoperi per far fin da ora capire a codesto governo che il Giappone ha tutto l'mteresse a che alla mediazione partecipi anche l'Italia. Riteniamo pertanto che Tokio dovrebbe non aderire ad un eventuale progetto di media zione senza l'Italia (T. 1981/289 R. del 5 dicembre. La minuta del telegramma è autografa di Ciano). Per il seguito. si veda il D. 665 da Berlino e, da Tokio, il D. 671. 664 l L'ambasciatore Cora aggiungeva a questo proposito (T. 8210/519 R. del 12 dicembre) «che la signora Chiang Kai-shek aveva sempre detto al generale Scaroni che l'eventuale riconoscimento del Manciukuò avrebbe determinato la cessazione del servizio della missione italiana».

663 l Vedi D. 646.

665

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8211/450 R. Berlino, 6 dicembre 1937, ore 21,39 (per. ore 24).

Telegramma di V.E. n. 470 cinque corrente 1 .

Sono andato subito da Nreurath il quale mi ha detto che notizia telegrafata da Shanghai non è esatta. Quattro giorni fa ambasciatore di Germania in Cina si è recato (non ho capito bene se di sua iniziativa oppure su istruzioni suo governo) da Chiang Kai-shek per parlare della situazione generale, nell'occasione informandolo delle comunicazioni a suo tempo fatte governo giapponese rappresentanti tedesco e italiano (mio telespresso 11 novembre u.s. n. 1779)2. Chiang Kai-shek ha ringraziato dell'informazione ma nello stesso tempo ha dichiarato che egli non era pronto fare proposta di alcuna natura. Sopra questa base sono state messe in circolazione (e Neurath crede di vedere in questo zampino inglese) le voci più disparate.

Neurath continua escludere nel modo più preciso ogni intenzione di «mediazione», dicendo fra l'altro che, date le esigenze dei militari giapponesi, un'opera di mediazione sarebbe destinata a sicuro fallimento. Non crede nemmeno sia il caso di una offerta vera e propria di «buoni uffici» ma, al caso, soltanto farsi tramite e ~per così dire ~portavoce di intenzioni pacifiche che vi fossero dalle due parti. Egli ha riconosciuto che in ogni caso Italia non potrebbe non essere partecipe a quell'importante lavoro diplomatico che si potesse rendere possibile in materia, e ciò soprattutto sotto forma di azione concertata e, per così dire, «combinata», ciascuno agendo sopra il Paese nel quale ritiene avere maggiore presa.

Ho pregato Neurath di raccomandare ai propri rappresentanti Cina un maggiore contatto con i nostri 3 .

666

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8:;!58/083 R. Praga, 6 dicembre 19 3 7 (per. il 9).

Il pellegrinaggio Delbos è seguito di qui con vantata fiducia nella rinascita di affievolite speranze. Si capisce che è soprattutto Praga, se non solamente Pra

665 2 Riferiva che l'ambasciatore giapponese a Berlino, Mushakoji, gli aveva confermato la disponibilità del suo governo a utilizzare i buoni uffici della Germania e dell'Italia in un eventuale negoziato con la Cina. 665 3 Questo telegramma veniva ritrasmesso con T. 19538/312 P.R. del 12 dicembre all'ambasciata a Shanghai. L'ambasciatore Cora rispondeva (T. 8489/549 R. del 17 dicembre) confermando le sue infor mazioni precedenti ed osservando che appariva difficile credere che -come aveva affermato von Neu rath -l'ambasciatore tedesco si fosse recato da Chiang Kai-shek solo per intrattenerlo sulla situazione generale. Ad ogni modo, rilevava l'ambasciatore Cora, l'iniziativa tedesca era stata effettuata in un momento sbagliato e si era risolta «in una manifestazione platonica».

ga, che si felicita dell'ambita visita del ministro degli Affari Esteri di Francia e Praga, in onore di Delbos vorrebbe anche far brillare la indefettibile fedeltà di tutti gli alleati ed amici che il ministro francese va visitando. Incominciando da Varsavia, si afferma in questi ambienti politici che la Polonia: l) desidera regolare i suoi rapporti con l'estero indipendentemente dalla Francia, pronta tuttavia in conformità ai trattati ed in caso di guerra a prestarle assistenza; 2) non è disposta a rinunziare a Danzica e si opporrebbe ad un Putsch nazionalsocialista; 3) nonostante i suoi contrasti con la Cecoslovacchia si oppone all'espansione tedesca nell'Europa Centrale e perciò aderisce pienamente al punto di vista francese circa l'intangibilità della Cecoslovacchia e dell'Austria prendendo o ve del caso posizione in tal senso.

Mi sono intrattenuto al riguardo con questo ministro di Polonia il quale rilevava essere il primo punto di pleonastica evidenza, nessuno potendo mettere in dubbio la volontà e il diritto della Polonia di fare una politica indipendente, così verso la Francia accordandosi colla Germania, che verso la Germania dichiarando alla Francia, come in occasione del riarmo della Renania, di non deflettere dai suoi impegni. Non vi è dubbio però, mi aggiungeva il signor Papée, che i legami franco-sovietici indeboliscono l'amicizia della Polonia per la Francia e il signor Delbos farà bene a non toccare questo tasto con il signor Beck.

Quanto a Danzica -diceva il collega polacco -Varsavia non ha nulla da dire a Delbos; il governo polacco infatti non ha niente da cambiare in materia. Anche il recente Trattato tedesco-polacco sulle minoranze 1 contiene una clausola con cui la Germania riafferma il rispetto dell'attuale situazione della Città Libera di Danzica.

Circa il terzo punto suaccennato, bisogna ammettere che la Polonia non può essere entusiasta di una dilagante espansione, germanica in Europa Centrale; vi sono punti di arrivo ove la mire tedesche si scontrano con quelle polacche, per esempio in Slovacchia che le tendenze naziste includono nel futuro mondo germanico e che la Polonia vuole indipendente e cioè sotto la sua influenza. Praga però si illude o finge di illudersi quando ne deduce che la Polonia si fa paladina dell'integrità della Cecoslovacchia.

Questo ministro di Polonia mi diceva che, dopo quanto è ben noto a Parigi delle disposizioni di Varsavia verso il governo di Praga, Delbos dovrebbe verosimilmente astenersi dall'intervenire nei rapporti ceco-polacchi, rapporti che il ministro Beck intende debbano essere regolati direttamente; che ove il ministro degli Esteri di Francia facesse qualche tentativo del genere, l'accoglienza non sarebbe favorevole.

Del resto, il governo cecoslovacco non si fa ormai illusione in proposito e, venuti meno tutti gli espedienti diretti ed indiretti per giungere ad un accordo sulla carta con la Polonia, seguendo la più recente linea di condotta rivolta in presenza del crescente pericolo a smussare gli angoli con i vicini (Germania, Ungheria, Polonia), si mostra disposto a fare delle concessioni a favore della minoranza polacca.

Recentemente il presidente del Consiglio, Hodza, dava pubblico affidamento che il liceo polacco di Orlova diventerebbe dal primo gennaio p.v. istituzione di Stato, com'è da tempo nei voti della popolazione polacca. Una tangibile moderazione è apportata nell'applicazione della legge sulla difesa dello Stato: parecchi ferrovieri appartenenti alla minoranza polacca, i quali erano stati allontanati dalla Slesia, sono autorizzati a ritornarvi. Si aggiungono i formali affidamenti dati da Bencs e da Hodza circa la proporzionalità da adottarsi nella distribuzione degli impieghi a seconda del quoziente minoritario.

Ciò mostra -mi diceva Papée -un principio di buona volontà che potrebbe dar luogo ad una distensione se i fatti seguissero le parole. Ma la verità, come è noto, è un'altra, i polacchi odiano i cechi irrimediabilmente e, a meno di avvenimenti imprevedibili, Varsavia non si abbraccerà mai con Praga quali che siano le concessioni che questa possa fare. Beck assai recentemente diceva che, ove dovessero scomparire tutte le ragioni di attrito a causa del problema minoritario, non gli mancherebbe modo per trovare nuovi argomenti atti a mantenere vivo l'antagonismo contro i cechi.

665 l Vedi D. 663.

666 l Dichiarazione congiunta polacco-tedesca su le minoranze del 5 novembre 1937 (testo in DDT, serie D. vol. V, D. 18).

667

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8317/787 R. Salamanca, 6 dicembre 19 3 7 (per. l'll).

Riferendomi al telegramma segreto dell'E.V. n. 783 in data del 9 novembre scorso 1 ed a quanto in esso prescrittomi circa mantenimento stretto contatto con questo mio collega Germania di fronte azione inglese in !spagna mi è doveroso far nota a V.E. mia sensazione -maturatasi attraverso alcune recenti esperienze che alla mia cura di mantenere uniformità linea condotta non corrisponda altrettanta sollecitudine da parte collega tedesco. Ciò specialmente per quanto concerne argomento dei rapporti anglo-spagnoli, circa il quale ho finora trovato il predetto collega alquanto evasivo.

Non intendo drammatizzare; ma poiché sotto molti altri aspetti egli si dimostra con me premuroso e cordiale, mi domando se trattasi della manifestazione di una suaforma mentis (viene dal Cairo ove è stato dieci anni) oppure se gli facciano difetto istruzioni da Berlino, o se queste non siano altrettanto precise ed esplicite di quelle che tengo dall'E.V. 2 .

667 l Vedi D. 539. 667 2 Questo telegramma fu ritrasmesso all'ambasciata a Berlino con T. per corriere 19725 P.R. del 14 dicembre e con la seguente aggiunta: «Alla prima occasione attiri opportunamente l'attenzione di codesto governo su quanto precede, in modo che l'azione dell'ambasciatore di Germania a Salamanca venga meglio intonata alla politica dei nostri due Paesi». L'ambasciatore Attolico rispondeva con T. per corriere 8476/0142 R. del 16 dicembre di avere subito effettuato il passo prescrittogli in un colloquio con il Sottosegretario di Stato von Mackensen.

668

IL MINISTRO A PRAGA, DE F ACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2008/1284. Praga, 6 dicembre 1937 (per. il 9 ).

Ho avuto più volte occasione di riferire, in particolare con i telespressi

n. 1769/1173 del23 dicembre 1936 1 e n. 260/182 del24 febbraio u.s. 2 circa l'azione spiegata dalla politica inglese nei riguardi della Cecoslovacchia e specialmente in merito alla questione ceco-tedesca.

Uno dei luoghi comuni del pacifismo britannico è stato e sembra permanga quello dello status quo nell'Europa Centrale. E poiché la questione che più lo mette in pericolo è l'antagonismo fra Praga e Berlino a riguardo dei tedeschi di Boemia, Londra va da un pezzo esperimentando il sistema del cerchio e della botte chiedendo cioè alla Germania il rispetto dell'integrità territoriale cecoslovacca e insistendo, talvolta con la persuasione, talvolta con l'intimidazione, presso il governo centralista di Praga perché si decida a reali concessioni alla minoranza tedesca e cioè alla Germania.

Tutto starebbe ora a mostrare che una tale linea di condotta rimane immutata dopo le recenti conversazioni fra Londra e Berlino e Londra e Parigi. L'Inghilterra ha proclamato la sua identità di vedute con la Francia per quanto concerne i problemi dell'Europa Centrale e Orientale e qui si è scritto che Delbos verrà ad esaminare -in nome dei governi francese ed inglese -tutte le possibilità per un accordo con la Germania. Contemporaneamente in Inghilterra si risollevava il problema della minoranza tedesca in Cecoslovacchia e si emettono consigli per una confacente sistemazione della questione.

Indice della tendenza intesa a spingere la Cecoslovacchia verso la via delle concessioni sono i due articoli apparsi sul Times del 29 novembre u.s. e del 2 corrente. Con l'editoriale del 29 novembre, dedicato alla visita dei ministri francesi, si fa tra l'altro intendere che la Cecoslovacchia ha una certa «responsabilità nell'attuale stato di cose e perciò l'obbligo di discutere le condizioni alle quali, per mutuo consenso, lo statuto della grande minoranza tedesca potrebbe essere reso compatibile con le buone relazioni col Reich», che «un regolamento fatto senza la Germania e mantenuto contro di essa non può diventare permanente per esclusiva decisione della Francia e della Russia», che «la buona volontà del Reich è indispensabile alla sicurezza della Cecoslovacchia». Il Tùnes dice chiaramente che i cechi -come del resto anche i tedeschi e anche l'Impero britannico -devono fare concessioni. Il secondo articolo ha esaminato ancora più specificamente la questione minoritaria tedesca ed ha suscitato una risposta polemica dell'ufficiosa Prager Presse che qualifica l'articolo stesso come un evidente miscuglio di argomenti presi a fonti diversamente interessate.

Del resto le pubblicazioni del Times hanno sollevato viva reazione e proteste in questa stampa e anche in parlamento, per quanto questo ministro degli Esteri mostri di non preoccuparsene soverchiamente «dato che ~ egli mi diceva ~ il Tùnes non rispecchia l'opinione del governo britannico».

Comunque, il timore di perdere la taumaturgica protezione inglese ha determinato un serio nervosismo in questa gente, che se si scaglia contro coloro che «incoraggiano il pangermanismo nazista e henleiniano rendendo uno strano servizio alla pace», è costretta ad ascoltare il verbo di Londra che in questi giorni ha assunto carattere pressoché assillante.

Questo ministro d'Inghilterra moltiplica i colloqui diretti con Benes il quale sembra si dibatta nella camicia di Nesso e intanto sfoggia a mezzo della stampa ufficiosa ditirambi a Delbos, attesissimo in tali frangenti, e alle Grandi Democrazie detentrici «della vera potenza».

Londra preme ma con la Francia tiene mano: da alcuni giorni trovasi qui un pezzo grosso del War Office, il colonnello Arnold, capo dell'Ufficio Informazioni, con altri ufficiali in visita di ricognizione presso queste fabbriche d'armi (mio telespresso pari data n. 2009/1285)3 . Fra giorni poi sarà qui una missione militare francese con a capo il generale Mittelhauser per rendersi esatto conto della situazione militare in Cecoslovacchia con speciale riguardo ai lavori di fortificazioni pei quali Praga ha chiesto alla Francia qualche miliardo di aiuto. E l' 11 corrente giungerà anche una missione militare jugoslava con a capo il Capo di S.M. di quell'esercito.

668 1 Segnalava che l'intensificarsi del revisionismo cd il cre:;cente dinamismo tedesco stavano spingendo la Gran Bretagna ad una maggiore presenza nell'Europa Orientale e la Francia a cercare più stretti vincoli con i Paesi tradizionalmente legati alla politica francese. 668 2 Attirava l'attenzione su la «doppia attività» del governo britannico che, mentre faceva presente a Berlino di annettere profondo interesse al mantenimento dello statu qua nell'Europa Orientale, agiva sugli uomini responsabili cecoslovacchi perché trovassero una soluzione al problema dei sudeti, aprendo così la strada ad un riavvicinamento con Berlino. Il documento ha il visto di Mussolini.

669

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8219/583 R. Tokio, 7 dicembre 1937, ore 3,40 (per. ore 5,15 ).

Telegramma di V.E. n. 282 1 .

Mio telegramma n. 5592 .

In prossima conversazione Hirota, porrò netta questione e gli lascerò appunto confidenziale per sua labile memoria.

Questione aveva già attirato mia massima attenzione. Un nuovo ordine di cose non solo politiche ma anche economiche è per istaurarsi in Manciuria e Nord Cina, soprattutto in quest'ultima regione. Già se ne discute riservatamente e già affiorano anche interessi altri Stati. Germania ha fortissime e antiche posizioni; America con sue enormi riserve di capitali non si terrà certamente da parte; Inghilterra e Francia si agitano preoccupate e quest'ultima ha già inviato qui un consigliere Commercio Estero certo signor Pinello. Programma francese tenderebbe controbilanciare crescente influenza economica tedesca nel Manciukuò mediante costituzione di una grande società franco-giapponese con capitale 500 milioni yen di cui 51 per cento

669 l Vedi D. 640. 669 2 Vedi D. 632.

sarebbe stato versato da grande gruppo finanziario giapponese e restante 49 per cento banca francese che vuole dire praticamente governo.

Segnalo anche partenza francese Audoyer, il quale commercia in seta a Y okohama e già presidente di quella Camera di commercio francese è partito tre settimane or sono per la Francia allo scopo prendere accordi con quel Paese.

Predetto Pinello è già in contatto col noto Matsuoka, fino poco fa presidente South Manciuria Railway e pars magna in questione economica in Manciuria e Nord Cina. Pinello ha inoltre organizzato Tokio una «Società Intercontinentale di Scambi» per commercio prodotti franco-giapponesi. Aggiungo che studio per sfruttamento economico Nord Cina è stato già iniziato cd anzi a quanto pare può dirsi quasi sompletato specie per quanto riguarda ammissione partecipazione capitali stranieri.

È mia convinzione che se nostro Paese non prende tempestivamente piede in Manciuria e Nord Cina, e soprattutto in quest'ultima, rischiamo vederci preclusa via per l'avvenire da concorrenti ed avversari stranieri. Richiamo su tale argomento importante telegramma di Cortese n. 82 in data 21 novembre3 che ho pregato Cortese inviare per conoscenza a V.E. Da esso risulta che un invito collaborazione capitale italiano è stato già fatto a quel rappresentante Fiat. Credo necessario non !asciarci sfuggire occasione anche perché scarso affidamento può farsi in questa materia su possibile aiuto da parte ministro Affari Esteri Giappone, a nostro progetto e su etTettivo potere in questo campo dei militari che pur ci sono decisamente favorevoli.

Mi sembra in questo campo capitali potrebbero essere forniti dallo Stato, sebbene camuffati sotto apparente grande casa italiana come Fiat, Pirelli ed altre. Non so se somma non potrebbe essere ottenuta (ad imitazione di quanto hanno praticato altri Paesi) mediante emissione sottoscrizioni pubbliche speciali obbligazioni o altri titoli.

Credo ad ogni buon conto sarebbe quanto mai utile e urgente inviare qui qualche alta e nota personalità di fiducia italiana del risparmio industriale e finanziario che non abbia avuto rapporti con la Cina, la quale dovrebbe cominciare dal prendere contatti a Tokio ed avere potere per trattare. Prego V.E. che per sua esperienza diretta comprenderà certamente importanza ed urgenza della questione qui esposta, di farmi conoscere per mia norma sua alta opinione ed istruzioni.

Telegrafato Roma, per conoscenza Mukden4 .

668 3 Non pubblicato. Il suo contenuto è qui indicato.

670

L'AMBASCIATORE A TOlGO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 8207/590 R. Tokio, 7 dicembre 1937, ore 3,40 (per. ore 23 del 6).

Telegramma di V.E. n. 282 1• Hirota ha molto apprezzato istruzioni di V.E. intorno alle quali gli ho consegnato nota confidenziale. Mi ha detto che non sono stati ancor completati gli studi

sulla organizzazione economica Nord Cina, ma che è prevedibile accorreranno capitali stranieri. È naturale che, in tal caso, Italia e Germania saranno le prime ad essere richieste di parteciparvi.

669 3 Vedi D. 618, che è del 25 novembre. 669 4 Il documento ha il visto di Mussolini. 670 I Vedi D. 634, nota 3.

671

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 8206/591 R. Tokio, 7 dicembre 1937, ore 3,40 (per. ore 21,35 del 6).

Telegramma di V.E. n. 289 1•

Hirota mi ha detto di non aver sino ad ora avuto alcuna comunicazione ufficiale e non mi si è mostrato molto soddisfatto dell'azione tedesca. Non sa che cosa ambasciatore di Germania sia andato a fare a Nanchino e da chi sia partita iniziativa. Alla Germania, come a noi, Giappone aveva chiesto soltanto di indurre Cina a trattare direttamente. Giappone non desidera mediazione ed in ogni caso andrà a Nanchino. Non ha tuttavia deciso se farà o no dichiarazione di guerra giacché ciò dipenderà dalle circostanze.

Mi ha assicurato che nel caso vi fossero qui proposte della Germania, o ~ in quello meno probabile ~che Giappone chiedesse qualche cosa Germania, me ne parlerebbe per esaminare ciò che vi sarebbe da fare nei riguardi dell'Italia. Io gli avevo proposto formula parità di trattamento Giappone di fronte Italia e Germania ma egli ha preferito ripetere suddetta dichiarazione. Ad ogni modo ne farò intrattenere i militari, che specialmente in questi argomenti. sono quelli che decidono.

672

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 6180/2064. Berlino, 7 dicembre 1937 (per. il 9 ).

Mi permetto riferirmi al tuo telegramma del 4 corrente 1 col quale mi invitavi a sorvegliare gli sviluppi dei rapporti anglo-tedeschi, essendo evidente che tra Londra e Berlino sta avvenendo qualcosa di più che non dei semplici approcci.

Il tuo giudizio mi sembra, anche di qua, esattissimo. Intanto tu avrai rilevato come proprio mentre tu mi telegrafavi di «sorvegliare e informare», io ti scrivevo (mio rapporto del 4 corrente) 2 fornendoti, in via affat

to confidenziale, il riassunto del colloquio Eden-Ribbentrop nel quale avrai trovato sopra più di un punto (Austria e disarmo) delle precisioni che evidentemente Eden non ha voluto dare al nostro ambasciatore.

Comunque per quanto riguarda le tendenze in materia della Wilhelmstrasse, io non ho che a richiamare le mie precedenti comunicazioni in proposito, aggiungendoti peraltro che, all'infuori del Fuhrer, che anche in questa materia è il più tetragono, tutti qui, a cominciare da Goring (e da lo stesso Goebbles) sperano e lavorano per un riavvicinamento con l'Inghilterra.

Che anzi, se c'è un'ombra di scetticismo la si trova piuttosto alla Wilhelmstrasse che altrove. Ne ho avuto stamane la riprova in una di quelle conversazioni ad laterem con le quali io voglio sempre controllare le stesse informazioni di Neurath. Le ragioni di questo scetticismo son due:

l) che in fatto di colonie la montagna finisca col partorire il topo, e cioè che l'Inghilterra finisca con l'offrire troppo poco;

2) che anche questo poco sia subordinato a tante e tali condizioni da renderlo inaccettabile.

Comunque, io posso assicurarti che sto con gli occhi aperti e non mancherò di continuare a riferirti con ogni cura tutti i possibili elementi di apprezzamento e di giudizio3 .

671 l Vedi D. 663, nota 2. 672 l Vedi D. 653. 672 2 Vedi D. 659.

673

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 6181/2065. Berlino, 7 dicembre 1937 (per. il 9 ).

Faccio seguito al mio telegramma di ieri 1 relativo al passo compiuto presso Chiang Kai-shek dall'ambasciatore tedesco in Cina, Trautmann. Ulteriori informazioni assunte mi permettono di avanzare l'ipotesi che qui si incominci a dubitare della solidità della situazione di Chiang Kai-shek, alla cui persona sono evidentemente legati molti degli attuali cospicui interessi tedeschi in Cina. Il passo dell'ambasciatore era quindi destinato a far capire a Chiang Kai-shek che ~nel comune interesse ~ sembrava venuto il momento per una qualche avance al Giappone.

Chiang Kai-shek ha risposto negativamente ma alla maniera cinese, vale a dire attraverso molte chinoiseries, tendenti a conoscere a quali condizioni il Giappone avrebbe potuto consentire ad un accordo. L'ambasciatore tedesco non avendo saputo, né potuto dargli alcuna seria indicazione su questo punto, la cosa è caduta.

In merito al passo di Trautmann, ho avuto un colloquio anche col mio collega giapponese, il quale mi ha confermato che il Giappone, nella comunicazione già fatta ai due ambasciatori d'Italia e di Germania circa un mese fa 2 (passo che del resto sembra non essere stato approvato neanche da tutti i circoli giapponesi) in fondo abbia voluto semplicemente dire che avrebbe gradito si fosse fatto capire alla Cina non esistere per essa altro scampo all'infuori di una intesa diretta col Giappone. Su questo punto il Giappone rimane inflessibile; non è quindi il caso di parlare di mediazione e neanche di buoni uffici. Non è neanche detto, mi ha affermato Mushakoji, che allo stato delle cose il Giappone consideri Chiang Kai-shek come persona «grata» con cui potere eventualmente negoziare: forse potrebbe preferire di negoziare con altri.

Comunque, Mushakoji mi ha fatto ben capire che egli avrebbe pensato per conto suo e di sua iniziativa ad illustrare opportunamente a Tokio il passo dell'ambasciatore tedesco, che egli sostanzialmente disapprova.

672 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 673 l Vedi D. 665.

674

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8217/188 R. Varsavia, 8 dicembre 1937, ore 13,38 (per. ore 17,30).

Visita Delbos 1 si svolge normalmente. Sembra confermato che nei colloqui da lui avuti con il signor Beck, si sia trattato specialmente delle questioni di cui al mio telegramma per corriere 063 2 e che risultati non vadano oltre le previsioni.

D'altra parte, è chiaro che lo spirito dell'alleanza franco-polacca ne esca ravvivato. Ai tentativi di Delbos per indurre la Polonia ad armonizzare i suoi metodi di politica estera con quelli francesi tendenti a intese collettive, Beck avrebbe tenuto fermo sul sistema degli accordi bilaterali da lui seguito fino ad ora con successo. Signor Beck avrebbe poi profittato dell'occasione per affacciare aspirazioni coloniali della Polonia, facendo anche riferimento al noto progetto di emigrazione ebraica al Madagascar.

Nelle dichiarazioni fatte stamane ai giornalisti polacchi e stranieri all'uopo convocati, Delbos si è limitato ad esprimere sua soddisfazione per accoglienze ricevute in Polonia schermendosi da fare qualsiasi dichiarazione politica; ha soltanto detto che il suo viaggio qui dopo quello nei Paesi Piccola Intesa si è iniziato da Londra e costituisce «un ciclo che si chiuderà a Parigi».

In questi circoli diplomatici mentre prevale opinione che visita Delbos non porti nulla di concreto, si tende invece ad attribuire importanza al fatto che signor von Neurath si sia recato personalmente salutare ministro degli Affari Esteri francese al suo passaggio da Berlino, ritenendo che tale atto abbia un

674 I Sul viaggio di Delbos in Polonia si vedano anche i DD. 676, 695 e 712. 674 2 Vedi D. 621.

significato che va oltre un gesto di haute courtoisie come lo ha qm definito lo stesso Delbos. Delbos parte stasera per Cracovia accompagnato da Beck.

673 2 Vedi D. 483.

675

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 8241/599 R. Tokio, 8 dicembre 1937, ore 22.20 (per. ore 17).

Mio telegramma n. 591 1•

Militari mi fanno confidare che iniziativa di sondaggi per pace sarebbe presa da ambasciatore di Germania Nanchino e che questo ambasciatore Germania avrebbe riferito Hirota intenzioni Chiang Kai-shek.

lo credo probabile Hirota abbia dato al collega tedesco qualche indicazione sulle intenzioni Giappone. Ad ogni modo militari, pur dicendo che per ora essi si limitano ad osservare risultato di queste conversazioni, ripetono che i negoziati devonsi svolgere direttamente fra Giappone e Cina. Riaffermata questa premessa, aggiungono che non avrebbero obiezioni qualora Italia credesse compiere con Chiang Kai-shek identici approcci. Come già riferii, giapponesi sono ostili a concessioni in qualunque negoziato e molto più è da supporre lo siano in questo caso dati i loro sacrifici, le loro vittorie e la loro necessità di premunirsi per il futuro.

Non so quale effetto conseguirà iniziativa tedesca e se essa alla fine non si risolverà in un danno per la situazione germanica in Giappone, che confermo essere stata ed essere tuttora scossa da diffidenza che sua politica verso Cina ha qui suscitato. Ciò tanto più se si confermassero voci che già corrono a Tokio, anche fra i giornalisti, di collusione di tale iniziativa con suggerimenti Halifax a Berlino, di cui al telegramma di Shanghai n. 522 in data 7 corrente 2 .

Oltre che con suo carattere restio acl impegnarsi, potrebbe anche con tale notizia spiegarsi la tortuosa risposta datami da Hirota ier l'altro (rammento altresì mio telegramma n. 499 in data del 7 novembre) 3 .

Io gli avevo fatto presente come escludere Italia sarebbe stato quasi un punirla di aver raffreddato sue relazioni con la Cina per accentuare sua amicizia verso il Giappone. Ma non insistetti troppo per non agire, e mostrargli di agire, troppo in contrasto con principi direttivi nostra attuale politica internazionale4 .

675 2 Con T. 82311522 R. del 7 dicembre, l'ambasciatore Cora aveva riferito «a titolo di curiosità» che. secondo voci correnti negli ambienti britannici di Shanghai, le iniziative prese dalla Germania per una mediazione nel conflitto cino-giapponese avevano origine da una richiesta del governo britannico avan zata in occasione della visita di lord Halifax a Berlino.

675 .l Vedi D. 53!. 675 4 Con T. 8252/602 R. del 9 dicembre, l'ambasciatore Auriti comunicava di avere avuto conferma dal Sottosegretario agli Esteri nipponico che l'iniziativa per una mediazione era stata presa non da Chiang Kai-shek ma dalla Germania. Da parte giapponese, si attribuiva all'iniziativa poca importanza e si era decisi a proseguire energicamente la campagna per imporre la pace ai cinesi.

675 l Vedi D. 671.

676

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8283/0395 R. Parigi, 8 dicembre 1937 (per. il 10).

La prima tappa del viaggio Delbos nell'Europa Centro-Meridionale 1 pare abbia lasciato le posizioni dei due Paesi approssimativamente immutate. I commentatori insistono qui sulla circostanza che la visita a V arsa via era stata sin dall'origine concepita semplicemente come «viaggio d'atmosfera» e che ha, a questo titolo, dato niente di più e niente di meno di quanto era lecito attendersene. Pare comunque certo che la visita non è sboccata in alcun ù1tto nuovo concreto. Riconferma delrutilità reciproca dell'alleanza franco-polacca da una parte ma simultanea riconferma dall'altra delle grosse divergenze che tuttora separano le direttive politiche francesi e polacche sul piano internazionale. Insistenza, cioè, da parte di Beck sui patti bilaterali, in contrapposto alle concezioni francesi della sicurezza collettiva; riconfermato proposito di inquadrare le relazioni polacche con gli Stati vicini e in primo luogo con la Cecoslovacchia nei soli limiti di conversazioni a due fra governi interessati; sfiducia polacca in una Società delle Nazioni che non sia profondamente riformata, soprattutto per quanto riguarda l'articolo 16 e la procedura sanzionista.

Circa la Russia, mi si segnala da qualche parte un inizio di evoluzione della politica francese verso un progressivo distacco dai soviet e la conseguente tendenza a sostituire l'amicizia sovietica con quella polacca e rumena. Le condizioni interne della Russia hanno certamente, anche qui, provocato un evidente senso di perplessità e di scetticismo nei riguardi dell'efficienza dell'apparecchio militare sovietico. Ma non credo che una politica siffatta sia qui in atto, nemmeno in via iniziale, quantunque il Sottosegretario agli Esteri, De Tessan, che ho incontrato or è qualche giorno incidentalmente, abbia insistito con me anche sul tasto della poca o nessuna influenza che Mosca esercita -a sua detta -sulla politica francese, sulla scarsa posizione personale di questo ambasciatore dei soviet 2 , eccetera. Un governo come l'attuale, coi suoi Blum e coi suoi Pierre Cot, non può facilmente sganciarsi dal binario sovietico.

È piuttosto più probabile che la Francia tenda, soprattutto sotto la pressione dell'Inghilterra, a sostituire lentamente la politica della sicurezza collettiva, sin qui rigidamente seguita, mediante una politica di accordi bilaterali ma sostanzialmente diretti allo stesso scopo. Piuttosto che di sostituzione (l'opinione pubblica francese, e, soprattutto. l'attuale governo di Fronte Popolare non sembrano affatto preparati a un mutamento di questo genere) si dovrebbe forse parlare di una direttiva politica intennedia che tenda a combinare i possibili vantaggi del sistema collettivo, con quelli forniti dagli accordi bilaterali.

DD. 674, 695 e 712. 676 2 Yacov Suritz.

Debbo aggiungere che la visita di Delbos a Varsavia, è stata in buona parte eclissata da quella di Stojadinovié a Roma 3 . La quale ultima è stata ed è accolta qui con evidentissimo senso di diffidenza. Anche a tralasciare gli attacchi diretti dai vari Pertinax contro la persona del Primo Ministro jugoslavo, basterà citare le parole conclusive dell'editoriale dedicato all'incontro dall'ufficioso Temps: «Quali che possano esser le tendenze particolari che prevalgano in certi ambienti jugoslavi, il governo di Belgrado ha certamente la coscienza che un allentamento dei vincoli che esistono fra la Jugoslavia, la Francia e i due altri Stati della Piccola Intesa provocherebbe un indebolimento della stessa sicurezza della Jugoslavia e si urterebbe contro i sentimenti profondi della grande maggioranza della Nazione».

676 l Delbos era stato in visita ufficiale in Polonia dal 3 al 7 dicembre. Si vedano in proposito anche i

677

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2181/1167 R. Ankara, 8 dicembre 1937 (per. il 15).

Nel telegramma n. 224 del 29 novembre u.s. 1 ho fatto cenno delle singolari e capziose argomentazioni sviluppatemi da Aras per sostenermi che il riconoscimento dell'Impero da parte della Jugoslavia e quello, eventuale, della Romania in occasione delle credenziali del suo nuovo ministro a Roma, erano anche dell'Intesa Balcanica perché derivanti da una decisione comune e cioè quella «di cogliere la prima occasione favorevole per farlo». Ne seguiva che anche la Turchia aveva riconosciuto l'Impero 2 .

La leggiadra sicumera di Aras per mettersi a paro degli alleati balcanici non è stata senza mia ironica risposta. Ma egli ha continuato con insistenza a sostenermi il suo punto di vista, finché chiestogli quale a suo avviso sarebbe stata la buona occasione da parte della Turchia per addivenire al riconoscimento definitivo dell'Impero ha finito col rispondermi che il momento utile sarebbe stato in occasione della visita dell'E.V. e contemporaneamente alla adesione dell'Italia alla Convenzione di Montreux, oppure anche prima di tale visita, ma sempre con la contemporaneità di tali due atti, ed in entrambi i casi «anche indipendentemente da una decisione della S.d.N.».

Ho telegrafato a V.E. che occorreva accogliere con riserva tale dichiarazione di Aras, non potendo oggi certamente giurarsi sulla attuazione di tale suo proposito.

Fra i punti che Aras mi ha citato per sostenermi che anche la Turchia aveva riconosciuto l'Impero e non tralasciava occasione per farlo, egli mi ha citato che i nuovi exequatur dei RR. consoli portavano il titolo completo cioè di «Sua Maestà il Re Imperatore». Il duca Badoglio mi ha infatti confermato che nel suo exequa

677 I T. 8079/224 R. del 29 novembre. Riferiva su un colloquio con Aras in termini ripetuti qui inte gralmente. 677 2 Questa frase reca a lato tre punti esclamativi a matita.

tor egli è effettivamente indicato alle autorità turche come «console generale di

S.M. il Re Imperatore».

Inutile dire che ad Aras replicai subito che, pur ringraziandolo di questa formula adottata per i nostri consoli, non potevo, malgrado ogni mia miglior volontà, considerare tale atto di cortesia come un riconoscimento dell'lmpero3 .

676 3 Per la quale si veda il D. 690.

678

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA. Berlino, 8 dicembre 1937 1•

Come Ti ho fatto conoscere con la mia lettera del 6 u.s. 2 , ho consegnato a Goring, non appena giunta da Roma, la Tua -personale e segreta 3 -che egli mi ha pregato di tradurre in sua presenza.

Riassumo qui appresso i punti principali della conversazione che ne è seguita:

l) Armamenti navali -Il Generale ha appreso con vivo interesse le notizie comunicategli circa le nostre decisioni, notizie che egli porterà subito a conoscenza del Fiihrer. Gli ho fornito qualche altro dettaglio circa le nostre forze navali attuali ed egli ha ripetuto le informazioni che confermano quanto certamente già conosci circa il graduale rinforzamento della flotta germanica. Lo Scharnhorst ed il Gneisenau (26-28.000 tonnellate), saranno pronti per il 1938. l lavori delle due

35.000 progrediscono e tutto fa ritenere prossima l'impostazione della terza 35.000. Le prime due dovrebbero essere in squadra per il 1940. Le due portaeree, di 20.000 circa, saranno pronte tra non molto. Le due navi da 10.000 denominate «pesanti» (cannoni da 203), il Bliicher e lo Hipper, sono prossime ad entrare in servizio ed i lavori per le due classificate «leggere» (cannoni da 152 mm, che eventualmente in caso di necessità potranno facilmente modificare in pezzi da 203) sono avanzati e così quelli delle due 7000. Viene accelerata la costruzione «occulta» dei 15 nuovi sommergibili ai quali seguiranno certamente altri 10.

Nel 1941, secondo Goring il triangolo Roma-Berlino-Tokio dovrebbe finire per possedere circa 25 navi da battaglia, appoggiate da incrociatori e naviglio silurante e subacqueo di ultimissimo ed efficiente tipo.

2) Situazione itala-tedesca. -Ad una domanda del Generale se vi fosse qualche cosa di nuovo, ho risposto che tutto procedeva normalmente. Ritevevo però opportuno porgli in rilievo, pur senza dare eccessivo peso alla cosa che qualche manifestazione intempestiva si era qui in questi ultimi tempi verificata, ad esempio il noto «appello» alla Gioventù Francese lanciato proprio in un momento di serra

789 ta polemica franco-italiana, occasionata daila intemperanza di linguaggio di uomini del Fronte Popolare. Evidentemente, ho aggiunto, i tedeschi devono sempre tener presente che in Italia possono tuttora sussistere elementi non sempre favorevoli o almeno scettici nei confronti dell'amicizia italo-tedesca. Questi elementi non possono non cercare di sfruttare, nei limiti naturalmente delle loro possibilità, questi episodi disgraziati del tipo di questo atteggiamento della direzione della Hitler Jugend che era giunta a proporre di fare un ricevimento a base di bandiere e di gran cassa, al signor Delbos, al momento del suo passaggio per Berlino.

Goring mi ha, in termini vivaci, confermato come sia stato personalmente il Fiihrer a «proibire» quella progettata manifestazione. E ha insistito nel porre in rilievo che quegli atteggiamenti di persone «che vogliono troppo parlare ed agire in campi non propri» «non vanno presi tragicamente perché praticamente lasciano il tempo che trovano». La Germania agisce secondo le decisioni del Cancelliere. Il resto non conta. Ad ogni modo, nel caso specifico, dato che questo atteggiamento può creare equivoci oltre frontiera, «è bene -ha concluso -richiamare su di esso l'attenzione del Fiihrer» ed ha segnato qualche cosa nel suo taccuino.

3) Trattative economiche tra Italia e Germania -Sulla base del contenuto del Tuo telegramma4 , relativo alle trattative di Roma ed alla decisione del Duce di offrire, senza discussione, e a forfait la somma totale di 100 milioni di lire, quale «punta» annua in divise, ho attirato· l'attenzione del Generale sulla buona volontà da noi mostrata per raggiungere una amichevole conclusione nelle conversazioni romane. E ho aggiunto come l'offerta italiana, che rappresenta un sacrificio non piccolo ed una vera «eccezione», dato quanto è avvenuto con l'Austria ed Ungheria, e salva pienamente la questione di principio tedesca, intesa a conservare ad ogni costo una «punta», sia veramente un atto di amicizia che sarebbe poco simpatico, oltre che inutile, sottoporre alla benché minima discussione. Ho concluso insistendo perché la Wilhelmstrasse, organo formalmente competente, invii, d'accordo con il ministero dell'Economia, le necessarie istruzioni, per l'accettazione della proposta al dottor Sarnow, capo della delegazione, che si trova a Roma.

Il Generale ha dichiarato che, pur senza essere minutamente al corrente delle trattative romane, riteneva che la proposta italiana fosse effettivamente accettabile senza ulteriori discussioni. E ha aggiunto «Farò presente questo mio punto di vista: è bene che queste trattative avvengano proprio nel momento nel quale dirigo il ministero dell'Economia. Si dirà, al massimo, che anche in questo campo mi faccio portare via la mano della mia amicizia per l'Italia! E ora vi prego di andare da Neumann, il nostro dittatore delle Divise, il quale vi ascolterà e poi, certamente, vi darà una risposta ... negativa. Lasciatelo dire, è il suo dovere. Poi decideremo. E mi ha affidato a Bodenschatz perché mi accompagnasse personalmente da Neumann.

Le previsioni del Generale erano, naturalmente, almeno in parte esatte. Obbiezioni di Neumann, della Wilhelmstrasse, ecc., ecc. Ora vedremo come andrà a finire 5 .

riportata ed incaricava Attolico di far presente a Hitler o in mancanza a von Neurath che «la perso nale decisione del Duce per venire incontro al desiderio della Germania non può formare oggetto di mercanteggio». 678 5 Il documento ha il visto di Mussolini.

677 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 678 I Manca l'indicazione della data d'arrivo. 678 2 In realtà datata 7 dicembre. non pubblicata. 678 3 Vedi D. 658.

678 4 T. 1977/469 R. del 5 dicembre con il quale Ciano comunicava la decisione di Mtissolini qui

679

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. 1986/862 R. Roma, 9 dicembre 1937, ore l.

Suo telegramma n. 790 1 .

Grandi e Ribbentrop hanno ricevuto istruzioni di appoggiare primo metodo (rappresentanti cinque Grandi Potenze e Portogallo) ed in linea subordinata dichiararsi disposti considerare metodo secondo (cinque Grandi Potenze, Portogallo e tre Paesi minori membri Comitato di Londra). Terzo metodo 2 per il quale verrebbero escluse non solo Italia, Germania e Portogallo ma anche Potenze minori simpatizzanti per Franco appare il meno favorevole ai Nazionali ed è infatti caldeggiato da russi e francesi.

In tal senso rappresentanti italiano e tedesco hanno già agito nella seduta di ieri del Comitato dei nove, nel corso della quale, di fronte difficoltà raggiungere formula compromesso, è stato deciso affidare presidente Plymouth incarico consultare privatamente vari delegati.

Nella presente fase, anche per motivi tattici, sembra opportuno mantenere atteggiamento soprindicato. Nel caso che non si riesca raggiungere accordo su uno dei due metodi che ci siamo già dichiarati disposti ad accettare, Grandi e Ribbentrop hanno istruzioni di riservare loro atteggiamento e riferire.

Quanto precede per sua informazione e per opportune comunicazioni codesto governo3 .

680

IL MINISTRO A BUCAREST, SOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8352/036 R. Bucarest, 9 dicembre 1937 (per. il 13 ).

In occasione del mio colloquio con Re Caro! circa la visita del signor Irimescu di cui al mio precedente telegramma per corriere n. 035 1 , ho scambiato qualche parola col signor Delbos 2 che si trovava accanto al Sovrano.

Il ministro francese degli Esteri mi ha dichiarato con accento che mi è parso sincero, che la Francia vede con favore l'opera di riavvicinamento che è in progresso tra Ungheria e Piccola Intesa sulla base del noto progetto.

Il signor Delbos mi ha affermato che egli aveva ieri stesso esercitato opportuna influenza sul governo romeno affinché questo trovi la maniera di superare le· difficoltà relative alla questione minoritaria. Risultava al signor Delbos che il governo cecoslovacco vedeva esso stesso con molto favore la conclusione dell'accordo e che anche il governo di Praga si adoperava ad esercitare opportune pressioni sul governo romeno. Era impressione del ministro degli Esteri francese che finito il periodo elettorale in Romania, il noto progetto poteva essere riportato all'ordine del giorno e condotto a buon fine.

D'altra parte, questo mio collega di Polonia3 , che durante la visita di Delbos a Varsavia4 era presente in quella capitale, mi ha confidato aver il signor Delbos dichiarato sullo stesso argomento a Beck che la Francia vedeva con simpatia «il progetto italiano» di riavvicinamento fra Ungheria e Piccola Intesa, progetto che se realizzato, oltre a rasserenare un po' l'atmosfera in Europa Danubiana, «avrebbe potuto anche costituire un primo punto di contatto fra Italia e Francia».

Mi risulta poi, d'altra fonte, che il signor Delbos ha anche qui parlato del processo di riavvicinamento fra Piccola Intesa e Ungheria come di «progetto italiano» che la Francia era lieta di guardare con simpatia.

È noto a V.E. che il signor Delbos in un primo momento aveva contrastato il progetto stesso e che il suo revirement è dovuto all'opera del signor Krofta il quale gli ha illustrato a Parigi che la Cecoslovacchia non era in grado di poter reagire ad una eventuale azione unilaterale ungherese per riacquisto della parità di diritti, mentre la conclusione dell'accordo sulla linea del progetto italiano poteva anche essere presentata come un inizio di détente in Europa Centrale, détente di cui la Cecoslovacchia, proprio in questo momento. ha tanto bisogno.

Il ministro degli Esteri francese alla fine del suo breve colloquio con me, mi ha detto che secondo sue informazioni la Germania ostacolerebbe invece i progressi dell'accordo fra l'Ungheria e la Piccola Intesa. A me risulta assolutamente il contrario e cioè che la Germania vede essa stessa il progetto con favore. Mi sono astenuto però dal manifestare interamente il mio pensiero al signor Delbos dicendogli che pur non avendo constatato eccessivo entusiasmo da parte del rappresentante tedesco a Bucarest, non mi sembrava invece che egli avesse esercitato un'azione negativa.

Mi è parso che il signor Delbos sia stato lieto di apprendere che la Germania non è attiva in questo problema, né in senso favorevole, né in senso contrario.

Ad ogni buon fine chiarisco a V.E. che questo ministro di Germania, signor Fabricius, di ritorno da Berlino, mi ha espressamente dichiarato che il governo del Reich vede «con estremo favore» il progettato accordo.

Colgo l'occasione per assicurare V.E. che appena terminate le elezioni politiche, riprenderò la mia opera di mediazione tra questo rappresentante d'Ungheria e il signor Antonescu affinché le trattative fra di loro siano riprese e fatta avanzare.

6RO Miroslav Arciszewski.

679 l T. 8234/790 del 17 dicembre. Riferiva che l'ambasciata di Germania aveva sollecitato il governo di Salamanca a far conoscere quale preferiva delle tre soluzioni prospettate per la composizione delle commissioni che dovevano essere inviate in Spagna in esecuzione delle risoluzioni votate dal Comitato di non intervento il 4 novembre. 679 2 Prevedeva che le commissioni fossero costituite soltanto da rappresentanti di piccole Potenze. 679 3 Con T. 8304/792 R. del IO dicembre, l'ambasciatore Viola comunicava che governo di Salamanca preferiva il primo metodo, e, in via subordinata, era disposto a considerare il secondo. 680 l T. per corriere 83511035 R. del 9 dicembre. Comunicava che Re Caro! aveva ringraziato con grande calore «per le eccezionali accoglienze» riservate da Mussolini e da Ciano al ministro romeno della Marina e dell'Aria, Radu Irimescu, durante la sua recente visita in Italia. Irimescu era stato in Italia da 4 al 13 novembre ed il 5 novembre era stato ricevuto da Ciano. Del colloquio non è stata trovata documentazione. 680 2 In visita ufficiale in Romania dall'8 all'Il dicembre.

680 4 Dal 3 al 7 dicembre (vedi DD. 676, 695 c 712).

681

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATISSIMO 8355/0112 R. Bruxelles, 9 dicembre 1937 (per. il 13).

Mio telegramma per corriere n. 11 O1•

Mi risulta che Re Leopoldo, non appena informato la settimana scorsa dal suo segretario del mio colloquio col Presidente del Consiglio circa il riconoscimento dell'Impero (mio telegramma per corriere n. l 09) 2 , espresse il desiderio di vedere immediatamente il signor Janson, onde affrettare la soluzione della questione.

Il Presidente del Consiglio ripetette a Sua Maestà quanto a me aveva dichiarato; essere cioè sua ferma intenzione di regolare al più presto la questione. Janson aggiunse però di temere ostacoli ed esitazioni dalla parte socialista del suo governo. Ciò pertanto Re Leopoldo volle subito intrattenersene con Spaak, cui rivolse le più vive raccomandazioni. Ciò si passò la settimana scorsa, alla vigilia della partenza di Sua Maestà per Londra3•

Intanto, come ho già preannunciato a V.E., la questione è stata ripresa in questi ultimi giorni anche al Senato, durante la discussione sulle dichiarazioni del nuovo Governo.

Il primo accenno è stato fatto dal democristiano van Overbergk, il noto ministro di Stato a noi stato sempre ostilissimo. Parlando nella sua qualità di capo del blocco cattolico senatoriale, l'Overbergh riassunse infatti il programma del blocco da lui rappresentato, in tema di politica estera, nei seguenti tre punti: «l) mantenimento della politica di indipendenza effettiva; 2) partecipazione alla S.d.N. con interpretazione belga dell'articolo 16; 3) progressiva normalizzazione dei rapporti commerciali e diplomatici con tutte le Potenze, come sarebbe stato svolto da due appositi oratori, i senatori Leyniers e d'Aspremont-Lynden».

Nel seguito della discussione questi due senatori presero la parola. Il discorso più importante fu quello del conte d'Aspremont, di cui invio il testo a parte.

Rilevo intanto che il d'Aspremont ha tenuto innanzi tutto a chiedere se l'omissione d'ogni accenno alla normalizzazione dei rapporti diplomatici con l'Italia rilevata nella dichiarazione governativa dipendesse da una misura di prudenza od invece dal veto eventualmente posto da qualche gruppo politico ostile a tale normalizzazione. Al riguardo egli ha osservato che tale ultima ipo

681 I T. per corriere 8202/110 R. del 3 dicembre. Comunicava che in Belgio era andata crescendo, da varie parti e soprattutto da parte dei cattolici di destra la pressione in favore di una normalizzazione dei rapporti con l'Italia, che sarebbe stata significativa anche come manifestazione di quella politica di indipendenza che il Belgio aveva deciso di seguire. 681 2 T. per corriere 8057/109 R. del 25 novembre. Riferiva che il nuovo presidente del Consiglio, Janson, gli aveva assicurato di voler procedere al più presto alla nomina di un ambasciatore a Roma ma che in definitiva l'ultima parola in proposito restava ai socialisti e specialmente a Vandervelde, il quale già due volte in passato aveva vanificato le buone intenzioni di Spaak. 681 3 Re Leopoldo era partito il 4 dicembre per Londra in visita privata.

tesi sarebbe assai deplorevole. Da parte sua, ha aggiunto, la destra, che aveva aderito a suo tempo al riconoscimento dell'U.R.S.S., non saprebbe oggi concepire che, per quanto concerne Roma e Salamanca, si possa rimanere schiavi di un'ideologia.

II noto senatore socialista Rolin ha respinto tali conclusioni. Interrotto dai cattolici e dai rexisti, il Rolin ha cercato di giustificare il suo dissenso affermando che «secondo il Times l'occupazione italiana della Etiopia non è forse ancor definitiva», e che il «paradossale mantenimento di un console belga in Etiopia è un semplice incidente». Egli ha svolto quindi la solita tesi della santità dei trattati, concludendo che la vera ragione dell'opposizione socialista al riconoscimento è che «la soddisfazione delle richieste del d'Aspremont--Lynden costituirebbe un intollerabile scivolamento a destra».

Questo infelice ripiego del Rolin, in pieno contrasto coll'impostazione d'interesse nazionale data dalle destre al problema, è questa sera oggetto di sarcasmo della Nation Beige, che osserva: «Dire che una misura di ordine diplomatico potrebbe costituire uno scivolamento a destra, dimostra che i socialisti considerano essi stessi la questione sotto il punto di vista politico. Relativamente ai nostri interessi italiani e spagnoli, non vi è evidentemente né sinistra né destra. Una siffatta evidenza può essere negata solo da coloro che pensano a tutt'altra cosa che a detti interessi».

Desidero inoltre segnalare che, parallelamente a queste voci sorte nel Parlamento, i maggiori esponenti della finanza e dell'industria, quali il barone di Launoit, il barone Coppée, il barone Boe! e il signor Solvay, vanno sostenendo con ogni impegno la necessità di un pronto riconoscimento del nostro Impero, interessando al riguardo le Camere di Commercio e le maggiori associazioni. Il più risoluto sostenitore è il barone Launoit che controlla tutta la metallurgia belga e che ha grande influenza sul governo.

Da voci di buona fonte testé pervenutemi, pare che il signor Janson abbia effettivamente deciso di portare fra domani e dopodomani la questione in Consiglio dei ministri. In strettissima confidenza riferisco pure che, nei circoli più vicini al Sovrano, si comincia a ritenere che il solo mezzo per mettere fine alla deleteria opposizione dei socialisti, potrebbe essere quello di determinare un voto parlamentare sulla proposta d'un immediato invio di un ambasciatore belga a Roma, ritenendosi che tale proposta otterrebbe una sicura maggioranza (cioè i cattolici, i liberali, i rexisti e gli stessi nazionalisti fiamminghi). Si pensa altresì che non sarebbe difficile, mediante una qualche previa segreta intesa con i socialisti, di presentare la proposta con una formula atta ad escludere in caso d'accoglimento, l'allontanamento dei socialisti dal Governo, e quindi una nuova crisi ministeriale.

Non so se questa idea sarà per essere condivisa dal Presidente del Consiglio. Ma tutto lascia ormai vedere che la questione della nomina di un ambasciatore belga a Roma sta per giungere ad uno stadio definitivo. Indirettamente Io dimostra la precipitosa fretta messa dal· governo francese nell'inviare a Bruxelles il nuovo ambasciatore, Bargeton. Questi infatti arriverà domani, benché il suo predecessore4 abbia lasciato questa sede solo da pochissimi giorni. È da atten

dersi che il signor Bargeton assegnerà a suo primo compito lo sventare od il neutralizzare ogni azione destinata alla normalizzazione dei rapporti diplomatici italo-belgi.

681 4 Jules Laroche.

682

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6202/2074. Berlino, 9 dicembre 1937 (per. il 10).

Mio telegramma n. 455 di oggi 1•

Mentre confermo l'informazione, contenuta nel mio telegramma suindicato, relativa alla smentita data da questo ministero degli Affari Esteri all'ambasciata del Giappone circa una richiesta di mediazione tedesca da parte della Cina, mi sembra utile riferire qui appresso alcune impressioni da me riportate in conversazioni avute coll'ambasciatore del Giappone, visconte Mushakoji, e con gli addetti militari dell'ambasciata stessa.

Nel complesso questi ambienti giapponesi dànno l'impressione di essere molto soddisfatti dei grandi successi militari ma desiderosi, al tempo stesso, di trovare un «punto di partenza» qualunque esso sia, per una soluzione del conflitto. Essi infatti, con una certa impazienza, si domandano cosa possa fare la Cina all'indomani dell'occupazione di Nanchino ed appaiono in fondo, piuttosto preoccupati, dell'eventualità di una continuazione della resistenza. In tali condizioni, ripeto, essi, per quanto dichiarino di preferire una soluzione diretta tra i due Paesi, non sarebbero alieni dall'accettare un principio di mediazione 2 .

683

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, ALLE AMBASCIATE A RIO DE JANEIRO, SALAMANCA E TOKIO E ALLE LEGAZIONI A BERNA, BUDAPEST, LISBONA, TIRANA E VIENNA

T. SEGRETO NON DIRAMARE 1999jC. R. Roma, 10 dicembre 1937, ore 24.

[]

(Per tutti). Uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni verrà decisa domani li corrente e sarà immediatamente comunicata a Ginevra. Ne informi codesto governo domani non prima delle ore 18.

del Giappone era giunta notiza di una richiesta di buoni uffici rivolta alla Germania dal governo cinese. Interrogato dall'incaricato d'affari nipponico, Yanai. von Neurath aveva risposto non risultargli niente in proposito. 682 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

(Solo per Tirana) ed aggiunga che se l'Albania vuole imitarci il gesto sarebbe da noi apprezzato, ma non ne facciamo espressa richiesta.

682 l T. 8269/455 R. del 9 dicembre con cui Attolico comunicava di avere appreso che all'ambasciata

684

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PER CORRIERE RISERVATO 2000 R. Roma, JO dicembre 1937.

Con telegramma per corriere a parte 1 trasmetro a V.E. due rapporti del R. ambasciatore a Londra relativi agli allarmi che sarebbero stati determinati in Portogallo dalle voci di progetti tedeschi per la ridistribuzione delle colonie portoghesi.

Valendosi di quanto riferisce Grandi, V.E. vorrà richiamare nella forma più amichevole l'attenzione dei Neurath sulla opportunità di rassicurare il governo portoghese nel senso che la Germania rivendica le sue ex-colonie e non ha alcuna mira su quelle altrui.

685

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8309/105 R. Roma, l O dicembre 19 3 7 (per. l'11).

Mio telegramma l 02 del 7 corrente 1• Ho intrattenuto il cardinale Segretario di Stato sul discorso che il Papa pronuncerà, lunedì 13 corrente, in concistoro segreto.

Il porporato mi ha assicurato che il Pontefice non gli ha fatto alcuna comunicazione al riguardo. L'aveva veduto nella mattinata, per un'ora ma il Pontefice non aveva accennato alla cerimonia del 13 corrente e non aveva avuto occasione perciò di parlare del discorso che vi pronuncerà.

Ho detto al cardinale di sperare che il Santo Padre non ritornasse sulle cose di Germania con un linguaggio severo o di condanna. Si aveva impressione che si attraversasse un periodo di tregua, da non turbare.

Il Segretario di Stato ha replicato che tale non era la sua impressione. In realtà, tutto andava male, anzi malissimo, in Germania. Non passava giorno che non vi fosse una triste novità da riferire al Papa. Solo in tema di assistenza religiosa all'esercito, v'era un barlume di speranza. Tutto il resto volgeva al peggio.

Ho insistito perché la Santa Sede non prendesse l'iniziativa di peggiorare la situazione. Il cardinale non mi ha detto, né si, né no, ma non dispero ch'egli rifletta e faccia riflettere il Pontefice, sull'inopportunità di un nuovo clamoroso attacco al nazismo.

Dopo di me, il cardinale Pacelli ha ricevuto il mio collega di Germania.

684 l TT. per corriere 19479 e 19480 P.R. del IO dicembre. Ritrasmettevano i DD. 647 e 655. 685 1 T. per corriere 82221102 R. del 7 dicembre. Riferiva di avere fatto presente a monsignor Pizzardo e a monsignor Tardini l'opportunità che il Pontefice, nel di~•corso che avrebbe pronunciato dinanzi al Concilio Segreto, evitasse accenni politici suscettibili di aggrc~vare ulteriormente la tensione in atto tra Vaticano e Germania nazista. I due monsignori gli avevano promesso di parlarne al cardinale Pacelli che era «il solo che potesse azzardarsi di accennare con il Santo Padre allo scabroso argomento».

686

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 8316/607 R. Tokio, Il dicembre 1937, ore 21,45 (per. ore 15,50).

Mio telegramma n. 602 1 .

Militari mi fanno comunicare che progetto mediazione tedesca è svanito essendovisi essi opposti recisamente, anche perché Italia ne era assente. Non credono possibile trattare con Chiang Kai-shek, ma vedono tale possibilità con un nuovo governo di cui prevedono prossima costituzione. In tal caso gradirebbero buoni uffici Italia Germania e consigliano accordi diretti di Roma con Berlino che dovrebbero essere presi d'urgenza.

Intanto, seguendo loro consigli, manderò R. consigliere sondare funzionario questo ministero degli Affari Esteri da loro indicatomi 2•

687

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 8325/612 R. Tokio, 11 dicembre 1937, ore 10,10 (per. ore 19 ).

Telegramma di V.E. n. 1999 1•

Ministero degli Affari Esteri, per quanto prevedesse nostra decisione, l'ha accolta con particolare compiacimento considerandola non solo come nuova prova dello svolgimento logico e realista della nostra politica estera, ma anche come un nuovo elemento che, adeguando in relazione a Ginevra e agli interessi congiuntivi la posizione dell'Italia a quella del Giappone, costituisce una nuova ragione di rafforzamento dell'amicizia dei due Paesi destinata sicuramente ad esser sempre maggiore.

686 2 L'ambasciatore Auriti telegrafava a questo proposito che il direttore generale degli Affari d'Eu ropa al Gaimusho , Kojiro Inouye, aveva confermato il fallimento del tentativo tedesco di mediazione. Al funzionario era stata fatta la comunicazione suggerita dai militari, senza però indicarne l'origine

(T. 8319/613 R. dell'Il dicembre). 687 l Vedi D. 683.

Ministero degli Affari Esteri nel ringraziare V.E. per la comunicazione, ha pregato chiedere se decisione comprenda anche ritiro dell'Italia dall'Ufficio Internazionale del Lavoro e dalla Corte Permanente di Giustizia dell'Aja.

686 l Vedi D. 675. nota 4.

688

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL SEGRETARIATO GENERALE DELLA S.D.N.

T. 2010 R. Roma, 11 dicembre 1937, ore 23,10.

In seguito alle decisioni del Gran Consiglio del Fascismo comunico a codesto Segretariato che in data Il dicembre 1937 XVI l'Italia esce dalla Società delle Nazioni.

689

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8347/0135 R. Berlino, 11 dicembre 1937 (per. il 13).

Con riferimento alla comunicazione della R. ambasciata di Bruxelles in data 2 corrente riferita nel telegramma per corriere di V.E. n. 19395 dell'8 dicembre 1 , mi onoro di informare che il governo belga ha, in materia di rivendicazioni coloniali tedesche, assicurazione scritta da parte del governo tedesco che questo non ha alcuna mira sopra colonie belghe che non siano mai appartenute alla Germania. Queste assicurazioni scritte sono state date già da qualche settimana, appunto per calmare le ansie destate dalle voci messe in giro dopo la visita di lord Halifax. Il governo belga è stato autorizzato a servirsene, in caso di bisogno, anche in Parlamento.

690

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, STOJADINOVIé 1

VERBALE 2 . Roma, 11 dicembre 1937.

Nei colloquì che hanno avuto luogo a Palazzo Venezia il 6 ed il 7 dicembre, il presidente Stojadinovié ha cominciato coll'affermare che la Jugoslavia intende

aveva comunicato che nella capitale belga si manifestava una viva preoccupazione per la notizia, pub blicata da alcuni giornali britannici, di un piano anglo-tedesco concernente il Congo Belga e l'Angola. 690 1 Ed. in L'Europa verso la catastrofe, pp. 229-234. 690 2 Al colloquio era presente Ciano che ha redatto il verbale.

procedere sulla via tracciata dagli Accordi di Belgrado del marzo scorso. I risultati del Patto sono stati finora ottimi. Una collaborazione più intensa in tutti i domini potrà aver luogo in avvenire. Frattanto il presidente Stojadinovié si è dichiarato incaricato, da parte del Reggente Paolo, di dire al Duce che in futuro, in qualsiasi combinazione politica, la Jugoslavia non si troverà mai nel campo avverso all'Italia.

Il Duce ha preso atto di tali dichiarazioni ed ha, per parte sua, confermato l'intenzione di determinare un progressivo e continuo rinsaldamento dei vincoli di amicizia fra l'Italia e la Jugoslavia.

Spagna. -Il presidente Stojadinovié chiede di conoscere il giudizio del Duce sulla situazione spagnola. Il Duce fa il punto su tale situazione e conclude dicendo che il generale Franco ha avuto nel passato precise prove della amicizia italiana e che tale amicizia lo sosterrà fino al raggiungimento della vittoria che ormai non appare più dubbia.

Il presidente Stojadinovié dice che ha seguito colla più viva simpatia il nostro atteggiamento in Spagna e comunica che la Jugoslavia ha deciso di inviare a Salamanca un agente diplomatico. Aggiunge che d'altra parte dall'inizio della rivoluzione in poi, i rapporti della Jugoslavia con Madrid sono stati praticamente inesistenti.

Inghilterra e Francia. -Il presidente Stojadinovié parla del suo recente viaggio a Parigi ed a Londra. Tale viaggio non ha ottenuto nessun risultato pratico. A Londra, nei colloqui avuti con i più eminenti uomini politici, ha tratto la convinzione che l'Inghilterra, mentre si prepara a ricostituire le sue flotte aeree e navali, non sarà mai in grado di possedere un'armata terrestre data la netta avversione dell'Inghilterra al servizio militare obbligatorio. Ciò verrà a mettere la Gran Bretagna in una posizione di inferiorità.

Il presidente Stojadinovié ha rimarcato come nei confronti dell'Italia sussista tuttora da parte inglese la più viva preoccupazione. Ricorda che durante il conflitto etiopico, l'addetto militare britannico a Belgrado gli confidò che la flotta inglese non avrebbe potuto agire contro l'Italia per timore delle cosidette squadriglie aeree della morte.

Il Duce espone la situazione delle nostre relazioni con Londra e dice che per parte sua è tuttora disposto a mettersi d'accordo con l'Inghilterra a condizione però che detto accordo sia comprensivo di tutte le questioni in sospeso e a carattere duraturo.

Per quanto concerne la Francia, il presidente Stojadinovié non nasconde il suo profondo dissentimento all'opera del fronte popolare. Rimarca che soprattutto esistono numerose correnti in senso diverso che impediscono ogni positiva decisione. Lo stesso Esercito, per il suo carattere esclusivamente difensivo, può trovarsi un giorno di fronte ad una profonda crisi materiale e psicologica.

La Francia in questi ultimi tempi ha insistito perché un patto di mutua assistenza venisse stretto tra Parigi e i tre Paesi della Piccola Intesa. Questo è anche lo scopo del viaggio che Delbos sta attualmente compiendo. Stojadinovié si è formalmente opposto ad un tale patto e ancora più ferma resistenza opporrà alle nuove pressioni che gli verranno fatte. Un accordo di tale natura, oltre ad essere antinaturale e praticamente non eseguibile, verrebbe a creare delle inconcepibili assurdità e controsensi quando si pensa alla stuazione determinata dai Patti che legano bilateralmente alcuni degli Stati che dovrebbero far parte di tale combinazione.

Il presidente Stojadinovié informa che la Francia, preoccupata della sua politica estera, ha suscitato contro di lui in passato una forte campagna di opposizione. Con l'aiuto del Reggente Paolo egli ha superato la crisi ed ora le forze avverse sono state sgretolate. Approfitterà di questa situazione per allargare la base popolare del suo governo attraverso la costituzione, già in corso, di un gran partito che avrà principalmente lo scopo di organizzare le forze giovanili jugoslave. Tutto ciò determinerà un sempre più preciso avvicinamento al sistema politico formato dai Paesi autoritari ed un distacco dalla Francia.

Ungheria ed Austria. -I rapporti tra la Jugoslavia e l'Ungheria sono notevolmente migliorati in questi ultimi giorni. Il presidente Stojadinovié crede anche che, dopo le elezioni, Tatarescu affronterà eventuali conversazioni con l'Ungheria in vista di arrivare ad una distensione tra Budapest e Bucarest. Egli lo incoraggia su questa strada perché ciò renderebbe possibile un'intesa anche tra la Romania e l'Italia. Il Duce dice infatti che tra· l'Italia e la Romania le relazioni sono cordiali e che i rapporti economici si vanno sempre più intensificando. Però nessuna intesa formale avrà luogo senza il beneplacito di Budapest, cui Roma continua ad essere strettamente e cordialmente legata.

Interrogato sulla questione austriaca, il Duce espone la situazione ed il nostro punto di vista, in merito, così come risulta dai colloqui avuti con i dirigenti del Reich in varie occasioni e con Schuschnigg a Venezia nell'aprile scorso. Il presidente Stojadinovié concorda appieno sulla nostra formula.

Cecoslovacchia. -Prima della sua partenza per Roma, il Governo di Praga ha pregato Stojadinovié di accertare nei suoi colloqui se vi erano delle possibilità di una collaborazione fra l'Italia e la Cecoslovacchia, che valesse a migliorare la situazione internazionale di questo Paese. Nel comunicare quanto precede Stojadinovié aggiunge che egli stesso si rende perfettamente conto della difficile condizione cecoslovacca e che, nel trasmettere la comunicazione, non aggiunge nessuna sua parola di raccomandazione o di pressione.

Il Duce risponde che l'Italia non può e non desidera comunque intervenire in favore di Praga. La Cecoslovacchia si trova a dover fronteggiare una situazione difficilissima che a noi non interessa direttamente, mentre invece pone contro i cecoslovacchi i nostri amici tedeschi ed ungheresi. L'Italia non può quindi che lasciar cadere ogni profferta proveniente da Praga.

Intesa Balcanica. -Il presidente Stojadinovié: fa il punto delle sue relazioni con Atene ed Ankara. Dice anche che Riistii Aras lo ha pregato di far conoscere a Roma i sentimenti amichevoli della Turchia, ma, personalmente, aggiunge un giudizio severo nei confronti del ministro degli Esteri turco.

Il Duce riassume l'andamento dei nostri rapporti con Ankara ed Atene in questi ultimi anni. Dice che per parte nostra siamo intenzionati di mantenere alle relazioni con questo Paese un'intonazione nettamente cordiale, ma deve rimarcare che, specialmente dopo la firma del Patto di Belgrado, si è rivelato, sia in Grecia che in Turchia, un più marcato nervosismo e un tono di diffidenza non soltanto verso l'Italia, ma anche verso la Jugoslavia. Ciò dipende dal fatto che i turchi ed i greci sentono ora maggiormente la forza di gravitazione degli slavi verso il Bosforo e l'Egeo. Stojadinovié afferma che una tale impressione del Duce è corroborata da molte prove. I rapporti tra Jugoslavia da una parte e Grecia e Turchia dall'altra, per quanto formalmente correttissimi, sono stati in tempi recenti alterati nella loro sincerità. Ciò però non preoccupa il governo di Belgrado. Stojadinovié aggiunge che anche nei confronti della Grecia e della Turchia intende sempre più armonizzare la sua politica con quella di Roma.

Società delle Nazioni. -Il Duce comunica a Stojadinovié che è sua intenzione di abbandonare la Società delle Nazioni l'Il dicembre. Avrebbe già compiuto un tale gesto da qualche giorno se non vi fosse stata in corso la visita del Presidente jugoslavo a Roma. Se Stojadinovié crede che il ritiro dalla Società delle Nazioni immediatamente dopo la sua partenza dall'Italia possa dar luogo a polemiche a lui nocive, il Duce è disposto a ritardare di alcuni giorni l'avvenimento. Il presidente jugoslavo approva incondizionatamente la decisione del Duce e dice che scriverà personalmente il commento all'avvenimento nel senso che con l'uscita dell'Italia da Ginevra la Società delle Nazioni viene a perdere ogni funzione e valore.

Esaminati punti di minore importanza, viene riaffermata la volontà di una stretta collaborazione in ogni settore e, al fine di intensificare gli scambì fra i due Paesi, si decide l'invio di alcune missioni jugoslave militari e tecniche che possano prendere una più particolareggiata conoscenza delle nostre forze produttive e un più diretto contatto con le nostre forze armate.

689 1 Ritrasmetteva il T. per corriere 8203/0111 R. del 2 dicembre da Bruxelles. L'ambasciatore Preziosi

691

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8337/461 R. Berlino, 12 dicembre 1937, ore 14,30 (per. 16,15).

Il Fiihrer, che ho visto ieri sera, mi ha incaricato di presentare V.E. i suoi complimenti «per la grande decisione» 1•

Parlando ulteriormente della situazione generale, il Fiihrer ha tenuto a far comprendere che egli si rende ormai conto del gioco inglese, sia in materia di Europa Centrale, sia in materia coloniale. Posso anche aggiungere che qui non si sembra disposti a dare alla visita di Flandin 2 alcun speciale rilievo.

691 l Riferimento al ritiro dell'Italia dalla Società delle Nazioni. 691 2 L'ex-Presidente del consiglio francese era giunto quel giorno a Berlino, dove nei giorni successivi ebbe colloqui con Goebbels, Goring e con von Neurath. L'ambasciatore Attolico ne riferì ampiamente con un Telespr. 6233/2110 del 14 dicembre, inquadrando la visita nei tentativi effettuati «per inserire la Francia nel movimento di approccio e di riavvicinamento tra Berlino e Londra». Von Neurath però escluse, parlando con Attolico, che i contatti di Flandin potessero avere degli sviluppi concreti ed incaricò l'ambasciatore di farlo sapere in via confidenziale a Roma.

692

IL CAPO DELL'UFFICIO II DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 12 dicembre 1937.

In esecuzione degli ordini di V.E., ho posto il consigliere dell'ambasciata giapponese dettagliatamente al corrente di quanto a noi consta circa il fallito passo dell'ambasciata di Germania in Cina presso il Generalissimo Chiang Kai-shek 1•

Il consigliere mi ha vivamente ringraziato e mi ha detto che, mentre da parte giapponese si apprezza vivamente ed unanimemente l'appoggio che l'Italia ha dato «al l 00°/r>» al Giappone, l'atteggiamento tedesco è giudicato ambiguo e considerato con una certa diffidenza.

Parlando delle operazioni militari in Cina, il signor Matsumiya non mi ha nascosto una certa preoccupazione per le ripercussioni che il prolungarsi della campagna e l'allontanarsi delle truppe giapponesi dalle basi possono suscitare in Giappone. Egli mi ha detto che il Giappone, essendo costretto a mantenere in riserva le sue migliori unità per parare all'eventualità di un conflitto con l'U.R.S.S., ha impiegato nell'offensiva verso Nanchino truppe più scadenti, composte in massima parte di uomini non più giovanissimi e quasi tutti ammogliati e padri di famiglia. Il disagio delle famiglie così private del capo è grande e potrebbe, prolungandosi, avere spiacevoli ripercussioni sulla situazione interna del Paese 2 .

693

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 8358/462 R. Berlino, 13 dicembre 1937, ore 14,48 (per. ore 16).

Prima notizia dichiarazione tedesca 1 , cominciata qui a circolare soltanto iersera alle 6, ha fatto nei circoli diplomatici, specialmente in quelli francesi ed inglesi, un'impressione semplicemente enorme (io mi trovavo a quell'ora all'ambasciata di Francia). Il caratteristico è che mentre l'uscita dell'Italia da Ginevra in fondo non era una sorpresa per nessuno e d'altra parte nessuna persona seria si attendeva

ritorno Germania a Ginevra; tuttavia quello che ha sorpreso e potentemente preoccupato tutti è contemporaneità e rapidità delle due azioni e quindi prova della forza -la maggiore finora -dell'asse Roma-Berlino.

Le prime reazioni, specie da parte francese, sono state improntate ad aperto pessimismo. Fra l'altro si osservava che questo atto della Germania (serbato nel più ermetico segreto fino all'ultimo) giunge nel momento stesso in cui Francia e Inghilterra si preparavano fare un gesto conciliazione nei riguardi Germania, non può restare senza risposta. E cioè -si aggiunge -non può che ritardare se non addirittura frustrare, le possibilità aperte dalla missione Halifax.

A queste prime reazioni sembrerebbe peraltro -secondo quanto mi riferiscono miei colleghi 2 -succedere stamane una tendenza a visioni ed apprezzamenti più tranquilli.

692 1 Vedi D. 665 e 686. 692 2 Sul margine del documento c'è l'annotazione: «Visto da S.E. il Ministro. 13.Xll.XVI -G.>>. 693 1 Il 13 dicembre, il Deutsches Nachrichtenbiiro aveva diramato un comunicato in cui si dichiarava che la decisione dell'Italia di uscire dalla Società delle Nazioni aveva trovato in Germania «una piena comprensione e la più calda simpatia)) e concludeva: «Il governo del Reich, in pieno accordo con il governo italiano, non si lascerà mai distrarre dal suo convincimento che il sistema politico di Ginevra è pericoloso e catastrofico. Pertanto un ritorno della Germania nella Società delle Nazioni non potrà mai più essere preso in considerazione (testo in Rela:::ioni Internazionali, pp. 905-906).

694

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. 2015/300 R. Roma, 13 dicembre 1937, ore 24.

Telegramma V.E. 583 1 .

È stato deciso invio di una delegazione ufficiale italiana incaricata concludere accordo commerciale con il Manciukuò che assicuri condizioni favorevoli per incremento della nostra attività su quel mercato. Alla delegazione ufficiale verranno aggregati rappresentanti dei maggiori gruppi industriali nazionali con incarico di studiare e concretare basi per intensificazione scambi commerciali ed eventualmente promuovere collaborazione industriale italiana al programma di sfruttamento tecnico economico del Manciukuò e Nord Cina.

Delegazione verrebbe prima in Giappone per prendere contatti con codesti ambienti economici e si trasferirebbe successivamente in Manciukuò e Nord Cina.

Riservandomi richiedere ulteriori precisazioni sui punti che occorrerà qui definire prima della partenza delegazione prego coordinare in via preparatoria tutti gli elementi costà utilizzabili ai fini suddetti, tenendo presente che eventuale partecipazione finanziaria italiana non potrebbe verificarsi che in casi di assoluto bisogno nella misura consentita da altre preponderanti necessità nazionali.

Per la opportuna collaborazione tecnica, ministero Scambi e Valute aderendo richiesta telegramma V.E. n. 579 2 disporrà sollecita venuta Tokio consigliere commerciale Angelone.

Tenendo presenti condizioni climatiche Manciukuò, missione potrebbe giungere Tokio prima metà marzo. Prego ritelegrafare Cortese cui il presente dispaccio è anche diretto.

694 l Vedi D. 669. 694 2 T. 14873/579 R. del 4 dicembre, con il quale l'ambasciatore Auriti sollecitava l'assegnazione al l'ambasciata di un addetto commerciale.

693 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «decifrazione dubbia».

695

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

APPUNTO. Roma, 13 dicembre 1937.

L'Ambasciatore Wysocki è venuto a comunicarmi d'ordine del suo Governo l'andamento ed i risultati dei colloqui Delbos-Beck2 . Ha cominciato col dirmi che la visita del Ministro degli Esteri francese non ha valso se non a marcare più nettamente le differenze che esistono tra la Polonia e la Francia nel giudizio della situazione internazionale e delle vie da seguire. Delbos si è mostrato particolarmente attaccato al sistema della sicurezza collettiva ed è fiducioso nell'azione della Lega, senza peraltro fare pressioni su Beck, il quale invece ha riaffermato la fiducia polacca nelle trattative e nei patti bilaterali.

Le conversazioni si sono portate anche sulle relazioni fra la Polonia e la Cecoslovacchia ma Beck ha fatto capire all'interlocutore che tale problema era, a suo avviso, da trattarsi direttamente tra i due Paesi interessati senza intervento di terze Potenze. Per quanto concerne le relazioni tra Polonia e Russia, il Ministro degli Esteri polacco ha detto che, pur senza aderire al Patto Anticomunista, la Polonia non intende modificare le sue relazioni nei riguardi dei Sovieti: relazioni improntate a riserbo e freddezza.

La questione coloniale è stata incidentalmente toccata soltanto nell'ultima parte delle conversazioni. Nessuna richiesta territoriale è stata avanzata. Beck si è limitato a far presente che nel caso di revisione del problema coloniale la Polonia intende far valere il suo bisogno di materie prime.

Fin qui la comunicazione del suo Governo. A titolo personale l'Ambasciatore di Polonia, che porta spesso il nastrino della Legion d'Onore e trascorre le sue vacanze in Francia, ha aggiunto che Delbos, secondo quanto a lui risultava da informazioni private, aveva lasciato in Polonia una buona impressione3 .

696

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI D'EUROPA E DEL MEDITERRANEO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 13 dicembre 1937.

L'Incaricato d'Affari di Francia ha avuto istruzioni di richiamare l'attenzione del R. Ministero sulla propaganda irredentista in Corsica e particolarmente sul Telegrafo. Senza accennare ad alcun fatto particolare, Blande! ha posto in rilievo la persistenza e la continuità di tale propaganda.

695 2 Durante la visita di Delbos in Polonia del3-7 dicembre su la quale si vedano i DD. 621,674,676 e 712. 695 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

695 l Ed. in L'Europa verso la catastrofe. pp. 234-235.

697

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. 2018/302 R. Roma, 14 dicembre 1937, ore 2.

In seguito alla decisione del governo fascista di uscire dalla S.d.N., governo tedesco ha pubblicato a mezzo del D.N.B. una dichiarazione ufficiale 1 nella quale viene proclamata decisione germanica di non fare mai più ritorno nella S.d.N.

Prego V.E. attirare attenzione di codesto governo su tale dichiarazione, facendo presente, ove lo ritenga conveniente, opportunità che anche da parte giapponese venga fatta dichiarazione analoga. Ciò riuscirebbe a noi molto gradito e di evidente utilità generale 2 .

698

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 2020/482 R. Roma, 14 dicembre 1937, ore 2.

Faccia sapere al Fiihrer a nome del Duce che dichiarazione tedesca per uscita Italia Società Nazioni 1 è stata accolta colla maggiore simpatia e soddisfazione dal Duce e da tutto il popolo italiano.

699

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. 19644/182 P.R. Roma, 14 dicembre 1937, ore 2.

In relazione ultima parte mio telegramma per corriere n. 1946 del 27 novembre u.s. 1 , ella potrà, in via di discorso, confermare a codesto governo il carattere e la portata della visita di Stojadinovié secondo le indicazioni contenute nel telegramma anzidetto.

È stata confermata e rafforzata la cordialità dei rapporti fra i due Paesi. Non è stato firmato, né concluso, nessun nuovo accordo, i rapporti itala-jugoslavi continuando ad essere regolati dagli Accordi del marzo scorso, di cui uno dei punti fondamentali è costituito (come anche indicato nel telegramma predetto) dalla sovranità e indipendenza dello Stato albanese.

697 2 Nella minuta, questa ultima frase è autografa di Ciano. 698 1 Vedi D. 693, nota l. 699 1 Ciano aveva incaricato il ministro Jacomoni di chiarire, nei suoi contatti con il ministero degli Esteri albanese, che il prossimo viaggio di Stojadinovié in Italia non aveva nessuno scopo speciale e che l'indipendenza albanese restava uno dei punti fondamentali degli Accordi tra Roma e Belgrado.

Confermi (se pure occorra) che i sentimenti e i propositi del governo fascista verso l'Albania rimangono immutati e che l'Italia, come prove recenti lo hanno concretamente dimostrato, seguita a portare -immutato -il maggiore interessamento allo sviluppo dello Stato albanese.

697 l Vedi D. 693, nota l.

700

IL MINISTRO A MUKDEN, CORTESE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 15308/104 P .R. Mukden, 14 dicembre 1937, ore 12 (per. ore 7,20 del 15).

Miei telegrammi n. 89 1 e n. 942 .

Lieto comunicare a V.E. Capo Gabinetto ministero degli Affari Esteri mi telefona che Kuantung Army per insi.stenze generale Tojo ha deciso acquistare autocarri Fiat per valore complessivo di un milione di dollari americani.

Egli mi prega recarmi Hsin King per concludere appena ricevuta comunicazione ufficiale. Assicurami che governo informato ambasciatore del Giappone a Roma accettazione pagamento 50 per cento soya.

Onoromi chiedere a V.E.:

l) Esatta notizia accettazione tali condizioni pagamento:

2) Autorizzazione di V.E. a concludere 3 .

701

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8432/0138 R. Berlino, 14 dicembre 1937 (per. il 15).

Telegramma per corriere di V.E. n. 2000 in data 10 corrente 1 .

Non ho mancato di far presente a S.E. Neurath l'opportunità di riassicurare il governo portoghese che la Germania rivendica le sue ex-colonie e non ha alcuna mira su quelle altrui.

Il barone von Neurath mi ha risposto che egli aveva già fatto fare una dichiarazione simile per mezzo del ministro tedesco a Lisbona ma che ora, in seguito alla

806 segnalazione dell'E.V., l'avrebbe fatta rinnovare a mezzo del ministro del Portogallo a Berlino. Il barone von Neurath peraltro si mostra alquanto scettico sui motivi che possono aver indotto il Portogallo ad un cambiamento di rotta nei riguardi dell'Inghilterra ed è incline a ritenere che quello coloniale sia più che altro un pretesto.

Per notiza di V.E. aggiungo che io, richiesto da questo ministro del Portogallo subito dopo la visita di Halifax se nulla sapessi in proposito, mi sono affrettato a dargli, sugli elementi che già possedevo per bocca di Neurath, le più ampie assicurazioni, le quali mi risultano anche essere state debitamente trasmesse a Lisbona 2 .

700 1 T. 15003/89 P.R. del 6 dicembre. Comunicava di avere interessato personalmente il capo di Stato Maggiore dell'armata del Kuantung, generale Tojo, per giungere ad un accordo circa un'importante fornitura di autocarri Fiat, al Manciukuò. Il generale Tojo aveva dato dei concreti affidamenti come dimostrazione della gratitudine dei militari giapponesi per la politica italiana verso il Giappone. 700 2 Con T. 29362/94 P. G. deli'S dicembre era stata ripetuta una parte del telegramma di cui alla nota precedente, giunta indecifrabile. 700 3 Ciano rispondeva con T. 19754/39 R. del 15 dicembre compiacendosi per la conclusione della fornitura e comunicando il consenso del ministero per gli Scambi e Valute. 701 l Vedi D. 684.

702

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2223/1192. Ankara, 14 dicembre 1937 (per. il 22).

Come ho avuto occasione di accennare all'E.V. (mio telegramma n. 227 del lO c.m.) 1 , la visita di Stojadinovié in Italia è stata qui seguita con profondo interesse, non disgiunto da una certa apprensione. Gli sviluppi della politica jugoslava nella Penisola Balcanica e nel più vasto quadro della politica europea non possono infatti, in ragione dell'indirizzo alquanto indipendente dato da Belgrado rispetto alle Intese preesistenti, non preoccupare la Turchia, che prevede i riflessi immediati di tale politica nei due settori di maggiore interesse per lei: la Tracia ed il Mediterraneo Orientale.

V.E. avrà rilevato come Aras, nelle conversazioni con me avute al riguardo, sia stato contrariamente al suo solito, molto sobrio e reticente nelle sue dichiarazioni. Egli si è studiato di mostrare la più assoluta tranquillità per un avvenimento al quale egli attribuiva intenzionalmente un valore puramente formale e di cortesia..

La stampa, evidentemente ispirata, ha riservato largo spazio all'avvenimento commentandolo molto favorevolmente, valendosi peraltro di argomenti che confermano le preoccupazioni cui ho più sopra accennato. I giornali svolgono il comune tema che il riavvicinamento itala-jugoslavo fu previsto e preparato nell'incontro di Milano Ciano-Aras e che le migliorate relazioni fra Roma e Belgrado si riflettono

favorevolmente sulla Piccola Intesa e sull'Intesa Balcanica: la Jugoslavia infatti, vuole migliorare le sue relazioni con l'Italia, la Germania e l'Ungheria, perseguendo così un'opera di conciliazione e di pace che rafforza i raggruppamenti esistenti. Si ritorna quindi, con una insistenza che lascia dubbiosi sulla sua sincerità, sul concetto che il riavvicimento è avvenuto sotto gli auspici della Turchia, che esso non solo consolida i vecchi sistemi di amicizie cui la Turchia partecipa direttamente o indirettamente, ma si armonizza perfettamente con la politica seguita dalla Turchia, la quale aveva già preceduto l'alleata Jugoslavia sulla via della politica di amicizia con l'Italia e con la Bulgaria.

Quanto ho più volte riferito all'E.V. (v. fra altri il telespresso n. 666/313 del 3 aprile 1937) 2 e cioè che l'andamento delle relazioni italo-jugoslave avrebbe avuto immediate e dirette ripercussioni sull'andamento di quelle italo-turche trova oggi conferma. Ciò avviene poi tanto più ostentatamente in quanto la tensione nei rapporti franco-turchi induce Ankara a commentare con particolare favore un avvenimento che rappresenta l'abbassamento dell'influenza francese in un settore che fu già ritenuto di suo esclusivo dominio 3 .

701 2 L'ambasciatore Attolico comunicava successivamente (T. per corriere 8475/0140 R. del 16 dicembre) che ali'Auswiirtiges Amt gli era stato smentito «nel modo più assoluto» che Schacht avesse avanzato una qualunque proposta riguardante l'Angola portoghese o il Congo Belga. In proposito, l'ambasciatore ricordava che più di un anno prima Schacht gli aveva detto che la Germania poteva accampare delle pretese soltanto sulle sue ex-colonie e che sarebbe spettato agli altri fare eventuali controproposte in senso diverso. 702 l T. 8302/227 R. del l O dicembre. Riferiva che, nonostante affettassero tranquillità, gli ambienti di Ankara seguivano con «intensa attenzione» il viaggio di Stojadinovié in Italia, mentre la stampa turca lasciava trasparire «qualche sospettosa inquietudine» nell'osservare che la Jugoslavia non aveva interesse a disunire le intese di cui faceva parte e ad accettare un'influenza predominante dell'Italia che sarebbe stata «perniciosa per tutti i balcanici».

703

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 4782/2130. Mosca, 14 dicembre 19 3 7 (per. il 20).

Mio telegramma n. 126 di ieri 1•

Data l'importanza dell'argomento, ho creduto mio dovere riferire telegraficamente ali'E.V. circa la voce che ha incominciato a circolare nel corpo diplomatico di Mosca di un nuovo accordo recentemente concluso fra la Cina e l'U.R.S.S.

Il consigliere di questa ambasciata giapponese 2 è venuto appositamento alla

R. ambasciata a segnalarmi questa voce ed a chiedermi se possedevo qualche elemento di informazione al riguardo. Mi disse che la notizia gli era stata data molto confidenzialmente da un membro dell'ambasciata di Francia e che per conto suo la credeva verosimile, in quanto egli era incline a pensare che nel momento attuale Chiang Kai-shek potesse decidersi a concludere una vera e propria alleanza militare coll'U.R.S.S.

Da parte mia, e pur senza possedere alcun elemento positivo di giudizio, propendo a scartare l'ipotesi di una alleanza militare vera e propria, perché continuo a ritenere che il governo sovietico non sia ancora deciso, e neppure materialmente

702 3 Il documento ha il visto di Mussolini. 703 1 T. 83831126 R. del 14 dicembre. Riferiva che l'ambasciatore del Giappone aveva chiesto che cosa risultava all'ambasciata d'Italia circa un accordo segreto che correva voce fosse stato concluso di recen te tra il governo sovietico e quello cinese. 703 2 H. Nishi.

808 pronto, ad impegnarsi a fondo nel conflitto sino-giapponese. Con ciò non intendo però escludere la possibilità di un qualche accordo concernente l'aiuto militare, specialmente sotto forma di rifornimenti.

Non mancherò di fare ogni possibile indagine ed eventualmente riferire.

Informo intanto che, rettificando ancora una volta le informazioni datemi in precendenza, l'ambasciata giapponese mi ha riferito che il numero degli apparecchi d'aviazione forniti dai soviet alla Cina sarebbe di duecentoquaranta, e che tutti questi apparecchi sono giunti in Cina per via di mare 3 .

702 2 Vedi serie ottava, vol. VI, D. 403.

704

IL MINISTRO A DUBLINO, LODI FÈ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8400/42 R. Dublino, 15 dicembre 1937, ore 0,33 (per. ore 3.10 ). Mio telegramma n. 41 per corriere 1•

Questione creazione legazione irlandese a Roma ha provocato dinanzi a questa Camera violenta discussione sulla qualifica di «Imperatore d'Etiopia» da usare nelle credenziali del futuro inviato e che presidente De Valera ha dichiarato necessario di adottare.

Laburisti, insieme ad alcuni membri dell'opposizione «Cosgraviana», accusando governo incoerenza e simpatia per le tre Potenze anticomuniste, hanno rilevato come la formula significasse soprattutto riconoscimento annessione Abissinia.

De Valera ha opposto necessità seguire politica realista, ineluttabilità che tutti Paesi procedano prima o poi a detto riconoscimento, dovere dell'Irlanda di compiere verso amica Italia, con creazione legazione irlandese, gesto che assolva debito da qualche tempo dovuto, di considerare tale legazione «di interesse nazionale» per il Paese e, se ciò era, la necessità per attuarla di usare per il Sovrano d'Italia la qualifica che il popolo italiano ha a questi attribuita. Ciò non implicherebbe un riconoscimento di diritto. Ginevra d'altronde avrebbe potuto riservare per più tardi deliberazioni definitive.

Largo dissenso durante dibattito ha reso inevitabile votazione, ma governo è riuscito a vincere a grande maggioranza: 77 contro Il.

Per il modo come discussione si è svolta e per dichiarazioni governative che ha accompagnato deliberazione, sembra potersi dire che quanto abbiamo ottenuto è più della semplice constatazione del fatto compiuto. Se non è ancora l'approvazione, è però un fatto che attesta la fiducia del governo irlandese nella stabilità nuovo ordine di cose in Abissinia.

704 l T. per corriere 8223/041 R. del 3 dicembre. Comunicava che l'istituzione della legazione presso il Quirinale avrebbe dato luogo ad un acceso dibattito nel Parlamento irlandese a causa della questione dell'intestazione delle credenziali.

703 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

705

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8419/625 R. Tokio, 15 dicembre 1937, ore 8,58 (per. ore 17,30).

Telegramma di V.E. n. 302 1•

Ne ho parlato a lungo con Hirota.

Mi ha obiettato che decisione fu presa con rescritto imperiale e pertanto è divenuta principio fondamentale della politica giapponese e che dopo che Sovrano ha parlato nulla può essere aggiunto.

Ho replicato che non intedevo infirmare nulla di quanto egli mi diceva ma che tutto ciò era ignoto o malcompreso in Occidente e che pertanto sarebbe stato assai utile specie nel presente momento di rammentare chiaramente all'opinione pubblica occidentale questo precedente e farla persuasa non esservi alcuna possibilità per il Giappone di mutare in seguito quel principio di condotta fissato dalla volontà sovrana.

Conclusione è stata che mi ha promesso avrebbe studiato ques.tione 2 .

706

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8422/196 R. Varsavia, 15 dicembre 1937, ore 15,40 (per. ore 18,30).

Attiro l'attenzione di V.E. su una nota ufficiosa diramata da questa Agenzia di Informazioni Politica 1 e trasmessa telegraficamente costì dalla PAT circa attitudine Polonia nei riguardi della S.d.N.

Nota rispecchia fedelmente pensiero ministro Beck dal quale sarebbe stata personalmente dettata. Produce vivissima sensazione in questi circoli diplomatici affermazione che, qualora istituzione ginevrina dovesse ridursi raccogliere soltanto un gruppo di Stati in disaccordo d'interessi con altri Stati, governo polacco sarebbe costretto a rivedere propria posizione.

Si rileva che dichiarazione avviene pochissimi giorni dopo il viaggio Delbos 2 confermando impressione che il viaggio stesso abbia servito a ben poca cosa.

705 2 L'ambasciatore Auriti comunicava successivamente (T. 8498/639 R. del 18 dicembre) che il gover no giapponese aveva fatto diramare una nota in cui, nel dare notizia dell'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni, ci si limitava a ribadire i rapporti amichevoli esistenti tra il Giappone e le Potenze dell'Asse. 706 l Per il contenuto della nota, si veda il D. 715. 706 2 Vedi D. 621, nota 2.

Nota riassume posizione Polonia nei confronti conflitto abissino ed è ispirata evidenti sentimenti di simpatia verso l'Italia.

705 l Vedi D. 697.

707

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL SEGRETARIATO GENERALE DELL'ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE DEL LAVORO

T. 2025 R. Roma, 15 dicembre 1937, ore 23,25.

Comunico a codesto Segretariato che in data 15 dicembre il governo italiano notifica la sua uscita dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro.

708

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, PRUNAS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8462/0405 R. Parigi, 15 dicembre 1937 (per. il 17).

Dove la manovra condotta dal governo francese sulla linea Varsavia-Bucarest-Belgrado-Praga1 sembra abbia portato a risultati nulli e più esigui è senza dubbio in questa terza tappa jugoslava giunta ieri a termine.

Nessun commentatore e nessun corrispondente da Belgrado ha in questa occasione fatto la più piccola allusione od accenno al patto di mutua assistenza proposto dalla Francia alla Jugoslavia e alla Romania nel novembre 1936 e che costituisce pur sempre il chiodo sul quale batte da anni la politica francese nell'Europa Centrale. Tutta la luce possibile è stata invece proiettata sulle presunte, inequivocabili manifestazioni pro-francesi dell'opinione pubblica e del sentimento popolare polacco, romeno e jugoslavo, in contrasto ed opposizione con la politica equivoca dei Beck, Carlo II e Stojadinovié. Tali manifestazioni sarebbero state più calde in Romania che altrove, ma da per tutto esse avrebbero -a detta di questa stampa -rivelato un contrasto e conflitto più o meno aperto fra governi e sentimento popolare.

Quello che sembra certo è che Stojadinovié ha in termini netti riaffermato la sua sfiducia nel dogma della sicurezza collettiva e nella procedura societaria e difeso in termini altrettanto netti la politica jugoslava nei confronti italiani e tedeschi. E di ciò questa stampa gli dà atto in forma non precisamente cortese (vedi mio telespresso odierno )2 .

708 I Si riferisce alla visita effettuata in quelle capitali dal ministro degli Esteri, Delbos, tra il 3 ed il 17 dicembre. 708 2 Non rintracciato.

Per il resto, il Primo Ministro jugoslavo ha assicurato Delbos che l'amicizia del suo governo e del suo popolo verso la Francia resta inalterata; che la Jugoslavia non avrebbe aderito, nonostante la sua categorica avversione al bolscevismo, al Patto tripartito anticomunista; che non avrebbe, nonostante la sua dichiarata sfiducia, allentato per il momento i suoi vincoli con Ginevra, che non avrebbe infine riconosciuto per ora il governo nazionale spagnolo ma inviato semplicemente a Salamanca un agente sul tipo britannico.

Ma queste affermazioni e l'accordo commerciale firmato prima della partenza (che stabilisce nuovi modi di pagamenti al posto del sistema di clearing in vigore dal '33) non valgono certamente a dissipare l'impressione oggi qui dominante che il viaggio di Delbos in Europa Centrale non abbia dato i frutti che si scontavano e che soprattutto il bilancio della tappa jugoslava si chiuda in netto in passivo.

709

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2230/1197. Ankara, 15 dicembre 1937 (per. il 22).

Col mio telegramma n. 229 del IO c.m. 1 ho sùbito informato l'E.V. della emozione che la probabilità del ritiro dell'Italia dalla S.d.N. aveva subito sollevato in questi circoli politici, e con quanta insistenza Numan Menemencioglu Segretario Generale al ministero degli Affari Esteri me ne aveva domandato.

U guaii insistenti domande avevo avuto da colleghi del corpo diplomatico. Perciò la trasmissione radiofonica della sera di sabato 11 corrente è stata seguita con ogni attenzione e durante un ballo cui assisteva la maggior parte del corpo diplomatico il direttore stesso dell'agenzia telegrafica di Anatolia dava ogni quarto d'ora le notizie che gli venivano telefonate, per appagare la curiosità generale.

Nel colloquio che ho avuto ieri con Aras (mio telegramma n. 230) 2 , abbiamo toccato principalmente questo argomento. Aras mi ha dichiarato che dopo quanto era accaduto a settembre a Ginevra, il ritorno 3 dell'Italia dalla S.d.N. era logico e prevedibile. Egli (lui ha sempre detto e preveduto tutto) aveva più e più volte fatto notare agli ambasciatori di Francia4 e d'Inghilterra 5 l'errqre allora commesso nel non dare soddisfazione all'Italia. Questo errore minaccerebbe di aggravarsi se altri Stati dovessero ora seguire l'esempio italiano. Egli non prevede conseguenze immediate nel seno della S.d.N., ma successive, specialmente se altri Stati si ritireranno. Il ritiro dell'Albania non avrebbe molto significato, ma bensì quello dell'Austria e dell'Ungheria, specie quest'ultimo.

Società delle Nazioni avevano destato grande emozione nei circoli politici e diplomatici di Ankara. 709 2 T. 8404/230 R. del 14 dicembre, relativo ad un colloquio con Aras, il cui andamento è riportato qui in termini del tutto analoghi e con maggiore ampiezza. 709 3 Sic. Si legga: «ritiro>>. 709 4 Henri Ponso!. 709 5 Sir Percy L. Loraine.

L'Austria che tanto deve tenere alla sua indipendenza la quale è garantita solo dalla volontà positiva dell'Italia e, per ora, negativa della Germania, ha un elemento psicologico di sostegno nella sua appartenenza alla S.d.N. Si tratta, benché piccolo, di un elemento morale che non deve essere trascurato da Vienna. Se essa si ritirasse da Ginevra l'ostacolo oggi esistente mancherebbe e la Francia, ma soprattutto l'Inghilterra (cui un ingrandimento maggiore o minore della Germania è indifferente) si disinteresserebbero della sua sorte. Inoltre, il suo ritiro avrebbe potuto avere conseguenze disastrose nell'Europa Centrale.

Col ritiro dell'Ungheria la situazione diverrebbe più grave. Essa non ha motivi di restare a Ginevra. Ma il suo ritiro finirebbe da un verso col dare a Ginevra l'aspetto di un fronte con vantaggio insperato di quegli Stati o di quelle correnti di opinione pubblica che lo desiderano, e con svantaggio e danno per la situazione europea, dall'altro col rafforzare le correnti revisionistiche territoriali.

Di queste eventualità egli non aveva notizia, ma le esponeva solo in via di ipotesi.

Poiché sapevo delle nuove difficoltà nel Sangiaccato che ora la Turchia deve affrontare proprio per i deliberati del Comitato nominato dalla S.d.N., ho creduto utile approfittarne per mettergli in luce:

a) Che oggi più che mai i deliberati della S.d.N. ma specialmente la esecuzione pratica che a tali decisioni saranno date da organi esecutivi ginevrini sarà totalmente influenzata da Francia ed Inghilterra çhe detengono la quasi totalità del Segretariato. Pertanto le Potenze ad interessi limitati erano completamente in balia di queste due Potenze, senza nessuna possibilità di contrappeso e di difesa.

b) Ne era prova quello che la Turchia sta attraversando in questi giorni per la questione delle elezioni nel Sangiaccato (v. mio rapporto n. 2226/1195 del 14 c.m.)6 . Le decisioni relative erano state dettate dalla Francia, e la Turchia non ne aveva avuto notizia che a cose fatte.

c) Da un punto di vista generale dovevo poi osservare che, mancando quattro grandi Potenze nel Consiglio permanente, si arrivava ad avere un vero e proprio direttorio politico esclusivamente franco-inglese, quindi nettamente contrario alle finalità universalistiche che il Covenant voleva fissare in eterno. Questa situazione poteva divenire pericolosissima per la pace.

Aras mi ha ascoltato con attenzione, ed ha assentito di massima a quanto gli dicevo. Mi ha detto però che per ora la Turchia restava ferma al suo ideale societario e benché non avesse da rallegrarsi di Ginevra non credeva venuto ancora il momento di separarsene. Occorrebbero altri più gravi eventi per tale ipotesi. La Turchia si rendeva però conto del cattivo funzionamento pratico del Segretariato come delle procedure, e mirava alla riforma di queste.

I commenti della stampa all'uscita dell'Italia dalla S.d.N. non sono in genere troppo lusinghieri per la Lega. L'Aksam in un suo importante articolo, che ha tanto più valore in quanto è stato scritto dal delegato permanente turco a Ginevra, signor Necmeddin Sadak, elenca gli ultimi avvenimenti che costituirono il fallimento morale della Lega e si domanda se questa può continuare a vivere. Dopo aver

accennato al desiderio di alcuni Stati di mantenere tale istituzione, l'autore si domanda ancora se questi Stati fanno effettivamente tutto ciò che sarebbe necessario per rafforzarla. Necmeddin Sadak non dà una risposta diretta a questa domanda ma accenna alle intenzioni egoiste delle grandi Potenze manifestatesi alla recente Conferenza di Bruxelles ed espone le doglianze turche in questi termini: «L'atteggiamento del Consiglio della S.d.N. verso la Turchia, partigiana sincera della pace, che non ha visto prendere una decisione concreta a proposito delle sue richieste, hanno trasformato a poco a poco questo aeropago in una macchina burocratica. In ogni caso, la situazione nella quale si trova la S.d.N. non è dovuta a Paesi come la Turchia, che nei momenti più difficili ha dato alla Lega forza e influenza ed i suoi successi nella sua opera di pace. La colpa e la responsabilità della situazione ricade su coloro che non hanno esaurito gli affari che erano stati loro affidati, alle loro idee particolaristiche. agli intrighi ed alle conversazioni dietro le quinte e nei corridoi».

Il San Posta mette in relazione l'atto dell'Italia con le intenzioni aggressive dell'a<>se Roma-Berlino-Tokio da un lato e con l'indirizzo politico italo-ungaro-jugoslavo (già preparato da lungo tempo da Pasié) dall'altro, per concludere che sta per prodursi una nuova politica e per rilevare che la decisione italiana ha grandissima importanza per la Turchia.

L'uftìcioso Vlus si limita a pure e semplici constatazioni (l'Italia non poteva più rimanere nella Lega. Quattro su sette grandi Potenze sono ormai assenti da Ginevra. L'atto italiano conferma la divisione in due campi opposti), senza fare commenti.

709 1 T. 83011229 R. del IO dicembre. Riferiva che le notizie di stampa circa il ritiro dell'Italia dalla

709 6 Non rintracciato.

710

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T 8447/113 R. Bruxelles, 16 dicemhre 1937, ore 13,55 (per. ore.17,3()).

Spaak mi ha intrattenuto lungamente e confidenzialmente delle sue pretese grandi difficoltà per riconoscimento Impero, menzionando fra l'altro nostra stessa uscita da Ginevra.

L'ho confutato.

Egli mi ha allora confidato che teme soprattutto opposlZlone dei socialisti, benché speri poter neutralizzare Vandervelde promettendogli di non procedere per il momento alcunché nei riguardi riconoscimento Spagna nazionalista. Mi ha detto pure essere grandemente preoccupato dibattito parlamentare che seguirebbe invio ambasciatore, accennando che gli occorrerebbe poter usare argomenti «internamente adatti» per ottenere maggioranza senza incorrere allo stesso tempo reazione socialisti e quindi crisi ministeriale.

Benché Spaak evitato precisare sue idee, ho tuttavia impressione che egli pensasse allo stesso quesito già posto a V.E. nell'inverno scorso e di cui al telegramma

V.E. n. l dell'8 gennaio scorso 1 . Ad ogni modo ritengo che egli farà presto compiere qualche passo presso V.E.

Aggiungo che Spaak ha chiesto suo mm1stro a Belgrado2 portata attribuita dal governo jugoslavo nota formula riconoscimento. Mi consta che risposta l'ha ridotta al minimo.

Sarò intanto grato a V.E. telegrafarmi, per norma di condotta e di linguaggio, se contenuto predetto telegramma V.E. n. l resta invariato.

710 1 Vedi serie ottava, vol. VI, p. 15, nota l.

711

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 6362. Berlino, 16 dicembre 1937 1•

Ti ho già telegrafato in data 12 dicembre2 che il Fuhrer «si rendeva ormai conto del gioco inglese tanto in materia coloniale guanto in materia di Europa Centrale».

Ora posso aggiungere qualche ulteriore dettaglio. La sera del concerto, Renzetti, trovandosi a parlare col Fuhrer (gli sedeva davanti) sulla questione coloniale ebbe a esprimere l'opinione che la Germania riavrebbe le sue colonie più presto di quanto non ritenesse e forse nel termine di 2 anni. Non so su quale base Renzetti dicesse questo. Comunque, il Fuhrer, dopo aver risposto ch'egli non condivideva questo suo ottimismo, aggiunse testualmente:

«L'Inghilterra cerca di offrirmi del lardo (Speck) per attrarmi. Io non sono così stupido però da cadere nella trappola che mi tende. Già poi l'Inghilterra non vuole darmi niente di proprio. Se crede di contentarmi mediante delle concessioni in Europa Centrale o a spese di altre Nazioni quali la Olanda o il Belgio, si sbaglia della grossa».

Questo è certamente molto interessante ed io te lo riferisco.

Mi permetto tuttavia di aggiungere che nonostante l'opinione del Fuhrer, gli approcci anglo-tedeschi meritano tutta la nostra attenzione. Ti dissi già in proposito (mia lettera personale del 7 dicembre n. 2064) 3 che, «all'infuori del Fuhrer che anche in questa materia è il più tetragono, tutti qui a cominciare da Goring, sperano e lavorano per un rivvicinamento con l'Inghilterra». Questo confermo ancora. L'idillio Goring-Henderson è ancora nel suo pieno rigoglio e alla «causa» ha promesso tutto il suo appoggio lo stesso Goebbels.

Anche per questo la bomba ginevrina4 ha indubbiamente servito di doccia fredda, ma non dubito che al prossimo nuovo gesto della bionda cugina, tutti questi ardori si risveglieranno.

In proposito ritengo opportuno informarti, anche per una eventuale segnalazione a Grandi, che dopo Natale è stato chiamato a conferire a Londra l'ambasciatore Henderson. Forse sarà bene seguirne i movimenti 5 .

71 O 2 Charles de Romrée de Vichenet. 711 I Manca l'indicazione della data di arrivo. 711 2 Vedi D. 691. 711 3 Vedi D. 672. 711 4 Riferimento all'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni. 711 5 Il documento ha il visto di Musso1ini.

712

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 6366/2127. Berlino, 16 dicembre 1937 (per. il 17).

È passato di qui, reduce da Varsavia dove aveva accompagnato il signor Delbos, l'ambasciatore di Polonia a Parigi, signor Lukasiewicz. Essendo egli mio buon amico sin dai tempi di Mosca, il signor Lukasiewicz è venuto a vedermi. Ho quindi avuto occasione di domandare a lui quale il fosse il risultato vero della visita di Delbos a Varsavia 1•

Il Lukasiewicz mi ha detto che egli considera la visita di Delbos a Varsavia come il coronamento dell'azione da lui intrapresa fin dal suo arrivo a Parigi per una definitiva chiarificazione, su basi realistiche, dei rapporti paiono-francesi. La Polonia non intende affatto rinnegare la sua alleanza con la Francia, anzi desidera rimanervi rigorosamente fedele: essa però non può ammettere che questa sua alleanza con la Francia, la quale poggia sopra basi, ed ha obiettivi, precisi e determinati, implichi l'obbligo da parte della Polonia di seguire la politica francese in tutte le altre questioni che sono estranee alla lettera ed allo spirito dell'alleanza. La Polonia, per la sua stessa posizione geografica, ha assoluto bisogno di andare d'accordo con la Germania. Parigi deve anzi rendersi conto che quanto più Varsavia è in buoni rapporti con Berlino, tanto maggiore può essere l'apporto benefico della Polonia ai rapporti fra Berlino e Parigi.

Questo, mi diceva Lukasiewicz, Delbos -che è un uomo di idee assai più larghe di quanto non si creda, e di gran lunga più ragionevole del Quai d'Orsay e del signor Léger-in occasione del suo viaggio a Varsavia ha pienamente riconosciuto. Ecco, in fondo, il risultato vero del viaggio di Delbos in Polonia. Delbos ha anche constatato che, per quanto riguarda i rapporti cogli Stati dell'Intesa balcanica e con la Russia, la Polonia intende regolarli secondo esigono i suoi precisi interessi. Ciò, naturalmente, si riferisce in particolar modo alla Cecoslovacchia. Anche questo, mi diceva Lukasiewicz, Delbos deve aver perfettamente capito, ed è sintomatico che, per la prima volta nei brindisi scambiati fra Beck ed il ministro francese non si sia fatto, né da una parte, né dall'altra, accenno alla Società delle Nazioni.

La conversazione è quindi naturalmente passata alla situazione europea ed ai rapporti fra la Francia e l'Italia. Lukasiewicz mi ha detto che in questo momento l'Italia è diventata per la Francia un vero «nemico n. l». Contribuiscono a questo risultato ragioni di natura diversa.

l) La Francia, come già a suo tempo nei riguardi della Polonia, stenta a rendersi conto della necessità che ha l'Italia di andare d'accordo con la Germania. L'intimità dei rapporti dell'Italia con la Germania costituisce quindi, specialmente per il Quai d'Orsay (Léger), quasi una presunzione di ostilità nei riguardi della Francia.

2) La conquista dell'Abissinia e la successiva attività politica spiegata dall'Italia hanno fatto nascere nella Francia delle inquietudini per il suo impero coloniale, inquietudini che in questi ultimi tempi si sono venute anche aggravando.

3) Ad inacerbire, anche oltre le necessità obiettive della situazione, i rapporti franco-italiani, ha poi molto contribuito, secondo il Lukasiewicz l'asprezza delle campagne di stampa. In Francia sarebbero stati particolarmente risentiti gli articoli recentemente pubblicati in Italia contro le défaillances militari della Francia durante la grande guerra.

Lukasiewicz aggiungeva peraltro, come già mi aveva detto Bullitt, che tanto Chautemps quanto Delbos e specialmente il primo sono sempre favorevoli ad un'intesa con l'Italia. Essi esitano però a compiere un qualunque gesto in materia soprattutto perchè -a parte il nuovo fatto societario ora sopraggiunto 2 -fino a quando i comunisti rimarranno parte «necessaria» della maggioranza governativa Chautemps difficilmente si può allontanare dalla linea di condotta fin qui seguita. A questa circostanza soprattutto Lukasiewicz attribuisce l'assurdo ritardo della Francia nel riconoscere l'Impero.

712 1 Su di essa si vedano anche i DD. 676, 695 c 706.

713

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8452/233. Ankara, 17 dicembre 1937, ore 20,30 (per. ore 7 del 18).

Aras mi ha pregato, in occasione mio prossimo breve congedo, intrattenere

V.E. della sua eventuale visita ad Ankara per la primavera prossima. Egli desidera arrivare al più presto nei riguardi dell'Impero allo stesso grado di riconoscimento della Jugoslavia. Non cura eventuali obiezioni francesi. L'Inghilterra (mi ha ripetuto più volte pregandomi prenderne atto), non gli ha fatto, e non gli farà mai, nessun ostacolo. Però, mi ha detto chiaramente Turchia deve preoccuparsi delle suscettibilità russe. Gli occorre pertanto trovare la forma che la salvaguardi da nuovi attacchi sovietici. Così egli confida di trovarla al più tardi in occasione della riunione dell'Intesa Balcanica ai primi di febbraio in Ankara. Egli spera che in occasione della sua venuta V.E. vorrà aderire a Montreux, la adesione essendo oggi semplificata quanto alla ... 1 . Società delle Nazioni.

Richiamo a tale riguardo mio telegramma n. 224 del 29 novembre2 ed aggiungo che in queste ultime settimane ho cercato esercitare uno sforzo costante ed ininterrotto su Aras per ottenere le precise dichiarazioni che egli ora mi ha autorizzato a fare all'E.V.

712 2 Allusione all'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni. 713 I Nota dell'Utlìcio Cifra: «due gruppi indecifrabili». 713 2 Vedi D. 677, nota l.

714

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8543/078 R. Varsavia, 17 dicembre 1937 (per. il 20).

Mio telegramma n. 196 del 15 corrente 1 .

Il comunicato della P.I. P. 2 è giunto come una sgradevole sorpresa per questi ambienti franco-inglesi. Mi risulta che questo ambasciatore di Francia interrogato sulle sue impressioni personali ha risposto che il comunicato era «un atto di ostentata simpatia del signor Beck per l'Italia»; ma che d'altra parte gli sembrava che si dovesse escludere che esso avesse il valore di una minaccia della Polonia verso la S.d.N.

L'interpretazione data dal signor Noel mi pare significativa. Beck ha certamente voluto darci una prova di solidarietà; egli trova che il gesto dell'Italia è più che logico e che la S.d.N. aveva veramente stancata la pazienza del Duce, accecata com'era dal proprio settarismo. Peraltro la presa di posizione polacca aggiunge al gioco di Beck a Londra e Parigi una nuova carta che eventualmente potrebbe essere sfruttata più tardi al momento opportuno.

715

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3127/1005. Varsavia, 17 dicembre 1937 (per. il 21 ).

Il comunicato diramato il 15 corrente da questa Agenzia Ufficiosa di Informazioni Politiche (mio telegramma n. 196 del 15 scorso) 1 che ha seguito così da vicino l'uscita dell'Italia dalla S.d.N. e la dichiarazione tedesca di solidarietà, ha precisato in modo inequivocabile il punto di vista di questo governo sulla portata dell'atto compiuto dall'Italia e la posizione della Polonia in seno della S.d.N. in seguito alla nuova situazione in cui viene a trovarsi l'istituzione ginevrina. Del predetto comunicato (trasmesso dalla P. A. T. alla Stefani e di cui ad ogni buon fine accludo il testo) meritano di essere messi in rilievo i seguenti punti:

a) il processo di «trasformazione» che da anni subisce la S.d.N. ha assunto in tempi più recenti forme così gravi che non è affatto esagerato qualificarle di «crisi della Società delle Nazioni»;

b) la manifestazione più evidente di questa situazione è costituita dalla decisione dell'Italia e dalla dichiarazione tedesca che l'ha immediatamente seguita;

714 2 Su di esso si veda il D. 715. 715 1 Vedi D. 706.

c) la politica polacca da molto tempo ha fatto sforzi continui tendenti appunto ad evitare la situazione nella quale viene a trovarsi la Società delle Nazioni dopo l'uscita definitiva dell'Italia; ma questi sforzi non hanno trovato comprensione presso certi Stati che fanno parte dell'istituzione ginevrina. A tale riguardo il comunicato ricorda: l) che la Polonia è stata la prima a sopprimere le sanzioni contro l'Italia precedendo la relativa risoluzione del Comitato della Lega; 2) che nel suo esposto alla Commissione degli Affari Esteri del Senato del 18 dicembre 1936 il ministro Beck dichiarava che «per la Polonia la questione abissina era chiusa dal momento dell'abolizione delle sanzioni»; 3) che il governo polacco ritenne di dover sollevare ufficialmente alla sessione dello scorso maggio dell'Assemblea la questione della liquidazione dell'affare etiopico 2 , facendo rilevare dal suo delegato che la Polonia, nei riguardi di tale questione, s'interessava «dell'avvenire della collaborazione nel quadro della Società delle Nazioni la quale doveva basare la sua esistenza sul realismo e per conseguenza considerava la questione stessa come chiusa per quanto la concerne»;

d) mentre in alcuni Paesi d'Europa si è cercato di diminuire l'importanza della decisione italiana e della dichiarazione tedesca, attribuendo ad esse un carattere piuttosto simbolico, la Polonia non può condividere affatto questo modo di vedere per due ragioni: perché il Patto della S.d.N. era stato concepito nella sua origine quale lo statuto di una organizzazione internazionale universale e perché anche la concezione più ristretta di un sistema societario che comprendesse l'Europa ed agisse quale istituzione europea viene a crollare nello stato attuale delle cose;

e) il governo polacco si è sempre opposto alla tendenza di Ginevra di fare della S.d.N. un'organizzazione legata ad una determinata dottrina non soltanto per quanto riguarda la vita internazionale, ma anche in rapporto alla struttura interna degli Stati. A tale riguardo il comunicato si richiama al memorandum del 10 dicembre 1936 sulla riforma del Patto della S.d.N., nel quale il governo polacco fra l'altro dichiarava che la Lega doveva evitare d'impegnarsi in conflitti ideologici.

Se pertanto dovesse prevalere nell'istituzione ginevrina la tendenza ad impegnarsi nella via della lotta di dottrine, il governo polacco dovrebbe considerare con ogni attenzione se esso non si troverebbe in contraddizione con i principi essenziali della sua politica e dovrebbe in conseguenza «regolare in avvenire i suoi rapporti con la S.d.N.».

La nota ufficiosa polacca che contiene così importanti dichiarazioni, è integrata da notevoli commenti dei giornali governativi i quali peraltro osservano che la nota stessa benché abbia seguito così da vicino la decisione italiana e la dichiarazione tedesca ha un diverso carattere e si ispira a motivi diversi. La nota non vuole essere una minaccia o il preannunzio di una più o meno prossima uscita della Polonia dalla S.d.N., come alcune agenzie estere si erano affrettate ad interpretare. L'atteggiamento della Polonia rimane ancora positivo riguardo alla S.d.N.; però di fronte al pericolo della divisione dell'Europa in due campi, la

Polonia che ha tutto l'interesse di mantenere le relazioni che essa intrattiene attualmente con Stati aventi regimi interni opposti gli uni agli altri, non vuole lasciarsi trascinare in nessuna combinazione politica avente carattere ideologico. Pertanto nel momento in cui si apre una crisi più profonda della istituzione ginevrina, il governo polacco mette avanti delle riserve circa la possibilità della sua permanenza nel sistema societario. Comunque la Polonia vie11e certamente a trovarsi in una situazione delicata tra le grandi Potenze che non fanno più parte del sistema ginevrino e quelle che persistono a tenerlo in vita per continuare a servirsene nel loro esclusivo interesse.

714 l Vedi D. 706.

715 2 Si veda in proposito serie ottava, vol. VI. DD. 542, 544 e p. 840, nota l.

716

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. URGENTE 2037 R. Roma, 18 dicembre 1937, ore 24.

Con corriere in arnvo 20 corrente, trasmetto a V.E. telegrammi da Londra relativi lavori Comitato non intervento, nei quali vengono richieste istruzioni su varie questioni importanti. Comitato dei nove si riunirà mercoledì 22. Dopo tale seduta si aggiornerà per ferie natalizie. Mentre è opportuno che V.E. abbia scambio vedute con codesto governo su tutti punti contenuti nelle comunicazioni che invio per corriere e ciò allo scopo di fissare tempestivamente linee condotta per ripresa lavori Comitato, prego V.E. comunicare sin d'ora Neurath che per sedute mercoledì venturo, intenderei inviare a Londra seguenti istruzioni, le quali si basano sulla impossibilità (ammessa dallo stesso Plymouth) che in tale seduta vengano raggiunte decisioni sulle questioni principali:

l) qualora venisse in discussione composizione Commissioni per volontari, dichiarare che metodo terzo è allo studio da parte nostri organi tecnici e riservarsi quindi punto di vista al riguardo, pur riconfermando nostre preferenze per metodi primo e secondo;

2) rilevare che per questione belligeranza esistono tre riserve russe che bloccano strada alle discussione, mentre riserva tedesca e italiana relativa accesso navi da guerra nei porti spagnoli bloccati, non è categorica e verte comunque su questione circa la quale spetta in definitiva alle due parti in conflitto pronunziarsi;

3) rilevare che, per rafforzamento e ripristino controllo, Comitato si è arenato a causa ostruzionismo sovietico;

4) non (dico non) pronunziarsi sulla questione interpretazione parole «progresso sostanziale» in materia ritiro volontari, riservandosi far conoscere più tardi punto vista governo italiano;

5) confermare approvazione italiana alla proposta Hemming di iniziare lavoro preparatorio relativo misure amministrative occorrenti per Commissioni in Spagna.

Istruzioni che precedono sono basate sui punti già concordati fra rappresentanti italiano e tedesco nel Comitato. Dovrei quindi presumere che codesto governo non avrà difficoltà a telegrafare in senso analogo a W oermann. Telegrafi 1 .

Con corriere in partenza domani Le vengono inviate, per conoscenza e opportune comunicazioni al generale Franco, telegrammi da Londra relativi attuale fase lavori Comitato.

717

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI

T. 2042/107 R. Roma, 18 dicembre 1937. ore 24.

Suo telegramma n. 113 1 . Valgono sempre istruzioni di cui al mio telegramma n. l dell'8 gennaio 2 . Formula deve essere «Sua Maestà Re d'Italia Imperatore d'Etiopia». Men

tre pertanto non accetteremmo dichiarazioni che governo belga facesse a governo italiano per modificare come che sia o limitare significato formula stessa, considereremmo come un affare interno belga spiegazioni e chiarimenti che governo belga desse ad uso della propria opinione pubblica, partiti, ecc. e non vi faremmo quindi obiezioni 3 .

718

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE

T. PER CORRIERE RISERVATO 2043 R. Roma, 18 dicembre 1937.

Suo telegramma n. 196 1 .

sco era «pienamente d'accordo su tutti i punti» ma segnalava che sarebbe stato utile far accettare preliminarmente il ritiro di tremila volontari proposto dal governo di Salamanca nella nota verbale del 18 novembre di risposta al Comitato di non intervento come «progresso sostanziale» che doveva prece dere il riconoscimento dello status di belligerante. 717 l T. 8447/113 R. del 16 dicembre. L'ambasciatore Preziosi aveva riferito che Spaak lo aveva intrat tenuto sulle difficoltà di ordine interno -dovute soprattutto all'opposizione dei socialisti -che si frapponevano al riconoscimento dell'Impero italiano da parte del Belgio. A questo proposito, l'amba sciatore chiedeva se restavano valide le istruzioni ricevute 1'8 gennaio. 717 2 Vedi serie ottava, vol. VI, p. 15, nota l. 717 3 Il 24 dicembre, in linea con questa posizione, veniva dichiarato all'incaricato d'affari del Belgio, Ferdinand Chastel de la Howarderie, che l'Italia non avrebbe accettato «tma presentazione» di creden ziali preceduta o accompagnata da dirette riserve, mentre le giustificazioni date ad eventuali interpellan ze di oppositori avrebbe costituito «un fatto di ordine interno», sempre che la giustificazione non fosse stata scortese nei riguardi dell'Italia (appunto De Peppo in pari data). 718 l Vedi D. 706.

Per sua informazione accludo copia di un appunto relativo ad un mio colloquio con questo ambasciatore di Polonia2 .

Alla prossima occasione V.E. potrà far sapere a Beck che il governo italiano ha preso nota con soddisfazione tanto del contenuto della comunicazione fatta da Wysocky, quanto del comunicato diramato da codesta Agenzia di Informazioni Politiche, circa l'atteggiamento della Polonia nei riguardi della S.d.N. 3 .

Lascio poi a V.E., di giudicare quale momento sia il migliore per invitare Beck a Roma.

716 l Da Berlino, l'ambasciatore Attolico rispose (T. 8539/471 R. del 20 dicembre) che il governo tede

719

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

LETTERA PERSONALE 10557. Roma, 18 dicembre 1937.

A titolo strettamente confidenziale ti invio qui unita la copia di un recentissimo telegramma, indirizzato dall'ambasciatore di Francia in Cina al suo governo 1• Come osserverai in esso vengono particolarmente rilevate, con non celata soddisfazione, le discordanze che si manifesterebbero tra l'atteggiamento germanico e quello del governo fascista nei riguardi del conflitto cino-giapponese.

Senza far di ciò l'oggetto di uno speciale passo, ti prego di volere, in una prossima favorevole circostanza, amichevolmente attirare l'attenzione di codesto governo su tali divergenze che danno luogo a interpretazioni tendenziose e potrebbero anche prestarsi a speculazioni politiche2 .

720

L'ADDETTO NAVALE A TOKIO, GHE, AL MINISTERO DELLA MARINA

RAPPORTO SEGRETO 33/s. Tokio, 18 dicembre 1937.

L'attività spiegata in Europa dalla Germania in questi ultimi tempi sullo scottante problema della restituzione delle colonne pre-belliche, ultima rivendicazione del già manomesso trattato di Versailles, ha avuto qui -sebbene dietro le quinte -le sue ripercussioni.

718 3 Si veda in proposito il D. 715. 719 I Non rintracciato. 719 2 Si veda per il seguito il D. 736.

Nel progressivo avvicinamento politico-militare dei tedeschi verso questo Paese avvenuto in questi ultimi tempi, è logico pensare che l'argomento sia affiorato di quando in quando nelle discussioni, non fosse che a titolo di saggio reciproco. Da diversi anni, la penetrazione industriale e commerciale [tedesca] in Cina è andata continuamente crescendo ed attualmente può dirsi che abbia assunto proporzioni in effetti rilevanti, sia come capitali e mano d'opera impiegati sul posto, sia come· scambi di correnti di traffico. Non può destare meraviglia che ancora pochi mesi fa, prima che l'attuale conflitto cino-nipponico avesse origine, la Germania potesse accarezzare la speranza di un eventuale ricupero della sua posizione di Tsingtao, colonia assai ricca e porto magnifico, destinato a servire oltre che lo Shangtung anche gran parte del Nord Cina. La politica ha le sue ironie ed i suoi controsensi: malgrado la sua quasi alleanza col Giappone, in massima ritenuta salutare per un rafforzamento di ordinamento interno [sic] ed in vista del comune nemico esterno russo, è da mettersi in dubbio la soddisfazione tedesca per la presente campagna. La Germania stava attivamente lavorando per la riorganizzazione dell'esercizio cinese, con risultati più che soddisfacenti se si tiene presente il modo come le poche truppe cinesi veramente pronte si sono battute nel settore di Shanghai, a detta di tutti gli esperti stranieri. Naturalmente sarebbero occorsi vari anni ancora e non è da escludersi che, nello sferrare l'attacco, il Giappone abbia tenuto presente anche questo precipuo fattore. La Germania ha continuato ad assistere praticamente la Cina durante quasi tutto il conflitto e le prime operazioni, specie di artiglieria, a detta dello stesso capo di Gabinetto della Marina -furono dirette da ufficiali tedeschi.

Dato lo svolgimento catastrofico degli avvenimenti per i continentali [sic], la Germania tentò pochi giorni or sono un ultimo colpo, inteso verosimilmente ad ingraziarsi i due belligeranti ed a cercare di fermare le truppe giapponesi prima di Nankino: una mediazione di pace. Errore psicologico notevole, conoscendo appena la mentalità positiva e realistica di questo popolo, la coscienza che ha della sua forza e delle possibilità che il momento attuale gli presenta. Ogni mediazione avrebbe supposto concessioni al nemico e vantaggi al mediatore.

Il Giappone è invece deciso ad andare fino in fondo, a non perdere alcuno dei frutti che le attuali favorevoli circostanze gli offrono ed a piegare talmente la Cina alle sue volontà da assicurare un cinquantennio di tranquilla prosperità all'Impero in questo Estremo Oriente. Le condizioni di pace saranno unicamente adeguate alle possibilità che il massimo sforzo giapponese potrà conseguire e trattate direttamente col futuro governo cinese.

È però evidente che la preda è troppo grande per poterla digerire dopo averla agguantata. Le organizzazioni commerciali ed industriali di questo Paese, le sue risorse bancarie, per quanto forti ed estese, animate da un eccezionale spirito di intraprendenza ed allettate da profitti incalcolabili, non giungeranno a potere estendere i loro strumenti fattivi e le loro ventose assorbenti su tutto l'immenso territorio. Una gran parte dell'attività di sfruttamento costà, sarà abbandonata al capitale ed al lavoro estero ed evidentemente una porzione di vantaggio [sic] sarà lasciata alla Germania ed all'Italia.

Vi sono anzi in proposito segni già chiari di forti possibilità collaborative ed inizi di trattative, che a nostro riguardo verterebbero pel momento sopra Società di Navigazione e consegna di materiale rotabile motorizzato.

La situazione e le relazioni con la Germania rimangono tuttavia molto delicate e non facili poiché, per quanto possa ottenere, essa non avrà mai quella posizione di indipendenza che aveva prima e che si presentava colma di promesse, senza contare le speranze pur lievi, come avanti accennavo, di un futuro effettivo ricupero territoriale.

Il Patto Anticomintern e le condizioni di sicurezza che esso conferisce a questo Paese riguardo alla Russia nel presente critico momento, mentre hanno fatto chiudere un occhio per gli aiuti forniti alla Cina durante il conflitto, (aiuti del resto ritenuti pressoché trascurabili) propendono tuttora ad una politica piuttosto larga e concedente verso la Germania, nella misura del possibile.

È quindi assai probabile, che nelle recenti discussioni avvenute in Europa ed in quelle che succederanno per la sorta questione della restituzione delle colonie, il Giappone abbia promesso il suo aiuto, se fino ad ora l'argomento era stato trattato soltanto accademicamente. Non vi è nulla di ufficiale, ed il ministro degli Esteri interpellato al riguardo lo ha anzi smentito, ma troppe indiscrezioni e da fonti diversissime sono trapelate per potere essere del tutto ignorate.

Nel compromesso che sarebbe stato escogitato, non è da pensare che il Giappone non abbia il suo tornaconto. Detto compromesso consisterebbe nella restituzione delle isole sotto mandato alla Germania che le riconsegnerebbe poi al Giappone mediante compensi da convenirsi. La mossa dovrebbe seguire un eventuale gesto inglese in materia, od addirittura costituire un'iniziativa intesa a promuòvere il movimento e far decidere l'Jnghilterra alla cessione delle colonie africane. Il Giappone dal canto suo, riacquistando le isole dall'ex legittimo padrone verrebbe a liberarsi completamente dai vincoli e dalle imposizioni di Ginevra, per considerare i territori in questione come assoluta proprietà.

Nel passato, le isole sotto mandato non costituivano una fonte di ricchezza per la Germania ma soltanto un onere, e le statistiche stanno a dimostrarlo. Il valore di tali isole era insito nella loro posizione geografico-strategica, a quei tempi molto importante per una Germania forte sul mare ed intenzionata a spingere la sua penetrazione e la sua influenza anche in questo scacchiere del Pacifico. Tale posizione oggi ~a situazioni relative tanto mutate ~non può costituire che una formidabile base di potenza unicamente per il Giappone specie dopo il disinteressamento degli Stati Uniti per le Filippine.

Sotto l'amministrazione giapponese le isole di mandato hanno fatto progressi considerevoli sotto ogni rapporto, particolarmente nello sviluppo del loro commercio e del loro benessere finanziario. Il sussidio che il Giappone forniva a tali colonie è andato successivamente diminuendo fino a scomparire del tutto nel 1932. Il completo territorio sotto mandato giapponese comprende un insieme di

1.400 fra isole grandi e minori e scogliere sparse sopra un area che ha circa 1.300 miglia di lunghezza per latitudine e 2. 700 miglia longitudine. La vera e propria terraferma è assai piccola, raggiungendo appena i 2.200 km 2• In questo gruppo di isole, soltanto 131 sono abitate, e la maggiore di esse Saipan, misurante 190 km2 ha oggi una popolazione che oltrepassa i 50.000 abitanti. È del massimo interesse rilevare che di tale massa di persone 44 mila sono giapponesi non solo, ma che negli ultimi dieci anni la popolazione è più che raddoppiata per un accrescimento dovuto interamente al Giappone. Gli elementi stranieri, america

ni od europei, sono soltanto 11 O ed il loro già scarso numero s1 va sempre assottigliando.

Quasi la totalità del commercio delle isole si svolge con questo Paese. I principali articoli di esportazione sono fosfati, zucchero, copra, pesci secchi ed alcool. L'importazione comprende riso, cibo in scatola, sakè, tabacco, cotonate, e tutto il macchinario. La corrente di traffico giapponese tocca i IO porti principali delle isole: Saipan ~Tinian ~Rota~ Yap ~Palau--Anguar ~Truk ~Ponape ~Kusaie e Y aluit. Il valore complessivo delle esportazioni compiute nel 1936 in Giappone fu di 26.374.000 yen e quello delle importazioni 25.450.000 yen.

718 2 Vedi D. 695.

721

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

LETTERA PERSONALE l 0570. Roma, 19 dicembre 1937.

Non mi sembra ancora il caso di richiamare l'attenzione del Governo tedesco sulle ripercussioni che certi gesti di francoftlia di Baldur von Schirach e di altri elementi determinano, ma mi pare opportuno segnalarteli perchè, incidentalmente, tu ne faccia cenno a chi di ragione mettendo in rilievo le tendenziose e inesatte interpretazioni che vi si possono attribuire. Le parole di Baldur von Schirach, l'invito a Scapini, elemento simpatizzante del Fronte Popolare e aperto antifascista, il viaggio dei combattenti non mi sembrano trovare una giustificazione nell'atteggiamento francese che proprio in questi giorni è apparso sostanzialmente e formalmente ostile alla Germania. Le manifestazioni del Parlamento, le affermazioni di Delbos che la Cecoslovacchia rappresenta una continuazione della Francia, la campagna della stampa parigina che prendendo lo spunto dall'arresto di un delinquente comune, ha gettato fango a piene mani sull'intero popolo tedesco, sono altrettanti fatti che dovrebbero richiamare alla ragione e alla misura il signorina von Schirach, o per lo meno indurre gli altri a tirare le orecchie a questo giovane Ministro il quale, se non erro, non avrebbe tra i suoi compiti quello di fare della politica estera.

722

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8557/235 R. Ankara, 20 dicembre 1937, ore 21,25 (per. ore 7 del 21 ).

Mio telegramma n. 233 1 .

Aras a modifica quanto dettomi il 17 corrente mi ha convocato oggi per farmi conoscere che, consultati tutti i vari impegni che si susseguono per lui dal principio del febbraio fino all'estate, non potrebbe in coscienza chiedere a V.E. di venir qui in primavera, ma dovrebbe pregarla di fare la promessa visita nell'autunno venturo.

In questa condizione di cose egli però desidererebbe evitare di rinviare alle calende greche il pubblico riconoscimento dell'Impero e perciò proporrebbe di concludere una speciale convenzione o protocollo sulla modifica alla Convenzione consolare di cui al mio telespresso n. 1152 del 3 corrente 2 recante attributi di Re Imperatore, della quale si darebbe pubblicazione nella stampa quotidiana turca.

Egli desidererebbe che da parte nostra vi fosse anche l'adesione a Montreux. Questa, che va fatta a Parigi, secondo i termini della Convenzione, verrebbe comunicata al governo turco che ne prenderebbe atto specificando la qualifica imperiale anzidetta. Egli studierebbe dal canto suo formule relative e prega la E.V. di volerle far anche studiare, proponendogli eventualmente quanto crederà di meglio per lo scopo che egli si propone raggiungere. Ove la E.V. me ne faccia avere autorizzazione a Venezia, dove giungerò il 24 corrente, verrò costì nei giorni che mi saranno indicati per meglio chiarire pensiero di Aras.

Questa nuova fretta è verosimilmente suggerita dal timore di esser troppo in ritardo su altri Stati che si apprestano al medesimo passo. Essa tende in pari tempo ad allontanare la visita di V.E., che sarebbe ora troppo chiassosa e procurerebbe nuove difficoltà con Mosca, (vedere telegramma 232) 3 ma, ad ogni modo, ha anche scopo sollecitare nostra adesione a Montreux.

722 l Vedi D. 713.

723

IL MINISTRO A PRAGA, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8608/087 R. Praga, 20 dicembre 1937 (per. il 23).

Sabato 18 corrente alle ore 13 Delbos lasciava Praga per Parigi concludendo il viaggio «di amicizia» che egli considerava iniziato a Londra. In uno dei rituali ricevimenti egli mi diceva di essere soddisfatto della sua fatica che aveva avuto indubbi risultati morali per la Francia e da cui poteva attendersi una utile détente. Si parla infatti molto di sintomi di ravvicinamento fra Parigi e Berlino e si mettono in giuoco il breve incontro Delbos-Neurath 1 , le dichiarazioni fatte da Delbos a questo ministro di Germania circa la buona volontà della Francia nei riguardi del Reich e le voci circa un incontro nel gennaio prossimo fra Delbos e Eden a Ginevra, da dove il ministro degli Esteri di Francia dovrebbe recarsi a Berlino per diretti colloqui sui problemi già toccati da Halifax.

722 3 Sic. Riferimento errato: si tratta del T. 8452/233 R. del 17 dicembre. qui pubblicato come D. 713. 723 l Vedi D. 648.

I risultati «morali» delle precedenti tappe di Delbos sono già noti a V.E. e si chiamano le delusioni di Varsavia, di Bucarest, di Belgrado. Autorizzato a parlare anche a nome dell'Inghilterra, effettivamente a Bucarest -mi ha informato Krofta -Delbos ha ripescato ancora il patto di mutua assistenza. Gli è stato risposto evasivamente e col solito trincerarsi dietro la Jugoslavia. Ripreso il discorso a Belgrado, Stojadinovié vi ha opposto il suo ennesino «no» dichiarando per l'ennesima volta di dover tenere nel debito conto l'amicizia dell'Italia e della Germania. Fin quì Krofta; da altra fonte mi si aggiunge che Stojadinovié avrebbe fatto chiaramente presente a Delbos che, in caso di conflitti contro la Germania, ciò che al massimo si poteva attendere dalla Jugoslavia era la neutralità.

Il Consiglio militare della Piccola Intesa riunitosi a Praga 2 con l'assistenza della missione militare francese presieduta dal generale Mittelhauser, e in voluta coincidenza con la visita di Delbos, perduta ogni speranza di discutere piani antigerrnanici, si è addormentato, rimuginando i vecchi motivi antimagiari che dovrebbero mantenere saldi i vincoli primigeni della Piccola Intesa, anche se questa è ora indotta a desiderare un accordo con Budapest dalla stessa Francia ritenuto opportuno.

A Praga finalmente Delbos è venuto a riposarsi delle precedenti emozioni, adagiandosi su quel fedele specchio della Francia e delle sue concezioni che è la Cecoslovacchia di Benes e del Grande Oriente. Qualche ora prima di partire, insieme con il ministro Krofta, Delbos riceveva alla legazione di Francia i giornalisti cechi e stranieri e in un infiorato discorso di occasione affermava che Francia e Cecoslovacchia erano tanto all\inisono da non aver bisogno di incontri per intendersi. Nel rispondergli, il buon Krofta, volendo amabilmente rincarare la dose su quanto aveva detto il collega francese, si impappinava nel suo non spedito francese e diceva a Delbos che, tutto considerato, la sua venuta a Praga era perfettamente inutile. La sommessa ilarità degli astanti faceva spiegare dall'oratore la sua facezia in senso di devozione cieca verso la grande alleata. Così era avvenuto a Krofta di fare persino una caricatura apologetica della fedeltà servile di Praga a Parigi, fedeltà che è poi il comune denominatore di tutta la nota, invariabile politica cecoslovacca.

Ciò premesso. che cosa aveva Delbos da realizzare di nuovo in Cecoslovacchia? Nulla, se non tirare le somme con l'indefettibile amico Benes degli insuccessi finora ottenuti e che, come ho accennato per telegrafo, la massa sente e comprende. Come soliti accessori pare sia stata concretata una convenzione culturale su più larghe basi, discussa e portata a buon punto la questione del noto prestito francese per la seconda linea di difese cecoslovacche, cercata e non trovata una soluzione nelle controversie di ordine commerciale da tempo in contrasto. Ma il problema essenziale di ordine politico che ha formato oggetto di largo esame è stato quello dei rapporti della Cecoslovacchia con i vicini e specialmente con la Germania in relazione alle questioni minoritarie.

Ho riferito ripetutamente a V.E. circa le preoccupazioni inglesi al riguardo e la pressione di Londra su Praga perché sia data una sistemazione alla minoranza tedesca3, eliminando così un grave pericolo per la pace. Siffatta pressione, esercitata in tale misura da provocare vivo malcontento in questi dirigenti, è stata da

ultimo affidata a Delbos che, come si sa, viaggiava anche in qualità di messaggero britannico. Londra, con ambiguo sistema, mentre da una parte si associava a Parigi per un ultimo energico tentativo diretto ad ottenere dalla Piccola Intesa il noto patto di mutua assistenza contro la Germania, incaricava Delbos di persuadere la Cecoslovacchia a mettersi d'accordo col Reich, risolvendo il problema minoritario.

Che la Francia abbia anch'essa il maggiore interesse a che Praga si metta d'accordo con Berlino non vi è dubbio; diminuirebbero i rischi derivanti dai suoi impegni, aumenterebbero le possibilità di un suo riavvicinamento alla Germania. Delbos infatti ad un tale accordo si è interessato e ne ha discusso lungamente. Senonché, a quanto pare ed alla fine, invece di condurre Benes al punto di vista inglese è stato da Benes convinto che l'Inghilterra esagera nelle sue insistenze e rischia con le sue pretese di portare la Cecoslovacchia alla dissoluzione e i cechi in braccio alla Germania. Gli è stato d'altra parte fatto presente come la Cecoslovacchia cerchi una base di accordo con la Germania purché ciò non sia in contrasto con la sua stessa esistenza e come a tale scopo Praga tratti con Berlino per giungere ad una tregua di stampa e ad un rasserenamento di spiriti (mio telegramma per corriere n. 081 del 22 novembre u.s.) 4 che consenta ulteriori più pacate discussioni per accordi di maggiore portata.

La Francia, dicevo, desidera che la Cecoslovacchia si accordi con la Germania, non vuole però che essa scompaia dalla funzione antitedesca o quanto meno sia indotta ad una politica bifronte come quella della Polonia che non manca di dare dispiaceri all'alleato di Occidente. Delbos, quindi, mentre ha preso atto che la Cecoslovacchia non farà mai una politica ambigua, né concluderà alcun trattato senza l'assenso della Francia, ha approvato, pur con consigli di moderazione, la linea di condotta del governo di Praga riconoscendo che la buona volontà non debba giungere fino alla dedizione [sic].

Parlando oggi con Krofta, ho avuto l'impressione che la visita di Delbos, il quale non ha lesinato affidamenti da parte della grande Francia alla fedele Cecoslovacchia, abbia rialzato il morale di questi governanti, in queste ultime settimane oppresso dalla durezza inglese. E mentre ora questa stampa mette innanzi che l'intervento di terzi nei rapporti ceco-germanici è riuscito più dannoso che benefico, dal Reich giungono echi di impressioni non molto favorevoli circa le ultime battute praghesi del viaggio Delbos.

Oggi stesso, e dopo di me, il ministro di Germania, che in questi giorni si è dato un gran da fare, chiudendosi peraltro nel suo solito massimo silenzio non molto rispondente alla leale collaborazione fra Roma e Berlino, si è recato da Krofta per fargli presente, d'ordine del suo governo, che inopportunamente in questi circoli interessati si parla di trattative in corso per un accordo ceco-germanico dato che non vi è sul tappeto che uno scambio di idee solo per un eventuale reciproco disarmo di stampa.

Questi i risultati costruttivi(!) della visita di Delbos a Praga, accanto a cui vanno messe le inevitabili discussioni sui problemi di ordine generale e di comune interesse inquadrati da Benes nel suo tradizionale giro d'orizzonte. «Le trattative

avute da Delbos a Praga -scrive il Bohemia -non sono servite soltanto a constatare l'identità degli scopi e la solidarietà della Francia e della Cecoslovacchia nella politica europea, esse hanno condotto anche ad un accordo completo per quanto riguarda il modo di procedere nell'opera iniziata. Il ministro Delbos elaborerà ora sul suo viaggio una relazione che sarà inviata alle varie cancellerie per uno scambio di vedute ed un ulteriore avvicinamento dei vari punti di vista».

Dalla relazione Delbos risulterà che a Praga tutto va bene come nel migliore dei mondi possibile e che il suo viaggio è riuscito utilissimo al prestigio della Francia. Di tale avviso però non sono questi stessi circoli francesi, perplessi e insoddisfatti dinanzi a tanto rumore per niente. Assai duramente si esprimeva questo corrispondente del Temps, Beuve-Méry, a riguardo del ministro degli Esteri del Fronte Popolare che «come ogni ministro degli Esteri di Francia che si rispetti -egli diceva -fa il viaggio a Londra, cerca di fare il viaggio a Berlino, e in articulo martis fa il viaggio in Europa Centrale». Beuve-Méry preconizzava un prossimo Gabinetto Bonnet-Chautemps con l'attuale Presidente del Consiglio agli Affari Esteri.

722 2 Non pubblicato.

723 2 Dal 12 al 15 dicembre. 723 3 Vedi D. 668.

723 4 Vedi D. 606.

724

L'UFFICIO III DELLA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI D'EUROPA E DEL MEDITERRANEO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 20 dicembre 1937.

Gli inglesi hanno recentemente:

l) venduto ai saudiani un largo quantitativo d'armi;

2) preannunciato la visita ad Ibn Saud del conte di Athlone, zw di Re Giorgio VI.

I francesi, a loro volta, si dispongono ad inviare in Saudia il conte de Martel, Alto Commissario francese in Siria.

Non è noto, con precisione, quale sia lo scopo della missione Athlone; appare però probabile che con essa la Gran Bretagna cerchi d'influire su lbn Saud per modificarne l'atteggiamento d'opposizione assunto, sia nelle questioni della spartizione della Palestina, sia circa la progettata sistemazione di Akaba.

La quasi contemporaneità delle due visite francese ed inglese può evidentemente essere messa in rapporto colla similarità di taluni aspetti della situazione della Francia in Siria e dell'Inghilterra in Palestina, in contrasto ambedue con le aspirazioni e gli interessi arabi. In più francesi ed inglesi si interessano, e da tempo, alla possibilità dell'esistenza di petrolio in Arabia e stanno facendo ricerche.

Da parte nostra, come è noto, siamo da tempo in contatto con il governo saudiano per forniture d'armi ed abbiamo recentemente annunciata la cessione gratuita a quel governo, che li aveva richiesti, di dieci pezzi di artiglieria. In Saudia abbiamo poi una piccola missione aeronautica. Dovrebbero, inoltre, definirsi in

questi giorni alcune forme di attività commerciale italiana nel Mar Rosso per cui sono in corso contatti col ministero Scambi e Valute e con quello delle Finanze. Circa la presumibile attività e gli scopi delle due missioni, francese e inglese, sono state chieste notizie a Gedda, Beiruth, Londra e Parigi.

725

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI

LETTERA PERSONALE SEGRETA 10627. Roma, 21 dicembre 1937.

Ti mando copia di due telegrammi che mi sono giunti da Shanghai 1 . Da questi rileverai quanto grande, continua e pericolosa sia la sfasatura germanica nei confronti della situazione Estremo Orientale. È evidente che questa mancanza di sincronizzazione nell'azione italo-tedesca nei confronti del Giappone e della Cina non può sfuggire al sistema politico avverso: anzi non mi sorprenderebbe se fosse proprio per questa ragione che l'America, da qualche tempo, e sia pure formalmente, ha cominciato a fare la voce grossa. So da quale parte vengono gli ostacoli, le incertezze e le oscillazioni. Credo quindi che sarebbe conveniente che tu cogliessi la prima occasione per richiamare l'attenzione di Goring, o di Goebbels o di Ribbentrop sulla situazione che si sta determinando. È veramente assurdo e pericoloso che in Cina si sia costituito un fronte russo-tedesco in favore dei cinesi e contro il Giappone. Sono sicuro che alla sensibilità fascista dei Gerarchi di cui ho prima fatto il nome, questo non potrà sfuggire. Mentre evidentemente sfugge o piace a coloro che rappresentano in certi ambienti troppo diplomatici la pericolosa incrostazione di un passato che in Germania sembra ancora troppo duro a morire. Allo stato degli atti, penso che il riconoscimento del Manciukuò da parte della Germania si impone per ristabilire chiaramente le posizioni.

Farai pure conoscere questo mio punto di vista a chi di ragione.

726

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATISSIMO 6480. Berlino, 21 dicembre 1937 (per. il 24).

Come ho avuto occasione di farti conoscere, a mezzo di tclespressi ufficiali e di segnalazioni stampa, il capo della gioventù hitleriana, Baldur von Schirach, già

(T. 8509/2197 R. del 18 dicembre). l'ambasciatore Cora riportava un editoriale del China Prcss che sottolineava quanto preziosa fosse ora per la Cina l'assistenza ricevuta dalla Germania negli ultimi anni

oggetto della mia lettera n. 6093 del 4 u.s. 1 , ha qui trovato modo, non appena ritornato dal suo viaggio a Teheran, di avere un nuovo contatto con elementi francesi. Egli infatti la sera del 18 u.s., ha offerto un ricevimento, nella sede della Società franco-tedesca di Berlino, in onore del deputato combattente e cieco di guerra francese, Scapini.

La manifestazione, alla quale ha preso parte l'ambasciatore François-Poncet, ha avuto una certa risonanza ed in essa Baldur von Schirach ha ancora una volta riaffermato la sua volontà di realizzare la collaborazione tra la gioventù tedesca e quella francese. E ha accennato infine al suo invito rivolto agli ex combattenti francesi di inviare nella prossima estate mille dei loro figli in terra tedesca per prendervi contatto con la nuova generazione germanica.

Da questi elementi potrai desumere come Baldur von Schirach sia veramente divenuto oggi in Germania uno dei primi motori più attivi di un qualche riavvicinamento franco-tedesco 2•

725 1 Nelle carte di Gabinetto vi sono. allegati, i due telegrammi a cui si fa qui riferimento. Nel primo

727

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6488/2169. Berlino, 21 dicembre 1937 (per. il 23).

Dai miei vari telespressi sul viaggio di Delbos nelle capitali della Polonia e della Piccola Intesa, V.E. ha potuto già rendersi conto dei sentimenti coi quali, da parte tedesca, si è seguito nelle sue varie fasi il viaggio di Delbos, e che potrei riassumere così:

l) Polonia. Un'ostentata calma, quasi benevola, sottolineata, all'incontro Delbos con Neurath alla stazione di Berlino 1 . Nei commenti è stata rilevata discretamente la differenza d'intonazione dei brindisi scambiati fra Beck e Delbos 2 .

2) Romania. Irritazione per gli accenni all'intensificazione delle relazioni militari fra i due Stati Maggiori. D'altra parte, è stato messo fortemente in rilievo che la Romania continua a restare ostile alla politica di Titulescu e ad ogni impegno di garanzia verso la Cecoslovacchia, almeno finché questa sia impigliata nelle obbligazioni derivantile dal Patto sovietico.

3) Jugoslavia. Profonda soddisfazione perché Stojadinovié nel suo brindisi3 non ha accennato, né alla Società delle Nazioni, né alla sicurezza collettiva, che in

c l'apporto degli esperti militari tedeschi, i quali continuavano il loro lavoro senza che il governo di Berlino fosse intervenuto. Nel secondo telegramma (15522/2200 P.R. del 18 dicembre), Cora riferiva che si stava dando grande risalto al fatto, piuttosto curioso, che in aiuto dei cinesi stessero operando insie me, nonostante il Patto Anticomintern, militari russi e tedeschi. 726 l Non rintracciata. 726 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 727 l Vedi D. 648. 727 2 Se ne veda il tenore in Rela::ioni Interna::ionali, p. 890. 727 3 Ihùl., p. 922.

831 Germania si considera definitivamente morta. Il comunicato finale 4 , ed il suo accenno alla S.d.N. non è stato affatto sottolineato, se non nella parte negativa, in quanto si è notato che anche in esso non si parla di sicurezza collettiva.

4) Cecoslovacchia. L'ultima tappa del viaggio è stata inquadrata non tanto nelle relazioni franco-cecoslovacche, considerate assolutamente secondarie, quanto nelle difficoltà interne della Cecoslovacchia che, soprattutto in questa stampa, sono state messe in luce tale da presentare il problema diversamente che nei rapporti con gli altri Stati visitati, e cioè: è la Cecoslovacchia in condizioni interne tali da costituire un contraente «solvibile» per la Francia? Ad appoggiare questa forma di presentazione, ha servito molto bene il progetto di legge che avrebbe dovuto permettere al governo cecoslovacco di sciogliere con maggiore facilità che adesso i partiti politici a lui avversi. Tale progetto, come era naturale, è stato interpretato in Germania come diretto quasi esclusivamente contro il partito tedesco dei sudeti, ma tuttavia, se si paragona il tono della stampa tedesca dei giorni scorsi con quello usato in circostanze analoghe, precisamente nei riguardi di Praga, si deve constatare una molto maggiore misura ed obbiettività.

Impressione veramente cattiva ha fatto il discorso alla radio di Delbos, quando ha detto che la Cecoslovacchia è un prolungamento della Francia; del pari è stata severamente giudicata la corrispondenza della Havas sul problema tedesco dei sudeti, e le trasmissioni della radio francese sullo stesso argomento.

Come commento conclusivo del viaggio, la Diplomatische Korrespondenz di ieri sera ha scritto che il valore di esso non deve cercarsi tanto in risultati concreti, quanto in riconoscimenti [sic], ma che questo non significa affatto una svalutazione, giacché molte volte un sano progresso è stato impedito da cosidetti risultati positivi, che invece facevano astrazione dalle necessità e dalle realtà del tempo.

Ritiene che Delbos abbia potuto persuadersi di come siano state superate certe difficoltà, per non dire pericoli, che fino a poco tempo fa sembravano esistere veramente. Afferma che, per esempio, il cosiddetto pericolo tedesco, nel quale si riassumevano tutti i timori, ormai non esiste più neppure nella coscienza di molti scettici, colla conseguenza che si manifesta superflua tutta una serie di misure di «precauzione». Giudica che questo riconoscimento dovrebbe provocare soddisfazione in tutti gli interessati, anche se è stato raggiunto con metodi diversi da quelli che erano stati costantemente preconizzati come unici adatti a condurre alla meta. Nello stesso senso, ritiene che sia stato bene terminare il viaggio precisamente in quel Paese, nel quale la pacificazione verso l'interno e verso l'esterno mostra ancora le maggiori lacune. Secondo l'organo ufficioso, la realizzazione dei principi che sono stati proclamati durante la visita a Praga, si potrebbe facilmente raggiungere se si arrivasse a riconoscere che ogni popolo ha diritto di reggersi come vuole sul suo territorio, e che i popoli nelle loro relazioni tra loro, debbono essere animati dallo spirito della parità di diritti. D'altra parte, osserva, finché Praga .si sente chiamata ad essere « il bastione dei popoli liberi nell'Europa Centrale», oppure a costituire «un argine contro l'ondata del germanesimo», sarà difficile aspettarsi che da essa venga un migliore riconoscimento ovvero la decisione a contribuire,

per la sua parte, ad una distensione in Europa. Il commento ufficioso termina così: «Se si deve credere che il popolo francese prenda sul serio i suoi vecchi principi, si potrà sperare che non voglia coprire col suo silenzio in casa dei suoi amici certe cose che si trovano in aperta contraddizione coi suoi ideali e che ostacolano la intesa europea».

727 4 lbid.' p. 923.

728

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8581/301 e 8583/302 R. Lisbona, 22 dicembre 1937, ore 1,30 (per. ore 7,15 ).

Mi riferisco al mio telegramma n. 292 in data 14 corrente 1•

Marchese Miraflores, rientrato da Salamanca, mi ha detto che negli ambienti prossimi al Generalissimo e nell'opinione pubblica spagnola vi è considerevole malcontento per la forma adottata nello scambio di inviati speciali con il Portogallo. Lo stesso Sangroniz gli aveva detto che il ministro portoghese in Tangeri era riuscito ad arrivare al Generalissimo, sostenuto dagli ambienti militari in cui conta molti amici e che Gabinetto diplomatico era stato chiamato a collaborare solo a trattative iniziate. Nel lungo discorso che mi ha fatto su questo argomento, era evidente che Franco ha dovuto contare con successiva reazione ostile di tale ambiente contro accordo concluso 2•

Frattanto Gil Robles era stato chiamato da Salazar (mio telegramma per corriere 336 in data 17 corrente)3 il quale gli aveva mostrato meraviglia per mancata nomina rappresentante spagnolo, aggiungendo che egli aveva ritenuto che il Generalissimo si fosse reso conto della situazione portoghese e del notevole passo innanzi che aveva compiuto, che l'accordo era stato liberamente concluso e che Generalissimo stesso se ne era mostrato molto soddisfatto. Se così non fosse e se nomina dovesse tardare, egli avrebbe soprasseduto all'invio trovando modo di as

Questo telegramma fu ritrasmesso all'ambasciata a Salamanca -con T. per corriere 20158 P. R. del 14 dicembre -con l'incarico di prospettare al governo spagnolo le considerazioni esposte dal ministro Mameli circa la convenienza di non procedere con eccessivo ritardo alla designazione del rappresentante in Portogallo. 728 2 Sulle reazioni negative provocate dall'accordo negli ambienti di Salamanca aveva riferito, con T. per corriere 8585/795 Uff. Spagna del IO dicembre, anche l'ambasciatore Viola, al quale Sangroniz aveva dichiarato che sarebbe stato preferibile continuare nella situazione precedente piuttosto che adottare una soluzione ibrida dalla quale risultava chiara la mancata volontà del Portogallo di riconoscere il governo nazionale. 728 3 Riferimento errato. In precedenza, il ministro Mameli aveva riferito circa l'azione svolta a Lisbona da Gil Robles che, d'accordo con alcuni esponenti portoghesi, sembrava lavorare per stabilire un ponte tra Spagna e Portogallo a favore degli interessi britannici (T. 8008/274 R. del 24 novembre).

segnare altra destinazione a Theotonio Pereira. Altri accenni di rilievo nella conversazione -secondo il marchese Miraflores -furono che è falso che l'Inghilterra abbia posto ostacoli al riconoscimento. Il Portogallo ha soltanto promesso d'informare in precedenza il governo inglese quando intendesse addivenirvi. Inoltre, Salazar avrebbe dichiarato che egli è contrario al comunismo ma anche contrario ai blocchi, cui non intende partecipare. Resoconto scritto di tale conversazione è stato inviato a Salamanca.

Stesso Miraflores era meravigliato che Salazar avesse chiamato Gil Robles per fargli tali comunicazioni. Ha confermato che è vero che in alcune altre occasioni se ne era servito come tramite per varie ragioni di opportunità, contava tuttavia che tra i due non si stabilissero legami speciali. Ma recentemente Salazar aveva abbandonato trattative già in corso a Lisbona, saltando Gil Robles e Ramirez, per valersi del ministro portoghese in Tangeri.

Ritorno a Gil Robles è quindi evidente segno del malcontento di Salazar per quanto sta avvenendo dopo accordo ed a mio avviso può avere anche significato generale da non trascurare. Altro segno del malcontento portoghese -secondo il mio interlocutore -dovrebbe vedersi nel richiamo di tutti gli ufficiali portoghesi che si trovano in territorio nazionalista per le vacanze natalizie. Miraflores crede anche di sapere che Theotonio Pereira ha avuto istruzioni di non partire per Salamanca sino a che inviato speciale spagnolo a Lisbona non sia stato nominato.

Una complicazione nella situazione è data inoltre dall'improvviso ritorno a Lisbona di Amoedo, che è sempre titolare della rappresentanza benchè si affermi che abbia già ottenuto altra destinazione e cioè in Manciukuò. Egli era stato lungamente assente dopo noto incidente Sudamerica, detesta il Portogallo e non lo nasconde. Mi risulta da altra fonte che a causa tali atteggiamenti è sorvegliato dopo il suo ritorno da polizia locale. Miraflores stesso è imbarazzato per tale ritorno e per quanto affermi che non è avvenuto per istruzione del suo governo, ha anche aggiunto che se Salamanca avesse desiderato di trovare un mezzo per irritare maggiormente governo portoghese, non ne avrebbe potuto scegliere uno migliore.

In conclusione, Miraflores mi ha detto di avere fatto rilevare a Salamanca che ritardo nella nomina dell'inviato speciale era certamente stato efficace per mostrare malcontento governo nazionalista ma che ulteriore ritardo potrebbe condurre a situazione grave. Ritengo che in ciò egli sia stato non poco ottimista. Anche per altri indizi situazione è già grave.

Supposizioni che un raffreddamento dei rapporti tra Lisbona e Salamanca possa avere influenza su orientamento politica esterna Portogallo sono evidenti quanto nette. Fra l'altro, si fanno insistenti voci -sia ciò esatto o meno -di un vero e proprio trattato militare che nota commissione militare inglese avrebbe compito negoziare nel prossimo febbraio, mentre la pressione britannica cresce ogni giorno e con ogni mezzo. Irritazione questo governo fa nel frattempo completamente il giuoco dell'Inghilterra. Carattere Portogallo così suscettibile non sarà mai abbastanza posto in evidenza; esso non è per nulla inferiore anche in questo campo alla Spagna e ciò fra l'altro non facilita reciproca comprensione.

Linea tenuta da Salazar da inizio conflitto spagnolo non è priva dignità, spesso di indubbio coraggio e può essere in parole piane così riassunta: ogni possibile appoggio generale Franco (e conseguente avvicinamento agli Stati autoritari) e, nei rapporti con gli altri, speciale considerazione all'alleanza inglese.

Vi è certamente nella situazione un elemento per cui particolare situazione portoghese in Penisola Iberica è pericolosa. Per il consolidamento della situazione Franco tale elemento perde carattere urgenza, mentre sorge preoccupazione Spagna forte di domani. È evidente quindi in tale circostanza che indebolirsi prima parte proposizione può condurre ad un tale risultato per la seconda: ritorno all'Inghilterra con tutte le sue conseguenze.

Ho ritenuto mio dovere riferire su tale elemento della situazione, poichè ritengo che sia il momento registrare ogni indizio qui registrabile per seguire i futuri sviluppi della politica esterna di questo Paese. Dal canto mio non manco di svolgere ogni possibile azione per fare opportunamente rilevare convenienza evitare ogni mossa intempestiva e nociva alle relazioni con Spagna Nazionale4 .

728 l T. 8417/292 R. del 14 dicembre. Riferiva che, secondo informazioni raccolte presso la rappresentanza del governo nazionale spagnolo a Lisbona, vi era molto malcontento a Burgos per il mancato riconoscimento de jure da parte del Portogallo, tanto che si stava ritardando la nomina dell'inviato speciale a Lisbona. Una misura -osservava il ministro Mameli -che, ferendo la suscettibilità dei portoghesi, poteva rendere più difficile il successivo riconoscimento pieno e formale.

729

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 2053/496 R. Roma, 22 dicembre 1937, ore 3,30.

Suo 772 1•

Effettivamente nostre missioni aeronautica e navale sono state autorizzate a lasciare Cina in esecuzione di istruzioni che capi missione hanno ricevuto per iscritto da governo cinese. Con dette comunicazioni compilate analogamente governo cinese ringrazia missioni per opera prestata ed aggiunge che «data attuale situazione non ritiene poter ulteriormente avvalersi della loro opera».

V.E. può trarre utili elementi per opportuna azione presso codesto governo a favore mantenimento buoni rapporti fra esso e Portogallo» (T. per corriere 20309 P.R. del 23 dicembre).

Nelle carte di Gabinetto vi è la minuta di un telegramma per l'ambasciata a Salamanca. datato 23 dicembre, e sul quale c'è l'annotazione autografa di Ciano «Atti. Non parte ma può servire da appunta>>. Il testo della minuta è il seguente:

<<Trasmetto qui allegati due telegrammi di Mameli dai quali si desume che la questione della nomina di agenti spagnoli e portoghesi a Lisbona e Burgos minaccia di divenire una seria fonte di attrito fra i due Governi. E chiaro che la questione è stata trattata in maniera piuttosto confusa da entrambe le parti, ed è perfettamente comprensibile il malcontento di codesto governo per il mancato riconoscimento de jure da parte del Portogallo. Ritengo tuttavia che, marcando eccessivamente tale malcontento, sul quale del resto insiste soprattutto Sangroniz, le cui simpatie filobritanniche sono ben note, si finirebbe col fare il gioco di coloro che hanno evidente interesse a trarre protìtto dalle suscettibilità di entrambe le parti per promuovere dissapori fra Portogallo e Spagna Nazionale.

Occorre quindi agire tempestivamente per impedire che manovre di Sangroniz e di Gil Robles, favorite da crescenti pressioni inglesi sul Portogallo. determinino come conseguenza un deterioramento dei rapporti fra Lisbona e Burgos.

V.E. vorrà quindi richiamare, nella maniera più opportuna ed al momento più adatto. la personale attenzione del Generalissimo su tale questione, mettendo in particolare risalto come. nelle presenti circostanze, ed alla vigilia dell'arrivo a Lisbona di una missione militare inglese, appaia contrario agli interessi della Spagna Nazionale prolungare col Portogallo una polemica sulla nomina dei rispettivi agenti o sulla natura giuridica dei presenti rapporti fra i due governi». 729 I Con T. 853S/772 R. del 20 dicembre, Attolico aveva -:omunicato che von Neurath gli aveva domandato se era esatta la notizia del ritiro delle missioni militari italiane in Cina e quali fossero i motivi che avevano determinato il provvedimento.

Noi del resto ci siamo affrettati a farle tornare perchè, dato il nostro atteggiamento politico, trovavamo molto sfasata la presenza di nostri consiglieri militari in un campo avverso all'amico Giappone.

728 4 Questi telegrammi furono trasmessi dal ministero all'ambasciata a Salamanca allegati al seguente telegramma: «Segnalo alla sua attenzione gli acclusi telegrammi del R. ministro a Lisbona dai quali

730

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8605/653 R. Tokio. 22 dicembre 1937, ore IO (per. ore 23,45).

Telegramma di V.E. n. 300 1 e miei telegrammi n. 5902 e 633 3 .

Dopo aver genericamente parlato con Hirota ho avuto lunga conversazione con capo direzione Affari Commerciali di questo ministero degli Affari Esteri circa partecipazione economica italiana Manciukuò e Nord Cina. Egli mi ha detto che Hirota gli aveva comunicate mio promemoria; che disposizioni questo governo sono attualmente favorevoli nostro desiderio e che se ne terrà conto anche in considerazione gratitudine del Giappone verso l'Italia; progetti per sfruttamento sono ancora allo studio, ma poteva già dirmi che si considera collaborazione con l'Italia sia in Manciukuò sia in Nord Cina nella forma scambi commerciali propriamente detta come pure di partecipazione italiana nell'industria, specie in quella pesante.

Per la prima si conta qui, come è ovvio, stabilire dei sistemi di compensazione nei pagamenti mediante acquisto di merci fin dove possibile, e di studiare eventuali concessioni di acquisto a credito.

Per la seconda si pensa, oltre naturalmente eventuale possibile partecipazione capitale italiano, all'apporto di brevetti, tecnici, eccetera.

Noto in relazione all'accenno fattomi della concessione di credito, che questa si presterebbe forse ad essere tradotta in effettiva partecipazione nelle varie imprese, senza richiedere perciò reale apporto di nostro capitale.

Direttore commerciale, aperto, simpatico e di buona volontà favorisce nel campo dei rapporti commerciali itala-giapponesi.

Accolto con vero piacere trattare invio nostra missione e nomina consigliere commerciale in Tokio. Promesso darà indicazioni e fornirà elementi che Comitato consultivo economico stimerà essere utili per nostra azione. È stato pure deciso prossimo mio abboccamento con signori Aycawa e Matsuoka sotto gli auspici stesso ministero degli Affari Esteri. Infine direttore commerciale mi ha detto oggi che erano state già inviate istruzioni a codesto ambasciatore del Giappone perché conferisca in proposito costà. Comunicato Roma e Mukden.

730 2 T. 8207/590 R. del 7 dicembre. Riferiva di aver ricevuto assicurazioni da Hirota che l'Italia e la Germania sarebbero stati i primi Paesi ad essere interpellati qualora fossero stati necessari dei capitali per la valorizzazione della Cina settentrionale. 730 3 T. 8471/633 R. del 17 dicembre. Riferiva su altre assicurazioni ricevute da esponenti politici e militari giapponesi allo stesso proposito.

730 l Vedi D. 694.

731

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 8623/114 R. Bruxelles, 23 dicembre 1937, ore 19,35 (per. ore24).

Sono in grado di riferire:

l) che Consiglio dei Ministri, in seduta segreta, ha riconosciuto all'unanimità principio sollecitare normalizzazione rapporti diplomatici con l'Italia;

2) che la proposta avanzata del Segretario Generale degli Affari Esteri 1 intesa portare questione davanti prossimo Consiglio della S.d.N. ha ricevuto la viva approvazione di Spaak, che ha fatto prevalere tesi che Stato belga non potrebbe consentire che suoi diritti sovranità restassero subordinati a decisioni estranei;

3) che Spaak si è pertanto dichiarato disposto procedere anche se d'accordo con sola Olanda;

4) che Spaak si è riservato tuttavia prendere iniziativa nei riguardi di Stoccolma, chiedendo con sollecitudine al governo svedese se sia o meno disposto unirsi Bruxelles e Aja. Mi consta che egli ne ha già intrattenuto mio collega di Svezia2• Questi, del tutto favorevole, confida ottenere risposta affermativa soprattutto perché socialista Sandler è stato provvisoriamente sostituito da personalità moderata.

732

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE SEGRETO 8691/0117 R. Bruxelles, 23 dicembre ]937 (per. i/27).

Seguito mio telegramma odierno cifra n. 1141 .

In via del tutto confidenziale aggiungo che Re Leopoldo è intervenuto ancora una volta presso Spaak, dichiarandogli ch'egli non permetterà che nuovo ambasciatore belga presso Vaticano 2 , che dovrebbe raggiungere sede per la fine di gennaio, assuma funzioni se non sia stato previamente accreditato ambasciatore presso nostro augusto Sovrano. Come ho già riferito, Sua Maestà ha designato da tempo a suo rappresentante presso il Quirinale attuale ambasciatore belga a Parigi.

731 l Fernand van Langenhove. 731 2 Gustaf von Dardel. 732 l Vedi D. 731. 732 2 Bernard de l'Escaille.

733

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8762/0344 R. Londra, 23 dicembre 1937 (per. il 31 ).

Mio rapporto n. 5521/3179 del 13 dicembre u.s. 1•

In relazione a quanto questa ambasciata ha avuto occasione di riferire in argomento alle relazioni anglo-portoghesi, segnalo il seguente brano delle dichiarazioni fatte ieri l'altro da Eden ai Comuni in occasioni del dibattito di politica estera (mio telegramma n. 902) 2 :

«È stato detto in alcuni ambienti che il governo inglese avrebbe intenzione di cercare di raggiungere un accordo con la Germania nel campo coloniale alle spese di altre Potenze coloniali. Niente è stato più lontano dalle intenzioni del governo inglese. In particolare, si è detto che il governo voleva riesumare le trattative dell'anteguerra nei riguardi dei possessi portoghesi. Quelle proposte devono considerarsi come morte e il governo non ha alcuna intenzione di ridar loro vita. Così come il governo inglese non cerca una soluzione del problema coloniale alle spese delle altre Potenze così esso non tenta di trovare una soluzione alle difficoltà europee alle spese di altre Potenze europee».

Stamani i giornali, che già nei loro resoconti del dibattito avevano sottolineato questa parte del discorso di Eden, riportano con rilievo, in corrispondenze da Lisbona, notizia delle «calorose» espressioni di ringraziamento che il presidente Salazar avrebbe pregato l'ambasciatore britannico, Selby, di far pervenire al governo di Londra per la pubblica, categorica smentita delle voci di un accordo anglo-tedesco ai danni dell'impero coloniale portoghese. Aggiungo ad ogni buon fine che ho visto oggi Monteiro, il quale mi ha informato di aver ricevuto istruzioni di recarsi da Eden, e di ripetergli il sincero apprezzamento del governo portoghese per le sue dichiarazioni di martedì.

734

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 8634/910 R. Londra, 24 dicembre 1937, ore 2,50 (per. ore 10,30).

Telegramma di V.E. per corriere 1973 1•

Mi sono stamane recato da Eden col quale mi sono intrattenuto per mezz'ora, e secondo le direttive impartitemi da S.E. Grandi prima della sua partenza gli ho fatto la comunicazione di cui al citato telegramma di V.E .. !asciandogli un appunto di cui trasmetto copia per corriere 2 .

733 è T. 8570/902 R. del 22 dicembre che riferiva su lo svolgimento di tutto il dibattito. 734 l Vedi D. 654. 734 2 Vedi allegato.

Eden mi ha ringraziato per la mia comunicazione e mi ha detto che avrebbe esaminato nuova risposta dopo le vacanze natalizie, riprendendo poi contatti con me o con l'ambasciatore Grandi. Eden ha continuato dicendo che -contrariamente ai commenti da lui rilevati nella stampa italiana -il punto di vista da lui sostenuto lunedì scorso alla Camera dei Comuni 3 sull'attuale stadio dei rapporti fra i nostri due Paesi era condiviso dall'intero Gabinetto e trovava intero consenso in tutti i partiti di sinistra e di destra.

Le conversazioni di Roma non potevano iniziarsi se non in un'atmosfera di serenità e di fiducia, altrimenti esse avrebbero rischiato di finire in un insuccesso, più dannoso agli interessi generali e di riconciliazione italo-inglesi che non l'attuale stato di cose.

Ho risposto a Eden che, dopo lo scambio di lettere Mussolini-Chamberlain del luglio scorso4 , del continuo rinvio delle conversazioni era esclusivamente responsabile il governo britannico, dimostrando che alla prima volontà di accordo manifestata dai due governi, erano subentrate da parte degli inglesi, incertezze e tergiversazioni che facevano dubitare della sincerità delle intenzioni dell'Inghilterra. Si trovavano, uno dopo l'altro, pretesti più vari e speciosi per rinviare di qualche settimana l'inizio delle previste conversazioni.

Il governo italiano aveva chiaramente detto subito che non aveva nessuna fretta; l'Italia intanto procedeva diritta per la sua strada ed in questi ultimi anni, anche senza l'amicizia britannica, aveva conseguito in tutti i settori vasti successi. Era dunque, soprattutto in vista del suo desiderio di salvaguardare pace europea, che il governo italiano continuava a lasciare la porta aperta ad una sincera e completa riconciliazione col governo britannico. Ed era il governo inglese, a parole tanto amante della pace, che ritardava un gesto dal quale essenzialmente dipendeva la futura pace dell'Europa: Questo era bene dire per fissare la responsabilità.

Eden ha protestato dichiarando che era desiderio suo e del governo britannico di giungere al più presto ad un accordo con l'Italia. Ma bisognava tuttavia che la stampa e la radio italiane non turbassero l'atmosfera delle progettate conversazioni.

Ho risposto a Eden che egli si aggirava in un circolo vizioso. Anzitutto io dovevo fargli osservare che quando dalle accuse di propaganda anti-britannica aveva voluto scendere all'esame di casi concreti, governo britannico non era mai riuscito a fornire alcuna prova precisa delle sue accuse. D'altra parte, il governo italiano aveva mille prove della propaganda ostile britannica, per esempio in Oriente e in Africa, ed il comportamento della stampa inglese, soprattutto in questo mese, non mirava certo a creare atmosfera favorevole allo sviluppo di conversazioni fra i nostri due governi.

Eppure il governo italiano non aveva mai sollevato, in forma pregiudiziale, la questione della stampa e della propaganda sempre più antifascista come ostacolo all'inizio delle predette conversazioni. Non l'aveva fatto perchè si rendeva conto che prima bisognava curare il male e poi i sintomi del male; e che, mentre sul terreno pregiudiziale la questione della propaganda non poteva assumere che una forma di sterile polemica fra i due Governi, nel quadro invece di conversazioni

miranti ad una chiarificazione dei rapporti italo-inglesi, la questione stessa avrebbe potuto eventualmente essere discussa con spirito amichevole e perciò costruttivo.

Eden mi ha detto comprendeva benissimo il mio punto di vista, ma che opinione pubblica inglese non consentiva al governo, sotto pena di essere tacciato in qualche modo di mancare di fermezza e di dignità, di aprire conversazioni con Roma nel momento in cui vi era in Inghilterra una generale irritazione per gli «attacchi» dei giornali italiani e della radio Bari. Comunque -egli mi ha ripetuto -«esaminerò attentamente dopo le vacanze natalizie vostre comunicazioni e mi riprometto parlarvene appena potrò dirvi qualche cosa di positivo».

ALLEGATO

L'AMBASCIATA D'ITALIA A LONDRA AL MINISTERO DEGLI ESTERI BRITANNICO

PROMEMORIA. Londra, 23 dicembre 1937.

The ltalian Embassy have been instructed to make to the Secretary of State for Foreign Affairs the following communication as a reply to what Mr. Eden said to Count Grandi in the course of their last conversation at the Foreign Office on December 2nd.

The Italian Government are stili of the opinion that the problem of the relations between Italy and Great Britain should be approached and solved in its entirety and not partially. Ali the subjects should be discussed and amongst them, naturally, also that of the recognition of Italian sovereignty aver Ethiopia. This is a purely mora! question but it is a fundamental one for Italian public opinion and could not, therefore, be left out in a generai settlement of the Anglo-Italian relations.

The Italian Government have always had in mind contents of the letters exchanged between Mr. Chamberlain and Signor Mussolini last July, which should be the starting point of the coming conversations. In fact, Mr. Chamberlain in his letter of the 27th July last said that the British Government «will be ready at any time to enter upon conversations with a view to clarifying the whole situation and removing ali causes of suspicion and misunderstanding».

In this spirit and on these basis the Italian Govemment have always been ready to start the contemplated conversations on ali the subjects the British Govemment might wish to raise with a view to arriving at a full, complete and lasting agreement between the two Countries.

733 1 Non rintracciato.

734 3 Il 20 dicembre, Eden aveva dichiarato ai Comuni, rispondendo ad una interrogazione, che, se l'Italia non avesse posto fine alla sua propaganda antibritannica nel Vicino Oriente, sarebbe mancata l'atmosfera necessaria per avviare delle conversazioni tendenti a migliorare i rapporti tra i due Paesi. 734 4 Vedi DD. 136, allegato e 155. allegato.

735

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 8655/475 R. Berlino, 24 dicembre 1937, ore 20,36 (per. ore 21,45).

Deve esserci qualche cosa di nuovo in Estremo Oriente. Immagino possa trattarsi di una domanda di buoni uffici alla Germania. Preciserò appena possibile 1 .

735 l Vedi D. 738.

736

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 6560. Berlino, 24 dicembre 1937 (per. il 27).

Non ho mancato di fare all'Auswartiges Amt un discreto accenno all'oggetto di cui a tua lettera riservata personale del 18 corrente n. 105571 .

Mi è stato fatto osservare che mentre una «protesta» tedesca per i fatti del Panay2 non esiste, d'altra parte non esiste neanche (a parte forse qualche dichiarazione di simpatia dell'ambasciatore) una notifica tedesca di non volere riconoscere il governo Chiang Kai-shek e ciò per la semplice ragione che il problema del riconoscimento di un governo nuovo in Cina non si è ancora posto.

«Tecnicamente» le osservazioni di cui sopra appaiono, e forse sono, giustissime. Rimane però il fatto che, in generale, la politica della Germania in Cina, nonostante tutte le dichiarazioni e gli affidamenti in contrario del signor von Ribbentrop, non, dico non, coincide con la nostra. Il Giappone lo sa. Ma non mi risulta ch'esso tenga particolarmente a farlo notare qui e tanto meno a lagnarsene granché.

737

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8668/666, Tokio, 25 dicembre 1937, ore 4 8669/667 e 8670/668 R. (per. ore 3,50 del 26).

Hirota mi ha ora chiamato per comunicarmi che si ha qui impressione che Chiang Kai-shek sia ora piuttosto incline a trattare. In seguito a ciò, governo giapponese ha redatto condizioni fondamentali all'accoglimento negoziati e cioè:

l) Cina deve abbandonare la sua politica di propaganda comunista, così come quella diretta contro Giappone e contro la Manciuria e cooperare con questi due Stati nell'attuazione della loro politica anticomunista;

2) Accettare che siano demilitarizzate le zone da stabilirsi e che siano stabiliti speciali regimi nelle aree in cui ciò sia necessario;

3) Concludere accordi per una reciproca cooperazione economica con Giappone e Manciuria;

4) Pagare necessaria indennità al Giappone.

A tali condizioni, che Hirota mi ha consegnato per iscritto, ha aggiunto verbalmente che .la Cina prima ancora di iniziare negoziati dovrebbe dare concreta prova di buona volontà allontanando da Chiang Kai-shek i capi comunisti che gli sono intorno.

Per di più ha spiegato che il numero l significa, tra l'altro, il riconoscimento della Manciuria e che speciali regimi di cui al punto 2 non sarebbero uguali, cosicché mentre nella Mongolia interna il regime dovrebbe essere autonomo, nel nord della Cina non lederebbe sovranità cinese ed a Shanghai rispetterebbe concessioni straniere. Ha inoltre osservato che pur non potendo fin da ora precisare l'applicazione concreta di questi principi fondamentali, le condizioni sarebbero più o meno severe secondo l'animo che Cina mostrasse. Se apparisse chiaramente la sua buona volontà, non vi sarebbe necessità per il Giappone di premunirsi rigorosamente da pericoli futuri, i quali non esisterebbero il giorno in cui i cinesi fossero disposti a collaborare col Giappone. Se suddette condizioni fossero accettate in massima, la Cina dovrebbe inviare delegati nei luoghi che sarebbero loro indicati ed iniziare negoziati. Condizioni sono state comunicate due giorni fa a questa ambasciata di Germania perché fossero portate a conoscenza di Chiang Kai-shek.

Ho risposto ad Hirota che secondo suo desiderio avrei subito telegrafato a

V.E. quanto precede. Temevo però che il ritardo di due giorni fra le comunicazioni alla Germania e le comunicazioni all'Italia avrebbero fatto a Roma cattiva impressione, specialmente dopo le nostre ass-icurazioni espressegli di agire con la Germania e dopo sua dichiarazione di discorrere con me qualora avesse ravvisato necessità di dare seguito alle intenzioni favorevoli che alcune settimane or sono Chiang Kai-shek aveva sembrato mostrare 1 . Governo avrebbe potuto aver l'impressione che il Giappone non volesse valersi dell'Italia perché l'Italia aveva danneggiato le relazioni con la Cina, mentre ciò era avvenuto appunto per il suo contegno di non ambigua amicizia verso il Giappone. Hirota ha replicato che si era rivolto alla Germania perché era alla Germania che Chiang Kai-shek si era diretto settimane fa, nelle sue prime manifestazioni pacifiche. Che però aveva inteso nel rivolgersi alla Germania che noi, dati i nostri intimi rapporti, lavorassimo con essa a tale scopo. Che la Germania lo aveva assicurato che ne avrebbe intrattenuto l'Italia ma aveva chiesto che me ne avesse parlato nello stesso tempo in cui essa ne avrebbe parlato costà. Egli credeva che, appunto oggi, dovesse avvenire la comunicazione della Germania a Roma. Secondo la sua idea, qualora Cina accettasse quelle condizioni di massima, Italia e Germania dovrebbero invitare pubblicamente i due contendenti ad iniziare i negoziati. Se non ho ribattuto

737 I Vedi D. 673.

molto quelle sue spiegazioni, non è stato per mancanza di argomenti. Mi ha chiesto infine mie impressioni.

Ho risposto che il valore delle condizioni poste non dipende tanto dalla loro attuale generica redazione, quanto dalla loro concreta definizione nel corso dei negoziati. Non avevo elementi per prevedere come Chiang Kai-shek le avrebbe accolte. Ma è certo che uno dei più importanti fattori del contegno della Cina sta nella politica di alcune Grandi Potenze verso di essa. Condizione necessaria, se non sufficiente, per una Cina amica del Giappone è che l'Inghilterra non le faccia più nulla sperare o -quanto meno -che essa non speri più n eli 'Inghilterra.

736 l Vedi D. 719. 736 2 Al momento dell'occupazione di Nanchino, il 13 dicembre, aerei nipponici avevano attaccato tre navi della marina britannica e bombardato, affondandola, la cannoniera statunitense Panay, provocando a bordo di quest'ultima 27 feriti e quattro morti, tra i quali il corrispondente de La Stampa, Sandra Sandri. Nelle stesse circostanze, erano state affondate tre navi cisterna della Standard Oil Company che trasportavano civili in fuga dalla zona di operazioni. L'incidente, che aveva suscitato reazioni fortissime nell'opinione pubblica britannica e ancor più in quella americana, dava luogo ad uno scambio di note fra i governi interessati terminato il 26 dicembre con una nota del governo di Tokio che riconosceva la responsabilità dei militari giapponesi e si impegnava a risarcire i danni.

738

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8671/476 R. Berlino, 26 dicembre 1937, ore 20,10 (per. ore 22,15).

Mio telegramma di ieri n. 475 1• Si tratta effettivamente di una «apertura» a Chiang Kai-shek, di cui Hirota ha incaricato la Germania avantieri, a mezzo di Ken.

Dei particolari della proposta giapponese (probabilmente, così come è, inaccettabile e che del resto contiene l'invito a negoziati diretti) V.E. sarà informato da Hassell che ha ricevuto conformi istruzioni oggi stesso.

Proposta giapponese è stata telegrafata a Trautmann invitandolo trasmetterla tale e quale e per dir così fisicamente, a Chiang Kai-shek con precise istruzioni di astenersi dal prendere in merito ad essa posizione alcuna, in qualunque senso.

Weizsiicker, che mi ha comunicato tutto questo oggi, Natale, ha aggiunto che la Germania non si poteva rifiutare --tanto più essendone stata richiesta proprio dal Giappone --ad una funzione di semplice «porta lettere».

Ho risposto che V.E. avrebbe certamente detto il proprio pensiero a von Hassell forse domani stesso 2• Per parte mia, una sola cosa volevo far rilevare e cioè: sembrarmi doveroso di non prolìttare della situazione speciale derivante alla Germania dal nostro riconoscimento Manciuria per mettere l'Italia in una situazione politica di svantaggio. Che anzi il conflitto cino-giapponese mi pareva uno dei casi tipici in cui Germania ed Italia dovevano, e potevano, svolgere una politica, se non pienamente identica, almeno pienamente concertata. Di questo la Germania avrebbe dovuto assolutamente rendersi conto, tanto più dopo le assicurazioni datemi proprio a proposito dell'Estremo Oriente --da Ribbentrop, il quale, dopo tutto, male o bene, parlò a nome del governo tedesco.

738 l Vedi D. 735. 738 2 Vedi D. 739.

739

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2059/504 R. 1 . Roma, 26 dicembre 1937, ore 23.

Suo 476 2 .

Ho ricevuto von Hassell il quale mi ha fatto la comunicazione relativa. Al fine di informare V.E. le trasmetto con telegramma a parte le comunicazioni ricevute in proposito da Tokio3 .

Ho detto ad Hassell che prendevo atto di quanto era avvenuto sino ad ora e chi mi rendevo conto delle ragioni che potevano avere consigliato un'azione isolata in una prima fase. Ma che superata tale fase ritenevo, così come eravamo d'accordo, che la mediazione nella questione d'Estremo Oriente fosse dovuta venire compiuta non da uno Stato isolato ma dal sistema politico dell'Asse.

L'ambasciatore di Germania mi ha assicurato che questa era anche l'intenzione e la volontà del suo governo.

V.E. segua la cosa da vicino4 .

740

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ·ALL'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI

T. SEGRETO NON DIRAMARE 2062/322 R. l Roma, 26 dicembre 1937, ore 23.

Suo n. 666 e seguenti 2 .

Approvo suo linguaggio. Ho chiamato Hotta e gli ho detto quanto pm o meno V.E. aveva già replicato a Hirota. Gli ho anche elencato la lunga serie di avvenimenti che provano quanto rettilinea e intransigente sia stata la nostra politica in favore del Giappone. Ho concluso che potevo anche rendermi conto delle ragioni che avevano consigliato al governo imperiale di valersi dei buoni uffici isolati della Germania in una prima fase dell'apertura. Ma intendevo che in caso di negoziati l'Italia e la Germania fossero trattare su un piede di assoluta eguaglianza.

Un linguaggio analogo l'ho tenuto anche con l'ambasciatore di Germania, che è venuto ad informarmi dell'accaduto.

V.E. segua la cosa da vicino e riferisca.

739 2 Vedi D. 738. 739 3 Con T. segreto non diramare 2060/505 R. fu ritrasmcsso il D. 737. 739 4 Vedi D. 742. 740 l Minuta autografa. 740 2 Vedi D. 737.

739 l Minuta autografa.

741

L'ADDETTO ALL'UFFICIO DI GABINETTO, CARACCIOLO DI MELITO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO SEGRETO. Roma, 26 dicembre 1937.

l) In base agli ordini impartiti dall'E. V. mi sono recato a Belgrado, dove sono giunto la sera del 21 corrente.

Ho immediatamente consegnato al Ministro Indelli il noto dispaccio 1; questi ne ha preso attenta visione e mi ha incaricato di esprimere alla E.V. la sua riconoscenza per i nuovi importanti elementi di giudizio portati a sua conoscenza.

2) Si propone, appena le circostanze gli consentano una favorevole occasione, di controllare quelle notizie di cui non esclude la probabile veridicità. Ritiene però che anche nella peggiore delle ipotesi, esse non siano tali da far temere un mutamento nelle linee dei rapporti italo-jugoslavi, quali si vanno gradatamente sviluppando sulla base degli accordi di Belgrado, né ad infirmare la lealtà fondamentale, perché basata sopra una esatta comprensione dei loro interessi, che anima tanto il Principe Paolo quanto Stojadinovié nei nostri confronti.

3) Il Ministro Indelli distingue nettamente tra le frasi attribuite al primo e quelle attribuite al secondo; egli crede che il Reggente ed il Presidente del Consiglio abbiano almeno per ora, assoluto bisogno l'un dell'appoggio dell'altro e siano sostanzialmente d'accordo sulle linee maestre della loro politica.

Come due compari in commedia, però, si sarebbero divisi le parti e, mentre Stojadinovié rappresenterebbe l'elemento novatore e dinamico, il Principe Paolo manterrebbe un atteggiamento di cautela destinato a diminuire l'attrito con il binomio franco-inglese, ma particolarmente con l'Inghilterra.

4) Difatti, oggi che i rapporti con la Francia sono decisamente tesi e che di questa tensione non mancano riflessi nella politica interna del Paese, ci si preoccupa a Belgrado di non suscitare una netta ostilità britannica, che aggiunta a quella francese potrebbe avere serie ripercussioni sull'azione del Governo.

Tanto più che i sentimenti verso l'Italia, in rapida evoluzione dopo gli accordi di Belgrado, sono improntati a speranza e ad attesa, piuttosto che a fiducia incondizionata, mentre si guarda con accentuata diffidenza non scevra da timore alla politica del terzo Reich.

5) Il Ministro Indelli quindi non ritiene inverosimile che il Principe Paolo abbia pronunciato qualche frase che abbia il tono di quelle riferite dal Ministro Campbell, mentre si dimostra scettico circa le affermazioni poste in bocca a S.E. Stojadinovié.

6) Fa notare innanzitutto come esse non vengano attribuite a lui direttamente, ma siano riferite dal Ministro degli Esteri Francese, e in secondo luogo che la sua sarebbe risposta ad una domanda di cui non si riferisce il contesto.

741 I Si trattava, come risulta da questo appunto, di un dispaccio del ministro di Gran Bretagna a Belgrado, sir. R. Campbell, di cui il Servizio Informazioni Militare italiano era venuto in possesso. Il documento non è stato ritrovato nell'archivio italiano.

Sta di fatto, ad ogni modo, che le manifestazioni esteriori della politica presidenziale non mutano, perseverano anzi in una linea che dimostra come Stojadinovié intenda illuminare sempre più l'opinione pubblica del Paese circa i grandi vantaggi inerenti al Patto di Belgrado.

Quattro giorni fa, egli ammalato si fece condurre alla Skupcina per pronunziarvi un breve discorso in massima parte dedicato al felice sviluppo dei nostri rapporti. Fece seguire al discorso una lunga ed entusiastica apologia preannunciata da uno dei suoi dipendenti.

7) Il Ministro Indelli ritiene che il Presidente Stojadinovié non impegnerebbe così apertamente la sua responsabilità sulla politica d'amicizia verso l'Italia, se non credesse fermamente nella sua utilità e nel suo successo.

Al punto che hanno oggi raggiunto le cose, un oscurarsi dei rapporti italo-jugoslavi si risolverebbe in un insuccesso personale del Presidente.

Per concludere si può dire che il Ministro Indelli ritiene come tanto il Governo, quanto intimamente la opposizione siano consci e convinti dei grandi vantaggi che deriveranno alla Jugoslavia, dalla applicazione leale dei Patti di Belgrado.

Perdura un certo senso di sfiducia nei nostri riguardi, che si attenua rapidamente, ma che suggerisce oggi a quel Paese una certa cautela, il desiderio di non compromettere apertamente i rapporti con la Francia ma soprattutto con l'Inghilterra. Tanto più che quelle due Potenze dispongono nel Paese di larghi interessi costituiti attraverso i quali potrebbero dall'interno creare imbarazzi non lievi all'azione del Governo attuale2 .

742

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8702/481 R. Berlino, 27 dicembre 1937, ore 20,55 (per. ore 24 ).

Telegramma di V.E. n. 504 1•

Questo direttore degli Affari Politici, von Weizsiicker, che regge attualmente la Wilhelmstrasse, mi informa che documento giapponese, redatto in lingua inglese, è stato consegnato dall'ambasciatore di Germania, residente ad Hankow, nelle mani del signor Kung, dato che Chiang Kai-shek è ammalato.

Kung non ha comunicato all'ambasciatore le sue impressioni, ma, nel complesso, è apparso freddo e riservato. Wilhelmstrasse insiste nell'affermare che l'incarico affidato dal Giappone alla Germania è unicamente, secondo la frase già detta a S.E. Attolico, di «porta lettera». Essa non intenderebbe assolutamente entrare nel merito della questione.

Da parte mia, ho naturalmente molto insistito nel senso indicato da V.E.

Von Weizsacker mostra un certo scetticismo circa la risposta cinese che, secondo lui, dovrebbe essere evasiva e -anche se ricca di espressioni alla moda orientale -sostanzialmente poco atta a fare iniziare senz'altro una precisa trattativa.

741 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 742 I Vedi D. 739.

743

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A GEDDA, SILLITTI

T. 2065/133 R. Roma, 27 dicembre 1937, ore 24.

Telegramma V.S. 139 1• In relazione alle comunicazioni che abbiamo avuto cura di fare a codesto governo sull'atteggiamento italiano e yemenita nei riguardi del provvedimento britannico che estende Protettorato di Aden fino alla frontiera del sultanato Oman Mascate comprendendovi Hadramaut, pregola tener presente che sarebbe interessante conoscere quale posizione intenda assumere codesto governo verso provvedimento britannico che fra l'altro implica una determinazione unilaterale, per quanto generica, delle frontiere meridionali del Regno saudiano.

744

IL MINISTRO A PRAGA, DE F ACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8737/090 R. Praga, 27 dicembre 1937 (per. il 30 ).

Berlino, Varsavia, Budapest sono perfettamente d'accordo circa le sorti da assegnare alla Cecoslovacchia, non sono poi precisamente concordi circa la ripartizione delle spoglie.

Che la Germania nella divisata marcia verso il sud pensi di avvolgere la Slovacchia nel mondo germanico non vi è dubbio. Ma vi contrastano decisamente la Polonia e l'Ungheria disposte a darsi la mano per parare la spinta germanica, in rotta però fra loro quando si tratta della destinazione ultima di detto Paese. I polacchi propugnano, come è noto, la Slovacchia indipendente, gli ungheresi la Slovacchia ungherese.

Recentemente, Varsavia ha fortemente sottolineato le sue tendenze dando aperto appoggio al partito autonomista slovacco di Hlinka, il quale, ricevuto in Polonia con grandi onori, era poi decorato dal Presidente Moscicki (v. mio tele

spresso n. 1406/900 del 19 agosto u.s.) 1• Le dichiarazioni di amicizia e di solidarietà fra i fratelli slavi di Polonia e di Slovacchia, in barba ai cechi, furono tali da far dire che Hlinka e gli slovacchi stavano alla Polonia come Henlein e i tedeschi dei Sudeti alla Germania. L'equazione non regge, comunque gli amori polono-slovacchi hanno destato preoccupazioni e -ciò che va notato -più a Budapest che a Praga. Sembra infatti che il governo ungherese abbia fatto sentire il suo disappunto a Varsavia, richiamandovi anche l'attenzione del Reich. L'attività polacca pare siasi calmata e gli agenti polacchi nella Slovacchia dovrebbero aver avuto istruzioni moderatrici.

743 l T. 8437/139 R. del 6 novembre con il quale Sillitti comunicava di avere adempiuto alle istruzioni di cui al D. 644.

745

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8743/589 R. Shanghai, 28 dicembre 1937, ore 13,30 (per. ore 4,15 del 30).

Come V.E. avrà rilevato dal mio telegramma n. 576 in data 23 corrente 1 ambienti giapponesi locali erano già al corrente dell'ulteriore seguito delle trattative di pace e dell'azione dell'ambasciata di Germania. Ministro Ito me lo ha confermato, enumerandomi stesse condizioni di pace di cui al telegramma di Tokio 666-667 e 668 2 .

Si dubita però che Chiang Kai-shek possa accettarle. Tutto è possibile in Cina, ma sarebbe inaudito per un governo nazionale sottoscrivere condizioni simili, come ebbe a dire a suo tempo Soong T.V.; occorre che questo governo «passi la mano» ad un governo malleabile e meno compromesso di fronte all'opinione pubblica, per concludere pace effettiva.

Da Hankow, Alessandrini (recatosi a sostituire Rosset) mi riferisce che colà si affetta sufficiente unità di vedute in favore della resistenza, tra gli attuali dirigenti sempre capeggiati da Chiang Kai-shek, facendosi anche ostinato affidamento su aiuto diplomatico inglese e russo.

Wang Ching-wei, unica personalità che abbia dimostrato di realizzare la gravità della situazione, ha espresso anche desiderio rimanere strettamente a contatto riservato con noi, sperando avere prove di amicizia tangibile con nostra opera su Tokio in favore pace.

Alessandrini ha avuto anche l'impressione che la reazione prodotta dal nostro riconoscimento della Manciuria sia, politicamente se non sentimentalmente, supe

745 1 T. 8665/576 R. del 23 dicembre. L'ambasciatore Cora riferiva di avere appreso da fonte giappone se che i tedeschi si stavano ancora adoperando per indurre Chiang Kai-shek a venire a patti con il Giappone. L'ambasciatore esprimeva il dubbio, però, che il Generalissil)1o avesse l'autorità necessaria per condurre quelle trattative, anche perché negli ultimi tempi era cresciuta intorno a lui l'influenza dei generali filocomunisti come diretta conseguenza della convinzione che la Cina poteva ricevere degli aiuti concreti soltanto dall'Unione Sovietica. 745 2 Vedi D. 737.

ra:ta e che i circoli cinesi siano pronti a dare ascolto alle parole italiane, soprattutto dopo la mediazione della Germania.

Ministro degli Affari Esteri cinese sembra completamente esautorato.

Comunicato Roma e Tokio.

744 l Non pubblicato.

746

L'INCARICATO D'AFFARI A L'AJA, DE VERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8716/29 R. L'Aja, 28 dicembre 1937, ore 21,52 (per. ore 5,30 del 29).

Telegramma di V.E. n. 52 1•

Questo ministro degli Affari Esteri mi ha detto che suo collega belga approva sua iniziativa circa riconoscimento Impero. Ma a sue ripetute richieste perché i due governi si decidessero a procedere unitamente, Spaak ha consigliato attendere ancora affinché governo svedese possa egualmente associarsi ad iniziativa olandese.

Secondo PatUn si tratterebbe, con tale mezzo, per il Belgio, non di ricercare una formula ma piuttosto un'argomentazione atta neutralizzare opposizione parlamentare.

Accennando alle presenti campagne stampa locale per l'iniziativa olandese, questo ministro Affari Esteri mi ha detto che tanto lui quanto Spaak deploravano che ministro degli Affari Esteri norvegese avesse reso di pubblica ragione quanto per espresso desiderio Olanda doveva invece continuare ad essere riservato.

In conseguenza, ministro Esteri olandese e belga erano rimasti d'accordo di escludere definitivamente da ulteriori negoziati, sia Norvegia, che Danimarca, e insistere invece a Stoccolma. Qualora governo svedese avesse voluto tergiversare, agire nuovamente su governo finlandese che Patijn ritiene più propenso del governo svedese.

In ogni modo questo ministro degli Affari Esteri ha concluso col dirmi essere suo fermo proposito di risolvere problema riconoscimento (ne fanno fede sue dichiarazioni a due deputati di cui a miei telespressi 702 e 703 del 27 corrente inviati per posta) 2 di avere l'appoggio del suo governo, e non preoccuparsi eccessivamente di opposizione della sinistra.

Ho preso atto e ho ringraziato per tali esplicite dichiarazioni 3 .

746 1 Con T. 2058/52 R. del 24 dicembre, Ciano aveva comunicato che, da informazioni «sicure ma confidenziali», risultava che il governo belga si era «messo decisamente sulla via della normalizzazione dei rapporti diplomatici con l'Italia, adottando per le lettere credenziali del proprio ambasciatore a Roma la formula Imperatore d'Etiopia»; di ciò l'incaricato d'affari De Vera avrebbe potuto fare «uso discreto» nei suoi contatti con Patijn. 746 2 Non pubblicati. 746 3 Ciano telegrafava: «Faccia sapere a Patijn che governo fascista, molto compiaciuto per atteggiamento da lui preso nella questione del riconoscimento dell'Impero, segue con viva simpatia la sua attività» (T. 20508 P.R. del 29 dicembre).

747

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE Berlino, 28 dicembre 1937 (per. il 30). PER CORRIERE 8742/0149 R.

Con il telegramma n. 481 di ieri 1 ho comunicato aii'E.V. come l'ambasciatore del Reich in Cina, Trautmann, abbia provveduto a consegnare al signor Kung, nell'assenza di Chiang Kai-shek ammalato, il documento contenente le proposte giapponesi.

Aggiungo che il signor von Weizsacker, che è tra gli elementi più intelligenti e più «classici» della Wilhelmstrasse, ha tenuto, nel corso della sua conversazione di ieri, ad insistere ripetutamente sulla circostanza che la Germania intende «a qualunque costo» di limitare la sua azione a trasmettere, puramente e semplicemente, le proposte ed eventualmente le controproposte, senza entrare nel merito della questione. Si direbbe che la Wilhelmstrasse, fedele al suo principio di svolgere una politica di assoluta prudenza, mantenendo aperte tutte le possibilità ed impedendo ogni inizio di avventura, sia oggi quasi preoccupata della circostanza che il Giappone abbia finito per affidare in forma concreta alla Germania il compito della mediazione nel conflitto. E ciò dopo avere per lunghi mesi svolto in Estremo Oriente una politica destinata appunto, in definitiva, a raccogliere tutti gli elementi capaci a far apparire il Reich tedesco come la nazione più adatta per assumersi la funzione di mediatrice.

Il signor von Weizsiicker infatti, dopo avermi lungamente esposto i motivi che lo portano ad essere del tutto scettico sulle possibilità di un successo delle eventuali trattative, ha tenuto ad aggiungere che oggi, date le circostanze e l'andamento della guerra, una mediazione sarebbe o «troppo tardiva» o «troppo prematura». È chiaro-egli ha aggiunto-che la nazione che si assume il grave compito di mettersi oggi tra Cina e Giappone, corre il rischio di attirarsi per lunghi anni l'antipatia di una delle due parti. Evidentemente egli ha alluso particolarmente alla Cina, verso la quale, per i motivi già noti all'E.V. la Wilhelmstrasse nutre in fondo una certa debolezza. Oggi -ha continuato -due persone giocano la propria testa in Estremo Oriente: Chiang Kai-shek e Hirota, i quali ambedue devono tenere profondamente conto delle opinioni pubbliche dei due Paesi che non sembrano, almeno fino ad oggi, portate a soluzioni di compromesso. In tali condizioni, evidentemente il compito dell'eventuale mediatore è estremamente delicato e pericoloso.

A queste argomentazioni ho risposto facendo presente che la realtà dei fatti appare un po' diversa, data la circostanza che ci troviamo oggi di fronte ad un preciso atto del governo giapponese il quale ha ritenuto utile affidare al rappresentante tedesco il documento contenente le prime linee per una «apertura» di trattative nei confronti della Cina. E, dopo aver messo in rilievo tutti i motivi che militano a favore della necessità di una azione concorde dell'Italia e della Germania, ho

aggiunto che, in definitiva, è meglio vedere la colomba della pace in Estremo Oriente racchiusa in una gabbia itala-tedesca che non in quella delle democrazie anglo-americane. Per l'Italia e per la Germania la soluzione del conflitto in Estremo Oriente potrebbe avere un valore immenso nei confronti della linea generale del prestigio della politica concordata dall'asse Roma-Berlino.

Il signor von Weizsacker ha naturalmente dichiarato che egli concorda pienamente su tale punto di vista e ha assicurato che la Wilhelmstrasse continuerà a mantenersi in stretto collegamento con Roma.

Penso però che molto opportunamente il governo di Tokio potrebbe a sua volta a norma delle dichiarazioni fatte da Hirota al nostro ambasciatore e contenute nel telegramma dell'E.V. n. 505 2 , far comprendere chiaramente alla Germania che essa in tanto è stata officiata di questo primo tentativo di mediazione in quanto «rappresentante» dell'asse Roma-Berlino.

747 l Vedi D. 742.

748

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE

Berlino, 28 dicembre 1937 PER CORRIERE 8736/0150 R. (per. il 30).

Mi riferisco al telegramma dell'E.V. n. 505 del 26 u.s. 1•

Nei riguardi del contenuto del documento giapponese consegnato dall'ambasciatore del Reich in Cina al governo di Chiang Kai-shek, aggiungo che il signor von Weizsacker mi ha detto che esso contiene anche l'accenno che le ostilità dovranno continuare durante le eventuali trattative. In altre parole, il Giappone non prevede la possibilità di un armistizio. Una tale condizione, a detta del signor von Weizsacker costituisce una grave difficoltà per una qualsiasi forma di accettazione da parte cinese.

749

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 8776/0101 R. Belgrado, 28 dicembre 1937 (per. il 31).

Parlando mi della recente v1s1ta di Delbos a Belgrado 1 , il Presidente mi ha detto che due sono stati gli argomenti sui quali il ministro degli Esteri francese si è

particolarmente dilungato con lui: l'uscita dell'Italia dalla Società delle Nazioni ed il Patto di mutua assistenza.

l) Delbos avrebbe dichiarato a Stojadinovié come il fatto che l'abbandono di Ginevra da parte dell'Italia sia stato reso pubblico subito dopo la sua visita a Roma, aveva prodotto a Parigi un'assai sfavorevole impressione, quasi si trattasse di una decisione concordata nel corso della visita stessa. Stojadinovié ha replicato che Delbos gli faceva molto onore nel supporrè che la sua influenza a Roma fosse tale da poter determinare gli orientamenti del governo fascista. Ha aggiunto -secondo ne era stato autorizzato da V.E. -che la decisione italiana era anteriore alla sua visita e se se ne era ritardata la pubblicazione ciò era dovuto ad un delicato riguardo che a Roma si era voluto usare, in considerazione della visita stessa. Non ha nascosto a Delbos che il governo jugoslavo, pur rimanendo a Ginevra, non crede più, come ormai nessuno può sinceramente credere, ai dogmi della sicurezza collettiva ed agisce in tal senso. In tale ordine di idee, anche se non ha influito, certo non ha obiettato alla decisione dell'Italia. Stojadinovié ha, poi, creduto di dire a Delbos che, dai colloqui avuti a Roma, ha riportato l'impressione che non si hanno da noi preconcetti ostili alla Francia, che ha, anzi, avuto la sensazione che si può ragionevolmente sperare, in epoca più o meno lontana ed adatta, in una migliore sistemazione dei rapporti franco-italiani, ma, che, evidentemente, a Roma non si ritiene ciò possa seriamente ottenersi nelle condizioni di pressione che socialisti e comunisti esercitano attualmente sul governo di Parigi. Ha anche creduto di rilevare con Delbos, in argomento, come appaia ormai impolitica ed assurda la riserva mantenuta dalla Francia nei riguardi del riconoscimento dell'Impero italiano. Delbos gli avrebbe risposto che le favorevoli disposizioni francesi a questo riguardo sarebbero state, per fatto nostro, a varie riprese, fermate. Ed attualmente per effetto, ad esempio, dell'azione di propaganda da noi spiegata nelle varie colonie francesi, propaganda pericolosa e preoccupante.

2) Quanto al patto di mutua assistenza, Delbos ha detto a Stojadinovié che a Bucarest gli era stato dichiarato essere la Romania favorevolmente disposta ad aderire ai suggerimenti francesi ma gli era stato aggiunto che occorreva convincere Belgrado, da dove partiva il principale ostacolo. Stojadinovié mi si è mostrato indignato della malafede e della pusillanimità di Antonescu, che fino a poco tempo fa, gli aveva, invece, detto e fatto dire di essere perfettamente d'accordo con lui circa l'opportunità di respingere tali suggerimenti. Comunque il Presidente ha, ancora una volta, dichiarato a Delbos che, a parte ogni considerazione pratica sull'utilità e la praticità di un patto di mutua assistenza, egli non intendeva, in modo assoluto, procedere ad alcuna intesa che potesse comunque essere interpretata come una punta contro l'Italia e neppure contro la Germania. Ha aggiunto che, ormai, la politica pienamente fiduciosa e amichevole inaugurata con l'Italia costituiva un punto fondamentale ed invariabile della politica estera jugoslava, e che occorreva, quindi, trarre da questo nuovo stato di cose tutte le conseguenze del caso. Nei riguardi della Germania -ed evidentemente per non approfondire argomenti delicati alla vigilia della visita di Delbos a Praga e nell'imminenza della sua a Berlino -si sarebbe limitato ad esprimere un suo personale avviso circa la necessità di soddisfare seriamente e durevolmente le esigenze tedesche nel campo coloniale. Ma per dare, finalmente, una qualche magra soddisfazione a Delbos, almeno nel campo societario, Stojadinovié ha poi consentito ad accennare nel comunicato ufficiale della visita, che «i due ministri, nell'interesse tanto dei due Stati, membri della Società delle Nazioni, che per la causa della pace generale in Europa, sono rimasti d'accordo di continuare la loro collaborazione nello stesso spirito di amicizia e di fiducia». Formula evidentemente assai vaga. I francesi -mi ha detto Stojadinovié -si appagano soprattutto di parole.

In complesso, nei riguardi di Belgrado può concludersi che la visita di Delbos, specie nel momento e nelle speciali circostanze in cui è avvenuta, non ha, quanto meno, contribuito ad aumentare qui le azioni della Francia. Né la campagna di stampa che a Parigi si è andata successivamente sviluppando contro Stojadinovié, contribuirà a migliorare la situazione.

747 2 Vedi D. 739, nota 3. 748 l Vedi D. 739, nota 3. 749 l Dal 12 al 15 dicembre.

750

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

LETTERA PERSONALE. Roma, 28 dicembre 1937.

Due cose:

l) In questi giorni è stato a Roma il Generale Berti per un esame della situazione in Spagna in relazione alle recenti vicende. Esaminate tutte le possibilità, abbiamo concluso, per molte ed evidenti ragioni, che il Corpo Truppe Volontarie resterà in Spagna. Il Duce ha redatto e consegnato a Berti le istruzioni che ti unisco in copia. Informane i tedeschi. Ma c'è un punto sul quale si dovrà concentrare tutto l'interesse: il numero 6. Finora i meno brillanti risultati e sempre gli incompleti successi sono dovuti alla mancanza di unità di comando. Bisogna che Franco accetti la collaborazione degli Stati Maggiori italiano e tedesco, che con loro esamini le situazioni e decida e che infine le sue decisioni siano applicate ed eseguite alla lettera dai non troppo disciplinati suoi Generali.

Berti, tornando in Spagna, premerà per la costituzione del Comando unico. Bisogna che i tedeschi agiscano del pari nell'interesse comune. Fammi sapere cosa ne pensano. Se sarà opportuno concertarsi meglio, ti manderò maggiori istruzioni o farò venire costà persona competente o comunque agiremo come conviene.

Questa guerra in Spagna dobbiamo vincerla. Ma dobbiamo anche vincerla presto. Il fattore tempo non è trascurabile per noi. E nemmeno per i tedeschi.

2) È proprio necessario che la stampa tedesca sviolini Delbos? Ma sanno che costui fu il Presidente del Comitato Pro Etiopia, che nel Fronte Popolare si è sempre distinto per il suo odio contro il Fascismo? Ma si rendono conto che son proprio queste sfasature che permettono ai francesi di gridare ad ogni stormir di fronda che l'Asse è fottuto e che per separare l'Italia dalla Germania basta compiere un gesto minimo?

Dì anche questo a chi di dovere. Le cose vanno bene. Il quadro è perfetto: perché uno scarabocchio deve di quando in quando alterarne l'armonia?

ALLEGATO!

lo II Governo fascista dichiara che sarà solidale con Franco sino alla completa vittoria.

2° Le forze legionarie rimarranno quindi in Spagna. agli ordini di Franco, se Franco intende disporne.

3° L'impiego di tali truppe deve essere qua/itativo: le due Divisioni devono essere impiegate in modo che possano dare il massimo rendimento: non devono quindi essere impiegate in una battaglia di usura.

4° È necessario accelerare i tempi della guerra e non credere di aver vinto semplicemente perché ci sono dei «riconoscimenti» diplomatici; né è opportuno contare sul collasso delle retrovie che finora non c'è stato, malgrado le lotte intestine fra i Rossi culminate nella rivolta e nel massacro del maggio 1937 a Barcellona. È solo dopo una decisiva disfatta militare che le retrovie rosse insorgeranno.

so Non nutrire illusioni circa l'atteggiamento dei franco-inglesi che continuerà ad essere ostile alla causa nazionale.

6° Necessità di un comando veramente unico, coll'ausilio itala-tedesco per la battaglia di massa.

751

IL MINISTRO A SOFIA, SAPUPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6763/1594. Sojìa, 28 dicembre 1937 (per. il 31).

Mio telegramma per corriere 094 del 22 dicembre 1•

Trasmetto, in traduzione, il testo della convenzione militare greco-turca 2 che sarebbe stata firmata il 20 ottobre fra Metaxas e Riistii Aras. Kiosseivanov nel consegnarmi il testo in bulgaro me lo ha letto e commentato giungendo alla conclusione che aveva un sapore di attendibilità. I suoi servizi non han potuto finora procurarsi il testo del «protocollo annesso» menzionato nel sesto capoverso; probabilmente si tratta di un protocollo concordato dai due Stati Maggiori nel corso della successiva riunione degli Stati Maggiori dell'Intesa Balcanica ad Ankara.

751 1 T. per corriere 8675/094 R. del 22 dicembre. Riferiva di avere ricevuto dal Presidente del Consi glio bulgaro il testo -tradotto in bulgaro -di una convenzione militare firmata il 20 ottobre prece dente ad Ankara da Metaxas e da Riistii Aras. 751 2 Non pubblicato.

Kiosseivanov ha tenuto a mettere in evidenza la qualifica di «Stati mediterranei» che Turchia e Grecia si dànno nel primo capoverso ed il fatto che la Bulgaria viene chiaramente menzionata come probabile aggressore profittando «dell'aggressione di una Potenza navale non balcanica», frase con la quale secondo lui si intenderebbe alludere all'Italia.

Ho dato una copia della convenzione al R. addetto militare in quale nel trasmetterla al ministero della Guerra l'ha accompagnata col seguente rapporto:

«Richiamo l'attenzione di codesto S.M. sull'articolo 4: poiché vi si considera il caso di un'azione bulgara verso il Mar Egeo, chi legge pensa a tutta prima che sarebbe più logico se anziché recare un elenco di corpi d'armata greci da mettere a disposizione del governo turco, esso parlasse di forze turche destinate ad agire in concorso ed aiuto di quelle greche. Potrebbe però anche darsi che la specificazione dei corpi di armata greci sia stata a bella posta voluta dallo S.M. turco per forzare la mano alla Grecia ed impedire la eventualità di un ritiro dall'esercito greco anche fino allo Struma in caso di attacco bulgaro, possibilità che, secondo un rapporto inviato lo scorso mese a codesto Stato Maggiore dal R. addetto militare in Turchia, sarebbe stata fatta balenare ad Ankara dallo stesso

S.M. greco.

Particolare interessante: all'articolo 5, mentre per il Comando unico delle forze navali si parla di un ammiraglio greco per quello degli eserciti di terra è detto invece un generalissimo nominato dallo S. M. turco, il che potrebbe volersi riferire alla facoltà per quest'ultimo di scegliere un generale di nazionalità non turca (francese? inglese?)3».

750 1 La minuta è autografa di Mussolini.

752

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8725/484 R. Berlino, 29 dicembre 1937, ore 20,23 (per. ore 21,45).

Mio telegramma n. 481 1 e miei telegrammi per corriere 0149 2 e 0150 3 .

Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri von Mackensen, oggi presente a Berlino, mi dice che Wilhelmsstrasse non ha ricevuto fino ad ora alcun'altra notizia da Hankow.

Hirota ha fatto conoscere che Giappone è disposto ad attendere qualche altro giorno dopo il 31 corrente mese per non dare al documento una forma di ultima

ministro Indelli di consegnare a Stojadinovié una copia della convenzione militare greco-turca. Indelli comunicava il 14 gennaio di avere effettuato la consegna al Presidente del Consiglio jugoslavo che aveva qualificato il documento «per lui prezioso» (Rapporto 185/67). 752 l Vedi D. 742. 752 2 Vedi D. 747. 752 3 Non rintracciato.

tum. Giapponesi inoltre, modificando primo punto di vista, potrebbero prevedere, in caso di risposta affermativa cinese e di un primo inizio favorevole dei negoziati, un armistizio da stipularsi tra i comandi dei due eserciti. Mackensen ha aggiunto che, qualora futura risposta cinese fosse effettivamente ritenuta dal Giappone atta ad un inizio di trattative, governo tedesco si metterebbe senza indugio in contatto con governo italiano per studiare mezzi migliori per eventuali proposte alle due parti in conflitto.

751 3 Il documento ha il visto di Mussolini. Con lettera n. 50 del 2 gennaio 1938, Ciano incaricava il

753

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8728/917 R. Londra, 29 dicembre 1937, ore 23,10 (per. ore 3,40 del 30).

Con i miei fonogrammi nn. 370 e 371 di ieri e di oggi 1 ho segnalato a V.E. primi commenti di questa stampa sull'iniziativa olandese per un riconoscimento della conquista italiana dell'Etiopia.

Questo ministro Olanda 2 , che ho veduto oggi, mi ha detto che nello scorso novembre aveva ricevuto dal suo governo un telegramma circolare nel quale gli veniva comunicato che governo olandese, desideroso di risolvere problema delle sue relazioni diplomatiche con il governo italiano e di portare al tempo stesso un contributo concreto alla pacificazione europea, aveva iniziato uno scambio di idee con gli Stati firmatari della Convenzione di Osio per armonizzare le vedute di un primo gruppo di piccole Potenze in relazione analogo eventuale riconoscimento della conquista italiana dell'Etiopia. Lo stesso telegramma aggiungeva che una volta ottenuta l'adesione alla Convenzione di Osio, governo olandese si proponeva di avvicinare governi francese e inglese nello stesso senso. Poiché tale comunicazione era stata fatta a questo ministro di Olanda soltanto per sua «riservata conoscenza» e poiché nessu'altra comunicazione al riguardo gli era da allora pervenuta, egli non aveva svolto alcun passo con me e non aveva nemmeno in forma privata parlato dell'argomento col Foreign Office.

Mi risulta, d'altra parte, che in questi circoli politici e allo stesso Foreign Office l'iniziativa olandese ha provocato una reazione di velata ma indubbia contrarietà.

Si tiene anzi qui a sottolineare il netto rifiuto norvegese di aderire alla proposta dell'Olanda e si lascia chiaramente intendere che il governo britannico, per quanto lo desideri, non potrà considerare favorevolmente una soluzione da parte di altri governi della questione del riconoscimento dell'Impero fino a quando non sia stata raggiunta nei rapporti italo-inglesi quella distensione che esso ritiene condizione preliminare ad un proprio analogo riconoscimento.

753 2 Johann Pau! Limburg-Stirum.

753 1 Non pubblicati.

754

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 Salamanca, 29 dicembre 1937.

Mi onoro trasmettere, qui unita, per opportuna conoscenza, copia del rapporto n. 3663 in data 20 corrente, col quale il R. console a San Sebastiano ha riferito nei riguardi della ricostituzione di un «governo basco» a Barcellona.

ALLEGATO

IL CONSOLE A SAN SEBASTIANO, CA VALLETTI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

TELESPR. RISERVATO 3663. San Sebastiano, 20 dicembre 1937.

Come è noto all'E.V. il governo della defunta Repubblica di Euzkadi si è ricostituito in Barcellona sotto la presidenza di Aguirre con una parvenza di attività governativa e con la pubblicazione del quotidiano Euzkadi, riesumazione dell'omonimo organo bilbaino del nazionalismo basco.

La ricostituzione del governo basco è stata auspicata dalla Francia e soprattutto dall'Inghilterra ed è stata bene accolta dal governo Negrin e dagli elementi moderati, soprattutto i catalanisti, dai primi per apportare essa un nuovo elemento moderatore alla situazione generale e la possibilità di un maggiore appoggio inglese, dai secondi per la identità di programma politico basato sulla autonomia regionale.

Il governo di Negrin spererebbe inoltre di poter ottenere con la ricostituzione del governo basco qualche vantaggio nei rapporti con la Santa Sede, con il relativo aumento del suo prestigio morale. Mi risulta da fonte confidenziale attendibile che la Santa Sede avrebbe fatto degli approcci con delle personalità basche, affermando di essere male informato sull'andamento delle cose nella Spagna Rossa e avrebbe lasciato comprendere la possibilità di qualche contatto ufficioso con il governo della Repubblica.

Per queste ragioni il governo rosso ha cercato di fare buona accoglienza al governo esule, facendogli qualche concessione nel campo religioso. Senza permettere il culto pubblico ma lasciando maggiore larghezza all'esercizio del culto privato, ha liberato 65 preti catalani imprigionati in Barcellona ed ha promesso la revisione del processo per vari altri ecclesiastici condannati.

La formazione del governo di Euzkadi, oltre che a questi motivi di politica internazionale e generale, risponde anche a qualche necessità materiale. Si calcolano a circa 150 mila i rifugiati baschi in Catalogna e sono 8 mila i baschi che in battaglioni omogenei portano le armi sul fronte di Madrid e di Aragona. I rifugiati e i gudaris necessitano una organizzazione di assistenza, che può, se si vuole, prendere anche in nome di governo.

Il presidente Aguirre ha fatto delle dichiarazioni programmatiche pubblicate dali'Euzkadi del 7 corrente. Oltre che di questo compito assistenziale per i rifugiati, il presidente ha parlato di un progetto di scambio di baschi in mano dei Nazionali con i rifugiati delle ambasciate in Madrid. Si tratterebbe di un lotto di circa 22 mila persone per le quali si starebbe interessando l'Inghilterra.

Oltre a ciò, ci sono nelle dichiarazioni di Aguirre delle interessanti allusioni a quella che egli chiama «la retroguardia basca», cioè i nazionalisti rimasti in queste province. È da notare -cosa strana --che invece di parlare della Biscaglia si parla in particolare della Navarra, che viene presentata come «stanca di essere la pietra di choc dei Nazionali». «Chissà, dicono le dichiarazioni, che le brigate di Navarra non siano le future brigate di Euzkadi?». Ciò va messo in relazione con quanto ho già avuto l'onore d.i esporre all'E.V. Aguirre non ha detto con quali mezzi egli intenda aiutare questa retroguardia basca, ma è chiara la sua intenzione di non abbandonare i gruppi nazionalisti rimasti nei Paesi Baschi.

Se la ricostituzione del governo basco è stata bene accolta dagli elementi moderati, essa invece ha suscitato l'ostilità aperta degli estremisti. Due quotidiani comunisti di Barcellona Treball e Solidariedad Obrera hanno immediatamente attaccato il governo basco accusandolo di essere stata la causa della perdita del Nord per la mancanza di spirito rivoluzionario. Tenderebbero a ripetersi le note polemiche tra baschi e comunisti ma i baschi ora non possono rispondere. Si limitano a dire che attaccarli è presentemente una mancanza di spirito di ospitalità. Il povero quotidiano Eu::kadi si piega sotto le esigenze dell'ambiente. Euzkadi, quando si pubblicava a Bilbao, era una specie di veemente bollettino parrocchiale, tutto a base di fede, speranza e carità; ora ha appena osato fare affermazioni di cristianesimo e cerca di scagionarsi delle accuse di non essere abbastanza rosso.

Le reazioni comuniste non si sono limitate alla stampa. I membri del governo comunisti hanno chiesto, subito dopo la costituzione del governo del Euzkadi, apparentemente per reprimere il trotzkismo, la formazione delle ceke. Per il prestigio che hanno i comunisti nel Gabinetto, quali esponenti della grande alleata Russia, essi sono riusciti a imporsi malgrado la opposizione del ministro della Giustizia, il basco Manuel Irujo, il quale come è noto ha dato le dimissioni.

Negrin per mantenere la presenza dei baschi nel Gabinetto, da un lato ha conservato Irujo ministro senza portafoglio, dall'altro avrebbe offerto la segreteria degli Esteri ad Aguirre che non ha accettato. Sembra però che Negrin e Prieto, per dare una soddisfazione ai baschi ed in sostanza all'Inghilterra, starebbero per cambiare atteggiamento e rendersi solidali con Irujo, sicché si potrebbe prevedere a breve scadenza una nuova crisi di Gabinetto.

In altre parole, la ricostruzione del governo di Euzkadi a Barcellona evidenzia il gioco moderatore dell'Inghilterra, che se da un lato non vuole abbandonare la pedina basca per ogni possibile eventualità futura, cerca ora di servirsi dei baschi come strumento e come pegno di moderazione contro le tendenze comuniste appoggiate dalla Russia. I baschi con il loro prestigio morale di popolo oppresso, con il loro farisaico carattere cattolico, con i loro legami e possibili legami vaticani, sono ancora un elemento non trascurabile di cui l'Inghilterra si vuole servire avendolo ai propri ordini oggi più che mai.

754 l Il telespresso inviato da Salamanca non è stato rintracciato: manca pertanto il numero di protocollo e la data di arrivo del documento. Qui si riproduce il testo ritrasmesso dal ministero alle ambasciate a Londra, Parigi, Berlino e presso la Santa Sede con Telespr. 201605/c. del 15 gennaio 1938. Sul documento vi è l'annotazione: «Parlarne a S.E. Mons. Tardini».

755

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE

T. 2074/124 R. 1 Roma, 30 dicembre 1937, ore l.

Mi sembra venuto il momento favorevole per concretare il viaggio di Beck a Roma. Febbraio o marzo: epoca buona.

755 I Minuta autografa.

756

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BUCAREST, SOLA

T. 2075/127 R. 1 Roma, 30 dicembre 1937, ore l.

Domani verrà pubblicata una nota dell'Informazione Diplomatica 2 per far conoscere le favorevoli ripercussioni che la soluzione extraparlamentare 3 ha avuto in Italia. Il momento sembra molto favorevole per la ripresa di una politica di più attiva collaborazione con la Romania, politica cui, nelle condizioni attuali, siamo favorevo

li. Rimangono sempre le riserve che V .S. conosce nei confronti della politica romena verso l'Ungheria ma è evidente che il nuovo governo che opererà su una base di realismo e senza essere intralciato dalle difficoltà parlamentari potrà più facilmente raggiungere una soluzione di questo problema. V.S. potrà far sentire in codesti circoli la simpatia dell'Italia fascista per il nuovo governo, alcuni membri del quale ci hanno dato anche in tempi recenti e aspri non dimenticate prove di amicizia. L'orientamento della Romania verso l'asse Roma-Berlino si presenta ormai come un naturale fenomeno della politica antibolscevica del governo autoritario di Goga.

V.S. segua indirizzi rafforzi ogni movimento in questo senso.

757

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8755/678 R. Tokio, 30 dicembre 1937, ore 1,50 (per. ore 18).

Ambasciatore di Germania, sofferente da quasi due mesi di una ripresa di fortissimi attacchi d'asma che gli hanno impedito di ricevere estranei, mi ha pregato andarlo visitare sentendosi alquanto meglio.

Proposte giapponesi sono state consegnate da Trautmann non a Chiang Kai-shek che è malato, ma a sua muglie e a Kung. Prima di riceverle i cinesi si mostravano molto fiduciosi in se stessi ma dopo conosciutele sono apparsi assai depressi. Non può per ora prevedersi quale risposta daranno. Ha aggiunto che egli

756 I Minuta autografa. 756 2 Nella Nota n. 9 dell'lnj(>rma~ionc Diplomatica, diramata a Roma il 31 dicembre, si esprimeva soddisfazione per la presenza nel nuovo governo romeno di molti uomini che avevano tenuto un contegno amichevole verso l'Italia fascista, soprattutto nel periodo delle sanzioni e si concludeva: «Nei circoli responsabili italiani si pensa che la nuova situazione romena è l'indice di una profonda trasformazione, non soltanto di carattere interno, che va compiendosi in tutto il bacino danubiano. Negli stessi circoli si pensa che per la sua composizione e per le sue direttive sarà possibile al Governo romeno di adottare e realizzare una politica di concreta e feconda amicizia nei confronti dell'Italia». La minuta è autografa di Ciano. 756 ò Il 28 dicembre. il governo Tatarescu aveva dato le dimissioni ed era stato sostituito da un governo presieduto da Octavian Goga. Nel darne notizia, il ministro Sola sottolineava che il nuovo governo non aveva una maggioranza alla Camera per cui si trattava di una soluzione extraparlamentare che, secondo l'opinione prevalente, indicava il prossimo passaggio della Romania tra i Paesi retti da un regime autoritario (T. 8720/281 R. del 28 dicembre).

non immaginava avessimo tanto interesse a interporre nostri buoni uffici anche colà e da ciò suppongo avesse avuto notizie del colloquio di V.E. con codesto ambasciatore di Germania 1 . Aveva creduto non volessimo più interessarci.alle cose di Cina e lo aveva dedotto anche dal nostro riconoscimento del Manciukuò le cui ragioni però non comprendeva bene.

Non ho voluto, né stupirmi, né recriminare. Gli ho spiegato per quali motivi e per quali precedenti non vi potesse esser dubbio che intendessimo procedere d'accordo e uniti con Germania anche in questo campo e questo argomento. Circa Manciukuò avevamo una volta di più provato preferire la realtà dei fatti alla finzione delle parole e anche per ciò eravamo usciti da Ginevra. Ho insistito però nel chiedergli di tenermi informato sul seguito dei negoziati cinesi. Me lo ha promesso. Comunicato Roma e Shanghai.

758

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8748/679 R. Tokio, 30 dicembre 1937, ore 15,38 (per. ore 16,30).

Ambasciatore di Germania si è mostrato preoccupato che il Giappone prosegua la guerra, ciò che lo indebolirebbe e indebolirebbe di più la Cina a vantaggio della Russia. Si è anche mostrato preoccupato per accentuate tendenze nazionaliste in Giappone.

Preoccupazioni per indebolimento, oltre che della Cina anche del Giappone e di rafforzamento del nazionalismo di questo, mi erano state manifestate da lui e dai membri dell'ambasciata di Germania. Specialmente su questo secondo punto permettomi attirare l'attenzione di V.E.

Commette errore di comprensione chi crede che politica estera giapponese possa limitarsi alla lotta contro Russia e concentrarsi in essa. Una vittoria sulla Russia avrebbe indubbiamente valore militare e politico ma non soddisferebbe i bisogni del Giappone.

759

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE SEGRETA. Berlino, 30 dicembre 1937 1•

Accuso ricevuta della Tua autografa del 28 u.s. 2

759 I Manca l'indicazione della data di arrivo. 759 2 Vedi D. 750.

Per il punto n. l ho accennato della cosa, nella stessa serata di ieri, al Segretario di Stato von Mackensen, che è, come sai, in ottimi rapporti con questo Ministero della Guerra. Egli concorda circa la necessità del comando unico in Spagna. Nei prossimi giorni conto vedere von Blomberg e Goring: riferirò in proposito. Certamente fu peccato, nei primi tempi delle operazioni in Spagna, non avere imposto, come se ne ebbe l'idea, il comando unico con la partecipazione efficace ed effettiva di elementi italo-tedeschi di Stato Maggiore. Franco avrebbe certamente accettato. Si preferì invece il sistema dei «rappresentanti» presso Franco.

Per il punto n. 2 ho posto in rilievo a von Mackensen e al Segretario di Stato Hanke l'inutilità dello «sviolinamento» di Delbos fatto nell'articolo del VOlkischer Beobachter, primo di una serie relativa agli uomini politici francesi attuali. Ambedue i miei interlocutori ignoravano l'atteggiamento tenuto da Delbos durante il conflitto etiopico.

Si tratta evidentemente di un'altra di quelle manifestazioni, non gravi e non sostanzialmente significative, di quella «comprensione per l'estero» che i tedeschi amano spesso, negli ultimi tempi, mostrare!

Ore 19:

Ho ritenuto opportuno che sull'importante problema del comando unico in Spagna, il nostro R. addetto militare, generale Marras, avesse oggi stesso un'esauriente conversazione con il generale Keitel che è il braccio destro del Maresciallo von Blomberg e regge attualmente, nell'assenza del Maresciallo stesso, il ministero della Guerra. Il generale Marras ha riassunto la conversazione in un promemoria, interessante, che ti invio qui unito e che contiene molti elementi. Esso mi sembra infatti riassumere tutte le idee dei militari tedeschi sulla situazione in Spagna.

Aggiungo, per tua riservata conoscenza, che il capo del Servizio Informazioni tedesco, ammiraglio Canaris, partirà da Berlino per la Spagna, via Roma, il giorno 8 gennaio. Sarebbe bene costà vederlo e parlargli.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

PROMEMORIA SEGRETO 1926. Berlino, 30 dicembre 1937.

Ho conferito col generale Keitel sulla situazione in Spagna e ho richiamato la sua attenzione sulla necessità di ottenere una effettiva unità di comando, sollecitando un'azione in tal senso del Comando tedesco in Spagna in accordo col nostro.

Dal colloquio col generale Keitel e dai contatti avuti con altri ufficiali del ministero e col Servizio Informazioni, l'apprezzamento della situazione e il punto di vista di queste Autorità militari possono venire riassunti nel modo seguente.

l) L'offensiva di Teruel sta causando ai Rossi un forte logoramento, al quale non potrà corrispondere alcun risultato militare decisivo. Franco non vi ha impegnato che una parte limitata delle sue migliori divisioni (divisioni d'assalto -Angriffsdivisionen). Egli mantiene ancora intatta la massa delle sue divisioni d'assalto che possono computarsi a una diecina.

2) Sta di fatto che Franco ha dimostrato di non avere intenzione di impegnare una nuova offensiva. Un'offensiva in Aragona era completamente preparata e avrebbe dovuto iniziarsi il 30 novembre, ma fu sospesa alla vigilia. Successivamente si è parlato di una offensiva in altra direzione, per far cadere Madrid.

Si ha la chiara impressione che Franco sia ormai sicuro del successo finale e che attenda la vittoria dallo sgretolamento interno dei Rossi, evitando nuove perdite di sangue e nuove distruzioni.

In quale misura il suo atteggiamento possa essere influenzato dall'Inghilterra e dalla Francia non è dato di apprezzare.

3) I Comandi italiano e tedesco e lo Stato Maggiore unito presso il Comando di Franco lavorano in pieno accordo. Le loro proposte sono di massima accolte da Franco, ma a questo consenso e ai preparativi che vengono fatti non segue l'esecuzione.

La persona di Franco sembra sdoppiarsi: l'uomo militare accoglie i suggerimenti dei comandanti italiano e tedesco, l'uomo politico si ritrae.

4) Si ha l'impressione che i generali spagnoli siano disciplinati e sentano l'autorità di Franco. Il meno facile a comandare era il defunto generale Mola.

5) È difficile prevedere quando potrebbe iniziarsi una offensiva nazionalista dopo che sarà arrestata l'azione di Teruel. La tendenza dilazionatrice di Franco e gli ostacoli della stagione potrebbero portare un ritardo anche di alcuni mesi.

Nel frattempo il Comitato di non intervento di Londra riprenderà le sue sedute. Occorrerà svolgere opera accorta affinché non ne nascano deliberazioni intempestive che compromettano l'azione militare.

6) Il generale Keitel si è dichiarato perfettamente d'accordo nel ritenere che soltanto una vittoria militare darebbe a Franco un risultato duraturo, e nel riconoscere la necessità dell'unità di comando, ma vede un grave ostacolo nel fatto che Franco non sa decidersi a una nuova offensiva. Mi ha peraltro assicurato che verranno date istruzioni al generale Volkmann affinché agisca d'accordo col generale Berti per premere in favore dell'unità di comando.

Mi ha aggiunto essere necessaria un'azione parallela da parte dei rappresentanti diplomatici, dato che si tratta di superare le considerazioni di natura politica che trattengono Franco.

Aggiungo i seguenti apprezzamenti raccolti presso il Servizio Informazioni:

l'unità di comando completa non potrà realizzarsi; alle difficoltà intrinseche delle coalizioni si aggiungono quelle derivanti dall'orgoglio spagnolo; ---non è escluso che Franco ritenga di poter in seguito governare più facilmente la Catalogna dopo una vittoria per sfacelo interno anziché dopo una vittoria con le armi; --lo Stato Maggiore italo-tedesco presso Franco ha di fatto una semplice funzione di collegamento; -Franco è ormai sicuro della vittoria finale; non gli importa di accelerare i tempi;

-unico risultato positivo sul quale Italia e Germania possono fare assegnamento è quello di avere impedito l'installazione del bolscevismo in Spagna. Per quanto riguarda il futuro assetto interno si può prevedere che la Spagna ritornerà alla monarchia, ma forse non riuscirà ad avere un regime autoritario.

In sostanza presso queste Autorità militari si ha la buona intenzione di affiancarsi a noi nell'azione per l'unità di comando, ma si è alquanto scettici sui risultati e forse anche alquanto rassegnati. Alquanto maggiore assegnamento si fa sull'azione diplomatica sia per vincere le considerazioni di opportunità politica di Franco, sia per evitare sorprese da parte del Comitato di non intervento.

Il colloquio di V.S. col Maresciallo von Blomberg potrà aver luogo il giorno 7 o 8 gennaio, dopo il ritorno del Maresciallo, previsto verso il cinque3 .

757 1 Vedi D. 740.

760

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 8774/682 R. Tokio, 31 dicembre 1937, ore 9,05 (per. ore 17,20).

Telegramma di V.E. n. 282 1 . Miei telegrammi nn. 590 2 e 653 3 .

Hirota in risposta alla mia nota confidenziale del 6 corrente, e per dar veste formale ai suoi affidamenti verbali, mi ha fatto consegnare un memorandum confidenziale nel quale a nome del governo giapponese dichiara:

l) che Giappone è «profondamente grato» per la politica seguita dall'Italia e per dichiarazione che non incontrerà da parte nostra difficoltà nei riguardi della situazione di Shanghai;

2) che governo giapponese «è pronto tenere in massimo conto interessi e prestigio dell'Italia in Cina». A questo riguardo, non essendo stato ancora stabilito alcun progetto concreto circa lo sfruttamento del Manciukuò e della Cina del Nord e circa futuro assetto di Shanghai, il governo giapponese «prega il R. governo di voler accettare per il momento l'assicurazione di massima che il Giappone intende soddisfare nella misura del possibile il desiderio di collaborazione dell'Italia».

Ho risposto a Hirota per iscritto che prendevo atto della comunicazione cui davo anche più importanza per il suo spirito che per la sua lettera -e che mi affrettavo a comunicarla a V.E. Trasmetto per corriere testo memorandum4 .

Comunicato Roma e per conoscenza Shanghai e Mukden.

761

L'AMBASCIATORE IN CINA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8789/630 R. Shanghai, 31 dicembre 1937, ore 12 (per. ure 8,35 del 1° gennaio 1938).

Avendo telegrafato Alessandrini interloquire Hankow circa nota comunicazione Tokio e avendogli dato istruzioni richiedere ambasciatore di Germania in

760 I Vedi D. 634, nota 3. 760 2 Vedi D. 670. 760 3 Vedi D. 730. 760 4 Non pubblicato.

formazioni del caso, R. consigliere mi ha risposto con seguente telegramma m

data 29 corrente:

Segreto. Telegramma V.E. 2288.

Ambasciatore di Germania si è mostrato visibilmente contrariato del fatto che noi siamo stati messi al corrente delle condizioni di pace giapponesi. Ha finito per ammettere ma, avendo chiesto quali siano esattamente proposte, ha dichiarato di avere ricevuto tassative disposizioni di mantenere segreto. Ha soggiunto che avendo egli chiesto a Hsii Mo se doveva mettere al corrente ambasciata d'Italia vice ministro lo ha pregato di non (dico non) telegrafare a Berlino. Ambasciatore di Germania ha concluso dicendo che avrebbe telegrafato a Berlino chiedendo se può

o meno tenermi informato. Mi ha detto comunque che «cinesi non hanno finora risposto» e che egli «teme anzi esito dilatorio se non negativo».

Sarei grato a V.E. se volesse telegrafarmi proposte Giappone anche per togliere dall'animo dell'ambasciatore di Germania impressione che noi in realtà non ne siamo a conoscenza e che cerchiamo sapere da lui. Prego farmi conoscere anche se, dopo conosciute proposte, devo o meno fare qualche comunicazione ai cinesi (ministro degli Affari Esteri oppure Wang Ching-wei).

Comunicato Roma e Tokio.

759 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

762

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO NON DIRAMARE 8770/684 R. Tokio, 31 dicembre 1937, ore 13 (per. ore 17,20).

Militari non credono che proposte di pace saranno accettate. Mostrano in proposito tale indifferenza da fare dubitare se si sia trattato veramente di una loro iniziativa presa con desiderio e speranza di successo.

In questo ministero della Guerra si considerano ormai come finite le grandi operazioni e si dà massima importanza all'assetto delle regioni conquistate.

<
APPENDICI

APPENDICE I

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI (1° luglio -31 dicembre 1937)

MINISTRO

CiANO DI CoRTELLAZZO Galeazzo, ambasciatore.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO

BASTIANINI Giuseppe, ambasciatore.

GABINETTO

Coordinamento generale -Affari confidenziali-Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la Rea/ Casa, con la Presidenza del Consiglio e col P.N.F -Relazioni del ministro col Parlamento e col corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di Gabinetto: DE PEPPO Ottavio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice capo di Gabinetto, capo della segreteria particolare del ministro: ANFUSO Filippo, consigliere.

Ufficio del Gabinetto: CARUSO Casto, console di 2a classe; SETTI Giuseppe, LANZA n'AJETA Blasco, DE BosDARI Girolamo, consoli di 3a classe; SOLARI Pietro, MoscATO Niccolò, vice consoli di l a classe (dal l o dicembre consoli di 3a classe); CARACCIOLO DI MELITO Filippo, vice console di 2a classe (dal l o dicembre di l a classe); SPINOLA Luigi, vice segretario, dal lo ottobre.

Ufficio della segreteria: NICHETTI Carlo, console di 2a classe; SANFELICE Antonio, BELLIA Franco, vice consoli di P classe; MARIENI Alessandro, vice console di 2" classe.

Studi e ricerche: VIDAU Luigi, console generale di 2a classe, fino al 2 novembre.

Segreteria particolare del sottosegretario: AsSETTATI Augusto, console di 2a classe; PuRI PuRINI Giuseppe, addetto consolare (dal lo dicembre vice console di 2a classe).

UFFICIO SPAGNA

Capo ufficio: PIETROMARCHI Luca, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: ALOISI DE LARDEREL Folco, vice console di la classe; CONTARINI Giuseppe, addetto consolare (dal l o dicembre vice console); Dueci Roberto, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari-Franchigie in materia doganale ai regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di capi di Stato, principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere.

Capo ufficio: CoRTINI Claudio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe, dal 24 luglio.

Segretari: CiTTADINI Pier Adolfo, primo segretario di la classe; MACCHI DI CELLERE Pio, primo segretario di 2a classe, fino al 27 agosto; SALLIER DE LA TouR CoRIO Paolo, primo segretario di 2a classe; ALVERÀ Pier Luigi, volontario-diplomatico consolare.

UFFICIO DI INTENDENZA

Archivio storico -Biblioteca -Pubblicazioni di carattere amministrativo Custodia e manutenzione della sede del ministero -Servizi automobilistici e telefonici -Disciplina del personale di servizio.

Capo ufficio: ToscANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Addetto all'ufficio: UGOLINI Guido, primo commissario consolare.

Archivio storico

Direttore: N.N.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI DI EUROPA E DEL MEDITERRANEO

Direttore generale: BuTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Vice direttore generale: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di la classe.

Addetti alla direzione generale: GALLI Guido, console generale di 2a classe; DE FERRARI Giovanni, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO I Belgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussembur go -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Spagna -Stati baltici -Stati scandinavi -Svizzera -Unione delle repubbliche sovietiche socialiste.

Capo ufficio: PRUNAS Renato, primo segretario di la classe, fino al 13 ottobre; DEL BALZO Dl PRESENZANO Giulio, console di 2a classe, dal 14 ottobre.

Segretari: CASTELLANI Augusto, console di 3" classe, dal 10 novembre; EMo CAPODILISTA Gabriele, vice console di l a classe, fino al 21 luglio; VITELLI Girolamo, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Austria -Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania Turchia -Ungheria -Affari concernenti le isole italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: DE PAOLIS Pietro, primo segretario di l a classe.

Segretari: ScAGLIONE Roberto, console di 2a classe; AMBROSETTI Gino, primo segretario di 2a classe, fino al 7 dicembre; WINSPEARE GurcCIARDI Vittorio, addetto consolare (dal 23 giugno vice console di 2a classe), fino al 31 agosto; MILESI FERRETTI Gian Luigi, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO III Mediterraneo -Paesi del Mediterraneo e del Mar Rosso Africa Orientale Italiana.

Capo ufficio: GuARNASCHELLI Giovanni Battista, predetto.

Segretari: ZoPPI Vittorio, consigliere; D'AQUINO Alfonso, vice console di la classe (dal lo dicembre console di 3a classe); PROFILI Giacomo, addetto consolare, fino al 18 luglio.

UFFICIO IV

Albania.

Capo ufficio: GumoTTI Gastone, primo segretario di 2a classe.

Segretari: ARCHI Pio Antonio, CAPPELLANI DELLA FORMICA Raffaele, con~oli di 3a classe.

UFFICIO V

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: BELLARDI RICCI Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretario: N.N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI Direttore generale: GRAZZI Emanuele, console generale di l a classe. Vice direttore generale: BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele,

consigliere.

UFFICIO I

Africa (eccetto i paesi di competenza di altri uffici).

Capo ufficio: N.N. Segretario: N. N. UFFICIO II

Asia (eccetto i paesi di competenza di altri uffici) -Oceania. Capo ufficio: BONARELLI or CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, predetto. Segretari: FERRETTI Raffaele, console di 2a classe; GAJA Roberto, volontario

diplomatico-consolare.

UFFICIO III

America del Nord.

Capo ufficio: VITA FINZI Paolo, console di l a classe, dal 9 luglio. Segretario: DE MICHELIS Paolo, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO IV

America latina.

Capo ufficio: RULLI Guglielmo, primo segretario di l a classe, fino al 6 dicembre.

Segretari: T ALLARJGO Paolo, addetto consolare, fino al 16 luglio; TERRUZZI Giulio, volontario diplomatico-consolare.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI

Direttore generale: V !TETTI Leonardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Vice direttore generale: VmAu Luigi, console generale di l a classe, dal 3 novembre.

Addetti alla direzione generale: BovA ScoPPA Renato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe; RAINERI BISCIA Giuseppe, ammiraglio di divisione; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Università di Roma; Bosco Giacinto, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze politiche e sociali Cesare Alfieri di Firenze.

UFFICIO I

Società delle Nazioni 1•

Capo ufficio: VIDAU Luigi, predetto, dal 3 novembre al 6 dicembre; GRAZZI Umberto, l o segretario di legazione di l a classe, dal 7 dicembre.

Segretari: NARDI Luigi, console di l a classe, fino al 6 dicembre; MALASPINA Falchetto, primo segretario di 2a classe, fino al 26 settembre; PLETTI Mario, console di 3a classe, fino al 7 settembre; GHENZI Giovanni, addetto consolare, fino all'S settembre; STADERINI Ettore, volontario diplomatico-consolare.

UFFICIO II

Istituti internazionali e conferenze.

Capo ufficio: GRAZZI Umberto, primo segretario di la classe, fino al 6 dicembre; GERBORE Pietro, primo segretario di 2a classe, dal 7 dicembre.

Segretario: SPALAZZI Giorgio, primo segretario di 2a classe.

l La ripartizione delle materie di competenza di alcuni uffici della Direzione generale degli affari generali fu modificata con ordine di servizio 44 del 7 dicembre come segue: Ufficio l: Istituti internazionali -Conferenze e congressi internazionali -Coordinamento culturale; Ufficio Il: Coordinamento militare, navale e aeronautico -Missioni militari -Commissione suprema di difesa -Materiali di guerra; Ufficio IV: Affari riservati. La competenza degli uffici III e V rimase immutata.

UFFICIO III

Trattati ed atti.

Capo ufficio: LANZARA Giuseppe, console di la classe.

Segretari: LANZETTA Umberto, console di 2a classe.

UFFICIO IV Coordinamento militare, navale ed aeronautico -Affari riservati.

Capo ufficio: GERBORE.Pietro, predetto, fino al 6 dicembre; VIDAU Luigi, predetto, dal 7 dicembre.

Segretari: SEGANTI Vittorio, console di 3" classe; CITARELLI Renato, console di 3a classe, dal 27 dicembre; GuLLI Vincenzo, vice console di l a classe (dal l o dicembre console di 3a classe), dal 5 agosto; Russo Augusto, addetto consolare, fino al 14 settembre; REGARD Cesare, volontario diplomatico-consolare; BEVILACQUA Michele, segretario capo dell'emigrazione (dal 1° dicembre ispettore), fino al 13 dicembre; CORSI Fernando, primo segretario dell'emigrazione (dal 1° dicembre vice ispettore).

UFFICIO V

Storico-diplomatico.

Ricerche e studi ~·u materie storiche e questioni internazionali -Schedari Rubriche -Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico -Sezione geografica.

Capo ufficio: DI GIURA Giovanni, consigliere.

Segretari: DI ROVASENDA Vittorio, primo segretario di l" classe; TORNIELLI DI CRESTVOLANT Carlo Cesare, console di l aclasse; WIEL Ferdinando, console di 2a classe.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI

Direttore generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di l a classe, consigliere di Stato, senatore.

Vice direttore generale: CALISSE Alberto, console di l a classe (dal l o dicembre console generale di 2" classe).

Addetti alla direzione generale: VAGNETTI Leonida, consigliere dell'emigrazione di 2a classe, fino al 27 luglio; DEI MEDICI Ugo, vice intendente di finanza.

UFFICIO I

Affari generali -Comunicazioni aeree, terrestri e marittime -Fiere, congressi, esposizioni. Capo ufficio: MoscA Bernardo, primo segretario di l a classe. Segretari: BERTUCCIOLI Romolo, console di la classe; RoTINI Ambrogio, console di la classe, fino al 23 settembre.

UFFICIO II

Commercio coi paesi d'Europa e del Mediterraneo.

Capo ufficio: CALISSE Alberto, predetto. Segretari: FoRMICHELLA Giovanni, console di 2a classe; SENSI Federico, addetto consolare.

UFFICIO III

Commercio transoceanico.

Capo ufficio: BENZONI Giorgio, console di l a classe.

Segretari: SIMONE Nicola, console di 3a classe; FoRINO Lamberto, commissario consolare, fino al 29 agosto; PLAJA Eugenio, volontario diplomatico-consolare.

Centro di coordinamento dei servizi commerciali delle regie rappresentanze.

Capo ufficio: BENZONI Giorgio, predetto. Segretario: LOGOLUSO Antonio, vice console di l a classe, fino al 23 novembre.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO

Direttore generale: PARINI Piero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe, fino al 26 ottobre; DE Cieco Attilio, console generale di l a classe, dal 27 ottobre.

Vice direttore generale: DE Cieco Attilio, console generale di l a classe, fino al 26 ottobre; RULLI Guglielmo, predetto, dal 7 dicembre.

Addetti alla direzione generale: CuNEo Giovanni Battista, console di la classe; NucCIO Alfredo, console di 2a classe; BARILLARI Michele, ispettore superiore, dal l o ottobre; DINI Ottavio, vice ispettore, dal l o ottobre; BENEDETTI Dante, sostituto procuratore generale di Corte d'appello.

Vice segretario generale dei Fasci all'estero: THAON DI REVEL Ignazio.

Ispettore dei Fasci all'estero: BASILE Carlo Emanuele.

UFFICIO I

Organizzazioni fasciste e Istituti di cultura.

Capo ufficio: DE Cieco Attilio, predetto, fino al 26 ottobre.

Segretari: NoBILI VITELLESCHI Pietro, console di la classe; MININNI Marcello, addetto consolare, fino al 22 luglio; TEDESCO Pietro Paolo, segretario capo di ragioneria dell'emigrazione (dallo dicembre ispettore); FLAMINI Pietro, primo segretario dell'emigrazione (dal l o dicembre vice ispettore); Lo BALSAMO Michele, vice segretario, dal l o ottobre.

UFFICIO II

Affari privati.

Capo ufficio: CAFFARELLI Filippo, consigliere.

Segretari: TONI Piero, consigliere; BIANCONI Alberto, console di la classe, dal IO luglio; BARBARISI Guglielmo, console di 2a classe; Busi Gino, console di 2a classe, fino al25 luglio; BENAZZO Agostino, DE GIOVANNI Luigi, volontari diplomatico-consolari.

UFFICIO III

Scuole all'estero.

Capo ufficio: CAROSI Mario, console di la classe.

UFFICIO IV

Lavoro italiano all'estero.

Capo ufficio: GERBASI Francesco, consigliere dell'emigrazione di la classe (dallo dicembre ispettore generale).

Segretari: MASI Corrado, consigliere dell'emigrazione di 2a classe (dal !0 dicembre ispettore superiore); MARONE Vincenzo, ispettore superiore, dal lo novembre; MANCA Elio, segretario capo dell'emigrazione (dalio dicembre ispettore); CANNONE Nicolò, V ACCHELLI Alessandro, primi segretari dell'emigrazione (dal l o dicembre vice ispettori).

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL'AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: LEQUIO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Vice direttore generale: BERGAMASCHI Bernardo, consigliere.

Addetti alla direzione generale: ALBERTAZZI Enrico, presidente di sezione della Corte di cassazione; MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di l a classe (dal l o dicembre ispettore generale); MoNTESI Giuseppe, consigliere ddl'emigrazione di la classe (dal l o dicembre console generale di 2a classe); EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri -Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari all'estero-Ispezioni degli uffici all'estero -Questioni che si riferiscono all'ordinamento del ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpreti -Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento, consigli, commissioni e comitati presso l'Amministrazione centrale Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali, per la stampa e loro ufficiPersonale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini del personale -Passaporti diplomatici, di servizio e ordinari, libretti e richieste ferroviarie per il personale-Rapporti con il P.N.F, la M. VS.N. e le Amministrazioni dello Stato, per quanto riguarda il personale dipendente dal Ministero degli affari esteri.

Capo ufficio: BERGAMASCHI Bernardo, predetto.

Segretari: DANEO Silvio, console di 2a classe, fino al 19 settembre; SILJ Francesco, console di 3a classe (dal l o dicembre di 2a classe); GIRETTI Luciano, volontario diplomatico-consolare (dal l o dicembre vice console di 2a classe).

UFFICIO II

Personale dei gruppi B e C e personale subalterno delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero. Concorsi, nomine e ammissioni-Commissione di avanzamento e consigli del ministero, ed in generale tutte le questioni relative alla carriera e all'ordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso -Personale di ogni gruppo appartenente ad altre Amministrazioni e comandato presso il Ministero degli affari esteri -Personale

avventizio in servizio presso l'Amministrazione centrale e gli uffici dell'emigrazione nel Regno -Personale locale in servizio presso le regie rappresentanze diplomatiche e consolari.

Capo ufficio: FECIA DI CosSATO Carlo, primo segretario di l a classe.

Segretario: N.N.

UFFICIO III

Edifici demaniali.

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso dell'Amministrazione centrale e dei rr. uffici all'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento -Assicurazioni, inventari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei rr. uffici Questioni concernenti la nuova sede per il Ministero degli affari esteri.

Capo ufficio: AssERETO Tommaso, consigliere.

Segretario: FossA TI Mario, vice segretario, dal l o ottobre.

Addetto all'ufficio: P!GNOCCHI Gino, geometra capo del corpo del genio civile.

Sezione tecnica.

DI FAUSTO Florestano, esperto tecnico.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi.

Capo ufficio: NATALI Umberto, console generale di 2" classe, dal 5 luglio.

Segretari: AGOSTEO Cesare, capo sezione dei commissari consolari (dal 29 ottobre capo divisione dei commissari consolari); CERACCHI Giuseppe, commissario consolare capo (dal 29 ottobre capo sezione dei commissari consolari); LEONINI PIGNOTTI Augusto, commissario consolare capo; SPATAFORA Gaetano, primo commissario consolare; FERME Antonio, primo commissario consolare, dal 12 luglio.

Addetti all'ufficio: PAZZAGLIA Gino, capo sezione di ragioneria dell'emigrazione (dal l o dicembre ispettore capo); RENGANESCHI Vittorio, BLANDI Silvio, segretari capo di ragioneria dell'emigrazione (dal 1° dicembre ispettori); PIRODDI Mario, primo segretario di ragioneria dell'emigrazione (dal 1° dicembre vice ispettore).

Cassa.

BoNAVINO Arturo, capo sezione dei commissari consolari, cassiere (dal 29 ottobre capo divisione dei commissari consolari); RoTA Armando, segretario di ragioneria dell'emigrazione (dal l o dicembre segretario).

UFFICIO V

Corrispondenza e archivi -Tipografia riservata.

Organizzazione, sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: GROSSARDI Antonio, console generale di l a classe.

Segretari: GoBBI Giovanni, console di la classe, fino al 7 ottobre; Busi Gino, console di 2a classe, dal 26 luglio.

Tipografia riservata.

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO VI

Cifra.

Capo ufficio: RoNCALLI Guido, consigliere, fino al 25luglio; CANCELLARlO o'ALENA Francesco, console generale di 2a classe, dal 16 agosto.

Segretari: Rossi Paolo Alberto, console di l a classe (dal l o dicembre console generale di 2a classe); CANNICCI Achille Angelo, console di la classe; Buzzi GRADENIGO Cesare Pier Alberto, ZAsso Francesco, consoli di 2a classe; EYNARD Carlo, console di 3a classe, fino al 30 settembre; SCHININÀ Emanuele, console di 3a classe; PORTANOVA Ettore, primo segretario dell'emigrazione, fino al 26 agosto; GRANDINETTI Eugenio, vice consigliere dell'emigrazione (dal 1° dicembre ispettore capo).

Addetto all'ufficio: ANTINUCCI Umberto, maggiore di artiglieria.

RAGIONERIA CENTRALE'

Direttore capo della ragioneria: GIANDOLINI Romolo (F).

1 Il personale contrassegnato con la lettera «F» fa parte dei ruoli del Ministero delle finanze, quello contrassegnato con la sigla «Em.» fa parte dei ruoli del Ministero degli affari esteri proveniente dal soppresso Commissariato generale dell'emigrazione.

DIVISIONE I

Personale -Affari generali -Esame dei provvedimenti da sottoporre al Ministero delle finanze ed in genere di tutti quelli aventi comunque effetti finanziari -Riassunto degli elementi per la preparazione degli stati di previsione dell'entrata e della clpesa e relative variazioni-Conto consuntivo, parte finanziaria e parte patrimoniale -Esame degli inventari -Competenze e pensioni relative a tutto il personale dipendente dal Ministero degli affari esteri escluso quello delle scuole italiane all'estero e quello del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione -Riscontro del giornale di cassa per le gestioni di bilancio ed extra bilancio -Conto corrente infi'uttifero col Tesoro dello Stato -Partitario dei depositi ricevuti dai privati -Contabilità speciali -Registrazione dei wdori provenienti dall'estero, sia direttamente sia a mezzo banche corrispondenti -Riscontro dei valori non monetari e degli effetti in deposito presso il cassiere del ministero -Operazioni relative al .finanziamento dei rr. ujjìci all'estero, accettazione delle tratte emesse dai titolari di essi e registrazione delle aperture di credito -Conto corrente con il contabile del Portafoglio e conti dei relativi capitoli di entrata e di spesa della categoria movimento di capitali -Tenuta dei conti impegni relath·i ai servizi suddetti-Emissione e registrazione dei mandati -Archivio.

Direttore capo della divisione: BARTOLINI Luigi (F).

Capo sezione: MoNTUORI Pietro (F).

Segretari: PALUMBO Francesco (F), BARDI Donatello (F), consiglieri; Tosi Emilio (F), primo segretario; OccHIONERO Matteo (F), AGRÒ Giuseppe, vice segretari; URBANI FALLANI Velia, (F), ragioniere.

DIVISIONE Il

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate di.1poste dalla legge e dal regolamento dell'emigrazione -Scritture generali e clpeciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento -Liquidazione delle competenze ai rr. commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità per le spese relative all'emigrazione -Inventario -Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici e demaniali all'estero -Gestioni speciali e scritture relative -Revisione, approvazione e liquidazione delle spese indicate nelle contabilità scolastiche mensili e varie -Tenuta degli impegni e scritture partitarie riassuntive per il servizio dell'emigrazione e delle scuole italiane all'estero Monte pensione dei maestri elementari -Emissione dei mandati di pagamento relativi ai suddetti Servi:::i.

Direttore capo della divisione: CroTTI Remigio (Em.), direttore capo di ragioneria dell'emigrazione (dal ! 0 dicembre ispettore superiore).

Capi sezione: TARINI Ugo (F), Tuzi Alberto (F).

Segretari: VoLPE Mario (F), primo segretario; ZICARI Eugenio (F), GARGANO Guglielmo (F), vice segretari.

DIVISIONE III

Revisione, approvazione e liquidazione delle contabilità dei rr. uffici diplomatici e consolari all'estero, nonché di quelli di pubblica sicurezza di confine -Contabilità degli agenti della riscossione -Conti giudiziali -Servizio marche consolari -Tenuta degli impegni relativi alle spese del funzionamento dei rr. uffici all'estero, emissione dei mandati di pagamento -Conti correnti del personale diplomatico e consolare in dipendenza delle gestioni all'estero Esame dei rendiconti di spesa sui/e aperture di credito e sugli ordini di accreditamento -Liquidazione dei conti delle società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti -Revisione bilanci e contabilità del possedimento delle isole italiane dell'Egeo.

Direttore capo della divisione: PoNCINI Francesco (F), direttore capo di divisione.

Capo sezione: DE ANNA Giuseppe (F).

Segretari: ROMANO Giuseppe (F), ASBOLLI Attilio (F), consiglieri; MARTINA Filippo (F), primo segretario; DRAGO Giuseppe (F), CATANIA Antonino (F), vice segretari.

CONSULENTI GIURIDICI

Consulente generale: N.N.

Consulenti: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe, consigliere di Stato, senatore; ALBERTAZZI Enrico, presidente di sezione della Corte di cassazione; GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di l a classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nell'Università di Roma, senatore, direttore generale degli affari commerciali; MoNTAGNA Raffaele, consigliere di Stato con titolo onorario di consigliere di legazione; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nell'Università di Roma; Bosco Giacinto, professore ordinario di diritto internazionale nell'Istituto superiore di scienze politiche e sociali Cesare Alfieri di Firenze; BENEDETTI Dante, sostituto procuratore generale della Corte d'appello.

APPENDICE II

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO (1° luglio -31 dicembre 1937)

AFGHANISTAN

Kabul -QUARONI Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ALBANIA

Tirana -JACOMONI Francesco, inviato straordinario e mmrstro plenipotenziario; BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario; PRATO Eugenio, vice console (dal lo dicembre console) con funzioni di terzo segretario (dal 7 ottobre con funzioni di secondo segretario); D'ANTONI Giovanni, colonnello, addetto militare.

ARABO -SAUDIANO (Regno)

Gedda -SILLITTI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PAVERI FoNTANA Alberto, console con funzioni di primo segretario; BELLINI Leone Fabiano, interprete, fino al 16 settembre.

ARGENTINA

Buenos Aires -GUARIGLIA Raffaele, ambasciatore; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, consigliere; BARBARICH Alberto, primo segretario, dal 16 gennaio; MAJOLI Mario, vice console con funzioni di secondo segretario; FIORI Romeo, direttore capo divisione nei ruoli del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione con funzioni di consigliere dell'emigrazione; MANCINI Tommaso, addetto commerciale, sostituito da MARIAM E., addetto commerciale; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale (residente a Rio de Janeiro).

AUSTRIA

Vienna -SALATA Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, consigliere di Stato, senatore, fino al 29 novembre; GHIGI Pellegrino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 2 dicembre; STRANEO Carlo, primo segretario; DEL BoNo Giorgio, console con funzioni di secondo segretario; EMO CAPODILISTA Gabriele, vice console con funzioni di terzo segretario, dal 22 luglio; DI NOLA Carlo, addetto commerciale; MoNDINI Luigi, tenente colonnello, addetto militare; PALLOTTA Natale, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

BELGIO

Bruxelles -PREZIOSI Gabriele, ambasciatore; CosMELLI Giuseppe, consigliere, fino al 30 settembre, SILENZI Renato, consigliere, dal l o ottobre; P ANSA Mario, primo segretario; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale (residente a Parigi), sostituito da MARGOTTINI Carlo, capitano di fregata, addetto navale (residente a Parigi); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico.

BOLIVIA

La Paz-MARIANI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

BRASILE

Rio de Janeiro -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario con funzioni di consigliere, fino al 13 agosto; CASSINIS Angiolo, consigliere, dal 29 settembre; TELESIO Giuseppe, primo segretario; CASTELLANI Augusto, console con funzioni di secondo segretario, fino al 9 novembre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico e navale.

BULGARIA

Sofia -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; V ANNI o'ARCHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario, fino al 18 settembre; DANEO Silvio, console con funzioni di primo segretario, dal 19 settembre; PAULUCCI Mario, vice console con funzioni di secondo segretario; LIBRANDO Gaetano, addetto commerciale; SovERA Tullio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

CECOSLOVACCHIA

Praga -DE FACENDIS Domenico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoRGA Guido, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, console con funzioni di secondo segretario; RALLO Pietro, addetto commerciale, sostituito da ENEA G., addetto commerciale; RODA Alberto, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, sostituito da VALFRÈ DI BoNzo Corrado, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PALLOTTA Natale, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Budapest).

CILE

Santiago -MARCHI Giovanni, ambasciatore; OTTAVIANI Luigi, consigliere; MARINI Vittorio, primo segretario, dal 16 dicembre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

CINA

CoRA Giuliano, ambasciatore; ALESSANDRINI Adolfo, primo segretario con funzioni di consigliere; ROSSET DESANDRE' Antonio, primo segretario; GIUSTI DEL GIARDINO Justo, vice console con funzioni di secondo segretario; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; VINCENTI MARERI Francesco, interprete; SCALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Tokio); DEL GRECO Corrado, tenente di vascello, comandante la guardia della ambasciata, con funzioni di addetto navale; PIRODDI Mario, tenente colonnello, addetto aeronautico.

COLOMBIA

Bogotà-CANTONI MARCA Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

COSTARICA

S. José -FARALLI Iginio Ugo, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro ).

CUBA

L'Avana-PERSICO Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 5 agosto; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

DANIMARCA

Copenaghen-GIARDINI Renato, primo segretario, incaricato d'affari; Luz1 Renato, addetto commerciale; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare (residente a Berlino); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

DOMINICANA (Repubblica)

Ciudad Trujillo -PoRTA Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 12 ottobre (residente a Porto Principe); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EGITTO

Cairo -GHIGI Pellegrino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al l o dicembre; BALDONI Corrado, primo segretario; MELLINI PoNCE DE LEON Alberto, console con funzioni di secondo segretario, fino al 17 novembre; MAZIO Aldo Maria, vice console con funzioni di terzo segretario, fino al 16 settembre; FARACE Ruggero, vice console con funzioni di secondo segretario, dal 14 ottobre; DE CLEMENTI Alberto, vice console con funzioni di terzo segretario, dal 9 settembre; MASCIA Vittorio, consigliere di governo di prima classe, fino al l Oottobre; 0MAR Umberto, interprete; BUFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -BoMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala); LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EQUATORE

Quito-DE LIETO Casimiro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

ESTONIA

Tallinn -CiccoNARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia), sostituito da RoERO DI CosTANZE Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

FINLANDIA

Helsinki -KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoPPINI Maurilio, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia), sostituito da RoERO DI CoSTANZE Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia); TEUCCI Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -CERRUTI Vittorio, ambasciatore; SCADUTO MENDOLA Gioacchino, consigliere, fino al 24 ottobre; LANDINI Amedeo, console generale; PRUNAS Renato, primo segretario, dal 25 ottobre (dal 2 novembre consigliere); DELLA PORTA Francesco, primo segretario; CoRRIAS Angelino, console con funzioni di secondo segretario; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, vice console con funzioni di terzo segretario; BARATTIERI DI SAN PIETRO Ludovico, vice console con funzioni di quarto segretario; TOMMASINI Mario, consigliere dell'emigrazione; SALLIER DE LA TouR Carlo, vice consigliere dell'emigrazione; BARBASETTI DI PRUN Curio, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, sostituito da VISCONTI PRASCA Sebastiano generale di divisione, addetto militare; FERRERI Emilio, capitano di fregata, addetto navale, sostituito da MARGOTTINI Carlo, capitano di fregata, addetto navale, ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico.

GERMANIA

Berlino -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; MAGISTRATI Massimo, consigliere; ZAMBONI Guelfo, primo segretario; GIUSTINIANI Raimondo, console con funzioni di secondo segretario; T ASSONI EsTENSE Alessandro, console con funzioni di terzo segretario; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale; MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare; BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale; TEuccr Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico.

GIAPPONE

Tokio-AURITI Giacinto, ambasciatore; SCAMMACCA Michele, primo segretario con funzioni di consigliere; GARBACCIO Livio, primo segretario, fino al 13 ottobre; MACCHI di CELLERE Pio, primo segretario, dal 28 agosto; MELKAY Almo, interprete; ScALISE Guglielmo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; GHÈ Alberto, capitano di fregata, addetto navale.

GRAN BRETAGNA

Londra-GRANDI Dino, ambasciatore; CROLLA Guido, consigliere; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; DEL BALZO Giulio, console con funzioni di secondo segretario, fino al 13 ottobre; CASARDI Aubrey, console con funzioni di terzo segretario; Gozzi Giorgio, console con funzioni di quarto segretario; ORTONA Egidio, vice console con funzioni di quinto segretario: DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; RuGGERI LADERCHI Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRIVONESI Bruno, capitano di vascello, addetto navale; CALDERARA Attilio, colonnello, addetto aeronautico.

GRECIA

Atene -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; JANNELLI Pasquale, primo segretario; SERAFINI Giorgio, console con funzioni di secondo segretario; DE SANTO Demetrio, interprete; MoRIN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico; BOGLIONE Gabriele, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente ad Ankara).

GUATEMALA

Guatemala -BOMBIERI Enrico, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HAITI

Porto Principe -PORTA Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 12 ottobre; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HONDURAS

Tegucigalpa -BOMBIERI Enrico, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

IRAN

Teheran -PETRUCCI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARINI Vittorio, primo segretario, fino a 15 dicembre; BIGI Luciano, capitano di fregata, assistente addetto navale; PENNACCHIO Luigi, interprete.

IRAQ

Bagdad -GABBRIELLI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PoLLICI Dante, interprete.

IRLANDA

Dublino -LoDI FÈ Romano, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; MALASPINA Falchetto, primo segretario, dal 27 settembre; RuGGERI LADERCHI Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Londra); BRIVONESI Bruno, capitano di vascello, addetto navale (residente a Londra).

JUGOSLAVIA

Belgrado -INDELLI Mario, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primo segretario; BAISTROCCHI Ettore, console con funzioni di secondo segretario: ScELDIA Antonio, interprete; BENEDETTI Giovanni Paolo, delegato commerciale; KELLNER Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; MoRIN Sebastiano, capitano di fregata, addetto navale (residente ad Atene).

LETTONIA

Riga-RoGERI DI VILLANOVA Delfino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GuGLIELMINETTI Giuseppe, primo segretario; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia), sostituito da RoERO DI CosTANZE Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -FRANSONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CIPPICO Tristram Alvise, console con funzioni di primo segretario, dal 3 dicembre; MARRAS Efisio colonnello di artiglieria, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino); TEUCCI Giuseppe, maggiore, addetto aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -DIANA Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MANCIUKUO

Hsinking -CORTESE Luigi, inviato straordinario e mmrstro plenipotenziario, dal 1° dicembre; GUADAGNINI Piero, vice console, dal 1° dicembre.

MESSICO

Messico -MARCHETTI DI MuRIAGLIO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CATTANI Attilio, console con funzioni di primo segretario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NICARAGUA

Managua-FARALLI Iginio Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a S. José di Costarica); LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NORVEGIA

Osio -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Muzi FALCONI Filippo, primo segretario; LuZI Renato, addetto commerciale (residente a Copenaghen); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -TALIANI DE MARCHIO Francesco Maria, inviato straordinario e mm1stro plenipotenziario; DE VERA D'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario; NoTARANGELI Tommaso, addetto commerciale; DucA Giovanni, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Bruxelles); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

PANAMA

Panama-CAPANNI Italo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PARAGUAY

Assunzione-DE ANGELIS Mariano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PERÙ

Lima -TALAMO ATENOLFI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Rossr LONGHI Gastone, primo segretario, GARBACCIO Livio, primo segretario, dal 14 ottobre; LoNGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro ).

POLONIA

Varsavia-ARONE DI VALENTINO Pietro, ambasciatore; CARISSIMO Agostino, consigliere; Dr STEFANO Mario, primo segretario; CrRAOLO Giorgio, vice console con funzioni di secondo segretario; PrETRABISSA Francesco, addetto commerciale; MARAZZANI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico; sostituito da ROERO DI CosTANZE Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e mmrstro plenipotenziario; LA TERZA Pierluigi, primo segretario; MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Salamanca); GABRIELLI Manlio, tenente colonnello di fanteria, addetto militare (residente a Salamanca); MaNICO Umberto, capitano di fregata, addetto navale (residente a Salamanca); FERRARIN Francesco, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Salamanca).

ROMANIA

Bucarest -SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPECE GALEOTA Giuseppe, primo segretario; DALLA RosA PRATI Rolando, console con funzioni di secondo segretario; DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; DELLA PORTA RoDIANI CARRARA Guglielmo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

SANTA SEDE

Roma-PIGNATTI MoRANO DI CuSTOZA Bonifacio, ambasciatore; CASSINIS Angiolo, consigliere, fino al 28 settembre; VENTURINI Antonio, console con funzioni di primo segretario.

SIAM

Bangkok-CoRTINI Claudio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 23 luglio; UMILTÀ Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 20 novembre; GHÈ Alberto, capitano di fregata, addetto navale (residente a Tokio).

SPAGNA

Salamanca -VIOLA Guido, ambasciatore, dal IO luglio; Bossi Carlo, console generale, incaricato d'affari, fino al 9 luglio; RONCALLI Guido, consigliere, dal 26 luglio; V ANNI o'ARCHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario, dal 19 settembre; GAETANI DELL'AQUILA n'ARAGONA Massimo, vice console con funzioni di secondo segretario; M ARIANI Erminio, consigliere commerciale; sostituito da RALLO P., consigliere commerciale; GABRIELLI Manlio, tenente colonnello di fanteria, addetto militare; FERRARIN Francesco, tenente colonnello, addetto aeronautico; MaNICO Umberto, capitano di fregata, addetto navale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington-SUVICH Fulvio, ambasciatore; DEL DRAGO Marcello, primo segretario; CAPOMAZZA Benedetto, console con funzioni di secondo segretario; ROBERTI Guerino, console con funzioni di terzo segretario; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; BIFULCO Vittorio, vice consigliere dell'emigrazione; BALLERINI Elisio, consigliere commerciale; CuGIA DI SANT'ORSOLA Umberto, capitano di fregata, addetto navale; COPPOLA Vincenzo, tenente colonnello, addetto aeronautico e militare.

SUD AFRICA

Capetown -CHIARAMONTE BoRDONARO Gabriele, inviato straordinario e mmistro plenipotenziario; STRIGARI Vittorio, console con funzioni di primo segretario.

SVEZIA

Stoccolma -MELI LuPI DI SORAGNA TARASCONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoNACO Adriano, primo segretario; Luzr Renato, addetto commerciale (residente a Copenaghen); MARRAS Efisio, colonnello di artiglieria, addetto militare (residente a Berlino); BERTOLDI Giuseppe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles); GRAMAGLIA Giuseppe, capitano, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MASCIA Luciano, primo segretario; SACERDOTI Renzo, console con funzioni di secondo segretario; PELLEGRINI Vincenzo, addetto commerciale; F ANTONI Euclide, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, ERCOLE Ercole, colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi); ROMANO Giorgio, maggiore, addetto aeronautico aggiunto (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -GALLI Carlo, ambasciatore; DE AsTIS Giovanni, primo segretario con funzioni di consigliere; CASTRONuovo Manlio, console con funzioni di secondo segretario; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale, fino al 22 luglio; PISA Ezra, interprete; BoGLIONE Gabriele, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; FERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico.

UNGHERIA

Budapest -VINCI GIGLIUCCI Luigi Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FoRMENTINI Omero, primo segretario; DE GRENET Filippo, console con funzioni di secondo segretario, fino al 23 novembre; REVEDIN DI SAN MARTINO Giovanni, console con funzioni di secondo segretario, dal 16 dicembre; CLEMENTI Raffaele, vice console con funzioni di terzo segretario; DI NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna); MATTIOLI Enrico, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PALLOTTA Natale, tenente colonnello, addetto aeronautico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -Rosso Augusto, ambasciatore; BERARDIS Vincenzo, consigliere; MIGONE Bartolomeo, primo segretario; GuASTONE BELCREDI Enrico, vice console con funzioni di secondo segretario; RELLI Guido, interprete; PIACENZA Guido, tenente colonnello, addetto militare, navale e aeronautico.

URUGUAY

Montevideo -MAZZOLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PERRONE DI SAN MARTINO Ettore, primo segretario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

VENEZUELA

Caracas -DE PROBIZER DI WEISSEMBERG E ROTHENSTEIN Alessandro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, tenente colonnello, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA (JV luglio -31 dicembre 1937)

Afghanistan -SAMAD Abdul khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RASSOUL Mohamed khan, segretario.

Albania -VILLA Djafer, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; XHOMO Vasfi, primo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno) -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina-CANTILO José Maria, ambasciatore; CHIAPPE Felipe, consigliere; ONETO AsTENGO Oscar, primo segretario; PoNTI José Carlos, secondo segretario; FOPPA Tito Livio, console, addetto stampa; CoMOLLI Guido, addetto commerciale; RoGGERO Arturo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Austria -BERGER WALDENEGG Egon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RoTTER Adrian, consigliere, sostituito da STRAUTZ F., consigliere; FALSER Meinrad, primo segretario; RIEDL-RIEDENSTEIN Friedrich, addetto; FRIEBERGER Kurt, consigliere ministeriale, addetto stampa; LIEBITZKY Emil, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico.

Belgio -DE LIGNE Albert, ambasciatore (assente); DU CHASTEL DE LA HowARDERIE Ferdinand, conte, consigliere, incaricato d'affari ad interim; DE MEEUS Hadelin, primo segretario; LAMY Léon, addetto; CARLIER Georges, addetto.

Bolivia -CoRTADELLAS Alberto, ministro plenipotenziario, incaricato d'affari ad interim; CESPEDES RIVERA Guillermo, segretario, dal 6 dicembre; JoRDAN Jorge, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico.

Brasile -GUERRA DUVAL Adalberto, ambasciatore; FERREIRA DE MELLO Rubens, primo segretario; LATOUR Jorge, secondo segretario; SILVEIRA Paulo Mathias de Assis, secondo segretario; DE SouzA GoMES Henrique, secondo segretario; DE MIRANDA PACHECO Mario W., addetto (assente); SPARANO Luiz, addetto commerciale.

Bulgaria -PoMENOV Svétoslav, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario; KARANDJULOV Anton, primo segretario; TONTCHEV Petr, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare.

Cecoslovacchia -CHVALKOVSKY Frantisek, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRAUNER Vladimir, consigliere; HERMAN Frantisek, primo segretario; STANE Vojtech, segretario; KusKA Theodor, consigliere per la stampa; KLECANDA Vladimir, generale di divisione, addetto militare e aeronautico.

Cile-CARIOLA MAFFEI Luis Alberto, ambasciatore; CuEVAS IRARRAZABAL Hernan, consigliere; BARRIGA Jorge, consigliere commerciale; FIRMANI René, addetto commerciale; HERRERA Ariosto, colonnello, addetto militare; LECASSIE Juan, capitano, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

Cina-Lru VoN-TAo, ambasciatore; SHEN TsouTONU, consigliere; CHu YIN, primo segretario; HwANG TA-CHUNG, secondo segretario; YoH LuN, terzo segretario; Lru TSIEN, terzo segretario; CHI KENG-MAo, addetto; CHEN CHrA-POH, addetto; CHAU HwA-Kuo, capitano, addetto militare aggiunto; FANG Jou, capitano, addetto militare aggiunto.

Colombia -.CAICEDO CASTILLA José Joaquin, incaricato d'affari; FAILLACE Carlos A., addetto.

Cuba -ZAYAS Y Rurz Enrique, inviato straordinario e m1mstro plenipotenziario (assente); TABERNILLAJ DoLz Carlos, consigliere, incaricato d'affari ad interim; CRUZ Americo, secondo segretario, dal 10 settembre; FIGUEROA Y MIRANDA Miguel, terzo segretario, dal 14 agosto; RIVERO Y MACHADO Nicolas, addetto.

Danimarca -KRUSE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WICHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CALDERON Telesforo R., primo segretario, incaricato d'affari ad interim; PARADAS Salvador Emilio, secondo segretario, TRUJILLO MOLINA Anibal, generale di brigata, addetto militare.

Egitto -EL-SADEK Mustafà, bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OMAR Mohamed Osni, primo segretario; MONEIM Mohamed Abdel, addetto: fino al 19 dicembre; AL 0MARI Mohamed Taher, addetto agricolo; GASVICH Abdel-Aziz, addetto, dal 20 dicembre; EL-BAKLI Mohamed Alì, addetto commerciale, dal 18 novembre.

El Salvador (Repubblica di) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -PENA-HERRERA Luis Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 22 dicembre; GUZMAN AsPIAZU Carlos, consigliere commerciale, dal 15 dicembre; ALOMIA LoRREA Antonio, tenente colonnello, addetto militare aggiunto, dal 15 dicembre.

Estonia -LEPPIK Johan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario: JANSON Davide, primo segretario.

Finlandia -VON KNORRING Helge, incaricato d'affari ad interim, fino al 30 novembre; JALANTI Tauno, segretario, incaricato d'affari ad interim, dal 1° dicembre; SNELLMAN Aarne, colonnello, addetto militare e aeronautico (residente a Berlino).

Francia -BLONDEL Jules François, ministro plenipotenziario, incaricato d'affari ad interim; GUERIN Hubert, consigliere; GARNIER Jean-Paul, secondo segretario; BoPPE Roger, addetto, fino al 3 ottobre; DE MARGERIE Christian, addetto, dal 4 ottobre; SANGUINETII Joseph, console generale, addetto commerciale; MINGALON André, addetto commerciale aggiunto; LEROY BEAULIEU Paul, addetto finanziario; PARISOT Henri, generale di brigata, addetto militare; DE LAFOND Gervais, capitano di vascello, addetto navale; PoUPON Roger, colonnello, addetto aeronautico; CATOIRE, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto, fino al 9 ottobre; DONATI Louis, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare aggiunto, dal l O ottobre.

Germania -VON HASSELL Ulrich, ambasciatore; VON PLESSEN Johann, consigliere; zu ScHAUMBURG-LrPPE Stephan, consigliere; ETTEL Ervin, consigliere; ScHMID-KRUTINA Hermann, primo segretario; VON ETZDORF Hasso, segretario; BERGER Karl, addetto; GRAEFF Friedrich, addetto commerciale; KOEHLER Fritz, addetto per l'agricoltura; MoLLIER Hans, addetto stampa; VON RINTELEN Enno, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PRETZELL Gerhard, maggiore, addetto militare aggiunto; LANGE Werner, capitano di vascello, addetto navale; 0PDENHOFF Martin, tenente di vascello, addetto navale aggiunto, dal 3 novembre; ScHULTHEISS Paul, tenente colonnello dell'arma aeronautica, addetto aeronautico; BADER Karl, tenente colonnello, addetto aeronautico aggiunto, dal 1° agosto.

Giappone -SUGIMURA Yotaro, ambasciatore, fino al 27 luglio; HoTTA Masaaki, ambasciatore, dal 28 luglio; MATSUMIYA Hajime, consigliere; KuDo Tadao, secondo segretario, fino al 6 novembre; TERASAKI Taro, secondo segretario, dal 7 novembre; ONo Kotaro, terzo segretario, fino al 28 dicembre, HARA Kaoru, terzo segretario, dal 29 dicembre; YoSHIURA Morizumi, segretario interprete di seconda classe; HAGA Shiro, addetto; NAGAI Mikizo, addetto, dal 18 ottobre; ARISUE Seizo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; HIRAIDE Hideo, capitano di fregata, addetto navale e aeronautico; ToKr Hokoji, maggiore di artiglieria, addetto militare aggiunto.

Gran Bretagna -DRUMMOND sir Eric, ambasciatore; INGRAM Edward, consigliere, fino al 15 ottobre; CHARLES sir Noel, consigliere, dal 16 ottobre; NoswoRTHY Richard Lysle, consigliere per gli affari commerciali; Mc CLURE sir William, addetto stampa con rango di consigliere; YENCKEN A.F., primo segretario; NOBLE Andrew, secondo segretario; LoMAx J.G., secondo segretario per gli affari commerciali; GREY P.F., terzo segretario; LAVER W.S., assistente del consigliere commerciale; MoTT-RADCLYFFE C.E., addetto onorario; STONE Robert, colonnello, addetto militare; BEVAN R.H., capitano di vascello, addetto navale; MEDHURST C.E., colonnello, addetto aeronautico; DAVEY B.C., capitano, addetto militare aggiunto, fino al 20 settembre; BARCLAY W.P., maggiore, addetto militare aggiunto, dal 21 settembre; COBB R., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino), fino al 9 settembre; HEARSON G., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino) dal 10 settembre.

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DALIETOS Alexandros, consigliere, fino al 9 novembre; RoMANOS Johannes, consigliere, dal lO novembre; CoNTOUMAS Alexandros, primo segretario; AssiMACOPOULOS Alexandros, colonnello, addetto militare, navale ed aeronautico, dal 15 ottobre.

Guatemala -DURAN MoLLINEDO Victor, generale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DuRAN Y FIGUEROS J. Ramiro, segretario.

Haiti -LARAQUE Enrico Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Iran -SAED Mohammed, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HADJEB-DAVALLOU Mohammed, primo segretario; KHOSROVI Abdullah, addetto.

Iraq -AL-PACHACHI Muzahim, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AL-FALAHI Abdul Rahman, secondo segretario, fino al 5 dicembre; SULAIMAN Alì Haidar, terzo segretario, dal 6 dicembre; AL-PACHACHI Taher, addetto.

Jugoslavia -Ducié Y ovan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 15 novembre; CHRISTié Bochko, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 16 novembre; BELJANSKI Paul, consigliere; GAVRILOVIé Milivoje, primo segretario, fino all'Il novembre; CHETCHEROVIé Voukachine, primo segretario, dal 12 novembre; PLAMENATZ Ilia, addetto; .TROJANOVIé Radmilo, maggiore di artiglieria in servizio di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico; JuNGié Dragoslav, capitano d'aviazione, addetto militare, navale e aeronautico aggiunto.

Lettonia -SPEKKE Arnolds, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania-CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILEISIS Petras, segretario.

Messico-N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VILLATORO Gustavo, consigliere, incaricato d'affari ad interim; RENNOW German; terzo segretario, dal 20 dicembre; GARZA RAMOS Mario, vice console, addetto; ALAMILLO FLORES Luis, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi).

Monaco -CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia -IRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C.L., primo segretario; BAKKE Amold, consigliere commerciale (residente a Bema).

Paesi Bassi-N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAN PANHUYS W.E., segretario, incaricato d'affari ad interim.

Panama -BuRGOS Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VALDES Manuel Maria, segretario.

Paraguay -O'LEARY Juan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Dr PAOLA Nuncio, segretario.

Perù-MANZANILLA José Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LANATA CouoY Luis F., primo segretario; VARGAS Jorge, colonnello, addetto militare, dal 30 ottobre; GrLARDI VERA Carlos A., colonnello, addetto aeronautico (residente a Parigi).

Polonia -WYSOCKI Alfred, ambasciatore; ZAwvrszA Aleksander, consigliere; CHROMECKI Tadeusz, segretario; MAZURKIEWICZ Roman, consigliere commerciale; SZELISKI Jan, addetto; MIKULSKI Boleslav, addetto onorario; MICHALOWSKI Jozef, addetto onorario; NIEWEGLOWSKI Cezary, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, navale e aeronautico.

Portogallo -LOBO o'AVILA LIMA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; V Az SARAFANA José Eduardo, primo segretario.

Romania -LUGOSIANU lon, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CONSTANTINIDE Noti, consigliere; BILCIURESCU Grigore, segretario; ADAMIU Aureliano, addetto; PoRN Eugen, consigliere commerciale; ENESCO Mihail, addetto commerciale aggiunto; KrRITZESCU Alexandru, consigliere per la stampa; DAMACEANU Dumitru, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare; Guom Ion, maggiore di aviazione, addetto aeronautico; DuMITRESCU Gheorghe, capitano di vascello, addetto navale (residente a Londra).

Santa Sede -BORGONGINI DucA Francesco, monsignore, nunz10 apostolico; MrsURACA Giuseppe, monsignore, uditore.

Siam -N.N. inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VrsuTRA VrRAJJADES Luang, primo segretario, incaricato d'affari ad interim; PRASERT MAITRI Luang, secondo segretario; SuvANADAT Vijien, secondo segretario; JrTAWI Luang, terzo segretario.

Spagna -GARCIA CONDE Pedro, ambasciatore, dal 28 luglio; FoRNS Rafael, primo segretario; JoRRO Jaime, secondo segretario; MARTINEZ-MERELLO Luis, segretario aggiunto, dal 5 novembre; BERMEJO José Maria, segretario aggiunto, dal 5 novembre; CARRASCO Manuel, addetto onorario (residente a Bologna); VrLLEGAS Manuel, comandante di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; ESTRADA Rafael, capitano di fregata, addetto navale; GENOVA Arturo, capitano di fregata, addetto navale.

Stati Uniti d'America -PHILLIPS William, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere, fino al 27 luglio; REED Edward L., consigliere, dal 28 luglio; GADE Gerhard, secondo segretario, fino al 6 dicembre; ROGERS Alan S., secondo segretario, dal 7 dicembre; REBER Samuel, secondo segretario; McGREGOR Robert G. jr., terzo segretario; LrvENGOOD Charles A., addetto commerciale; HooPER Malcom P., addetto commerciale aggiunto; THOMSON Thaddeus Austin, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina; PAINE George H., colonnello di artiglieria, addetto militare e aeronautico; HODGSON Jack G., capitano dell'arma aeronautica, addetto militare e aeronautico aggiunto; FoRRESTEL Emmet Peter, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto; FURER Julius Augustus, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra), fino al 22 luglio; NELSON Gordon W., capitano del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra), dal 23 luglio; CASSADY John Howard, capitano di corvetta, addetto navale e aeronautico aggiunto per la marina, dal 2 agosto.

Sud Africa (Unione del) -HEYMANS Albert, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HORN Emil F., segretario; GELDENHUYS Frans Eduard, consigliere commerciale; KIRSTEN Robert, addetto.

Svezia -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SoHLMAN Rolf R., primo segretario, incaricato d'affari ad interim; BRUSEWITZ Sven, addetto; WESTER Harry, maggiore di artiglieria, addetto militare e aeronautico, dall'Il luglio; HAMMARGREN O.H.L., tenente di vascello addetto navale, dal 13 dicembre.

Svizzera -RUEGGER Paul, inviato straordinario e ministro plenipotenziaro; MrcHELI Louis H., consigliere; FUMASOLI Mario, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretaro; SEIFERT Otto, addetto.

Turchia-BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; KARABUDA Zeki, consigliere, fino a1l'llluglio; ARBEL Bedi, consigliere, dal 12 luglio; ZIYAL Celai, secondo segretario; GORK Haydar, secondo segretario, dal 19 agosto; BELBEZ Nejdet Tahir, terzo segretario; KARAGULLE Halil Mithat, consigliere commerciale; HAYIROGLU Mahmut Nedim, addetto stampa; ZIYA Komut, capitano di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico ad interim; ARNOM Refet, capitano di corvetta di Stato Maggiore, addetto navale.

Ungheria -VILLANI Federic, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VEGH Miklos, consigliere; DE HERTELENDY Ladislav, segretario; BETHLEN Gabriele, addetto; DE MARFFY-MANTUANO Tommaso, addetto; HuszKA Istvan, addetto stampa; SzABO Ladislav, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche-STEIN Boris, ambasciatore; HELFAND Lev, consigliere; DNEPROFF Pavel, secondo segretario; ScEININ Grigorij, secondo segretario, fino al 28 novembre; KULAJENKOV Anatolij, secondo segretario, dal 29 novembre; BELENKI Boris, rappresentante commerciale; BrASI Nikolaj, colonnello, addetto militare e aeronautico; ScEI Boris, ingegnere militare, addetto navale; CERNAIEV Nikifor, addetto aeronautico aggiunto.

Uruguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CuESTAS Federico, primo segretario, incaricato d'affari ad interim; FABREGAT Gilbert Caetano, secondo segretario; GRIMOLDI America, addetto, dal 16 settembre; MoRELLI Vincente, addetto, dal 2 ottobre; GAVAZZO José, capitano di artiglieria, addetto militare.

Venezuela-KEY AYALA Santiago, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASAS BRICENO J.M., consigliere; ROJAS Hugo, addetto.